La strada del formaggio - Gustolocale
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Corgnói:<br />
prelibatezza da gustare lentamente<br />
pagina 12<br />
Và dove ti porta il màs-cio<br />
pagina 2<br />
Sensi di polpa?<br />
pagina 10<br />
Sfumature culinarie pagina 18<br />
Sommario<br />
Và dove ti porta il màs-cio 2<br />
Professione: Norcino 4<br />
Osi de màs-cio 6<br />
Caffè africani 8<br />
Sensi di polpa? 10<br />
Corgnói: prelibatezza da gustare lentamente 12<br />
Arte in tavola 14<br />
Lumache alle erbette e tartufo 16<br />
Dall’amore per la vite... il Cìo Bacaro 17<br />
Sfumature culinarie 18<br />
I vicentini magna <strong>La</strong> Gata 20<br />
Una nuova sfida: Rifugio Valdagno! 22<br />
<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong>: inserto 23 - 26<br />
L’isola <strong>del</strong> tesoro... Bowmore 27<br />
Il sapore <strong>del</strong> tipico Nordest 28<br />
ABC di Amedo Sandri 30<br />
El filò 32<br />
Lo sai che... 33<br />
<strong>La</strong> cucina “Italiota” dei ristoranti di New York 34<br />
A cena col campione 36<br />
Il cocktail <strong>del</strong> mese 37<br />
Il vino <strong>del</strong> mese 38<br />
Letteratura a tavola 39<br />
Alla scoperta dei crauti 40<br />
Dalla libreria - In.gredienti 42<br />
Dalla libreria - Le doctrinae cosinandi 43<br />
Annunci 44<br />
Appuntamenti <strong>del</strong> mese 45<br />
A tavola con le stelle 46<br />
<strong>La</strong> rubrica <strong>del</strong> Ristor-Attore 48<br />
Da una idea di Roberto Gasparin:<br />
Il mensile www.gustolocale.it di<br />
Vicenza<br />
n° 6 – Gennaio - 2007<br />
Ai soli fini fiscali € 0,10 a copia<br />
Abbonamento singolo Italia € 12,00<br />
Editore:<br />
Paolo Gasparin<br />
Redazione – amministrazione – pubblicità:<br />
Pierregi di Paolo Gasparin<br />
Via Veneto 2b<br />
36015 – Schio (vi)<br />
tel.e fax 0445 500 201<br />
www.gustolocale.it - info@gustolocale.it<br />
Direttore responsabile:<br />
Paolo Terragin<br />
paolo@gustolocale.it<br />
Reg. Tribunale di Vicenza:<br />
n° 1130 <strong>del</strong> 24/03/06<br />
Spedizione:<br />
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D.L. 353/2003 (Convertito in legge 27/02/2004 n°46)<br />
art.1, com.1, Dr VI<br />
Stampa: Industrie Grafiche Vicentine Srl -<br />
Bolzano Vic. (VI)<br />
Redazione e grafica:<br />
Studioimmagine srl - Thiene (VI)<br />
Luca Dal Maso<br />
Alessia Manni<br />
Consuelo Capellari<br />
Michele Zanetello<br />
Ermanno Fabris<br />
Giampiero Pozza<br />
Hanno collaborato:<br />
Roberto Gasparin<br />
Paolo Gasparin<br />
Frà Ghiottone<br />
Edy Bieker<br />
Giuliano Francesconi<br />
Piergiorgio Casara<br />
Cristina Borin<br />
Gianni Genovese<br />
Amedeo Sandri<br />
Vanessa Lovato<br />
Paolo Terragin<br />
Emilio Nizzero<br />
Mauro Pasquali<br />
Vittoria Bicego<br />
Michele Bertuzzo<br />
Filippo Ferreri<br />
Michele Cisco<br />
Zaira Nussio Fietta<br />
Sara Marangon<br />
Aldo Pigatto<br />
Slow Food <strong>del</strong> Vicentino<br />
Santo Altissimo<br />
Tutte le immagini, articoli, contenuti di questo<br />
giornale sono ad uso esclusivo di Pierregi di Paolo<br />
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previa autorizzazione scritta da parte nostra saranno<br />
perseguiti a norma di legge. Le Collaborazioni in testi<br />
o foto sono gratuite. L’editore garantisce la massima<br />
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gratuitamente la retifica o cancellazione scrivendo a:<br />
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2<br />
Và dove ti porta<br />
el màs-cio<br />
Un corpo rotondo, rosa e morbido, due<br />
gambe corte e tozze, grassocce, con uno<br />
zoccoletto fesso, rosa anch’esso e con un<br />
ventre morbido che suscita carezze. Un<br />
codino arricciato, che si snoda a spirale come<br />
un cavatappi, due occhi vivaci, piccoli, cisposi<br />
che ti guardano sotto due sopracciglia<br />
bianche, albine ed inquietanti.<br />
Ha ragione George Orwell quando afferma<br />
che la sciagura più grande capitata al maiale<br />
fu quella di imbattersi nell’uomo, di cui ha<br />
consumato avanzi e rifiuti ed al quale ha<br />
donato in cambio ogni briciola <strong>del</strong> proprio<br />
corpo, fino all’ultima setola.
E l’onnivoro ed ingordo essere umano, al tempo previsto, nel<br />
cuore <strong>del</strong> freddo inverno, durante una festa cru<strong>del</strong>e e<br />
sanguinaria lo sgozza fra strilli di paura e di dolore.<br />
È proprio una… “maialata” quella <strong>del</strong>l’uomo che, dimenticata<br />
la cru<strong>del</strong>e mattanza, ha nell’animo un certo “ruralismo” di<br />
ritorno e ricrea in tavola con la cena <strong>del</strong> màs-cio, tutto il<br />
significato simbolico di una festa che celebrava la lontananza<br />
dalla fame e la ricostituzione di quella “cassaforte” alimentare<br />
sinonimo di certezza di vitto.<br />
Sì, perché la mattanza portava, in generale, un’abbondanza<br />
nell’alimentazione che non era comune in altri periodi<br />
<strong>del</strong>l’anno. E bisogna anche ricordare che, nel mondo<br />
contadino, spesso la preparazione <strong>del</strong> cibo era sentita con un<br />
carattere di rito, come fosse un calendario turistico!<br />
Due sono le cose che portano il màs-cio alla catarsi: l’intelligenza<br />
contadina prima e la cultura norcinara poi. Sicché, fra<br />
tagli e prodotti, ci riappropriamo con amore di un animale che<br />
abbiamo vilipeso in vita, considerato immondo, sinonimo di<br />
peccato e di lussuria, di gola e di perdizione.<br />
Allora tagli diversi portano a prodotti diversi e questa vittima<br />
sacrificale, dei nostri bisogni un tempo e dei nostri piaceri<br />
oggi, si riabilita, si purifica, si mostra in tutta la sua bellezza<br />
e bontà. Ed il mas-ciàro assume, contemporaneamente, le<br />
funzioni di operatore e regista di una cerimonia che vede la<br />
paróna di casa completamente scalzata dalle sue funzioni.<br />
Messa al servizio di questo operatore che ha tale importanza<br />
da essere pagato non solo con denaro ma anche con parte<br />
<strong>del</strong> “morto”.<br />
Onoriamo solo dopo il decesso chi abbiamo in vita accettato<br />
con fastidio: proprio come fosse stato un essere umano…<br />
Frà Ghiottone<br />
3
4<br />
Norcino<br />
Professione:<br />
Abbiamo visitato un piccolo allevamento suino per capire come lavora oggi un norcino.<br />
Tra tradizione, tanto lavoro e concorrenza<br />
Ci vuole passione per fare il mestiere <strong>del</strong> mas-ciaro. E tanta. Gestire un<br />
piccolo allevamento di maiali, curare artigianalmente la preparazione di<br />
sopresse, salami e cotechini è uno di quei lavori che non si fanno per avere<br />
una vita comoda, e probabilmente neanche per realizzare grandi guadagni.<br />
Eppure negli occhi di Antonio Pizzolato, norcino di Marano Vicentino, c’è la<br />
luce di chi fa un mestiere che lo appassiona. “Lo faccio da quando avevo 14<br />
anni” ci racconta. L’azienda agricola è la stessa che gestiva prima il nonno,<br />
poi il padre. Alleva 450 maiali con un’alimentazione equilibrata per ricavarne<br />
esclusivamente insaccati.<br />
“Per fare una buona sopressa, o un buon salame, ci vuole soprattutto buona<br />
carne – spiega – diciamo che influisce per il 60% <strong>del</strong> risultato; c’è poi la<br />
tecnologia, che oggi aiuta con le analisi e la possibilità di controllare<br />
l’evoluzione <strong>del</strong> prodotto, e le condizioni di stagionatura che devono<br />
rispettare i requisiti di umidità e temperatura”.<br />
Per il resto il lavoro <strong>del</strong> norcino non è cambiato poi molto, “si tratta sempre<br />
di macinare e insaccare” dice con umiltà Antonio, ben conscio che la scelta<br />
dei tagli di carne e la giusta speziatura garantiranno la qualità <strong>del</strong> risultato.<br />
“Il gusto – prosegue – dipende dall’alimentazione <strong>del</strong>l’animale negli ultimi<br />
cinque mesi di vita. Io li nutro con crusca, mais e soia: con questi alimenti<br />
si ottiene una carne solida e fibrosa, particolarmente adatta per essere<br />
macinata ed ottenere sopresse, mentre non andrebbe bene per il prosciutto”.<br />
I maiali allevati artigianalmente solitamente ingrassano più lentamente di<br />
quelli industriali, crescendo al ritmo di 4/5 etti al giorno. <strong>La</strong> macellazione<br />
avviene tra i 12 e i 14 mesi, a differenza dei maiali degli allevamenti intensivi<br />
che non vivono più di 8 o 9 mesi. “I miei possono avere un peso molto
variabile, che oscilla tra i 120 e i 180 chili, gli altri invece sono sempre compresi tra 140 e 160<br />
chili”. <strong>La</strong> ragione <strong>del</strong> livellamento <strong>del</strong>le pezzature sta nella standardizzazione <strong>del</strong>la produzione di<br />
prosciutti o speck, che devono avere sempre le stesse dimensioni per agevolare il processo<br />
produttivo.<br />
Standard è però spesso anche il sapore: “gli allevamenti italiani producono risultati di gran lunga<br />
migliori, ma stanno soffrendo la concorrenza straniera. Dalla Germania e dall’Olanda arrivano<br />
carni prodotte in allevamenti intensivi, con prezzi di gran lunga inferiori. Costano la metà di<br />
quelle che escono da allevamenti come il mio, ma diventano ugualmente prosciutti crudi o speck<br />
stagionati in Italia”.<br />
LL’’aarriiaa èè ttuuttttoo<br />
Quella di Antonio Pizzolato è l’originale Sopressa <strong>del</strong>la Val Leogra. Prodotta con suini allevati in<br />
loco e fatta stagionare in cantina non meno di 8 o 9 mesi. Il lavoro <strong>del</strong> nostro norcino si ferma<br />
qui, alla commercializzazione penserà poi la Cles di Malo.<br />
“Il gusto è quello <strong>del</strong>la sua terra di origine” assicura Antonio.<br />
Potrebbe sembrare un – neanche tanto originale – slogan<br />
commerciale, ma è proprio così. Almeno è vero nel caso degli<br />
insaccati, che devono il gusto finale all’aria che “respirano”<br />
durante l’affinamento.<br />
“Prima di tornare nell’azienda di famiglia – spiega – ho lavorato in<br />
12 salumifici, sparsi in tutto il nord Italia. Ho portato la mia<br />
esperienza ad aziende che dovevano avviare una nuova<br />
produzione o intendevano innalzarne la qualità. Mi sono reso<br />
conto che il fattore ambientale è determinante: in luoghi diversi,<br />
pur utilizzando la stessa identica materia prima, si ottenevano<br />
risultati tra loro molto diversi”. Tutto dipende quindi dal<br />
microclima, dall’originalissima combinazione di temperatura,<br />
ventilazione, umidità. In generale sono avvantaggiate le zone<br />
montane e pedomantane, ognuna con caratteristiche peculiari e<br />
inimitabili.<br />
Quindi, possiamo dormire sonni tranquilli: la nostra sopressa<br />
potrà anche venire copiata, ma per quanto bravi siano i cinesi, o<br />
chi per loro, non riusciranno mai ad eguagliarla.<br />
Michele Bertuzzo<br />
Nelle foto il norcino Antonio Pizzolato<br />
Cottura<br />
Freddo<br />
<strong>La</strong>vaggio<br />
Pizzeria<br />
Preparazione<br />
Aspirazione<br />
Bar<br />
<strong>La</strong>vanderia<br />
Accessori
6<br />
<strong>La</strong> vecchia guardia de<br />
i òssi de màs-cio<br />
Un piatto vecchio stile, pesante e dai forti sapori,<br />
decisamente poco dietetico. Eppure ancora apprezzato<br />
Sono lontani i tempi in cui, concluso il ciclo dei lavori all’aperto, con l’arrivo <strong>del</strong> freddo giungeva il tempo di copàre el<br />
màs-cio. Finalmente, dopo tanta polenta si mangiava carne! <strong>La</strong> fame era tanta e le risorse erano poche, per questo<br />
<strong>del</strong> maiale non si buttava via niente.<br />
Innumerevoli i suoi utilizzi: dai rinomati insaccati, di cui troviamo molteplici esempi nel nostro territorio, a piatti<br />
particolari come la sanguèta e i sòssoli, testimonianza di una tradizione alimentare oramai abbandonata. E così dopo<br />
aver consumato il fegato e la sanguèta, finivano subito in pentola anche le ossa, in parte lessandole e in parte<br />
arrostendole in un tegame. Se infatti lo scheletro <strong>del</strong> maiale veniva spolpato il più possibile per ricavarne carne per<br />
salàdi e coessìni, vi rimaneva attaccata comunque un po’ di carne; soprattutto nelle zampe e sulla testa.<br />
Nonostante le necessità alimentari siano decisamente mutate, i òssi de màs-cio sono ancora oggi un piatto ben<br />
lontano dall’estinzione. Se un tempo le ossa erano quasi prive di carne, oggi le cose sono cambiate: non più un piatto<br />
di recupero, ma una leccornia da veri buongustai, ben più sostanziosa. Le ossa più grosse, e quelle con la coéssa<br />
(cotica), vengono lessate. In passato queste si facevano bollire dentro la pentola dove stava cuocendo il minestrón,<br />
per dargli sapore; ora invece si bollono in acqua aggiungendovi alcuni profumi.
“<strong>La</strong> carne saporita attorno agli ossi è sicuramente la parte migliore<br />
<strong>del</strong> maiale” spiega la signora Rosanna <strong>del</strong>l’Agriturismo <strong>La</strong>ita di<br />
Altissimo. <strong>La</strong> preparazione è quanto di più semplice si possa<br />
immaginare: “dopo averli ben lavati si mettono in pentola con<br />
<strong>del</strong>l’acqua fredda. Vanno solo schiumati più volte per eliminare il<br />
sapore amaro e odori spiacevoli. Poi solitamente si aggiungono<br />
cipolla, aglio e sedano” e ci svela un “segreto” tramandato dal<br />
padre: “ma anche <strong>del</strong>le foglie d’alloro e <strong>del</strong> rosmarino”.<br />
I bran<strong>del</strong>li di carne <strong>del</strong>le ossa e quelli attorno ai piedini vanno<br />
mangiati finché sono ancora ben caldi con una spolverata di sale<br />
grosso e “come vuole la tradizione, vanno serviti con le verdure<br />
piccanti”. Lo spiega Valerio Baron, detto el Brigante, titolare <strong>del</strong>la<br />
trattoria Pragolin, secondo cui “crén, téghe de pévare, cucùmari e<br />
crauti non devono mancare”<br />
Le ossa più minute invece, in particolare quelle <strong>del</strong>la spina dorsale<br />
e <strong>del</strong>le vertebre, si tagliano a pezzi e si mettono in un tegame,<br />
facendole arrostire con un po’ di grasso rosolato, condite solo con<br />
sale. Se ne ricava poca carne, ma tanto pòcio gustoso, che si sposa<br />
perfettamente con la polenta, naturale accostamento di questo<br />
piatto.<br />
Queste prelibatezze si gustano d’inverno, principalmente durante<br />
cene organizzate, che vedono come unico protagonista il maiale.<br />
Un piatto appetitoso, forte. E solitamente, in questi appuntamenti<br />
si mangia e si beve senza misura.<br />
“Purtroppo - conclude el brigante - la maggior parte dei giovani non<br />
sono interessati a questi piatti, li considerano disgustosi e<br />
antiquati. Sono per lo più quelli <strong>del</strong>la vecchia guardia ad<br />
apprezzarli, spesso come pretesto per vivaci e gustose rimpatriate<br />
tra amici; la nuova generazione non sa quello che si perde…”<br />
Paolo Gasparin<br />
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Leogra maturata in cantina, prodotta ai piedi <strong>del</strong>le piccole dolomiti (dove vide la luce<br />
Libera nos a malo) detta, la “Soppressa di Antonio”.
