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psicodermatologia - Rivista Nuove Prospettive in Psicologia

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LA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA:<br />

DALL’EVENTO TRAUMATICO<br />

ALL’ATTIVAZIONE DELLE RISORSE<br />

Elisa Faretta°<br />

Con la def<strong>in</strong>izione di <strong>Psicologia</strong> delle emergenze <strong>in</strong> Italia e <strong>Psicologia</strong><br />

delle catastrofi o <strong>Psicologia</strong> dei disastri altrove, si è soliti <strong>in</strong>dicare una branca<br />

della psicologia che si avvale di articolate modalità tecniche per <strong>in</strong>tervenire,<br />

a livello di supporto psicologico, sia nei confronti degli <strong>in</strong>dividui colpiti da<br />

eventi traumatizzanti di vario genere, sia di persone che possono avere vissuto<br />

da vic<strong>in</strong>o le conseguenze di tali eventi, sia ancora di supporto per i vari<br />

tipi di operatori del soccorso co<strong>in</strong>volti. Si tratta di modalità di <strong>in</strong>tervento<br />

strutturate che sono venute a colmare un vuoto operativo nei confronti di<br />

eventi, un tempo non particolarmente considerati nelle loro conseguenze<br />

psicologiche e soprattutto particolarmente <strong>in</strong>dividuate <strong>in</strong> eventi bellici e classificati<br />

come nevrosi traumatiche o di guerra. Le diverse def<strong>in</strong>izioni adottate<br />

possono essere <strong>in</strong>dicative di quegli aspetti particolari che, nel contesto dell’evento<br />

globale, possono essere <strong>in</strong> qualche modo privilegiati.<br />

A questo proposito, può allora essere utile prendere <strong>in</strong> considerazione<br />

il significato di alcuni dei term<strong>in</strong>i utilizzati.<br />

Emergenza. Una “circostanza o eventualità imprevista, specialmente<br />

pericolosa, una situazione pubblica pericolosa”; da cui ‘emergente’ <strong>in</strong>teso<br />

come colui o ciò che emerge, <strong>in</strong> senso figurativo qualcuno o qualcosa “che<br />

acquista una sempre maggiore importanza, forza, valore e simili” (Z<strong>in</strong>garelli).<br />

L’emergenza (Petrillo 2000) si può riferire, dunque, ad una condizione,<br />

ad una situazione o ad un accadimento, caratterizzato dal fatto che, essendo<br />

imprevisto, irrompe sconvolgendolo lo scorrere della vita quotidiana nei<br />

suoi aspetti più rout<strong>in</strong>ari e programmati, con ciò creando un senso di allarme<br />

e di allerta e provocando una messa <strong>in</strong> pericolo, effettiva o <strong>in</strong>combente,<br />

delle persone o delle cose co<strong>in</strong>volte. Sarebbe così facilmente comprensibile<br />

come la imprevedibilità possa avere delle implicazioni particolari proprio per<br />

il suo essere associata alla pericolosità. Quest’ultima, <strong>in</strong>fatti, se non prevista o<br />

addirittura non prevedibile, acquista un tono di gran lunga più s<strong>in</strong>istro ed<br />

<strong>in</strong>quietante.<br />

La <strong>Psicologia</strong> dell’Emergenza. È stata def<strong>in</strong>ita come “quello specifico<br />

ambito di studio e di applicazione che mira, <strong>in</strong> un contesto di emergenza, a<br />

preservare e riprist<strong>in</strong>are l’equilibrio psichico delle vittime, dei parenti e dei<br />

soccorritori, <strong>in</strong> seguito all’effetto destabilizzante di eventi catastrofici e drammatici<br />

<strong>in</strong> senso lato” (Cusano e Napoli 2003, 327). Secondo la def<strong>in</strong>izione<br />

condivisa dalla Federal Emergency Management Agency (FEMA) e dalla<br />

Emergency Management Intitute: “una emergenza è un evento che m<strong>in</strong>accia,<br />

o effettivamente rischia di danneggiare persone o cose...”.<br />

L’evento catastrofico di per sé non esaurisce tutte le implicazioni sul<br />

piano <strong>in</strong>dividuale e collettivo, <strong>in</strong>fatti una serie rilevante di azioni si manifesta


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nell’ambito psicologico. Ecco che assume significato l’ambito caratteristico<br />

della emergenza psicologica che, citando ancora Cusano e Napoli, può essere<br />

def<strong>in</strong>ita come “...un momento di perturbazione dell’equilibrio psicologico ed<br />

emotivo di una persona dovuto ad una o più circostanze scatenanti, tale da richiedere<br />

la mobilitazione di risorse e di strategie di adattamento psicologico<br />

nuove, <strong>in</strong>usuali o difficilmente fruibili”. Ciò ci offre l’opportunità di prendere<br />

<strong>in</strong> considerazione eventi traumatici, tra loro apparentemente simili, quali<br />

ad esempio, le catastrofi e i disastri, <strong>in</strong> quanto entrambi implicano il sopraggiungere<br />

di eventi negativi, caratterizzati dall’ essere improvvisi ed estremamente<br />

gravi. Non solo, ma essi comportano danni materiali o sociali tali da<br />

mettere <strong>in</strong> serio pericolo sia la vita stessa dei sistemi co<strong>in</strong>volti, sia buona parte<br />

dei loro beni e delle loro risorse, tanto quelle materiali, quanto quelle psicologiche.<br />

Mentre ci si può riferire al “disastro” quale evento devastante specifico,<br />

molto concentrato nel tempo e nello spazio, è più <strong>in</strong>dicato parlare di “catastrofe”<br />

quando la portata dell’evento non è facilmente circoscrivibile e, qu<strong>in</strong>di,<br />

quando la sua distruttività è tale - per la quantità delle vittime, e per la<br />

gravità e l’entità dei danneggiamenti - da mettere <strong>in</strong> discussione l’<strong>in</strong>tero assetto<br />

raggiunto da un certo sistema societario. In Italia, si è venuta consolidando<br />

solo recentemente con riferimento sia ad <strong>in</strong>iziative di <strong>in</strong>tervento <strong>in</strong><br />

occasione, ad esempio, del terremoto <strong>in</strong> Campania nel 1980 e quello <strong>in</strong><br />

Umbria e nelle Marche nel 1997, solo per citarne alcuni, sia ad una riflessione<br />

più sistematica da parte di numerosi psicologi, che ha portato alla istituzione<br />

di corsi di formazione e di associazioni professionali, alla elaborazione<br />

di progetti di ricerca e al confronto scientifico <strong>in</strong> convegni e sem<strong>in</strong>ari di studio<br />

specificamente dedicati alle tematiche dell’emergenza. Negli ultimi 25<br />

anni c’è stato un <strong>in</strong>cremento di consapevolezza dell’impatto dei disastri sulla<br />

popolazione civile. Alcune delle possibili spiegazioni:<br />

Servizio di cronaca attivo 24 h <strong>in</strong> televisione:<br />

• Focus attentivo sugli aspetti psicologici degli eventi critici<br />

• Co<strong>in</strong>volgimento superstiti nella pianificazione di risposte future a possibili<br />

disastri<br />

• Riconoscimento del Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) nel 1980<br />

Negli ultimi 30 anni la <strong>Psicologia</strong> ha ampliato e approfondito gli aspetti<br />

psicologici correlati ai contesti di emergenza e post-emergenza.<br />

• USA, 1983: Critical Incident Stress Management (Mitchell et al.)<br />

• Europa, 1997: costituzione della task force della European Federetion of<br />

Psychologists Associations (EFPA) di <strong>Psicologia</strong> dei Disastri e della Crisi<br />

• Italia, 13 giugno 2006: Direttiva del Presidente del Consiglio dei M<strong>in</strong>istri<br />

sui criteri di massima sugli <strong>in</strong>terventi psico-sociali da attuare nelle<br />

catastrofi.<br />

La <strong>Psicologia</strong> dell’emergenza è il settore della psicologia che si occupa<br />

degli <strong>in</strong>terventi cl<strong>in</strong>ici e sociali <strong>in</strong> situazioni di calamità, disastri ed emergenza/urgenza.<br />

È la discipl<strong>in</strong>a che studia il comportamento <strong>in</strong>dividuale, gruppale e


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comunitario <strong>in</strong> situazioni di crisi.<br />

• Le tecniche di <strong>in</strong>tervento <strong>in</strong> emergenza possono essere di notevole aiuto<br />

per prevenire e curare i disturbi post traumatici da stress (sempre più<br />

frequenti).<br />

• Ogni emergenza rappresenta l’<strong>in</strong>contro tra un’<strong>in</strong>tensa esperienza <strong>in</strong>attesa<br />

e drammatica e alcune persone che cercano di fronteggiarlo.<br />

Le dimensioni della <strong>Psicologia</strong> dell’Emergenza<br />

• Temporale: Quando si <strong>in</strong>terviene?<br />

• Spaziale: Dove si <strong>in</strong>terviene?<br />

• Dest<strong>in</strong>atari: Chi necessita di un <strong>in</strong>tervento?<br />

• Modalità: Come si <strong>in</strong>terviene?<br />

• F<strong>in</strong>alità: Perché si <strong>in</strong>terviene?<br />

Interesse crescente sugli effetti delle “crisi quotidiane” e dei traumi su<br />

<strong>in</strong>dividui, famiglie e gruppi.<br />

Importanza di adeguate risposte psicologiche a eventi quali:<br />

- TRAUMI: trauma psichico, dal greco trauma (ferita).<br />

- EVENTO TRAUMATICO: Possiamo def<strong>in</strong>ire l’evento traumatico come qualsiasi<br />

situazione che provochi un senso opprimente di vulnerabilità o perdita<br />

di controllo (Roger M.Solomon, Ph.D). Qualsiasi situazione che porta le<br />

persone a provare reazioni emotive particolarmente forti, tali da <strong>in</strong>terferire<br />

con le loro capacità di funzionare sia al momento che <strong>in</strong> seguito (Jeff<br />

Mitchell, Ph.D).<br />

TRAUMI SINGOLI<br />

• Stupri<br />

• Suicidi/Omicidi<br />

• Rap<strong>in</strong>e<br />

• Violenze<br />

• Perdite improvvise<br />

• Ecc.<br />

TRAUMI COLLETTIVI<br />

“Il solo fatto che tu abbia vissuto un disastro non significa che ne verrai<br />

danneggiato, ma che sarai cambiato da questo”(Weaver, 1995).<br />

EVENTI CRITICI:<br />

• Sono improvvisi ed <strong>in</strong>aspettati.<br />

• Travolgono la nostra sensazione di controllo.<br />

• Comportano la percezione di una m<strong>in</strong>accia potenzialmente letale.<br />

• Possono comprendere perdite emotive o fisiche.<br />

VIOLANO I PRESUPPOSTI SU COME FUNZIONA IL MONDO:<br />

“questa cosa non doveva accadere”<br />

il mondo è buono! (“le cose brutte non capitano a me”);


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il mondo ha un significato! (il mondo è prevedibile, giusto, controllabile);<br />

Io sono una persona a posto! (“alle brave persone non capitano brutte<br />

cose”). COMPRENDERE CHE: Molti tipi di situazioni possono essere eventi<br />

critici. Quello che, per una persona, è un evento critico, potrebbe non<br />

esserlo per altri... Dipende dalla propria percezione di vulnerabilità, di controllo<br />

sulla situazione e dal significato personale dell’evento.<br />

Task Force <strong>Psicologia</strong> dei Disastri e della Crisi (EFPA). Perché <strong>in</strong>tervenire?<br />

Incidenza del PTSD a seguito di un evento traumatico: Breslau et al. (1991):<br />

• 13% degli uom<strong>in</strong>i e il 30% delle donne sviluppa un PTSD dopo un<br />

evento traumatico;<br />

• Tra il 20 e il 30% dei bamb<strong>in</strong>i sopravvissuti ad un <strong>in</strong>cidente stradale sviluppa<br />

PTSD;<br />

• La maggior parte delle persone sviluppa il PTSD nel primo mese successivo<br />

all’esposizione dell’evento traumatico (15% <strong>in</strong>sorgenza ritardata);<br />

• Morgan et al. (2003): tra i sopravvissuti ad un disastro <strong>in</strong> cui molti bamb<strong>in</strong>i<br />

furono uccisi nella loro scuola, il 29% soffre ancora di PTSD dopo<br />

33 anni dall’evento.<br />

Dest<strong>in</strong>atari <strong>Psicologia</strong> dell’Emergenza. Chi necessita di un <strong>in</strong>tervento?<br />

(Taylor, Frazer ,1981)<br />

VITTIME<br />

• Vittime di I° tipo: chi direttamente subisce l’impatto dell’evento<br />

• Vittime di II° tipo: parenti o persone care dei defunti o dei superstiti<br />

• Vittime di III° tipo: i soccorritori , operatori dell’emergenza/urgenza<br />

• Vittime di IV° tipo: La comunità co<strong>in</strong>volta nel disastro<br />

• Vittime di V° tipo: chi per caratteristiche pre-critiche può reagire sviluppando<br />

un disturbo psicologico a breve o a lungo term<strong>in</strong>e<br />

• Vittime di VI° tipo: chi avrebbe potuto essere una vittima del primo tipo<br />

o chi si sente co<strong>in</strong>volto per motivi <strong>in</strong>diretti.<br />

Quali possono essere gli Incidenti Critici negli operatori dell’emergenza?<br />

Gli <strong>in</strong>cidenti critici possono essere i seguenti<br />

• Morte o ferimento grave <strong>in</strong> servizio<br />

• Suicidio di soccorritori<br />

• Incidenti con molte vittime<br />

• Sparatorie, ferimento/uccisione di persone nel corso di operazioni<br />

• Eventi importanti che co<strong>in</strong>volgono bamb<strong>in</strong>i<br />

• Casi <strong>in</strong> cui la vittima è un parente o conoscente del soccorritore<br />

• Fallimento della missione dopo notevoli sforzi<br />

• Errori umani<br />

• Eccessivo <strong>in</strong>teresse dei media<br />

• Lesioni gravi, mutilazioni o deformazione del corpo delle vittime


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FATTORI CHE INFLUISCONO SULL’ENTITA’ DELLA RISPOSTA<br />

EMOTIVA<br />

• Livello di co<strong>in</strong>volgimento<br />

• Livello del controllo<br />

• Livello della m<strong>in</strong>accia o perdita<br />

• Livello di assurdità<br />

• Livello di preavviso<br />

• Vic<strong>in</strong>anza: fisica - psicologica<br />

• Livello di stress nella propria vita<br />

• Natura e grado di supporto sociale subito dopo l’evento<br />

• Supporto di colleghi e amici<br />

• Supporto di familiari e possibilità di comunicazione<br />

Le Fasi del Trauma da Eventi Critici<br />

LA SITUAZIONE ESPLODE:<br />

Reazione di Allarme:<br />

Attivazione Fisica: Il corpo si mobilita per una azione fisica<br />

Attivazione Mentale: Aumento della capacità di elaborare <strong>in</strong>formazioni<br />

<strong>in</strong> arrivo e già possedute.<br />

Distorsioni percettive generalmente provate da funzionari di polizia<br />

durante momenti di stress acuto<br />

Distorsione temporale 83% Distorsione uditiva 69% Distorsione visiva 83%<br />

Rallentamento 67% Aucnuazione dei suoni 51% Visione a tunnel 67%<br />

Accelerazione 16% Irucnsificazione dei suoni 18% Aumento dei dettagli 16%<br />

SHOCK e DISORGANIZZAZIONE MENTALE – l’<strong>in</strong>dividuo può essere<br />

<strong>in</strong>izialmente stordito, disattento, confuso – ciò può durare per qualche m<strong>in</strong>uto<br />

o per qualche giorno.<br />

Reazione da stress:<br />

tremori/brividi<br />

confusione<br />

sensazione di testa vuota<br />

iperventilazione<br />

pulsazioni accelerate<br />

sensazione di freddo<br />

pianto nausea sudore<br />

Queste sono reazioni da stress – non segni di debolezza<br />

Negazione o dissociazione<br />

Sensazione di <strong>in</strong>credulità


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Ottundimento con sconf<strong>in</strong>amenti sporadici nell’ansia<br />

Agire come un automa<br />

Difficoltà a ricordare dettagli dell’evento<br />

Difficoltà a comprendere il significato di quanto accaduto<br />

Arousal emotivo<br />

Turbamento<br />

Emotività<br />

Rabbia/Tristezza/Paura<br />

Possibile sensazione di esaltazione per essere sopravvissuto ad un evento critico<br />

Iper- Agitazione,<br />

Irritabilità,<br />

Iperattività<br />

Sensazioni di isolamento<br />

“Nessuno si preoccupa o capisce veramente”<br />

Aumento della sensibilità alle reazioni altrui<br />

Preoccupazione sull’evento<br />

“Non riesco a pensare ad altro”<br />

SINTOMI FISICI COMUNI DELLO STRESS<br />

Disturbi del sonno<br />

Ansia<br />

Difficoltà di concentrazione<br />

Irritabilità<br />

Stanchezza<br />

Dolori di stomaco<br />

Dolori muscolari<br />

Cefalee<br />

Disturbi della digestione<br />

Diarrea<br />

Stitichezza<br />

Cambiamento nelle pulsioni sessuali<br />

Stordimento*<br />

Aumento della pressione sangu<strong>in</strong>ea*<br />

(* <strong>in</strong>dica la necessità di una valutazione medica)<br />

III IMPATTO EMOTIVO<br />

Colpisce generalmente entro un paio di giorni.<br />

Può perdurare per parecchie settimane o più a lungo a seconda della<br />

situazione, delle capacità di reazione e della presenza di sostegno.<br />

STRESS POST-TRAUMATICO<br />

Si può def<strong>in</strong>ire come una reazione normale di una persona normale ad un<br />

evento anormale.


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Se lo stress è cumulativo si possono manifestare condizioni di<br />

• Accumulo<br />

• Aumento nel tempo<br />

• Decadimento:<br />

• della Performance<br />

- nelle Relazioni<br />

- della Salute<br />

• Aggrava lo stress da <strong>in</strong>cidenti critici<br />

I tre temi pr<strong>in</strong>cipali che <strong>in</strong> genere ci troviamo ad affrontare sono:<br />

• Responsabilità di ciò che è accaduto<br />

• Senso di vulnerabilità e mancanza di sicurezza<br />

• Problemi relativi al controllo e all’auto-efficacia<br />

Le fasi della risoluzione del trauma<br />

Impatto emotivo:<br />

<strong>in</strong>cubi<br />

isolamento<br />

depressione<br />

colpa<br />

rabbia<br />

ansia<br />

flashback<br />

pensieri <strong>in</strong>trusivi<br />

marchio di Ca<strong>in</strong>o<br />

aumento della sensazione di pericolo<br />

abuso di alcool/droghe, ecc.<br />

Cop<strong>in</strong>g:<br />

affrontare<br />

capire<br />

rielaborare (cosa sarebbe successo se..? Perché a me? e la prossima volta?)<br />

Accettazione/risoluzione:<br />

è passato<br />

è la realtà<br />

sono vulnerabile ma non sono impotente<br />

non posso controllare tutto, ma posso controllare la mia risposta<br />

Imparare a conviverci:<br />

anniversario<br />

esperienze simili<br />

L’eccessiva stimolazione dell’amigdala <strong>in</strong>terferisce con il funzionamento<br />

dell’ippocampo, <strong>in</strong>ibendo la capacità di valutare cognitivamente l’esperienza<br />

e la relativa rappresentazione semantica.


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I ricordi sono qu<strong>in</strong>di immagazz<strong>in</strong>ati <strong>in</strong> modalità sensoriali, motorie, <strong>in</strong><br />

sensazioni somatiche e <strong>in</strong> immag<strong>in</strong>i visive<br />

Gestione Globale dello Stress negli Incidenti Critici (CISM)<br />

• Un programma sistematico globale per l’attenuazione dello stress legato<br />

ad <strong>in</strong>cidenti critici<br />

• Il CISM affronta le circostanze attuali, non le situazioni personali<br />

• Il CISM è una branca del campo dell’<strong>in</strong>tervento <strong>in</strong> caso di crisi per<br />

gruppi ad alto rischio, Es: soccorritori, militari, ecc.<br />

Il CISM si sviluppa attraverso una serie di <strong>in</strong>terventi differenziati nel<br />

tempo e basati sullo sviluppo delle fasi di normalizzazione delle reazioni<br />

emotive e dello stress post- traumatico.<br />

Le fasi del CISM sono:<br />

• Istruzione/Informazione<br />

• Smobilitazione<br />

• Defus<strong>in</strong>g<br />

• Debrief<strong>in</strong>g<br />

• Supporto Individuale/Familiare<br />

• Reti di <strong>in</strong>vio<br />

• Sessioni <strong>in</strong>dividuali/ EMDR<br />

Primo Soccorso Psicologico. Quando <strong>in</strong>tervenire?<br />

• Proteggere dal pericolo, <strong>in</strong> particolare se le persone sono <strong>in</strong> stato di<br />

shock (sicurezza)<br />

• Focalizzarsi sulle cure fisiche e materiali (sicurezza)<br />

• Essere direttivi, attivi e rimanere calmi (calma e sicurezza)<br />

• Focalizzarsi sul qui ed ora (calmare)<br />

• Fornire <strong>in</strong> maniera cont<strong>in</strong>uativa <strong>in</strong>formazioni<br />

• Ascoltare le persone, non giudicare e non forzare le persone ad aprirsi.<br />

È il momento <strong>in</strong> cui devono parlare le vittime non chi porta aiuto<br />

• Aspettarsi ed accettare reazioni <strong>in</strong>tense – non dire alle persone di calmarsi<br />

o di non preoccuparsi<br />

SUPPORTO SULLA SCENA<br />

• Rendere attivi i sopravvissuti<br />

• Ricongiungere le famiglie<br />

• Ristabilire un senso di sicurezza<br />

• Proteggere le vittime da ulteriori danni psicologici<br />

• Guidare: molte vittime sono scioccate, confuse o disorientate nell’immediata<br />

post-emergenza, per cui<br />

• Riorientare i sopravvissuti co<strong>in</strong>volgendoli nei soccorsi<br />

• Le persone sono suggestionabili e rispondono bene agli ord<strong>in</strong>i<br />

Proteggere:<br />

• proteggere le persone da danni ulteriori<br />

• proteggere da ulteriori esposizioni a stimoli traumatici<br />

• fornire un riparo<br />

• e provvedere ai bisogni di base


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Collegare:<br />

collegare gli <strong>in</strong>dividui con l’assistenza e le risorse di cui hanno bisogno, sia<br />

sulla scena che <strong>in</strong> futuro.<br />

Mettere <strong>in</strong> collegamento le persone le une con le altre e con le risorse disponibili.<br />

COMUNICAZIONE IN EMERGENZA: IL CODICE<br />

Il codice deve essere facilmente comprensibile sia dell’emittente che dal<br />

dest<strong>in</strong>atario.<br />

In emergenza un codice <strong>in</strong>adeguato, come per esempio un l<strong>in</strong>guaggio troppo<br />

tecnicistico non comprensibile alla maggioranza della popolazione, potrebbe<br />

ottenere l’effetto controproducente di aumentare la paura e l’<strong>in</strong>certezza<br />

Il messaggio<br />

<strong>in</strong> emergenza non deve avvalersi di frasi generiche o aspecifiche come: “State<br />

calmi” o “Non fatevi prendere dal panico”, deve dare <strong>in</strong>vece <strong>in</strong>dicazioni<br />

chiare e precise ovvero:<br />

Comunicare i fatti<br />

• Comunicare chi si è, per quale motivo si opera e come si opera<br />

• Comunicare cosa si sta facendo e il programma d’<strong>in</strong>tervento<br />

• Comunicare cosa deve fare la popolazione co<strong>in</strong>volta<br />

In emergenza il messaggio verbale è ascoltato una sola volta per cui dovrà:<br />

• Essere breve e schematico<br />

• Utilizzare un l<strong>in</strong>guaggio semplice, preciso e perentorio<br />

• Fornire le <strong>in</strong>formazioni <strong>in</strong> una sequenza logica<br />

• Concentrare all’<strong>in</strong>izio gli elementi più importanti<br />

• Ripetere gli elementi <strong>in</strong> grado di attirare l’attenzione<br />

Nella comunicazione <strong>in</strong> emergenza bisogna poi tenere <strong>in</strong> grande considerazione<br />

non solo il contenuto del messaggio verbale, ma anche il tono della<br />

voce e la gestualità (il l<strong>in</strong>guaggio del corpo). Queste due componenti risultano<br />

fondamentali per stabilire una vic<strong>in</strong>anza emotiva e rassicurare i<br />

dest<strong>in</strong>atari della comunicazione.<br />

Per sua stessa def<strong>in</strong>izione l’emergenza è un contesto fuori dall’ord<strong>in</strong>ario<br />

a cui la popolazione non è preparata. Il bisogno di dare una spiegazione<br />

a quello che sta accadendo, <strong>in</strong>comprensibile utilizzando i soliti schemi cognitivi,<br />

rende la popolazione <strong>in</strong> stato di emergenza particolarmente permeabile<br />

alla comunicazione che servirà a riempire il gap cognitivo formato dall’emergenza<br />

e responsabile anche delle reazioni emotive.<br />

Prepararsi per il futuro<br />

In un contesto d’emergenza il panico si crea e si alimenta dal contatto<br />

con gli altri, dal passaggio delle voci e dalla suggestione compito delle autorità<br />

è qu<strong>in</strong>di trasmettere <strong>in</strong>formazioni adeguate, stabilendo una vic<strong>in</strong>anza<br />

emotiva che risulti essere rassicurante e protettiva.<br />

• La “teoria della sofferenza” riconosce le differenze culturali e religiose<br />

di vivere il dolore. Qu<strong>in</strong>di nelle discussioni e nelle attività di gruppo si<br />

tiene conto della <strong>in</strong>dividualità dell’espressione del dolore. (Nota: se que-


- 11 -<br />

sto modello viene usato con una popolazione di una specifica regione<br />

che possiede tratti ed etnia significativamente omogenei, le attività dovrebbero<br />

essere adattate <strong>in</strong> base a questo).<br />

ALCUNE LINE GUIDA. SPUNTI...<br />

• Tratte dal DISASTER PROTOCOL BOOK<br />

• “Group Interventions for Disaster prearedness and response”<br />

• A cura dell’ AGPA e Community Outreach TASK FORCE<br />

• Dopo l’11 settembre ..........e altri disastri.<br />

Come organizzare un <strong>in</strong>tervento<br />

• Distribuzione dell’<strong>in</strong>tervento<br />

• La teoria della “crisi” della salute mentale prevede che gli <strong>in</strong>iziali gruppi<br />

vengano avviati entro c<strong>in</strong>que mesi dopo l’evento. L’obiettivo pr<strong>in</strong>cipale è<br />

quello di ricostruire bisogni e servizi che sono stati compromessi dall’evento<br />

traumatico. I bisogni emotivi di recupero sono soppiantati da<br />

risistemazioni pratiche nella vita della famiglia, e il primo sentimento<br />

spesso riportato dai sopravvissuti al disastro nei primi mesi è lo shock o<br />

l’<strong>in</strong>sensibilità agli affetti.<br />

DISEGNO DELL’ INTERVENTO<br />

LUOGO<br />

Il modello prevede l’utilizzo delle risorse della comunità per contrastare<br />

il senso di impotenza che caratterizza per lo più i postumi di un disastro.<br />

Un altro modo per favorire il recupero è stato quello di collocare il programma<br />

<strong>in</strong> un luogo accessibile e appropriato. Sono stati esclusi centri di salute<br />

mentale per non stigmatizzare le famiglie, così come centri ricreativi per non<br />

creare troppo contrasto tra il luogo e quel clima di sofferenza; le scuole sono<br />

state evitate per far sì che i bamb<strong>in</strong>i non associassero il contesto scolastico al<br />

dolore; sono state scelti <strong>in</strong>vece “ambienti commerciali” perché offrivano un<br />

adeguato numero di stanze e possibilità di ristoro.<br />

ORGANIZZAZIONE<br />

Sebbene la maggior parte delle sessioni prevedeva che tutti i membri<br />

della famiglia lavorassero <strong>in</strong>sieme su un particolare compito, alcune attività<br />

si svolgevano <strong>in</strong> sottogruppi <strong>in</strong> cui i bamb<strong>in</strong>i erano suddivisi <strong>in</strong> base al livello<br />

scolastico (gruppi di scuole elementari, medie e superiori). Alla f<strong>in</strong>e di ciascuno<br />

dei gruppi di bamb<strong>in</strong>i ai genitori veniva data una lettera che descriveva<br />

cosa era venuto fuori dalla sessione, come spunto di dialogo tra genitori e<br />

figli. Nelle sessioni di famiglia si lavorava su come usare attività semplici a<br />

casa per sostenere le cont<strong>in</strong>ue oscillazioni della sofferenza. Le attività bilanciavano<br />

sempre la serietà del contesto con l’allegria del progetto.<br />

DIMENSIONE<br />

I gruppi di bamb<strong>in</strong>i non erano maggiori di sei membri, per consentire<br />

loro di avere un’assistenza maggiore, con una proporzione di due bamb<strong>in</strong>i<br />

per operatore. Anche il gruppo di adolescenti era limitato a sei, così da <strong>in</strong>co-


- 12 -<br />

raggiare la partecipazione; a questo gruppo erano assegnati due operatori.<br />

Il gruppo di adulti era di dieci per massimizzare le opportunità di discussione<br />

e fornire un adeguato supporto dell’operatore per le attività; anche qui<br />

c’erano due operatori.<br />

LUNGHEZZA DELLA SESSIONE<br />

Le serie di gruppi erano sei con sessioni di un’ora e mezza per tutti i<br />

partecipanti, operatori e volontari. Il programma vero e proprio era diviso<br />

<strong>in</strong> due serie da sei settimane. Tra le serie e dopo la conclusione della seconda<br />

erano previsti altri <strong>in</strong>terventi che facilitavano la cont<strong>in</strong>uità del gruppo.<br />

FORMAT<br />

Poiché i gruppi prevedevano un apprendimento graduale si selezionavano<br />

gruppi chiusi. Gli operatori <strong>in</strong>oltre si sono resi conto che il gruppo<br />

chiuso facilitava lo sviluppo di un senso di sicurezza e coesione fondamentale<br />

per controbilanciare l’effetto del trauma che aveva isolato queste famiglie<br />

dalla comunità.<br />

OBIETTIVI<br />

• identificare i compiti del recupero dopo l’evento traumatico;<br />

• identificare i sentimenti di ciascun membro della famiglia circa l’evento;<br />

• rivedere strategie per esprimere sentimenti;<br />

• assistere le famiglie nello sviluppo di storie personali e dialogare riguardo<br />

all’evento;<br />

• analizzare tecniche per affrontare sia il trauma che i ricordi luttuosi;<br />

• identificare i cambiamenti della vita familiare;<br />

• anticipare cambiamenti futuri nella vita della famiglia e analizzarne le<br />

reazioni;<br />

• <strong>in</strong>crementare il magazz<strong>in</strong>o dei ricordi della famiglia;<br />

• supportare la messa <strong>in</strong> atto di strategie di cop<strong>in</strong>g;<br />

• sviluppare nuove risorse, e aiutare le famiglie a riconoscere le proprie<br />

capacità di recupero.<br />

Questi obiettivi furono raggiunti attraverso attività basate su tecniche<br />

tra cui scrittura, disegno, racconto di storie e attività artistiche.<br />

CONTENUTI<br />

• Ciascuna sessione di gruppo era concepita per avere un <strong>in</strong>izio, una parte<br />

<strong>in</strong>termedia e una f<strong>in</strong>e, che simbolicamente rappresentavano la progressiva<br />

elaborazione del dolore;<br />

• La parte centrale della sessione affrontava <strong>in</strong> maniera diretta il problema<br />

del trauma, bilanciando attività emotivamente meno onerose;<br />

• Alla f<strong>in</strong>e della sessione tutti i gruppi, <strong>in</strong>dipendentemente dall’età, usavano<br />

affermazioni personali per concludere la sessione. Per i bamb<strong>in</strong>i<br />

spesso queste frasi (come ad esempio: “Sono speciale”) venivano scritte<br />

sulla carta colorata e sulle decorazioni. Agli adulti <strong>in</strong>izialmente veniva


- 13 -<br />

data una lista da cui prendere spunto per la propria frase. Varie sessioni<br />

si sono concluse con rituali conclusivi che riunivano tutte le famiglie <strong>in</strong><br />

un clima gioioso.<br />

FATTORI DI RISCHIO<br />

“La risposta biologica e psicologica ad un evento traumatico è determ<strong>in</strong>ata<br />

dalle caratteristiche sia dell’evento che della persona co<strong>in</strong>volta. La risposta<br />

<strong>in</strong>iziale alla paura è pr<strong>in</strong>cipalmente biologica, ma può essere <strong>in</strong>fluenzata<br />

dall’<strong>in</strong>terpretazione soggettiva dell’evento da parte della persona, <strong>in</strong>terpretazione<br />

che a sua volta dipende dalle esperienze precedenti e da altri fattori<br />

di rischio” (Yehuda, 2002, 3-4).<br />

(F<strong>in</strong>e Prima parte). La seconda parte sarà pubblicata sul n. 42 della <strong>Rivista</strong><br />

°Elisa Faretta è Psicologa e Psicoterapeuta, Responsabile e Coord<strong>in</strong>atrice Centro PIIEC - Milano,<br />

Cotra<strong>in</strong>er e Supervisore EMDR Italia ed Europa. Direttivo SIMP e EMDR.<br />

Indirizzo dell’Autore: Centro PIIEC - Milano<br />

e.faretta@piiec.com - sito: www.piiec.com


- 14 -<br />

RICORDI DI ...LAPSUS!<br />

APPUNTI E RIFLESSIONI PSICOANALITICHE*<br />

Fausto Agresta°, Andrea Mosca°°<br />

1. Introduzione<br />

Di fronte alla complessità delle relazioni correnti fra il contenuto manifesto<br />

ed il contenuto latente del sogno, complessità che rivela tutta l’apparente<br />

illogicità dei processi del mondo <strong>in</strong>conscio, ci si può domandare come sia<br />

possibile dedurre un contenuto dall’altro, e si tenderebbe a riferirsi al codice<br />

dei simboli, come ad una traduzione bella e fatta per l’<strong>in</strong>terpretazione dell’<strong>in</strong>conscio.<br />

Non è certamente così; l’<strong>in</strong>terpretazione e la deduzione <strong>in</strong> parola<br />

sono possibili soltanto attraverso il gioco delle associazioni libere che il sognante<br />

fa, a partire dagli elementi del sogno manifesto, e solo marg<strong>in</strong>almente<br />

ci si avvale, a questi scopi, del l<strong>in</strong>guaggio dei simboli. Freud è stato assolutamente<br />

chiaro a questo proposito ed ha ripetutamente sottol<strong>in</strong>eato che ogni altro<br />

processo è arbitrario e non può dare risultati degni di fede. Scrive A.<br />

Oliverio Ferraris: “Come il cacciatore che va alla ricerca di tracce per arrivare<br />

alla sua preda o come il poliziotto che colleziona <strong>in</strong>dizi per scoprire il colpevole.<br />

Lo stesso brivido pervade il cacciatore che, all’improvviso, si trova di fronte<br />

alla preda a lungo seguita, l’<strong>in</strong>vestigatore o il lettore che, alla f<strong>in</strong>e, arrivano a<br />

scoprire il tanto ricercato assass<strong>in</strong>o, e lo psicologo e il suo stesso paziente che,<br />

dopo un accurato lavoro, capiscono quale può essere stata la causa lontana di<br />

sofferenze, blocchi, deviazioni” (1995). Naturalmente il lavoro d’<strong>in</strong>terpretazione,<br />

che marcia a ritroso sul camm<strong>in</strong>o dell’elaborazione del sogno, non è facile<br />

e non può sempre dare delle risposte soddisfacenti.<br />

2. Varietà di “produzioni psichiche”<br />

Tutti gli uom<strong>in</strong>i producono idee, racconti, graffiti, pitture, immag<strong>in</strong>i,<br />

musiche, poesie, film. Per quel che ci riguarda, vengono fuori i “racconti di<br />

sogni” nell’adulto e i “giochi di sogni” nel bamb<strong>in</strong>o; <strong>in</strong> questi casi, i sogni<br />

sono assimilabili alle favole, ai racconti mitici, il tutto nel gioco del transfert -<br />

controtransfert che può dare delle risposte attendibili e una via della “costruzione<br />

<strong>in</strong> analisi” nei percorsi terapeutici (Agresta F., 1986; 1988; 1997;<br />

2002). Possiamo aiutare le persone, a com<strong>in</strong>ciare dai bamb<strong>in</strong>i, a raccogliere i<br />

sogni (i quaderni dei sogni a scuola), così, un po’ alla volta essi entrano <strong>in</strong><br />

contatto e sentono le parti più nascoste che com<strong>in</strong>ciano a venire <strong>in</strong> superficie:<br />

queste possono essere esplicitate anche con i disegni, con il teatr<strong>in</strong>o<br />

(psicodramma), col gioco e con test proiettivi specifici. L’analisi dei sogni<br />

permise dunque a Freud di stabilire due fatti d’importanza generale: che la<br />

funzione biologica è quella di proteggere il sonno, cioè, “il sogno è il guardiano<br />

del sonno”, elim<strong>in</strong>ando la causa emotiva che potrebbe portare al risveglio<br />

(fame, sete, turbe gastriche, bisogni sessuali, ecc.). Tanto vero che se<br />

il sogno non riesce, <strong>in</strong> pratica l’elaborazione è <strong>in</strong>sufficiente, il desiderio represso<br />

si fa troppo esplicito ed il dormiente si sveglia (Il paragone proposto<br />

allora da Freud è molto eloquente: è come se il guardiano preposto a zittire i<br />

disturbatori per permettere agli abitanti della casa di dormire, lo faccia così


- 15 -<br />

clamorosamente da svegliarli). Il sogno si deve dunque <strong>in</strong>terpretare come un<br />

compromesso fra una tendenza ist<strong>in</strong>tiva <strong>in</strong>conscia ed una tendenza difensiva<br />

che proviene dall’Io. L’altro fatto accertato da Freud a proposito dei sogni è<br />

che la memoria richiama molte più cose nel sogno che nella veglia, e frequentemente<br />

riproduce impressioni e fatti della prima <strong>in</strong>fanzia assolutamente<br />

<strong>in</strong>accessibili al di fuori del sogno: i pensieri espressi nel sogno latente si<br />

riferiscono anzi, quasi sistematicamente, a tendenze <strong>in</strong>fantili che cont<strong>in</strong>uano<br />

a rimanere attive nell’<strong>in</strong>conscio dell’uomo diventato adulto. Una dim<strong>in</strong>uzione<br />

dell’efficienza della censura si può avere anche durante la veglia stessa,<br />

quando si è stanchi, distratti, quando si sta compiendo <strong>in</strong> modo automatico<br />

un lavoro monotono; vi è allora la possibilità, sperimentata da tutti, di compiere<br />

qualche piccolo errore nella parola o nell’azione, di tutti quelli che comunemente<br />

ricevono il nome di lapsus. È stato merito della psicoanalisi avere<br />

gettato una luce nuova e <strong>in</strong>teressante su questo campo m<strong>in</strong>ore del comportamento<br />

umano dimostrando, come già per i sogni, che quei “piccoli errori”<br />

non sono per nulla privi di significato e possono dire molto sui fatti <strong>in</strong>consci<br />

dei soggetti che li presentano. Nella “Psicopatologia della vita quotidiana”<br />

del 1901, Freud afferma che il meccanismo della formazione dei sogni<br />

può essere allargato anche agli atti mancati e a quelli casuali, poi, ai<br />

lapsus verbali, di lettura e di scrittura (lapsus calami), ai ricordi di copertura,<br />

alle dimenticanze di nomi e ai lapsus visivi e/o uditivi che, spesso, sono alla<br />

base di racconti, testimonianze di resoconti non veritieri o falsi. Ricordiamo<br />

che, William Archibal Speooner (1844-1930), ecclesiastico e educatore <strong>in</strong>glese,<br />

era famoso per i suoi lapsus l<strong>in</strong>guistici <strong>in</strong> cui <strong>in</strong>vertiva le lettere <strong>in</strong>iziali di<br />

due o più parole, con effetti generalmente comici, tipo “strutto stupido” <strong>in</strong>vece<br />

di “brutto stupido” (Clayson A., 2003). Lo stesso John Lennon, anche se<br />

sofferente di disgrafia, giocava con le parole “non-sense” riuscendo a scrivere<br />

due libri e spunti per alcune canzoni. Qu<strong>in</strong>di, è sempre una “nuova” forma di<br />

comunicazione legare il sogno, il s<strong>in</strong>tomo e il lapsus. Freud denom<strong>in</strong>ò questi fatti<br />

col term<strong>in</strong>e generale di “paraprassi” e scrisse che “fu un trionfo per la psicoanalisi<br />

quando giunse a dimostrare che certi atti ord<strong>in</strong>ari delle persone normali,<br />

ai quali nessuno prima aveva cercato di dare una spiegazione psicologica,<br />

dovevano essere considerati alla stessa luce dei s<strong>in</strong>tomi nevrotici; cioè essi<br />

avevano un significato, sconosciuto dal soggetto, ma che poteva essere facilmente<br />

trovato con i mezzi dell’analisi. I fatti <strong>in</strong> questione sono: la dimenticanza<br />

temporanea di nomi e di parole familiari, l’oblio di compiere certi lavori<br />

dovuti, i lapsus della parola e della scrittura, gli errori nella lettura, le<br />

perdite di oggetti, certi sbagli, il ricorso di <strong>in</strong>cidenti apparentemente casuali<br />

nei quali il soggetto si fa del male, e f<strong>in</strong>almente gesti abituali fatti apparentemente<br />

senza <strong>in</strong>tenzione, o per gioco, come per esempio chiacchierare una<br />

canzone... Con i metodi dell’analisi si pensa che tutte queste cose sono strettamente<br />

determ<strong>in</strong>ate e sono l’espressione di <strong>in</strong>tenzioni soppresse dal soggetto<br />

o il risultato dello scontro di due <strong>in</strong>tenzioni, delle quali l’una rimane temporaneamente<br />

o permanentemente <strong>in</strong>conscia” (1916). Ognuno di noi, come<br />

“<strong>in</strong>vestigatore della psiche”, deve essere attento proprio ai lapsus, anche a quelli <strong>in</strong>significanti<br />

(corporei, uditivi, comportamentali, per es.) all’occhio comune, e per varie<br />

ragioni. Non ultimo, perché ci sono delle tracce lanciate, <strong>in</strong>consciamente, dal soggetto<br />

stesso perché l’<strong>in</strong>conscio “vuole” proprio che si scopra la verità e lancia messaggi<br />

sublim<strong>in</strong>ali.


