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Pier Paolo Pasolini - Arcipelago Itaca

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Su Di marmo e d’aria<br />

Novecento è decisiva, Antologia della poesia religiosa italiana contemporanea (1952): l’autore parla della poesia religiosa attraverso ventuno<br />

poeti, attraverso ventuno discorsi critici, attraverso le riflessioni sui rapporti della poesia con la preghiera, con la società, con la vita, con la<br />

bellezza. La domanda di fondo rimane complessa, tende a cogliere il senso personale e universale dell’azione poetica. Questo approccio ai<br />

problemi della poesia, questi frammenti che segnalo, queste emozioni ricorrenti partecipano alla comprensione di un magma creativo,<br />

complesso e illuminante, nel quale si ritrova anche la poesia di Maria Grazia Maiorino, con Di marmo e d’aria. Vorrei fare ancora<br />

un’osservazione che si riferisce alla nostra domanda generale, “Dove va la poesia?”. La poesia si compie nel contesto della società, respira la<br />

sua organizzazione sociale e la sua terrestrità, invade il campo della natura e dell’ambiente, pone l’uomo al dialogo con il creato, la poesia<br />

delinea sempre più la condizione civile del suo essere, di rapporto, di suono, di emotività. Viene comunemente detto che i cantautori sono i<br />

nuovi poeti, che poi sono anche i nuovi intellettuali. La poesia è sempre più un arcobaleno di luci che si disperdono, di paesaggi che si fondono<br />

con l’orizzonte. Di fronte a questa domanda senza fine quale contributo porta Maria Grazia Maiorino? Una prima scelta di campo comprende il<br />

sistema dell’occhio, la civiltà dell’immagine. Il paesaggio ed i pittori guidano la sua interrogazione: paesaggio come territorio, contesto, luogo di<br />

vita; visione come articolazione di una pittura di sensi e di colori, il ritorno e l’osservazione dei soggetti amati. Poi c’è lo spazio della musica: è<br />

canto e suono, canto minimo di haiku e canto maggiore di testi come Letti tutti i libri, Hermes Orfeo Euridice, Giacinto bianco, 25 anni dopo. Il<br />

volumetto comprende tre sezioni: Di marmo e d’aria (1998-9), Taccuino bellunese (1999) e Figure (1998-2004). La prima sezione dispone ad<br />

una poesia della visitazione. La Maiorino è alla ricerca di qualcosa che si definisce nel corso del canto: le voci sovrane, l’amore, la morte. Ma chi<br />

è il guerriero invocato nella dedica? La vita e l’amicizia, il testimone dell’esistenza, chi silenziosamente ti accompagna, un angelo o uno spirito<br />

comune o un fantasma. Il guerriero è come l’angelo, un intermediario che annuncia, di marmo e d’aria, un ossimoro, la figura di tempi di<br />

desolazione e quindi anche di domande assolute, la vita e l’amicizia, l’amore e la morte. Secondo dato: la visitazione è come un movimento,<br />

ricerca di luoghi di esistenza e contatto con la natura, l’ambiente, il paesaggio. Uno spazio preciso ha il viaggio fisico o interiore sostenuto<br />

dall’emozione. E quindi la poesia è come un happening, scena teatrale, discorso, dialogo, incursione verso la morte, che è comprensione della<br />

vita e sguardo verso l’eternità. Il taccuino bellunese, nove testi di un pathos intensissimo, una plaquette a sé, è un canto del ritorno, una<br />

melodia nel teatro dei luoghi e dei ricordi. Oggi si chiama poesia dell’identità con il primato del territorio, canto di luoghi e di desideri. La poesia<br />

per l’autrice è un disegno di luci e di movimento come un quadro di Monet. Poesia di luoghi e di desideri conosciuti, che hanno risorse antiche<br />

nei boschi, nel verde, nel cimitero, nella casa. «Riconosco subito la casa / anche se l’orto è spoglio / una vecchia s’affaccia sospettosa /<br />

chiedendomi se cerco qualcuno / le rispondo cerco la mia infanzia / l’avventura della campagna / la vendemmia il géscol posso / andare a<br />

vedere?» (p. 46). I ventidue testi di Figure rappresentano un insieme, sono tessere che pongono domande, sono sospiri di chi ha attraversato la<br />

vita, di chi cerca un orizzonte senza fine. Sono “cantos”: hanno una pienezza d’espressione e la tentazione di un itinerario misterioso, sono<br />

come la pittura di Libero Ferretti, una tapisserie di segni e di specchi. Poi il mare domina con le sue luci ed i suoi silenzi ed una musicalità<br />

dissonante. La stessa tensione per le città che sono universi interiori, sensazioni e luoghi. «C’è un mare amato, dalla terra / dai nidi di legno dei<br />

porticcioli / quando le barche s’accostano mute / e camminano ombre lungo i moli / sola la luna corre sui crepacci / delle nuvole si spegne e<br />

s’accende / come un faro per altre direzioni / ci sono tutti i mari del passato / nei nostri occhi stasera che non osano / guardare lontano» (p.<br />

73). Vorrei porre anche la poesia della Maiorino in quello slancio e in quel dialogo d’amore e di riflessione profonda della vita, di cui ho detto<br />

all’inizio ma nello stesso tempo sento di definirla una delicata poesia civile, una poesia di cittadinanza che salva i luoghi ed i desideri.<br />

Gastone Mosci, Dove va la poesia? La proposta di Maria Grazia Maiorino, in “Novanta9”, n. 9-10, giugno 2007.<br />

Maria<br />

Grazia<br />

Maiorino<br />

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