8<br />
Caffè Africani<br />
Malawi Mzuzu Special<br />
Cresciuto da piccoli coltivatori nel nord <strong>del</strong> Malawi, il caffè di Mzuzu<br />
rappresenta un vero gioiello tra gli Arabica africani. Ad un’altitudine tra<br />
i 1700 e 2000 metri slm, le varietà Agaro e Geisha, accanto ad alcune<br />
vecchie popolazioni di Mundo Novo e Blue Mountain, vengono coltivate<br />
su terrazzamenti, che ricevono dai 1500 mm ai 2000 mm di precipitazioni<br />
all’anno, prevalentemente tra novembre ed aprile. <strong>La</strong> raccolta<br />
si svolge da maggio ad ottobre, con l’abbacchiatura selettiva di ciliegie<br />
rosse che vengono immediatamente lavorate e fermentate, col sistema<br />
tradizionale, per 48-72 ore. Il pergamino viene quindi lavorato in<br />
acqua viva e seccato al sole su appositi asciugatoi di legno. <strong>La</strong><br />
successiva selezione viene eseguita a mano da personale femminile<br />
locale, ed il caffè, pronto per l’esportazione, viene commercializzato<br />
direttamente dalla Fondazione – Cooperativa agricoltori.<br />
Molto regolare in tostatura, esprime in tazza una crema bronzeodorata.<br />
Nel palato manifesta una singolare viscosità che si espande in<br />
fragranze floreali e fruttate. Rimembranze di miele d’arancia si<br />
fondono con lievissime note di cardamomo, in un’alba nuova per<br />
l’aristocrazia <strong>del</strong> caffè d’Africa. Un generoso primo attore per una<br />
coppa di espresso.<br />
Burundi a Bujumbura<br />
Una giovane promessa da un Paese devastato, negli anni Ottanta, dalla<br />
guerra civile. Il ritorno sul mercato di un caffè, già conosciuto ed<br />
apprezzato diversi decenni orsono, riempie di speranze per quanto di<br />
meglio ci può offrire la caffeicoltura africana.<br />
<strong>La</strong> spiccata consistenza si stempera in una classica acidità dei più nobili<br />
Arabica lavati <strong>del</strong> continente, dallo stupendo sapore di frutta matura,<br />
leggermente speziata. Nella persistenza aromatica si svelano tracce di<br />
frutta candita e pasta di mandorle.<br />
Un magnifico accompagnatore di una nobile miscela.<br />
Pagina a cura di Edy Bieker<br />
uno dei massimi intenditori di caffè crudi.
10<br />
Sensi di polpa?<br />
Tre luoghi comuni da sfatare per vederci chiaro<br />
nel rapporto tra cibo e linea.<br />
Con la lettura di questo succulento numero di <strong>Gustolocale</strong>, oltre all’acquolina in bocca, avvertite qualche senso di colpa? Allora è il momento di<br />
sfatare qualche falso mito.<br />
Per prima cosa: facciamo scendere il maiale dal banco degli imputati. “Attraverso la selezione genetica oggi si sono ottenuti, per la maggior parte,<br />
maiali magri, in cui il grasso intramuscolare è ridotto al minimo”. Parola <strong>del</strong> dottor Giovanni Ronzani, presidente regionale <strong>del</strong>l’Associazione Dietologi<br />
Italiani, responsabile <strong>del</strong>l’unità operativa di Dietetica e nutrizione clinica <strong>del</strong>l’Ulss 5 e docente al corso di Sicurezza e igiene degli alimenti<br />
<strong>del</strong>l’Università di Vicenza. Che aggiunge: “tra la carne di maiale e quella di pollo non c’è grande differenza dal punto di vista <strong>del</strong>la presenza di grassi”.<br />
Certo, bisogna distinguere tra un prosciutto magro o una lonza e gli insaccati, come salame o cotechino, prodotti dalla macinatura <strong>del</strong>le parti grasse.
Hanno componenti lipidiche molto più spiccate e valori<br />
calorici decisamente elevati, ma inutile negarlo, sono<br />
decisamente buoni.<br />
Franchezza per franchezza, bisogna ammettere che di grassi<br />
nella nostra dieta quotidiana ne facciamo comunque un uso<br />
eccessivo: “sono i nostri veri nemici – spiega il dottor<br />
Ronzani – perché con il loro gusto vellutato e la loro<br />
morbidezza sono più facili da mangiare: il risultato è che non<br />
ci accorgiamo di ingerirne in grandi quantità, perché ci<br />
danno un minore senso di sazietà”. I lipidi, inoltre, a<br />
differenza di carboidrati e proteine, non danno energia<br />
immediata e si possono unicamente accumulare in riserve.<br />
E allora sfatiamo un’altra credenza comune: non è vero che<br />
in inverno si debba mangiare di più per ripararsi dal freddo.<br />
Dott. Giovanni Ronzani<br />
“Non possiamo dire che d’inverno si abbia realmente bisogno<br />
di più calorie, né di strati aggiuntivi di grasso. Sarebbe vero nel caso in cui non avessimo il riscaldamento in<br />
casa, ma oggi viviamo costantemente in ambienti temperati”. Quindi il nostro fabbisogno calorico varia di<br />
poco con il mutare <strong>del</strong>le stagioni: tenere il riscaldamento due gradi sotto il necessario viene talvolta utilizzato<br />
come forma di dieta dimagrante, perché favorisce lo scioglimento <strong>del</strong> cosiddetto “grasso bruno”.<br />
Terza e ultima considerazione per far chiarezza sul nostro rapporto con la tavola: “Il problema non è tanto<br />
ciò che mangiamo, quanto l’esercizio fisico che non facciamo”. Secondo Ronzani infatti la causa <strong>del</strong>la<br />
diffusione <strong>del</strong>l’obesità sta nell’aver mantenuto le stesse abitudini alimentari a fronte di una crescente<br />
sedentarietà.<br />
“Uno studio americano ha calcolato quanta fatica risparmiamo con il telecomando e il telefonino. Invece di<br />
alzarci per cambiare canale e correre a sollevare la cornetta facciamo tutto comodamente da seduti: ebbene,<br />
questi mancati movimenti ci fanno risparmiare ogni anno l’equivalente in energia di 800 grammi di grasso”.<br />
Può sembrare poco, ma in trent’anni significano un’obesità bella e buona.<br />
“Viviamo in una società ostile – conclude Ronzani – che fa di tutto per non farci muovere e continua a tentarci<br />
con occasioni sociali in cui consumare cibo in abbondanza”.<br />
DIETE VELOCI: INUTILI E DANNOSE<br />
<strong>La</strong> prima regola per una buona dieta è la sua sostenibilità. Un bravo dietologo parte dalla comprensione dei<br />
comportamenti errati che si celano dietro ad un soprappeso e cerca di modificarli. “È assurdo ordinare una<br />
dieta ferrea che già in partenza sappiamo non potrà essere rispettata – spiega ancora Ronzani – L’unico<br />
risultato è ottenere un fallimento che toglierà fiducia in se stessi e indurrà il paziente a farlo desistere”.<br />
Non si deve quindi privarsi <strong>del</strong> ristorante, una o due volte a settimana, se costituisce un’abitudine piacevole<br />
o una necessità di lavoro. “L’importate però è bilanciare queste uscite con una dieta equilibrata negli altri<br />
pasti”.<br />
Prima di parlare di togliere qualcosa, è bene allora pensare ad aggiungere almeno due ingredienti alle<br />
abitudini quotidiane: “tanta verdura, perché si mangia più lentamente e favorisce l’insorgere <strong>del</strong> senso di<br />
sazietà. E tanto esercizio fisico”.<br />
Ciò che è da evitare assolutamente sono invece le diete miracolose. Quelle proposte da centri estetici di<br />
dubbia serietà che propongono risultati favolosi occultando una triste realtà: i chili buttati giù in fretta si<br />
riacquistano altrettanto in fretta, ma con l’andare <strong>del</strong> tempo diventerà sempre più difficile disfarsene.<br />
Michele Bertuzzo<br />
11
Corgnói:<br />
Prelibatezza da gustare lentamente<br />
12<br />
Un piatto saporito e magro, riservato a palati fini<br />
Al giorno d’oggi la carne costituisce un elemento fondamentale <strong>del</strong>la nostra alimentazione,<br />
che non si limita al “secondo piatto”, ma spesso è protagonista <strong>del</strong>l’intero<br />
pasto.<br />
Come risaputo, i nostri padri invece mangiavano raramente carne e solo i siùri<br />
potevano permettersela ogni giorno. I piatti preparati erano quasi sempre gli stessi<br />
e per sopperire alla fame si cercava ogni espediente: si ricorreva così a cibi che<br />
non serviva comprare, che Madre Terra donava a coloro che li sapevano scovare.<br />
Per secoli ritenuti alimenti da poaréti, “stranamente” oggi sono ambiti dai<br />
buongustai.<br />
Nell’alta valle <strong>del</strong> Chiampo, tra prati verdeggianti e briosi ruscelli, spunta, su uno<br />
sperone di roccia, un grazioso paese: Crespadoro. Qui i corgnói godono di antico e<br />
inalterato prestigio e in loro onore e ogni anno in dicembre viene organizza una<br />
grande festa: la “mostra-mercato dei corgnói”, con manifestazioni ricreative e<br />
culturali, che richiama appassionati anche da fuori regione.<br />
Un appuntamento a cui partecipano migliaia di buongustai che qui si sentono in<br />
famiglia. Un borgo, non un feudo. Un luogo dove gente aperta e cordiale accoglie<br />
il visitatore con sorrisi, gentilezze ed attenzioni, trascinando grandi e piccini nella<br />
Festa di questo posto invidiato per la sua straordinaria bellezza naturale. Ma sopra<br />
ad ogni contrada e ogni valle, il profumo e il gusto dei corgnói prevale su tutto…<br />
<strong>La</strong> presenza e il consumo di una particolare specie di lumache (scientificamente:<br />
la helix pomatia opercolata) sono segnalati in loco già dal ‘600, ma tutto lascia<br />
supporre che fosse diffusa ben prima. Pertanto questo alimento fa certamente<br />
parte <strong>del</strong>la dieta locale con una caratteristica ricetta ereditata da un lontano<br />
passato.<br />
Le lumache vengono raccolte nel territorio, particolarmente adatto al loro habitat,<br />
da luglio in poi, quindi dopo il periodo riproduttivo. Sono però quelle raccolte<br />
d’inverno ad essere considerate le migliori: per recuperale si utilizza un utensile, il<br />
“raspacorgni”, da cui il nome di corgnói de raspa.
Verso un rilancio degli allevamenti<br />
In occasione <strong>del</strong>la mostra-mercato dei corgnói, si è tenuta una conferenza sull’argomento nella nuova<br />
sala <strong>del</strong> comune di Crespadoro.<br />
Il Sindaco di Crespadoro Alessandro Mecenero ha dato il via ai lavori concedendo la parola al dottor<br />
Giovanni Ronzani, specialista nelle scienze <strong>del</strong>l’alimentazione, che con un’attenta e dettagliata<br />
relazione ha sottolineato quanto sana e importante può essere la carne <strong>del</strong>la lumaca. E proprio grazie<br />
ai notevoli valori nutritivi e ai pochi grassi questo è un alimento ideale per una dieta equilibrata: un<br />
intelligente piatto unico.<br />
È toccato poi a Giuseppe Cenzon, esperto in elicicoltura, soffermarsi sulla loro alimentazione:<br />
mangiano esclusivamente alimenti naturali come il ravizzone o il girasole, e non accettano cibi che non<br />
siano di loro gradimento, a costo di lasciarsi defungere. Una garanzia che assicura un prodotto sano e<br />
naturale anche quando è allevato.<br />
Ma gli interventi più interessanti sono stati quelli <strong>del</strong>la Presidente <strong>del</strong>la Provincia Manuela Dal <strong>La</strong>go e<br />
<strong>del</strong> Consigliere Regionale Giuliana Fontanella: hanno lanciato l’idea di valorizzare quest’importante<br />
risorsa <strong>del</strong>l’Alta Valle <strong>del</strong> Chiampo, sviluppando l’allevamento e la gastronomia in loco, possibilmente<br />
con un agriturismo dedito unicamente a questo progetto, assicurando attenzione e, nelle possibilità<br />
<strong>del</strong>le istituzioni, anche sostentamento.<br />
Un’importante occasione che le amministrazioni <strong>del</strong> luogo, e perché no, anche i privati sensibili a<br />
questo richiamo, non devono lasciarsi sfuggire. Il sasso è stato tratto…<br />
<strong>La</strong> conferenza si è conclusa con la premiazione <strong>del</strong> miglior corgnólo in esposizione, che ha visto<br />
vincitore Luigi Tibaldo per la categoria “residenti” e Teresa Cavaliere per quella dei “non residenti”.<br />
Emozionante è stata la partecipazione al concorso di numerosi bambini, che con la loro semplicità<br />
hanno reso per un giorno questo animaletto il Re <strong>del</strong> bosco.<br />
Roberto Gasparin<br />
Gli ospiti intervenuti al convegno (in senso orario): Alessandro<br />
Mecenero, Giovanni Ronzani, Manuela Dal <strong>La</strong>go, Giuseppe Cenzon
14<br />
Ravioli di lumache<br />
Preparare<br />
Foto di Giuliano Francesconi<br />
<strong>La</strong> rubrica Arte in Tavola è a cura<br />
<strong>del</strong> Prof. Piergiorgio Casara “filosofo enogastronomo"<br />
e <strong>del</strong>la prof. Cristina Borin “docente di storia <strong>del</strong>l'arte”<br />
un brodo vegetale leggermente salato con cinque<br />
litri d’acqua, una cipolla, la carota, il sedano e la patata.<br />
<strong>La</strong>vorare la farina con cinque uova, fino ad ottenere un<br />
impasto liscio ed elastico, che dovrà riposare per circa<br />
mezz’ora avvolto in un panno. In una terrina di coccio,<br />
mettere a imbiondire nell’olio una cipolla tritata e lo spicchio<br />
d’aglio, sfumando con il vino; quindi aggiungere le lumache e<br />
portarle a cottura per circa due ore irrorandole di tanto in<br />
tanto con il brodo. A cottura ultimata, frullare le lumache,<br />
aggiungere il prezzemolo, un uovo e pane grattugiato<br />
(quanto basta ad ottenere un impasto sodo per il ripieno).<br />
Regolare sale e pepe. Stendere la pasta, tagliare i ravioli (48<br />
dischi di 5 cm circa di diametro oppure 24 quadrati di 8 cm),<br />
collocare al centro una noce di ripieno, inumidire il bordo<br />
(meglio con chiara d’uovo), sovrapporre un secondo pezzo di<br />
pasta e premere leggermente tutto intorno per chiudere. In<br />
una pa<strong>del</strong>la, far appassire nell’olio un trito sottile di cipolla,<br />
aggiungere un cucchiaino di curry, stemperare la panna,<br />
eventualmente con un cucchiaio di brodo, regolando il sale.<br />
Cuocere i ravioli nel restante brodo, privato <strong>del</strong>le verdure, per<br />
un tempo variabile da 3 a 6 minuti, secondo lo spessore <strong>del</strong>la<br />
pasta. Condire i ravioli (4 tondi o 2 quadrati per porzione) con<br />
la crema al curry e parmigiano e guarnire ogni piatto con un<br />
ciuffetto di prezzemolo fresco, possibilmente riccio. A piacere,<br />
saltare i ravioli per un minuto circa nella pa<strong>del</strong>la di<br />
preparazione <strong>del</strong> curry.<br />
Ricetta di Santo Altissimo<br />
Vino consigliato Garganega “Pico de’ <strong>La</strong>orenti”,<br />
<strong>La</strong> Biancara - Gambellara
<strong>La</strong> composizione <strong>del</strong>le forme<br />
Dopo i più comuni interventi di trasformazione di alimenti, preparati o tagliati secondo una vasta<br />
possibilità di forme diverse, ora dobbiamo collocarli sul piatto per la presentazione in tavola,<br />
costruendo una composizione formale e cromatica elegante e raffinata. Nel costruire tali piatti,<br />
sono stati utilizzati alcuni fondamentali principi desunti dalle teorie e dalle leggi <strong>del</strong>la percezione<br />
visiva e <strong>del</strong>la configurazione, argomenti al centro <strong>del</strong>le riflessioni che proponiamo qui di seguito.<br />
Consideriamo allora, per prima cosa, il supporto in se stesso, così come l’artista sceglie la tela<br />
per il proprio quadro. Nella teoria <strong>del</strong>la percezione, la superficie che costituisce il fondo di<br />
un’immagine è definita campo e appare dotata di una forma e di uno scheletro strutturale<br />
interno: quest’ultimo, costituito essenzialmente dalle linee mediane verticale orizzontale e<br />
diagonali e dal centro, determina qualitativamente le varie zone <strong>del</strong>la superficie, nelle quali<br />
saranno collocati i diversi elementi formali e cromatici che comporranno la configurazione.<br />
Istintivamente, tendiamo a leggere una configurazione secondo due modalità fondamentali, da<br />
sinistra verso destra (il nostro abituale verso di lettura e di scrittura) e dal centro verso l’esterno.<br />
LA MODALITÀ ORTOGONALE<br />
<strong>La</strong> prima modalità tiene conto <strong>del</strong>la suddivisione <strong>del</strong> campo percettivo in quadranti, suddivisione<br />