- 16 -<br />

3. Note sul “simbolismo onirico”<br />

Freud <strong>in</strong>troduce il problema del simbolismo onirico e lo def<strong>in</strong>isce fattore<br />

di deformazione onirica che deve essere appaiato alla censura, anche se <strong>in</strong>dipendente<br />

da quest’ultima: il suo scopo è di rendere coperto e nebbioso il sogno stesso.<br />

Com’è noto, l’area del simbolismo è vasta e diversificata: dai miti alle favole,<br />

dai proverbi, ai detti popolari, dalle poesie alle musiche, alle pitture, alle sculture.<br />

Dice Freud che l’ambito delle cose che trovano rappresentazione simbolica è<br />

molto limitato: il corpo umano nel suo <strong>in</strong>sieme, i figli, i genitori, la morte, la<br />

casa, l’acqua (la nascita). La caratteristica fondamentale è che ci sono simboli che<br />

hanno un “taglio” di tipo sessuale, o per lo meno la base fondante è la d<strong>in</strong>amica<br />

edipica e oggi diremmo anche pre - edipica. Al contrario, i sogni dei bamb<strong>in</strong>i<br />

non sono distorti o confusi, ma chiari ed evidenti: il simbolo espresso <strong>in</strong> questi<br />

sogni è quello più semplice e più primitivo che si esprime alla stessa maniera<br />

nella d<strong>in</strong>amica proiettiva dei disegni e dei giochi dei bamb<strong>in</strong>i. Ascoltare di più e<br />

poi aspettare le “<strong>in</strong>terpretazioni” o, meglio, le comunicazioni riguardo al sogno<br />

che i pazienti stessi offrono nelle situazioni relazionali con lo psicologo. In effetti,<br />

diversi sono gli psicoanalisti che non hanno seguito “<strong>in</strong> toto” la l<strong>in</strong>ea di Freud. È<br />

<strong>in</strong>teressante parlare a tutto raggio con le persone <strong>in</strong>terlocutrici, specialmente<br />

con i giovani, seguendo due b<strong>in</strong>ari: una metodologia conversazionale sul sogno, che<br />

si esprime, da una parte, nella totalità del rapporto <strong>in</strong>terpersonale che va al di là del<br />

“dato onirico”, dall’altra una libera associazione di idee che è portata dall’<strong>in</strong>terlocutore<br />

stesso del momento. Questi due b<strong>in</strong>ari di comunicazione devono essere presenti all’attenzione<br />

d<strong>in</strong>amica e “costruttiva” dell’operatore per una buona alleanza di lavoro. Il sogno è, e<br />

resta, una comunicazione nella comunicazione, non è un prodotto speciale dell’<strong>in</strong>conscio<br />

separato dalle parole o dagli altri “atti di parole”, cioè dai comportamenti<br />

proposti e/o attesi nella relazione terapeutica. Il sogno diventa una realtà<br />

d<strong>in</strong>amica allorquando il terapeuta si chiede non tanto il significato tematico e simbolico<br />

del sogno (questo prima o poi emerge), quanto il perché il paziente racconta “questo”<br />

sogno <strong>in</strong> “questo” momento della conversazione o dell’<strong>in</strong>contro e quale messaggio l’<strong>in</strong>conscio<br />

desidera <strong>in</strong>viare, per esempio al gruppo di terapia, alla coppia, alla famiglia. Nel<br />

lavoro terapeutico onirico e gruppale verranno fuori sia un <strong>in</strong>teresse e sia un’attesa<br />

anche nei confronti degli elementi tematici e simbolici, ma soprattutto logici,<br />

che emergono dalla situazione <strong>in</strong>terpersonale del momento. Non e’ un problema<br />

soltanto di “conoscenza” ma anche di “convivenza” nel rapporto cl<strong>in</strong>ico.<br />

Questa d<strong>in</strong>amica è osservabile, <strong>in</strong> molti casi durante le psicoterapie di gruppo<br />

e di coppia, allorché un membro stimola il ricordo del sogno di un altro<br />

membro, o un s<strong>in</strong>tomo portato da un altro membro nasconde il ricordo di un<br />

sogno, o alimenta un altro s<strong>in</strong>tomo che, a sua volta, fa “ricordare” un fatto o un<br />

sogno, proprio durante le d<strong>in</strong>amiche conversazionali a c<strong>in</strong>que livelli (Agresta F.,<br />

1997; 2001; 2002). In questi casi la libera associazione del dialogo tra i membri<br />

del gruppo aiuta il terapeuta a “trovare“ la via regia nell’<strong>in</strong>conscio di gruppo attraverso<br />

sogni di copertura, di dimenticanze di nomi e di produzioni di lapsus<br />

visivi e / o uditivi che spesso, sono alla base di racconti, testimonianze di resoconti<br />

non veritieri o falsi.<br />

4. Lapsus di vita quotidiana...<br />

E’ molto importante, per il nostro lavoro, prestare la massima attenzione<br />

a tutti i lapsus, anche a quelli sottili e, all’apparenza, <strong>in</strong>significanti: spesso il<br />

soggetto “<strong>in</strong>treccia” una parola con un’altra ad es. nom<strong>in</strong>a uno zio di nome


- 17 -<br />

“Tonio” quando <strong>in</strong>vece voleva riferirsi alla cug<strong>in</strong>a “An-tonia”, che rappresentava<br />

un personaggio importante della sua vita. Lella scrive una parola su un foglietto<br />

e lo lascia <strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a... quando <strong>in</strong> realtà voleva nasconderlo agli altri...<br />

Gigi dimentica le chiavi a casa per non andare al suo ufficio a causa di un grave<br />

motivo familiare, mentre deve andarci perché ne ha proprio bisogno. Ecco<br />

altri brevi esempi di lapsus nella vita quotidiana che abbiamo registrato negli<br />

anni: 1. Maria, 58 anni: “Ho avuto un rapus”, dice. Lei è una donna molto<br />

arrabbiata con sua madre Lilla di 82, verso cui riserva sempre molto rabbia e<br />

aggressività repressa. Questo lapsus è un esempio di una “condensazione” di<br />

due parole: “raptus e rabbia”. 2. Augusto, 45 anni, un musicista molto bravo,<br />

ma fobico e ansioso, mentre faceva le prove ed era stato costretto dagli altri<br />

amici, suo malgrado, a suonare, alternativamente, sia la chitarra, sia il basso e,<br />

nel contempo, gli era stato proibito di fumare nella sala prove, appena si avvic<strong>in</strong>a<br />

una pausa afferma canticchiando: “Dopo il basso e la chitarra vorrei suonare<br />

una multifilter, hàhàhà... risata – bella questa... fumare una multifilter!”.<br />

Con questo lapsus aveva potuto “fare” le due cose proibite: fumare e suonare<br />

contemporaneamente (nella sua mente), lui che non sopporta le restrizioni!<br />

3. Danilo, un giovane all’Università, durante una lezione sul “Complesso di<br />

castrazione”, dopo che era stato ripreso dal docente per il suo chiacchierare,<br />

dice, come per farsi “assolvere”: “Professore, le volevo chiedere... ma mi sembra<br />

che tutto ciò che lei ha detto sia solo ‘crastrazione’... oddio, cioè... castrazione!”.<br />

4. Gianni, 45 anni, parlando <strong>in</strong> tipografia dei lavori al computer degli<br />

articoli della <strong>Rivista</strong> ‘<strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>’, fa dei lapsus “simpatici” nella<br />

misura <strong>in</strong> cui la rivista stessa, per il basso costo e il poco guadagno che rende<br />

loro, non lo soddisfa. Comunque, è entusiasta per gli articoli che divora...<br />

Così, una volta, ha detto, parlando della <strong>Rivista</strong>: “Mi piace... polpett<strong>in</strong>e <strong>in</strong><br />

protettive” (lo renderebbe a ‘polpett<strong>in</strong>e’- ma ‘protettive’!). 5. Rosy, 32 anni, è<br />

attaccata alla figlioletta di 6 anni che piange e si lamenta sempre. Rosy, <strong>in</strong>contrando<br />

la sua amica Amalia, che non rivede da tempo, dice: “Questa bamb<strong>in</strong>a<br />

‘piaga’... piangia... no, sì, volevo dire piange sempre...”. 6. Raffaella, giovane<br />

e brava <strong>in</strong>segnante di 32 anni, è <strong>in</strong>decisa se cont<strong>in</strong>uare a studiare per una seconda<br />

laurea o fare la “Psicologa”. Lei ha già un lavoro di ruolo e <strong>in</strong>contra<br />

Mauro, un suo amico tanto bravo che studia “<strong>Psicologia</strong>”; rispondendo alla domanda<br />

di lui, circa il suo futuro, Raffaella così dice: “Non so se faccio la<br />

(s)picologa, hai capito Mauro che lapsus?... Non so se farò la psicologa!”.<br />

7. Gemma, 40 anni, commessa <strong>in</strong> un negozio, chiacchiera con una conoscente<br />

e, siccome ha la suocera <strong>in</strong> casa ma non vuole dire alla sua amica delle cont<strong>in</strong>ue<br />

discussioni con lei (mentre l’amica se ne è andata a vivere da sola col marito!),<br />

accenna a qualche diverbio e poi sottol<strong>in</strong>ea che: “Insomma, Giovà, tutto<br />

sommato con mia suocera è una cosa ‘sfastisiosa’ a casa... (e farfugliando)... sì,<br />

è una cosa fastidiosa a casa!”. 8. Jane, al tiroc<strong>in</strong>io, leggendo un libro <strong>in</strong> cui vi<br />

era scritto “M. Biondi” (Em<strong>in</strong>ente Professore di Psicosomatica) legge: “Mario<br />

Biondi” <strong>in</strong>vece di Massimo Biondi... il Dott. riferisce il lapsus alla vena artistica<br />

della ragazza la quale si dedica molto all’attività teatrale e “squalifica” la<br />

psicosomatica e il professore che non riesce ancora a “curarla”. 9. La Dott. ssa<br />

Venazi lascia l’ombrello alla stanza del tiroc<strong>in</strong>io... dopo che ha ricevuto una<br />

castrazione e ha accettato il riconoscimento del “potere <strong>in</strong> mano al maschio”...<br />

torna tre giorni dopo e dice: “Che per caso ho lasciato un basto... oddio!<br />

L’ombrello!”.


- 18 -<br />

5. Lapsus... del corpo (alcuni spunti dei paragrafi 5-6 sono stati tratti<br />

dal libro di Vittorio Caprioglio: Dove si svelano i ‘segreti’, Riza, Milano, 2006).<br />

Oltre a rappresentare il tramite motorio ed espressivo dei contenuti psichici<br />

coscienti, il corpo è ciò che dà forma e consistenza agli stati emotivi profondi.<br />

Questo comporta che, attraverso i suoi movimenti, il corpo diviene il tramite<br />

espressivo dei contenuti <strong>in</strong>consci negati e del “non detto”. Tramite<br />

posture e movimenti <strong>in</strong>volontari, così come attraverso particolari lapsus, il<br />

corpo può diventare il luogo delle rivelazioni e, a volte, della mistificazione<br />

del parlato. Oltre a <strong>in</strong>fluenzare la quantità e la qualità del movimento, i processi<br />

<strong>in</strong>consci danno anche orig<strong>in</strong>e ad alcune movenze completamente estranee<br />

alla razionalità. Questo avviene soprattutto quando l’<strong>in</strong>conscio si trova <strong>in</strong><br />

una situazione di particolare contrasto con la parte più vigile e cosciente, per<br />

cui si hanno due sp<strong>in</strong>te contrapposte provenienti dalle due parti. Una delle<br />

modalità di espressione tipiche di un <strong>in</strong>conscio che <strong>in</strong> qualche modo preme<br />

è, come dicevamo, il “lapsus corporeo ” .<br />

6. I lapsus motori<br />

Accanto al “lapsus verbale” esiste <strong>in</strong>fatti il “lapsus motorio” descritto<br />

da Murphy. Questo Autore riporta come esempio l’aneddoto del ripetuto cadere<br />

della penna a un suo paziente mentre questi stava scrivendo l’assegno a<br />

saldo della terapia. Murphy <strong>in</strong>terpretò questa particolare co<strong>in</strong>cidenza come<br />

<strong>in</strong>equivocabile segno di aggressività nei suoi confronti e rielaborò dunque il<br />

fatto con il paziente, dandogli un foglio di carta su cui scrivere quello che sentiva:<br />

il paziente, dopo aver scritto dei numeri, <strong>in</strong>iziò a tracciare delle grandi X<br />

e poi a trafiggere con la penna il foglio di carta davanti a lui, manifestando<br />

così apertamente la sua aggressività, che prima aveva <strong>in</strong>vece irrazionalmente<br />

espresso tramite il cont<strong>in</strong>uo cadere della penna. Vediamo un altro esempio.<br />

Un paziente era solito allungare verso il basso il proprio maglione ogni volta<br />

che doveva svolgere un esercizio o un’esperienza di contatto fisico temuta e<br />

che rappresentava per lui un grosso nodo conflittuale. Il suo era sicuramente<br />

un gesto molto significativo perché gli permetteva di fermarsi, di non vivere<br />

quel momento traumatizzante, di censurarlo <strong>in</strong>consciamente mettendosi al sicuro.<br />

È da notare qui la modalità del gesto: il tirarsi giù il maglione, allungandolo<br />

a dismisura, serviva a quel soggetto per coprire le parti basse, gesto tanto<br />

più significativo <strong>in</strong> quanto eseguito <strong>in</strong> risposta a una richiesta di contatto e con<br />

un vissuto decisamente sessuofobico. Anche il ripetuto urtare contro le cose <strong>in</strong><br />

determ<strong>in</strong>ate circostanze assume un significato specifico. Questo lapsus motorio<br />

<strong>in</strong>fatti compare spesso <strong>in</strong> presenza di fattori altamente destabilizzanti per il<br />

soggetto, che si trova a reagire con una padronanza e una modalità di occupazione<br />

dello spazio improvvisamente difettose, con una confusione spaziale che<br />

diventa spesso anche dolorosa (l’urtare). Un altro gesto rivelatore tipico è l’atto<br />

di ravviarsi i capelli, che può assumere vari significati: per esempio lo si riscontra<br />

<strong>in</strong> momenti di grande ansia, <strong>in</strong> cui il conduttore si propone di <strong>in</strong>frangere<br />

simbolicamente certe rigidità attraverso movimenti molto liberi, “troppo” liberi<br />

per quel particolare soggetto. Questi gesti, <strong>in</strong>fatti, lo mettono <strong>in</strong> contatto<br />

con una realtà potenzialmente più d<strong>in</strong>amica, ma anche più carica di <strong>in</strong>sicurezza<br />

e pericoli. In fase di rielaborazione, quel ravviarsi nervosamente i capelli fu<br />

verbalizzato da un soggetto come un “rimettersi a posto capelli e pensieri”,<br />

diventando cosi il tentativo di far chiarezza e ord<strong>in</strong>e...


- 19 -<br />

7. I gesti che neutralizzano le emozioni<br />

I gesti, dunque, servono a volte per ristabilire un equilibrio che è venuto<br />

a mancare, per dar voce a qualcosa che è rimasto troppo a lungo soffocato,<br />

per difendere dal pericoloso impatto di stati emotivi troppo violenti... In<br />

tutte queste situazioni, ciò che avviene è spesso un conflitto tra due forze d<strong>in</strong>amicamente<br />

<strong>in</strong> opposizione (raggruppare o disperdere, liberare o r<strong>in</strong>chiudere,<br />

accettare o negare ecc.). A causa di tale contrasto, capita allora che alcuni<br />

movimenti, pur partendo con una certa f<strong>in</strong>alità espressiva, non riescano<br />

a raggiungerla, perché bruscamente bloccati dall’<strong>in</strong>tento opposto. Una fermata<br />

improvvisa, l’atto di sedersi per poi subito alzarsi <strong>in</strong> piedi o un repent<strong>in</strong>o<br />

cambiamento di ritmo, significano allora che esiste un’<strong>in</strong>terferenza conflittuale,<br />

più o meno <strong>in</strong>conscia, con l’<strong>in</strong>tenzione <strong>in</strong>iziale. Altri <strong>in</strong>dizi <strong>in</strong>teressanti<br />

sull’<strong>in</strong>terlocutore che ci sta di fronte possono derivare, per esempio,<br />

dalla quantità di energia da lui utilizzata.<br />

Così, un <strong>in</strong>dividuo particolarmente aggressivo che mantiene però repressa<br />

la sua aggressività, sarà riconoscibile per un costante eccesso di energia,<br />

che verrà espressa tanto nell’uso del movimento quanto nell’occupazione dello<br />

spazio. Ugualmente si verificherà con un soggetto esageratamente rigido. Al<br />

contrario, una persona che non sia veramente co<strong>in</strong>volta (o che non voglia<br />

co<strong>in</strong>volgersi) <strong>in</strong> una situazione, avrà un modo di muoversi costantemente<br />

“sottotono”, con movimenti lenti, strascicati e animati da scarsa energia.<br />

8. I movimenti empatici<br />

Il livello di s<strong>in</strong>cronia tra due o più persone impegnate <strong>in</strong> un’<strong>in</strong>terazione<br />

reciproca è un altro importante “segnale” da decodificare. Durante<br />

una conversazione, per esempio, i movimenti s<strong>in</strong>cronici sono quelli che <strong>in</strong>dicano<br />

un grado crescente di co<strong>in</strong>volgimento tra oratore e ascoltatore (annuire<br />

<strong>in</strong>sieme con la testa, cambiare contemporaneamente posizione, prendere<br />

nello stesso momento il bicchiere ecc.). Più questo co<strong>in</strong>volgimento è <strong>in</strong>tenso,<br />

più si avrà l’impressione, osservando la situazione dall’esterno, che le persone<br />

co<strong>in</strong>volte si muovano come se fossero... un’unica persona. Al contrario, se<br />

tra due persone si evidenzia un movimento non s<strong>in</strong>cronico, significa che non<br />

si condividono le idee o le affermazioni degli altri o si vuole affermare la diversità<br />

delle proprie.<br />

9. Lapsus... <strong>in</strong> Psicoterapia<br />

1. Dory, 27 anni, una giovane <strong>in</strong> analisi molto conv<strong>in</strong>ta - a livello cosciente<br />

- delle sue nuove scelte <strong>in</strong> amore dice: “Stavo parlando col mio ex...<br />

oddio! No, (ride), che ho detto... col mio ragazzo!”. In una d<strong>in</strong>amica di<br />

gruppo ci sono una “madre”, Laura, molto rigida, ma ora un po’ più “liberale”<br />

<strong>in</strong> fatto di licenze amorose delle ragazze del gruppo, e Noemi, la “classica”<br />

figlia del gruppo che, ancora verg<strong>in</strong>e, ha com<strong>in</strong>ciato a tarda età a<br />

“flirtare” un po’ col secondo partner della sua vita. Noemi dice ai membri<br />

del gruppo che, per lei, questa esperienza “non è una cosa seria, la prendo<br />

sportivamente”; subito la “madre” le risponde: “Ora che la prendi sportivamente,<br />

prendi veramente una coppa, oh, nooo... volevo dire ‘una cotta’...!”.<br />

Tutti ridono nel gruppo: ora non c’è più rigidità tra la “madre” e la figlia che<br />

– sempre dipendente dal giudizio della madre reale e piena di sensi di colpa<br />

reali - può com<strong>in</strong>ciare a conoscere le “coppe” dei ragazzi, ma anche le cotte,


- 20 -<br />

quando lei aveva grandi paure riguardo al sesso. 2. Jenny, una signora, <strong>in</strong><br />

terapia di coppia col marito, riportando le parole di una sua amica dice: “Lei<br />

mi diceva che la madre aveva un tumore... oddio, che ho detto? Mi scusi dottore,<br />

volevo dire un timore!” In verità, sua madre era morta di tumore un<br />

anno prima e di questo spesso si parlava <strong>in</strong> terapia perché Jenny,<br />

patologicamente legata alla madre, non aveva ancora “accettato” la morte di<br />

lei; mentre voleva <strong>in</strong>consciamente “far morire” anche la madre della sua<br />

amica più fortunata. 3. Gianna, una giovane di 24 anni con struttura perversa<br />

(a dodici anni era una anoressica di 28 chili di peso e ora è una bulimica<br />

di 120 chili), al secondo colloquio parla di problemi <strong>in</strong> generale, e anche degli<br />

orari del suo addormentamento. Gianna è molto chiusa e così le chiedo:<br />

“E il sonno come va?”. E lei: “Non ho mai avuto problemi. Anzi, da quando<br />

si è svegliata mia sorella sono andata a dormire con mia nonna”. Mi rendo<br />

conto del lapsus (‘svegliata’) e le chiedo: “Cosa significa svegliata?”. “Svegliata?<br />

Perché, ho detto ‘svegliata’?. “Sì”. E lei: “No, volevo dire ‘sposata’ (ride)...<br />

da allora io dormo con mia nonna...”. “Qu<strong>in</strong>di lei dorme con sua nonna?”.<br />

“Sì, dottore, io ho paura a dormire da sola. Da quando ero piccola ho dormito<br />

con mia madre, poi da quando si è sposata mia sorella sono andata a dormire<br />

con mia nonna. Infatti, ho lasciato la vecchia sede dell’Università e<br />

sono tornata qui perché non riuscivo a stare da sola!”. Conclusione: “Allora<br />

lei ha problemi di sonno, è così? Mi aveva detto che non ne aveva?”. E com<strong>in</strong>cia<br />

a parlare della sua paura a stare da sola, a non sopportare i vuoti, i<br />

‘buchi neri’ che vede di notte che riempie col cibo! 4. Mary, nella verbalizzazione<br />

del ‘Piccolo Lago’, <strong>in</strong> una seduta di Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g A. con V.G., dice: “No,<br />

nessuna novità... nella visualizzazione ho visto tutto, ma non trovavo elementi<br />

miei, seguivo la lezione (lapsus), ma...”. Intervento: “Lezione? Lezione di<br />

scuola? Qui c’entra un professore d’<strong>in</strong>glese!”. Lei: (tossisce... tenta di parlare...):<br />

“E’ vero, ricordo il mio professore di <strong>in</strong>glese delle superiori che ha<br />

sempre avuto una grande ammirazione per me, era sempre molto protettivo<br />

nei miei riguardi e spesso mi faceva battere il cuore!”. 5. Anna, studentessa<br />

di psicologia, durante un Sem<strong>in</strong>ario di Psicosomatica, racconta: “Come faccio<br />

da ormai quasi 2 anni, un giorno alla settimana mi <strong>in</strong>contro con i colleghi<br />

dell’università per apprendere ‘teorie e tecniche’ che non si trovano sui<br />

libri che di norma si utilizzano nel nostro corso di laurea. A volte leggiamo<br />

pezzi di alcune sedute che vengono fatte da pazienti presi <strong>in</strong> cura dal Dottore<br />

Leader; ci serve per capire meglio la situazione, per capire cosa accade<br />

nella testa di questi pazienti. In effetti a me leggere cosa dicono due pazienti<br />

<strong>in</strong> seduta mi aiuta molto, anche per sapere cosa fare per aiutarli nel cambiamento.<br />

La seduta che stavo leggendo ed <strong>in</strong>terpretando con un mio collega<br />

che faceva la parte di mio marito angosciato, mi <strong>in</strong>teressava molto anche<br />

perché la donna era un po’ ‘isterica’ e molto spesso tra amiche ci diciamo di<br />

essere isteriche (nel senso simpatico del term<strong>in</strong>e, se ne esiste uno). Si parlava<br />

di un’eredità che doveva essere divisa tra le sorelle, qu<strong>in</strong>di tra la donna isterica<br />

e la sorella. Mentre leggevo una battuta, che faceva più o meno così: ‘(...)<br />

mia sorella doveva impugnare il testamento’, io ho letto: (...) mia sorella doveva<br />

impegnare il testamento”. Il Dottore, giocando sul lapsus ha subito aggiunto<br />

(senza sapere nulla): “È una questione di eredità?”. “E così, a ridere,<br />

un po’ di <strong>in</strong>credulità...”. Tutto ciò è dovuto al fatto che, <strong>in</strong> effetti, <strong>in</strong> quei<br />

giorni nella mia famiglia si stava parlando della divisione delle proprietà dei


- 21 -<br />

miei genitori. Dopo 16 anni è nata mia sorella, molto voluta dai miei genitori<br />

e soprattutto da me che avendo un fratello più grande ho sempre desiderato<br />

un’amica-sorella. Prima che nascesse mia sorella, mio padre aveva già<br />

fatto una sorta di divisione dell’eredità e adesso, visto che le case erano due<br />

(una per me ed una per mio fratello), mio padre sta costruendo una villa che<br />

verrà data a mio fratello; a me è toccata la casa che non desideravo e adesso<br />

sto ridendo mentre scrivo e capisco che forse è come se mia sorella avesse<br />

‘impegnato’ la casa che volevo io, quella <strong>in</strong> cui viviamo adesso. In effetti, ha<br />

‘impegnato’ anche la mia cameretta visto che non ne vuole una tutta sua”. 6.<br />

Mara, 26 anni, commessa <strong>in</strong> un negozio di moda, ha cambiato partner da 6<br />

mesi, parla male del suo vecchio ragazzo che ha lasciato perché lui l’ha tradita<br />

e <strong>in</strong>nalza il nuovo ragazzo e dice: “Eh, dottore, le volevo dire che ho pensato<br />

al mio ragazzo (quello attuale) e devo dire che è meglio di quello attuale...<br />

non mi vergogno a dirlo”. T.: “Lei qui può dire ciò che vuole senza censure...”.<br />

Mara: “No, no, non voglio parlare male di nessuno... stavo pensando<br />

che una parte di colpe le ha avuto mia madre e c’è quella strega... oddio<br />

volevo dire quella strana madre del mio ex che non voleva che io stessi col<br />

figlio!”. 7. Rosanna, 30 anni, <strong>in</strong>segnante, <strong>in</strong> attesa di <strong>in</strong>oltrare alcune pratiche<br />

per ottenere l’annullamento del suo matrimonio al Tribunale Ecclesiastico,<br />

si sta dando da fare per parlare con due sacerdoti che le <strong>in</strong>dich<strong>in</strong>o la strada<br />

giusta... “Dottore, ho parlato con un prete che è il braccio Vescovo del...<br />

Vescovo... (Un Prete quasi al di sopra del... Vescovo!). Dopo due mesi un altro<br />

lapsus... Ora, <strong>in</strong> attesa di documenti che non arrivano, Rosanna racconta<br />

un sogno: “Ho sognato che ‘il mio ex marito’ (sic!) mi <strong>in</strong>viava una lettera a<br />

favore del matrimonio, oddio! Dell’annullamento!”. 8. Giuseppe, 54 anni,<br />

manager, trattato sia con terapie mediche specialistiche <strong>in</strong> Ospedale, sia con<br />

la Psicoterapia analitica perché, già <strong>in</strong>viato dal Reparto, soffriva di un<br />

l<strong>in</strong>foma non-Hodg<strong>in</strong>g, nel suo lungo percorso terapeutico, 5 anni di <strong>in</strong>dividuale<br />

e 5 di gruppoanalisi, ha fatto diversi lapsus <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua e con atti<br />

comportamentali. Questi sono stati molto significativi, <strong>in</strong> diverse occasioni.<br />

All’<strong>in</strong>izio della cura, dopo sei mesi di terapia (con tre sedute a settimana f<strong>in</strong>o<br />

a otto mesi, per passare poi a due e poi ad una seduta, per tre anni), stava<br />

ancora male e non ancora entrava “dentro” l’analisi. Gli <strong>in</strong>contri erano stati<br />

stabiliti, per un periodo, qualche volta alle 9,00 di matt<strong>in</strong>a, ed altre volte alle<br />

19,00 di pomeriggio. In una settimana <strong>in</strong> cui non riusciva a dormire, anche<br />

se le analisi erano positive ma i debiti con le Banche lo facevano stare sempre<br />

<strong>in</strong> piedi, Giuseppe era molto depresso per il fallimento della sua ditta e<br />

per il suo socio; aveva problemi di soldi... si stava organizzando per vendere<br />

degli immobili... ma le banche non aspettavano. Dopo due sogni <strong>in</strong> cui aveva<br />

ricordato che una zia ricca gli aveva regalato 100.000 lire, quando lui era<br />

maggiorenne (durante la guerra), e lui la sognava che da un balcone (abitavano<br />

nello stesso palazzo di famiglia con tutti i parenti) gli lanciava molti soldi.<br />

In analisi, si era parlato di questo passato di ricchezza e del bene della zia<br />

Erm<strong>in</strong>ia... La seduta si svolgeva alle ore 19,00 di ogni mercoledì pomeriggio<br />

(alle “sette”, come spesso si dice <strong>in</strong> un l<strong>in</strong>guaggio familiare)... e una sera attesi<br />

<strong>in</strong>vano, Giuseppe, che non mancava mai alle sedute. Il venerdì matt<strong>in</strong>a,<br />

alla seconda seduta settimanale, alle ore 9,00, arriva Giuseppe e mi dice che<br />

era rimasto un po’ scosso perché non lo avevo atteso. Abbiamo parlato e ho<br />

chiesto io, perché lui non era venuto... G.: “Dottò, io sono venuto alle 7 pre-


- 22 -<br />

cise, ho suonato più volte e me ne sono andato...”. T.: “Io ero qui e lei non è<br />

venuto; ma, alle sette o alle diciannove?”. G.: “Sono venuto, ho suonato diverse<br />

volte...”. T.: “Sì, Giuseppe, ma l’orario era alle 19,00 e lei è venuto alle<br />

7 di matt<strong>in</strong>a!”. G.: “Oddio... è vero... lapsus... alle sette di matt<strong>in</strong>a”. T.:<br />

“Come mai alle sette?”. G.: “Ora sto ricordando che alle sette... ieri matt<strong>in</strong>a<br />

sono andato a Vasto, dovevo andare con Piero, il mio amico “Salvatore” che<br />

mi prestava dei soldi; ma ieri sono andato... ho anticipato di un giorno e<br />

l’ora... e, ma qui si paga sempre!”. 9. Mary e Gianni, una coppia giovane che<br />

sta uscendo da una crisi, hanno ripreso i loro rapporti, a tutti i livelli, dopo<br />

che i due figli, di 7 e 5 anni, sono stati “educati” a dormire nella loro cameretta.<br />

Qualche volta si svegliano e vanno al lettone ed è una lotta col marito.<br />

Mary dice: “All’improvviso mi sono (s)venuti a svegliare..., cioè venuti... e<br />

mi ha <strong>in</strong>fastidito perché stavo sognando e ho detto loro: ‘Non dovete venire<br />

a disturbarmi’”. 10. La signora Ad<strong>in</strong>a, che ora sta meglio, ha avuto grossi<br />

problemi di conflitto con sua madre e con la suocera. Ora le cose vanno meglio,<br />

vive da sola col marito e due figli, ma le sue gelosie non si<br />

placano.Trova sempre problemi esterni per canalizzare e proiettare ancora i<br />

suoi conflitti <strong>in</strong>terni. Una sua amica le racconta che il suo fidanzato, che lei<br />

conosce, fa tanti regali alla cognata: “Oddio i regali che le fa!- mi ha detto<br />

Ad<strong>in</strong>a... Comunque, a proposito, l’altra matt<strong>in</strong>a, dottore, mia suocera ha<br />

aperto la porta e si è trovato <strong>in</strong> mazzo di suocere... di rose!”. 11. Medea, 35<br />

anni, stava così male che non riusciva a staccarsi dal figlioletto di 2 anni e nel<br />

periodo del “caso-Cogne” sentiva che “doveva farlo”... Ha rischiato di uccidere<br />

il suo bamb<strong>in</strong>o Ulrik ma, con la psicoterapia il problema si è risolto.<br />

Ormai la separazione dal figlioletto andava avanti tanto che Ulrik frequentava<br />

la Scuola Materna e si avvic<strong>in</strong>avano le vacanze estive. Medea ha sempre<br />

paura del distacco di Ulrik, o meglio, da Ulrik. La scuola, quell’anno si chiudeva<br />

il 5 giugno per le elezioni e lei mi dice: “Dottore, da maggio va bene la<br />

matt<strong>in</strong>a la seduta perché l’asilo si chiude il 5 maggio!”. T.: “Perché, si chiude<br />

prima?”. M.: “No, dottore... ho sbagliato...”. 12. Ulderico, 28 anni, un giovane<br />

analizzando, <strong>in</strong> conflitto d<strong>in</strong>amico con il Terapeuta, racconta questo sogno,<br />

durante il percorso <strong>in</strong> cui sta per “confrontarsi” con il fantasma padre/<br />

terapeuta. Accettazione del valore e contemporanea svalutazione dell’identificazione<br />

transferale. Un lapsus attraverso il racconto di un sogno di<br />

transfert. U.: “Dottore, ho sognato che c’era una persona con un vestito moderno<br />

e aveva il volto che assomigliava a un mio vic<strong>in</strong>o di casa (come un familiare),<br />

Alberto, e aveva gli occhi scusi... e i capelli bianchi... un po’ come<br />

lei! Che macello”. 13. Franco, 25 anni, al primo colloquio, viene accompagnato<br />

da una sorella, la quale rimane <strong>in</strong> sala d’attesa... Mentre espone il suo<br />

problema di alcol e dipendenze varie afferma che, prima di venire <strong>in</strong> famiglia<br />

hanno discusso e la sorella ha voluto accompagnarlo: “Infatti, di là c’è<br />

mia ma..., cioè mia sorella” (la sorella ha 44 e le ha fatto quasi da mamma!).<br />

Chiarisce, durante il colloquio, dopo il lapsus, che, <strong>in</strong> effetti, non sa bene<br />

quale delle due sia la “vera” madre... 14. Vera, 33 anni, problemi di “sudorazione”<br />

alle mani e con prurito psicosomatico. Durante un colloquio, lei chiusa<br />

e alessitimica, parlando dei risultati ottenuti, per la prima volta ne parla<br />

apertamente e “<strong>in</strong>trecciando la l<strong>in</strong>gua” dice: “Dottore, ho talmente tatto<br />

ottenuto... oddio!... Ho tratto tanto beneficio dalla cura che non ci credo!”.<br />

15. Luigi, 33 anni, <strong>in</strong>gegnere, è <strong>in</strong> terapia da due anni per problemi ossessivi.


- 23 -<br />

Nel periodo <strong>in</strong> cui stava cambiando ha com<strong>in</strong>ciato a produrre parecchi<br />

“lapsus”. Questo mi sembra particolare: a proposito di conti che non gli tornavano,<br />

dice di seguito: “...come tontano i corni... oddio che dico... come contano<br />

i torni... oddio sono matto... come tornano i conti”. 16. G<strong>in</strong>o, 40 anni.<br />

Aveva delle idee un po’ paranoidee e qualche volta si sente perseguitato. In<br />

più aveva fatto uso, qualche volta, di droghe leggere. Qualche volta va <strong>in</strong> bici e<br />

durante una seduta, ricordando il campione Marco Pantani dice: “Veramente<br />

PATTANI si drogava, cioè PACCIANI, no, no... Pantani!”.<br />

2. Altri esempi riportati dalla pratica cl<strong>in</strong>ica gruppoanalitica e giornaliera:<br />

1. Patty, durante gruppo, racconta questo sogno: “C’era una cicogna”, si<br />

corregge, voleva dire “oca”, ma ripete di nuovo “cicogna”... Patty è madre di<br />

due bamb<strong>in</strong>i ed è sempre preoccupata per il maschietto...poi, dopo questo lapsus,<br />

le chiedo se voleva fare un altro bamb<strong>in</strong>o...). 2. Roby al gruppo (raccontando<br />

un sogno): “Ero a lezione”...si corregge, voleva <strong>in</strong>tendere “ero <strong>in</strong> seduta”...<br />

il T. riferisce questo lapsus anche al fatto che la giovane vorrebbe laurearsi<br />

<strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>, ma il lavoro non le lascia molto tempo per dedicarsi allo studio<br />

e, qu<strong>in</strong>di, lei, <strong>in</strong> questo momento, sta “a lezione” e non <strong>in</strong> “analisi”. 3. L<strong>in</strong>a,<br />

una paziente di undici anni e mezzo - con s<strong>in</strong>tomi pre-anoressici - mentre racconta<br />

<strong>in</strong> seduta un sogno edipico, riferendosi a suo padre dice: “Mio marito”<br />

al posto di “Mio padre”. Una volta accortasi del lapsus, si è corretta dicendo:<br />

“Il marito di mia madre”. La medesima paziente, verso la f<strong>in</strong>e della seduta, ha<br />

chiesto alla psicologa: “Quando f<strong>in</strong>isce la seduta? Alle 20.10?” (la seduta era<br />

<strong>in</strong>iziata alle 20.10). 4. Mario, un professore, a scuola, sta parlando con un collega<br />

della difficile situazione che è costretto a subire all’<strong>in</strong>terno dell’ambito<br />

scolastico; il collega, percependo l’aggressività dell’<strong>in</strong>terlocutore, gli dice:<br />

“Certo che hai proprio delle gratte/gatte da pelare!”. 5. Lucio, un componente<br />

di un gruppo di psicoterapia - parlando con visibile trasporto emotivo del<br />

nuovo lavoro che sta <strong>in</strong>iziando - riferendosi al suo nuovo titolare, afferma:<br />

“Alla f<strong>in</strong>e di questo primo periodo di prova potrà valutare il mio livello di<br />

apprensione... ehhh, di apprendimento”.<br />

*LEZIONI SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IPAAE (Istituto di Psicoterapia<br />

Analitica e Antropologia Esistenziale; Dir: Dott. D. Romagnoli - Ric. MIUR),<br />

Pescara, A.A. 2008-2009 - Terzo Anno di Specializzazione.<br />

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2002, (Fasc. 27);


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5. Agresta F., (2002), L’unità mente - corpo <strong>in</strong> psicoterapia psicoanalitica, <strong>in</strong>, N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong><br />

<strong>Psicologia</strong>, n.2, novembre 2002 (Fasc. n. 28);<br />

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Naz. di studio e formazione: Il sogno e i sogni: la vita attraverso i sogni, Montesilvano,<br />

30 aprile 2004, Organizzato da: Università di L’Aquila, Scienze della Formazione;<br />

8. Agresta F., (2005), S. H. Foulkes e la Gruppoanalisi, N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>, Anno<br />

XX, maggio 2005, n. 1, fasc. n. 33;<br />

9. Agresta F., (2005), S. H. Foulkes: Dal corpo del gruppo al corpo del sogno (seconda parte),<br />

N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>, Anno XX, novembre 2005, n. 2, fasc. n. 34;<br />

10. Agresta F., (2006), Introduzione alla Psicosomatica, Appunti delle lezioni Università<br />

G. d’Annunzio, Chieti - Pescara, maggio-giugno;<br />

11. Agresta F., (2007), Psicosomatica cl<strong>in</strong>ica e processo di mentalizzazione, <strong>in</strong>, Quaderni di Psicoterapia<br />

dell’IREP (a cura di L. Cianciusi, M. Baldassarre, P. Petr<strong>in</strong>i), “Famiglie oggi e<br />

psicopatologia. Famiglie ieri e nuove patologie emergenti”, Alpes, Roma;<br />

12. Agresta F., (2008), La relazione terapeutica nel paziente psicosomatico, <strong>in</strong> “Le relazioni che<br />

curano” (a cura di P. Petr<strong>in</strong>i, P. Zucconi), Pres. N. Dazzi, Alpes, Roma;<br />

13. Agresta F., (2010), Il L<strong>in</strong>guaggio del corpo <strong>in</strong> psicoterapia. Glossario di psicosomatica, (Pref.<br />

Piero Parietti), Alpes, Roma;<br />

14. Freud S., (1893 - 1895), Studi sull’Isteria, Opere Bor<strong>in</strong>ghieri Tor<strong>in</strong>o, Vol.1, 1967;<br />

15. Freud S., (1901), Psicopatologia della vita quotidiana, Bor<strong>in</strong>ghieri, Tor<strong>in</strong>o, Vol. 2, 1967;<br />

16. Freud S., (1915-1917), Introduzione alla Psicoanalisi e altri scritti, Opere Bor<strong>in</strong>ghieri, Tor<strong>in</strong>o,<br />

1976.<br />

°Fausto Agresta è Psicologo, Psicoterapeuta analista, Gruppoanalista, Libero Professionista.<br />

