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Pier Paolo Pasolini - Arcipelago Itaca

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Su Porte/Doors<br />

dell’Autrice. Organizzate secondo l’asse della prospettività (vicino/lontano), le parole assumono una tensione inaudita e il lettore vi trova<br />

composizioni che si imprimono saldamente nel ricordo. Una sezione compatta, dove aspetti temporali accidentali e necessari si immergono<br />

nella «notte profonda della conoscenza» (Breton) per riportare alla luce l’essenza del mondo. Annamaria Ferramosca non indietreggia mai, né<br />

teme di toccare la sostanza quasi terrena dello spirito, concepito modernamente come divenire trascendentale, superando la stasi di troppa<br />

poesia platonizzante, ferma al contemplativo imperturbabile. Quando l’infinito si invera nel finito, le possibilità di comprensione vengono<br />

affidate al registro ironico (anch’esso di derivazione romantica): «animule larvate al petrolio / policiclici idrocarburi aromatici / riconoscibili<br />

dallo spettro di riga / (giungono in riga / le grida degli spettri)». (pag.65). Gettarsi nel buio, scavare, scontrarsi con l’assenza di luce risulta il solo<br />

modo per verificare se l’oltre che perseguiamo è unico, o ve ne sono innumerevoli altri a confondere e complicare la conoscenza dell’altro da<br />

sé.<br />

Porte/Doors si chiude con Battenti, il canto della Memoria e delle Occasioni: qui vale la dimensione di circolarità secondo la disposizione<br />

simile/dissimile. Lo spazio metrico, valorizzante e affettivo, si converte in Cronaca per chiudere la sua procedura di storicizzazione con il ritorno<br />

all’epos mito-logico: «Corro auriga di Delfi / sul mio carro di nubi / senza clangore / guadagno rive multiple / Non ho briglie né mani /<br />

Imperdonabili / solo terra e luce» (pag.113). La poesia di Annamaria Ferramosca manifesta il vantaggio della dynamis, non teme di sporcare le<br />

ali dell’albatros baudelairiano nella polvere del mutamento. Questa mitopoiesi muove e commuove, evita la finta chiarezza di sé, senza<br />

coscienza. Qualsiasi porta attraversi l’Autrice, non fa che porre interrogativi alla Sfinge: nel dubbio matura una disperata vitalità, che si lancia<br />

con gridi di parole verso la realtà.<br />

5. Se una forte ragione unitaria (l’incontro io-mondo) anima la scrittura di Annamaria Ferramosca, bisogna rintracciare la spia linguistica dove<br />

tutto questo si deposita. Non si ha difficoltà a rinvenire il paradigma della univerbazione, il processo di giustapposizione fonica e semantica di<br />

parole diverse. Cito alcuni esempi: d’incantidisincanti, coppacapannatumulo, oltremusica, lunadiboscolunadisavana, musicanerabianca. Come<br />

dire che Porte/Doors è stato pensato per raccogliere energie contro la disgregazione delle coscienze e la loro dispersione nei mille rivoli<br />

dell’egoismo. L’uso di prefissi illativi (in-sacra, in-foglia, in-scena, im-metabolizzabile) conferma il perimetro reciprocante di pensiero e<br />

emozione, nel senso che il primo contatto con le cose avviene sempre per tramite concettuale-deduttivo, poi sensibile, in un personale<br />

rovesciamento dell’empirismo. In Porte/Doors non troviamo fratture formali o stilistiche, nessun urto o dissonanza, ma sicurezza, solidità,<br />

compiutezza formale. Nelle prose critiche Attenzioni del 1980 Seamus Heaney intraprendeva la sua nékuya, la sua discesa negli strati successivi<br />

del suolo, fino alle viscere più riposte e arcane, ma avvertite per stranezza d’intuizione come familiari. Attraverso la poesia faceva risalire questi<br />

reperti alla vita, rinnovandola: un’operazione simile avvia Annamaria Ferramosca, scrittrice pervasiva e lettrice onnivora (Yeats, Celan,<br />

Dickinson, e chissà quanti altri), capace di creare una sua lingua interiore con la quale porre un sigillo al dolore del tempo e alla speranza dello<br />

spazio, varcando soglie che portano a quelle radici che oggi, per una bizzarria dei costumi, si fa a gara a ignorare.<br />

Donato Di Stasi<br />

Annamaria<br />

Ferramosca<br />

109<br />

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