ottenibile tracciando virtualmente le mediane perpendicolari. Secondo questo schema,<br />
attribuiamo valori qualitativi diversi e significati specifici ad alcune zone di riferimento, come alto<br />
basso sinistra destra. Per esempio, la mediana orizzontale ci suggerisce sempre la linea<br />
<strong>del</strong>l’orizzonte ed una suddivisione <strong>del</strong> campo in alto e basso; a questi due valori associamo l’idea<br />
di “più leggero” e “più pesante”, che corrisponde alla nostra realtà dominata dalla forza di<br />
gravità: ciò che si colloca sotto la linea <strong>del</strong>l’orizzonte viene percepito come più pesante, ciò che<br />
sta sopra appare più leggero. Allo stesso modo, una forma collocata nella parte sinistra <strong>del</strong><br />
campo suggerisce la possibilità di un movimento verso destra, mentre ciò che si trova a destra<br />
appare frenato dal margine <strong>del</strong> campo stesso. Disponendo le varie forme nelle diverse zone,<br />
possiamo di volta in volta suggerire, enfatizzare, contraddire i diversi significati, il tutto in una<br />
gamma abbastanza ampia di soluzioni intermedie. Altresì, collocando nella stessa preparazione<br />
due forme simili in posizioni simmetriche, ad esempio una in alto e una in basso oppure una a<br />
sinistra e una a destra, neutralizziamo i significati specifici, perché accostiamo due elementi<br />
equivalenti ma di valore opposto. Si crea allora una situazione di equilibrio, nella quale nessuna<br />
forma emerge sulle altre, come si può vedere nella presentazione dei “Ravioloni di lumache”,<br />
costruita sull’orizzontale e su una diagonale.<br />
Arte in tavola<br />
Tempo di esecuzione 3 ore<br />
Dosi per 6 persone<br />
Ingredienti<br />
40 lumache pulitissime<br />
1 spicchio d’aglio<br />
1 cucchiaio di prezzemolo<br />
tritato<br />
parmigiano grattugiato<br />
olio extravergine d’oliva<br />
1 bicchiere di vino bianco secco<br />
3 cipolle, 1 carota, 1 costa di<br />
sedano, 1 patata<br />
una confezione di panna da<br />
cucina<br />
pane grattugiato<br />
6 uova<br />
500 gr di farina bianca 00<br />
sale, pepe, curry<br />
Attrezzature particolari uno<br />
stampo per tagliare i ravioli, un<br />
frullatore<br />
15
16<br />
Lumache alle erbette e tartufo<br />
Tempo di esecuzione 8 ore<br />
Dosi per 8 persone<br />
Ingredienti<br />
80/100 lumache già purgate, sgusciate<br />
e pulite<br />
1/2 litro di aceto di vino bianco<br />
1 carota, 1 cipolla, 1 costa di sedano,1<br />
spicchio d’aglio<br />
un mazzetto di erbette (salvia,<br />
rosmarino, maggiorana, basilico,<br />
origano, menta, prezzemolo)<br />
2 chiodi di garofano<br />
2/3 foglie d’alloro<br />
1/2 bicchiere di olio extravergine di<br />
oliva<br />
30 gr di burro<br />
1 pizzico di bicarbonato<br />
1 bicchiere di vino al melograno o il<br />
succo di 1 melograno (facoltativo)<br />
1/2 di bicchiere di vino bianco secco<br />
1 tartufo<br />
20 gr di pinoli tritati<br />
20 gr di noci tritate<br />
<strong>formaggio</strong> grana grattugiato<br />
1 bicchiere di brodo<br />
sale e pepe<br />
LUMACHE ALLE ERBETTE E TARTUFO<br />
<strong>La</strong> presentazione è classica, giocata su un piatto di foggia tradizionale, bianco con una bordatura dentellata,<br />
semplice ma raffinato. <strong>La</strong> preparazione di lumache occupa la zona centrale, disposta con un leggero<br />
andamento a spirale che asseconda la rotondità <strong>del</strong> supporto e, nello stesso tempo, richiama il guscio <strong>del</strong><br />
mollusco. E’ una presentazione che si presta a ricette con ingredienti di piccola pezzatura, come appunto le<br />
lumache, o i funghi o uno spezzatino. <strong>La</strong> spirale tende verso l’esterno, aprendosi in un leggero disordine che<br />
conferisce naturalezza alla struttura visiva e permette di isolare e valorizzare qualcuno degli ingredienti<br />
principali. In sé, il colore <strong>del</strong>la preparazione è poco variato, prevalentemente bruno, pertanto deve essere<br />
rialzato con il tono chiaro dei pinoli e bilanciato con la guarnizione verde <strong>del</strong>la foglia di ortica. Il guscio di<br />
lumaca consente l’immediata identificazione <strong>del</strong> cibo.<br />
In un recipiente capiente, mettere a<br />
bagno per due ore le lumache in<br />
abbondante acqua acidificata con<br />
l’aceto di vino bianco, quindi risciacquarle<br />
accuratamente.<br />
Preparare un trito con cipolla, aglio,<br />
sedano, carota, salvia, rosmarino,<br />
maggiorana, basilico, menta,<br />
origano, prezzemolo e chiodi di<br />
garofano; metterlo in un tegame<br />
con l’olio e il burro e lasciarlo<br />
soffriggere dolcemente. Aggiungere<br />
le lumache e le foglie d’alloro intere,<br />
una macinata di pepe e il pizzico di<br />
bicarbonato. Far insaporire per circa<br />
cinque minuti. Salare e aggiungere il<br />
vino bianco ed, eventualmente, il<br />
vino al melograno o il succo di<br />
melograno. Coprire il tegame e far<br />
cuocere a fuoco basso per almeno<br />
sette ore, ammorbidendo di tanto in<br />
tanto con un po’ di brodo. A cottura<br />
ultimata, preparare a parte una<br />
crema con il <strong>formaggio</strong> grattugiato, i<br />
pinoli e le noci tritate, un po’ di<br />
brodo e il tartufo a scaglie. Versare<br />
la crema sopra le lumache e far<br />
cuocere il tutto per circa 10 minuti,<br />
sempre mescolando.<br />
Ricetta di Zaira Nussio Fietta<br />
Vino consigliato: Colli Berici<br />
Sauvignon Vigneto Fostine –<br />
Piovene Porto Godi
Mondo VINO<br />
Dall’amore per la vite…<br />
il Cìo Bacaro<br />
Del Tocai Rosso è stato detto tutto?<br />
Non di certo, se ci soffermiamo al Cìo Bacaro di Pialli.<br />
Azienda agricola<br />
PIALLI ALESSANDRO<br />
Via Fabiani 22 - Barbarano<br />
0444-886788<br />
L’azienda agricola Pialli è nata dall’esperienza vitivinicola<br />
di due famiglie storicamente produttrici di vino a<br />
Barbarano Vicentino, cuore dei Colli Berici e patria <strong>del</strong><br />
Tocai Rosso. I vecchi vigneti sono stati rimpiazzati con<br />
un clone selezionato di Tocai Rosso, varietà di uva<br />
autoctona scelta dall’azienda come specchio<br />
<strong>del</strong>l’identità Berica. Alessandro e Fiorenzo Pialli<br />
gestiscono questo piccola realtà vitivinicola curando il<br />
vigneto con lavoro certosino come fosse un figlio,<br />
utilizzando metodi biologici, sostenendo ripetuti ed<br />
accurati diradamenti, coccolando ogni grappolo scelto<br />
per raggiungere lo scopo… Una produzione di un solo kg<br />
d’uva per vigna: grappoli perfetti, maturi e sani, raccolti<br />
a vendemmia tardiva con elevate concentrazioni di<br />
sostanze fenoliche e zuccheri, vinificati quindi con una<br />
lunga macerazione sulle bucce e con una fermentazione<br />
solo parzialmente controllata che permette<br />
un’estrazione eccezionale. Ne risulta un vino pieno,<br />
carico, sapido, strutturato e di notevole grado alcolico<br />
completamente diverso dal classico Tocai Rosso; il<br />
lungo affinamento in botti di rovere da 500 litri per un<br />
anno e la permanenza di un minimo di sei mesi in<br />
bottiglia, trasformano la passione e l’amore di ogni<br />
giorno per il vigneto in un vino unico, ricco di emozioni, sicuramente di nicchia.<br />
Profumi originali e carattere forte, colori e sentori <strong>del</strong> bosco donano un’esperienza unica nella<br />
degustazione meditativa, sposo perfetto di grandi piatti di carne rossa, formaggi invecchiati<br />
e spiedi proibiti. Un percorso di sacrifici in campo che auspichiamo dia grande soddisfazione<br />
all’idea <strong>del</strong> “Cìo Bacaro”, valorizzazione di una grande varietà che rappresenta la storia e la<br />
tradizione <strong>del</strong> classico vino di Barbarano.<br />
17
18<br />
Sfumature culinarie<br />
Giannino Marzotto racconta se stesso in un libro di memorie:<br />
ritratto di una vita vissuta con passione.<br />
Anche, e soprattutto, per la buona cucina.<br />
Una di quelle vite che a raccontarle sembrano un romanzo.<br />
Giannino Marzotto, classe 1928, è stato prima pilota d’aereo e di<br />
auto da corsa (ha vinto le Mille Miglia <strong>del</strong> ’50 e <strong>del</strong> ’53), poi<br />
capitano <strong>del</strong>la grande industria e sperimentatore di nuove<br />
imprese. Sempre: buongustaio e amante <strong>del</strong> buon vivere.<br />
Il conte Marzotto ha finalmente ceduto alle pressioni di chi lo<br />
invitava a fissare i ricordi in un’autobiografia. Ne è uscito Così è<br />
o mi parve, 300 pagine scritte con penna graffiante, com’è nello<br />
stile <strong>del</strong>l’uomo. Racconta una vita vissuta “sotto il segno <strong>del</strong>l’intensità”<br />
tra gare, aziende, amori e passioni. Su tutte, una occupa<br />
il capitolo più voluminoso: quella per la buona tavola.<br />
In realtà il conte Marzotto ripropone un ampio stralcio di un libro<br />
già pubblicato in precedenza e scritto a quattro mani con Isabella<br />
Fucale, dal titolo Arte e sfumature culinarie. Non è contenuta<br />
nemmeno una ricetta, ma vi si trova concentrato il Mazottopensiero<br />
sulla cucina.<br />
Parte dai dieci comandamenti culinari, tra i quali: “non uccidere<br />
il commensale, è la vostra ragione di cucina!”. Con sorprendente<br />
ironia invita all’equilibrio e alla ponderazione; e così se non si<br />
deve ammazzare gli ospiti “con erbe ed odori in misura eccessiva<br />
che travolgono il vero sapore <strong>del</strong>le pietanze”, il conte rifugge con<br />
decisione le mode e si fa beffa di chi le deve seguire a tutti i costi.<br />
Ne escono spunti interessantissimi per piatti tradizionali e<br />
insieme innovativi, di cui la coppia Marzotto-Fucale fornisce solo<br />
indicazioni di massima, lasciando al lettore la possibilità di<br />
mettersi ai fornelli per sperimentare a modo proprio.<br />
Non mancano istruzioni dettagliate sulle dotazioni <strong>del</strong>la cucina<br />
ideale e il vademecum per la preparazione di una cena in famiglia<br />
o di un grande ricevimento. Infine il conte si toglie qualche<br />
sassolino <strong>del</strong>la scarpa. “…la massima classe consiste nell’avere<br />
sommelier con biberon d’argento nelle loro belle divise da pompe<br />
funebri. Essi frenano la libera iniziativa <strong>del</strong>l’ospite e rallentano il<br />
consumo…”. Evidentemente preferisce la bottiglia in tavola.
A tavola con il Conte<br />
Giannino Marzotto ama incontrare la gente a tavola, nella sua casa di Trissino.<br />
Che siano amici, uomini d’affari o giornalisti interessati ad un’intervista.<br />
“Si accomodi – mi dice – è quasi pronto. Gradisce un aperitivo?” È un Lessini<br />
Durello dei Colli Vicentini “buono e con un ottimo prezzo” sottolinea.<br />
Zoran, il suo cuoco personale, porta in tavola come antipasto un paté di sgombro<br />
e <strong>del</strong> fegato con radisello. Oggi non ha cucinato, ma quando può il conte si mette<br />
personalmente ai fornelli. “Mi piace sperimentare – spiega – e quando sono da<br />
solo mi lascio andare con prove ardite, talvolta escono cose immangiabili”.<br />
“Qual è il piatto che le riesce meglio?” chiedo. Il padrone di casa vuole l’opinione<br />
degli ospiti presenti: dopo un breve consulto, l’idea prevalente è che sia “l’Agnello<br />
alla provenzale”, preparato con pane grattugiato, timo e origano.<br />
“Per me la qualità <strong>del</strong>la vita è questa – confessa – stare a tavola con gli amici<br />
davanti ad un caminetto acceso, bere un bicchiere di vino e gustare qualche buon<br />
piatto. Amo le parole in libertà, non mi sottraggo mai al confronto: farlo in modo<br />
conviviale lo rende ancor più apprezzabile. Quella che era la passione per la velocità <strong>del</strong>la mia giovinezza, che mi portava a correre in automobile,<br />
oggi è diventata questo: nella convivialità trovo la stessa intensità di vita”.<br />
Arrivano in tavola canederli allo speck, si stappa un Malbech <strong>del</strong>la Santa Margherita. “Adoro i piatti semplici e non cerco le commistioni di sapori<br />
– spiega – purtroppo molti di questi gusti si stanno perdendo per colpa di leggi assurde. Per questo motivo faccio da me le sopresse. Ogni anno<br />
in autunno acquisto un maiale, lo allevo per gli ultimi mesi e poi lo faccio<br />
macellare. Così posso far su le sopresse come una volta. Ma bisogna saper<br />
attendere: dice il proverbio che la sopressa deve passare un anno da viva<br />
e una da morta, quindi maiali di un anno di età e invecchiamento per un<br />
altro anno”.<br />
Per secondo Zoran serve una tagliata di filetto. “Amo la carne, la selvaggina<br />
in particolre, ma anche molto il pesce, perché sono sempre stato un uomo<br />
di mare. I formaggi mi piacciono saporiti, purtroppo se ne trovano ben<br />
pochi in commercio. Mi piace l’Asiago Stravecchio, ma bisogna saperlo<br />
scegliere, oppure compro il puzzone di Moena e lo lascio affinare un altro<br />
anno nella mia cantina, perché altrimenti sa di poco”.<br />
Un gelato al fiordilatte con marasche sotto grappa è il dessert che conclude<br />
la nostra colazione. “Conte Marzotto, riceve quotidianamente ospiti e<br />
spesso personalità importanti. Tutti parlano di lei come di un ottimo cuoco<br />
e un eccellente ospite. Avrà qualche segreto, no?”<br />
“Diciamo di sì, ad esempio non eccedo mai con le dosi: bisogna fare in<br />
modo che il commensale faccia scarpetta. Odio gli eccessi. E poi, così gli<br />
resta un po’ di voglia di tornare”.<br />
Michele Bertuzzo<br />
19
20<br />
I vicentini<br />
magna<br />
la Gata<br />
di Paolo Terragin<br />
Finalmente ora anche il Vicentino ha<br />
il suo dolce, alla pari di Vienna, che<br />
esporta in tutto il Mondo la sua Sacher<br />
Torte, o <strong>del</strong> pandoro di Verona, il panettone<br />
di Milano, il tiramisù travisano, e via dicendo.<br />
Per la verità nel Vicentino esistono già diversi<br />
prodotti di pasticceria locale: dalla torta Ortigara di Asiago,<br />
alla Meringrappa di Bassano, dal Gateau di Schio (e anche i pandoli), alla<br />
Treccia di Thiene. Ma un vero dolce da “esportazione” tipico Vicentino ancora<br />
non esisteva. Ci hanno pensato i pasticceri artigiani <strong>del</strong>la provincia di Vicenza<br />
dopo anni di idee, lavoro, tentativi e prove. Alla fine è uscito un dolce che<br />
ricorda a tratti la classica torta Margherita, a tratti la Sacher, dal tono<br />
comunque tutto vicentino. Infatti fra gli ingredienti principali troviamo<br />
la farina di frumento, burro, uova, mandorle, latte, miele, arance<br />
candite, cioccolato fondente, grappa e farina di mais.<br />
Fatta la torta bisognava trovare il nome: un nome Vicentino ma non<br />
troppo sfruttato. Ecco quindi spuntare il dolce Palladio, il Rustego, il<br />
Berico… ma ci voleva qualcosa di più legato alla tradizione, che
ichiamasse in un sol nome il<br />
Vicentino.<br />
L’idea giusta è venuta al<br />
vulcanico Giuliano<br />
Cremasco che ha pensato<br />
bene di accostare al nome<br />
<strong>del</strong> dolce un detto<br />
conosciuto in tutta Italia:<br />
“Vicentini magna gati”. E<br />
se invece di gati si<br />
mangiasse la Gata?<br />
Detto fatto, e così il<br />
gruppo pasticceri (19<br />
quelli che hanno la<br />
loro disciplinare<br />
depositata in Camera di Commercio)<br />
capitanato da Carlo Pozza, ha deciso che il nuovo dolce<br />
vicentino fosse <strong>La</strong> Gata.<br />
Simpatica la confezione: all’interno uno stencil e una bustina<br />
di zucchero a velo per comporre le orme <strong>del</strong> gatto sulla torta.<br />
Un dolce che può essere consumato fino ad un mese dalla<br />
preparazione, ma ricorda Roberto Agosti: “come tutte le cose<br />
buone è consigliabile consumarlo nella sua intera freschezza,<br />
magari accompagnato con uno zabaione o una crema<br />
pasticcera alla vaniglia<br />
leggermente liquida”.<br />
L’accostamento<br />
ideale è con un buon<br />
recioto passito <strong>del</strong>la<br />
vicina Gambellara.