Direttore Centro Studi di <strong>Psicologia</strong> e Psicosomatica Cl<strong>in</strong>ica (CSPP) e Direttore Responsabile<br />

della <strong>Rivista</strong> N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong> e Coord<strong>in</strong>atore della SIMP Pescarese. Prof. a<br />

c. di Psicosomatica e Compiti vitali, Cattedra di <strong>Psicologia</strong> Cl<strong>in</strong>ica (Prof. M. Fulcheri), Facoltà<br />

di <strong>Psicologia</strong>, Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara. Ha <strong>in</strong>segnato all’Università<br />

di L’Aquila <strong>Psicologia</strong> Generale, Psicosomatica e <strong>Psicologia</strong> Sociale. E’ Docente e Didatta di<br />

Psicosomatica all’IPAAE ed altre Scuole di Specializzazione.<br />

°°Andrea Mosca è Dottore <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong> e responsabile della Segreteria di Redazione <strong>Rivista</strong><br />

N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>. Membro del CSPP (Dir. F. Agresta) e socio della SIMP.<br />

Indirizzi E-mail: fagresta@hotmail.com<br />

andreamosca1@libero.it


- 25 -<br />

INTERVISTA A GIOVANNI JERVIS<br />

Nota Redazionale di Domenico Agresta<br />

A distanza di diversi anni e <strong>in</strong> occasione della recente scomparsa del<br />

Prof. G. Jervis, la <strong>Rivista</strong> Pospettive <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong> ripropone nel suo testo orig<strong>in</strong>ale<br />

ed orig<strong>in</strong>ario, l’<strong>in</strong>tervista al Prof. Giovanni Jervis curata dal Collega e<br />

Amico Anton<strong>in</strong>o MINERVINO: Il dialogo è appassionato e lucido e, questo è<br />

<strong>in</strong>teressante, risulta essere attuale e perciò anche un po’ perturbante (per dirla<br />

alla Freud) <strong>in</strong> quanto, alcune delle riflessioni e considerazioni emerse, sembrano<br />

a tutt’oggi rivelarsi non del tutto risolte o comuqnue ancora <strong>in</strong> fase di trasformazione.<br />

Questa natura squisitamente d<strong>in</strong>amica e processuale dell’<strong>in</strong>tervista<br />

è, forse, il rispecchiamento della storia di Giovanni Jervis il quale, come Psichiatra,<br />

Professore e Studioso, ha sempre posto il dubbio alle non facili conclusioni<br />

come fondamento di un pensiero che si può def<strong>in</strong>ire responsabile ed <strong>in</strong>domito,<br />

mai rassegnato, onesto sebbene a volte f<strong>in</strong> troppo deciso e, paradossalmente,<br />

estremista e conservatore. Le sue lezioni universitarie o i suoi <strong>in</strong>terventi<br />

erano spesso provocatori ma anche “<strong>in</strong>nocentemente dubbiosi”. Diciamo che il<br />

suo contributo, soprattutto <strong>in</strong> ambito psichiatrico, sociale e <strong>in</strong> relazione allo<br />

studio della attuale Psicoanalisi, è stato davvero fondamentale. Una figura <strong>in</strong>tellettuale<br />

che ha percorso questi sentieri e camm<strong>in</strong>i <strong>in</strong> modo solitario, ma che<br />

ha sovente tenuto conto di possibili quanto necessarie nuove evidenze<br />

empiriche e di nuove verifiche. Ha <strong>in</strong>dagato, <strong>in</strong>sieme con l’équipe di Ernesto<br />

De Mart<strong>in</strong>o, lo studio delle manifestazioni isteriche di conversione<br />

(tarantismo) così come il problema delle apocalissi culturali. Ha lavorato con<br />

Franco Basaglia contribuendo a quella svolta storica e culturale che trovava le<br />

sue orig<strong>in</strong>i nella antipsichiatria americana e che <strong>in</strong> seguito, nei testi come “Manuale<br />

Critico di Psichiatria” ed il più recente “La razionalità negata”, criticherà<br />

duramente. Anche nel suo lavoro dal titolo “Contro il relativismo”, Jervis risulta<br />

essere estremo e, onestamente, un po’ troppo “direttivo” rispetto alle conclusioni<br />

che propone ma, allo stesso tempo, non ha paura di porsi <strong>in</strong> modo critico<br />

su ciò che egli stesso ha sperimentato, per esempio riguardo al suo Maestro E.<br />

De Mart<strong>in</strong>o e sull’esperienza forse più culturale che “tecnica” dell’antipischiatria.<br />

Infatti, <strong>in</strong> questo testo, così come ha spesso sottol<strong>in</strong>eato <strong>in</strong> altri lavori,<br />

riporta all’attenzione il problema della responsabilità di ciò che si fa e di<br />

ciò che si pensa e si dice cercando di non ridurre il concetto stesso di responsabilità<br />

ad una semplicistica raccolta di buone <strong>in</strong>dicazioni da regalare ed accettare<br />

benché siano ben impacchettate. Egli sosteneva, per esempio, che nel nostro<br />

Paese la mancanza di una sicura cultura scientifica ha favorito l’affermazione e<br />

l’assimilazione, quasi per osmosi <strong>in</strong>consapevole, di una moda qualunquista,<br />

relativista, banalizzante che concede a qualsiasi idea cittad<strong>in</strong>anza e credibilità<br />

(D<strong>in</strong>elli U., 2009). In effetti, e qui l’associazione con la cosiddetta “psicologia<br />

<strong>in</strong>genua” è <strong>in</strong>evitabile, Giovanni Jervis ha spesso sottol<strong>in</strong>eato la necessità, per<br />

esempio e soprattutto per i giovani, di osservare il campo <strong>in</strong> modo complesso<br />

(ma senza ridurre il concetto ad una semplice parol<strong>in</strong>a magica) proponendo<br />

osservazioni mai def<strong>in</strong>itive soprattutto per quanto riguarda gli strumenti della<br />

psicologia non-specialista (o delle dispute sulla psicoanalisi e sulla sua efficacia<br />

o no) che, <strong>in</strong>vece, tende a raggiungere e trovare spiegazioni troppo spesso<br />

semplicistiche e addirittura sbagliate sul comportamento umano, sulla spiega-


- 26 -<br />

zione delle emozioni, sull’<strong>in</strong>tenzionalità e soprattutto sul problema dell’Identità<br />

<strong>in</strong> quanto poi discordanti con le più attuali ricerche scientifiche. Allo stesso<br />

tempo, ha proposto una lettura critica e storica della Psicoanalisi che ha considerato<br />

più come una rivoluzione culturale piuttosto che una scienza della mente<br />

<strong>in</strong> senso forte. Ciononostante, senza creare lotte che sembrano essere puerili,<br />

rispetto alle tematiche riguardanti l’<strong>in</strong>conscio e l’uso del sogno <strong>in</strong> psicoterapia,<br />

propone di studiare il pensiero di Freud comprendendolo nella sua<br />

storicità e ricordando, allo stesso tempo, che le ricerche delle neuroscienze dimostrano<br />

<strong>in</strong>teressanti <strong>in</strong>tuizioni e utili elementi conoscitivi già presenti <strong>in</strong><br />

modo grezzo nelle teorie freudiane così come rilevanti disconferme su come la<br />

stessa mente ed il pensiero si form<strong>in</strong>o. Ma questo spirito critico era legato ad<br />

una s<strong>in</strong>cera volontà a non creare consensi ma stimolare il dialogo. Il compito<br />

di uno studioso è perciò quello di non seguire troppo percorsi che ci fanno<br />

giungere ad errori tipici della “coscienza ord<strong>in</strong>aria” o legata a teorie della “psicologia<br />

delle buone <strong>in</strong>tenzioni”, così tipica dei giornali e di tanti libri divulgativi<br />

o di ambienti che lui stesso def<strong>in</strong>iva mediocri. Tutto ciò era, per esempio,<br />

osservabile proprio durante il periodo dell’<strong>in</strong>segnamento universitario nelle<br />

cui ore di lezione Jervis stimolava i giovani ad imparare e a riflettere. Ricorda il<br />

Prof. M. Ammaniti <strong>in</strong> un suo <strong>in</strong>tervento a proposito del ricordo di Jervis: “Qui<br />

<strong>in</strong>izia un altro capitolo della sua vita; lasciato il mondo delle istituzioni psichiatriche<br />

<strong>in</strong>izia a <strong>in</strong>segnare all’Università, vacc<strong>in</strong>ando i suoi studenti contro le affrettate conclusioni<br />

spesso dettate dall’entusiasmo. Sono anni <strong>in</strong> cui si avverte la crisi della psicoanalisi<br />

e Jervis si confronta da una parte col lavoro cl<strong>in</strong>ico che lo avvic<strong>in</strong>a alla sofferenza dei<br />

pazienti e dall’altra con i vari modelli e con la sua affermazione come discipl<strong>in</strong>a con una<br />

forte risonanza sociale. I suoi libri sulla psicoanalisi, non sempre condivisibili, sono sempre<br />

estremamente stimolanti soprattutto perché Jervis non cerca il consenso, anzi tende<br />

sempre a smascherare le facili illusioni anche teoriche a cui si ricorre per<br />

autorassicurarsi. Con spirito illum<strong>in</strong>istico, nonostante il suo riconoscimento dell’importanza<br />

dell’<strong>in</strong>conscio, Jervis ha cont<strong>in</strong>uato a scrivere contribuendo a dist<strong>in</strong>guere fra “pensare<br />

dritto” e “pensare storto”, dal titolo di un suo libro recente”. Un’ultima considerazione.<br />

A proposito della figura dello studioso e, <strong>in</strong> ultima analisi, addirittura<br />

del cittad<strong>in</strong>o che Jervis, forse, si prometteva di <strong>in</strong>trodurre sia <strong>in</strong> ambito scientifico<br />

sia, appunto, <strong>in</strong> ambito prettamente sociale, l’associazione che sovviene è<br />

legata al tema ed al problema della neutralità così caro alla tecnica<br />

psicoanalitica. Secondo Jervis la neutralità è un problema sempre aperto e non<br />

un modello. Egli nel def<strong>in</strong>irla mantiene, però, un collegamento con la storia<br />

della psicoanalisi ed un tentativo di superamento nell’attualità del concetto di<br />

controtransfert e di terapia più attuale. Nel testo “Psicoanalisi come esercizio<br />

critico” si impegna ad essere cauto ed impegnato; allo stesso tempo, critico e<br />

deciso soprattutto nell’ultimo capitolo che tratta il tema del controtransfert e<br />

qu<strong>in</strong>di della neutralità. La neutralità è determ<strong>in</strong>ante nell’esperienza della relazione<br />

terapeutica? Si può essere neutrali <strong>in</strong> senso assoluto? Quali sono i limiti e<br />

le responsabilità? Come possiamo osservare ed osservaci? D’altronde, entrambi<br />

gli attori sono o dovrebbero essere responsabili e responsabilizzati delle<br />

tematiche, delle riflessioni, delle emozioni, delle azioni che sono espresse e vissute<br />

all’<strong>in</strong>terno del sett<strong>in</strong>g. Ma ciò è sempre possibile? E se la neutralità fosse<br />

un’illusione così come altre legate al senso comune? E di nuovo torna alla mente<br />

il problema della responsabilità di un pensiero critico e magari di una consapevolezza<br />

e di un rispetto delle proprie azioni e dei propri pensieri; allo stesso


- 27 -<br />

tempo, della responsabilità di riconoscerli nell’altro e con l’altro o di rivedere<br />

alcune delle nostre stesse false credenze. Forse è questo un possibile (ma improbabile)<br />

pensiero che Jervis si prometteva di osservare anche <strong>in</strong> società: una<br />

neutralità partecipativa ma non spontanea (non dissimile perciò da una visione<br />

legata ad un etnocentrismo critico) utile nell’osservare e nel riflettere con passione<br />

e decisione sull’uomo e sulla società senza mai arrivare a semplici conclusioni<br />

o necessariamente ad accettarne, <strong>in</strong> quanto tali, altre per puro spirito<br />

umanitario. Scriveva Jervis: “Come modello, la neutralità è impossibile, oltre che neppure<br />

auspicabile nel suo estremismo: l’idea dell’”<strong>in</strong>differenza” propria dello specchio o del<br />

chirurgo contiene <strong>in</strong>fatti, <strong>in</strong>dipendentemente dalla sua eccessiva durezza, l’illusione che<br />

l’analista possa veramente essere neutrale; mentre è divenuto oggi man mano più chiaro<br />

che egli può solo orientarsi ad esserlo. Nella sua forma più accettabile oggi, ma che riteniamo<br />

anche la più autentica, neutralità significa non già <strong>in</strong>differenza ma non-<strong>in</strong>terferenza:<br />

o meglio, secondo quanto si è appena detto, atteggiamento di non-<strong>in</strong>terferenza: o<br />

perf<strong>in</strong>o e ancora più cautamente, ricerca di un atteggiamento di non-<strong>in</strong>terferenza”.<br />

Jervis è un personaggio, <strong>in</strong>somma, legato all’esperienza dell’antipsichiatria<br />

e alla legge Basaglia, ma la sua attività di studioso, di critico e di docente<br />

universitario va oltre questi conf<strong>in</strong>i e tematiche.<br />

Pescara, marzo 2010.<br />

* * *<br />

GIOVANNI JERVIS è nato a Firenze nel 1933. Si è laureato <strong>in</strong> medic<strong>in</strong>a<br />

nel 1957 e si è specializzato <strong>in</strong> neurologia e psichiatria. Una lunga<br />

nota a carattere autobiografico la si trova <strong>in</strong> “Il buon rieducatore” (ed.<br />

Feltr<strong>in</strong>elli) proprio nel capitolo che dà il nome al libro. Attualmente vive e<br />

lavora a Roma: <strong>in</strong>segna <strong>Psicologia</strong> d<strong>in</strong>amica all’Università e si occupa prevalentemente<br />

di psicoterapia e psicoanalisi. Tra l’altro ha pubblicato nel<br />

1984 “Presenza e identità” (ed. Garzanti).<br />

“PSICHIATRIA E PSICANALISI”<br />

a cura di Anton<strong>in</strong>o M<strong>in</strong>erv<strong>in</strong>o<br />

Siamo orgogliosi di presentare <strong>in</strong> questo numero un’<strong>in</strong>tervista di particolare<br />

importanza: importante è l’Autore che l’ha concessa e importante è<br />

l’argomento sul quale verte. Giovanni Jervis occupa da anni un ruolo prem<strong>in</strong>ente<br />

nel dibattito psichiatrico e psicoanalitico nel quale è andato <strong>in</strong>serendosi<br />

con <strong>in</strong>terventi sempre attenti e stimolanti. Ricordiamo il “Manuale critico<br />

di Psichiatria” (ed. Feltr<strong>in</strong>elli 1975) che a tutt’oggi, ben lungi dal risultare<br />

“datato”, rappresenta un punto di riferimento per molti e il recentissimo “La<br />

Psicoanalisi come esercizio critico” (ed. Garzanti 1989) che, mantenendo nel<br />

testo quanto promette nel titolo, porta un contributo rigoroso al dibattito<br />

sulla e nella psicoanalisi. Dibattito che si fa particolarmente <strong>in</strong>tenso per il<br />

congresso dell’International Psychoanalytical Association che quest’anno si<br />

tiene per la seconda volta <strong>in</strong> Italia (a Roma dal 29 Luglio al 4 Agosto) e che<br />

si svilupperà attorno al tema: “Le basi comuni della Psicoanalisi, obiettivi cl<strong>in</strong>ici<br />

e processo”. L’<strong>in</strong>contro con Jervis è stato molto cordiale e grande è stata<br />

la sua disponibilità e sensibilità. Siamo sicuri di aver offerto con questa <strong>in</strong>ter-


- 28 -<br />

vista ai nostri lettori alcuni utili spunti di riflessione e teorici e pratici. Di ciò<br />

tutta la redazione di “<strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>” r<strong>in</strong>grazia il prof. JERVIS.<br />

Roma, Aprile 1989<br />

MINERVINO: In l<strong>in</strong>ea con lo stile delle nostre <strong>in</strong>terviste, ci <strong>in</strong>teresserebbe conoscere<br />

qual è stato il suo percorso di formazione e quali sono <strong>in</strong> questo percorso le<br />

tappe che lei considera più significative.<br />

JERVIS: Mi sono laureato <strong>in</strong> medic<strong>in</strong>a nel 1957 e poi mi sono specializzato<br />

<strong>in</strong> neurologia e psichiatria. In quegli anni e f<strong>in</strong>o al ’66 mi sono occupato prevalentemente<br />

di psicologia e psichiatria sociale e fra l’altro ho collaborato con<br />

Ernesto De Mart<strong>in</strong>o <strong>in</strong> alcune ricerche di etnopsichiatria, nel Sud Italia. Poi dal<br />

’66 al ’69 ho lavorato a Gorizia con Franco Basaglia e dal ’69 al ’76 sono stato<br />

responsabile dei Servizi Psichiatrici della prov<strong>in</strong>cia di Reggio Emilia. Dal ’76<br />

sono tornato a Roma e da allora mi occupo prevalentemente di psicoterapia e<br />

psicoanalisi.<br />

MINERVINO: In questo suo percorso quali sono le tappe che reputa più significative?<br />

JERVIS: Le più significative sono certamente state quando ho scelto di<br />

lavorare nella psichiatria pubblica, dal 1966 per dieci anni, e poi quando<br />

sono ritornato nel ’76 a Roma, e ho lasciato la psichiatria pubblica per riprendere<br />

più o meno un lavoro di <strong>in</strong>tellettuale e di <strong>in</strong>segnate universitario.<br />

MINERVINO: Il problema della formazione mi sembra essere molto sentito e<br />

dibattuto. Psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, assistenti sociali, tutti quegli operatori<br />

<strong>in</strong>somma che hanno a che fare con il disagio psichico si trovano a dovere affrontare il<br />

grosso problema della formazione. Qual è dal suo punto di vista e per la sua esperienza<br />

il ruolo attuale della università?<br />

JERVIS: A mio parere bisogna dist<strong>in</strong>guere tra i vari tipi di corsi di laurea.<br />

Ho la sensazione che <strong>in</strong> generale l’Università possa dare un discreto livello<br />

culturale nel campo specifico che può essere della psichiatria, della<br />

psicologia, ma non sempre dà una buona formazione. Io dist<strong>in</strong>guerei tra cultura<br />

e professionalità. Credo che nell’<strong>in</strong>sieme i problemi di formazione professionale<br />

siano problemi che l’Università non affronta sufficientemente.<br />

L’università affronta prevalentemente una formazione di tipo teorico.<br />

MINERVINO: Che ruolo hanno <strong>in</strong> Italia le cosiddette scuole private, che sono<br />

tornate tra l’altro di grande attualità dopo la legge sull’albo degli psicologi?<br />

JERVIS: Non sono al corrente su come funzion<strong>in</strong>o le scuole private,<br />

ma ho la sensazione che si trov<strong>in</strong>o a supplire a carenze dell’università. Però<br />

vorrei anche sottol<strong>in</strong>eare una cosa, che ci terrei a dire, e cioè non credo che<br />

il problema possa essere risolto rendendo i corsi universitari più orientati<br />

alla pratica. Qui il rischio è di abbassare il livello culturale del proprio <strong>in</strong>segnamento.<br />

Credo però che l’Università dovrebbe farsi carico con molto più<br />

coraggio di corsi di formazione post-universitari, mentre adesso questi corsi<br />

di formazione post-laurea sono chiaramente <strong>in</strong>sufficienti.<br />

MINERVINO: Posso chiederle cosa ne pensa della legge Ossic<strong>in</strong>i sull’ord<strong>in</strong>amento<br />

degli psicologi?


- 29 -<br />

JERVIS: Penso quello che pensano <strong>in</strong> molti: che è una legge molto<br />

carente, che forse non darà buoni esiti, ma che è meglio che ci sia piuttosto<br />

che non ci sia.<br />

MINERVINO: Sempre rimanendo nell’ambito del discorso della formazione,<br />

volevo affrontare il problema dell’esperienza di un’analisi personale: qual è la reale<br />

possibilità oggi <strong>in</strong> Italia di fare un’analisi, un’esperienza “garantita”?<br />

JERVIS: “Garantita” <strong>in</strong> che senso?<br />

MINERVINO: Secondo me c’è molta richiesta da parte degli operatori di affrontare<br />

un’esperienza di questo tipo e, mi pare, non sempre è possibile accedere ad<br />

un’esperienza di formazione attraverso un’analisi personale garantita nel senso di<br />

arrivare ad un analista che sia tale. Lei nel suo ultimo libro “La psicoanalisi come<br />

esercizio critico”, spesso mette <strong>in</strong> evidenza come ci sia il rischio di affrontare delle esperienze<br />

di volta <strong>in</strong> volta def<strong>in</strong>ite “selvagge” o con aggettivi di questo tipo.<br />

JERVIS: Ecco, <strong>in</strong>tanto direi che l’esperienza di analisi personale non è<br />

una esperienza di formazione. E’ un’esperienza che può servire a conoscere<br />

meglio se stessi e <strong>in</strong> parte a maturare. Qu<strong>in</strong>di non è un’esperienza di formazione<br />

dal punto di vista professionale, anche se si può dire che, <strong>in</strong> molti casi<br />

può essere utile <strong>in</strong>direttamente per lavorare meglio nel campo della professionalità<br />

“psi”, nel campo della professionalità dell’ambito psicologico, psicoterapeutico.<br />

Attualmente, non c’è nessuno che garantisca a priori della qualità di<br />

un’analisi personale. La Società Psicoanalitica Italiana garantisce un poch<strong>in</strong>o<br />

più degli altri, nel senso che sottopone i propri adepti a un certo curriculum.<br />

Si può ritenere che una persona che si sia formata nella Soc. Psic. Italiana dia a<br />

priori e <strong>in</strong> media qualche garanzia <strong>in</strong> più di uno che non si è formato nella<br />

Soc. Psic. Italiana. Però non dà una garanzia caso per caso, nel senso che se<br />

una persona cerca un’analista, non c’è nessuno che gli possa garantire che<br />

l’analista sia veramente e professionalmente preparato, sia che sia membro o<br />

no di una Società. Meno che mai si può garantire che l’esperienza analitica dia<br />

un buon esito. Qu<strong>in</strong>di queste due garanzie, uno che l’analista sia realmente<br />

preparato, l’altro che l’analisi, quell’analisi specifica abbia un buon esito, <strong>in</strong> realtà<br />

non le può dare nessuno. Naturalmente è sempre meglio scegliere un analista<br />

che abbia un curriculum formativo più completo, però questo non è sufficiente<br />

a fornire una garanzia. Ci sono ottimi analisti che hanno un curriculum<br />

formativo formalmente diverso da quello che richiede la Soc. Psicoanalitica<br />

Italiana e ci sono pessimi analisti che hanno un lunghissimo curriculum<br />

formativo apparentemente <strong>in</strong>eccepibile. Qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong> realtà non c’è nessuna garanzia.<br />

Bisogna soltanto affidarsi al consiglio di amici e di persone competenti<br />

per sperare di avere fortuna o anche scegliere. Una cosa che consiglierei molto<br />

a qualsiasi persona che voglia fare un’analisi, è di non parlare mai con un solo<br />

analista, ma di parlare con vari analisti. Cioè io non credo affatto che un candidato<br />

non sia <strong>in</strong> grado di capire con quale persona si può trovare meglio. Insomma,<br />

credo che qualsiasi persona che voglia fare un’analisi dovrebbe avere<br />

dei colloqui con almeno 3-4 analisti, e possibilmente più di un colloquio e poi<br />

scegliere l’analista che gli dà maggiore fiducia. Io mi rendo conto che questo è<br />

un lavoro un po’ complesso e può essere anche difficile a lungo fare una scelta<br />

di questo tipo, però credo che valga la pena. Non è una garanzia neanche<br />

questa, però diciamo che per lo meno può essere un modo che può servire<br />

parzialmente per evitare delle delusioni.


- 30 -<br />

MINERVINO: Mi sembra un’<strong>in</strong>dicazione molto completa e non comune. C’è<br />

la possibilità secondo lei che un operatore possa far convivere idee e concetti che deriv<strong>in</strong>o<br />

da più teorie?<br />

JERVIS: Sì, certamente. Questo però dipende, caso per caso. È proprio<br />

un argomento su cui non si possono dare delle regole generali.<br />

MINERVINO: Affrontiamo un po’ più da vic<strong>in</strong>o alcuni temi che emergono dal<br />

suo ultimo libro. La psicanalisi è considerata come una dottr<strong>in</strong>a o come un campo di<br />

conoscenze; è pure considerata come uno strumento di conoscenza applicabile a vari<br />

campi come l’arte (quello dove più ci si è dilettati) o come strumento terapeutico. Mi<br />

sembrano le tre valenze con le quali viene di volta <strong>in</strong> volta proposta.<br />

JERVIS: Certo.<br />

MINERVINO: Oggi ha ancora senso attribuire alla psicanalisi queste tre<br />

valenze?<br />

JERVIS: Ma, secondo me, no, nel senso che la psicanalisi come dottr<strong>in</strong>a,<br />

a mio parere, non regge più molto, anche perché si è capito che non è<br />

una dottr<strong>in</strong>a, ma un <strong>in</strong>sieme abbastanza eterogeneo di spunti culturali, di<br />

spunti critici, di idee cl<strong>in</strong>iche. Come forma di cultura applicata a campi diversi<br />

come per es. l’arte, la storia, le biografie direi che non regge più affatto.<br />

Insomma l’idea che si possano <strong>in</strong>terpretare i costumi dei popoli e le biografie<br />

o le favole o l’arte utilizzando la psicanalisi mi sembra un’idea che non<br />

ha nessun fondamento anche se tuttora capita di sentir degli psicanalisti che<br />

dicono delle cose un po’ a vanvera su fenomeni culturali o artistici. Ma direi<br />

che la credibilità di questo genere di esercitazioni culturali oggi vada considerata<br />

zero. Invece la psicanalisi ha, credo, una credibilità come contributo<br />

che dà al campo cl<strong>in</strong>ico. In questo campo credo di sì, credo che ci sia tuttora<br />

una validità di molte idee psicanalitiche anche se non forse di tutte le idee<br />

più tradizionali <strong>in</strong> campo cl<strong>in</strong>ico. Non soltanto però nel campo della terapia<br />

o della psicoterapia <strong>in</strong> generale, quanto anche nel campo della comprensione<br />

di certe d<strong>in</strong>amiche psicologiche. Qu<strong>in</strong>di più che campo cl<strong>in</strong>ico si potrebbe<br />

dire nel campo dello studi della soggettività umana. Ecco, qui la validità<br />

della psicanalisi rimane notevole anche se certamente è molto m<strong>in</strong>ore che<br />

quella che si riteneva un paio di decenni fa.<br />

MINERVINO: Sì, <strong>in</strong>fatti nel suo libro lei da questo punto di vista è abbastanza<br />

esplicito: considera morti quei campi di applicazione, lasciando la vivacità, la attualità,<br />

la vitalità della psicanalisi proprio nella relazione ed esclusivamente nell’ambito<br />

della relazione tra analista e analizzando.<br />

JERVIS: Certamente.<br />

MINERVINO: Volevo un attimo rimanere su questo aspetto. La mia impressione<br />

è che oggi lo psicanalese abbia <strong>in</strong>vaso o pervaso il l<strong>in</strong>guaggio comune (per l<strong>in</strong>guaggio<br />

<strong>in</strong>tendo proprio il parlare quotidiano) come il l<strong>in</strong>guaggio c<strong>in</strong>ematografico o il<br />

l<strong>in</strong>guaggio letterario. Insomma mi sembra che impregni di sé molto dell’ambito quotidiano.<br />

Cosa ne pensa lei?<br />

JERVIS: Mah, io penso che sia un fenomeno di retroguardia e <strong>in</strong> parte<br />

un fenomeno prov<strong>in</strong>ciale, nel senso che <strong>in</strong> Italia sta succedendo ancora questo,<br />

che c’è una certa moda della psicanalisi ma credo che questa moda è dest<strong>in</strong>ata<br />

ad esaurirsi abbastanza presto; del resto se ne vedono già gli aspetti


- 31 -<br />

di crisi. All’estero questa fase è già passata. Negli Stati Uniti è passata da<br />

tempo e gli Stati Uniti è stato il paese <strong>in</strong> cui la psicanalisi più è entrata nella<br />

cultura comune, di tutti i giorni, nel c<strong>in</strong>ema, nella educazione, nella<br />

sociologia spicciola ecc.. Questo negli Stati Uniti è f<strong>in</strong>ito da tempo. In altri<br />

paesi anche, o è f<strong>in</strong>ito o sta f<strong>in</strong>endo. In Italia c’è una certa moda che ha probabilmente<br />

anche degli aspetti <strong>in</strong> parte ideologico-politici. Cioè, la psicanalisi<br />

<strong>in</strong>sieme ad altre ideologie viene a riempire certi vuoti lasciati dal crollo<br />

dalle ideologie di s<strong>in</strong>istra. Però non penso che sia un fenomeno molto positivo,<br />

penso che sia un fenomeno che tende a snaturare gli aspetti validi della<br />

psicanalisi e che non sia dest<strong>in</strong>ato a durare.<br />

MINERVINO: Sempre nel suo ultimo libro “La psicanalisi come esercizio critico”<br />

lei fa un esplicito riferimento ad un rapporto tra psicanalisi e medic<strong>in</strong>a, che potrebbe<br />

essere migliore. Può dirci <strong>in</strong> pratica se c’è veramente spazio per un proficuo rapporto<br />

tra psicanalisi e medic<strong>in</strong>a? Che apporto possono darsi l’una e l’altra reciprocamente?<br />

E c’è veramente modo che la psicanalisi esca dal suo ambito e che l’ambito medico<br />

la riconosca come un reale strumento di formazione, di terapia, di conoscenza?<br />

JERVIS: Ecco, qui il discorso è complesso. Intanto c’è da ribadire questo,<br />

che il tipo di trattamento psicanalitico, cioè la psicanalisi come trattamento<br />

cl<strong>in</strong>ico, non è un trattamento medico ed è un trattamento che è piuttosto<br />

lontano da quelle che sono le forme moderne di trattamenti medici.<br />

Detto questo, c’è anche da dire però che io considero con un po’ di diffidenza<br />

il fatto che oggi si moltiplich<strong>in</strong>o gli analisti non medici, non perché io<br />

penso che ci sia un rapporto diretto tra formazione medica e tipo di formazione<br />

psicanalitica, questo perché sono molto diffidente su quelle che sono le<br />

formazioni non mediche e direi non biologiche, non scientifiche per quanto<br />

riguarda gli analisti. Credo che una formazione di tipo biologico, di tipo<br />

scientifico anche se non strettamente di tipo medico sia abbastanza importante<br />

come base su cui poi eventualmente si <strong>in</strong>serisce una formazione psicanalitica.<br />

Per quanto riguarda il contributo che la psicanalisi può dare alla medic<strong>in</strong>a,<br />

<strong>in</strong>tanto c’è da dire che c’è un problema un po’ prelim<strong>in</strong>are e più vasto<br />

e cioè che i medici <strong>in</strong> generale sono assai poco formati da un punto di vista<br />

psicologico. Il tipo di formazione che si dà ai medici nelle facoltà di medic<strong>in</strong>a<br />

è un tipo di formazione gravemente carente dal punto di vista di ciò che<br />

il medico dovrebbe sapere per quanto riguarda le accortezze psicologiche del<br />

rapporto medico-paziente. Si vede perciò questo fenomeno assai grave, che i<br />

medici hanno un tipo di attenzione ai problemi psicologici dei loro pazienti<br />

che è catastroficamente basso, così come hanno anche un tipo di attenzione<br />

molto basso ai loro stessi problemi psicologici. C’è qu<strong>in</strong>di il problema generale<br />

della formazione psicologica dei medici che è molto carente. All’<strong>in</strong>terno<br />

di questa formazione psicologica dei medici c’è da dire che il contributo della<br />

psicanalisi potrebbe essere molto maggiore di quanto non sia oggi, sia<br />

come contributo <strong>in</strong>diretto, come cultura psicanalitica o strumenti di formazione<br />

<strong>in</strong>direttamente di tipo psicanalitico, sia come un contributo importante<br />

<strong>in</strong> certi casi, che credo non possano essere molto numerosi, ma che sarebbe<br />

utile che ci fossero, di medici che scegliessero di fare un trattamento psicanalitico<br />

personale per rendersi più sensibili alle proprie problematiche psicologiche<br />

nei confronti dei loro pazienti, senza cessare ovviamente di essere<br />

medici. Io conosco d’altra parte personalmente dei medici che hanno fatto


- 32 -<br />

questa scelta. Conosco più di un medico molto valente che fa il medico, fa il<br />

medico <strong>in</strong>ternista, fa il medico pratico, fa lo specialista <strong>in</strong> un campo che è<br />

quello psicologico, però che ha fatto un’analisi personale perché ritiene che<br />

questo possa migliorare il suo rapporto col paziente e questa credo che sia<br />

una scelta valida anche se non è una scelta di tutti.<br />

MINERVINO: Tutto ciò richiama immediatamente il discorso sui Gruppi<br />

Bal<strong>in</strong>t che è stata forse la prima esperienza, proposta da M. Bal<strong>in</strong>t, di <strong>in</strong>contro tra la<br />

psicanalisi e la medic<strong>in</strong>a. Medic<strong>in</strong>a <strong>in</strong>tesa come esercizio della medic<strong>in</strong>a di base, di<br />

famiglia, del medico pratico, secondo il modello <strong>in</strong>glese poi esportato. Qu<strong>in</strong>di il luogo<br />

di <strong>in</strong>contro, il Gruppo Bal<strong>in</strong>t, tra psicanalisi e medic<strong>in</strong>a, può essere considerato<br />

un’esperienza che contiene entrambi i l<strong>in</strong>guaggi e anzi, a mio modo di vedere, lavora<br />

per costruire un senso ed un l<strong>in</strong>guaggio comune.<br />

JERVIS: Certo.<br />

MINERVINO: Lei cosa ne pensa? Che prospettive può avere?<br />

JERVIS: Ma io penso molto bene di questo tipo di orientamento. Penso<br />

che i Gruppi Bal<strong>in</strong>t siano una cosa validissima, anche se io non ne ho mai<br />

fatto parte, che bisognerebbe escogitare altri strumenti di sensibilizzazione<br />

dei medici ai problemi psicologici e psicod<strong>in</strong>amici e psicanalitici del rapporto<br />

medico-paziente. A me sembra però che da questo punto di vista ci sia un<br />

po’ una congiura di due chiusure: da un lato una chiusura della corporazione<br />

medica la quale ritiene di avere il “verbo” e di non avere bisogno di cose<br />

di questo tipo, come se il rapporto medico-paziente fosse una specie di<br />

scienza <strong>in</strong>fusa di cui i medici godono solo per il fatto di essere medici. Poi<br />

però anche da parte degli psicologi e degli psicanalisti, c’è una certa chiusura.<br />

Secondo me, gli psicanalisti e anche le società psicanalitiche ufficiali, col<br />

voler mantenere puro il loro messaggio, il loro metodo psicanalitico, <strong>in</strong> realtà<br />

non si occupano abbastanza di queste forme di addestramento<br />

psicod<strong>in</strong>amico del medico. Dovrebbero occuparsene di più!<br />

MINERVINO: Sempre nel suo libro lei rivaluta il contributo di Bal<strong>in</strong>t <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i<br />

di orig<strong>in</strong>alità ed attualità...<br />

JERVIS: Moltissimo.<br />

MINERVINO: ...la mia impressione è che <strong>in</strong>vece Bal<strong>in</strong>t sia stato <strong>in</strong> qualche<br />

modo poco considerato o semplificato, veramente vittima di una semplificazione e di<br />

una banalizzazione che suona come “quello della relazione medico-paziente”, proprio<br />

anche da addetti ai lavori, ritenendo che il più che famoso libro “Medico, paziente,<br />

malattia” esaurisse il pensiero e l’opera di Bal<strong>in</strong>t. Come mai questo sacrificio?<br />

JERVIS: Ma io non so per quale motivo questo sia successo. Certamente<br />

Bal<strong>in</strong>t è un autore che è stato sottovalutato per quanto riguarda l’importanza<br />

del suo contributo teorico. Io posso fare due ipotesi per quanto riguarda<br />

due meccanismi che possono aver giocato a questo riguardo, almeno <strong>in</strong><br />

Italia. Uno è che una parte dei contributi di Bal<strong>in</strong>t è stata coperta dai contributi<br />

della Kle<strong>in</strong> e allora, siccome c’è stata una forte diffusione e anche una<br />

certa moda dell’<strong>in</strong>dirizzo kle<strong>in</strong>iano <strong>in</strong> Italia, il rivalutare forse anche al di là<br />

dei suoi meriti la Kle<strong>in</strong> ha f<strong>in</strong>ito <strong>in</strong>direttamente per offuscare i meriti di<br />

Bal<strong>in</strong>t che magari erano anche maggiori e più equilibrati negli stessi campi<br />

(per esempio per quanto riguarda il rapporto precoce madre-bamb<strong>in</strong>o).


