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I caratteri territoriali della modernità - Facoltà di Lettere e Filosofia

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I <strong>caratteri</strong> <strong>territoriali</strong> <strong>della</strong> <strong>modernità</strong><br />

siero si <strong>di</strong>mostrano alla lunga inadatte ad affrontare la “realtà reale” nei<br />

suoi molteplici aspetti. Ma la ragione economica convenzionale, <strong>di</strong>ffusamente<br />

adottata in questa regione semi-periferica dell’Occidente contemporaneo<br />

e largamente interiorizzata nel senso comune dei suoi abitanti, considera<br />

ed impiega gli ecosistemi agrari e naturali appunto secondo schemi <strong>di</strong><br />

questo tipo. Le considerazioni prioritarie in tema <strong>di</strong> ambiente vertono sulla<br />

sua “produttività” effettiva o potenziale: si parla <strong>di</strong> risorse “valorizzate” o<br />

“da valorizzare” (cioè <strong>di</strong> prodotti utili da vendere, o comunque da consumare<br />

in vario modo). In una categoria a parte (percepibile per sottrazione<br />

dalla prima, poiché <strong>della</strong> sua esistenza non ci si dà gran conto) sono invece<br />

ricacciati e si accumulano i fattori ambientali inutili, non più suscettibili <strong>di</strong><br />

attivazioni piacevoli e red<strong>di</strong>tizie e quin<strong>di</strong> rifiutati e destinati a deteriorarsi,<br />

con ricadute comunque dannose per il bene comune. Io credo che per quanto<br />

si possano impiegare etichette seducenti e post-moderne sul tipo dei<br />

“parchi naturali”, “regionali”, ecc. per qualificare e tutelare le residue aree<br />

<strong>di</strong> pregio ambientale finora trascurate dai processi <strong>di</strong> modernizzazione, non<br />

si riuscirà a sottrarle ad un vorace e <strong>di</strong>struttivo consumo (tanto <strong>di</strong> tipo <strong>di</strong><br />

industriale che turistico) se non si mo<strong>di</strong>ficheranno i valori e gli atteggiamenti<br />

preposti alla loro gestione, e questo sia in sede locale che globale.<br />

Né mi sembra che per uscire dall’attuale vicolo cieco <strong>di</strong> risorse sempre più<br />

scarse possa bastare l’adozione <strong>di</strong> più attenti e sofisticati utilitarismi, sul<br />

tipo dello “sviluppo sostenibile” 94 .<br />

E’ noto infatti che il sistema <strong>di</strong> valori e conoscenze elaborato dalla civiltà<br />

occidentale matura considera il “territorio vivente” (anzi: con-vivente)<br />

nei termini riduttivi <strong>di</strong> “spazio” o “ambiente”. La razionalità tecnoeconomica<br />

corrente equipara l’ecosfera ed il complesso dei viventi, uomo<br />

compreso, ad un serbatoio chimico-meccanico <strong>di</strong> “materie prime” e “risorse”<br />

da trasformare continuamente per ottenere prodotti (beni e servizi) socialmente<br />

consumabili in base a fabbisogni istituzionalmente determinati.<br />

Che i beni <strong>di</strong> consumo siano erogati dalle pubbliche amministrazioni oppu-<br />

94 Cfr., tra altri, G. Dal Fiume (1993), Sviluppo sostenibile: un obiettivo non raggiunto,<br />

in Id., et Alii, La terra e i mercanti, Bologna, Clueb. Come tutti gli “sviluppi”, anche quello<br />

che si autodefinisce sostenibile non esce dai binari <strong>di</strong> una concezione unicamente strumentale<br />

(e perciò “opportunistica”) <strong>della</strong> natura. Sul necessario superamento del razionalismo<br />

utilitarista nei rapporti con la natura si vedano, per tutti, A. Sacchetti (1986), L’uomo antibiologico.<br />

Riconciliare società e natura, Milano, Feltrinelli, e G. Dalla Casa (1990), Verso<br />

una cultura ecologica, Verona, Satyagraha. Vali<strong>di</strong> elementi anche in W. Sachs (1991), La<br />

natura come sistema. Per una critica dell’ecologia, in “Linea d’Onbra”, n. 6.<br />

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