22<br />
Una nuova sfida: RIFUGIO VALDAGNO!<br />
Inaugurata a Recoaro Mille la nuova gestione <strong>del</strong> locale<br />
All’altezza di 1000 metri sul livello <strong>del</strong> mare, ai piedi <strong>del</strong>le Piccole Dolomiti si<br />
trova una nota località turistica: è Recoaro Mille. In questo periodo invernale<br />
è in grado di esibire un paesaggio mozzafiato: neve, sole e montagne fuse<br />
in un’unica indimenticabile armonia. Per sciatori esperti e meno esperti un<br />
autentico paradiso.<br />
Recoaro Mille offre l’ottimale combinazione tra vegetazione, sport invernali<br />
e buone attività ristorative. Tra queste ultime troviamo il “Rifugio Valdagno”,<br />
ormai storico bar-albergo-ristorante che recentemente ha riaperto i battenti<br />
in grande stile, grazie alla Cooperativa Sociale “Il Gabbiano”.<br />
<strong>La</strong> cooperativa, impegnata da anni nel recupero sociale dei giovani, dopo il<br />
successo con la gestione <strong>del</strong>l’attività ristorativa <strong>del</strong>la “Malga Nuova”, lancia<br />
ora una nuova sfida con l’apertura e la gestione di un nuovo locale. Si<br />
focalizza così su un’offerta alternativa, che promette per il prossimo futuro<br />
grande innovazione.<br />
Gli ospiti che si recheranno al “Rifugio Valdagno”, non troveranno i soliti<br />
cuochi o camerieri, ma una vera e propria brigata professionale, attenta alle<br />
particolari esigenze <strong>del</strong>la clientela, formata da uno staff di persone che<br />
stanno seguendo un programma ergo-terapeutico di reinserimento<br />
sociale.<br />
“Il progetto - spiega l’educatore Daniele Castano - si basa sul riadattamento<br />
<strong>del</strong>la persona problematica ad una nuova idea di socializzazione.<br />
Vede il soggetto in grado di essere impiegato e reinserito con congrua<br />
professionalità e responsabilità nell’ambiente social-culturale evolutivo.<br />
Niente di meglio, a questo scopo, <strong>del</strong> settore ristorativo”.<br />
I clienti saranno coccolati<br />
al loro arrivo dal maitre di<br />
sala, Giancarlo Cubi, che<br />
li saprà accompagnare<br />
alla scoperta dei gusti<br />
che spazieranno dalla<br />
cucina internazionale alle<br />
specialità locali. Una<br />
cucina sempre creativa e<br />
leggera, curata dallo chef<br />
Alessandro Tessaro,<br />
sapientemente<br />
selezionata e diretta con<br />
grande maestria.<br />
Ogni mese l’inserto <strong>del</strong>la<br />
<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
da staccare e conservare<br />
Vanessa Lovato<br />
a cura di Emilio Nizzero<br />
<strong>del</strong>egato provinciale O.N.A.F.<br />
Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggio<br />
NEL PROSSIMO NUMERO:<br />
- Marano Vicentino<br />
- Breganze<br />
- Sandrigo
<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
Torrebelvicino<br />
Caseificio Sociale Centro.<br />
Società Cooperativa Agricola Torrebelvicino.<br />
<strong>La</strong>sciata Schio in direzioni Valli <strong>del</strong> Pasubio, appena la <strong>strada</strong> si inerpica sulla<br />
salita <strong>del</strong> Cristo si arriva a Torrebelvicino.<br />
Un tempo ai lati <strong>del</strong>la <strong>strada</strong> si poteva godere di una splendida campagna<br />
rinomata e invidiata per la sua fertilità; ma negli anni ’60 avvenne l’occupazione<br />
<strong>del</strong> suolo a fine urbanistico che ne determinò la pressoché totale<br />
scomparsa.<br />
Nonostante ciò a Torrebelvicino esiste ancora e forse per poco un piccolo<br />
casello denominato Caseificio Sociale Centro.<br />
Da documenti che certificano l’acquisto <strong>del</strong> terreno dove esso è tutt’ora<br />
ubicato si può risalire alla data <strong>del</strong>la sua costituzione.<br />
“Per conto nome e interesse <strong>del</strong>la costituenda società denominata Caseificio<br />
Sociale di Torrebelvicino da parte di Antonio Fanchin fu Giuseppe e dal sig.<br />
Antonio Grotto fu Luigi, su questo terreno sorgerà la latteria… 2 settembre<br />
1903”. Ben presto il caseificio divenne punto di riferimento per gli allevatori<br />
<strong>del</strong>la zona tanto che il numero dei soci superò ben presto il centinaio.<br />
I soci che attualmente conferiscono il latte al Caseificio sono attualmente 14<br />
e provengono quasi esclusivamente dalle contrade di Torrebelvicino, da Valli<br />
<strong>del</strong> Pasubio e Staro.<br />
È una piccola realtà ma questa è anche il suo punto di forza visto che si può<br />
lavorare il latte ancora in forma artigianale.<br />
Anche la produzione di latte per unità di bovino è molto ridotta 35 q.li per<br />
vacca contro una media di produzione di 85 q.li.<br />
Questo è senz’altro a favore <strong>del</strong>la qualità.<br />
I formaggi prodotti non hanno una denominazione specifica, essi rispecchiano<br />
la tecnologia di produzione <strong>del</strong>l’Asiago.<br />
Eccezion fatta per l’utilizzo di latte intero anche per la produzione <strong>del</strong><br />
<strong>formaggio</strong> destinato alla stagionatura che si protrae fino ad oltre i 12 mesi.<br />
Abitanti: 5.471; superficie: 20,81 kmq;<br />
altitudine: 260 metri s.l.m.;<br />
dista da Vicenza: 30 km.<br />
Frazioni: Enna, Pievebelvicino.<br />
Gli storici, con sufficiente certezza, hanno<br />
individuato nei Reti gli antichi progenitori<br />
<strong>del</strong>l’attuale popolazione di Torrebelvicino. I<br />
Reti abitavano le valli ed i monti presenti in<br />
tutte le Alpi centro-orientali ed avevano il loro<br />
centro religioso a Magrè di Schio, dove furono<br />
rinvenuti molti reperti fra i quali <strong>del</strong>le corna di<br />
cervo con incise interessanti iscrizioni.<br />
Secondo una recente interpretazione, il<br />
suffisso “Belvicino” si potrebbe far risalire alla<br />
lingua retica e significherebbe “il luogo sacro<br />
vicino a conca rigogliosa d’acqua”. Si affida poi<br />
all’origine romanica, quindi in tempi<br />
successivi, l’uso <strong>del</strong> toponimo “Torre” che<br />
deriverebbe da una postazione difensiva<br />
strategica a forma di torrione eretta in<br />
posizione dominante, forse dove ora sorge la<br />
chiesa di S. Lorenzo, per consentire il controllo<br />
<strong>del</strong>la lunga via romana che univa la Postumia<br />
da Vicenza alla Vallarsa, attraverso una valle<br />
vigra cioè incolta e selvaggia la “Vallesvogre”<br />
poi Val Leogra.<br />
21
22<br />
<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
Santorso<br />
<strong>La</strong> leggenda di Santorso<br />
"Orso nacque da una nobile famiglia di Franchi. Mentre era ancora in<br />
fasce un indovino predisse alla madre ch'egli avrebbe ucciso il padre. In<br />
giovane età fu inviato alla corte di Carlo Magno per essere educato<br />
all’arte <strong>del</strong>la cavalleria. Durante questo periodo Orso dimostrò tale<br />
valore da essere eletto al rango di uno dei dodici conti palatini di Carlo<br />
Magno. Unica grande sofferenza per Orso era, quando se ne tornava a<br />
casa, trovare la madre, memore <strong>del</strong>la profezia, in pianto. Per cui più<br />
volte domandatole la ragione di tale pianto Orso venne a conoscenza <strong>del</strong><br />
suo destino di parricida. Egli, per evitare che la profezia si compisse, con<br />
un compagno dal nome Cliento, decise di abbandonare la Francia. Arrivò<br />
in Dalmazia e qui affrontò l’esercito pagano <strong>del</strong> re riuscendo a vincerlo<br />
e ad attirare su di sè l’attenzione <strong>del</strong>la figlia <strong>del</strong> re, colpita da tanto<br />
valore guerriero e da tanta fede. Il re quindi su richiesta <strong>del</strong>la figlia<br />
Abitanti: 5.234; superficie: 13,25 kmq; altitudine: 240 m. s.l.m.;<br />
dista da Vicenza: 28 km. Frazioni: Timonchio.<br />
invitò a corte Orso e Cliento i quali mostrarono la forza <strong>del</strong>la loro<br />
religione e il loro valore di cavalieri al punto tale che il re di Dalmazia<br />
decise di convertirsi al cristianesimo assieme al suo popolo e di<br />
concedere in matrimonio ad Orso la propria figlia. Alla morte <strong>del</strong> re,<br />
Orso divenne pertanto re di Dalmazia.<br />
Il padre di re Orso, nonostante fosse a conoscenza <strong>del</strong>la profezia,<br />
venuto a sapere <strong>del</strong> successo <strong>del</strong> figlio decise di andarlo a trovare in<br />
Dalmazia. Giunto in quella terra venne accolto dalla nuora mentre Re<br />
Orso era a caccia, e fu invitato a riposarsi al fianco di lei e <strong>del</strong> figlio. Un<br />
cameriere di Orso, sotto le cui spoglie, si dice, si nascondesse il demonio<br />
stesso, raccontò a Orso, mentre era ancora a caccia, che un uomo si era<br />
coricato con la moglie. Orso allora si precipitò alla reggia e vedendo la<br />
moglie coricata con un altro uomo s’infuriò e uccise il padre, il figlio e la
moglie.<br />
Resosi poi conto <strong>del</strong> misfatto e immediatamente pentitosi di ciò che<br />
aveva compiuto, decise di andare a Roma per chiedere al Papa Adriano<br />
I di espiare il suo peccato. Il Pontefice impose ad Orso che, in abito da<br />
pellegrino, con la testa rivolta verso il basso e senza domandare mai<br />
a nessuno dove si trovasse, visitasse la chiesa di S.Maria in Monte<br />
Summano. Orso se ne partì per il suo viaggio penitenziale. Visitò<br />
Gerusalemme e Santiago de Compostela, e il 3 maggio, dopo dodici<br />
anni di pellegrinaggio, giunse al monte Summano. Nei pressi <strong>del</strong><br />
monte udì dei pastori che dicevano: "...presto, andiamo con l'armenti<br />
e gregi à casa perché munte Suman fà con la nebula capelo, et presto<br />
come è usanza pioverà."<br />
<strong>La</strong>tteria Santa Maria <strong>del</strong> Summano di Santorso<br />
<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
Capì allora di essere arrivato alla fine <strong>del</strong> suo viaggio penitenziale. Si<br />
incamminò verso il castello <strong>del</strong> borgo allora chiamato di Salzena. Sulla<br />
via incontrò una fantesca di nome Oralda a cui domandò ripetutamente<br />
da bere, e non avendo risposta, spirò. In quell’attimo le<br />
campane si misero a suonare da sole. <strong>La</strong> gente <strong>del</strong> luogo accorse e<br />
trovò il Santo con il bastone fiorito. Così riconosciuta la sua santità gli<br />
venne eretta una chiesa. Carlo Magno venuto a conoscenza <strong>del</strong>la storia<br />
giunse a Santorso per portare via il corpo <strong>del</strong> santo cavaliere. Ma non<br />
riuscì a smuoverlo da quel sito; se ne tornò in Francia solo con il<br />
braccio e il bastone fiorito. <strong>La</strong> festa di sant’Orso si celebra tutt’oggi il<br />
3 Maggio'.<br />
Nell’anno 1911 alcuni agricoltori di Lesina acquistarono un terreno dalla famiglia Zaltron e costruirono uno stabile da<br />
dedicare a caseificio.<br />
“… Società Anonima denominata Caseificio Sociale Lesina con lo scopo di agevolare l’economia <strong>del</strong>le famiglie dei soci<br />
col ritirare giornalmente il latte che ogni uno di essi poteva ricavare dalle manze di sua proprietà per lavorarlo e<br />
produrre burro, <strong>formaggio</strong>, ricotta e altro; nello stesso tempo poteva occuparsi per la somministrazione ai soci di altri<br />
generi alimentari….”<br />
Nel 1978 il <strong>formaggio</strong> prodotto nella latteria rispecchiando la tecnologia di produzione regolamentata dalla D.O.C.<br />
Asiago si avvalse <strong>del</strong>la denominazione Asiago nelle due tipologie.<br />
Ma nell’epoca <strong>del</strong>la omogeneizzazione e <strong>del</strong>la globalizzazione i soci <strong>del</strong>la cooperativa nel luglio<br />
<strong>del</strong> 2003 decisero di dare una svolta alla produzione ritornando alle origini: il <strong>formaggio</strong> non venne più denominato<br />
Asiago ma riceve il marchio depositato “Lesina” il primo nome <strong>del</strong>la latteria.<br />
Gli altri prodotti <strong>del</strong> caseificio rispecchiano la tradizione di tutti i caseifici <strong>del</strong>la zona:<br />
burro, ricotta, tosella, caciotte.<br />
Santorso<br />
23
24<br />
<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
Valdastico<br />
Abitanti: 1.490; superficie: 24,41 kmq;<br />
altitudine: 405 metri s.l.m.; dista da Vicenza: 45 km.<br />
Comuni limitrofi: Rotzo, Roana, Cogollo <strong>del</strong> Cengio, Arsiero, Tonezza <strong>del</strong> Cimone,<br />
<strong>La</strong>stebasse, Pedemonte, Lucerna (TN).<br />
Nella stretta gola che l’Astico ha formato a dividere l’Altopiano dei Sette Comuni dal Cimone, dal Toraro, dalla valle dei Fiorentini, sorge<br />
Valdastico, un comune nato con questo nome nel 1940 a riunire in una unica amministrativa autonoma Casotto, Barcarola, Forni, Pedescala,<br />
Valpegara e San Pietro Valdastico, dove si trova la sede municipale.<br />
<strong>La</strong> storia <strong>del</strong> Comune è recente e non solo per la sua aggregazione amministrativa ma per le stesse caratteristiche <strong>del</strong> suo sviluppo.<br />
<strong>La</strong> Storia d’Italia arrivò quassù con la Grande Guerra. A Casotto passava il confine Austro-Ungarico.<br />
Sul finire <strong>del</strong> 1916 si fronteggiarono su questi monti gli Austro-Ungarici e gli Italiani.<br />
<strong>La</strong> popolazione si ritirò verso la vallata e alla fine <strong>del</strong>la guerra pochi ritornarono al paese natio perché la via <strong>del</strong>l’emigrazione era diventata<br />
triste consuetudine di sopravvivenza.<br />
Azienda Agricola Lucca Marianna - Agriturismo al Cucco<br />
L’azienda ha origini nell’anno 2000 per l’innata passione di Marianna per i formaggi e vista la natura<br />
<strong>del</strong> terreno circostante alla casa è stato d’obbligo intraprendere l’allevamento <strong>del</strong>le capre.<br />
25 animali di razza camosciata alpina.<br />
Il marito Fabio, cuoco diplomato alla scuola alberghiera di Tonezza <strong>del</strong> Cimone, si occupa <strong>del</strong>l’allevamento<br />
<strong>del</strong>le capre e <strong>del</strong>la cucina; Marianna invece dedica il suo tempo alla produzione <strong>del</strong><br />
<strong>formaggio</strong> e <strong>del</strong> ricevimento dei clienti <strong>del</strong>l’agriturismo.<br />
I Formaggi prodotti dall’Azienda.<br />
I classici caprini freschi di forma cilindrica a coagulazione acida, naturali o con aggiunta di erbe<br />
aromatiche.<br />
Ricotta di capra; caciotte fresche e stagionate; erborinato stagionato e un <strong>formaggio</strong> dal gusto<br />
molto particolare a crosta lavata.<br />
Una particolare attenzione merita un <strong>formaggio</strong> di piccole dimensioni (300 grammi circa) le cui<br />
caratteristiche gusto olfattive e la particolare tecnica di produzione ricordano quelle <strong>del</strong><br />
Castelmagno.<br />
L’azienda produce anche salumi; mentre l’Agriturismo offre prodotti <strong>del</strong>l’orto, conigli e altri animali<br />
di bassa corte.<br />
<strong>La</strong> produzione è di circa 25 forme di piccola pezzatura al giorno destinati alla vendita in azienda o<br />
a ristoranti ed enoteche <strong>del</strong>le zona.