- 33 -<br />

L’altra spiegazione è che si ha facilmente tendenza a ragionare per scuole.<br />

L’unica cosa che sembra che conti sono le scuole. La scuola di Bal<strong>in</strong>t non esiste<br />

perché Bal<strong>in</strong>t non ha mai creato una scuola e <strong>in</strong>vece esistono altre scuole:<br />

la scuola della psicologia dell’Io, la scuola Kle<strong>in</strong>iana, la scuola Bioniana, ecc.<br />

L’esempio tipico di questo modo di ragionare è il libro della Silvia Vegetti<br />

F<strong>in</strong>zi “Storia della psicanalisi” che è proprio una storia che funziona per<br />

scuole. Infatti questo libro si occupa <strong>in</strong> s<strong>in</strong>goli capitoli di s<strong>in</strong>gole scuole analitiche<br />

ed è un libro che sottovaluta grandemente l’importanza di Bal<strong>in</strong>t, cioè<br />

non lo prende <strong>in</strong> considerazione se non di sfuggita e questo probabilmente<br />

perché Bal<strong>in</strong>t non può essere identificato con una scuola specifica. Questa è<br />

una deformazione di metodo che però è anche una tendenza a ragionare per<br />

ambiti di potere. C’è una logica, che potremmo chiamare una logica politica<br />

<strong>in</strong> senso deteriore, per cui ciò che conta sono dei gruppi culturali, che sono<br />

anche gruppi di potere e quando uno come Bal<strong>in</strong>t non forma un gruppo culturale,<br />

un gruppo di potere, automaticamente viene considerato marg<strong>in</strong>ale.<br />

MINERVINO: Ancora sul suo libro. Lei mette <strong>in</strong> evidenza come ci siano stati<br />

dei mutamenti nella dottr<strong>in</strong>a, con un’aumentata attenzione al rapporto madre-bamb<strong>in</strong>o<br />

e alle vicende affettive dei primi anni di vita. Questi mutamenti di orientamento<br />

hanno ampliato il campo di <strong>in</strong>tervento della psicanalisi? Cosa pensa <strong>in</strong> pratica del<br />

trattamento psicanalitico della psicosi?<br />

JERVIS: Per molti anni mi sono occupato di pazienti psicotici anche <strong>in</strong><br />

maniera piuttosto <strong>in</strong>tensiva e direi che per parecchi anni mi sono occupato<br />

quasi esclusivamente di pazienti psicotici. Alcuni li ho seguiti, posso dire,<br />

quotidianamente e a fondo. La mia sensazione è che la psicanalisi possa dare<br />

dei notevoli contributi alla psicoterapia delle psicosi, ma che si tratta <strong>in</strong> questi<br />

casi di trattamenti psicanalitici modificati. Veramente, ho molta difficoltà<br />

a capire come si possa fare un trattamento psicanalitico classico con un paziente<br />

psicotico. E questo lo dico, credo di poterlo dire, perché di psicotici<br />

mi sono occupato a fondo, per anni. Indubbiamente su questo esiste una notevole<br />

divergenza di op<strong>in</strong>ioni. Da un lato esistono alcuni analisti Kle<strong>in</strong>iani,<br />

come Rosenfeld, i quali sostengono che il trattamento psicanalitico degli<br />

psicotici è sostanzialmente qualcosa che si può fare sulle stesse basi di un<br />

trattamento psicanalitico classico o tradizionale, cioè sostanzialmente con<br />

una serie di <strong>in</strong>terpretazioni ecc. Da un altro lato esistono gli analisti non<br />

Kle<strong>in</strong>iani che sostengono che questo è assai difficile farlo, cioè che il rapporto<br />

psicoterapeutico con lo psicotico richiede notevolissime modificazioni rispetto<br />

al sett<strong>in</strong>g psicoanalitico classico e anche notevoli modificazioni rispetto<br />

al trattamento basato solo sull’<strong>in</strong>terpretazione. Io sono di questo secondo<br />

parere. Sono cioè del parere che il trattamento del paziente psicotico o del<br />

paziente borderl<strong>in</strong>e non possa essere un trattamento psicanalitico nel senso<br />

tradizionale e debba essere molto cauto per quanto riguarda l’uso dello strumento<br />

<strong>in</strong>terpretativo. Vorrei anche annotare questo, che i casi che porta<br />

Rosenfeld, anche <strong>in</strong> un libro recentissimo uscito da poco <strong>in</strong> Inghilterra<br />

“Empasse and <strong>in</strong>terpretation”, - <strong>in</strong> Italia non è ancora uscito - non mi sembrano<br />

molto conv<strong>in</strong>centi. Secondo me il successo di Rosenfeld presso molti<br />

psicanalisti italiani di osservanza Kle<strong>in</strong>iana è, mi duole dirlo, legato al fatto<br />

che questi psicanalisti si sono occupati assai poco di pazienti psicotici, conoscono<br />

assai poco il mondo psicotico e qu<strong>in</strong>di danno per validi i discorsi di


- 34 -<br />

Rosenfeld, che sono molto <strong>in</strong>teressanti e forse pieni di cose valide, ma talora<br />

anche molto discutibili.<br />

MINERVINO: Proverei ad <strong>in</strong>serire questo suo discorso nell’ambito del trattamento<br />

di pazienti psicotici nelle istituzioni pubbliche, che sembra essere uno dei luoghi<br />

deputati alla cura di questi pazienti, aggiungendo allora la domanda: nelle istituzioni<br />

pubbliche lei cosa aggiungerebbe al suo discorso?<br />

JERVIS: Intanto vorrei dire questo, che non credo che la psicanalisi sia<br />

la soluzione per tutto. Gli operatori che lavorano nelle istituzioni pubbliche,<br />

a mio parere, non possono che essere operatori che hanno formazioni diverse,<br />

cioè non credo che si possa presupporre un unico stampo formativo, così<br />

come credo che le istituzioni pubbliche o comunque i servizi che forniscono<br />

un ventaglio di prestazioni molto ampio, perché le richieste, le esigenze sono<br />

molto diverse da caso a caso. Credo che il contributo della psicanalisi per<br />

quanto riguarda la formazione degli operatori nei servizi pubblici possa essere<br />

di una certa importanza, nel senso che può essere utile che certi operatori<br />

si sottopongano a trattamento psicanalitico come parte della loro formazione.<br />

Non credo però che questo sia necessario e neppure auspicabile per tutti.<br />

Così anche per quanto riguarda il trattamento dei pazienti nelle istituzioni<br />

pubbliche che sono spesso <strong>in</strong> larga misura pazienti psicotici, io non credo<br />

che il trattamento psicanalitico sia il trattamento d’elezione e non credo neanche<br />

che sia necessario pensare che tutti i pazienti vadano trattati necessariamente<br />

con un trattamento psicoterapico a orientamento prevalentemente<br />

analitico. Credo che la psicanalisi possa dare un contributo critico notevole<br />

al trattamento di questi pazienti, ma che occorre un punto di vista, un punto<br />

di approccio non rigido. Non dico un approccio che sia eclettico (perché non<br />

credo nell’eclettismo) ma che possa aprirsi ad un ventaglio di possibilità. Poi<br />

io non credo che ciascun operatore possa fare tutto. Penso che vari operatori<br />

possano, caso per caso, specializzarsi <strong>in</strong> un certo tipo di trattamento. Credo<br />

che ci sia posto per tutti nel senso che, proprio perché i pazienti presentano<br />

richieste e situazioni personali e sociali molto diverse da caso a caso, proprio<br />

perché il tipo di <strong>in</strong>tervento terapeutico-assistenziale che si deve fare può essere<br />

estremamente diverso da caso a caso, è necessario che ci siano operatori<br />

formati secondo modalità diverse. Essi possono <strong>in</strong> qualche maniera coesistere.<br />

Personalmente sono più orientato a pensare che una formazione di tipo<br />

psicod<strong>in</strong>amico sia più utile piuttosto che un tipo di formazione per esempio<br />

basato sulla terapia della famiglia, però credo che per esempio certi approcci<br />

relazionali come quelli che derivano ancora dal vecchio Sullivan possano essere<br />

utili per il trattamento di pazienti psicotici <strong>in</strong> ambito istituzionale. Io<br />

privilegerei l’orientamento psicod<strong>in</strong>amico, ma credo che questo possa prendere<br />

forme molto diverse e non necessariamente debba essere <strong>in</strong>dirizzato<br />

nelle istituzioni secondo canoni psicanalitici classici.<br />

MINERVINO: Di Pao cosa pensa?<br />

JERVIS: Mi ha molto <strong>in</strong>teressato, però non posso dire che mi abbia<br />

conv<strong>in</strong>to del tutto perché per certi lati l’ho trovato troppo rigido dal punto<br />

di vista psicanalitico.<br />

MINERVINO: A me come operatore di un servizio psichiatrico pubblico che<br />

vede qu<strong>in</strong>di, come diceva lei, nei pazienti psicotici l’utenza più impegnativa e più


- 35 -<br />

significativa, ha sicuramente <strong>in</strong>teressato e stuzzicato l’<strong>in</strong>telletto, ma ha aumentato la<br />

frustrazione, nel senso che immag<strong>in</strong>are lunghe sedute, tantissime ore fatte di silenzio,<br />

dove l’unico evento significativo a distanza di ore era solo una battuta convenzionale,<br />

con un impegno, tra l’altro nella istituzione, notevole di tempo, di forze, mi ha proiettato<br />

<strong>in</strong> quella realtà completamente diversa, estremamente particolare, e mi sono,<br />

anche chiesto quei dati, quell’esperienza come potevano essere trasportati, utilizzati?<br />

JERVIS: Infatti io credo che bisogna essere molto concreti. Inutile pensare<br />

di fare delle cose che non si possano fare nel concreto. Bisogna partire<br />

da come sono le strutture di assistenza pubblica e cercare di <strong>in</strong>serire degli<br />

orientamenti terapeutici che sono adeguati e possibili e che, come dire, siano<br />

commisurati con un criterio di buon senso a quello che è la vita quotidiana<br />

degli operatori negli esercizi pubblici, non che sia qualcosa che cade dall’alto<br />

come un corpo estraneo e meno che mai con un rigorismo di cui non vedo<br />

veramente la necessità. Qu<strong>in</strong>di il libro di Pao è certamente <strong>in</strong>teressante, però<br />

più che frustrante mi sembra un po’ dogmatico e un po’ schematico, come<br />

del resto altri orientamenti analoghi nel campo della psicoterapia psicanalitica<br />

della psicosi.<br />

MINERVINO: Ci avviamo verso la conclusione. Un’ultima domanda circa il<br />

suo libro. Mi ha molto <strong>in</strong>teressato nella prima parte del suo libro il suo mettere <strong>in</strong> evidenza<br />

come la psicanalisi, gli psicanalisti, abbiano mostrato una notevole reticenza a<br />

ritrovarsi nella propria storia, nella storia del movimento, nella storia delle persone<br />

che hanno fatto la psicanalisi. Come mai?<br />

JERVIS: Secondo me per una tendenza degli psicanalisti a dogmatizzare<br />

il “verbo” psicanalitico. Oggi forse le cose stanno un po’ cambiando, ma<br />

per molti anni gli psicanalisti hanno ritenuto che ogni discorso che<br />

storicizzasse la psicanalisi f<strong>in</strong>iva per <strong>in</strong>debolirla. Qu<strong>in</strong>di c’è stata una certa<br />

tendenza a dogmatizzare la psicanalisi: e dogmatizzare la psicanalisi significa<br />

mettere i pr<strong>in</strong>cipi psicanalitici su un piedistallo e considerarli come immutabili,<br />

perfetti e perpetui e qu<strong>in</strong>di non considerare <strong>in</strong> che modo <strong>in</strong>vece i pr<strong>in</strong>cipi<br />

psicanalitici sono legati alle s<strong>in</strong>gole esperienze e anche alla storia stessa<br />

dell’evoluzione del movimento psicanalitico. Questo relativismo <strong>in</strong> parte storico,<br />

<strong>in</strong> parte legato proprio alle s<strong>in</strong>gole esperienze dei grandi analisti è sembrato<br />

che fosse un relativismo che <strong>in</strong>deboliva la psicanalisi. Oggi le cose stanno<br />

cambiando, però ci si porta ancora dietro il peso di questo dogmatismo,<br />

che come ogni dogmatismo è em<strong>in</strong>entemente antistorico.<br />

MINERVINO: Qu<strong>in</strong>di la psicanalisi, come diceva lei, che si occupa di persone<br />

è fatta anche di persone.<br />

JERVIS: È fatta di persone, bisogna tener conto appunto di questo.<br />

MINERVINO: Concluderei l’<strong>in</strong>tervista con un’ultima domanda alla<br />

quale tengo conto come operatore dei servizi psichiatrici pubblici. Volevo<br />

chiederle <strong>in</strong>fatti, se ha voglia di rispondere, una sua op<strong>in</strong>ione sull’attuale organizzazione<br />

dell’assistenza psichiatrica <strong>in</strong> Italia.<br />

JERVIS: Io non so esattamente come funzioni <strong>in</strong> generale. Ho qualche<br />

notizia su come funziona <strong>in</strong> alcune zone del Nord Italia e ho la sensazione<br />

che <strong>in</strong> Emilia funzioni abbastanza bene, peraltro ho la sensazione anche che<br />

<strong>in</strong> moltissimi posti dell’Italia funzioni male.


- 36 -<br />

LE EPISTEMOLOGIE E LE ATTITUDINI<br />

PREVALENTI IN ALCUNI MODELLI TERAPEUTICI *<br />

(Parte prima)<br />

Edoardo Giusti°, Giovanni M<strong>in</strong>onne°°<br />

a. Alcune differenze tra Freud e Jung<br />

Freud, <strong>in</strong> un primo tempo, utilizzò l’<strong>in</strong>terpretazione per facilitare<br />

l’emergere dei contenuti repressi nell’<strong>in</strong>conscio. Successivamente, considerò<br />

centrale l’analisi della relazione di transfert, e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e ritenne primaria l’<strong>in</strong>terpretazione<br />

della resistenza (Freud S., 1980). Nonostante questi profondi<br />

cambiamenti nella tecnica <strong>in</strong>terpretativa, egli ha sempre ritenuto che l’analista<br />

descrive la realtà psichica del paziente. C. G. Jung (1968), <strong>in</strong>vece, sostiene<br />

che l’<strong>in</strong>terpretazione è solo un oggetto della sfera mentale, e non va confusa<br />

con l’oggetto <strong>in</strong> sé. Tra rappresentazione e oggetto vi è una differenza<br />

<strong>in</strong>superabile, come tra il fenomeno e la cosa <strong>in</strong> sé kantiana. La natura dell’<strong>in</strong>terpretazione<br />

è fondamentalmente proiettiva, e qu<strong>in</strong>di soggettiva. Il conflitto<br />

tra <strong>in</strong>terpretanti, l’assenza di consenso, è una diretta conseguenza del<br />

carattere ipotetico dell’<strong>in</strong>terpretazione. Il materiale psichico non è concepito,<br />

da C. G. Jung, come irrazionalità da ricondurre alla ragione, ma come<br />

complessità carica di significati (complesso). Egli <strong>in</strong>dividua due tipi di <strong>in</strong>terpretazioni:<br />

l’<strong>in</strong>terpretazione riduttiva e quella prospettica, o costruttiva, che<br />

si completano reciprocamente. Nell’<strong>in</strong>terpretazione riduttiva il senso si ricava<br />

riconducendo il materiale prodotto dal paziente a qualcosa di noto, ad<br />

esempio alla teoria pulsionale freudiana o al modello archetipico junghiano.<br />

Essa corrisponde all’<strong>in</strong>terpretazione dottr<strong>in</strong>ale, cioè alla “riduzione” dei contenuti<br />

ai modelli teorici di riferimento. A differenza del riduzionismo<br />

freudiano, quello junghiano, però, non ritiene di scoprire la realtà psichica<br />

del paziente. Inoltre, mentre S. Freud concepisce la causalità secondo una<br />

prospettiva l<strong>in</strong>eare, C. G. Jung la <strong>in</strong>tende come processo circolare, e sostiene<br />

che i fattori psichici <strong>in</strong>consci sono attivati <strong>in</strong> funzione del grado di attualità<br />

<strong>in</strong>formativa-significativa del processo psicod<strong>in</strong>amico complessivo. Circolarmente,<br />

le <strong>in</strong>terpretazioni e l’autoesplorazione sollecitano l’attivazione dei fattori<br />

d<strong>in</strong>amici <strong>in</strong>consci, come tale attivazione sollecita l’esplorazione e il lavoro<br />

<strong>in</strong>terpretativo. L’<strong>in</strong>terpretazione non scopre la causa (archetipo) del materiale<br />

<strong>in</strong>conscio, ma solo una sua immag<strong>in</strong>e. Come tecnica terapeutica C. G.<br />

Jung non utilizza tanto il metodo delle libere associazioni, quanto l’amplificazione<br />

dei materiali psichici attraverso simbolismi r<strong>in</strong>tracciabili nell’ambito<br />

della cultura antropologica. Qu<strong>in</strong>di, per C. G. Jung la produzione del significato<br />

r<strong>in</strong>via ai processi dell’<strong>in</strong>conscio collettivo (cultura) e ai contributi soggettivi<br />

del terapeuta. Perciò spesso la terapia corre il rischio di trasformarsi <strong>in</strong><br />

suggestione, o trasmissione di saperi. In C. G. Jung sono presenti più modi<br />

di <strong>in</strong>terpretare il sogno (Jung C. G., 1974). Nell’<strong>in</strong>terpretazione al soggetto<br />

le immag<strong>in</strong>i oniriche sono assunte come motivi del mondo <strong>in</strong>terno del sognatore,<br />

come proiezioni di frammenti del Sé più o meno riconosciuti come<br />

propri. Nell’<strong>in</strong>terpretazione all’oggetto, <strong>in</strong>vece, le figure sono considerate<br />

per ciò che significano nella vita quotidiana del sognatore, e qu<strong>in</strong>di come


- 37 -<br />

prototipi delle relazioni con altri significativi. Nell’<strong>in</strong>terpretazione prospettica,<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, il sogno è visto come portatore di un significato <strong>in</strong>erente alla<br />

progettualità del soggetto.<br />

b. Differenti idee sull’<strong>in</strong>terpretazione nella psicoanalisi classica e negli approcci<br />

kle<strong>in</strong>iani e lacaniani<br />

Nell’analisi del transfert gli analisti kle<strong>in</strong>iani, a differenza di quelli<br />

freudiani, <strong>in</strong>terpretano materiali più “primitivi”. Essi ritengono che il<br />

transfert operi <strong>in</strong> primo luogo attraverso meccanismi proiettivi (identificazione<br />

proiettiva), difese caratteristiche dei momenti più precoci, schizoparanoidi,<br />

della vita mentale del soggetto. Queste difese sono il tentativo del<br />

bamb<strong>in</strong>o di far fronte all’ansia generata dai propri impulsi distruttivi<br />

(pulsione di morte). Secondo gli autori kle<strong>in</strong>iani, qu<strong>in</strong>di, nel momento <strong>in</strong> cui<br />

gli impulsi <strong>in</strong>consci sono <strong>in</strong>terpretati e portati alla coscienza è anche necessario<br />

che l’ansia associata a tali impulsi sia contenuta dal sett<strong>in</strong>g analitico e restituita<br />

al paziente con un’<strong>in</strong>tensità dim<strong>in</strong>uita. Nell’approccio classico l’<strong>in</strong>terpretazione<br />

è usata <strong>in</strong> modo cauto e graduale. Prima si stabilisce un’alleanza<br />

di lavoro con l’Io del paziente, e poi si procede, lentamente, a <strong>in</strong>terpretare<br />

dalla superficie <strong>in</strong> profondità man mano che l’Io, grazie alle <strong>in</strong>terpretazioni<br />

e all’alleanza col terapeuta, si rafforza. Vengono prima analizzate le difese e<br />

solo successivamente l’attenzione si focalizza sulle ansie e sui conflitti <strong>in</strong>consci.<br />

Gli stessi conflitti vengono affrontati <strong>in</strong> modo graduale; prima i più recenti,<br />

ad esempio tematiche genitali, e successivamente, quando gli impulsi a<br />

questo livello sono più gestibili, i conflitti più primitivi, anali e orali (Frosh<br />

S., 2003). Gli autori kle<strong>in</strong>iani, <strong>in</strong>vece, sostengono che l’<strong>in</strong>terpretazione dei<br />

contenuti <strong>in</strong>consci primitivi e delle difese è necessaria f<strong>in</strong> dai primi momenti<br />

dell’analisi. Inoltre, mentre gli analisti classici si concentrano sull’<strong>in</strong>terpretazione<br />

(delle difese e successivamente dei conflitti <strong>in</strong>consci) i kle<strong>in</strong>iani ritengono<br />

che il cambiamento non deriva dal fatto che il paziente conosce, e<br />

qu<strong>in</strong>di può gestire più efficacemente i propri conflitti, ma dall’<strong>in</strong>tegrazione a<br />

livello <strong>in</strong>conscio delle scissioni grazie all’<strong>in</strong>teriorizzazione dell’oggetto analitico.<br />

Le <strong>in</strong>terpretazioni sono, qu<strong>in</strong>di, utili non perché <strong>in</strong>formano il paziente<br />

ma perché restituiscono gli elementi che egli aveva proiettato sull’analista <strong>in</strong>vestiti<br />

delle qualità dell’analista medesimo (Frosh S., 2003). Gli analisti<br />

kle<strong>in</strong>iani sono stati criticati perché nell’analisi dei conflitti e delle fantasie <strong>in</strong>consce<br />

darebbero eccessivo rilievo all’orig<strong>in</strong>e <strong>in</strong>terna degli impulsi, trascurando<br />

l’<strong>in</strong>fluenza degli eventi reali. È stata anche criticata la tendenza a <strong>in</strong>terpretare<br />

<strong>in</strong> profondità s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio del trattamento, poiché, <strong>in</strong>vece di ridurla,<br />

aumenterebbe l’ansia del paziente. Secondo S. Frosh (2003) il merito<br />

di questo approccio è nel sottol<strong>in</strong>eare il carattere <strong>in</strong>tersoggettivo e le forti<br />

valenze affettive del contesto analitico, un sett<strong>in</strong>g ben diverso da quello <strong>in</strong><br />

cui si <strong>in</strong>terpreta un testo letterario. L’epistemologia della M. Kle<strong>in</strong> è realista,<br />

ma il suo approccio evidenzia la funzione dell’<strong>in</strong>terpretazione, piuttosto che<br />

il suo contenuto (1952). Richiamandosi all’idea orig<strong>in</strong>aria di S. Freud che il<br />

compito pr<strong>in</strong>cipale dell’<strong>in</strong>terpretazione è facilitare il flusso delle libere associazioni,<br />

O. Kernberg (1994) sostiene che il criterio più efficace per stabilirne<br />

la verità è la risposta del paziente. Non il fatto che egli concordi o meno col<br />

terapeuta, ma piuttosto se dopo l’<strong>in</strong>terpretazione emergono nuove <strong>in</strong>formazioni,<br />

o una maggiore comprensione di un determ<strong>in</strong>ato conflitto, o dei


- 38 -<br />

cambiamenti nella relazione di transfert o nei rapporti con altre figure significative.<br />

Questo criterio è assai vic<strong>in</strong>o alle posizioni ermeneutiche e postmoderne<br />

che sottol<strong>in</strong>eano la valenza pragmatica e il carattere “locale” della<br />

validazione di un’<strong>in</strong>terpretazione, che dipende dagli effetti che essa produce<br />

nel contesto particolare <strong>in</strong> cui è generata. L’<strong>in</strong>terpretazione terapeutica non<br />

è riflessione su un testo ma comunicazione ad un altro essere vivente, ed essa<br />

è valida quando riesce a offrire un significato che facilita il cambiamento.<br />

Guardando il problema dal punto di vista cl<strong>in</strong>ico, cioè dell’efficacia, che i<br />

suoi significati siano scoperti o creati può sembrare poco importante. Indubbiamente,<br />

però, queste due diverse prospettive cambiano l’atteggiamento<br />

verso i contenuti della propria mente degli attori del dramma analitico. L’assunto<br />

che ci siano contenuti <strong>in</strong>consci da portare alla luce, e che essi debbano<br />

essere tradotti per essere compresi dal pensiero razionale, fa dell’<strong>in</strong>terpretazione<br />

un pilastro della psicoanalisi. Ma J. Lacan ha sostenuto che l’analista<br />

che assume il ruolo di “chi sa tutto” rischia di ridurre l’analisi a un gioco <strong>in</strong><br />

cui il paziente può anticipare facilmente i suoi <strong>in</strong>terventi. Il paziente, allora,<br />

si adatta alle aspettative del cl<strong>in</strong>ico e produce una narrativa coerente col canovaccio<br />

da lui preferito (kle<strong>in</strong>iano, freudiano, junghiano ecc.). È <strong>in</strong>vece fondamentale,<br />

secondo J. Lacan, attenersi alla narrativa specifica del paziente,<br />

che non può essere <strong>in</strong>terpretata <strong>in</strong> base ad uno schema precostituito, ma solo<br />

negoziata (Frosh S., 2003). L’<strong>in</strong>terpretazione lacaniana non si propone di<br />

scoprire significati nascosti, ma di decostruire i significati cristallizzati per<br />

consentire all’analizzando di ascoltare i messaggi che <strong>in</strong>consciamente si <strong>in</strong>via<br />

(Evans D., 1996). L’analista evidenzia le ambiguità presenti nel discorso dell’analizzando<br />

e ne sviluppa i molteplici significati. Interviene, <strong>in</strong> particolare,<br />

quando la comunicazione è troppo prevedibile e diretta ad evitare l’emergere<br />

di contenuti <strong>in</strong>consci. I suoi commenti sono volti a favorire il flusso delle<br />

libere associazioni senza la presunzione di comunicare una qualche verità.<br />

Nella prospettiva lacaniana, sostiene S. Frosh, l’<strong>in</strong>terprete è il paziente e non<br />

l’analista (Frosh, 2003, p. 83).<br />

c. Empatia e realismo soggettivo<br />

1) La terapia centrata sul cliente. C. Rogers (1951), dubitando che le teorie<br />

possano garantire un fondamento “oggettivo” alle <strong>in</strong>terpretazioni del<br />

terapeuta, si <strong>in</strong>teressa piuttosto della realtà come evento percepito, come vissuto<br />

fenomenologico. Ovviamente, c’è una relazione tra mondo reale e mondo<br />

percepito. Ma, secondo C. Rogers, non è necessario impelagarci nella difficile<br />

questione del rapporto tra queste due polarità ed è sufficiente limitarci al vissuto<br />

della persona. Questo è diviso <strong>in</strong> due fondamentali componenti: l’esperienza<br />

organismica, più complessa e vic<strong>in</strong>a alla realtà del soggetto, e la<br />

simbolizzazione, cioè il processo di consapevolezza e presa di coscienza attraverso<br />

cui l’esperienza stessa viene conosciuta. Secondo C. Rogers, esperienza e<br />

simbolizzazione sono congruenti se l’essere umano si sviluppa <strong>in</strong> un ambiente<br />

empatico ed accettante. Se <strong>in</strong>vece alcuni aspetti dell’esperienza sono rifiutati<br />

da altri significativi, anche il bamb<strong>in</strong>o li rifiuta, costruendo un falso sé diverso<br />

dall’esperienza vissuta. La sofferenza psicologica è generata da tale contrasto,<br />

e la sua cura è l’ambiente empatico fornito dal terapeuta che si suppone possa<br />

riparare le carenze dell’ambiente orig<strong>in</strong>ario. Individuando nel vissuto un sostituto<br />

della più elusiva verità oggettiva, C. Rogers toglie al terapeuta, e alle sue


- 39 -<br />

“teorie”, il privilegio di def<strong>in</strong>ire la realtà, e propone una terapia centrata sul<br />

cliente. Questi, <strong>in</strong>fatti, è il testimone privilegiato, e qu<strong>in</strong>di l’esperto, della propria<br />

“realtà” soggettiva, mentre il terapeuta è solo il facilitatore che consente la<br />

riconciliazione tra consapevolezza ed esperienza. I suoi strumenti pr<strong>in</strong>cipali<br />

sono l’ascolto empatico e la riformulazione. L’<strong>in</strong>terpretazione è evitata, poiché<br />

è considerata un tentativo arbitrario di colonizzare il mondo dell’altro.<br />

R. Elliott e coll., però, sottol<strong>in</strong>eano che mentre nelle prime terapie di<br />

C. Rogers le risposte al paziente che derivavano dal suo sistema teorico di riferimento<br />

erano dal 2 al 4%, nell’ultimo Rogers esse erano il 10% (2004, p. 521).<br />

Il contenuto delle terapie era qu<strong>in</strong>di maggiormente <strong>in</strong>fluenzato dai suoi <strong>in</strong>terventi.<br />

D’altro canto, l’<strong>in</strong>tero contesto terapeutico e il modo <strong>in</strong> cui C. Rogers lo<br />

viveva e proponeva al cliente era già espressione di una teoria, e qu<strong>in</strong>di di<br />

un’<strong>in</strong>terpretazione. Anche la neutralità del terapeuta rogersiano e la centralità<br />

del cliente sono op<strong>in</strong>abili. Se, <strong>in</strong>fatti, quest’ultimo afferma di non sentirsi riconosciuto,<br />

il terapeuta può sempre sostenere che ciò dipende dal fatto che egli<br />

non simbolizza l’esperienza <strong>in</strong> modo appropriato a causa del proprio “disturbo”<br />

(Totton N., 2000). G. Down<strong>in</strong>g osserva che l’approccio di C. Rogers si basa<br />

su una comb<strong>in</strong>azione di assunti costruttivisti, oggettivisti e soggettivisti, ma<br />

sono questi ultimi che dom<strong>in</strong>ano la pratica cl<strong>in</strong>ica. Rifiutando una conoscenza<br />

basata sulle teorie, C. Rogers riconosce come ultima verità l’esperienza soggettiva<br />

del paziente. È l’empatia, e non l’<strong>in</strong>terpretazione, che consente di cogliere<br />

tale soggettività (Bozarth R., 1998).<br />

2) La psicologia del Sé di H. Kohut (Rubowitz-Seitz P., 2002, pp. 133-<br />

145). Anche l’approccio di H. Kohut all’<strong>in</strong>terpretazione si basa sul postulato<br />

che l’empatia è il metodo privilegiato per comprendere il paziente. H. Kohut<br />

ritiene che la postura di ascolto ottimale del terapeuta non consiste semplicemente<br />

nell’attitud<strong>in</strong>e negativa di sospendere i processi cognitivi superiori,<br />

ma richiede anche l’attivazione positiva di quelle attitud<strong>in</strong>i prelogiche che<br />

consentono di percepire e pensare il mondo del paziente (Rubowitz-Seitz P.,<br />

2002). Mentre il terapeuta ascolta egli dovrebbe attivamente cercare di sentire<br />

e immag<strong>in</strong>are ciò che il paziente sta sperimentando. Sulla base dell’assunto<br />

di una sostanziale similarità col paziente, il terapeuta ritiene di poter sperimentare<br />

i medesimi vissuti. L’esperienza di sentirsi capito è, secondo Kohut<br />

(1984), un bisogno fondamentale del paziente, e si fonda proprio sulla percezione<br />

di questa comprensione empatica. Dopo aver fatto proprie le esperienze<br />

del paziente grazie all’empatia, il terapeuta kohutiano, sulla base del<br />

modello teorico della psicologia del Sé, formula le sue ipotesi <strong>in</strong>terpretative<br />

sui significati consci e <strong>in</strong>consci di queste esperienze. Anche Freud riconosceva<br />

all’empatia un ruolo fondamentale, e Kohut stesso non considera il suo<br />

metodo di trattamento differente da quello freudiano (Rubowitz-Seitz P.,<br />

2002). S<strong>in</strong>tonizzandosi con ciò che il paziente sta vivendo il terapeuta cerca<br />

di entrare <strong>in</strong> risonanza empatica e qu<strong>in</strong>di di immergersi, per un periodo abbastanza<br />

prolungato, nel suo mondo <strong>in</strong>terno. Kohut è però consapevole che<br />

l’empatia è tanto essenziale quanto fallace. Egli raccomanda di non<br />

assolutizzare le proprie conv<strong>in</strong>zioni ma di tentare e sperimentare empaticamente<br />

varie ipotesi sui vissuti del paziente, e di posticipare il più possibile le<br />

proprie conclusioni considerandole sempre come ipotesi (Rubowitz-Seitz P.,<br />

2002). Egli riteneva anche che ci fosse il rischio di esagerare l’importanza<br />

dell’empatia. Se <strong>in</strong>vece di usarla solo come metodo di raccolta dei dati si utiliz-


- 40 -<br />

za anche per sostituire il momento esplicativo della psicoanalisi si deteriora lo<br />

standard scientifico e si lascia il campo al soggettivismo e al sentimentalismo<br />

(Kohut H., 1971). Essere gentili, o manifestare comprensione umana, secondo<br />

H. Kohut non è sufficiente. Occorre anche l’<strong>in</strong>terpretazione per portare avanti<br />

il processo analitico. Nel suo modo di lavorare H. Kohut era un “classicista”. Si<br />

focalizzava <strong>in</strong> primo luogo sul transfert. In seguito, quando i materiali raccolti,<br />

la qualità della relazione e la maturità del paziente lo consentivano, cercava di<br />

collegare il transfert alle esperienze <strong>in</strong>fantili. Gli psicologi del Sé sono particolarmente<br />

attenti alle rotture dell’empatia, cioè ai momenti <strong>in</strong> cui il paziente<br />

non si sente compreso dal terapeuta. Il loro punto di partenza è che i vissuti<br />

del paziente siano comunque reali, motivati, e il compito del terapeuta è riconoscerli.<br />

Tale riconoscimento ripara la relazione e restaura il senso di <strong>in</strong>tegrità<br />

psichica del paziente. Verificare che le rotture del rapporto possono essere riparate<br />

è una novità per il paziente. La psicoterapia è concepita essenzialmente<br />

come esperienza emozionale correttiva che ripara i fallimenti empatici precedentemente<br />

subiti, soddisfa e supera i bisogni di oggetto sé arcaici e permette<br />

di rafforzare il proprio sé. In pratica, la terapia si presenta come una serie di<br />

cicli di rotture empatiche e riparazioni, che portano il paziente a sviluppare<br />

una maggiore fiducia nel fatto di essere compreso e una maggiore tolleranza<br />

per quei momenti <strong>in</strong> cui la comprensione non ha luogo. Avendo sperimentato<br />

l’empatia del terapeuta, il paziente è anche più <strong>in</strong> grado, col tempo, di manifestare<br />

e ricevere più empatia nei rapporti quotidiani. La pr<strong>in</strong>cipale differenza<br />

tra H. Kohut e l’approccio classico consiste nella visione, propria della psicologia<br />

del Sé, della patologia come effetto dei fallimenti empatici. Una concezione<br />

che H. Kohut ha utilizzato <strong>in</strong> un primo momento per comprendere e curare<br />

i disturbi narcisistici e poi ha esteso alla comprensione e cura delle nevrosi.<br />

Secondo P. Rubowitz-Seitz, 1’aderenza esclusiva ai propri presupposti teorici<br />

<strong>in</strong>duce gli psicologi del Sé a formulare <strong>in</strong>terpretazioni di tipo dottr<strong>in</strong>ale.<br />

S. Mitchell (1993) nota che anche <strong>in</strong> psicoanalisi, <strong>in</strong> conseguenza della critica<br />

alle teorie, molti si sono rivolti ad una “soluzione fenomenologica”. Il ricorso<br />

all’esperienza del paziente come criterio di verità è, però, da lui considerato<br />

“un tipo di realismo simile a quello freudiano” (Ibidem, 1993). L’autore osserva<br />

che le esperienze, sia del paziente che del terapeuta, sono troppo frammentarie<br />

e complesse per essere restituite pienamente <strong>in</strong> un qualunque resoconto.<br />

Ogni vissuto è comunque organizzato, selezionato, <strong>in</strong>terpretato. Se<br />

l’empatia è un modo diverso di avvic<strong>in</strong>arci all’altro, né essa né l’attenzione al<br />

“vissuto organismico” ci consentono un accesso ad una verità <strong>in</strong>dipendente dai<br />

nostri l<strong>in</strong>guaggi e pregiudizi.<br />

d. La prospettiva <strong>in</strong>terpersonale e relativistica<br />

R. Storolow e G. Atwood (1992), criticando il mito della mente isolata,<br />

sottol<strong>in</strong>eano che gli esseri umani sono profondamente sociali e che i nostri<br />

costrutti e le nostre “patologie” sono prodotte e mediate dalle relazioni<br />

<strong>in</strong>terpersonali (Storolow R., Atwood G., 1992). Secondo R. Storolow la situazione<br />

terapeutica consiste nell’<strong>in</strong>contro di due soggettività e nella creazione<br />

di un campo <strong>in</strong>tersoggettivo attraverso la loro <strong>in</strong>terazione. Fenomeni come il<br />

transfert, il controtransfert, la reazione terapeutica negativa e la stessa<br />

psicopatologia possono essere compresi solo come espressione di un contesto<br />

<strong>in</strong>tersoggettivo. “Il trauma non è concepito come un evento o una serie di


- 41 -<br />

eventi che sopraffà un apparato psichico male equipaggiato. Invece, la capacità<br />

di un’esperienza affettiva di creare uno stato del sé disorganizzato è vista<br />

orig<strong>in</strong>are da precoci carenze nella s<strong>in</strong>tonizzazione affettiva, da una carenza<br />

di mutua condivisione e accettazione di stati affettivi, che comporta una carente<br />

tolleranza degli affetti e l’<strong>in</strong>abilità di utilizzare l’affetto come auto-segnale”<br />

(Storolow R. et alii, 1987, p. 72). Il concetto di regolazione affettiva è<br />

centrale anche nella psicologia del Sé e, <strong>in</strong> effetti, l’approccio <strong>in</strong>tersoggettivo<br />

è uno degli sviluppi recenti di questa corrente (Rubowitz-Seitz P., 2002, pp.<br />

183-193). Durante le sedute, i terapeuti <strong>in</strong>tersoggettivi fanno molta attenzione<br />

ai propri vissuti, poiché ritengono che essi siano il veicolo pr<strong>in</strong>cipale per<br />

comprendere i vissuti del paziente. T. H. Odgen osserva che gran parte dell’attività<br />

psicologica dell’analista nella stanza di terapia consiste <strong>in</strong> una<br />

“rèverie” sui dettagli ord<strong>in</strong>ari della propria vita. “Tale rèverie non è solo segno<br />

di disattenzione, o di bisogni narcisistici o conflitti irrisolti, ma rappresenta<br />

anche una forma simbolica e protosimbolica (basata sulle sensazioni)<br />

data all’esperienza <strong>in</strong>articolata (e spesso non ancora percepita) del paziente<br />

nel momento <strong>in</strong> cui prende forma nell’<strong>in</strong>tersoggettività della coppia analitica”<br />

(1994, p. 12). Il terapeuta vede spesso queste attività come qualcosa da<br />

mettere da parte, perché lo distolgono dal paziente. Ma <strong>in</strong> questo modo egli<br />

perde un aspetto significativo della sua esperienza con lui. T. H. Odgen ritiene<br />

che uno dei motivi pr<strong>in</strong>cipali dello sforzo di evitare questo tipo di esperienze<br />

è che “... questo riconoscimento richiede una forma di autoconsapevolezza<br />

(e di autorivelazione?) che disturba. Questo aspetto del transfertcontrotransfert<br />

richiede un esame del modo <strong>in</strong> cui parliamo a noi stessi e di<br />

cosa diciamo a noi stessi <strong>in</strong> una condizione privata e relativamente <strong>in</strong>difesa”.<br />

Ma ... “se vogliamo essere analisti nel senso pieno, dobbiamo portare consapevolmente<br />

anche quest’aspetto di noi stessi all’<strong>in</strong>terno del processo analitico”<br />

(1994, p. 13). Ridef<strong>in</strong>endo il disturbo come evento che trova il suo significato<br />

all’<strong>in</strong>terno della relazione, G. Atwood e R. Storolow pongono l’accento<br />

su come, nel rapporto terapeutico, il cl<strong>in</strong>ico col suo comportamento può<br />

contribuire a mantenere la “.. particolare costellazione patologica del paziente”<br />

(1993, p. 179). L’attitud<strong>in</strong>e a isolare gli elementi dal contesto sembra essere<br />

una caratteristica del pensiero occidentale che va oltre i miti rob<strong>in</strong>soniani<br />

della psicologia mentalista. R. E. Nisbett (2003) avrebbe rilevato che mentre<br />

gli occidentali quando osservano tendono a focalizzarsi sulle proprietà<br />

dei s<strong>in</strong>goli oggetti, gli orientali sono più propensi a considerare il contesto.<br />

Ciò, secondo R. E. Nisbett, è l’effetto di una differenza culturale che ha radici<br />

millenarie e che già si manifestava nei pensatori dell’antica C<strong>in</strong>a e dell’antica<br />

Grecia. Attualmente, secondo l’autore, questa differenza esprime anche<br />

la diversità tra una società che semplifica, <strong>in</strong> gran parte elim<strong>in</strong>andole, le richieste<br />

della comunità nei confronti del soggetto e una <strong>in</strong> cui le scelte dei<br />

s<strong>in</strong>goli sono profondamente condizionate dal complesso dei legami comunitari.<br />

In conseguenza, nella nostra cultura avremmo sviluppato un particolare<br />

stile discorsivo (e conoscitivo). R. E. Nisbett sembra ad esempio aver rilevato<br />

che gli studenti occidentali, quando producono un testo, affrontano la<br />

tematica e ne analizzano le caratteristiche <strong>in</strong> profondità utilizzando una logica<br />

l<strong>in</strong>eare. Gli orientali, <strong>in</strong>vece, svilupperebbero argomentazioni muovendosi<br />

secondo modalità dialettiche e circolari ed evidenziando tutte le possibili<br />

connessioni. A causa del nostro modo di pensare noi occidentali saremmo


- 42 -<br />

più propensi a considerare un problema come dovuto alle caratteristiche della<br />

persona. Reificando le nostre categorie concettuali, come Aristotele affermava<br />

che un corpo cade nel vuoto perché possiede la qualità della pesantezza,<br />

così oggi diciamo che un bamb<strong>in</strong>o non apprende la musica perché gli<br />

manca quel particolare “talento”, o che è disattento perché ha un “disturbo<br />

dell’attenzione” (Giusti E., Locatelli M., 2000). Le ricerche di R. E. Nisbett<br />

sembrano <strong>in</strong>dicare che è profondamente radicata nella nostra cultura la tendenza<br />

a considerare i comportamenti come dovuti a qualità <strong>in</strong>terne del soggetto<br />

piuttosto che al contesto. P. Rubowitz-Seitz (2001) afferma che una delle<br />

distorsioni più frequenti del processo <strong>in</strong>terpretativo è la tendenza ad assumere<br />

che i comportamenti siano dovuti a tratti relativamente stabili della<br />

personalità, piuttosto che all’<strong>in</strong>fluenza di specifiche cont<strong>in</strong>genze ambientali,<br />

e magari dello stesso contesto terapeutico. Spesso le donne abusate manifestano,<br />

<strong>in</strong> terapia, caratteristiche simili a quelle che descrivono un disturbo di<br />

personalità (Woorrel J., Remer P., 2003). Ma <strong>in</strong> questi casi una diagnosi secondo<br />

il DSM IV non sarebbe altro che un ribadire e legittimare la violenza<br />

che esse subiscono. Molte donne trovano difficoltà a uscire dalla trappola di<br />

relazioni abusive. Ma ciò non è <strong>in</strong>dice di “passività” congenita o di<br />

“masochismo”, quanto piuttosto il risultato di un contesto sociale che <strong>in</strong>debolisce,<br />

isola, e colpevolizza la donna (Worrel J., Rerner P., 2003). Partendo<br />

da presupposti “sostanzialisti” diamo per scontato che il paziente si comporta<br />

nella vita di tutti i giorni come <strong>in</strong> seduta. La ricerca ha però messo <strong>in</strong> dubbio<br />

questo assunto (Bern D., Allen A.; 1974), ed è probabile che le caratteristiche<br />

del terapeuta <strong>in</strong>fluenz<strong>in</strong>o il comportamento del paziente <strong>in</strong> modo decisivo.<br />

Un’altra distorsione, tipica degli psicoanalisti, è ritenere le comunicazioni<br />

del paziente sulle loro esperienze extraterapeutiche una difesa e uno<br />

spostamento di vissuti transferali (Rubowitz-Seitz P., 2001). Ridurre la complessità<br />

a poche “verità” che semplificano il nostro operare è probabilmente<br />

<strong>in</strong>dispensabile e sicuramente attraente, ma anche <strong>in</strong>gannevole. Paradossalmente,<br />

anche le tesi di H. Nisbett sono state criticate per un’eccessiva tendenza<br />

ad etichettare e a formulare ipotesi generali, sul pensiero “orientale”<br />

ed “occidentale”, che creano stereotipi e ostacolano, <strong>in</strong>vece che favorire una<br />

comprensione della multiculturalità e un dialogo <strong>in</strong>terculturale. R. Storolow<br />

& G. Atwood osservano che anche la psicoanalisi ha reificato i propri l<strong>in</strong>guaggi<br />

e ha spiegato “... le osservazioni della cl<strong>in</strong>ica psicoanalitica <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i<br />

di ipotetiche energie, forze e strutture che si presume esistano realmente ed<br />

obiettivamente” (1993, p. 168). Per contrastare questa tendenza essi propongono<br />

di rigettare le varie metapsicologie e accogliere solo gli aspetti delle teorie<br />

più vic<strong>in</strong>i all’esperienza cl<strong>in</strong>ica. Quest’ultima viene def<strong>in</strong>ita non esclusivamente<br />

<strong>in</strong> base ai costrutti del terapeuta ma da un accordo <strong>in</strong>tersoggettivo.<br />

G. N. Down<strong>in</strong>g osserva che questo modo di concepire la terapia apre la strada<br />

al relativismo. Se, <strong>in</strong>fatti, la prospettiva del terapeuta è soggettiva come<br />

quella del paziente, quale “verità” egli può proporgli? Per rispondere a questa<br />

domanda, <strong>in</strong> genere, i sostenitori della prospettiva relativista si richiamano<br />

all’ermeneutica (Down<strong>in</strong>g G. N., 2000). D. M. Orange (1995) sostiene che<br />

il dialogo della coppia terapeutica consente di ampliare i rispettivi punti di<br />

vista e pervenire a delle verità comuni, anche se sempre fallibili e parziali. G.<br />

Chiari e M. L. Nuzzo (1996), ritenendo contraddittorio comb<strong>in</strong>are una visione<br />

relativistica e soggettiva con un’ontologia realista, piuttosto che parlare di


- 43 -<br />

verità usano il term<strong>in</strong>e “conoscenza” e ne evidenziano la funzione pragmatica<br />

ed il fondamento nella cultura locale.<br />

e. L’approccio relazionale radicale<br />

Teoricamente, questo orientamento ha delle somiglianze con l’approccio<br />

<strong>in</strong>tersoggettivo. S. Mitchell (2000) <strong>in</strong>dividua quattro possibili modi, via via più<br />

complessi, <strong>in</strong> cui si esprime la relazionalità: a) il comportamento non riflessivo,<br />

cioè un’<strong>in</strong>fluenza e una regolazione reciproca e implicita; b) la permeabilità affettiva,<br />

cioè la condivisione di stati emotivi; c) la configurazione sé-altro, cioè l’<strong>in</strong>sieme<br />

delle rappresentazioni cognitive cariche affettivamente di sé e dell’altro; d)<br />

l’<strong>in</strong>tersoggettività, cioè il riconoscimento reciproco di essere soggetti consapevoli<br />

e capaci di <strong>in</strong>fluenzarsi. I terapeuti relazionali cont<strong>in</strong>uano a utilizzare il metodo<br />

cl<strong>in</strong>ico di S. Freud ma r<strong>in</strong>negano la teoria basata sulle pulsioni e sul conflitto<br />

edipico e privilegiano l’attenzione agli eventi relazionali. Secondo<br />

J. Greenberg (2001): a) Ogni cosa che il terapeuta fa <strong>in</strong>fluenza il paziente, e<br />

molti dei comportamenti di quest’ultimo dipendono dalla personalità e dalle<br />

azioni del cl<strong>in</strong>ico. b) L’impatto dei comportamenti della coppia analitica può<br />

essere compreso solo dopo che essi sono accaduti. Come già sosteneva Hegel,<br />

la civetta che è il simbolo della saggezza del giorno, si presenta alla sera. Gran<br />

parte del lavoro cl<strong>in</strong>ico consiste, qu<strong>in</strong>di, nel tentare di ricostruire, post facto,<br />

come, <strong>in</strong>consapevolmente, i due membri della relazione si sono <strong>in</strong>fluenzati.<br />

c) Non c’è <strong>in</strong> assoluto un atteggiamento terapeutico migliore. La neutralità e<br />

l’ast<strong>in</strong>enza non sono possibili e la terapia è una cont<strong>in</strong>ua negoziazione per trovare<br />

un modo di lavorare <strong>in</strong>sieme che è unico e si adatta alle esigenze di entrambi.<br />

d) L’obiettività del cl<strong>in</strong>ico è un altro mito. Alcuni terapeuti relazionali<br />

pensano che il paziente porta un proprio vissuto <strong>in</strong>conscio che, anche se <strong>in</strong><br />

modo soggettivo, viene conosciuto e analizzato. Altri ritengono che ogni significato<br />

è costruito nel qui ed ora della relazione. Ogni prodotto della mente,<br />

che riguardi se stessi o altri, è personale e ogni <strong>in</strong>terpretazione è carica di <strong>in</strong>fluenze<br />

controtransferali ed è solo una tra le tante possibili. Come nell’approccio<br />

classico, i terapeuti relazionali utilizzano le <strong>in</strong>terpretazioni per far evolvere<br />

il processo terapeutico, ma non ritengono necessario, né possibile, che esse siano<br />

vere. La competenza del terapeuta non consiste nel possesso di un metodo<br />

oggettivo di <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e, ma “... nella sua comprensione del processo, di ciò<br />

che accade quando una persona com<strong>in</strong>cia a riflettere sulle proprie esperienze<br />

<strong>in</strong> presenza di un ascoltatore qualificato e <strong>in</strong> un contesto chiaramente strutturato...”<br />

(Mitchell S., 1998). J. Greenberg ha criticato i recenti sviluppi di quest’approccio<br />

che egli stesso aveva contribuito a promuovere. Egli esprime dei<br />

dubbi sulla tendenza degli analisti relazionali a rompere il sett<strong>in</strong>g analitico e<br />

co<strong>in</strong>volgersi coi pazienti <strong>in</strong> modi fortemente personali. Afferma che molte “vignette”<br />

sulla psicologia relazionale contemporanea danno l’immag<strong>in</strong>e di una<br />

lotta semplicistica tra i “buoni” (aperti, disponibili e flessibili) e i “cattivi” (rigidi,<br />

autoritari, ortodossi) assai simile ai drammi religiosi del Medioevo fatti per<br />

accendere l’<strong>in</strong>dignazione morale dei fedeli. Secondo l’autore, questo moralismo<br />

può diventare oppressivo. In alternativa, egli propone un’apertura al<br />

dialogo che sostenga le potenzialità dell’approccio relazionale senza farlo divenire<br />

un movimento che nega le altre prospettive (2001, pp. 379-380).<br />

(F<strong>in</strong>e PRIMA PARTE. La seconda parte sarà pubblicata sul n. 42<br />

della <strong>Rivista</strong> N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>. Bibliografia: consultare il volume).