L’isola <strong>del</strong> tesoro…Bowmore<br />
<strong>La</strong> forza tempestosa <strong>del</strong>l’Oceano Atlantico infrange ogni giorno le coste <strong>del</strong>l’isola di Islay sulla costa est <strong>del</strong>la Scozia.<br />
Il vento freddo <strong>del</strong> nord qualche volta dirada le nuvole, permettendo ai raggi solari di colorare d’oro la piccola isola<br />
e far splendere come un faro la banchina. In quest’isola dove il tempo si è fermato, c’è un tesoro che si rinnova<br />
da oltre 200 anni conservando tutte le sue peculiarità. È Bowmore, un whisky soave finemente torbato, dai profumi<br />
gentili ed equilibrati, aroma preciso e caratteristico con sfumature piacevoli e coinvolgenti.<br />
Un’esperienza rara quella che Peter Gibson, insieme a Patricia e Renzo <strong>del</strong> Patty Bar di Valli <strong>del</strong> Pasubio, ci hanno<br />
fatto provare con una serata di degustazione guidata di alcuni dei migliori whisky Scozzesi. Si parte, tra storia e<br />
leggenda, dalla presentazione <strong>del</strong>la particolare distilleria che ci introduce alla serata. Successivamente a questa<br />
parte teorica, la degustazione non fa altro che confermare quanto detto, coinvolgendo i tanti ospiti presenti in un<br />
viaggio unico, quasi fantastico, nel mondo <strong>del</strong> pregiato oro.<br />
Un viaggio tra profumi, sapori, colori e sensazioni diverse tra il sorso di uno o <strong>del</strong>l’altro; in ognuno dei cinque<br />
distillati si riconosce un carattere preciso, mai banale, un sapore attento<br />
anche nelle sfumature, che conferma la grande abilità nel millesimare<br />
perfettamente di questi distillatori.<br />
Tanta storia e abilità dentro ogni bottiglia di questi maestri, che<br />
producono il distillato più venduto al mondo. Il perché di tanto successo<br />
si comprende in cinque sorsi…<br />
Poi a <strong>del</strong>iziare lo stomaco, oltre che il palato, ci ha pensato Claudio<br />
Ballardin <strong>del</strong> Ristorante da Beppino, convenuto per l’occasione, con un<br />
prelibato Tortino di Sfoglia con Carciofi e Fonduta al Tartufo, un gustoso<br />
Risotto al Radicchio di Treviso e Salamela, ed un <strong>del</strong>icatissimo Filetto alle<br />
erbe. Piatti abbinati inconsuetamente con <strong>del</strong> verdicchio Fazi e Battaglia,<br />
che a sorpresa ha ben retto l’abbinamento.<br />
Come in ogni concerto che si rispetti non poteva mancare la dolce nota<br />
finale, a questo ci ha pensato Roberto Agosti <strong>del</strong>la Pasticceria Dolci<br />
Pensieri di Schio, proponendo un armonioso semifreddo di Castagne e<br />
Cioccolato. A concludere, <strong>del</strong>iziosi Cioccolatini elaborati con una ganache<br />
al whisky Bowmore.<br />
Ogni qualvolta avremo occasione di riassaporare questi whisky sarà<br />
come ritornare su quell’isola dove il tempo si è fermato, dove il mare ogni<br />
giorno si misura con la sua forza e di rado il sole illumina la banchina:<br />
qui c’è quel tesoro che per sempre si rinnoverà mantenendo inalterato il<br />
tempo. Non poteva essere acqua… quel che ha bevuto: era vita.<br />
Roberto Gasparin<br />
“E’ più puro <strong>del</strong>le acque di tutti i pozzi. Quando è freddo, a toccarlo è più freddo <strong>del</strong> ghiaccio…<br />
Ma nella bocca cosa accade?<br />
Le gengive fremono, la gola brucia, nello stomaco passa come fuoco, e da li fino alla punta <strong>del</strong>le<br />
dita, fino ai piedi, poi in testa… non poteva essere acqua: Era vita!”<br />
27
28<br />
Il sapore <strong>del</strong><br />
tipico Nordest<br />
Non si vende solo design o tecnologia, ma la cultura<br />
di un territorio e di un popolo.<br />
Ecco perché promuovere i prodotti tipici è così importante<br />
Che gli affari migliori si facciano a tavola è una convinzione diffusa ormai<br />
da parecchio tempo. Che la scelta dei piatti giusti possa aiutare a<br />
concluderne anche di migliori, è una questione <strong>del</strong> marketing più raffinato.<br />
Eppure l’abbinamento tra i prodotti agroalimentari vicentini con le<br />
produzioni meccaniche, tecnologiche, orafe e quant’altro è una consuetudine<br />
oramai consolidata per Vicenza Qualità, azienda speciale <strong>del</strong>la<br />
Camera di Commercio che si occupa di promuovere in Italia e nel mondo<br />
il meglio <strong>del</strong>la produzione di casa nostra. E così partendo per Hong Kong<br />
o per <strong>La</strong>s Vegas il personale <strong>del</strong>l’azienda non dimentica mai di mettere in<br />
valigia bottiglie di vino, grappa, <strong>formaggio</strong> Asiago e dolci da far assaporare<br />
al termine di una sfilata di gioielli o dopo la presentazione di sofisticate<br />
macchine elettroniche.<br />
“<strong>La</strong> nostra idea – spiega Germaine Barretto, direttore di Vicenza Qualità –<br />
è quella di presentare il sistema Vicenza nel suo complesso. Attraverso il<br />
cibo si può capire molto di un popolo e una cultura; noi crediamo che per<br />
vendere i prodotti <strong>del</strong>l’oreficeria, <strong>del</strong>l’abbigliamento, <strong>del</strong>la ceramica o <strong>del</strong>la<br />
meccatronica si deve far capire quale territorio li ha generati”.
Tanto più che la qualità <strong>del</strong>la cucina, probabilmente insieme al design, è l’aspetto<br />
più apprezzato <strong>del</strong>l’Italia nel mondo. “Privilegiamo i prodotti che si possono<br />
reperire anche all’estero – prosegue la Barretto – per dare un sostegno alla loro<br />
diffusione, ma usiamo anche ingredienti che si incontrano più raramente fuori dai<br />
confini. Negli Stati Uniti, ad esempio, abbiamo proposto un risotto con gli Asparagi<br />
di Bassano: sono difficilmente esportabili, ma ci permettono di far conoscere un<br />
pezzo importante di cultura gastronomica <strong>del</strong> nostro territorio”.<br />
Se la nostra cucina è un ottimo biglietto da visita oltralpe, ancor più importante<br />
diventa l’accoglienza eno-gastronomica in patria. “Quando riceviamo le <strong>del</strong>egazioni<br />
di giornalisti per le fiere qui a Vicenza – spiega – li portiamo a pranzo nei ristoranti<br />
che utilizzano prodotti tipici vicentini, spesso gli facciamo assaggiare il baccalà.<br />
Comunque è importante che in menu ci siano piatti preparati con ingredienti locali<br />
e che vengano serviti vini, grappe e olio tutti rigorosamente vicentini”.<br />
Se il motivo <strong>del</strong> viaggio era la fiera orafa, o qualche altra ragione legata al<br />
business, c’è da scommettere che nei racconti di questi signori al ritorno in Cina,<br />
Corea o Australia, ci sarà prima di tutto qualcosa di legato al cibo. “Succede così<br />
anche per noi, no? Che cose buone ho assaggiato lì, quanto male si mangia là…”<br />
Altra tappa d’obbligo per le <strong>del</strong>egazioni ospiti di Vicenza Qualità è una capatina in<br />
una <strong>del</strong>le ville venete, l’elemento architettonico più caratterizzante <strong>del</strong> territorio.<br />
“È importante offrire uno spaccato di ciò che siamo – conclude – I ristoratori in<br />
questo senso si sono sempre dimostrati sensibili, inserendo nei loro menu i<br />
prodotti vicentini ogniqualvolta abbiamo organizzato qualche iniziativa particolare”.<br />
Come si dice in questi casi, fare squadra conviene a tutti.<br />
Vicenza nel mondo<br />
Vicenza qualità è stata creata nel 1989 con lo scopo di promuovere i prodotti di<br />
punta <strong>del</strong> “Made in Vicenza”. Attualmente è tra le quattro maggiori aziende speciali<br />
<strong>del</strong>le camere di commercio, insieme a quelle di Milano, Firenze e Modena. Il<br />
presidente è Sergio Rebecca, a dirigerla dal 2002 è stata chiamata Germaine<br />
Barretto, già console economica <strong>del</strong>l’Uruguay in Italia.<br />
Ha attivato, in collaborazione con le camere di commercio di altre province, setti<br />
sedi sparse in Asia, Africa e Centro America. Il comparto agroalimentare<br />
rappresenta il 37% <strong>del</strong>le proprie attività di promozione.<br />
Michele Bertuzzo<br />
Germaine Barretto<br />
Direttore di Vicenza Qualità<br />
29
30<br />
abc<br />
Il rame in cucina: lusso o esigenza?<br />
Una volta tutte le cucine,<br />
anche le più misere, avevano<br />
in dotazione utensili di rame.<br />
Le donne appendevano i<br />
secchi di rame al bigòlo e<br />
andavano alla fontana,<br />
arrostivano carni <strong>del</strong>icate in<br />
testi, sempre di rame, e non<br />
facevano la polenta se non<br />
possedevano il caliéro.<br />
Oggi le pentole in rame<br />
sembrano un lusso. Tant’è che<br />
si usano per abbellire le<br />
pareti, quando non finiscono<br />
per diventare fioriere.<br />
Ma i recipienti in rame sono<br />
davvero un lusso per la<br />
cucina?<br />
di Amedeo Sandri<br />
Il rame è un ottimo conduttore <strong>del</strong> calore: ogni eccesso di calore si propaga rapidamente<br />
verso il resto <strong>del</strong>l’utensile. Una casseruola in rame reagisce dunque in maniera assai rapida<br />
alle variazioni di temperatura, cosa che assicura una cottura uniforme sull’intera superficie<br />
<strong>del</strong> recipiente, fondo e bordi, senza “punti caldi” o punti di surriscaldamento che intrappolerebbero<br />
le molecole, le carbonizzerebbero, finendo col dare un gusto di bruciato a tutto il<br />
piatto. Il caliéro appeso alla catena <strong>del</strong> camino e tenuto fermo col sóco nel momento <strong>del</strong><br />
rimestamento, riceveva fiamma diretta solo sul fondo, ma la polenta all’interno “borbottava<br />
a pieni polmoni” in ogni sua parte e, alla fine, sapeva da brustolìn, ma non da bruciato. Con<br />
il rame infatti, sembra che ci sia un miglior controllo sulla temperatura, con la possibilità di<br />
farla variare a volontà senza troppa inerzia, cosa assolutamente indispensabile per le salse<br />
più <strong>del</strong>icate, per la cottura <strong>del</strong>lo zucchero e per i piatti che vanno fatti sobbollire a lungo. In<br />
quest’ultimo caso, per evitare il contatto tossico con il verderame, si usa rivestire l‘interno<br />
degli utensili di rame con uno strato di stagno puro (rame stagnato), ottenuto oggi per<br />
elettrolisi. Questa “stagnatura” deve essere rinnovata con una certa regolarità. Non si<br />
stagnano pero le “bastar<strong>del</strong>le” per montare i bianchi a neve e nemmeno i “polsonetti”<br />
utilizzati per lo zabaione, per il semplice<br />
motivo che la fusta gratterebbe e righerebbe il<br />
fondo di stagno che, come il piombo, è un<br />
materiale assai tenero. E si deve evitare di<br />
scaldare troppo una casseruola di rame<br />
stagnato, per non correre il rischio di far<br />
fondere lo stagno.<br />
È altresì giusto, per essere corretti fino in<br />
fondo, mantenere qualche esitazione nel fare<br />
l’elogio fisico <strong>del</strong> rame. Infatti, da un punto di
vista strettamente chimico, può esservi il sospetto che lo stato <strong>del</strong>la superficie <strong>del</strong> materiale <strong>del</strong>le casseruole<br />
intervenga più <strong>del</strong>la natura <strong>del</strong> metallo in sé: è indubbio che un rame poroso sarebbe indubbiamente un disastro.<br />
Rimane comunque il fatto che il rame è bello, soprattutto quando è lucido. Caro, anche: lo si può sostituire benissimo<br />
con un altro metallo conduttore, come l’alluminio, ma in questo caso bisogna assolutamente ricordare di acquistare<br />
recipienti di un certo spessore, piuttosto pesanti, al fine di evitare i “colpi di fuoco”.<br />
Non si può parlare di rame e di alluminio senza fare un cenno sui mestoli più adatti per questi metalli, ottimi conduttori<br />
di calore. Questi mestoli sono i cucchiai di legno, presenti in tutte le cucine, nonché oggetto di bollenti diatribe fra<br />
igienisti e tradizionalisti. Benedetti da coloro che fanno <strong>del</strong> “naturale” una ragione di vita, si impongono comunque in<br />
cucina rispetto a simili utensili metallici, perché non conducono calore (anche se, spesso, portano i “luttuosi” segni<br />
<strong>del</strong>la fiamma troppo alta, figlia <strong>del</strong>l’incuria, ma anche <strong>del</strong>la frenesia <strong>del</strong> servizio). <strong>La</strong>sciati all’interno <strong>del</strong>le preparazioni<br />
che stanno cuocendo, si possono prendere in mano in qualsiasi momento, senza correre i rischio di bruciature. Certo,<br />
se usati per preparazioni diverse, devono essere di volta in volta lavati e sciacquati con cura, magari dividendo<br />
fisicamente quelli utilizzati per preparazioni salate e dolci e, all’interno di quelle salate, i cucchiai usati generalmente<br />
per il pesce. Quale benedizione questi modesti utensili il cui materiale, il naturale e mite legno, non riga lo stagno che<br />
riveste l’interno <strong>del</strong>le casseruole di rame,<br />
ma, con le sue “rotondità” arriva anche al<br />
bordo <strong>del</strong> fondo dei recipienti d’alluminio,<br />
senza in alcun modo “ferirli”. E poi, non<br />
esiste da che mondo è mondo, una<br />
polenta cotta rigorosamente nel caliéro<br />
di rame, che, una volta “sfarinata”, non<br />
venga rimescolata ritmicamente per 40<br />
minuti con la mescola, naturalmente di<br />
legno, magari di “cornolaro”. Una volta<br />
girata d’un solo colpo sul panàro, sempre<br />
di legno, questo “sole” scalda la casa e la<br />
famiglia anche grazie a questo naturale<br />
materiale che, in cucina, sembra essere<br />
in molti casi la continuazione <strong>del</strong>le mani<br />
che lo impugnano, trasferendo alle<br />
stesse, quasi per magia, quelle<br />
sensazioni tattili che distinguono un<br />
cuoco da un gourmet.<br />
Amedeo Sandri<br />
Il rame in cucina: lusso o esigenza?