- 44 -<br />

*Questo articolo è Tratto dal volume: Edoardo Giusti, Giovanni M<strong>in</strong>onne (2004), “L’<strong>in</strong>terpretazione<br />

dei significati nelle varie fasi evolutive dei trattamenti psicoterapeutici”, Collana di<br />

Edoardo Giusti, Sovera Editore, Roma.<br />

R<strong>in</strong>graziamenti: Si r<strong>in</strong>grazia il Prof. E. Giusti per la pubblicazione di questo <strong>in</strong>teressantissimo<br />

lavoro, tratto dalla sua importante pubblicazione.<br />

°Edoardo Giusti è Presidente dell’ASPIC e direttore della Scuola di specializzazione <strong>in</strong> Psicoterapia<br />

Integrata autorizzata con Decreto M<strong>in</strong>isteriale. E’ professore a contratto presso<br />

la Scuola di specializzazione <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong> Cl<strong>in</strong>ica dell’Università degli Studi di Padova.<br />

Svolge attività di ricerca cl<strong>in</strong>ica e di supervisione didattica per psicoterapeuti.<br />

Indirizzo dell’Autore (<strong>in</strong>dirizzo unico): Prof. Edoardo Giusti<br />

Via Vittore Carpaccio, n. 32 – 00147 Roma<br />

Tel 06 5413513 Fax: 06 5926770<br />

E-mail: aspic@mcl<strong>in</strong>k.it<br />

Web: http: //www.aspic.it<br />

°°Giovanni M<strong>in</strong>onne è Psicologo e Psicoterapeuta. Laureato <strong>in</strong> Filosofia a Firenze e <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong><br />

presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Ha effettuato successivamente un Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g<br />

di <strong>in</strong>tegrazione posturale. Ha pubblicato nel 2003 “Come scegliere la scuola di<br />

Specializzazione <strong>in</strong> Psicoterapia”. Svolge negli U.S.A. ricerche <strong>in</strong> ambito delle scienze della<br />

cl<strong>in</strong>ica applicata.


- 45 -<br />

QUESTIONI FONDAZIONALI DELLE SCIENZE UMANE<br />

L’ ESIBIZIONISMO:<br />

DALL’ANTICHITA’ ALLE FORME ATTUALI*<br />

Alfonso Maria di Nola°<br />

(a cura di) Emilia Sigillo°°<br />

Il comportamento esibizionistico rientra classicamente nell’ambito della psicoanalisi,<br />

della psichiatria, della psicologia e del diritto penale positivo, con una serie di<br />

def<strong>in</strong>izioni che si sfaldano quando si compie un analisi storico-antropologica.<br />

L’ esibizionismo “sessuale” è un comportamento che oggi dal punto di vista etico<br />

viene considerato riprovevole; dal punto di vista psichiatrico un’anomalia; dal punto<br />

di vista giuridico un reato. Se però lo si affronta dal punto di vista antropologico, le<br />

cose cambiano e di molto: la storia umana è ricca di esibizioni sia maschili che femm<strong>in</strong>ili,<br />

che sono divenute oggetto di miti e di riti ben precisi. E non solo, ma l’atto<br />

esibitorio ha sempre avuto socialmente un alto significato simbolico, quello di riportare<br />

al “piano di natura” dimenticato e sommerso dall’ord<strong>in</strong>e culturale. In questo consiste<br />

l”oscenità” dell’esibizione.<br />

1. Atto osceno...<br />

A contrastare tale fenomeno che spesso <strong>in</strong>tegra una fattispecie di reato è<br />

l’art. 527 del codice penale italiano, il quale prevede che “chiunque, <strong>in</strong> luogo<br />

pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è punito con la reclusione<br />

da tre mesi a tre anni”. Ai sensi dell’art. 36, comma 1, della legge 104/<br />

1992, se la persona offesa dal reato è diversamente abile la pena è aumentata<br />

di un terzo. Le uniche osservazioni che possono essere tratte da questi articoli<br />

del codice penale sono che: a. l’esibizionismo è ricondotto alla categoria generica<br />

degli “atti osceni” che, per essere tali, devono essere agiti <strong>in</strong> luogo pubblico<br />

oppure esposto o aperto al pubblico; b. la def<strong>in</strong>izione di atti osceni è strutturata<br />

su di una variante storico sociale, ovvero il cosiddetto “sentimento comune<br />

del pudore”, che può essere offeso da certi crim<strong>in</strong>i, fra cui c’è anche<br />

l’esibizionismo. La poca specificità di questa legge raggruppa <strong>in</strong>sieme una<br />

grande gamma di comportamenti, tra cui il bacio, il coito, l’abbraccio, i<br />

toccamenti, le tactationes dell’antica teologia cattolica, la masturbazione, la<br />

fellatio, f<strong>in</strong>o alla vera e propria esibizione degli organi sessuali, normali o eretti,<br />

che a partire dal famoso trattato di R. Krafft-Eb<strong>in</strong>g veniva attribuita esclusivamente<br />

al sesso maschile. Tuttavia questa classificazione presenta delle debolezze:<br />

<strong>in</strong>fatti molti dei comportamenti sessuali <strong>in</strong>dicati vengono messi <strong>in</strong> atto sottraendosi<br />

volontariamente allo sguardo altrui (si pensi per esempio a due<br />

amanti che agiscono di nascosto), il comportamento tipico dell’esibizionista <strong>in</strong>vece<br />

si basa su di una <strong>in</strong>tenzionale presentazione del proprio sesso alla vista<br />

altrui. In altri term<strong>in</strong>i, la maggioranza dei comportamenti classificati come<br />

“osceni” rientrano nell’<strong>in</strong>timità normale di due partners, mentre l’esibizionismo<br />

si del<strong>in</strong>ea come un atteggiamento sessuale diretto verso gli altri. Per di<br />

più la normativa vigente collega tali forme sessuali ad un concetto di “osceno”<br />

che è piuttosto vago, poco chiaro, non ben def<strong>in</strong>ito e soprattutto affidato al<br />

giudizio e alle valutazioni soggettive delle persone e qu<strong>in</strong>di dei magistrati<br />

chiamati a dare una sentenza, che <strong>in</strong>evitabilmente avviene sulla base di perso-


- 46 -<br />

nali scelte morali o ideologiche, che si muovono lungo un cont<strong>in</strong>uum che va<br />

dal più rigido proibizionismo al più sconsiderato permissivismo.<br />

2. Rassicurazione...<br />

Verrà preso <strong>in</strong> considerazione ora il quadro psichiatrico/psicoanalitico.<br />

Il DSM-III dist<strong>in</strong>gueva una forma “lieve” caratterizzata dalla presenza dell’impulso<br />

senza la sua messa <strong>in</strong> atto, “moderata” quando la messa <strong>in</strong> atto è<br />

occasionale, “grave” quando è ripetuta e abituale. Il DSM-IV-TR afferma che<br />

riguardo la pedofilia, voyeurismo, frotteurismo, esibizionismo e sadismo sessuale,<br />

ci può essere “egos<strong>in</strong>tonicità”, ossia il disturbo può non causare alcun<br />

disagio. Per alcuni <strong>in</strong>dividui le fantasie o gli impulsi parafilici sono <strong>in</strong>dispensabili<br />

per l’eccitamento sessuale ed <strong>in</strong> questo caso si tratta di “parafilici esclusivi”.<br />

In altri casi le preferenze parafiliche si manifestano solo occasionalmente<br />

(durante periodi stressanti) mentre la persona normalmente è <strong>in</strong><br />

grado di funzionare sessualmente senza fantasie o stimoli parafilici. La caratteristica<br />

dell’esibizionismo è l’esposizione, da parte del soggetto, dei propri<br />

genitali ad un estraneo (APA, 2001).<br />

Il soggetto esibizionista, prevalentemente maschile (Barbagli M., Colombo<br />

A., 2001), è <strong>in</strong> certi casi consapevole del suo desiderio di sorprendere<br />

notevolmente la persona a cui si mostra; talvolta, <strong>in</strong>vece, ha la fantasia che il<br />

suo spettacolo determ<strong>in</strong>i un’eccitazione sessuale nello spettatore (APA,<br />

2001). Talvolta, sebbene <strong>in</strong> rari casi (Barbagli M., Colombo A., 2001) il soggetto<br />

si masturba durante l’esposizione o mentre fantastica di mostrarsi<br />

(APA, 2001). Il comportamento esibizionista non determ<strong>in</strong>a atti di costrizione<br />

o di aggressione rivolti verso lo spettatore; essendo f<strong>in</strong>alizzato a catturare<br />

l’attenzione altrui, se non provoca alcuna risposta viene <strong>in</strong>terrotto (Barbagli<br />

M., Colombo A., 2001). L’esibizionismo ha tendenzialmente orig<strong>in</strong>e psicologica,<br />

soprattutto quando è diagnosticabile come forma primaria; tuttavia<br />

può <strong>in</strong>tervenire anche secondariamente a patologie organiche, quali<br />

alcolismo, sifilide, demenza, <strong>in</strong>sufficienza mentale, o a patologie psichiatriche<br />

funzionali, come schizofrenia, mania, episodi psicotici acuti (Barbagli<br />

M., Colombo A., 2001). Tornando <strong>in</strong>dietro nel tempo, Ey-Bernard-Brisson-<br />

Brisset <strong>in</strong>dividuano, nell’esibizione degli organi, una “erotizzazione dello<br />

sguardo”, un trasferimento dell’orgasmo sul piacere di “essere guardati” e di<br />

“far guardare”, che ha le sue sostanziali analogie con il voyeurismo o la<br />

scoptofilia. Tuttavia accettano un’antica credenza, sostenendo che l’esibizione,<br />

si presenta “praticamente soltanto nell’uomo” (ibidem, p. 378). E’ però<br />

importante che <strong>in</strong> questo manuale si riconosca l’esibizionismo come un<br />

modo di tranquillizzarsi nei confornti della paura <strong>in</strong>conscia di castrazione. E’<br />

come se l’esibizionista, <strong>in</strong>consciamente, ragionasse così: “Rassicuratemi dell’esistenza<br />

del mio pene, reagendo alla vista di esso”. Parimenti <strong>in</strong>teressante<br />

si pone un’ipotesi eziologica di questo comportamento, che apparterrebbe<br />

alla normalità nell’età <strong>in</strong>fantile. Joseph Cramer ricorda, sulla base di una lettura<br />

psicoanalitica, che esibizionismo, voyeurismo, feticismo compaiono <strong>in</strong><br />

latenza, <strong>in</strong>sieme con molti altri s<strong>in</strong>tomi. In ogni caso tali “perversioni”, nell’<strong>in</strong>fanzia,<br />

rifletterebbero la grave paura <strong>in</strong>conscia di una lesione fisica e un<br />

ambiente <strong>in</strong> cui non è stato possibile la formazione di s<strong>in</strong>tomi di natura difensiva<br />

più circoscritti e più altamente sviluppati. Non è possibile non recuperare<br />

al riguardo il pensiero di Freud, il quale compilò una tabella dello svi-


- 47 -<br />

luppo libidico nell’<strong>in</strong>fante dall’autoerotismo al narcisismo, alle relazioni<br />

d’oggetto vere e proprie. Scriveva Piero Parietti nel 1986, analizzando il pensiero<br />

freudiano: “Così nella fase narcisistica, la perdita di un oggetto o una<br />

dim<strong>in</strong>uzione quantitativa delle manifestazioni d’amore porta ad un ritiro<br />

della libido dall’oggetto e al dirottamento della stessa di nuovo sul corpo del<br />

bamb<strong>in</strong>o. Quale parte del corpo parteciperà a questa regressione narcisistica<br />

dipende dal grado delle precedenti fissazioni verificatesi nelle fasi genitale e<br />

pregenitale dello sviluppo. L’esibizionista, qu<strong>in</strong>di, regredisce alla fase sadica<br />

dell’<strong>in</strong>fanzia, <strong>in</strong> cui qualsiasi perdita dell’oggetto, porta ad un ritiro della libido<br />

dall’oggetto della realtà esterna ed a un successivo <strong>in</strong>vestimento di questa<br />

libido come narcisismo secondario nel corpo dello stesso <strong>in</strong>fante per mezzo<br />

di un organo specifico, il suo pene” (Parietti). Ma il contributo più denso<br />

dato alla ricerca psichiatrica ad un discorso antropologico sull’esibizionismo<br />

sta nelle osservazioni più volte avanzate che lo collocano <strong>in</strong> un più ampio<br />

orizzonte comportamentale, molto evidente nell’<strong>in</strong>fanzia e nel periodo<br />

puberale. L’esibizionismo si basa sull’ “esibirsi” che orig<strong>in</strong>ariamente era riferito<br />

esclusivamente alla sfera genitale ossia al “mostrare il sesso”, ma che successivamente<br />

è stato spostato dalla zona erogena al corpo nella sua totalità,<br />

compresi la zona orale (piacere di parlare, di affermarsi), l’abbigliamento, la<br />

recitazione. Tutto il comportamento esibitorio appare così connesso al complesso<br />

di Edipo, se si accetta che è vero (forse?) che i genitali vengono mostrati<br />

ed esibiti a persone che rappresentano per l’esibizionista il genitore di<br />

sesso opposto. Siamo, evidentemente, nell’ambito delle eziologie che riguardano<br />

l’<strong>in</strong>fanzia, ma subito il fenomeno acquista uno spessore diverso, quando,<br />

osservato negli adulti, è considerato, nella ricerca psichiatrica, come una<br />

difesa maniacale contro gli stati depressivi, contro la frigidità, contro la paura<br />

di perdere la propria identità sessuale. Comunque i casi cl<strong>in</strong>ici mettono<br />

alla luce la presenza di un atteggiamento aggressivo nell’esibizionista, un atteggiamento<br />

legato al complesso di <strong>in</strong>feriorità, un atteggiamento che permette<br />

di liberarsi da questo complesso: il pene diventa un’arma contro le altre<br />

persone, tenta di affermare il sé fisico-storico mediante la contrapposizione<br />

del centro della vitalità, della capacità creativa, della forza negata<br />

dagli altri all’<strong>in</strong>differenza degli altri e al mondo sentito come m<strong>in</strong>acciante.<br />

3. Una rilettura antropologica<br />

La visione cl<strong>in</strong>ica e quella giuridica cambiano nettamente se si presenta<br />

la questione <strong>in</strong> un’ottica antropologica, ottica che potrebbe e dovrebbe avere<br />

delle ripercussioni sulla possibile revisione del concetto attuale di esibizionismo,<br />

al f<strong>in</strong>e di permettere una nuova lettura del comportamento <strong>in</strong> sede legale<br />

e anche ai f<strong>in</strong>i diagnostici-terapeutici <strong>in</strong> ambito psichiatrico. Nella storia si<br />

conoscono esibizioni degli organi femm<strong>in</strong>ili, diffuse e ben documentate tanto<br />

quanto quelle maschili. Un ampio complesso mitico-rituale, presente nell’antico<br />

Egitto, <strong>in</strong> Grecia e <strong>in</strong> Giappone, attesta, con assoluta evidenza, un uso di<br />

esibizione vulvare e vag<strong>in</strong>ale che tecnicamente viene designato come<br />

anàsyruma, dal verbo greco anasyromai, con il valore di “sollevare le vesti”, “mostrare<br />

il sesso”. Da un punto di vista dei racconti mitici, all’<strong>in</strong>terno delle tre<br />

zone sopra citate e <strong>in</strong> momenti temporali ben distanziati, ci sono numerose div<strong>in</strong>ità<br />

femm<strong>in</strong>ili che esibiscono la propria vulva al f<strong>in</strong>e di mettere term<strong>in</strong>e a<br />

crisi cosmiche o umane. Nell’antica Grecia esisteva un mito risalente all’epoca


- 48 -<br />

omerica, del VII-VI secolo a.C., documentato nell’ <strong>in</strong>no Omerico a Demetra e<br />

che è poi stato elaborato <strong>in</strong> più varianti nel periodo alessandr<strong>in</strong>o. Riprendendo<br />

la fonte di Clemente di Alessandria (150-215 d.C.), si narra che alla dea<br />

Demetra, che vagava per la terra dell’Attica alla ricerca della propria figlia<br />

Kore rapita dal dio Ade, si presenta, al f<strong>in</strong>e di alleviarle il lutto ed il dolore,<br />

una donna autoctona di Eleusi, di nome Baubo, la quale “alza le vesti, sp<strong>in</strong>gendo<br />

avanti le sue pudenda e le mostra alla dea” (Clemente di Alessandria,<br />

Protreptico, II, 20, 1-21). Anobio, scrittore di un epoca successiva, fornisce una<br />

rielaborazione del mito: Baubo mostra alla dea il suo sesso utilizzando una<br />

specifica tecnica, poiché lo tende “facendo assumere a tale parte la forma di<br />

un fanciull<strong>in</strong>o ancora tenero e non coperto di peli... torna presso la dea e mette<br />

<strong>in</strong> mostra, essendosi scoperta f<strong>in</strong>o all’<strong>in</strong>gu<strong>in</strong>e, tutte le sue pudenda”<br />

(Adversus nationes, V, 25). In questo caso risalta come l’atto esibitorio si carica di<br />

una connotazione bisessuale, vista l’ambivalenza dell’organo che è contemporaneamente<br />

maschile e femm<strong>in</strong>ile. Inoltre si deve considerare, per meglio <strong>in</strong>terpretare<br />

il comportamento esibitorio, l’ambiguità della figura della donna<br />

Baubo, soprattutto <strong>in</strong> relazione al suo nome, il cui possibile significato rimanda<br />

al pene artificiale o coriaceo che veniva utilizzato dalle donne greche, secondo<br />

la testimonianza di Eronda: era cioè un oggetto di forma fallica usato<br />

nelle pratiche masturbatorie femm<strong>in</strong>ili. Il modello egizio di esibizione vulvare<br />

appartiene ad una tarda redazione del 1160 a.C. del papiro Chester Beatty I,<br />

datata al regno di Ramses V. Ra Harakhti, il grande dio solare, offeso dal dio<br />

Baba, “si distese sul dorso e il suo cuore era gravemente ferito... Ma dopo lungo<br />

tempo venne Hathor, la Signora del Sicomoro Meridionale, si pose d<strong>in</strong>anzi<br />

al padre, il Signore dell’Universo, e scoprì il suo sesso d<strong>in</strong>anzi a lui. E il grande<br />

dio ne rise”. E’ importante tenere <strong>in</strong> considerazione che il nome stesso della<br />

figlia del dio al quale esibisce i suoi genitali, Hathor, etimologicamente rimanda<br />

alla vulva medesima, la “signora della vulva” esibita d<strong>in</strong>anzi al volto<br />

degli uom<strong>in</strong>i e degli dèi. Si aggiunge a questi elencati f<strong>in</strong>’ora anche un racconto<br />

mitologico giapponese, attestato <strong>in</strong> epoca tarda, nel Kojiki la cui redazione<br />

fu completata nel 712 d.C., ma sulla base di una lunga tradizione orale precedente.<br />

Nel I libro dell’opera, nel contèsto delle teogonie e delle cosmogenesi,<br />

si narra del conflitto esistente fra Susa-no-wo, dio del mare e dell’uragano, e<br />

Amaterasu, dea del sole. Susa-no-wo offende <strong>in</strong> maniera molto violenta la dea<br />

del sole, sua sorella, violando il luogo <strong>in</strong> cui ella svolgeva il suo lavoro. Qu<strong>in</strong>di<br />

Amaterasu chiude dietro di sé la grande porta della sua Dimora di Rocce,<br />

r<strong>in</strong>chiudendovisi e facendo sì che il cielo si coprisse di tenebre, e facendo calare<br />

la morte sul mondo. Dopo numerosi tentativi da parte degli dèi per cercare<br />

di calmare l’ira del Sole, <strong>in</strong>terviene la dea Ameno-Uzume-no-mikoto che entrando<br />

<strong>in</strong> scena, esibisce <strong>in</strong> maniera plateale la sua vulva, cosicché il Sole, che<br />

era stato offeso, placa la sua ira e la sua tristezza e, ridendo, permette che il<br />

cosmo del Giappone torni alla normalità. Si tratta, <strong>in</strong> tutti questi casi, di contesti<br />

mitologici, nei quali si proiettano modelli esemplari di esibizione vulvare. La<br />

loro decifrazione, molto complessa, consente, però, di <strong>in</strong>dividuare, trasferito<br />

nel piano della narrazione, un comportamento esibitorio femm<strong>in</strong>ile che le<br />

culture greca, egizia e giapponese proiettavano nel mondo div<strong>in</strong>o (si consideri<br />

<strong>in</strong>fatti, per una migliore comprensione, che gli episodi narrati nei miti sono<br />

quasi sempre prove storiche di comportamenti umani che venivano sv<strong>in</strong>colati<br />

dalla loro pericolosità proprio mediante la loro attribuzione a figure div<strong>in</strong>e).


- 49 -<br />

4. E donne che sollevano la veste<br />

C’è da sottol<strong>in</strong>eare che l’atteggiamento esibizionistico si concretizza nella<br />

realtà <strong>in</strong> diversi rituali che rimandano agli episodi mitici di cui abbiamo parlato.<br />

Un rituale che ricorda molto da vic<strong>in</strong>o l’anasyrma della dea Hathor, la Signora<br />

della Vulva, è quello che avviene durante la festa celebrata a Bubasti, <strong>in</strong> onore<br />

della dea-gatto Bastet, che fornisce il nome alla città della zona centrale del Delta<br />

(l’attuale Tell Bastah, a sud di Zaqaziq). La dea, che era stata <strong>in</strong>serita fra le<br />

div<strong>in</strong>ità di rango superiore dai re della XXII d<strong>in</strong>astia (945-745 a.C.), si mostra<br />

nella sua manifestazione fel<strong>in</strong>a, diversa da quella leon<strong>in</strong>a, con caratteristiche che<br />

la rendono del tutto simile ad Hathor. Erodoto riferisce che, nel corso della<br />

panegiria (riunione di carattere religioso) di Bubasti, “navigano uom<strong>in</strong>i e donne<br />

<strong>in</strong>sieme... E ogni volta che, nel corso della navigazione passano all’altezza di<br />

un’altra città... (una parte delle donne) motteggiano <strong>in</strong> modo osceno ad alte grida,<br />

<strong>in</strong>sultando le donne che vi abitano, altre danzano, altre si mettono <strong>in</strong> piedi e<br />

alzano le vesti, anasyrontai (Erodoto, II, 60). Diodoro, a proposito del rituale che<br />

veniva messo <strong>in</strong> atto durante la scelta del bue Api, fornisce notizia di un’ulteriore<br />

esibizione. Nel momento <strong>in</strong> cui, dopo la morte del bue sacro, bisognava scegliere<br />

quello che andava a sostituirlo, i diversi sacerdoti, dopo averlo selezionato <strong>in</strong><br />

alcune zone del sud dell’Egitto, lo portavano con un’imbarcazione lungo il fiume<br />

f<strong>in</strong>o a raggiungere Menfi, nella foresta sacra a Ptah. Lungo le rive del fiume, “le<br />

donne, appena lo vedono, si pongono <strong>in</strong> cospetto di lui, e, sollevata la veste,<br />

mostrano le loro parti genitali, mentre <strong>in</strong> ogni altro tempo è loro tabuizzato presentarsi<br />

a cospetto del dio” (Diodoro, I, 85, 2). Per quanto attiene ai mondi culturali<br />

greci e ed alle tradizioni elleniche, l’esibizione vulvare veniva ampiamente<br />

utilizzata dai Lici e dai Persiani. Le donne licie, alzandosi le vesti, scacciano l’<strong>in</strong>vasore<br />

Bellerofonte e allontanano il pericolo di una marea che sta per abbattersi<br />

sulla spiaggia (Plutarco, De virt. mul., IX, 248b).<br />

Le donne persiane bloccano la fuga dei soldati dell’armata di Ciro <strong>in</strong><br />

ritirata, ricorrendo ad un gesto analogo: “Sollevata la veste, mostrano le parti<br />

oscene del corpo, chiedendo ai fuggitivi se mai volessero ricoverarsi negli<br />

uteri delle madri o delle mogli” (Giust<strong>in</strong>o, I, 6, 3). Pl<strong>in</strong>io, sulla fonte di<br />

Metrodoro di Skepsi (I sec. a.C.), dà notizia circa l’uso dei Cappadoci di utilizzare<br />

donne mestruate per la dis<strong>in</strong>festazione dei campi: queste donne, con<br />

gli abiti sollevati, con i capelli sciolti, con la c<strong>in</strong>tura snodata e i piedi scalzi,<br />

percorrono i campi per liberarli da <strong>in</strong>setti nocivi, prima che il sole sorga<br />

(Pl<strong>in</strong>io, Nat. Hist. XXVIII, 23: lo stesso uso è riportato per la magia contro i<br />

bruchi, ibidem, XVII, 47).<br />

5. Il fallismo<br />

Esistono storicamente numerose testimonianze sull’esibizione del sesso<br />

maschile eretto, riconducibili tutte al modello etno-storico-religioso chiamato<br />

“fallismo”, term<strong>in</strong>e che deriva dal sostantivo greco phallos, che anticamente stava<br />

ad <strong>in</strong>dicare il palo di legno dei vigneti e di qui poi il membro virile rappresentato<br />

<strong>in</strong> legno, che rimanda ai rapporti con l’iraniano bal, il “membro virile”<br />

appunto. L’organo viene posto al centro di una funzione vitale importantissima,<br />

ossia quella legata al sesso e alla riproduzione, anche all’<strong>in</strong>terno di quelle<br />

culture <strong>in</strong> cui il concepimento non è affatto collegato alla immissio sem<strong>in</strong>is. Nelle<br />

rappresentazioni religiose falliche, l’organo sessuale viene sollevato a simbolo<br />

centrale di costéllazioni ideologiche più o meno complesse, la cui caratteristica


- 50 -<br />

frequente è il considerare l’organo medesimo come portatore di un vigor fisico,<br />

di una potenza, di una mana, di una energia fecondante che <strong>in</strong>veste e, <strong>in</strong> alcuni<br />

casi, determ<strong>in</strong>a tutti gli altri piani di realtà. E’ possibile citare, a tal riguardo,<br />

alcuni esempi mitologici: <strong>in</strong> India il dio Shiva genera gli esseri viventi assumendo<br />

la forma di un fallo (Mahabharata, 7, 20,93 Ss.). Nella lotta mitologica fra<br />

Brahma e Vishnù, il fallo o l<strong>in</strong>ga di Shiva, emerge dall’Oceano primordiale ed<br />

è def<strong>in</strong>ito come “ricco di mille corone di fiamma, simile ai cento fuochi della<br />

f<strong>in</strong>e dei tempi, senza dim<strong>in</strong>uzione nè crescita, senza com<strong>in</strong>ciamento, senza<br />

mezzo e senza f<strong>in</strong>e, <strong>in</strong>descrivibile, <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ibile, sorgente primordiale di tutte le<br />

cose”. Dunque il fallo è qui paragonato ad un pilastro cosmico attraverso cui<br />

scorre l’energia che garantisce l’esistenza degli uom<strong>in</strong>i e degli dèi stessi. Esempi<br />

simili tratti dal mito, forse rappresentati <strong>in</strong> maniera più brutale, si ritrovano<br />

nello Sh<strong>in</strong>toismo giapponese. All’<strong>in</strong>terno del mito della creazione presente nel<br />

credo sh<strong>in</strong>toista, i due dei Izanagi e lzanami, rispettivamente un maschio ed<br />

una femm<strong>in</strong>a, muniti della “lancia-perla”, sostando sul ponte situato fra il cielo<br />

e la terra, immergono la lancia nella materia fluida che si agita sotto il ponte.<br />

Una <strong>in</strong>terpretazione abbastanza valida sostiene che la lancia è un simbolo<br />

fallico e l’<strong>in</strong>tero atto della creazione risulta dalla coagulazione dello sperma div<strong>in</strong>o.<br />

Questo è un tema molto ricorrente all’<strong>in</strong>terno di varie culture, oltre ad<br />

essere presente <strong>in</strong> numerosi rituali f<strong>in</strong>alizzati ad aumentare e favorire la<br />

fecondità umana o del bestiame e delle coltivazioni; è presente <strong>in</strong> rituali di tipo<br />

ierogamico (che simboleggiano cioè l’accoppiamento tra due div<strong>in</strong>ità) <strong>in</strong> cui avviene<br />

l’unione sessuale fra il fallo del dio e l’organo sessuale della dea, generando<br />

un cambiamento positivo nell’<strong>in</strong>tero cosmo; lo troviamo <strong>in</strong> rituali nei quali<br />

l’energia fecondante rappresentata nel fallo viene sollecitata attraverso unzioni<br />

di pietre falliche, versamento di libazioni sopra di esse, offerte sacrificali; <strong>in</strong><br />

danze e processioni falliche; <strong>in</strong> riti e usi apotropaici, nei quali il fallo o i suoi<br />

sostituti (mano fallica; manofica; corno; pesce) vengono assunti nella loro efficacia<br />

magica, come difesa amuletica o talismanica contro i rischi di perdita della<br />

forza sessuale e come veicoli di <strong>in</strong>cremento sessuale e di benessere.<br />

6. Il “comune sentimento del pudore”<br />

L’atteggiamento tipico esibizionistico viene fortemente collegato nel giudizio<br />

comune e nella valutazione di stampo legale-penale ad un concetto di<br />

“osceno”, che tuttavia risulta essere estremamente precario e soggetto a variazioni<br />

a seconda della cultura e dell’epoca storica. E’ tuttavia importante sottol<strong>in</strong>eare<br />

<strong>in</strong> questa sede che il concetto di osceno all’<strong>in</strong>terno della nostra cultura,<br />

così come <strong>in</strong> altri ambiti etnologici, non era anticamente connesso con un<br />

qualcosa di “scurrile” o con la perversione sessuale. “Osceno” etimologicamente<br />

è tutto ciò che si presenta come disturbante, <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i freudiani unheimlich,<br />

capace di porre <strong>in</strong> crisi l’ord<strong>in</strong>e costituito e il socialmente rassicurante. Il term<strong>in</strong>e<br />

<strong>in</strong>fatti è legato all’arte degli aruspici (coloro che esercitavano l’arte<br />

div<strong>in</strong>atoria) che dichiaravano “uccello o no”, obscoena avis, quegli uccelli che,<br />

nella tecnica aruspicale, si presentavano all’osservazione come s<strong>in</strong>istri o negativi,<br />

costituendosi come pronostico di disastri sociali e destabilizzanti. In tal senso<br />

si può comprendere la differenza delle reazioni delle persone nei confronti<br />

di una oscenità che non si manifesta secondo schemi prefissati, ma <strong>in</strong> base ai<br />

differenti ambiti storici e sociali, nonché <strong>in</strong> base alle condizioni e alle valutazioni<br />

epocali espresse sulle s<strong>in</strong>gole storie. Ad esempio <strong>in</strong> India la presenza e


- 51 -<br />

l’esposizione di enormi falli, i l<strong>in</strong>ga, non produce nella gente reazioni di pudore.<br />

Basti pensare <strong>in</strong>oltre che le bamb<strong>in</strong>e dell’antica Roma appendevano al collo<br />

piccoli falli come ornamento. Un tipico rituale nuziale sempre a Roma prevedeva<br />

che la sposa sedesse, subito dopo la cerimonia, sopra una pietra a forma<br />

di fallo, come per simboleggiare una penetrazione, la prima, da parte del<br />

grande dio cosmico. Del resto all’organo sessuale maschile eretto erano dedicate<br />

<strong>in</strong>ni e preghiere, come quella trasmessaci da un ceppo litico di Tivoli di<br />

epoca adrianea: “Suvvia a frotte accorrete, quante siete, o fanciulle, accorrete quante<br />

siete, e a Priapo, ricco di grazie, con voce carezzevole dite: - Salve, o santo Priapo, padre<br />

del tutto salve. Te <strong>in</strong>voca la sposa perché abbia sempre potente viralità. Anche nella<br />

storia cristiana il concetto di osceno relativo agli organi sessuali risulta assai<br />

mutevole. Sono giunti f<strong>in</strong>o ai nostri giorni esempi che attestano l’utilizzo degli<br />

organi sessuali , come il grande fallo eretto presente sulle mura di Anagni, Vl-<br />

V sec. a.C.; il fallo mutilato presente sulle mura di Ferent<strong>in</strong>o; il fallo graffito<br />

sulla scalea del tempio di Ercole italico a Sulmona. Numerose sono le chiese<br />

romaniche che nei portali presentano raffigurazioni di grandi falli e vulve<br />

aperte, come difesa contro il male e contro i rischi naturali, ma anche come<br />

garanzia per la fertilità/fecondità. Un esempio notevole è dato dal portale<br />

tardoromanico della basilica di San Cesidio a Trasacco (Aquila) ornata da un<br />

fregio nel quale ricorrono falli e vulve. Ancora a metà del XV secolo la comunità<br />

eugub<strong>in</strong>a non protestò contro il Nelli che, nella chiesa di S. Ubaldo, dip<strong>in</strong>se,<br />

ai limiti destro e s<strong>in</strong>istro di un affresco con Madonna e santi, una dec<strong>in</strong>a<br />

di coiti anomali e precise esibizioni. Né la comunità sulmonese vietò ai maestri<br />

lombardi di raffigurare all’<strong>in</strong>terno della chiesa della Santissima Annunziata<br />

un’evidente fellatio. Ancora agli <strong>in</strong>izi del secolo scorso, secondo la documentazione<br />

di una lettera di Lord Hamilton, nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano<br />

ad Isernia, i fedeli offrivano grandi falli di cera e, al term<strong>in</strong>e della messa, i<br />

maschi adulti si portavano all’altare, denudavano le parti sessuali e ottenevano<br />

la benedizione del celebrante.<br />

7. Un dato di natura<br />

L’<strong>in</strong>sieme degli esempi qui riportati <strong>in</strong> una m<strong>in</strong>ima quantità rispetto alla<br />

grande abbondanza di dati disponibili, ripresentano lo studio dell’esibizionismo<br />

come residuo personalizzato e anomico rispetto ad una lunga tradizione<br />

culturale che si pone, dal punto di vista psicologico, nella grande ricchezza dei<br />

suoi significati. Gli atti esibitori degli organi sessuali maschili e femm<strong>in</strong>ili, all’<strong>in</strong>terno<br />

di tale tradizione, rappresentano la possibilità di cancellare, seppur<br />

momentaneamente, l’ord<strong>in</strong>e culturale e sociale, e di recuperare, metaforicamente<br />

e simbolicamente, un piano di natura dimenticato. Perciò le esibizioni<br />

antiche vengono riportate sempre ad un momento di alta sacralità, nel quale<br />

la crisi socio-cosmica emergente viene cancellata attraverso un recupero<br />

dell’ist<strong>in</strong>tività e dell’animalità sessuale. A tal proposito un testo di Aristotele, <strong>in</strong><br />

cui il noto filosofo immag<strong>in</strong>a una futura società del Buon Governo, riporta la<br />

necessità di non compiere oscenità, tranne nel caso <strong>in</strong> cui “vengono comandate<br />

dagli dèi”. Inoltre l’esibizione che attualmente viene ricondotta, nelle <strong>in</strong>dicazioni<br />

psichiatriche e giuridiche ad un atto puramente maschile, si ricostituisce<br />

come un’esplosione fondamentale di vitalità e di aggressività, nella quale<br />

l’esibizionista tende a riaffermare il proprio sé esposto a disfacimento e crisi.<br />

Nei numerosi casi cl<strong>in</strong>ici analizzati emerge come l’esibizione dell’organo sessuale<br />

eretto sia una riposta alla paura di castrazione, alla paura di perdere la


- 52 -<br />

propria sessualità <strong>in</strong> quanto elemento fondamentale della vita, soprattutto <strong>in</strong><br />

relazione alla trama di tabuizzazioni e di d<strong>in</strong>ieghi che appartengono alle etiche<br />

cristiane della società contad<strong>in</strong>a e che si ricostruiscono, <strong>in</strong> vario modo, all’<strong>in</strong>terno<br />

della società urbana e <strong>in</strong>dustriale. L’esibizione è da <strong>in</strong>tendersi, dunque,<br />

come una sorta di grido del sé storico che è stato negato, represso e rimosso,<br />

e d’altra parte si costituisce <strong>in</strong> specifici episodi di difesa apotropaica<br />

contro il mondo ostile e di fecondazione simbolica di esso.<br />

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17. Payne-Knight R. (1981), Il culto di Priapo, Newton Compton, Roma;<br />

18. Rycroft C. (1970), Dizionario critico di psicoanalisi, Astrolabio, Roma.<br />

°Alfonso M. di Nola, Psichiatra ed Antropologo di fama <strong>in</strong>ternazionale, nasce a Napoli nel<br />

1926. E’ stato un attento studioso di Psichiatria Transculturale, di eventi folkloristici e di<br />

religione, il cui approfondimento costituisce una branca dell’ampia e complessa materia<br />

dell’antropologia culturale. Grazie a questi suoi studi <strong>in</strong>iziali, diede alle stampe la storia<br />

delle religioni nei 6 volumi dell’ “Enciclopedia delle religioni”. Le sue idee gli troncarono<br />

qualsiasi possibilità di avanzamento nella carriera universitaria, e solo <strong>in</strong> tarda età ebbe la<br />

cattedra di Storia delle religioni presso la terza Università di Roma. E’ stato <strong>in</strong>oltre docente<br />

di Antropologia Culturale e di Psichiatria Transculturale <strong>in</strong> diverse Università e all’Istituto<br />

Universitari di Napoli (Sem<strong>in</strong>ario di studi asiatici). Ha pubblicato molti lavori di psichiatria<br />

e ha curato, per alcuni anni, una rubrica di Antropologia Culturale su Riza<br />

Psicosomatica. Ha altresì pubblicato numerosi lavori legati ai rapporti fra psichiatria e contesti<br />

socio-culturali <strong>in</strong> diverse riviste nazionali ed <strong>in</strong>ternazionali. Era molto legato alle tradizioni<br />

dell’Abruzzo (ricordiamo i suoi <strong>in</strong>terventi alla Festa di S. Domenico o Festa dei<br />

Serpari a Cocullo). Morì a Roma nel 1997. Tra le sue opere ricordiamo “L’Arco di rovo “<br />

(1985), “Aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana” (1985), “Antropologia<br />

religiosa” (1985), “Il diavolo” (1987), e ancora “La morte trionfata” (1995), “La nera<br />

signora” (1995), “Ebraismo e giudaismo” (1996) e molti altri. Ha pubblicato sulla <strong>Rivista</strong><br />

N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong> alcuni importanti articoli.<br />

°° Emilia Sigillo è psicologa, specializzanda <strong>in</strong> psicoterapia, fa parte del Comitato di Redazione,<br />

membro della SIMP e del CSPP.<br />

*Questo lavoro di Alfonso di Nola, ci è stato <strong>in</strong>viato qualche anno fa. L’evoluzione dei costumi e del<br />

concetto di esibizionismo, oggi, ci hanno stimolato ad aggiungere qualche concetto più attuale, allo<br />

scritto dell’Autore. Un grazie alla Dott.ssa Emilia Sigillo che ha curato la revisione del testo.