32<br />
Deliziose pietanze e un buon bicchiere di vino non sono tutto a tavola:<br />
certo sono importanti, ma quale tristezza mangiare da soli… Già, il<br />
piacere di stare assieme è un’occasione per relazionare e socializzare,<br />
traendo piacere dal cibo e dalla compagnia, che riporta ai tempi in cui<br />
le famiglie facevano Filò. Nei mesi invernali nelle fredde e spoglie case<br />
di campagna il dispendioso focolare si utilizzava esclusivamente per<br />
cuocere il poco cibo, per questo le famiglie trascorrevano la maggior<br />
parte <strong>del</strong> tempo nella stalla, l’unico ambiente <strong>del</strong>la casa dove non si<br />
pativa il freddo. Terminata la cena, spento il fuoco che ardeva libero sul<br />
fogolàre, mentre il vento penetrava ululando dal camino, la numerosa<br />
famiglia patriarcale si rifugiavano nella stalla. Questa, dopo essere stata<br />
aperta e ventilata per tutta l’estate, con l’arrivo dei primi freddi veniva<br />
chiusa e si provvedeva a sigillare gli spifferi. Il calore <strong>del</strong>le vacche<br />
donava un impagabile tepore, rendendola un’oasi sicura nella notte<br />
fredda e tenebrosa. <strong>La</strong> stalla diventava un locale pubblico, dove tutti si<br />
sentivano come a casa loro; disposti in cerchio sotto il lume appeso con<br />
una stanga ai travi gli uomini sbrigavano i lavori stagionali, mentre le<br />
donne rammendavano i capi sgualciti o filavano ai ferri (da qui il nome<br />
Filò). I bambini facevano i compiti svogliati, bramosi di giocare, e di<br />
ascoltare favole e leggende narrate dagli anziani. Tra lavori e giochi,<br />
favole e momenti di riposo, erano le parole a caratterizzare il Filò, si<br />
parlava di tutto: dei fatti recenti e remoti, vicini o lontani.<br />
Man mano che le ore passavano, tra un pipata e qualche raro bicchiere<br />
di graspìa, la vivacità si andava smorzando. Il Filò stringeva assieme i<br />
membri <strong>del</strong>la famiglia e i vicini, creando solidarietà tra le famiglie,<br />
diventando patrimonio di tutti.<br />
Una tradizione che negli anni ha visto le famiglie abbandonare la stalla<br />
per ritrovarsi attorno al fogolàre <strong>del</strong>la cucina, simbolo di solidità e di<br />
Il piacere di stare insieme<br />
calore, ancora oggi collegato a momenti lontani dallo stress e dagli<br />
obblighi quotidiani. Quello stesso piacere di stare assieme che si può<br />
ritrovare a tavola.<br />
Un buon pranzo, una buona cena, sono senz’altro il modo per passare<br />
alcune ore in completo relax e in totale distensione. <strong>La</strong> gioia <strong>del</strong>lo stare<br />
assieme per gustare, con i sapori <strong>del</strong> cibo, anche una dimensione<br />
d’autenticità che i ritmi <strong>del</strong>la vita moderna hanno posto in secondo<br />
piano. <strong>La</strong> tavola è un momento di socializzazione importante, a cui,<br />
malgrado i frenetici ritmi <strong>del</strong>la vita moderna non dovremmo mai<br />
rinunciarvi. L'ingrediente più importante è senza dubbio la voglia di<br />
stare assieme, di relazionare, davanti al cibo e al vino, parte <strong>del</strong>la nostra<br />
vita, <strong>del</strong>la quotidianità e <strong>del</strong>la nostra cultura.<br />
Valori importanti ed insostituibili, tramandati da generazioni, da non<br />
dimenticare.<br />
Paolo Gasparin
Lo sai che...<br />
Paillard era un albergatore?<br />
Quando al ristorante vogliamo fare dieta, stare leggeri, non sentirci in<br />
colpa per piatti che sono complessi, grassi, (ma anche i più gustosi)<br />
chiediamo una paillard.<br />
Da dove viene questo nome?<br />
Andiamo indietro alla fine <strong>del</strong>l’800, a Parigi, dove il bel mondo si dava<br />
appuntamento. Un locale eccelleva su tutti: il Paillard Bellevue Palace.<br />
Lì trovavi tutti i personaggi in voga <strong>del</strong> momento, da Toulouse <strong>La</strong>utrec<br />
ai Granduca russi, sempre, ovviamente, accompagnati da splendide<br />
donne e lì si mangiava egregiamente. Il proprietario <strong>del</strong> locale era<br />
Monsieur Paillard che inventò questa semplicissima pietanza, una fetta<br />
di vitello o una sottile entrêcote di manzo (mai oltre i 130-140<br />
grammi) leggermente battuta, cotta alla griglia o alla piastra senza<br />
alcun condimento, salata, pepata e servita con succo di limone.<br />
Ben più complessa un’altra sua preparazione, le “Pommes Georgettes”,<br />
cioè patate cotte al forno, svuotate e riempite con un farcia di<br />
granchio!<br />
Ma è passato alla storia per questa sua fettina adatta a chi aveva, ed<br />
ha, problemi di digestione e di dieta, e non per le ghiotte patate.<br />
Come nella vita anche in tavola non sempre il buono prevale!<br />
Frà Ghiottone
34<br />
<strong>La</strong> cucina “italiota”<br />
dei Ristoranti di New York<br />
Ho un figlio che vive e lavora a New York e, circa due volte ogni anno, vado a trovarlo ed inevitabilmente trovo e provo<br />
una serie di ristoranti italiani già dai nomi chiaramente distinguibili: Nino, Da Filippo, Nero, Zucchero e Pomodori,<br />
Mammamia (sic), Parma, Venezia, Arquà, ecc. Oltre a quelli ben più noti e conosciuti da tutti come Le Cirque, Babbo,<br />
Cipriani, Pepolino, Coco Pazzo o il Toscanaccio o il Felidia <strong>del</strong>la Lidia Bastianich, nota anche da noi. Che tipo di cucina<br />
praticano i primi, quelli “sconosciuti”? Che prodotti riescono a trovare, quale cultura di cucina li anima e che risultati<br />
ottengono?<br />
E’ necessaria una doverosa premessa: il mio giudizio sui ristoranti non<br />
internazionalmente conosciuti, è privo d’ogni tipo di “malevolenza” tipica<br />
<strong>del</strong> gastronomo che monta inevitabilmente in cattedra come depositario<br />
di un “sapere” che compiace solo lui! Guardo ciò che mi circonda ed il<br />
perché e ne traggo conclusioni. E qui bisogna evidentemente pensare<br />
che la cucina italiana è originata da emigranti, che hanno portato la<br />
cultura <strong>del</strong> loro paese, l’inevitabile semplicità dei piatti contadini, l’uso di<br />
materie che erano nella disponibilità dei loro luoghi d’origine. Si<br />
legittimano pertanto i piatti come la pasta con le meat balls (polpette), i<br />
broccoli utilizzati in modo massiccio, l’uso di prodotti in un insieme che,<br />
il più <strong>del</strong>le volte, è eccessivo. Ad esempio: fettucine all’Amatriciana (al<br />
Ristorante Marisa) condite con un sugo di gamberetti, tartufo nero e<br />
speck in una salsa di pomodoro e cipolla! Oppure i ravioli di pecorino<br />
toscano, succo (sic) di pomodoro, fave e piselli, <strong>del</strong> ristorante Lumi. Da<br />
qui una cucina che si è non solo allontanata dai canoni di certi piatti <strong>del</strong>la<br />
tradizione, ma ha trovato un “modernismo” che poco si addice al gusto<br />
nostro. Si deve anche considerare che l’inevitabile multietnicità <strong>del</strong>la<br />
clientela rende tutto più facile nel gusto: non vi sono termini di paragone.
Non vi è, in questi locali, un obbligo di menù considerato come il nostro (antipasto,<br />
primo, secondo e dolce) ma in larghissima parte si mangia un’entrée ed un altro piatto.<br />
Il che modifica anche le quantità: sono, per il nostro gusto, piatti enormi, molto conditi,<br />
dai sapori sempre ben definiti.<br />
In questo senso si ha una cucina “italiota” (i latini direbbero absit iniuria verbis) o, se<br />
preferite, una cucina “italo-americana”, le cui radici sono legate alla nostra terra ma non<br />
hanno subito l’evoluzione <strong>del</strong> gusto che noi consideriamo ormai obbligatoria.<br />
Vi sono, a fianco di questi, locali ove tutto è più vicino al nostro gusto, alla nostra maniera<br />
di far cucina: penso ad un locale di un veneto d’Arquà Petrarca (così si chiama il suo<br />
locale: “Arquà”) ove è viva una cucina d’ottima preparazione, d’intelligente costruzione e<br />
di buon gusto: ottimi i taglierini ai frutti di mare o i ravioli di melanzana, tanto quanto il<br />
fegato alla veneziana, da manuale nella dolcezza e morbidità. Ma sono, evidentemente,<br />
i frutti di una generazione che è arrivata a New York già preparata professionalmente e<br />
non da emigrante.<br />
<strong>La</strong> cucina francese infatti, giunta qui per fare business con cuochi già preparati, è canonicamente<br />
legata ai piatti <strong>del</strong>la madre terra senza variazioni di rilievo: ho provato una<br />
zuppa di cipolle gratinata al Cafè Luxembourg che nulla aveva ad invidiare a quelle di<br />
Parigi ed il “croque Monsieur” de Le Bistrot era pari a quello che si mangia a Montmartre.<br />
Il che non vuol dire che non vi sia una cucina italiana sofisticata e colta, una cucina<br />
regionale che negli ultimi anni si è imposta sul mercato per le grandi capacità, tanto che<br />
sta per iniziare il lavoro <strong>del</strong>l’Italian Culinary Experience, una scuola professionale di<br />
cucina italiana. Scuola da costi tipici <strong>del</strong>le Università Americane (circa 37 mila euro per<br />
29 settimane di studio) si svolgerà sia a New York sia in Italia (a Colorno da Gualtiero<br />
Marchesi) e poi in giro per ristoranti italiani.<br />
Ed inoltre la cucina italiana sta vivendo un periodo bellissimo legato alla presenza di<br />
personaggi di rilievo, da Mario Batali (italiano, ma nato e cresciuto a Seattle), al<br />
fascinoso Rocco Di Spirito che è divenuto famoso con un programma televisivo “The<br />
Restaurant”, alla Giada De <strong>La</strong>urentis che, pur avendo studiato al Cordon Bleu di Parigi,<br />
propone ricette tradizionali regionali italiane con molto buon gusto.<br />
<strong>La</strong> cucina italiana è dunque in grand’evoluzione, anche se le polpette con la pasta (le<br />
meat balls) ancora imperversano nei locali di cucina italo-americana. Ed anche se si va<br />
verso il meglio è forse preferibile provare una bistecca dal mitico Peter Luger a Brooklin<br />
(si paga solo per contanti), o da Gallagher a Manhattan o da Smith e Wollensky, pietre<br />
miliari <strong>del</strong>la famose “sirloin” o “T bone”.<br />
Alfredo Pelle<br />
<strong>La</strong> cucina “italiota”<br />
dei Ristoranti di New York<br />
35
36<br />
“A cena col campione.....”<br />
Incontro a tavola con gli sportivi vicentini<br />
VALDONÉ PETRAUSKAITE: NIENTE SCARPETTA PER LA CAMPIONESSA LITUANA<br />
Continua la nostra rubrica ‘A cena con il Campione’; questa volta ospitiamo, grazie alla collaborazione di Sara Marangon,<br />
un’atleta lituana <strong>del</strong>la Minetti Infoplus di Vicenza, squadra che milita in A1 di pallavolo femminile: Valdoné Petrauskaite.<br />
Si definisce una buona forchetta, ma dal fisico non si direbbe. Classe 1984, alta<br />
circa 180 cm, la schiacciatrice ricevitrice <strong>del</strong>la Minetti Infoplus Vicenza sembra<br />
proprio una mo<strong>del</strong>la.<br />
Valdoné Petrauskaite, arrivata in Italia solamente quest’estate, è una <strong>del</strong>le<br />
giocatrici più in forma <strong>del</strong>la prima squadra biancorossa. Sarà la pallavolo,<br />
dunque, a scolpire la silouette statuaria <strong>del</strong>la lituana che, dopo aver figurato tra<br />
le fila <strong>del</strong>l’Heksa, una compagine inserita nel massimo campionato <strong>del</strong> suo<br />
paese, e dopo aver giocato per cinque anni in Francia (di cui due al Riom e tre<br />
all’Istres), si sta cimentando per la prima volta nel campionato italiano di serie<br />
A1. E lo fa con estrema disinvoltura.<br />
“Ogni atleta <strong>del</strong> Vicenza Volley ha una dieta personalizzata; io posso mangiare<br />
di tutto, per fortuna. Devo solamente stare attenta a non esagerare con il pane<br />
cercando di non abbinarlo alla pasta”.<br />
- Una cosa difficile da fare a tavola; niente spazio alla “scarpetta”, dunque.<br />
“Per quanto mi riguarda, invece, non è un grosso problema; io adoro la carne e,<br />
soprattutto, vado matta per il pollo arrosto”.<br />
- E il “Baccalà alla vicentina” l’hai assaggiato?<br />
“Sì ma è strano, direi che non mi piace molto, e poi sono abituata ai piatti lituani<br />
che hanno decisamente tutt’altri sapori”.<br />
- Raccontaci un po’ questa cucina <strong>del</strong>l’est europeo.<br />
“Innanzitutto per preparare un buon piatto locale ci vuole molto tempo,<br />
azzarderei che le pietanze italiane sono molto più veloci da servire. Comunque<br />
la mia ricetta lituana preferita è quella <strong>del</strong> “Kugelis”, un amalgama di patate<br />
schiacciate, ragù e cipolla da cuocere in forno”<br />
- E che altro piatto lituano ci consigli?<br />
“<strong>La</strong> zuppa: da noi è molto meno acquosa. Non si trita nulla, le verdure vanno<br />
tagliate a pezzi e ci si aggiunge anche la carne per dare più sapore. Ma devo<br />
confidare un segreto: io non so proprio cucinare portate lituane, così a casa<br />
servo solo specialità italiane”.<br />
Sara Marangon<br />
Valdoné Petrauskaite
Il Cocktail<br />
<strong>del</strong> mese<br />
Associazione Italiana Barman e Sostenitori Sez. di Ve.<br />
Cocktail di tendenza bevuto tra le altre da Madonna<br />
Reso famoso dalla serie televiciva<br />
“Sex and the City”<br />
Cosmopolitan<br />
Composto da:<br />
4 cl Vodka Crey Goose<br />
1,5 cl Cointreau<br />
1,5 cl Succo Lime<br />
3 cl Cramberry Succo<br />
Preparazione:<br />
Shakerare e servire in doppia coppa<br />
cocktail, decorare con fetta di lime<br />
A cura di:<br />
Aldo Pigatto<br />
Capo Barman A.I.B.E.S.<br />
A. Bar “Bounty”<br />
Thiene
38<br />
Il Vino<br />
<strong>del</strong> mese<br />
a cura di Gianni Genovese - ENOGAMMA - Via S.Simeone, 32 - 36016 THIENE<br />
Pinot Nero “Campo alle More” i.g.t. 2000<br />
Un grande Pinot Nero dal bouquet raffinato e dal sapore<br />
vellutato di notevole complessità.<br />
Uno splendido vigneto di proprietà,<br />
una ricerca e sperimentazione<br />
continua, sono i segreti che hanno<br />
portato al successo la famiglia Gini che<br />
dedica da anni le proprie energie al<br />
vino.<br />
II vigneto "Sorai Campo alle More" è<br />
così chiamato perchè circondato da<br />
rovi di more selvatiche che maturano<br />
nel mese di settembre.<br />
Si trova ad un'altitudine di 440-500 m.<br />
s.l.m., con un’inclinazione <strong>del</strong> 15-<br />
30%, il Pinot Nero trova in questo<br />
luogo il suo habitat migliore poichè il<br />
poco terreno superficiale con il 50% di<br />
argilla (che dona forza e complessità<br />
al vino) ed il sottosuolo di roccia<br />
bianca calcarea, si<br />
sposa con un microclima particolarmente<br />
favorevole.<br />
SCHEDA TECNICA<br />
-Vitigno-<br />
Pinot Nero 100%<br />
-Colorerubino<br />
brillante<br />
-Profumostraordinaria<br />
complessità, dinamico susseguirsi di<br />
sensazioni speziate, di frutti rossi di bosco<br />
e di marasca<br />
-Saporeparticolarmente<br />
ricco e fresco per un Pinot Nero.<br />
Avvolgente e setoso,<br />
si esprime con grande eleganza<br />
-Alcool-<br />
14 %<br />
-Abbinamento Gastronomico-<br />
Carni rosse e selvaggina di piuma.<br />
Formaggi stagionati.<br />
<strong>La</strong> temperatura di servizio è di 18° C.<br />
Come viene prodotto<br />
<strong>La</strong> vinificazione <strong>del</strong>le uve è la fase in cui viene posta la massima attenzione e cura, poichè decisiva nella espressione qualitativa <strong>del</strong> futuro<br />
vino. Questa viene svolta in maniera tale da esaltare le caratteristiche <strong>del</strong> vitigno in modo naturale senza impiego di additivi chimici come<br />
ad esempio l'anidride solforosa.<br />
Già dal 1985, infatti, l'azienda Gini è stata la prima a unificare tutta la produzione senza utilizzare questi additivi, ottenendo così, come<br />
risultato, vini più fini ed eleganti.<br />
Come si ottiene<br />
Al termine <strong>del</strong>la fermentazione si svina ed il nuovo vino è posto subito in pieces da 228 lt. di rovere francese <strong>del</strong> Massiccio Centrale, dove<br />
sosta sui lieviti e senza alcun travaso per 2 anni. Trascorso questo periodo viene travasato per 3 volte consecutive prima <strong>del</strong>la messa in<br />
bottiglia, allo scopo di raggiungere una limpidezza naturale, evitando così ogni tipo di filtrazione. L'affinamento in bottiglia procederà poi<br />
per almeno 8 mesi.