- 53 -<br />

IL CONCETTO DI ALEXITIMIA<br />

IN UNA PROSPETTIVA SISTEMICA:<br />

DATI PRELIMINARI DI UNA RICERCA<br />

L.Onnis*, S.Gentilezza**, C. Granese**, S. Ierace**<br />

PREMESSA<br />

Il term<strong>in</strong>e alexitimia etimologicamente proviene dal greco (a = assenza,<br />

lexis = parola, thymos = emozione) e significa letteralmente “emozione<br />

senza parola” o anche “mancanza di parole per le emozioni”.Tale concetto,<br />

quale dimensione cl<strong>in</strong>ica, <strong>in</strong>izialmente si affermò e suscitò particolare <strong>in</strong>teresse<br />

<strong>in</strong> coloro che si occupavano di psicosomatica (Nemiah J.C., Sifneos P.E.<br />

1970), <strong>in</strong> particolare dall’osservazione di pazienti affetti dalle cosiddette<br />

“malattie psicosomatiche classiche” (come l’ulcera, l’asma, la colite ulcerosa,<br />

l’eczema, l’ipertensione, eccetera). Sebbene il term<strong>in</strong>e sia stato coniato da<br />

Sifneos nel 1973, già dieci anni prima due autori francesi, Marty e de<br />

M’Uzan (1963) avevano postulato l’esistenza del “pensèe operatoire” (pensiero<br />

operatorio) che anticipava concettualmente ciò che prenderà il nome di<br />

“alexitimia”. Dagli anni settanta ad oggi molti studi si sono occupati di <strong>in</strong>dagare<br />

il costrutto alexitimico nelle sue varie dimensioni, postulando di volta<br />

<strong>in</strong> volta diverse ipotesi eziologiche che spaziano dalla disregolazione degli<br />

affetti (Taylor, Bagby, Parker, 1997) a ipotesi di carattere neurofisiologico<br />

grazie alle moderne tecniche di neuroimag<strong>in</strong>g (Parker J.D., Keightley M.L.,<br />

Smith C.T., Taylor G.J. 1999, Phan K.L., Wager T.D., Taylor S.F., Liberzon I.<br />

2004). L’alexitimia è stata associata ad uno spettro psicopatologico sempre<br />

più ampio mentre venivano elaborate via via scale di valutazione sempre più<br />

efficaci e valide delle quali la più nota è certamente la TAS-20 elaborata dal<br />

gruppo di Toronto che ha eseguito gli studi più estesi sull’argomento (Taylor<br />

G.J. Bagby, R.M., Parker J.D.A., 2003). L’alexitimia, pur non essendo un’entità<br />

nosologica a se stante è stata messa <strong>in</strong> relazione con diverse manifestazioni<br />

patologiche, dalle classiche malattie psicosomatiche (Taylor, G.J. 1987;<br />

Taylor G.J. Bagby, R.M., Parker J.D.A., 1991), a disturbi più strettamente psichiatrici,<br />

f<strong>in</strong>o a trovare una sua importanza concausale anche nello sviluppo<br />

di patologie organiche come il cancro (Biondi M., Costant<strong>in</strong>i A., Grassi L.<br />

1995), <strong>in</strong> cui certamente non ha un valore primario, ma ne costituisce un<br />

aspetto aggravante, nell’<strong>in</strong>sorgenza e nella progressione della malattia. Ciò<br />

che è certo, osservando i numerosissimi lavori scientifici a riguardo, è che<br />

l’alexitimia costituisce oggi uno degli argomenti più dibattuti <strong>in</strong> ambito psichiatrico;<br />

data la difficoltà di <strong>in</strong>quadrarlo dal punto di vista psicopatologico<br />

da una parte, e la frequenza con cui si riscontra nella pratica cl<strong>in</strong>ica dall’altra,<br />

non stupiscono gli sforzi di ricerca che sono stati fatti nel tentativo di def<strong>in</strong>irne<br />

la correlazione con diverse patologie, nonché la sua orig<strong>in</strong>e. Nel ricercare<br />

gli studi portati avanti <strong>in</strong> questo senso è apparso subito evidente<br />

come <strong>in</strong> tutti questi anni l’ottica sistemica e la valenza relazionale nell’<strong>in</strong>sorgenza<br />

dell’alexitimia siano state trascurate, o comunque non ampiamente <strong>in</strong>dagate<br />

ed è proprio alla luce di ciò che la presente ricerca vuole muoversi:


- 54 -<br />

re<strong>in</strong>serire l’alexitimia <strong>in</strong> una dimensione contestuale, non superando, ma<br />

quantomeno affiancando l’ottica relazionale a quella strettamente <strong>in</strong>dividuale,<br />

già ampiamente esplorata. Abbiamo visto <strong>in</strong>fatti come, al di là che fosse<br />

considerata un arresto dello sviluppo psichico piuttosto che un deficit primitivo<br />

o un problema evolutivo, socioculturale o psicod<strong>in</strong>amico, l’alexitimia è<br />

sempre rientrata tra le caratteristiche per così dire costituzionali della persona<br />

e si è lungamente tralasciata l’importanza del contesto che circonda il<br />

soggetto alexitimico. Il nostro studio vuole dunque <strong>in</strong>quadrare l’alexitimia <strong>in</strong><br />

un’ottica sistemica, uscendo dalla modalità l<strong>in</strong>eare di causa-effetto e riportando<br />

il disturbo all’<strong>in</strong>terno del sistema, con le relazioni che lo costituiscono:<br />

dall’<strong>in</strong>dividuo si passa al contesto, dalla l<strong>in</strong>earità alla circolarità <strong>in</strong> un’ottica<br />

più complessa, ma impresc<strong>in</strong>dibile, data la def<strong>in</strong>izione stessa di alexitimia.<br />

Ciò che è stato fatto nell’impostare questa ricerca è proprio un cambiamento<br />

di prospettiva nell’osservazione di questo fenomeno: la lente di <strong>in</strong>grandimento<br />

f<strong>in</strong>ora puntata su e nell’<strong>in</strong>dividuo, nel tentativo di cercare al suo <strong>in</strong>terno<br />

i meccanismi che portano all’<strong>in</strong>sorgenza e al mantenimento dell’alexitimia,<br />

viene allontanata per comprendere non solo il soggetto <strong>in</strong> esame ma<br />

anche il contesto che lo circonda, cambia qu<strong>in</strong>di il modo di osservare il fenomeno,<br />

<strong>in</strong> relazione al modello teorico di riferimento, che <strong>in</strong> questo caso è,<br />

appunto, quello sistemico. Questa visione più ampia e omnicomprensiva risulta<br />

necessariamente più complessa: il paziente designato, che nell’ottica<br />

sistemica è il portatore del s<strong>in</strong>tomo, costituisce l’epifenomeno di una realtà<br />

più ampia anche se non immediatamente evidente, perde qu<strong>in</strong>di la sua<br />

centralità assoluta e viene a far parte di un contesto che sarà nel suo <strong>in</strong>sieme,<br />

necessariamente, disfunzionale.<br />

IPOTESI DI RICERCA<br />

Nel tentativo di contribuire alla revisione del concetto di alexitimia, si<br />

è fatto riferimento <strong>in</strong> particolare ad uno studio del 1987(Onnis, Di Gennaro),<br />

che si basava sui risultati di una ricerca sulle d<strong>in</strong>amiche relazionali<br />

delle famiglie con disturbi psicosomatici, <strong>in</strong> cui dieci famiglie con pazienti <strong>in</strong><br />

età <strong>in</strong>fantile affetti da asma cronica vennero messe a confronto con dieci famiglie<br />

“di controllo”, senza disturbi psichiatrici o psicosomatici. Vennero<br />

messe <strong>in</strong> luce quattro caratteristiche <strong>in</strong>terattive disfunzionali presenti a livelli<br />

significativamente più alti nelle famiglie con pazienti psicosomatici rispetto<br />

al campione di controllo: rigidità, iperprotettività, <strong>in</strong>vischiamento ed<br />

evitamento del conflitto; queste caratteristiche, <strong>in</strong>sieme a fattori psicologici e<br />

biologici si sono dimostrate concausali nel promuovere l’<strong>in</strong>sorgenza e il mantenimento<br />

del disturbo psicosomatico del paziente (Onnis 1985; Onnis et al.<br />

1985; Onnis et al. 1986a, 1986b, Onnis 1988). Dai risultati emerse come la<br />

modalità relazionale disfunzionale fosse non tanto un attributo della personalità<br />

del s<strong>in</strong>golo paziente, quanto piuttosto una qualità del sistema familiare,<br />

<strong>in</strong> cui tutti i membri cooperano per metterla <strong>in</strong> atto. A distanza di diversi<br />

anni dalla pubblicazione di questi risultati e alla luce delle nuove acquisizioni<br />

<strong>in</strong> ambito sistemico, oggi l’ipotesi di ricerca, condotta su un campione <strong>in</strong> cui<br />

i pazienti presentano diagnosi di malattie psicosomatiche e non, consiste nel<br />

supporre che le caratteristiche alexitimiche riscontrabili nei pazienti designati<br />

delle famiglie prese <strong>in</strong> esame non siano esclusive del s<strong>in</strong>golo, ma sia<br />

r<strong>in</strong>tracciabile all’<strong>in</strong>terno del nucleo familiare una certa tendenza all’alexiti-


- 55 -<br />

mia che co<strong>in</strong>volge <strong>in</strong> misura diversa i vari membri. Si prende cioè <strong>in</strong> esame<br />

l’alexitimia non <strong>in</strong> senso categoriale, bensì dimensionale, essendo peraltro<br />

ampiamente dimostrato che non si tratta di un fenomeno del tipo “tutto o<br />

nulla”, quanto di una caratteristica comunicativa propria di un certo contesto,<br />

all’<strong>in</strong>terno del quale essa può essere r<strong>in</strong>tracciata nei s<strong>in</strong>goli <strong>in</strong>dividui, a<br />

diversi livelli di gravità, mediante opportune scale di misurazione; dall’elaborazione<br />

dei risultati ottenuti sui tests somm<strong>in</strong>istrati s<strong>in</strong>golarmente ai vari<br />

membri della famiglia e dall’osservazione complessiva di questi, che vengono<br />

tra loro correlati, si arriva a descrivere per ciascuna famiglia una certa tendenza<br />

a mettere <strong>in</strong> atto una modalità comunicativa anomala, bloccata a vari<br />

livelli, che concorre all’<strong>in</strong>sorgenza e al mantenimento del disturbo cl<strong>in</strong>icamente<br />

evidente nel paziente designato.<br />

METODOLOGIA<br />

Selezione del campione<br />

Il campione preso <strong>in</strong> esame è composto da 6 famiglie afferite al servizio<br />

U.O.C. di psicoterapia dell’ Università “La Sapienza”, per un totale di<br />

ventitrè soggetti (Tab. 1).<br />

Tabella 1 - Ruolo e ord<strong>in</strong>e di genitura<br />

Tutte le famiglie sono composte da entrambi i genitori, per un totale di<br />

sei padri e sei madri; i figli vanno da uno a tre per famiglia, per un totale di<br />

undici soggetti (sei primogeniti, quattro secondogeniti, un terzogenito) dei<br />

quali sette sono pazienti designati, quattro femm<strong>in</strong>e e tre maschi (Tab.2),<br />

eterogenei per quanto riguarda la psicopatologia presentata. (Graf.1)<br />

Tabella 2 - Ruolo e ord<strong>in</strong>e di genitura con evidenza dei pazienti


- 56 -<br />

Grafico 1 - Ruolo e ord<strong>in</strong>e di genitura<br />

Scale somm<strong>in</strong>istrate<br />

A ciascun membro delle famiglie facenti parte del campione, dopo l’accurata<br />

raccolta dei dati anagrafici, è stata somm<strong>in</strong>istrata una batteria di test<br />

costituita da: la Somatosensory Amplification Scale- SSAS (Barsky et al,<br />

1990), il Modified Somatic Perception Questionnaire-MSPQ (Ma<strong>in</strong>, 1983), la<br />

Toronto Alexitimia Scale-TAS-20 (G.J. Taylor, R.M. Bagby e J.D.A.Parker,<br />

1987), il Self-Report Symptom Inventory-Revised- SCL-90-R (Derogatis et<br />

al., 1973) ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e la Scala Alessitimica Romana- SAR (Baiocco, Giann<strong>in</strong>i,<br />

Laghi, 2005). Ora passeremo ad una breve descrizione dei test somm<strong>in</strong>istrati<br />

per poi soffermarci su quello che abbiamo utilizzato nella nostra ricerca e di<br />

cui presenteremo i risultati, la Scala Alessitimica Romana. La SSAS e il<br />

MSPQ sono due sistemi di valutazione che misurano la tendenza del soggetto<br />

ad amplificare le sensazioni somatiche percepite e ad attribuire a disturbi<br />

somatici e viscerali lievi e poco frequenti un carattere di malattia e di <strong>in</strong>tenso<br />

disagio, accompagnato da un’ipervigilanza nei confronti del proprio corpo e<br />

un’aumentata attenzione verso le sensazioni spiacevoli provate. La SSAS<br />

chiede di rispondere su una scala ord<strong>in</strong>ale a 5 punti a dieci affermazioni relative<br />

ad un range di sensazioni corporee che provocano un disagio ( ad<br />

esempio l’<strong>in</strong>tolleranza agli ambienti troppo caldi o troppo freddi, al fumo e<br />

allo smog, una sensazione altamente disturbante <strong>in</strong> caso di rumori forti o improvvisi,<br />

il sentire facilmente i morsi allo stomaco per la fame etc.), ma che<br />

<strong>in</strong> generale non connotano gravi malattie fisiche.<br />

La scala risulta strettamente correlata con s<strong>in</strong>tomi ipocondriaci e<br />

correla significativamente con disturbi depressivi, d’ansia e somatoformi. Il<br />

MSPQ si compone di 22 items che esplorano la percezione del corpo e le<br />

funzioni fisiologiche (ad esempio la sensazione di avere la bocca asciutta,<br />

nausea, vertig<strong>in</strong>i, senso di caldo, sudorazione frequente, sensazione di dover<br />

ur<strong>in</strong>are frequentemente, crampi allo stomaco, tremori muscolari, tensione ai


- 57 -<br />

muscoli della mandibola etc.); solo 13 items sono “effettivi”, presi cioè <strong>in</strong><br />

considerazione ai f<strong>in</strong>i della valutazione, mentre altri 9 hanno solo la funzione<br />

di “mascheramento”. Il questionario può fornire utili <strong>in</strong>formazioni circa<br />

la comprensione delle conseguenze del dolore cronico e aiuta a discrim<strong>in</strong>are<br />

tra le sensazioni somatiche e il “comportamento da ammalato” del paziente.<br />

Il SCL-90 è una scala ideata per la valutazione della psicopatologia generale.<br />

I 90 items, valutati su una scala da 0 (per niente) a 4 (moltissimo) sono raggruppati<br />

<strong>in</strong> 9 clusters che esplorano diverse aree psicopatologiche:<br />

somatizzazione, ossessività-compulsività, sensitività <strong>in</strong>terpersonale, depressione,<br />

ansia, ira-ostilità, ansia fobica, ideazione paranoidea e psicoticismo.<br />

Questa scala di valutazione viene utilizzata come test di screen<strong>in</strong>g <strong>in</strong> ambito<br />

psichiatrico, e può essere utile nella valutazione, ripetuta nel tempo, della<br />

s<strong>in</strong>tomatologia, essendosi rivelata sufficientemente sensibile ai cambiamenti.<br />

Passiamo ora alle scale che <strong>in</strong>dagano specificatamente il costrutto alexitimico:<br />

la TAS-20 e la SAR. La TAS-20 è lo strumento più noto e più largamente<br />

utilizzato a livello mondiale per la misurazione dell’alexitimia.<br />

Fu elaborata dai ricercatori facenti parte del gruppo di Toronto (Taylor,<br />

Bagby, Parker) <strong>in</strong>torno alla metà degli anni ’80 che successivamente ne ricavarono<br />

la versione def<strong>in</strong>itiva a 20 items nel 1994. La scala nacque dal tentativo<br />

di superare le limitazioni degli strumenti preesistenti per la misurazione<br />

dell’alexitimia (la Beth Israel Hospital Psychosomatic Questionnaire,<br />

l’Alexitimia Provoked Response Questionnaire, la MMPI-Alexitimia Scale, la<br />

Shall<strong>in</strong>g-Sifneos Personality Scale) e dalla necessità di prove empiriche che<br />

dimostrassero la validità del mezzo di misurazione. Il test (la cui traduzione e<br />

validazione italiana è stata curata dal gruppo di C. Bressi et al., 1996) è un<br />

questionario di autovalutazione composto da 20 items e basato su una scala<br />

Likert a 5 punti dove ad ogni valore (da 1 a 5) corrisponde una specifica dicitura:<br />

dal “non sono pienamente d’accordo” al “sono completamente d’accordo”.<br />

Nel corso della decodifica si dovrà tenere conto della modalità di attribuzione<br />

dei punteggi (che per alcuni items sono <strong>in</strong>vertiti) e dei tre fattori<br />

(f1,f2,f3) <strong>in</strong> cui gli items vengono raggruppati: il fattore 1 (f1) esplora la difficoltà<br />

nell’identificare i sentimenti, il fattore 2 (f2) la difficoltà nel comunicare<br />

i sentimenti agli altri ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e il fattore 3 (f3) il pensiero orientato all’esterno<br />

(pensiero operatorio). Si possono ottenere punteggi da 20 a 100<br />

che vengono così considerati: non alexitimici coloro che totalizzano un punteggio<br />

<strong>in</strong>feriore a 51; borderl<strong>in</strong>e coloro che ottengono un punteggio compreso<br />

tra 51 e 60; alexitimici coloro che ottengono punteggi superiori o<br />

uguali a 61. L’attuale versione della TAS-20 ha dimostrato di avere un’alta<br />

coerenza <strong>in</strong>terna, una buona affidabilità test-retest su un <strong>in</strong>tervallo di tre<br />

mesi ed una struttura a tre fattori congruente da un punto di vista teorico<br />

con il costrutto dell’alexitimia, sebbene gli Autori abbiano evidenziato un<br />

potenziale fattore di m<strong>in</strong>or efficienza della scala nel terzo fattore, probabilmente<br />

a causa dell’<strong>in</strong>versione dei punteggi conferiti alle risposte.<br />

La Scala Alessitimica Romana, il test utilizzato nell’ambito della nostra<br />

ricerca, è stata elaborata grazie ad un progetto di ricerca <strong>in</strong>trapreso nel<br />

1999 da numerosi psicologi e specializzandi della Facoltà di <strong>Psicologia</strong> dell’Università<br />

di Roma “La Sapienza”. La prima parte del lavoro ha portato<br />

alla costituzione della Scala Alessitimica Sperimentale (SAS, Baiocco,<br />

Giann<strong>in</strong>i, Laghi, 2001), formata da 63 item dai quali poi sono stati estratti i


- 58 -<br />

27 item con migliori caratteristiche psicometriche per arrivare alla presentazione<br />

della SAR, la Scala Alessitimica Romana.<br />

Gli item sono poi stati raggruppati <strong>in</strong> 5 fattori o dimensioni fondamentali:<br />

Fattore 1 (F1): Espressione somatica delle emozioni (ESE); il fattore 1,<br />

composto da 5 item, <strong>in</strong>dica la tendenza del soggetto ad esprimere le proprie<br />

emozioni, soprattutto quelle di natura “negativa” come la rabbia, la paura o<br />

la tristezza, attraverso il proprio corpo. Un item esemplificativo è: “Quando<br />

mi arrabbio sto male fisicamente”. Fattore 2 (F2): Difficoltà a identificare le<br />

proprie emozioni (CIE); Il fattore 2, composto da 6 item, <strong>in</strong>dica la difficoltà<br />

del soggetto a riconoscere le proprie emozioni, soprattutto <strong>in</strong> momenti di<br />

difficoltà. A volte il soggetto può riferire di sentirsi angosciato, ansioso o triste<br />

senza saperne la ragione. Un item esemplificativo è: “quando mi capita<br />

di sentirmi triste capisco quali possono essere i motivi”. Fattore 3 (F3): Difficoltà<br />

a comunicare agli altri le proprie emozioni (CCE); il fattore 3, composto<br />

da 5 item, descrive la difficoltà del soggetto nel comunicare le proprie<br />

emozioni. Il soggetto potrà evitare di parlare degli aspetti più <strong>in</strong>timi e profondi<br />

del proprio carattere anche con le persone che conosce da molto tempo.<br />

Un item esemplificativo è: “Evito di parlare di me anche con le persone<br />

che conosco da molto tempo”. Fattore 4 (F4): Pensiero orientato esternamente<br />

(POE); Questa dimensione, composta da 5 item, <strong>in</strong>dica un pensiero<br />

rivolto pr<strong>in</strong>cipalmente verso gli aspetti pratici della vita e poco <strong>in</strong>teressato<br />

agli elementi simbolici delle cose. In questo caso il soggetto può presentare<br />

una maggiore tendenza all’impulsività ed una scarsa capacità <strong>in</strong>trospettiva.<br />

Un item esemplificativo è: “Cercare di comprendere i diversi aspetti di un<br />

problema complica solamente la vita”. Fattore 5 (F5): Difficoltà ad essere<br />

empatici (EMP); questo fattore, composto da 6 item, descrive la difficoltà del<br />

soggetto ad essere empatico e a comprendere gli stati emotivi altrui. Il soggetto<br />

con elevati punteggi relativi a tale fattore potrebbe riferire di non farsi<br />

co<strong>in</strong>volgere normalmente dallo stato emotivo altrui e di rimanere piuttosto<br />

“distaccato” dai problemi personali, anche di persone a lui care.<br />

Un item esemplificativo è: “Comprendo i sentimenti delle persone a<br />

cui voglio bene anche senza che ne parl<strong>in</strong>o”. I 27 quesiti che compongono i<br />

c<strong>in</strong>que fattori suddetti presentano quattro possibili alternative di risposta. Il<br />

soggetto deve, <strong>in</strong>fatti, rispondere su una scala Likert di tipo temporale che<br />

va da “mai” a “sempre”. Una parte degli item (14) è stata scritta <strong>in</strong> chiave<br />

“positiva” e la restante parte (13 item) è stata scritta <strong>in</strong> chiave “negativa”,<br />

qu<strong>in</strong>di, per gli item <strong>in</strong> chiave negativa il punteggio <strong>in</strong> fase di scor<strong>in</strong>g verrà<br />

<strong>in</strong>vertito. In seguito alla decodifica, il test può essere <strong>in</strong>terpretato prendendo<br />

<strong>in</strong> considerazione il valore totale ottenuto oppure, come frequentemente accade<br />

nella ricerca cl<strong>in</strong>ica e come noi abbiamo fatto, considerare i punteggi<br />

del soggetto relativamente ad ogni s<strong>in</strong>golo fattore. In base all’analisi della<br />

varianza univariata gli Autori della SAR hanno identificato la presenza di differenze<br />

significative <strong>in</strong> riferimento al genere e all’età sulle diverse dimensioni<br />

che compongono la scala e sul punteggio totale di scala. E’ stato osservato<br />

che gli uom<strong>in</strong>i rispetto alle donne presentano un punteggio totale di scala<br />

più elevato, sono cioè mediamente più alexitimici ed <strong>in</strong> particolare presentano<br />

punteggi maggiori nelle dimensioni Difficoltà a comunicare le proprie<br />

emozioni, Mancanza di empatia e Pensiero orientato esternamente; questo


- 59 -<br />

<strong>in</strong>dica che gli uom<strong>in</strong>i presentano, rispetto alle donne, maggiori difficoltà negli<br />

aspetti relazionali, ed una m<strong>in</strong>ore propensione all’<strong>in</strong>trospezione, nonché<br />

un m<strong>in</strong>ore <strong>in</strong>teresse verso gli aspetti simbolici delle cose. Emergono, come<br />

già detto, anche delle differenze significative rispetto all’età, considerando i<br />

punteggi totali di scala e i punteggi delle s<strong>in</strong>gole dimensioni ottenuti da<br />

adolescenti e da adulti. Globalmente gli adolescenti presentano livelli di<br />

alexitimia superiori rispetto agli adulti, come dimostrato dai punteggi totali<br />

più elevati e presentano anche punteggi maggiori nelle s<strong>in</strong>gole dimensioni,<br />

tranne che per il fattore Difficoltà a comunicare le proprie emozioni <strong>in</strong> cui<br />

<strong>in</strong>vece gli adulti hanno totalizzato punteggi maggiori.<br />

Analisi dei dati<br />

In seguito alla decodifica delle scale somm<strong>in</strong>istrate, i risultati della SAR<br />

sono stati elaborati sia come punteggi totali di scala, sia prendendo <strong>in</strong> considerazione<br />

i s<strong>in</strong>goli fattori costituenti la SAR. Sono state <strong>in</strong>nanzitutto create<br />

delle tabelle <strong>in</strong>crociate <strong>in</strong> cui viene descritto il campione <strong>in</strong> base alle variabili<br />

alexitimia (presenza o assenza) e ruolo familiare (tab.3, fig.2 cap. “Risultati”),<br />

<strong>in</strong> cui viene evidenziata la distribuzione dell’alexitimia nel campione e<br />

correlata al ruolo familiare; l’alexitimia è stata considerata presente <strong>in</strong> un determ<strong>in</strong>ato<br />

soggetto quando il punteggio totale di scala ha superato il cut-off<br />

descritto nel manuale della SAR. Successivamente, è stata eseguita un’altra<br />

analisi, utilizzando il test T di student : sono stati confrontati i livelli di<br />

alexitimia tra padri e madri (coppie genitoriali) e rispettivamente tra padre e<br />

figlio s<strong>in</strong>tomatico e madre e figlio s<strong>in</strong>tomatico, sia sul punteggio totale di<br />

scala, sia sui punteggi ottenuti nelle c<strong>in</strong>que dimensioni fondamentali della<br />

SAR (tab. 4-5-6, cap. “Risultati”). Tutti i fratelli dei pazienti designati sono<br />

stati esclusi da quest’ultima analisi, poiché poco numerosi, <strong>in</strong>oltre i figli s<strong>in</strong>tomatici,<br />

nell’ambito dell’analisi, sono stati unificati per quanto riguarda il<br />

genere, poiché da un’analisi prelim<strong>in</strong>are non erano state rilevate differenze<br />

significative tra maschi e femm<strong>in</strong>e.<br />

RISULTATI<br />

Tabella 3 - Descrizione diagnostica delle famiglie secondo la variabile allexitimia<br />

e ruolo familiare


- 60 -<br />

Grafico 2 - Descrizione diagnostica delle famiglie secondo la variabile allexitimia<br />

e ruolo familiare<br />

Come si può osservare dall’analisi delle tabelle <strong>in</strong>crociate (Tab. 3) e dal<br />

Grafico <strong>in</strong> Figura 2, su sei famiglie componenti il campione, c<strong>in</strong>que presentano<br />

una corrispondenza tra la presenza di alexitimia <strong>in</strong> almeno uno dei due<br />

genitori ed il figlio s<strong>in</strong>tomatico (il paziente). In particolare si osserva la<br />

presenza di alexitimia <strong>in</strong> sei dei sette pazienti (considerando che <strong>in</strong> una sola<br />

famiglia sono presenti due figli s<strong>in</strong>tomatici dei quali uno alexitimico e l’altro<br />

no), <strong>in</strong> c<strong>in</strong>que delle sei madri, <strong>in</strong> due dei sei padri, <strong>in</strong> uno dei tre figli primogeniti<br />

e nell’unico terzo figlio (considerando che dei figli primogeniti tre su<br />

sei sono figli s<strong>in</strong>tomatici e i secondogeniti sono tutti e quattro s<strong>in</strong>tomatici).<br />

Nella seconda analisi, condotta con il test “t di student”, <strong>in</strong> cui vengono con-<br />

Grafico 3 - Confronto tra medie del punteggio totale di scala di madre, padre e figlio<br />

s<strong>in</strong>tomatico


- 61 -<br />

frontati i livelli di alexitimia tra padre e madre, tra madre e figlio s<strong>in</strong>tomatico<br />

e tra padre e figlio s<strong>in</strong>tomatico, abbiamo ottenuto i risultati osservabili<br />

nelle tabelle e grafici seguenti (Tab. 4-5-6, Fig. 3-4-5-6-7-8).<br />

Grafico 4 - Confronto tra medie del Fattore 1 (ESE) di madre, padre e figlio s<strong>in</strong>tomatico<br />

Grafico 5 - Confronto tra medie del Fattore 2 (CIE) di madre, padre e figlio s<strong>in</strong>tomatico


- 62 -<br />

Grafico 6 - Confronto tra medie del Fattore 3 (CCE) di madre, padre e figlio s<strong>in</strong>tomatico<br />

Grafico 7 - Confronto tra medie del Fattore 4 (POE) di madre, padre e figlio s<strong>in</strong>tomatico


- 63 -<br />

Grafico 8 - Confronto tra medie del Fattore 5 (EMP) di madre, padre e figlio s<strong>in</strong>tomatico<br />

Tabella 4 - Confronto tra padre e madre<br />

Tabella 5 - Confronto tra madre e figlio s<strong>in</strong>tomatico


- 64 -<br />

Tabella 6 - Confronto tra padre e figlio s<strong>in</strong>tomatico<br />

Posto dall’analisi precedente che all’<strong>in</strong>terno del nostro campione cl<strong>in</strong>ico<br />

sono presenti diffusi livelli di alexitimia, sebbene con punteggi diversi per i diversi<br />

membri, prendiamo ora <strong>in</strong> considerazione solo i genitori ed il paziente<br />

s<strong>in</strong>tomatico. Per primi, sono stati confrontati i livelli di alexitimia tra padri e<br />

madri (Tab.4, Graf. da 3 a 8) e si nota come, all’<strong>in</strong>terno della coppia genitoriale,<br />

mediamente troviamo delle differenze significative per quanto riguarda i<br />

punteggi ottenuti nel Fattore 2 (difficoltà nell’identificare le emozioni), con t<br />

(p-m) = -3,78 e p


- 65 -<br />

<strong>in</strong>iziale. Nella prima analisi il campione è stato descritto <strong>in</strong> base alla distribuzione<br />

dell’alexitimia relativamente al ruolo familiare ed è evidente come <strong>in</strong><br />

ogni famiglia sia presente un paziente s<strong>in</strong>tomatico e alexitimico ed almeno un<br />

genitore alexitimico per ogni famiglia, la quasi la totalità delle madri e due su<br />

sei padri. Sebbene i fratelli dei pazienti designati non siano stati presi <strong>in</strong> considerazione<br />

nelle analisi successive, è comunque evidente che tra i fratelli e le<br />

sorelle sia presente un certo livello di alexitimia, per l’esattezza è presente nell’unico<br />

terzo figlio e <strong>in</strong> uno dei tre primogeniti. In ogni caso, anche quando il<br />

punteggio totale di scala non ha superato il cut-off stabilito dal manuale<br />

normativo della SAR e qu<strong>in</strong>di i soggetti sono stati considerati da noi non<br />

alexitimici, il punteggio ottenuto è sempre piuttosto elevato, fortemente tendente<br />

al cut-off. Ciò significa che, conformemente all’ipotesi proposta <strong>in</strong>izialmente,<br />

già dall’osservazione dei punteggi totali di scala, all’<strong>in</strong>terno delle famiglie<br />

considerate sia presente una forte tendenza all’alexitimia, sebbene a livelli<br />

differenti di soggetto <strong>in</strong> soggetto ed è immediatamente evidente come<br />

l’alexitimia non possa essere considerata un attributo esclusivo del paziente<br />

s<strong>in</strong>tomatico, ma sia una caratteristica diffusa <strong>in</strong> tutto il sistema familiare. Questa<br />

osservazione ci riporta naturalmente nella dimensione sistemica alla quale<br />

abbiamo fatto riferimento e ci porta a considerare fortemente verosimile l’ipotesi<br />

che l’alexitimia sia una caratteristica relazionale, più che costituzionale,<br />

che trova le sue radici nei rapporti <strong>in</strong>terpersonali familiari piuttosto che <strong>in</strong><br />

specifiche qualità del s<strong>in</strong>golo. Se procediamo nell’osservazione dei risultati,<br />

passiamo ad un livello ulteriore di analisi, nel quale è stato preso <strong>in</strong> considerazione<br />

un sottogruppo del campione orig<strong>in</strong>ale, costituito dalle madri, dai padri<br />

e dai pazienti s<strong>in</strong>tomatici. Dai confronti che sono stati eseguiti, ricaviamo alcune<br />

<strong>in</strong>teressanti osservazioni: è subito evidente come tra madri e figli s<strong>in</strong>tomatici<br />

sia presente una sorta di all<strong>in</strong>eamento per quanto riguarda i livelli di<br />

alexitimia (la “non significatività” nelle differenze tra punteggi di madri e pazienti<br />

designati messa <strong>in</strong> luce nel capitolo <strong>in</strong> cui sono esposti i risultati) <strong>in</strong> tutte<br />

le dimensioni della SAR e nel punteggio totale di scala, mentre differenze significative<br />

sono state r<strong>in</strong>tracciate tra i punteggi ottenuti dai padri e quelli ottenuti<br />

dalle madri, nonché tra quelli ottenuti dai padri e quelli ottenuti dai figli<br />

s<strong>in</strong>tomatici, laddove i padri presentano globalmente dei livelli di alexitimia <strong>in</strong>feriori<br />

(sebbene elevati <strong>in</strong> assoluto) rispetto a madri e figli s<strong>in</strong>tomatici. E’ <strong>in</strong>oltre<br />

necessario rilevare come, laddove delle differenze esistono, sono relative ai<br />

fattori 2 e 3, vale a dire la “difficoltà nell’identificare le emozioni” e “la difficoltà<br />

nel comunicare le emozioni” (a cui si aggiungono le differenze nel punteggio<br />

totale di scala per quanto riguarda il confronto padri-figli s<strong>in</strong>tomatici),<br />

dimensioni che ricorrono nelle diverse def<strong>in</strong>izioni del costrutto alexitimico e<br />

che sono presenti anche come due delle tre dimensioni della TAS-20 (Toronto<br />

Alexithymia Scale). Alla luce di queste osservazioni, potremmo disegnare un<br />

triangolo ideale (che ricorda la triangolazione familiare descritta da M<strong>in</strong>uch<strong>in</strong>)<br />

<strong>in</strong> cui <strong>in</strong>seriamo madre (M), padre (P) e figlio s<strong>in</strong>tomatico (F):<br />

Figura 1 - Triangolo delle relazioni tra madre,<br />

padre e figlio s<strong>in</strong>tomatico


- 66 -<br />

Tra madre e figlio s<strong>in</strong>tomatico è presente un rapporto probabilmente<br />

privilegiato, dal quale il padre sembra essere <strong>in</strong> un certo senso escluso; notiamo<br />

però come <strong>in</strong> un’ottica del genere il collegamento tra i tre membri sia<br />

sempre di tipo bidirezionale, cioè sempre considerando la reciprocità dei legami;<br />

ci sembra fondamentale sottol<strong>in</strong>eare questo aspetto per non cadere<br />

nell’errore di considerare la madre come causa del disturbo del figlio, poiché<br />

ci troviamo <strong>in</strong> una dimensione di circolarità e non di l<strong>in</strong>earità dove un fattore<br />

è legato al successivo <strong>in</strong> senso causale. Ciò che ci sembra evidente è<br />

senz’altro una certa esclusività nella relazione madre-figlio, che ci porta a<br />

pensare, avvalorando ancora una volta l’ipotesi <strong>in</strong>iziale, che l’alexitimia <strong>in</strong> un<br />

paziente s<strong>in</strong>tomatico, qu<strong>in</strong>di la condizione globale del paziente, non possa<br />

essere scissa dal contesto relazionale <strong>in</strong> cui è <strong>in</strong>serito. Questo aspetto che<br />

vede madre e figlio <strong>in</strong> una relazione particolare è un risultato ottenuto nel<br />

corso dell’elaborazione dei dati, sebbene non faccia propriamente parte dell’obiettivo<br />

della nostra ricerca; riteniamo tuttavia che sia un aspetto di estremo<br />

<strong>in</strong>teresse che sarà ripreso <strong>in</strong> considerazione <strong>in</strong> un futuro proseguimento<br />

di questo lavoro, <strong>in</strong> cui si potrà approfondire il ruolo paterno, apparentemente<br />

marg<strong>in</strong>ale rispetto alla relazione madre-figlio, fondata su una modalità<br />

alexitimica speculare e quello dei fratelli, la cui posizione potrà essere<br />

maggiormente approfondita avendo a disposizione un campione più ampio.<br />

Ci sembra comunque evidente come l’alexitimia non possa che essere considerata<br />

una qualità sistemica, visto il grado di diffusione piuttosto uniforme<br />

all’<strong>in</strong>terno delle famiglie prese <strong>in</strong> esame e come sia impresc<strong>in</strong>dibile l’analisi<br />

del contesto per comprendere gli <strong>in</strong>dividui che ne fanno parte.<br />

CONCLUSIONI<br />

La ricerca f<strong>in</strong> qui presentata costituisce uno studio <strong>in</strong>dubbiamente molto<br />

giovane, ad uno stato per così dire embrionale, che tuttavia ci orienta e ci<br />

stimola nel portare avanti un lavoro che è partito con risultati proficui e che<br />

confermano o, almeno, sono <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea con l’ipotesi proposta <strong>in</strong>izialmente. In<br />

una prospettiva futura <strong>in</strong> cui speriamo proceda questa ricerca, si dovrà cercare<br />

di analizzare i risultati ottenuti da un campione più ampio, grazie alla<br />

somm<strong>in</strong>istrazione di test ad un numero sempre maggiore di pazienti che<br />

afferiscono al nostro servizio di psicoterapia e, possibilmente, selezionando<br />

un campione più omogeneo dal punto di vista della psicopatologia presentata<br />

dal paziente designato. Nonostante la presenza di questi limiti, che sono<br />

sempre presenti <strong>in</strong> un’analisi condotta con metodo scientifico, è evidente che<br />

i risultati ottenuti aprono a prospettive nuove che hanno un importante valore<br />

che si esplica su più livelli. Innanzi tutto, la conformità di ciò che è stato<br />

ricavato da questo studio con l’ipotesi <strong>in</strong>iziale ci stimola ad andare avanti<br />

nella ricerca e a cont<strong>in</strong>uare <strong>in</strong> questo senso, nella def<strong>in</strong>izione sempre più ampia<br />

e complessa di un argomento che è di frequente riscontro cl<strong>in</strong>ico e che,<br />

proprio per questo, costituisce un campo di forte <strong>in</strong>teresse <strong>in</strong> tutti gli ambiti<br />

della psichiatria e della psicologia cl<strong>in</strong>ica. Inoltre, pur non avendo pretese di<br />

esaustività o di esclusività, si apre la possibilità concreta di <strong>in</strong>serire<br />

l’alexitimia <strong>in</strong> un’ottica del tutto nuova e f<strong>in</strong>ora scarsamente esplorata, la dimensione<br />

sistemica: l’alexitimia, <strong>in</strong>fatti, <strong>in</strong> questo modo viene letta e considerata<br />

<strong>in</strong> quella che è forse la sua accezione più importante ed anche più<br />

precocemente descritta s<strong>in</strong> da quando Sifneos la postulò circa quarant’anni


- 67 -<br />

fa: la mancanza di parole per esprimere le emozioni (def<strong>in</strong>izione particolarmente<br />

fedele all’etimologia della parola stessa) è <strong>in</strong> effetti una difficoltà o <strong>in</strong>capacità,<br />

a seconda del livello di gravità con cui si presenta, di comunicare i<br />

propri vissuti emozionali, qu<strong>in</strong>di presuppone nell’essenza stessa della parola<br />

la presenza di più <strong>in</strong>dividui che tra loro si relazionano. Se questa prospettiva<br />

può sembrare scontata <strong>in</strong> realtà non lo è affatto, vista la letteratura che è così<br />

vasta per quanto riguarda le considerazioni e gli studi sull’argomento, ma<br />

sempre <strong>in</strong>quadrata <strong>in</strong> senso <strong>in</strong>dividuale e mai relazionale, ovvero sistemico.<br />

Alla luce di ciò questa ricerca riporta l’alexitimia alle sue orig<strong>in</strong>i, cioè la<br />

riconsidera un difetto <strong>in</strong>terazionale più che costitutivo della persona s<strong>in</strong>gola,<br />

pur non tralasciando il piano <strong>in</strong>dividuale che è sempre essenziale aff<strong>in</strong>chè ne<br />

esista uno comunicativo (i test <strong>in</strong>fatti sono stati somm<strong>in</strong>istrati e decodificati<br />

soggetto per soggetto, sebbene poi analizzati <strong>in</strong> funzione del sistema familiare).<br />

I piani, qu<strong>in</strong>di, su cui i risultati della ricerca si articolano sono diversi:<br />

uno è più strettamente speculativo <strong>in</strong> quanto riguarda il contributo (o almeno<br />

un <strong>in</strong>teressante spunto) all’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e sull’eziologia del fenomeno, su cui<br />

sono state elaborate numerosissime ipotesi, <strong>in</strong> un’ ottica più complessa, ma<br />

nello stesso tempo probabilmente più completa: superando la dicotomia tra<br />

psiche e soma e la frammentazione tra diverse correnti che hanno di volta <strong>in</strong><br />

volta arricchito con le loro deduzioni e le loro ricerche il costrutto alexitimico,<br />

la prospettiva sistemica le comprende e le amplia, affiancandosi ai più recenti<br />

studi di neuroscienze e alle numerose teorie psicoanalitiche che si sono<br />

dedicate a lungo e cont<strong>in</strong>uano a dedicarsi alla def<strong>in</strong>izione di questo concetto,<br />

apportando una revisione a nostro avviso necessaria e complementare a<br />

quanto già noto. La ricerca però ha anche e soprattutto una valenza cl<strong>in</strong>ica,<br />

<strong>in</strong>fatti è proprio dall’esperienza cl<strong>in</strong>ica nell’ U.O.C. di psicoterapia che siamo<br />

partiti ed è lì che i risultati dovrebbero tornare apportando un beneficio. Dimostrando<br />

<strong>in</strong>fatti che l’alexitimia riscontrata frequentemente nei pazienti<br />

designati non è una caratteristica che rimane conf<strong>in</strong>ata al paziente e alla sua<br />

malattia, bensì diventa qualità di tutto il sistema del quale il paziente fa parte,<br />

anche l’approccio terapeutico sarà orientato <strong>in</strong> questo senso; la difficoltà<br />

nel verbalizzare le emozioni, attributo patologico che si può riscontrare a<br />

vari livelli ma che, come abbiamo visto rappresenta una comune tendenza<br />

nell’ambito delle “famiglie cl<strong>in</strong>iche” di cui ci siamo occupati, ha necessariamente<br />

dei risvolti nella pratica psicoterapeutica e nel rapporto del terapeuta<br />

con ogni membro della famiglia. L’<strong>in</strong>tervento, qu<strong>in</strong>di, grazie ad un futuro<br />

approfondimento di questo filone di ricerca, potrà avvalersi dei risultati ottenuti<br />

ed il terapeuta, che entra a far parte del sistema familiare, potrà adottare<br />

delle strategie comunicative tenendo conto delle caratteristiche di<br />

<strong>in</strong>terazione di queste famiglie, <strong>in</strong> un’ottica di circolarità e reciprocità dalla<br />

quale nessun componente del sistema <strong>in</strong> esame può essere escluso.<br />

° Professore di Psichiatria e <strong>Psicologia</strong> Cl<strong>in</strong>ica Università “La Sapienza”, Roma, Direttore<br />

U.O.C. Psicoterapia<br />

°° Medici <strong>in</strong>terni U.O.C. Psicoterapia, Membri Gruppo Ricerca Disturbi Psicosomatici e<br />

D.C.A.