etteratura a tavola<br />
L Quando<br />
il cibo perde il suo semplice valore di alimento diventando un rito,<br />
momento di collettività e di piacere condiviso<br />
Una scelta originale quella <strong>del</strong>la compagnia “<strong>La</strong> Zonta”, nata nel contesto <strong>del</strong>la<br />
rassegna “Letture e Suoni”, che ogni anno propone una serie di appuntamenti in<br />
cui attraverso l’interazione di musica, danza e recitazione, dona al pubblico un<br />
nuovo impatto emozionale.<br />
Uno spettacolo teatrale basato sulla lettura espressiva di brani letterari tratti da<br />
romanzi e poesie, che attraverso i testi di rinomati autori, esplora il rapporto tra<br />
letteratura e cibo. Numerosi gli autori presentati, sia contemporanei che <strong>del</strong><br />
passato, quali Banana Yoshimoto, Alessandro Baricco, Karen Blixen, François<br />
Rabelais, Luciana Littizzetto ed altri ancora.<br />
Ogni lettura viene introdotta da brevi e gustose presentazioni <strong>del</strong> testo o di<br />
aneddoti riguardanti la vita degli autori e la genesi <strong>del</strong>le loro opere. “Forti <strong>del</strong>la<br />
nostra esperienza - ci spiega il regista Giampiero Pozza - abbiamo evitato di<br />
costruire un appuntamento che fosse semplicemente una sequenza di letture, che avrebbero dato all’allestimento un<br />
eccessivo stampo intellettualistico. Lo spettacolo può contare sul prezioso apporto <strong>del</strong> quartetto di clarinetti “Amadeus<br />
Ensemble” che eseguendo dal vivo straordinari brani di autori quali Mozart, Weil, Stravinskij e Joplin, accompagnano, ora<br />
in sottofondo, ora con potente allegria l’azione degli attori. Ma l’aspetto più originale di questo spettacolo è dato proprio<br />
dagli attori. Questi infatti, e qui sta la vera particolarità <strong>del</strong>lo spettacolo – prosegue Pozza – non sono impegnati solamente<br />
nell’interpretazione dei testi, ma tra una lettura e l’altra li vediamo trasformarsi in cuochi e camerieri, impegnati nella<br />
preparazione di alcuni semplici piatti.”<br />
Questi al termine <strong>del</strong>lo spettacolo vengono offerti ai presenti, ed è qui che “Letteratura a Tavola” trova il suo coronamento.<br />
Così facendo il cibo perde il suo semplice valore di alimento, diventando un rito, momento di collettività e di piacere<br />
condiviso. Un evento che attraverso le discipline artistiche e il contatto diretto tra attori, musicisti e pubblico, riesce a<br />
portare alla luce la valenza culturale <strong>del</strong> cibo. Uno stuzzicante appuntamento per tutti coloro che sono alla ricerca di<br />
un’esperienza di spettacolo diversa e lontana dai consueti mo<strong>del</strong>li televisivi. Un appuntamento all’insegna <strong>del</strong> divertimento<br />
letterario, <strong>del</strong>la buona musica e <strong>del</strong>la buona tavola.<br />
Ma cos’è il Circolo “<strong>La</strong> Zonta”?<br />
Il CIRCOLO “LA ZONTA” nasce a Thiene nel 1989 e da allora opera ininterottamente esibendosi nei teatri nel triveneto<br />
offrendo al pubblico e agli organizzatori un’ampia scelta di tipologie di spettacolo, dal teatro popolare veneto a quello<br />
contemporaneo, dallo spettacolo per l’infanzia ai readings con musica dal vivo. “LA ZONTA” organizza inoltre stage di<br />
recitazione e di lettura espressiva oltre che affiancare gli insegnanti nelle attività teatrali che si svolgono nel corso<br />
<strong>del</strong>l’anno scolastico. Altre informazioni sono disponibili nel sito www.lazonta.it.<br />
Vittoria Bicego<br />
39
40<br />
Val Leogra<br />
Alla scoperta dei crauti<br />
Visita <strong>del</strong>la condotta Val Leogra<br />
alla storica azienda Zuccato<br />
Era un giovanotto di belle speranze Federico Zuccato, quando si trasferì da Thiene a Caltrano, sul<br />
finire <strong>del</strong> 1867. A Caltrano, aveva acquistato il più antico edificio <strong>del</strong> paese e vi aveva aperto un<br />
piccolo negozio di generi alimentari, fondando così l’attività alimentare nel 1868.<br />
L’attività di Federico, diventò la ditta Fratelli Zuccato nel 1884 quando si aggiunse il fratello<br />
Rinaldo; l’azienda serviva la via <strong>del</strong> Costo, verso l'Altopiano di Asiago, ed era l'unica in paese: vi<br />
si poteva trovare ogni tipo di specialità, dal pane ai formaggi, dall'olio al pesce salato.<br />
Annessi al negozio c'erano panificio, salsamenteria, torrefazione caffè e fabbrica di pasta "uso<br />
Napoli", ossia la pasta tirata col torchio, messa a seccare e quindi conservabile. Prodotti di lusso<br />
per l'epoca, destinati soprattutto ai mercati <strong>del</strong>l’Altopiano. Conoscendo la tradizione asiaghese, Federico Zuccato decise di ampliare l'offerta<br />
<strong>del</strong>la sua bottega introducendo anche i crauti, che acquistava da un carrettiere.<br />
Un po' alla volta questo nuovo prodotto entrò nel gusto <strong>del</strong>la clientela locale e nel 1898 i due fratelli decisero di cominciare a produrli in proprio.<br />
Oggi come allora, anno dopo anno la tradizione si ripete, poco o nulla è cambiato… solo pochi accorgimenti tecnologici a garantire la qualità,<br />
la conservabilità e l’igiene <strong>del</strong> prodotto.<br />
Durante la visita all’azienda i soci Slow Food <strong>del</strong>la Val Leogra hanno potuto immergersi nei profumi di questa lavorazione e, grazie all’attenta<br />
e garbata illustrazione di Marco Zuccato, hanno trovato modo d’approfondire le tematiche e ricevere risposte alle tante curiosità che un prodotto<br />
semplice, ma coinvolgente, sa suscitare.<br />
Potrebbe sembrare banale una visita ad un’azienda conserviera di notevoli dimensioni come questa. Non è così, qui s’è potuto cogliere che nulla<br />
è cambiato, se non il quintalato prodotto, i sistemi di taglio appositamente inventati, le garanzie d’igiene e i processi di pastorizzazione a<br />
garanzia di una corretta conservabilità: ancora oggi per fare i crauti servono solo cavolo verza, sale e il giusto tempo per la maturazione.<br />
I segreti di questa produzione si consumano nel tempo: acidità, tecniche, manualità ed esperienza danno alla luce un prodotto stabile dal punto<br />
di vista organolettico, nel sapore e nella consistenza, pronto da consumare, così come solo cent’anni di storia sanno fare.<br />
Ma alla Zuccato non si sono fermati ai crauti. Oggi l’azienda può contare su molte specialità, proponendosi sul mercato mondiale con oltre 200<br />
referenze: antipasti, agrodolci, sott’aceti e sott’olii, tutti lavorati dal fresco seguendo rigorosamente la stagionalità, con un occhio attento alla<br />
tradizione e ai prodotti tipici preparati secondo le ricette più tradizionali.
Un menù<br />
Vicenza<br />
a base di crauti Mauro Pasquali:<br />
Conclusa la visita in azienda, dopo un breve<br />
trasferimento al ristorante da Riccardo di Carrè,<br />
ecco una graditissima sorpresa: un menù a base<br />
di crauti studiato appositamente per la serata,<br />
dove la maestria <strong>del</strong>la cuoca Annalisa ha saputo<br />
fondere dolcezza e acidità, <strong>del</strong>icatezza e carattere<br />
di questo semplice ingrediente in squisite<br />
prelibatezze, dimostrando che le virtù dei crauti<br />
sono tutte ancora da scoprire.<br />
Dalla tradizione <strong>del</strong>l’Altopiano un’insalatina di<br />
crauti, mele, tosella e noci, adagiata in un cestino<br />
di grana ed accompagnata con <strong>del</strong>le frittelle dolci<br />
di crauti e mela.<br />
Dopodiché, utilizzando l’acidità provocante, la<br />
Chef ha realizzato una vellutata di crauti con<br />
croccante di petto d’oca affumicato in corona di<br />
duchessa, ed uno sfizioso risotto ai crauti capperi<br />
e cannella.<br />
<strong>La</strong> fantasia in cucina non ha finito di stupire,<br />
mezzaluna di patata ai crauti e tastasale su crema<br />
di lenticchie rosse, e a concludere il petto d’anatra<br />
farcito ai crauti con cestino di polenta ripieno.<br />
Piatti abbinati ad un unico vino, il Sauvignon di<br />
Luigino Dal Maso, dai<br />
coinvolgenti profumi, che con il<br />
suo carattere preciso ha saputo<br />
ben sostenere le diversità e le<br />
particolarità di tutti i piatti.<br />
A coronare la serata un malizioso<br />
dolce di ricerca, preziosamente<br />
accompagnato con il recioto Riva<br />
dei Perari 2005.<br />
Le pietanze degustate<br />
confermano come un ingrediente<br />
semplice quale i crauti permetta<br />
di realizzare piatti di ricerca dalle<br />
notevoli soddisfazioni.<br />
Auspichiamo che tanti altri chef<br />
si cimentino in questa proposta,<br />
rendendoli partecipi dei menù di<br />
tutti i giorni.<br />
Roberto Gasparin<br />
NUOVO FIDUCIARIO<br />
DELLA CONDOTTA DI VICENZA<br />
Sono passati ormai vent’anni<br />
da quando Giancarlo Riganelli<br />
ha fondato la Condotta Slow<br />
Food <strong>del</strong> Vicentino. Ora, dopo<br />
tanto impegno e sacrificio, ha<br />
deciso di “passare la mano”<br />
mantenendo fede ad una<br />
decisione presa da tempo.<br />
Impossibile dimenticare<br />
quanto ha fatto e quanto<br />
certamente continuerà a fare<br />
per la Condotta e nel portare<br />
avanti i nuovi incarichi che<br />
Slow Food gli ha affidato.<br />
Sostituire una persona <strong>del</strong> suo calibro che ha segnato<br />
in modo netto e inimitabile la vita di Slow Food nella<br />
nostra Provincia, non è certo semplice.<br />
“Impossibile imitarlo” di questo è certo in nuovo<br />
Fiduciario, Mauro Pasquali. Con l’aiuto <strong>del</strong> Comitato di<br />
Condotta è deciso a mantenere una sua <strong>strada</strong> che in<br />
parte si differenzierà dal solco tracciato da Giancarlo<br />
Riganelli. “Poiché oggi come non mai – spiega - Slow<br />
Food deve affrontare nuove sfide, sfatando il luogo<br />
comune che vede i suoi soci semplicemente come dei<br />
buongustai, o degli “spa<strong>del</strong>latori” per dirla con Carlo<br />
Petrini. Certo si continueranno ad organizzate cene e<br />
degustazioni, ma accanto al buono si dovranno<br />
valorizzare e ricercare sempre più il pulito e il giusto”.<br />
Questa per Mauro Pasquali è la <strong>strada</strong> da seguire: “non<br />
si può pensare di continuare a mangiare senza<br />
chiedersi da dove provengono le materie prime<br />
utilizzate, impegnandosi a far rispettare la sostenibilità<br />
ambientale e sociale degli alimenti”.<br />
Per realizzare tutto ciò Slow food deve poter contare<br />
sul contributo di tutti gli enti competenti: Enti Pubblici,<br />
Consorzi di Tutela, Associazioni Gastronomiche e di<br />
produttori, senza dimenticare le Organizzazioni di<br />
categoria. Compagni di <strong>strada</strong> con cui molto si potrà<br />
fare per la salvaguardia <strong>del</strong>la qualità e <strong>del</strong>la<br />
biodiversità agroalimentare.
42<br />
Dalla libreria:<br />
In.gredienti<br />
“Ciò che diventa era”. E’ la filosofia di un grande <strong>del</strong>la cucina mondiale, Massimiliano Alajmo, chef<br />
<strong>del</strong> ristorante Le Calandre. Ed è un semplice concetto: far “ri-vivere i piatti mi pone in aperta<br />
continuità col passato, con il nostro ma anche con quello <strong>del</strong>le generazioni che ci hanno<br />
preceduto. Tutto questo mi affascina irresistibilmente da sempre”.<br />
È uscito in questi giorni (e per gli appassionati di gastronomia è un gioiello prezioso che si può<br />
acquistare solo al ristorante di Sarmeola di Rubano o su Internet www.alajmo.it) un libro che<br />
è la summa <strong>del</strong>la filosofia e <strong>del</strong>la scelta di vita di due giovani che onorano la cucina italiana<br />
a livelli mondiali, i fratelli Alajmo.<br />
In.gredienti è il titolo e ce n’è data la ragione di una scrittura così conformata. Scrivono:<br />
“dal latino ingrediens, participio <strong>del</strong> verbo ingredi che significa entrare ed è composto da<br />
in “verso” e da gradi “avanzare”.<br />
Volume elegante, con le foto di Wolfgang Wesener (Wowe), percorre la vita di due<br />
giovani fratelli che si sono trovati, prima ancora di sentirsene capaci, a gestire un<br />
ristorante modificando anche le proprie concezioni di vita, di rapporto con il lavoro,<br />
con loro stessi e fra loro: una “scelta di vita” d’enorme peso. E questo iniziò quando,<br />
ancora giovanissimi, il papà ricevette quella “stelletta” (la stella <strong>del</strong>la Michelin) e subito<br />
dopo lasciò in mano a due “sbarbati” (così si autodefiniscono) un ristorante che aveva avuto un<br />
passato, prima <strong>del</strong>la stella, altalenante.<br />
Ottanta pagine di ricordi, pensieri, prospettive, rimpianti: un registratore sul tavolo e due fratelli che si<br />
parlano in un’intervista non dichiarata che è chiarificatrice, da “quel fatidico viaggio in Francia”<br />
<strong>del</strong> giugno 1990 che determinò una svolta nella concezione di cucina di Massimiliano e nel rapporto<br />
con la clientela di Raffaele, alla mutualità tra fratelli che fece correre Raffaele da Veyrat in<br />
Massimiliano e<br />
Raffaele Alajmo<br />
In.gradienti<br />
Le Calandre<br />
434 pagine,<br />
150 €uro<br />
Savoia quando Massi (così è chiamato in famiglia) gli telefonò che “non ce la faceva più”, per difenderlo dalle<br />
“bizze” di quel grande. Scoperte che per quasi cento pagine <strong>del</strong> libro chiariscono i pensieri, la filosofia di<br />
certe scelte, il coraggio d’alcuni “azzardi” in cucina, che sono definiti “slanci assurdi”.<br />
E le sezioni di questo libro che può stare agevolmente in cucina tanto quanto in libreria, sono<br />
altrettanto approfondite: dalla stratificazione al fumo, dalle polveri ai sottomarini, dalla<br />
liquidità al gioccolato (sic), sono solo alcuni capitoli di un ricettario che è, soprattutto,<br />
un modo di intendere la cucina come creatività, eleganza, armonia nel gusto e ricerca<br />
di perfezione anche visiva.<br />
Molte ricette hanno una “rilettura” che ci mostra, con disegni leggeri e puntuali, il modo di<br />
concepire il piatto, le sensazioni e le finalità che sono richieste dagli ingredienti.<br />
Il costo di 150 euro prevede anche che una parte <strong>del</strong> ricavato sia devoluto all’associazione ”Il<br />
gusto per la Ricerca”, un’Onlus che finanzia, attraverso eventi d’alta cucina, progetti di ricerca<br />
scientifica nell’ambito <strong>del</strong>le malattie neoplastiche <strong>del</strong>l’infanzia.