- 68 -<br />

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Roma 1993.


- 69 -<br />

UN FARO PER GLI PSICOLOGI NELL’EMERGENZA:<br />

IL CODICE DEONTOLOGICO<br />

Emanuela Ciciotti °<br />

È chiaramente complesso riuscire <strong>in</strong> una situazione emergenziale ad<br />

avere canoni di riferimento per una corretta prassi professionale. Molti psicologi<br />

operano, per la maggior parte del tempo, <strong>in</strong> contesti, per così dire,<br />

protetti, dove le regole classiche del sett<strong>in</strong>g fisso, dell’utenza pressoché<br />

predef<strong>in</strong>ita o predef<strong>in</strong>ibile e dei sistemi socio-sanitari di riferimento sono di<br />

norma prefissati e chiari. È, <strong>in</strong>oltre, con le dovute eccezioni, <strong>in</strong>dividuabile a<br />

presc<strong>in</strong>dere il contesto culturale. In alcuni ambiti operativi, come nel sociale,<br />

tali canoni di riferimento diventano a volte più <strong>in</strong>def<strong>in</strong>iti; pur tuttavia la variante<br />

è m<strong>in</strong>ima. Ogni regola, ogni punto di riferimento, ogni contesto culturale<br />

noto, <strong>in</strong> emergenza, diventa completamente sfalsato. La maggior parte<br />

delle équipé giunge <strong>in</strong> un luogo nuovo, con riferimenti culturali propri<br />

della zona, con sistemi socio-sanitari esistenti, ma <strong>in</strong> ricostruzione e, comunque,<br />

poco noti. Gli spazi operativi sono nella maggior parte dei casi improvvisati<br />

e raramente protetti come d’abitud<strong>in</strong>e. L’utenza varia enormemente<br />

per età, sesso e bisogni. È chiaro ai più, che un <strong>in</strong>tervento <strong>in</strong> contesto culturale<br />

estero comporta un’appropriata preparazione. Non si parte, ad esempio,<br />

senza avere dimestichezza con la l<strong>in</strong>gua europea maggiormente compresa<br />

nel Paese di dest<strong>in</strong>azione. Si analizza il contesto culturale <strong>in</strong> cui si va a lavorare,<br />

direttamente con sopralluoghi prelim<strong>in</strong>ari, o <strong>in</strong>direttamente affiancandosi<br />

a mediatori culturali. Ovviamente, anche <strong>in</strong> quei contesti, è difficile<br />

arg<strong>in</strong>are la precarietà dei conf<strong>in</strong>i del sett<strong>in</strong>g e prevedere con sufficiente completezza<br />

la variabilità della domanda dell’utenza, ma resta chiara, forse perché<br />

più semplice immag<strong>in</strong>arne il divario, la necessità di approfondire le<br />

tematiche culturali e socio-sanitarie locali. Quello che ho potuto osservare<br />

nell’emergenza nazionale del sisma d’Abruzzo è stata, <strong>in</strong>vece, la mancanza di<br />

un’appropriata mediazione culturale. Il che non è impensabile: io stessa ho<br />

riflettuto criticamente su tutto ciò osservando il fenomeno nel suo svilupparsi.<br />

Prima di questa emergenza non mi ero posta il problema di una mediazione<br />

culturale all’<strong>in</strong>terno di uno stesso Paese. Identità nazionale, l<strong>in</strong>gua apparentemente<br />

unica, distanza chilometrica non eccessiva, normative di riferimento<br />

comuni, identici programmi scolastici e tanto, tanto altro <strong>in</strong> comune.<br />

Ma la verità è che la variabilità culturale è netta, a volte, anche se si passa da<br />

un quartiere all’altro. Immag<strong>in</strong>iamo quanto ciò possa essere vero su una scala<br />

cittad<strong>in</strong>a, prov<strong>in</strong>ciale o regionale. All’<strong>in</strong>izio sembrava solo una difficoltà<br />

più che comprensibile di pronuncia corretta dei nomi delle località. Ma chi<br />

vive tra i monti sa quanto i rilievi dividano significativamente i s<strong>in</strong>goli borghi<br />

e la città da essi. Sicché, ricordo il mio stupore quando, pronta a descrivere,<br />

nei miei pur chiari limiti, alle squadre le peculiarità di ciascuna zona <strong>in</strong> cui si<br />

acc<strong>in</strong>gevano ad operare, non mi venne lasciato lo spazio per farlo. Ma non<br />

c’era cattiva fede <strong>in</strong> questo: semmai, nell’analisi della moltitud<strong>in</strong>e dei bisogni,<br />

sfuggiva quello che sembrava non esserlo e, cioè, la mancanza di reale<br />

conoscenza del background culturale locale, identificabile, <strong>in</strong> forma più netta,<br />

nel “semplice dialetto”. Sarebbe cosa di poco conto tutto ciò che sto scri-


- 70 -<br />

vendo se la maggior parte degli operatori presenti sul territorio avessero<br />

avuto la possibilità di permanere <strong>in</strong> loco per tempi estesi, ma è chiaro che un<br />

volontariato professionale, fatto, cioè, da professionisti che prestano la loro<br />

opera, <strong>in</strong> contesti non emergenziali, <strong>in</strong> modo costante altrove, non può che<br />

svilupparsi su tempi ridotti, che nella maggior parte dei casi vanno dai 7 ai<br />

15 giorni. Se togliamo i 2 giorni di entrata e uscita per il passaggio di consegne,<br />

nella migliore delle ipotesi abbiamo una concreta permanenza operativa<br />

di 13 giorni, nella peggiore di 5. Mania ossessiva per le cifre? No, ma necessità,<br />

sì, di rendere evidente le difficoltà serie e reali con cui i colleghi si<br />

sono dovuti confrontare <strong>in</strong> una situazione di per sé stessa già per def<strong>in</strong>izione,<br />

precaria. Per chi, tra i lettori, ha fatto esperienza diretta di ciò di cui parlo,<br />

potrà tutto sembrare chiaro a presc<strong>in</strong>dere, ma volendo favorire nella comprensione<br />

chi di noi non ha operato direttamente sul territorio, mi sento “<strong>in</strong><br />

dovere” di fare delle precisazioni. Uno psicologo arriva <strong>in</strong> un Campo assegnatogli<br />

dove lo accolgono colleghi uscenti che gli spiegano dove si trovano<br />

e che tipo di situazioni sono, al momento, oggetto della loro attenzione. Per<br />

quanto il passaggio di consegne voglia essere completo, passare dalla carta<br />

alla realtà di Campo, richiede comunque un grande ulteriore salto di comprensione.<br />

Quello che più frequentemente ho sentito ripetere dai colleghi<br />

che si avvicendavano nelle settimane era che non si faceva <strong>in</strong> tempo a capire<br />

dove ci si trovava e cosa era meglio fare, che... eccolo sopraggiunto il momento<br />

di partire. Ovvio che parlo di una situazione idilliaca <strong>in</strong> base alla quale<br />

possiamo immag<strong>in</strong>are <strong>in</strong>variate le situazioni di base quotidiane, di conseguenza:<br />

nessuna nuova scossa di particolare rilievo, nessuna nuova norma <strong>in</strong>trodotta<br />

nella gestione della vita del Campo, nessuna variazione nella popolazione<br />

residente, nessuna situazione climatica avversa...In condizioni così<br />

disagevoli c’è solo una costante che gioca a vantaggio del cliente nella relazione<br />

con lo psicologo: “il sett<strong>in</strong>g <strong>in</strong>terno” (Meltzer D., 1967). Ma se è vero<br />

che l’alleanza con il cliente com<strong>in</strong>cia a formarsi al primo <strong>in</strong>contro, è vero anche<br />

che i tempi <strong>in</strong> proporzione alla vastità di popolazione sono molto miseri.<br />

Se è vero che è l’altro - e solo lui che può <strong>in</strong>segnarci di sé (Rogers C., 1961) -<br />

è pur vero che i pilastri m<strong>in</strong>imi di riferimento di uno psicologo, posto di<br />

fronte ad un cliente, deve averli se non vuole perdersi con esso nel “suo<br />

mondo”, ma aiutarlo a chiarirne i conf<strong>in</strong>i. Allora non basta avere grande conoscenza<br />

teorica e pratica delle patologie che possono <strong>in</strong>sorgere nell’animo<br />

umano per ridurre il tempo di focus<strong>in</strong>g, ma si vede necessario avere una buona<br />

conoscenza del background culturale di riferimento del cliente per poter<br />

avere chiaro cosa è segno di ipotetica <strong>in</strong>sorgenza di patologia e cosa è parte<br />

di vita quotidiana. Non dico questo senza cognizione di causa, perché più<br />

volte è avvenuto che proprio la mancanza di connessione culturale, per psicologi<br />

e non, ha comportato la lettura parziale o <strong>in</strong>esatta dei processi. Immag<strong>in</strong>o<br />

che di alcune situazioni non avremo mai conoscenza, ma per quella che<br />

è stata la mia esperienza, <strong>in</strong> quelle occasioni di parziale confusione di traduzione<br />

del mondo dell’altro, sono stati essenziali mediatori locali, nella maggior<br />

parte dei casi medici di famiglia, avendo loro accesso consentito ai Campi.<br />

Quanto sarebbe stato utile se <strong>in</strong> ogni Campo o <strong>in</strong> una somma di essi fosse<br />

stato posto uno psicologo del territorio capace di dare il significato culturale<br />

ai processi <strong>in</strong> atto per aiutare le squadre operative? Sicuramente gli psicologi<br />

locali avevano anche una vita da seguire, qu<strong>in</strong>di, forse, non tutti o non per


- 71 -<br />

<strong>in</strong>tere giornate avrebbero potuto garantire una presenza, ma lo psicologo del<br />

territorio, come il medico di famiglia o l’assistente sociale, rappresenta la<br />

rete: quello che non può garantire come supporto <strong>in</strong> prima persona, può garantirlo<br />

attraverso l’attivazione delle reti necessarie. Sa cosa unisce o divide<br />

la popolazione e ne conosce i perché; sa chi attivare nel bisogno e come; banalmente<br />

parlando, sa come muoversi nella zona. Banalmente?... Partirei da<br />

quanto suddetto per porre ai Lettori e ai Colleghi alcuni <strong>in</strong>terrogativi, codice<br />

alla mano. Un punto essenziale che si può muovere nel dubbio rispetto all’att<strong>in</strong>gere<br />

alle risorse professionali territoriali è certamente legato a quanto<br />

ricordato con saggezza nell’art. 26 del codice deontologico: “Lo psicologo si<br />

astiene dall’<strong>in</strong>traprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri<br />

problemi o conflitti personali, <strong>in</strong>terferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano<br />

<strong>in</strong>adeguate o dannose alle persone cui sono rivolte”. (...)<br />

Non è illogico riflettere sulla possibilità che gli psicologi del territorio,<br />

<strong>in</strong> qualità essi stessi di soggetti sottoposti a catastrofe, possano, nonostante il<br />

privilegiato percorso professionale che li porta a poter fare affidamento su<br />

un livello superiore di congruenza, avere un momento di difficoltà che richieda<br />

un attenzione particolare e delicata al proprio mondo emozionale.<br />

Occuparsi direttamente <strong>in</strong> prima battuta di persone che cercano aiuto proprio<br />

nell’elaborazione di una d<strong>in</strong>amica per lo psicologo stesso ancora aperta,<br />

alza notevolmente il rischio di collusione con il cliente (Carli R., Paniccia<br />

M.R., 1981). Questo porterebbe a quell’<strong>in</strong>terferenza sulle prestazioni che, lì<br />

dove non porti addirittura ad un danno, rischia, tuttavia, di rendere il lavoro<br />

psicologico <strong>in</strong>adeguato. Posso ritenere, qu<strong>in</strong>di, condivisibile l’attenzione a<br />

supportare le forze esistenti sul territorio con squadre esterne <strong>in</strong> attesa di un<br />

recupero il più possibile ottimale dei colleghi co<strong>in</strong>volti nella catastrofe. Pur<br />

tuttavia, se valutare l’estromissione dall’<strong>in</strong>tervento psicologico diretto degli<br />

psicologi esposti all’evento critico si vede, almeno <strong>in</strong> prima battuta, eticamente<br />

corretto, si può riflettere sulla possibilità di co<strong>in</strong>volgerli attivamente<br />

<strong>in</strong> qualità di logisti del territorio. Avere al fianco una persona esperta e competente<br />

che conosce le d<strong>in</strong>amiche del territorio, la sua storia, la sua gente e i<br />

suoi luoghi, può rendere molto più fluido sotto tutti i punti di vista il lavoro<br />

delle équipé. Portatore di una cultura locale, può facilitare la lettura <strong>in</strong> una<br />

direzione non patologica di segni e simboli che, decontestualizzati, possono<br />

sembrare precursori di malattia più che di salute mentale e di senso di comunità;<br />

potrebbero, <strong>in</strong> alcuni casi, avere notizie rilevanti rispetto ad alcuni<br />

membri della popolazione tali da <strong>in</strong>canalare nei modi più <strong>in</strong>dicati il lavoro<br />

con essi; sarebbero, nei passaggi settimanali di consegne, traccia storica e significativa<br />

del lavoro f<strong>in</strong> lì svolto; la presenza di una figura costante e riconosciuta<br />

come culturalmente partecipe, potrebbe facilitare l’<strong>in</strong>terazione della<br />

popolazione con le équipé a cui verrebbe dato un riconoscimento superiore.<br />

Sappiamo che uno psicologo opera anche su emozionalità di cui non ha fatto<br />

diretta esperienza e questo non è un limite professionale rispetto alla possibile<br />

riuscita dell’<strong>in</strong>tervento; pur tuttavia è riconoscibile come per una persona<br />

vittima di catastrofe, più che per altre situazioni, può essere facilitante e<br />

rassicurante sapere che il professionista che ha di fronte, con le dovute differenze<br />

personali, ha un background culturale comune al suo anche nel suo essere<br />

un sopravvissuto all’evento calamitoso. Mi è capitato svariate volte di<br />

trovarmi di fronte a persone che si sentivano <strong>in</strong>comprese e smarrite, non per


- 72 -<br />

reale <strong>in</strong>capacità dell’altro di accoglierle, ma pr<strong>in</strong>cipalmente per un vissuto<br />

personale, e ricordo perfettamente come, compreso che erano di fronte a<br />

una concittad<strong>in</strong>a, di botto cambiava il loro sguardo, diventava più partecipe<br />

delle parole condivise e con il tempo avveniva un ulteriore rilassamento corporeo<br />

ed emozionale; il problema, seppur persistente, appariva pian piano<br />

di più facile risoluzione e nella condivisione serena di ricordi e conoscenze<br />

comuni, ho visto spesso apparire anche sorrisi e le persone andar via r<strong>in</strong>graziando<br />

dell’aiuto ottenuto.<br />

Ovviamente, tornando a quanto ricordato sulle possibili collusioni con<br />

i clienti, possiamo fare un sano ragionamento. Gli psicologi dell’emergenza<br />

<strong>in</strong> quanto tali, sebbene ancora non siano stati formalmente def<strong>in</strong>iti i conf<strong>in</strong>i<br />

di tale discipl<strong>in</strong>a, sembra logico che spendano la loro opera <strong>in</strong> campi a conf<strong>in</strong>e<br />

con gli altri esistenti ma senza accavallarsi ad essi. Se è vero che nei primi<br />

tempi successivi ad una catastrofe è utile l’apporto di professionisti esperti<br />

nel settore, è vero che bisogna def<strong>in</strong>ire quali siano questi tempi e dove f<strong>in</strong>isca<br />

la psicologia def<strong>in</strong>ita dell’emergenza. Io credo che la psicologia dell’emergenza<br />

possa ritenersi <strong>in</strong> f<strong>in</strong>e mandato quando la situazione com<strong>in</strong>cia a<br />

richiedere un <strong>in</strong>tervento di tipo sociale e più a lungo term<strong>in</strong>e. Mi spiego meglio.<br />

Nei primi tempi dopo l’evento calamitoso la fase organizzativa è variabile<br />

e <strong>in</strong> work<strong>in</strong>g progress; tempo <strong>in</strong> cui la popolazione vive <strong>in</strong> uno stato di<br />

allarme molto alto; vive <strong>in</strong> un contesto non ancora def<strong>in</strong>ito e def<strong>in</strong>ibile che<br />

gli impedisce di sviluppare punti di riferimento sufficientemente stabili,<br />

come vuole essere la disposizione del Campo, la strutturazione della mensa,<br />

le regole <strong>in</strong>terne, i punti di riferimento esterni. In questo contesto la figura<br />

dello psicologo dell’emergenza è essenziale. Egli è preparato a lavorare <strong>in</strong><br />

questi specifici contesti e, qu<strong>in</strong>di, pronto a divenire punto fermo nella tempesta<br />

senza lasciarsi trasportare da essa. È questo il momento <strong>in</strong> cui solo tale<br />

figura, accompagnata da eventuali logisti del territorio, è auspicabile che entri<br />

<strong>in</strong> opera, come ben ci evidenzia anche l’art. 5 del codice: “Lo psicologo è<br />

tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi<br />

nella propria discipl<strong>in</strong>a specificatamente nel settore <strong>in</strong> cui opera. Riconosce i limiti<br />

della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha<br />

acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione”.(...) Non si<br />

può rischiare mai di essere <strong>in</strong>idonei al contesto, ma per la delicatezza della<br />

situazione, questo mi sembra ulteriormente vero a seguito di catastrofe.<br />

Però l’emergenza considerata <strong>in</strong> questa fase non è eterna. Arriva il momento<br />

<strong>in</strong> cui le strutturazioni di riferimento diventano sufficientemente stabili.<br />

Siamo d’accordo che nessuno vivrebbe <strong>in</strong> una tenda se non per scelta di<br />

vita o per campeggio. Una volta stabilito che quello è temporaneamente il<br />

luogo di residenza, decise le regole di Campo, organizzata <strong>in</strong> modo condiviso<br />

la gerarchia di riferimento, dati come noti i riferimenti burocratici esterni<br />

al Campo, a questo punto f<strong>in</strong>isce la competenza della psicologia dell’emergenza.<br />

Così, nel riconoscere le difficoltà <strong>in</strong>negabili della precarietà di quel<br />

contesto, tutto non può che passare per competenza alla psicologia sociale e<br />

a quella cl<strong>in</strong>ica per le rispettive aree di <strong>in</strong>tervento. È questo un momento <strong>in</strong><br />

cui le persone com<strong>in</strong>ciano ad avvertire il bisogno di stabilità. Più e più volte<br />

la popolazione ha ravvisato la necessità di rendere stabile, oltre al contesto,<br />

la figura <strong>in</strong>vestita della responsabilità di accompagnarli nella propria rico-


- 73 -<br />

struzione <strong>in</strong>terna e sociale. Innanzitutto, se il problema diventa sociale e cl<strong>in</strong>ico,<br />

per il già citato art.5, passano le competenze a nuovi professionisti settore<br />

specifici. Secondo, se l’obiettivo è il riprist<strong>in</strong>o di punti di riferimento<br />

non temporanei che impediscono un lavoro più profondo sulla persona, le<br />

competenze devono ritornare al territorio, l’unico <strong>in</strong> grado di garantire tempi<br />

di accoglienza del bisogno più lunghi. L’articolo 37 del codice ci ricorda<br />

quanto questo sia professionalmente atteso. “Lo psicologo accetta il mandato<br />

professionale esclusivamente nei limiti delle proprie competenze. Qualora l’<strong>in</strong>teresse del<br />

committente e/o del dest<strong>in</strong>atario della prestazione richieda il ricorso ad altre specifiche<br />

competenze, lo psicologo propone la consulenza ovvero l’<strong>in</strong>vio ad altro collega o ad<br />

altro professionista”.<br />

Allora riflettiamo su quanto, visto il profondo contatto che nel tempo<br />

gli psicologi dell’emergenza hanno con la popolazione, sia essenziale ottenere<br />

<strong>in</strong> accordo con loro una attenta analisi dei bisogni su cui lavorare e idonei<br />

<strong>in</strong>vii. Nella specificità dell’evento di cui parliamo, possiamo <strong>in</strong>dicare i tempi<br />

di fuoriuscita dalla prima fase di emergenza <strong>in</strong> 2 mesi. Possiamo ipotizzare<br />

che l’attivazione delle reti necessarie e di progetti f<strong>in</strong>alizzati al riprist<strong>in</strong>o della<br />

normalità richiedano, all’<strong>in</strong>circa, un ulteriore mese o poco più. Nella possibile<br />

variabilità della situazione <strong>in</strong> altri contesti, rimaniamo nell’ipotesi che<br />

<strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di massima gli psicologi dell’emergenza dovrebbero passare le consegne<br />

al territorio entro poco più di 3 mesi. Cosa si <strong>in</strong>tende per territorio?<br />

Certamente il Servizio Sanitario Pubblico. Certamente i Servizi Sociali pubblici<br />

e privati. Ma anche gli psicologi e gli psicoterapeuti operanti nel privato.<br />

Una forza lavoro di dimensioni enormi. Del resto, nel contesto nazionale<br />

è chiaro che queste sono forze professionali esistenti e affidabili. Non è l’Italia<br />

un luogo <strong>in</strong> cui sia ravvisata una carenza di psicologi o un abbandono da<br />

parte degli stessi dell’utenza. E non si può dimenticare che gli operativi su<br />

un territorio, seppur attivi <strong>in</strong> contesti diversi, sono, <strong>in</strong> qualità di iscritti, la<br />

viva identità di un Ord<strong>in</strong>e professionale, qu<strong>in</strong>di tra loro <strong>in</strong> grado di organizzarsi<br />

<strong>in</strong> modo costruttivo. Vada che f<strong>in</strong> troppe volte ho dovuto sentir dire che<br />

gli psicologi di L’Aquila erano traumatizzati. Ammesso questo come ipotesi,<br />

restano o non restano popolazione? Sono popolazione solo al bisogno, quando<br />

non possono operare, o lo sono anche quando operano gli altri? E allora,<br />

essendo il futuro del territorio nonché popolazione, essendo, qu<strong>in</strong>di, secondo<br />

quanto ipotizzato, sia utenza diretta che strumento futuro per la salute<br />

della collettività, che si fa? L’articolo 3 del codice deontologico parla chiaro.<br />

“Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano<br />

ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’<strong>in</strong>dividuo, del gruppo e della<br />

comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone<br />

di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi <strong>in</strong> maniera consapevole, congrua<br />

ed efficace”.(...).<br />

E non sarà a maggior ragione vero che, secondo mandato deontologico,<br />

considerato che gli psicologi del territorio dovranno <strong>in</strong> futuro mostrare<br />

solide consapevolezza, congruenza ed efficacia, dovranno a maggior<br />

ragione ricevere supporto perché ne sia promosso il benessere e perché, per<br />

un effetto a cascata, un giorno sia <strong>in</strong> modo <strong>in</strong>diretto garantito il benessere<br />

psicologico della popolazione che alle loro cure dovrà tornare? Dov’era la<br />

psicologia dell’emergenza per i colleghi del territorio? Come si organizza la<br />

psicologia dell’emergenza rispetto a tale tematica? Come affronta questo,


- 74 -<br />

che, permettetemi, è un suo limite <strong>in</strong>terno? Se si pensava che fossero<br />

traumatizzati, bisognava, per mandato deontologico rispondere al bisogno<br />

organizzando per essi un valido aiuto, perché se il mandato a cui risponde la<br />

psicologia dell’emergenza è il famoso art. 3, avendo come dovere la salute<br />

mentale della comunità e dovendo favorirla, non può e non deve tralasciare<br />

lo strumento essenziale per garantirla: i suoi psicologi. Non regge la scusa<br />

che ipoteticamente potevano portare segni di trauma per non passare le consegne.<br />

La psicologia dell’emergenza ha fallito il mandato quando ha <strong>in</strong>vaso il<br />

campo della cl<strong>in</strong>ica e del sociale, perché usciva dalla propria competenza e<br />

non rispettava il dovere di <strong>in</strong>vio. Il centro di ogni decisione nella psicologia<br />

deve essere il cliente. Se il cliente ha bisogno di costanza nella figura professionale<br />

di riferimento bisogna centrarsi su questo e renderlo attuabile. All’<strong>in</strong>izio,<br />

del resto, anche per la medic<strong>in</strong>a sono sopraggiunte squadre da tutta<br />

Italia, ma poi tutto è stato rimesso nelle mani dei medici locali, a partire dai<br />

medici di famiglia. Non vale come giustificazione il fatto che gli organi superiori<br />

degli psicologi italiani non avevano ancora dato dei conf<strong>in</strong>i operativi<br />

alla psicologia dell’emergenza, perché <strong>in</strong> realtà, poi, era stato fatto nella stesura<br />

stessa del codice deontologico che, come su ho <strong>in</strong>dicato, <strong>in</strong> merito è<br />

estremamente chiaro e che nel suo art.1 specifica ancor meglio che: “Le regole<br />

del presente Codice deontologico sono v<strong>in</strong>colanti per tutti gli iscritti all’Albo degli<br />

psicologi. (...) Lo psicologo è tenuto alla loro conoscenza (...).<br />

Ovviamente questo non vuole essere un attacco alla psicologia dell’emergenza<br />

e alla sua professionalità ed efficacia riconosciute, ma mi scuseranno<br />

i Colleghi se con tanto fervore parlo di cose <strong>in</strong> cui credo fermamente e<br />

che vorrei fossero ascoltate con attenzione perché se ne discuta <strong>in</strong> modo<br />

costruttivo. Magari verranno confutate perché così riterrà opportuno la comunità<br />

scientifica e questo sarà sano se ne verrà dimostrata l’<strong>in</strong>concretezza.<br />

Ma credo che sarebbe comunque importante provare ad analizzare questi<br />

punti che nel work<strong>in</strong>g progress di un ramo così giovane della psicologia possono<br />

apportare riflessioni costruttive per migliorarne l’efficacia..<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

1. Calvi E., Gulotta G. (1999), Il codice deontologico degli psicologi italiani commentato articolo<br />

per articolo, Giuffrè, Milano;<br />

2. Carli R., Paniccia R.M.(1981), <strong>Psicologia</strong> delle organizzazioni e delle istituzioni, Il Mul<strong>in</strong>o,<br />

Bologna;<br />

3. Meltzer D.(1967), The Psychoanalytic Process, He<strong>in</strong>emann, London;<br />

4. Rogers C.R.(1961), On Becom<strong>in</strong>g a Person: A Therapists’s View of Psychotherapy, Houghton<br />

Miffl<strong>in</strong> Company, New York.<br />

° Psicologa – Psicoterapeuta<br />

Indirizzo dell’Autore: Emanuela Ciciotti<br />

Via Monte San Rocco, 27<br />

67100 L’Aquila<br />

mail: e_cicioz@yahoo.it


- 75 -<br />

COSCIENZA/ ESPERIENZA:<br />

MEDICINA E PSICOLOGIA SUL CAMPO:<br />

“QUANTO È IMPORTANTE ESSERE BELLI?”<br />

IL CONCETTO DI BELLEZZA<br />

VISTO DAL DERMATOPAZIENTE<br />

Salvatore Sasso°, Irene Sborl<strong>in</strong>i°°, AnnaMariaRotondo°°°, Nevia Fersula°°°°<br />

“La bellezza è negli occhi di chi guarda ...”<br />

(Margareth Hungerford)<br />

1. Introduzione<br />

Negli ultimi anni la psicologia sperimentale si è occupata di studiare<br />

accuratamente il tema della bellezza o dell’attrazione fisica, smentendo quasi<br />

del tutto l’idea dell’assoluta relatività della bellezza. Infatti, per secoli si è<br />

pensato che la bellezza potesse cambiare a seconda del contesto culturale e<br />

del periodo storico, e per questo si credeva che non potesse essere studiata<br />

scientificamente, qu<strong>in</strong>di sottoposta a regole generali. A tal proposito, <strong>in</strong>teressante<br />

è lo studio condotto da Langlois et al. (2000) <strong>in</strong> cui si è osservato un<br />

<strong>in</strong>dice di concordanza elevato per quanto riguarda la valutazione della bellezza<br />

del volto fra <strong>in</strong>dividui diversi per età e cultura. Le ricerche hanno dimostrato<br />

che i giudizi di bellezza concordano negli adolescenti e negli adulti;<br />

nei bamb<strong>in</strong>i più piccoli è stato notato un metro di giudizio simile a quello<br />

degli adulti (Kramer et al.,1995; Slater et al., 1998; Rubenste<strong>in</strong> et al.,1999).<br />

Il bisogno di studiare i meccanismi sottostanti la percezione della bellezza,<br />

e come si sviluppa la preferenza per le caratteristiche fisiche attraenti,<br />

deriva dall’<strong>in</strong>fluenza che la bellezza estetica ha nella nostra vita. La bellezza,<br />

<strong>in</strong>fatti, oltre ad avere il suo effetto più evidente nell’attrazione <strong>in</strong>terpersonale,<br />

contribuisce ad <strong>in</strong>fluenzare il nostro giudizio sugli altri a livello <strong>in</strong>consapevole<br />

(bias di giudizio), dal momento che, un bamb<strong>in</strong>o attraente può essere<br />

giudicato più <strong>in</strong>telligente di un bamb<strong>in</strong>o meno attraente. La bellezza è<br />

dunque alla base di molte scelte quotidiane, poiché contribuisce ad <strong>in</strong>fluenzare<br />

il nostro comportamento e le nostre decisioni più di quanto possiamo<br />

immag<strong>in</strong>are. Alle persone belle, di solito, vengono attribuite caratteristiche<br />

positive (bontà, onestà, socialità, laboriosità) che sono del tutto <strong>in</strong>dipendenti<br />

dalla bellezza; gli psicologi chiamano questo fenomeno “effetto alone” della<br />

bellezza. Fe<strong>in</strong>gold (1992), tramite la rassegna di 93 ricerche, è arrivato a concludere<br />

che le persone attraenti soffrono meno di solitud<strong>in</strong>e e di ansia sociale.<br />

Le persone belle, <strong>in</strong>oltre, sono generalmente considerate più <strong>in</strong>telligenti,<br />

guadagnano di più, ricevono facilmente l’aiuto degli altri, sono perf<strong>in</strong>o giudicate<br />

meno responsabili <strong>in</strong> caso di reato ed hanno maggiore autostima che<br />

le porta ad essere più estroverse e ad avere relazioni <strong>in</strong>terpersonali più proficue.<br />

Qu<strong>in</strong>di, nella maggior parte dei casi, il nostro modo di rapportarci agli<br />

altri dipende sia da aspetti esteriori sia dal comportamento non verbale. Il<br />

giudizio dei giovanissimi sul proprio corpo tende a deteriorarsi con l’<strong>in</strong>gresso<br />

nella fase adolescenziale, dal momento che solo il 20% degli adolescenti è


- 76 -<br />

soddisfatto del proprio aspetto fisico. Il disagio sociale e la bassa autostima,<br />

frutto di una percezione negativa del proprio aspetto fisico, compromettono<br />

poi la qualità della vita delle persone nei diversi ambiti e, di conseguenza, il<br />

loro benessere psicofisico (André e Lelord, 1999).<br />

Esiste una scarsa relazione tra bellezza e salute fisica, laddove per salute<br />

fisica si <strong>in</strong>tende il numero di patologie sviluppate nel corso della vita, e ciò<br />

è stato dimostrato da una serie di studi condotti da Reis et al.,1985; Hansell<br />

et al., 1982; Shackelford e Larsen, 1999; Kalick et al., 1998. Cron<strong>in</strong> et al.<br />

(1999) hanno osservato, <strong>in</strong>vece, una relazione significativa tra bellezza e salute<br />

fisica, laddove quest’ultima è <strong>in</strong>tesa come forza, vigilanza, assenza di affaticamento<br />

e piacere. La bellezza gioca un ruolo determ<strong>in</strong>ante anche nella vita<br />

affettiva e sessuale delle persone, poiché rappresenta un vero e proprio criterio<br />

per la scelta del proprio partner - spesso la prima impressione è quella<br />

che conta; <strong>in</strong>oltre <strong>in</strong>fluenza molto anche il mondo del lavoro, pensiamo al<br />

classico colloquio d’assunzione. Anche nell’ambito lavorativo, difatti, dove si<br />

dovrebbero privilegiare le capacità e le potenzialità dei soggetti, le persone<br />

attraenti sono più gradite e avvantaggiate rispetto agli altri candidati, si <strong>in</strong>tegrano<br />

meglio nel contesto lavorativo e spesso guadagnano di più, probabilmente<br />

perché hanno la possibilità di trovare posti di lavoro più prestigiosi<br />

(De Shields, 1996) o semplicemente perché ricevono più proposte lavorative.<br />

La bellezza, dunque, è un fattore determ<strong>in</strong>ante per il successo professionale,<br />

poiché esercita lo stesso peso di elementi più oggettivi, come il titolo di studio<br />

e le competenze di un <strong>in</strong>dividuo. Uno studio, condotto all’università la<br />

Sorbona di Parigi, ha confermato come alcune persone possano riscuotere<br />

maggiore successo nella propria carriera professionale, proprio grazie alla<br />

loro avvenenza.<br />

Al contrario, un fenomeno quale ad esempio il mobb<strong>in</strong>g è <strong>in</strong>dirizzato di<br />

frequente verso persone che presentano caratteristiche fisiche chiaramente<br />

non attraenti. Alla luce di queste considerazioni, dunque, non possiamo rimanere<br />

<strong>in</strong>differenti alla divulgazione da parte dei mass media di canoni<br />

estetici lontani dalla norma, i quali <strong>in</strong>vece contribuiscono allo sviluppo di<br />

problematiche come quelle legate all’<strong>in</strong>soddisfazione di sé, f<strong>in</strong>anche ai disturbi<br />

dell’immag<strong>in</strong>e corporea, dove la sofferenza deriva da una distorsione<br />

della propria immag<strong>in</strong>e che co<strong>in</strong>volge la sfera emotiva, cognitiva, percettiva<br />

e comportamentale dell’<strong>in</strong>dividuo. Il periodo particolarmente critico, durante<br />

il quale questi disturbi possono presentarsi è l’adolescenza, poiché i canoni<br />

di bellezza comunicati dalla società attuale hanno un impatto maggiore<br />

sui giovani adolescenti; le conseguenze poi sono particolarmente negative<br />

quando a complicare ulteriormente la situazione di disagio che vive l’adolescente,<br />

subentra il contributo di una malattia dermatologica che compromette<br />

l’estetica del corpo. Nello specifico le problematiche psicologiche e lo stigma<br />

sociale aumentano soprattutto quando la malattia <strong>in</strong>teressa il viso, sia<br />

nella sua conformazione che a livello della superficie cutanea; ne consegue<br />

che le criticità della fase adolescenziale siano enfatizzate dalla presenza di<br />

una malattia cutanea come ad esempio la vitilig<strong>in</strong>e e ancor meglio l’acne,<br />

poiché quest’ultima è una malattia che <strong>in</strong> forme più o meno gravi co<strong>in</strong>volge<br />

tutti. I dati provenienti da uno studio recente mostrano che, l’idea di una<br />

pelle perfetta sia uno dei fattori pr<strong>in</strong>cipali quando si parla di bellezza: questo<br />

discorso vale soprattutto nella cultura occidentale che valorizza una pelle


- 77 -<br />

bella, sana e liscia spesso come s<strong>in</strong>onimo di bellezza, dal momento che una<br />

pelle deturpata da lesioni, d’orig<strong>in</strong>e diversa, rischia di diventare motivo di<br />

disagio e imbarazzo non solo per l’adolescente.<br />

2. La Pelle<br />

La pelle è l’organo più esteso del corpo - pari al 5% del peso totale dell’<strong>in</strong>dividuo<br />

- che adempie ad una molteplicità di funzioni fisiologiche e psicologiche.<br />

È l’organo primario per la sensibilità tattile, per i bisogni emotiviaffettivi,<br />

sessuali e per una relazione tangibile e rassicurante; è l’<strong>in</strong>volucro<br />

del nostro corpo che ci protegge dagli stimoli esterni e ci consente di comunicare,<br />

dal momento che mette <strong>in</strong> contatto il nostro mondo <strong>in</strong>terno con<br />

l’ambiente esterno; è un elemento di conf<strong>in</strong>e tra sé e gli altri, poiché delimita<br />

ma unisce, separa e al tempo stesso mette <strong>in</strong> contatto. Dunque, è molto<br />

importante accarezzare i neonati ed i bamb<strong>in</strong>i, così da permettere loro di acquisire<br />

la consapevolezza del proprio essere e comunicare la differenza tra sé<br />

e non sé. È proprio l’adulto a favorire una maggiore consapevolezza nel<br />

bamb<strong>in</strong>o, poiché per amarsi bisogna essere certi di esistere prima di tutto<br />

come <strong>in</strong>dividuo a se stante. Per mezzo della pelle, noi comunichiamo le emozioni,<br />

poiché rappresenta la nostra immag<strong>in</strong>e più esposta al giudizio degli<br />

altri. Quando sulla pelle si osserva un rosso che emerge come nella dermatite<br />

o che scompare come nella vitilig<strong>in</strong>e o che è coperto come nella psoriasi, siamo<br />

sempre ad un livello d’emozioni forti, che non trova il giusto canale<br />

d’espressione.<br />

Il noto psicoanalista francese Didieur Anzieu ritiene che il concetto di<br />

“Io” si sviluppi proprio a partire dalla nostra pelle, dal momento che, f<strong>in</strong> dalla<br />

nascita, il bamb<strong>in</strong>o riceve cont<strong>in</strong>ui messaggi dalla pelle stessa, consentendogli<br />

di differenziare sempre più il soggetto dell’esperienza dall’oggetto<br />

esperito. Secondo lo psicoanalista francese Jaques Lacan, quest’elaborazione<br />

com<strong>in</strong>cia verso i 18 mesi durante lo “stadio dello specchio”. Con il concetto di<br />