letti per voi<br />
Doctrinae cosinandi di Merlin<br />
Cocai. In coquina Jovis<br />
Venti ricette pensate per gli dei <strong>del</strong>l’Olimpo, esaminate e spiegate per<br />
consentire al lettore non solo di comprenderne l’origine e il significato,<br />
ma anche la procedura per ammannirle in un banchetto tanto lauto<br />
quanto colto. Un importante contributo alla storia <strong>del</strong>la scienza gastronomica,<br />
compendio critico alle 20 ricette scritte dal Teofilo Folengo,<br />
alias Merlin Cocai, umanista mantovano di epoca rinascimentale,<br />
esponente di punta <strong>del</strong>la letteratura in latino “maccheronico”. In<br />
questo volume Otello Fabris svela quanto ha saputo scoprire e portare<br />
alla luce <strong>del</strong> mondo che si cela dietro alle ricette “merliniane”.<br />
Un'affascinante esplorazione <strong>del</strong>la cultura gastronomica medioevale e<br />
rinascimentale, frutto di una ricerca sviluppata a 360 gradi, capace di<br />
abbracciare la storia, l'arte, la letteratura e tutto quanto può servire a<br />
restituirci le molteplici stratificazioni che sorreggono quegli straordinari<br />
inserti che sono le doctrinae cosinandi. Non <strong>del</strong>le semplici ricette, ma<br />
venti dottrine che Teofilo Folengo ha inserito unicamente nell'edizione<br />
“Toscolanense” <strong>del</strong> suo capolavoro, il “Baldus”: poema epicocavalleresco<br />
dal forte sapore parodistico, scritto in latino maccheronico.<br />
Disegni e architetture nascoste<br />
che ci fanno comprendere il bisogno di<br />
un tempo di riformare non solo la visione<br />
<strong>del</strong> mondo, ma anche <strong>del</strong>la Chiesa. Nelle<br />
doctrinae cosinandi fanno capolino<br />
anche i travasi medioevali <strong>del</strong>la cucina<br />
araba nell’alimentazione italiana,<br />
scoprendo quanta importanza avesse<br />
l’alchimia. Un viaggio alle radici<br />
filosofiche ed esoteriche <strong>del</strong>le ricette<br />
“merliniane”, per comprendere che a<br />
tavola non si mangia semplicemente<br />
quello che vediamo nel piatto, ma<br />
anche secoli di cultura e di storie<br />
che sono all'origine di quelle<br />
ricette.<br />
Otello Fabris<br />
Le DOCTRINAE COSINANDI<br />
di Merlin Cocai IN COQUINA IOVIS<br />
Biblioteca Merliniana<br />
In vendita esclusivamente nelle librerie Galla 1880 in Piazza Castello a Vicenza<br />
e nella libreria Palazzo Roberti in via Jacopo da Ponte a Bassano.<br />
Antonio Di Lorenzo è il<br />
“Giornalista <strong>del</strong> Durello” 2006<br />
Grazie al brillante<br />
articolo “Il Durello fa<br />
squadra” pubblicato da<br />
“Il Giornale di Vicenza”,<br />
Antonio di Lorenzo è<br />
stato eletto all’unanimità<br />
“giornalista <strong>del</strong><br />
Durello” 2006. Il premio<br />
giornalistico, che<br />
consiste in una Magnum di 12 litri di Durello millesimato 2000,<br />
finemente dipinta a mano dall’artista Sabina Mazzardo, nasce dalla<br />
volontà <strong>del</strong> Consorzio di Tutela <strong>del</strong> Lessini Durello di premiare quegli<br />
scritti e quei servizi radio televisivi che hanno saputo evidenziare i<br />
tratti salienti <strong>del</strong>la Lessinia. Una terra aspra e a volte dura, come il<br />
Lessini Durello che nasce sulle sue colline vulcaniche; vero emblema<br />
di questo territorio d’alta collina che si estende dalla terra dei Cimbri<br />
ai Monti di Malo.<br />
Nel suo articolo prende in considerazione il Durello Spumante,<br />
lavorato secondo il metodo tradizionale, visto come espressione di<br />
identità storica ed agricola, frutto <strong>del</strong>la tradizione e di un territorio<br />
unico.<br />
Si è premiato un articolo, ma di Durello parla la continuità professionale<br />
di Antonio Di Lorenzo, poliedrico giornalista di un quotidiano<br />
di informazione, dalla grande passione per l’enogastronomia, autore<br />
tra l’altro di numerose guide e monografie che esaltano il legame fra<br />
territorio, prodotto e buona tavola. Per il Durello la sua è un’ammirazione<br />
sincera che lo ha spinto alla dichiarazione, storicamente<br />
ardita ma emozionalmente comprensibile, che questo antico e straordinario<br />
vino sia quello che allietava le tavole di Montecchi e Capuleti<br />
inebriando l’amore di Romeo e Giulietta.<br />
43
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- 25 gennaio ore 20:<br />
Il Gioco <strong>del</strong> Piacere - Trattoria da<br />
Mario in Strada <strong>del</strong> Tormeno 215 a<br />
Vicenza. Assieme a slow food<br />
vicentino andremo alla scoperta di<br />
un grande vitigno coltivato in<br />
diversi paesi europei: il grenache<br />
francese incontrerà la garnacha<br />
spagnola, il cannonau sardo e il<br />
tocai rosso vicentino. I posti sono<br />
limitati e si consiglia di prenotare<br />
per tempo. <strong>La</strong> prenotazione ai<br />
seguenti numeri telefonici:Mauro<br />
Pasquali 347.3065710 - Giancarlo<br />
Riganelli 0444.505297 o tramite email<br />
all’indirizzo info@slowfoodvi.it<br />
- Dal 12 al 21 gennaio:<br />
Sagra <strong>del</strong> Broccolo Fiolaro -<br />
Creazzo, Palatenda <strong>del</strong> polisportivo<br />
Comunale. Festa paesana<br />
interamente dedicata alla<br />
celebrazione <strong>del</strong> prodotto tipico con<br />
intrattenimenti e degustazioni.<br />
Sarà possibile visitare i luoghi dove<br />
viene coltivato il broccolo fiolaro e<br />
degustare gli ottimi piatti preparati<br />
dai ristoratori di Creazzo a base di<br />
Vicenza<br />
broccolo fiolaro, con musica ed<br />
intrattenimenti vari. Riportiamo di<br />
seguito il programma <strong>del</strong>la manifestazione:<br />
Venerdì 12<br />
20,00 partenza Piazza Roma –<br />
visita alle coltivazioni <strong>del</strong> Broccolo<br />
Fiolaro<br />
Sabato 13<br />
19,00 serata gastronomica<br />
Broccolo Fiolaro “il broccolo con il<br />
riso”<br />
21,30 serata musica tributo a “Mina<br />
e Battisti”<br />
Domenica 14<br />
08,00 mercatino antiquariato<br />
11,00 apertura mostra di pittura<br />
c/o Polisposrtivo<br />
12,30 pranzo preparato da cucina<br />
Tomasi (prenotazione)<br />
15,00 Rappresentazione arte e<br />
mestieri<br />
16,00 Banda G. Verdi e Majorettes<br />
19,00 serata gastronomica a base<br />
“Il Broccolo Fiolaro con la pasta”<br />
21,00 serata musicale “Cafè Swing”<br />
evergreen anni 50<br />
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Ragione Sociale, insegna<br />
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Riservato ai Gourmet<br />
Nome Cognome Via n.<br />
Cap. Città Prov.<br />
Tel. E-mail<br />
Inviare via fax al n. 0445.500201 - e-mail: info@pierregi.it - Oppure in busta chiusa a: Pierregi Via Veneto, 2b - 36015 Schio (VI)<br />
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Martedì 16<br />
10,30 visita scuole elementari –<br />
presentare gli elaborati degli alunni<br />
19,00 serata gastronomica a base<br />
“Il Broccolo Fiolaro con la pizza”<br />
21,00 Ridendo e Scherzando “a filò<br />
con il Broccolo” cabaret<br />
Mercoledì 17<br />
20,00 corso di cucina tenuto da<br />
Gianluca Tomasi<br />
Giovedì 18<br />
20,00 Cena con “Osi de mas-cio”<br />
(prenotazione)<br />
Venerdì 19<br />
20,00 cena “Il Broccolo Fiolaro e<br />
baccalà” (prenotazione)<br />
Sabato 20<br />
12,30 Pranzo con gli Amici terza<br />
Età<br />
15,30 Gara Orientamento<br />
organizzato dall’Union Creazzo<br />
Iscrizioni ore 14,00<br />
19,00 serata gastronomica a base<br />
“Broccolo Fiolaro e gnocchi”<br />
21,30 Cabaret “Mario Mantoan ed i<br />
broccoletti d’oro”<br />
Domenica 21<br />
09,30 passeggiata panoramica sul<br />
colle di Creazzo<br />
12,30 degustazione <strong>del</strong> Broccolo<br />
Fiolaro con piatti preparati dai<br />
ristoratori di Creazzo, rappresentazione<br />
dal vivo dei mestieri di un<br />
tempo, allieterà il pomeriggio il<br />
gruppo folcroristoco El Canfin”<br />
Per ulteriori informazioni:<br />
e-mail: proloco@tuttocreazzo.it<br />
web: www.tuttocreazzo.it
2007, ma che anno sarà?<br />
46<br />
A tavola con<br />
le Stelle<br />
Consumato il banchetto, può l'astrologo di corte sottrarsi al dovere istituzionale di far le previsioni per l'anno che<br />
va ad iniziare? No, non può!<br />
E dunque per una volta lasciamo da parte i risvolti gastronomici <strong>del</strong>l'astrologia, filo conduttore abituale di questa<br />
rubrica, per cimentarci nel vaticinio.<br />
Con qualche inevitabile precisazione, tuttavia.<br />
Innanzitutto che - come detto più volte - solo l'analisi <strong>del</strong> tema natale individuale consente di essere approfonditi<br />
e precisi nel <strong>del</strong>ineare un carattere, e ciò è ancor più vero quando si tratti di proiezioni future: se cioè dir che tutti<br />
gli Arieti sono impulsivi e tutti i Pesci romantici è sì grossolana semplificazione, ma un solido nocciolo di verità pur<br />
ce l'ha, affermare che tutti i Leoni avranno quest'anno successo sul lavoro è semplicemente privo di fondamento;<br />
la previsione, basata com'è sui movimenti degli astri e sui loro esatti passaggi su ciascuno dei 360 gradi <strong>del</strong>lo<br />
Zodiaco, va semmai riferita solo ai nati di certi giorni, e solo ad un circoscritto periodo <strong>del</strong>l'anno, come cercheremo<br />
qui di evidenziare.<br />
E inoltre: una previsione di respiro annuale non può che puntare l'attenzione sugli spostamenti dei pianeti lenti,<br />
da Plutone, che rappresenta l'energia vitale, fino a Giove, proverbiale indice di fortuna; restano quindi necessariamente<br />
escluse le vicende legate ad un astro veloce qual è Venere, che governa gli affari di cuore. Non<br />
aspettatevi quindi di trovar qui nessun annuncio di grandi amori nè lusinga di fugaci avventure passionali, semplicemente<br />
perché non si tratterebbe di affermazioni motivate. Per chi vuol sapere come oscillerà quest'anno<br />
l'altalena <strong>del</strong>l'amore non c'è che da rivolgersi all'astrologo di fiducia, che con una previsione personalizzata saprà<br />
fornire indicazioni preziose e veritiere.<br />
Ma orsù, indossato il cappello da mago, andiamo a svelare il futuro!<br />
FILIPPO FERRERI studia e pratica l'Astrologia da molti anni a Schio,<br />
dove tiene regolarmente corsi presso l'associazione culturale <strong>La</strong> Corte.<br />
Ha collaborato in passato con varie testate<br />
e partecipato come relatore a conferenze e convegni
Per l'Ariete sarà un anno vulcanico: si parte<br />
baldanzosi con Marte che infonde coraggio, e<br />
sostenuti dall'energia di Plutone si prosegue con i<br />
successi di Giove e le realizzazioni di Saturno, che<br />
gratificheranno soprattutto i nati dopo il 10<br />
aprile. E' il segno campione <strong>del</strong>l'anno!<br />
Il Toro metta in preventivo un anno tranquillo,<br />
ma non se ne dispiacerà; Nettuno rende pavidi i<br />
nati verso il 10 maggio, Saturno sconsiglia<br />
qualsiasi intrapresa anche a chi è dei giorni<br />
successivi; solo in autunno Saturno e Plutone<br />
spingeranno quelli di aprile a sortire dal letargo.<br />
I Gemelli vivranno un anno inquieto, Giove li<br />
induce ad una ricerca <strong>del</strong> benessere che non avrà<br />
facile approdo; i nati dei primi di giugno evitino<br />
decisioni che Urano renderebbe avventate,<br />
mentre quelli dopo il 10 dedicheranno la<br />
primavera a costruire per il futuro.<br />
Il Cancro se ne sta defilato, per un anno senza<br />
squilli ma <strong>del</strong> tutto al riparo da imprevisti e<br />
avversità; solo i nati dei primi di luglio saranno<br />
animati da un insolito impeto decisionista,<br />
mentre in autunno sarà Saturno a sollecitare i<br />
nati di giugno a scuotersi dalla loro pigrizia.<br />
Il Leone può dedicarsi a ciò che più ama:<br />
spensieratamente divertirsi! Giove elargisce<br />
fiducia, piacevolezze, e fortuna in quantità; un<br />
po' più sobri i nati dopo il 10 agosto, che Saturno<br />
richiama all'ordine e agli impegni, ma con la<br />
promessa di proficue realizzazioni.<br />
I Vergine si dividono: quelli di agosto attendano<br />
con fiducia la seconda parte <strong>del</strong>l'anno, quando<br />
Saturno darà lucidità ed efficacia alle loro iniziative;<br />
i settembrini <strong>del</strong>l'inizio sono un po' disorientati dalle<br />
sorprese provocate da Urano, i nati dopo il 15<br />
patiscono un affaticamento Plutoniano.<br />
<strong>La</strong> Bilancia vivrà un 2007 con moderazione, e<br />
perciò sarà sicuramente a suo agio; nessun pianeta<br />
ostile, discretamente favorevoli Giove Saturno e<br />
Plutone per chi è di ottobre: potranno dar corso ai<br />
loro progetti con gradualità, e i nati verso il 10 con<br />
un tocco di originalità Nettuniana in più.<br />
Tra gli Scorpione c'è chi si deve munire di provviste<br />
per un anno in trincea: sono i nati attorno al 10<br />
novembre, tenuti in scacco da Nettuno e Saturno; la<br />
parola d'ordine sia "resistere". Intraprendenti e<br />
tempestivi gli altri novembrini, e ottobrini impegnati<br />
in un efficace taglio di rami secchi dopo l'estate.<br />
Il Sagittario è indiscusso protagonista <strong>del</strong>l'anno,<br />
spinto dalla vitalità di Plutone, baciato dalla<br />
fortuna di Giove, e con Marte che garantisce<br />
subito una partenza sprint; ma i nati di novembre<br />
siano attenti a non fare il passo più lungo <strong>del</strong>la<br />
gamba, Saturno potrebbe castigarvi in autunno.<br />
Ai Capricorno riserviamo grandi promesse<br />
future, il loro anno d'oro sarà il 2008; intanto ci<br />
si prepara, e già dopo l'estate i nati di dicembre<br />
sentiranno l'amichevole sostegno di Saturno e la<br />
fiducia infusa da Giove, che li indurranno a<br />
mettere in cantiere programmi costruttivi.<br />
Anche l'Acquario si spacca in due: quelli di febbraio<br />
godono <strong>del</strong> favore di Giove e vivono tranquilli, con<br />
una nota di speciale fervore innovativo per i nati<br />
attorno al 10 febbraio; quelli di gennaio patiscono<br />
invece l'ostilità di Saturno, che offusca le idee e<br />
intralcia i progetti troppo ambiziosi.<br />
I Pesci dei primi di marzo vivranno un anno<br />
insolitamente con i piedi per terra: Urano propizia<br />
decisioni e cambiamenti; quelli di febbraio<br />
saranno spinti all'introversione da Saturno in<br />
autunno, quando anche i restanti marzolini<br />
saranno irrequieti per colpa di Giove e Plutone.<br />
47
Due banditi fermano un autobus di turisti in<br />
una <strong>strada</strong> deserta <strong>del</strong>la zona messicana.<br />
Il boss ordina:<br />
- Spogliate le donne e violentate gli uomini.<br />
Poi si accorge <strong>del</strong>l’errore :<br />
- Volevo dire: spogliate gli uomini e violentate<br />
le donne.<br />
Allora un gay in fondo all’autobus grida:<br />
- Ah, no! Quel che è detto è detto ormai!<br />
Un uomo torna a casa all'improvviso e sorprende la moglie a<br />
letto con l'amante. Il marito, che è un cacciatore, prende il fucile<br />
e lo punta contro l'uomo.<br />
- Ti prego, non sparare! - grida la moglie spaventatissima<br />
- Chi credi che mi abbia comprato<br />
la pelliccia? E chi pensi che mi abbia regalato la Mercedes? E chi<br />
pensi ci abbia aiutato a pagare il mutuo <strong>del</strong>la casa?<br />
- É stato lui? - chiede il marito.<br />
- Sì, proprio lui!<br />
- Allora coprilo, altrimenti si ammala!<br />
Il maresciallo, deciso a informatizzare la sua piccola stazione dei<br />
Carabinieri, va in un negozio ad acquistare un computer:<br />
- Comandante, questo computer è talmente potente che farà metà<br />
<strong>del</strong> suo lavoro!<br />
Il sottufficiale ci riflette e poi dice:<br />
- Va bene, allora ne prendo due!<br />
Un allevatore padano chiama il veterinario per l'inseminazione<br />
artificiale <strong>del</strong>la sua vacca.<br />
Quando arriva il veterinario, a casa c'è solo la nonna.<br />
- Buongiorno! - dice - Sono il veterinario.<br />
<strong>La</strong> nonna risponde:<br />
- Ah, già... mi pare che lei sia venuto per l'inseminazione<br />
<strong>del</strong>la vacca...<br />
Veterinario:<br />
- Sì.<br />
<strong>La</strong> nonna:<br />
- Bene. Quella è la vacca... e quello è il chiodo dove può<br />
appendere i pantaloni...!<br />
Sherlock Holmes e il Dr. Watson vanno in campeggio. Dopo una buona cena ed una bottiglia di vino<br />
entrano in tenda e si mettono a dormire. Alcune ore dopo, Holmes si sveglia e, col gomito, sveglia il suo<br />
fe<strong>del</strong>e amico:<br />
- Watson, guarda verso il cielo e dimmi cosa vedi....<br />
Watson replica:<br />
- Vedo milioni di stelle.<br />
Holmes:<br />
- E ciò, cosa ti induce a pensare?<br />
Watson pensa per qualche minuto:<br />
- Dal punto di vista astronomico, ciò mi dice che ci sono milioni di galassie e, potenzialmente, miliardi di<br />
pianeti. Dal punto di vista astrologico, osservo che Saturno è nella costellazione <strong>del</strong> Leone. Dal punto di<br />
vista temporale, deduco che sono circa le tre e un quarto di notte. Dal punto di vista teologico, posso<br />
vedere che Dio è potenza e noi siamo solo degli esseri piccoli ed insignificanti. Dal punto di vista meteorologico,<br />
presumo domani sia una bella giornata. Invece lei, cosa ne deduce?.<br />
- Watson,imbecille! Ci hanno fregato la tenda!<br />
"<strong>La</strong> prossima<br />
volta che prenoti<br />
un tavolo,<br />
Aurelio,<br />
prenota anche le<br />
sedie!"