Io-pelle, D. Anzieu si riferisce ad una rappresentazione di cui si serve l’Io del<br />

bamb<strong>in</strong>o per rappresentare se stesso come Io che contiene, a partire dalla<br />

propria esperienza della superficie del corpo. Numerose sono le condizioni<br />

emotive che si esprimono su di essa, <strong>in</strong> modi e forme diverse; <strong>in</strong> alcuni casi<br />

queste manifestazioni cutanee più o meno patologiche, rappresentano l’unica<br />

possibilità che l’uomo ha per raccontarsi. La malattia dermatologica può,<br />

qu<strong>in</strong>di, assumere una funzione simbolica, <strong>in</strong> quanto la pelle diviene il luogo<br />

dei conflitti <strong>in</strong>terni, ma bisogna <strong>in</strong> ogni modo considerarla nella maggior<br />

parte dei casi come il prodotto di più fattori (genetici, ambientali, psicosociali).<br />

Traumi, ricordi dolorosi, alterazioni dell’equilibrio e del benessere<br />

psico-fisico, si traducono immediatamente <strong>in</strong> patologie specifiche a danno<br />

della pelle, nella quale è scritto, a volte <strong>in</strong> maniera eloquente per uno specialista,<br />

il nostro passato: “la pelle come uno specchio nel quale guardare al fondo di se<br />

stessi”.<br />

3. Psicosomatica e Dermatologia<br />

Dalle prime fondamentali <strong>in</strong>tuizioni di D. Anzieu qualche decennio fa,<br />

la psicosomatica è diventata una scienza e la pelle uno dei suoi campi privilegiati<br />

d’osservazione e di studio. La psicosomatica è una branca della medic<strong>in</strong>a<br />

che si occupa dei disturbi organici che, non essendo determ<strong>in</strong>ati da una


- 78 -<br />

lesione anatomica o da un difetto funzionale, sono riconducibili ad un’orig<strong>in</strong>e<br />

psicologica. In ambito cl<strong>in</strong>ico, è ormai largamente condivisa l’idea che il<br />

benessere fisico ha una sua <strong>in</strong>fluenza su sentimenti ed emozioni e che a loro<br />

volta questi ultimi abbiano una certa ripercussione sul corpo. Non a caso il<br />

vecchio concetto di malattia <strong>in</strong>tesa come “effetto di una causa”, è stato sostituito<br />

da una visione multifattoriale secondo la quale ogni evento (anche<br />

un’affezione organica) è conseguente all’<strong>in</strong>trecciarsi di molti fattori, tra i quali<br />

sta assumendo sempre maggior importanza il fattore psicologico.<br />

S’ipotizza, <strong>in</strong>oltre, che quest’ ultimo, secondo la sua natura, possa agire causando<br />

l’<strong>in</strong>sorgere di una malattia o al contrario favorirne la guarigione. In<br />

passato, si parlava di psicosomatica riferendosi ad essa solo riguardo a quelle<br />

malattie organiche la cui causa era rimasta oscura e per le quali (quasi per<br />

esclusione), si pensava poteva esistere una “genesi psicologica”. Oggi, al contrario,<br />

si parla non solo di psicosomatica, ma di un’ottica psicosomatica corrispondente<br />

ad una concezione della medic<strong>in</strong>a che guarda all’uomo come ad<br />

un tutto unitario, dove la malattia si manifesta a livello organico come s<strong>in</strong>tomo<br />

e sul piano psicologico come disagio, e che presta attenzione non solo<br />

alla manifestazione fisiologica della malattia, ma anche all’aspetto emotivo<br />

che l’accompagna. In questo senso, l’unità psicosomatica dell’uomo non è<br />

persa di vista e i s<strong>in</strong>tomi o i fenomeni patologici sono <strong>in</strong>dagati <strong>in</strong> modo complementare<br />

da un punto di vista psicologico e fisiologico. La maggior parte<br />

degli studi <strong>in</strong> psicosomatica sulle malattie dermatologiche rileva l’esistenza<br />

di una relazione simbolica tra conflitto psichico e s<strong>in</strong>tomo somatico a livello<br />

cutaneo (Dunbar e Pas<strong>in</strong>i). Intanto, i disturbi, <strong>in</strong> cui la psiche e la pelle<br />

<strong>in</strong>teragiscono, hanno una loro discipl<strong>in</strong>a chiamata <strong>psicodermatologia</strong>. In<br />

<strong>psicodermatologia</strong>, si dist<strong>in</strong>guono tre gruppi diversi di malattie: malattie<br />

psicosomatiche, malattie dermatologiche con disturbi psichiatrici primari,<br />

malattie dermatologiche con disturbi psichiatrici secondari (Gupta e Gupta,<br />

1996). Il gruppo più <strong>in</strong>teressante <strong>in</strong> questa sede è il primo, <strong>in</strong> cui si osservano<br />

quei disturbi che possono essere aggravati o <strong>in</strong> ogni caso <strong>in</strong>dotti dall’emotività<br />

e dallo stress (ad esempio acne, psoriasi, alopecia areata, dermatite<br />

atopica, orticaria).<br />

Circa un terzo dei pazienti che afferiscono alla dermatologia, presenta<br />

problemi <strong>in</strong> cui gli aspetti psicologici sono posti <strong>in</strong> primo piano. In uno studio<br />

di Arnold et al. (1998) è stato analizzato un gruppo di pazienti con<br />

escoriazioni multiple, prendendo <strong>in</strong> considerazione anche altri fattori<br />

(demografici e fenomenologici) per poter valutare la storia familiare, il decorso<br />

della malattia e la comorbilità psichiatrica associata. Al term<strong>in</strong>e è<br />

emerso che tutti i soggetti presentavano comorbilità con almeno un disturbo<br />

psichiatrico (frequente al gruppo dei disturbi dell’umore); <strong>in</strong>oltre molti soggetti<br />

esibivano un aumento della tensione emotiva prima della malattia<br />

cutanea e dim<strong>in</strong>uzione dopo i comportamenti d’escoriazione. I meccanismi<br />

attraverso i quali la psiche agisce sulla cute, non sono stati proprio sviscerati,<br />

ma le ipotesi sono diverse e una non esclude l’altra.<br />

Uno studio del 2001 pubblicato sugli Archives of Dermatology, ha<br />

avanzato quella che gli autori ritengono la “prova provata” del legame tra<br />

stress e disfunzioni cutanee. Uno studio condotto da Gupta & Gupta ha esam<strong>in</strong>ato<br />

la prevalenza della depressione (misurata con la Carrol Rat<strong>in</strong>g Scale)<br />

e dei tentativi di suicidio <strong>in</strong> 480 pazienti con malattie dermatologiche. L’ana-


- 79 -<br />

lisi della varianza ha rilevato che i pazienti con psoriasi hanno ottenuto il<br />

punteggio più alto, seguiti dai pazienti con una forma leggera di acne; <strong>in</strong> entrambi<br />

i casi, i punteggi rimandano ad un quadro cl<strong>in</strong>ico depressivo. Alcune<br />

malattie dermatologiche possono produrre lesioni sulla pelle piuttosto deturpanti<br />

e <strong>in</strong>validanti, tanto da pregiudicare l’equilibrio psicologico delle<br />

persone che ne sono colpite, poiché il danno estetico spesso è molto evidente.<br />

L’alterazione della pelle è percepita e vissuta come un vero e proprio handicap<br />

da molte persone, però le sue ripercussioni somatopsichiche <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i<br />

di quantità e qualità del danno, varia da un <strong>in</strong>dividuo all’altro e da una<br />

dermatosi all’altra, generando un’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ità di risposte diverse (E. Panconesi,<br />

A. Cossidenti, S. Giorg<strong>in</strong>i, M. Marl<strong>in</strong>i, C. Melli, M. Sarti, 1983). La prevalenza<br />

di disturbi psichiatrici nei pazienti che afferiscono alla dermatologia è del<br />

30-40%, per questo spesso la presenza di una comorbilità rende più difficile<br />

e complicato il momento diagnostico e terapeutico. Alcune malattie della<br />

pelle non sono contagiose e non predispongono a gravi patologie, ma rappresentano<br />

un problema estetico e psicologico <strong>in</strong> grado di condizionare la<br />

vita di chi è affetto. Tra le malattie dermatologiche più <strong>in</strong>validanti da un<br />

punto di vista estetico ci sono la vitilig<strong>in</strong>e, l’acne, la psoriasi e l’alopecia soprattutto<br />

se si tiene conto che, nelle prime due, il 50% dei soggetti colpiti da<br />

queste dermatosi è <strong>in</strong> età adolescenziale o ha meno di venti anni.<br />

4. La Vitilig<strong>in</strong>e: problema anche psicologico<br />

La vitilig<strong>in</strong>e è una malattia dermatologica conosciuta da millenni, ma<br />

nonostante tutto è ancora considerata una dermatosi le cui cause sono ignote.<br />

La vitilig<strong>in</strong>e colpisce circa il 2% della popolazione mondiale e compare<br />

spesso durante l’adolescenza o prima dei venti anni. La vitilig<strong>in</strong>e è una delle<br />

affezioni cutanee più <strong>in</strong>validanti da un punto di vista estetico, per le forti ricadute<br />

psicologiche che comporta. Cl<strong>in</strong>icamente si manifesta con la comparsa<br />

sulla cute di macchie di colore bianco avorio (prive di melan<strong>in</strong>a) di varia<br />

forma ed estensione. Tali macchie <strong>in</strong>sorgono soprattutto a livello del volto<br />

(<strong>in</strong> sede periorale e perioculare), del tronco, dei genitali, degli arti e delle<br />

mani ma tutta la superficie corporea può essere <strong>in</strong>teressata dalla malattia. È<br />

molto raro che una persona colpita da vitilig<strong>in</strong>e possa riacquistare spontaneamente<br />

il colore normale della pelle. Il 75% dei soggetti con vitilig<strong>in</strong>e non<br />

riesce a convivere con la malattia, poiché la considera sfigurante o <strong>in</strong>tollerabile,<br />

spesso queste persone cercano di nascondere le macchie acromatiche ricorrendo<br />

al maquillage o ad abiti coprenti; nonostante tutto riferiscono di<br />

essere costantemente ossessionati dalla presenza delle macchie sulla propria<br />

pelle. Considerando l’età dei soggetti <strong>in</strong>teressati e la posizione delle chiazze<br />

(volto, seno, genitali), si comprende come questa malattia costituisca un serio<br />

problema nel periodo adolescenziale, caratterizzato dai primi rapporti<br />

<strong>in</strong>terpersonali, che saranno vissuti con estremo disagio. Questi pazienti manifestano<br />

reazioni d’ansia e depressione nei confronti della malattia, causa di<br />

una notevole riduzione dell’autostima. Inoltre, la vitilig<strong>in</strong>e compromette la<br />

sfera sessuale del paziente con conseguenze più negative, rispetto a malattie<br />

dermatologiche come la psoriasi. Questo accade perché la vitilig<strong>in</strong>e <strong>in</strong>teressa<br />

di solito le zone genitali rendendole poco attraenti per il partner. La vitilig<strong>in</strong>e<br />

non va <strong>in</strong>contro a remissioni spontanee e non guarisce spontaneamente<br />

se non <strong>in</strong> rarissimi casi, ma spesso ha un decorso as<strong>in</strong>tomatico e cronico. Dal


- 80 -<br />

punto di vista cl<strong>in</strong>ico è una dermatosi benigna, dal momento che non compromette<br />

lo stato generale di salute dell’organismo, ad eccezione della sfera<br />

sociale e psicologica essendo causa d’<strong>in</strong>estetismi comunemente estesi e molto<br />

evidenti. Le cause sono molteplici e non del tutto identificate, anche se certamente<br />

esiste una predisposizione genetica. Nella comparsa della vitilig<strong>in</strong>e<br />

la componente genetica gioca un ruolo importante, <strong>in</strong>fatti, l’ipotesi è che si<br />

tratti di una patologia poligenetica. La vitilig<strong>in</strong>e può essere scatenata o aggravata<br />

da diversi fattori quali: eventi di vita stressanti, traumi fisici o<br />

psichici, ustioni, <strong>in</strong>fezioni virali e disturbi tiroidei. Secondo alcuni autori, la<br />

vitilig<strong>in</strong>e è determ<strong>in</strong>ata da malattie <strong>in</strong> atto o pregresse, essendo spesso associata<br />

ad altre patologie d’<strong>in</strong>teresse <strong>in</strong>ternistico e dermatologico.<br />

L’<strong>in</strong>sorgenza spesso improvvisa della malattia ed il suo decorso imprevedibile,<br />

possono modificare l’immag<strong>in</strong>e del soggetto, demolendo lentamente<br />

la sua fiducia e autostima. Ecco allora che la vitilig<strong>in</strong>e può favorire l’<strong>in</strong>sorgenza<br />

di disturbi psicologici quali ansia, depressione, difficoltà scolastiche o<br />

lavorative.<br />

5. L’acne<br />

L’acne è un’<strong>in</strong>fiammazione cronica dei follicoli sebacei, cl<strong>in</strong>icamente si<br />

manifesta con la comparsa di comedoni, papule, noduli e talora anche cisti a<br />

livello del volto, della regione toracica e del dorso.<br />

Si tratta di una malattia a patogenesi multifattoriale, <strong>in</strong> pratica scatenata<br />

da quattro fasi ben dist<strong>in</strong>te, ognuna delle quali richiede un trattamento<br />

specifico. L’acne si dist<strong>in</strong>gue pr<strong>in</strong>cipalmente <strong>in</strong> acne giovanile o adolescenziale<br />

e <strong>in</strong> acne tarda o post adolescenziale. L’acne giovanile compare <strong>in</strong> seguito<br />

allo sviluppo sessuale nella pubertà, caratterizzato dalle modificazioni<br />

endocr<strong>in</strong>e ed ormonali; mentre l’acne tarda compare nell’adulto anche <strong>in</strong><br />

chi non l’ha avuta nel periodo adolescenziale. Pur non essendo un disturbo<br />

grave, l’acne severa può <strong>in</strong>durre cicatrici permanenti, sia l’acne sia le cicatrici<br />

possono <strong>in</strong>fluenzare <strong>in</strong> modo negativo la psiche compromettendo l’immag<strong>in</strong>e<br />

delle persone. Di solito con l’<strong>in</strong>sorgere di modificazioni secretorie della<br />

pelle, legate alle nuove condizioni ormonali, alcuni microbi o batteri trovano<br />

il terreno adatto per attecchire e così generano delle forme di acne talvolta<br />

molto gravi, che possono dare anche esiti cicatriziali devastanti. Da uno studio<br />

è emerso che l’acne danneggia negativamente la qualità della vita, maggiore<br />

è il danno alla qualità della vita dovuta all’acne, maggiore è il livello<br />

d’ansia e depressione. I disturbi psicologici più spesso associati all’acne sono<br />

l’ansia e la depressione, <strong>in</strong>oltre sono piuttosto frequenti i s<strong>in</strong>tomi che si riferiscono<br />

alla sfera socio-emotiva (imbarazzo, danneggiamento dell’immag<strong>in</strong>e<br />

di sé, riduzione della propria autostima, frustrazione e rabbia). La derisione,<br />

la stigmatizzazione e il giudizio degli altri alimentano gli effetti negativi dell’acne,<br />

mentre i fattori attenuanti queste conseguenze psicologiche sono la<br />

resilienza, un locus of control <strong>in</strong>terno o un aumento dell’autoefficacia che<br />

consente al soggetto di prendersi cura della propria salute. In alcuni casi,<br />

però, soprattutto durante l’adolescenza, l’aumento della produzione sebacea<br />

non è dovuto ad uno squilibrio ormonale, ma ad una risposta eccessiva delle<br />

ghiandole a stimoli ormonali normali.<br />

Lo sviluppo o il peggioramento dell’acne è determ<strong>in</strong>ato anche dalle<br />

cattive abitud<strong>in</strong>i, come escoriarsi il viso con le mani, usare detergenti aggres-


- 81 -<br />

sivi o prodotti cosmetici contenenti grassi.<br />

In casi più rari, le cause dell’acne possono essere le terapie antibiotiche<br />

o cortisoniche protratte per troppo tempo, e la stessa pillola anticoncezionale<br />

che spesso si prende per combatterla. La causa più importante è la familiarità,<br />

cioè una predisposizione genetica specifica a sviluppare la malattia.<br />

Intervengono poi fattori esterni come l’igiene, l’<strong>in</strong>qu<strong>in</strong>amento ambientale, i<br />

disord<strong>in</strong>i d’alimentazione e soprattutto lo stress. Esistono†alcune condizioni<br />

e comportamenti che possono <strong>in</strong>fluire sull’<strong>in</strong>sorgenza dell’acne o contribuire<br />

ad un eventuale peggioramento di questo disturbo: i fattori genetici e<br />

ormonali, stress e†ansia, fattori <strong>in</strong>test<strong>in</strong>ali, perché la†stitichezza†causa un accumulo<br />

di toss<strong>in</strong>e a livello cutaneo. L’acne nei giovani d’ambo i sessi è fonte<br />

di forti complessi psicologici per il determ<strong>in</strong>arsi di una situazione molto<br />

antiestetica, che spesso si protrae nel tempo, lasciando dei segni cicatriziali<br />

talvolta molto gravi.<br />

6. La rabbia e l’aggressività nel paziente acneico<br />

La rabbia e l’aggressività sono le reazioni più comuni alle malattie croniche<br />

e <strong>in</strong>validanti come l’acne. Il paziente acneico, nella maggior parte dei<br />

casi, è un adolescente che sta costruendo la propria identità sotto la sp<strong>in</strong>ta<br />

delle energie pulsionali; identità che assume un significato costruttivo o distruttivo<br />

nel passaggio all’età adulta. Nell’adolescente, l’acne può <strong>in</strong>fluenzare<br />

negativamente i rapporti con gli altri e con il gruppo, o addirittura fungere<br />

da alibi e ritardare l’<strong>in</strong>gresso del soggetto nel mondo adulto. Secondo diverse<br />

scuole di psicosomatica, l’acne può <strong>in</strong>cidere seriamente sullo sviluppo della<br />

personalità del giovane e moltissimi pazienti acneici possono presentare<br />

complicazioni d’ord<strong>in</strong>e psicologico più o meno manifeste. La lesione acneica<br />

rappresenta un elemento di grande rilevanza narcisistica che compromette<br />

la qualità della vita del paziente, non solo per l’alterazione dell’immag<strong>in</strong>e<br />

corporea e le conseguenti disabilità sociali, ma anche per il crescente corteo<br />

di reazioni aggressive (noia, irritabilità, ostilità, rabbia). Le reazioni emotive<br />

d’aggressività si proiettano sulla malattia, sulla famiglia, sul medico e sulle<br />

cure praticate. Le caratteristiche psicologiche possono essere aggravate dalla<br />

presenza del disturbo, spesso sfigurante, <strong>in</strong> aree visibili e che svolgono un<br />

ruolo primario nella vita sociale, affettiva e relazionale andando a compromettere<br />

la stima di sé, l’immag<strong>in</strong>e corporea e rendendo più difficili le relazioni<br />

sentimentali. Fondamentale è il vissuto della vergogna che difficilmente<br />

persiste e tende a convertirsi <strong>in</strong> un’altra emozione che può essere il sentimento<br />

di colpa, la rabbia o addirittura sfociare nella depressione. Il vissuto<br />

della vergogna deriva dalla propria pelle, per questo chi ha la cute malata è<br />

percepito come sporco sia all’esterno che all’<strong>in</strong>terno. Le lesioni provocate<br />

dall’acne causano ansia, depressione, ritiro sociale, un generale disadattamento,<br />

una maggiore <strong>in</strong>sicurezza e sentimenti d’<strong>in</strong>feriorità.<br />

7. Dallo sguardo genitoriale alle ferite narcisistiche<br />

F<strong>in</strong> dalla culla, gli sguardi rivolti al neonato hanno già chiara valenza:<br />

un bel bamb<strong>in</strong>o attirerà sorrisi e simpatie, mentre uno meno attraente creerà<br />

un certo imbarazzo negli adulti. Anche se m<strong>in</strong>ima, la differenza fisica sarà<br />

vissuta dai genitori come un handicap futuro e susciterà comportamenti diversi<br />

nei confronti del neonato. Un neonato bello è valutato come più piace-


- 82 -<br />

vole e facile da gestire da parte della figura genitoriale, che a sua volta co<strong>in</strong>volgerà<br />

con maggiore frequenza il bamb<strong>in</strong>o nelle attività ludiche (Costa e<br />

Ricci Bitti, 2002); <strong>in</strong>oltre, questi bamb<strong>in</strong>i ricevono più attenzione ed una<br />

maggiore quantità di gesti affettuosi (Stephan e Langlois, 1984). E’ d’altronde<br />

dimostrato che a scuola i bamb<strong>in</strong>i meno graziati riusciranno meglio della<br />

media, come se ci fosse un effetto di compensazione della bruttezza, <strong>in</strong>oltre<br />

il bamb<strong>in</strong>o meno bello è considerato responsabile dei suoi fallimenti scolastici<br />

ed errori molto di più di quello attraente, come osserva J. François<br />

Amadieu. Il nostro ideale di sé si nutre dello sguardo dei nostri genitori e<br />

delle loro aspettative, che spesso sono il riflesso di un narcisismo mascherato<br />

e <strong>in</strong>soddisfatto. Se la relazione con l’ambiente familiare è stata soddisfacente,<br />

afferma Marco Villamira, si sviluppa un ideale di sé flessibile ed <strong>in</strong>dulgente,<br />

che ci permette di non essere ossessionati dai nostri difetti. A questo punto, è<br />

lecito domandarsi: quanto <strong>in</strong>fluisce la mancanza d’amore di sé nelle relazioni<br />

con gli altri e nel rapporto di coppia? Jacques Salomé (psicosociologo, scrittore<br />

e formatore), sostiene che la mancanza d’amore di sé ha conseguenze<br />

profonde nel rapporto con gli altri. Amare sé stessi è la condizione necessaria<br />

e <strong>in</strong>dispensabile per essere a proprio agio nel mondo e per amare gli altri.<br />

Una condizione formata nell’<strong>in</strong>fanzia che consente, una volta adulto, di<br />

non subire le relazioni come se fossero aggressioni. Amare sé stessi non vuol<br />

dire essere necessariamente <strong>in</strong>namorati del proprio io, siccome l’immag<strong>in</strong>e<br />

che abbiamo di noi <strong>in</strong>fluisce <strong>in</strong> modo decisivo sul nostro comportamento e di<br />

conseguenza sul rapporto con gli altri. Per lo psicologo William James (1842-<br />

1910), l’amore per se stessi è tanto più forte quanto più sottile è lo scarto tra<br />

le nostre aspirazioni e la loro effettiva realizzazione. Quando manca l’amore<br />

di sé è <strong>in</strong>evitabile mettere <strong>in</strong> atto una serie di comportamenti autoagressivi<br />

evidenti o mascherati. In realtà, appena nato il bamb<strong>in</strong>o non può amarsi né<br />

amare perché non si percepisce ancora come un <strong>in</strong>dividuo unico, giacché ha<br />

di sé stesso solo una visione frammentata. In un bamb<strong>in</strong>o la capacità di<br />

amarsi non è mai una dote <strong>in</strong>nata, ma si costruisce attraverso le relazioni con<br />

gli altri ed <strong>in</strong> particolare modo con i genitori. Il narcisismo, essenziale per<br />

potersi affermare nella vita, si costruisce a partire dall’<strong>in</strong>fanzia; si tratta di<br />

una nozione complessa e spesso anche fra<strong>in</strong>tesa, <strong>in</strong> quanto spesso è recepita<br />

secondo una connotazione negativa. Tuttavia, un narcisismo che può def<strong>in</strong>irsi<br />

sano e normale, è addirittura necessario. J. Bowlby enfatizza l’importanza<br />

per lo sviluppo del bamb<strong>in</strong>o, di un legame <strong>in</strong>timo e duraturo con una persona<br />

adulta di riferimento che deve assicurargli benessere, protezione e favorire<br />

la sopravvivenza. L’autore considera gli eventi di vita sperimentati dall’<strong>in</strong>dividuo<br />

f<strong>in</strong> dalla nascita, come elementi fondamentali nella costruzione del<br />

mondo <strong>in</strong>terno della persona e ritiene che il loro studio costituisca il presupposto<br />

necessario per comprendere lo sviluppo. Emerge, pertanto, una concezione<br />

dell’<strong>in</strong>dividuo come essere-<strong>in</strong>-relazione f<strong>in</strong> dalle prime fasi della vita e<br />

l’importanza delle <strong>in</strong>terazioni reali nella costruzione dell’identità personale e<br />

relazionale. A tal proposito è giusto rilevare come la salute fisica e l’aspetto<br />

di una persona contribuiscono alla def<strong>in</strong>izione di un preciso stile di vita, ad<br />

esempio il comportamento osservabile <strong>in</strong> un ragazzo forte e di bella presenza<br />

è diverso rispetto ad un altro che non presenta le medesime caratteristiche<br />

fisiche.<br />

Pertanto, i difetti fisici possono contribuire ad alimentare il senso d’<strong>in</strong>-


- 83 -<br />

feriorità e <strong>in</strong>adeguatezza di un <strong>in</strong>dividuo che entrerà a far parte del suo stile<br />

di vita. Lo stile di vita può essere <strong>in</strong>fluenzato da diversi tipi di fattori, la cui<br />

azione è particolarmente evidente nei primi stadi di sviluppo che sono più<br />

“plastici”, mentre con il progredire verso stadi di sviluppo più stabili, lo stile<br />

di vita riceve meno <strong>in</strong>fluenze. Essere attraente o meno <strong>in</strong>fluenza il modo <strong>in</strong><br />

cui siamo percepiti dalle persone con le quali entriamo <strong>in</strong> contatto. L’aspetto<br />

del corpo è determ<strong>in</strong>ante nella costruzione dell’immag<strong>in</strong>e di sé soprattutto<br />

nei momenti di cambiamento: età evolutiva, adolescenza, età adulta e<br />

senescenza. L’adolescenza è per antonomasia l’età del cambiamento, caratterizzata<br />

da un significativo sviluppo fisico, sessuale e cognitivo; oltretutto è<br />

sempre stata una fase particolarmente delicata e oggi sembra che questo percorso<br />

sia diventato ancora più complesso, più lungo e talvolta più rischioso.<br />

In effetti, l’adolescenza è un momento critico dell’esistenza e implica il rischio<br />

di sfuggire al controllo del soggetto, il quale non potrà più sfruttarla <strong>in</strong><br />

maniera produttiva per la propria crescita personale. Alla luce dell’ambiente<br />

socio-culturale nel quale viviamo, possiamo affermare che l’adolescenza è<br />

oggi molto più precoce, difatti l’esordio si è stabilito <strong>in</strong>torno all’età di 11 - 12<br />

anni. Ci troviamo di fronte ad una generazione completamente nuova, con<br />

altre angosce, problemi diversi e un nuovo modo di esprimere la sofferenza.<br />

Pertanto, è giusto sottol<strong>in</strong>eare quanto l’adolescenza delle generazioni passate<br />

non è sempre d’aiuto per capire le esigenze degli adolescenti d’oggi, dal momento<br />

che bisogna lo stesso considerare i cambiamenti sociali e culturali che<br />

a loro volta <strong>in</strong>fluenzano la crescita e lo sviluppo di un <strong>in</strong>dividuo (Charmet<br />

P.G, 2006). Gli elementi fondamentali che servono per accompagnare il percorso<br />

degli adolescenti sono: l’ascolto, la presenza, la disponibilità, l’empatia<br />

e la curiosità.<br />

(F<strong>in</strong>e Prima parte: la seconda parte verrà pubblicata sul numero 41<br />

di N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>).<br />

°Salvatore Sasso è Dirigente Scolastico, Psicologo, Psicoterapeuta, Professore a contratto di<br />

<strong>Psicologia</strong> Cl<strong>in</strong>ica presso la Facoltà di <strong>Psicologia</strong> dell’Università degli studi “G. d’Annunzio”<br />

di Chieti.<br />

°°AnnaMariaRotondo, medico, psicoterapeuta analista, Dirigente medico ASL, Ortona<br />

(CH). Fa parte della SIMP e del CSPP, Direzione scientifica della <strong>Rivista</strong> N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong><br />

<strong>Psicologia</strong>.<br />

°°°Irene Sborl<strong>in</strong>i è Psicologa, Cultore della materia per l’<strong>in</strong>segnamento di cl<strong>in</strong>ica psicologica<br />

e psicopatologia psicosomatica, Coord<strong>in</strong>atrice del Centro Antiviolenza della Croce Rossa<br />

Italiana - Comitato Prov<strong>in</strong>ciale di Chieti.<br />

°°°°Nevia Fersula è dott.ssa <strong>in</strong> Scienze Psicologiche.<br />

Indirizzo dell’Autore (<strong>in</strong>dirizzo unico): Prof. Salvatore Sasso<br />

via Val Formazza, 1 - 00141 Roma


- 84 -<br />

ABBIAMO RICEVUTO<br />

IL SIGNIFICATO SIMBOLICO E TERAPEUTICO<br />

DELLE VISUALIZZAZIONI GUIDATE<br />

NEL TRAINING AUTOGENO*<br />

Angela Serroni°<br />

S<strong>in</strong>tomo e simbolo<br />

L’uomo, secondo C.G. Jung, ha disperatamente bisogno di una vita<br />

simbolica perché ha perso la partecipazione agli eventi naturali che prima<br />

avevano per lui un significato simbolico: “Il tuono non è più la voce di un<br />

dio, né il fulm<strong>in</strong>e il suo strumento di vendetta. Nessun fiume nasconde uno<br />

spirito, nessun albero raffigura la vita di un uomo, nessun serpente <strong>in</strong>carna<br />

la saggezza e nessuna montagna ospita un demone. Questa perdita è compensata<br />

dai simboli che affiorano nei nostri sogni” (1939). I simboli, presenti<br />

nelle visualizzazioni, non sono semplici segni né, come sosteneva S. Freud,<br />

una semplice trascrizione <strong>in</strong> immag<strong>in</strong>i di un contenuto psichico, ma sono<br />

essi stessi trasformatori di energia psichica, come riteneva C. G. Jung.<br />

S. Freud, pur parlando di “sostituzione”, “raffigurazione” e “paragone”, ammette<br />

che “una relazione simbolica è una comparazione di tipo tutto particolare,<br />

il cui fondamento non è stato da noi ancora colto chiaramente” (1914).<br />

In questo lavoro <strong>in</strong>tendo approfondire l’importanza e l’efficacia della funzione<br />

del simbolo nelle visualizzazioni guidate. La denom<strong>in</strong>azione “visualizzazioni<br />

guidateӏ <strong>in</strong>trodotta <strong>in</strong> letteratura da B. Caldironi e C. Widmann. Secondo<br />

C. Widmann. i due fondamenti teorici su cui si fonda tale tecnica<br />

sono: la visualizzazione di immag<strong>in</strong>i e il potere d<strong>in</strong>amico del simbolo (2004).<br />

Molte “scene simboliche”, presenti nel Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g Autogeno con<br />

Visualizzazioni Guidate (T.A.V.G.), traggono ispirazione da miti, leggende,<br />

fiabe, epica antica e cavalleresca, come il Mito della Caverna di Platone,<br />

Sigfrido e l’uccisione del Drago Fafner, Cenerentola, il Brutto anatroccolo,<br />

perché tanti sono gli elementi simbolici e gli aspetti d<strong>in</strong>amici presenti <strong>in</strong> tali<br />

opere e racconti, frutto della creatività e dell’ “<strong>in</strong>conscio <strong>in</strong>dividuale e collettivo”<br />

dei popoli (Serroni A. 2004). Il conflitto compare a volte attraverso il<br />

s<strong>in</strong>tomo, a volte attraverso il simbolo. Quando si manifesta il s<strong>in</strong>tomo è necessario<br />

favorire il passaggio dal s<strong>in</strong>tomo al simbolo. Le visualizzazioni, al<br />

pari del sogno, permettono sia il “recupero psichico” del simbolo, sia la sua<br />

utilizzazione <strong>in</strong> chiave terapeutica, perché d<strong>in</strong>amizzano l’<strong>in</strong>conscio, favoriscono<br />

una graduale “desomatizzazione” del s<strong>in</strong>tomo e “la mentalizzazione del<br />

conflitto”, facilitano il recupero dell’unità mente-corpo, lo sviluppo affettivo,<br />

l’espressione e l’espansione della creatività (Agresta F. 2007). In tal modo “il<br />

conflitto gradualmente prende la via del simbolo abbandonando il s<strong>in</strong>tomo” (Agresta<br />

F. 2007). Le terapie immag<strong>in</strong>ative non operano sulle immag<strong>in</strong>i, ma sugli affetti<br />

con il tramite delle immag<strong>in</strong>i” (Widmann C. 2004.) Si tratta, secondo<br />

l’autore, di “un’esperienza affettiva compensatoria, una riparazione sul piano<br />

simbolico delle lesioni subite nella preistoria personale” (2004.) “E nel


- 85 -<br />

mundus immmag<strong>in</strong>alis che una pietra cessa di essere un sasso e diventa Visione<br />

della Pietra; è nel mundus immag<strong>in</strong>alis che si possono fare “esperienze affettive<br />

correttive” (Alexander ) con effetti terapeutici” (Widmann C. 2006.) Si<br />

assiste qu<strong>in</strong>di ad una modificazione del mondo immag<strong>in</strong>ativo e affettivo.<br />

L’utilizzo e la metabolizzazione del simbolo nelle visualizzazioni, gradualmente<br />

proposto, permette la riattivazione dell’immag<strong>in</strong>ario nei disturbi<br />

psicosomatici e nel rapporto mente-corpo, soprattutto nel paziente psicosomatico.<br />

Se il conflitto è “depositato” nel corpo, solo ripartendo dal corpo e<br />

facendo entrare “la metafora nel corpo” – come dice M. Sapir, soltanto facendo<br />

parlare il corpo – è possibile ri-attivare nuove d<strong>in</strong>amiche che ne favoriscono la<br />

crescita e il ri-attraversamento delle sovrastrutture psichiche dell’immag<strong>in</strong>ario<br />

(Agresta F., 2006). Il simbolo, secondo Peresson L., da un lato esprime i contenuti<br />

d’attività dell’<strong>in</strong>conscio, dall’altro stimola, mediante la sua energia,<br />

l’attività dei processi e delle funzioni psichiche consce e <strong>in</strong>consce (1983).<br />

Questa metodica, ri-elaborata da F. Agresta e coll., è costituita dagli esercizi<br />

base di Schultz e da visualizzazioni guidate. Per quanto riguarda il simbolico<br />

e il relazionale si fa riferimento alle ricerche di L. Peresson, C. Widmann,<br />

M. Sapir, R. Di Donato e F. Agresta.<br />

Visualizzazioni<br />

Il simbolismo proposto nelle visualizzazioni, ha di per sé un effetto<br />

terapeutico. Jung stesso, ritiene che il simbolo canalizza, sposta e attiva<br />

l’energia psichica (Widmann C., 1980). I simboli, secondo Assagioli, agiscono<br />

profondamente sull’<strong>in</strong>conscio, perciò la loro visualizzazione mette <strong>in</strong> moto<br />

processi creativi e trasformatori d’eccezionale efficacia terapeutica (Peresson<br />

L., 1983). Il Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g Autogeno con Visualizzazioni Guidate viene proposto a<br />

tre periodi modulari d’approfondimento, già standardizzati e con diverso<br />

grado d’elaborazione (I, II, III Livello), di 10 sedute ciascuno (tre <strong>in</strong>contri<br />

<strong>in</strong>troduttivi all’<strong>in</strong>izio del Corso). Il metodo è condotto <strong>in</strong> coppia di terapeuti,<br />

secondo la tradizione già codificata da M. Sapir e R. Di Donato. Analizzeremo,<br />

brevemente, alcune visualizzazioni di I, di II e di III livello e i relativi<br />

vissuti emersi da più gruppi sia di terapia, sia di formazione.<br />

I Livello<br />

Ad un I livello della tecnica vengono proposti gli esercizi base secondo<br />

la metodica schultziana e visualizzazioni guidate graduali e leggere tratte dal<br />

mondo della natura con f<strong>in</strong>alità distensive, catartiche e ristrutturanti (mare,<br />

montagna, fiume, piccolo lago, primavera, coll<strong>in</strong>e <strong>in</strong>glesi). Gli esercizi base<br />

hanno una f<strong>in</strong>alità psicofisiologica e si propongono l’attenuazione del s<strong>in</strong>tomo,<br />

l’abbassamento dei livelli d’ansia e un r<strong>in</strong>forzo dell’Io, mentre le visualizzazioni<br />

sono f<strong>in</strong>alizzate a d<strong>in</strong>amizzare l’<strong>in</strong>conscio e a produrre sogni (Serroni<br />

A., 2004). Con le visualizzazioni ci si accosta gradualmente al simbolo e al<br />

“fantasma”, si attivano proiezione, identificazione e d<strong>in</strong>amiche di separazione<br />

e perdita. In questo I Livello, pur ripartendo dal corpo, contemporaneamente<br />

ci si avvic<strong>in</strong>a al simbolo con la proposta delle visualizzazioni s<strong>in</strong> dalla prima<br />

seduta. Compaiono somatizzazioni, risomatizzazioni, scotomizzazioni (emicrania,<br />

gastriti, coliti, vertig<strong>in</strong>i) (Agresta F., 2007.) Dal corpo emergono emozioni<br />

e sensazioni ambivalenti, racconti e ricordi (Serroni A., 2003.) Il Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g<br />

Autogeno “fa somatizzare” e qu<strong>in</strong>di compare il s<strong>in</strong>tomo coperto dal corpo


- 86 -<br />

(Agresta F., 2006.) Le visualizzazioni proposte esprimeranno, ad esempio, simboli<br />

ampiamente noti come “Il mare” che rimanda al simbolo materno (liquido<br />

amniotico) e “La montagna” (la roccia) al padre. C. Widmann propone “il<br />

mare <strong>in</strong> quiete” come “<strong>in</strong>conscio pacificato che costella vissuti di tranquillità,<br />

di serenità, di appagamento” (2004). L. Peresson, un pioniere delle Visualizzazioni<br />

Guidate, propone tra i temi a carattere distensivo il “Laghetto alp<strong>in</strong>o”<br />

(1983). C. Widmann propone tra le visualizzazioni ad azione distensiva “La<br />

Primavera” come simbolo di rigenerazione (2004). Seguiamo ora una<br />

visualizzazione di I Livello e analizziamone i vissuti. Uno dei due terapeuti<br />

propone la visualizzazione della Primavera, cioè il tema della “R<strong>in</strong>ascita”:<br />

“....E ora immag<strong>in</strong>o di trovarmi <strong>in</strong> un’ampia radura...osservo un bamb<strong>in</strong>o che<br />

depone un piccolo seme <strong>in</strong> una buca... il bamb<strong>in</strong>o si allontana......passa del<br />

tempo....il bamb<strong>in</strong>o cresce e diventa adolescente......ripercorre il sentiero e arriva<br />

nell’ampia radura....nel luogo dove ha deposto il seme vede un bellissimo<br />

albero pieno di fiori e di frutti......è arrivata la Primavera”. Dopo la ripresa, i<br />

vissuti vengono verbalizzati. Si passa così dal processo primario a quello secondario,<br />

si verbalizza, si diventa così coscienti di ciò che si è vissuto, si compie un importante<br />

passaggio tra il pre-verbale e il verbale. Marilena, sofferente d’emicranie,<br />

riferisce: “.... Freddo sulla pancia ma caldo sotto (il calore c’è, ma non<br />

viene espresso).......all’<strong>in</strong>izio ho visto un alberello che si trasformava <strong>in</strong> un albero<br />

grande e nodoso (i nodi della vita)..........svegliandomi ho avuto mal di testa<br />

(controtensione per bloccare i pensieri)”. Marco, con problemi di gastrite riferisce:<br />

“...Ho provato calore......ho sentito un bruciore dallo stomaco scendere<br />

alla pancia (leggera somatizzazione)......il bamb<strong>in</strong>o era piccolissimo.... l’albero<br />

era già cresciuto......”. Giovanna sofferente di vertig<strong>in</strong>i racconta: “Rilassamento<br />

poco....ho sentito il battito del cuore....ho immag<strong>in</strong>ato il bamb<strong>in</strong>o che piantava<br />

il seme...subito è nata la piant<strong>in</strong>a...svegliandomi mi girava la testa”. E’ <strong>in</strong>teressante<br />

notare come ad un I livello le emozioni e i vissuti vengono convogliati<br />

sul corpo con somatizzazioni, ri-somatizzazioni, scotomizzazioni e blocchi<br />

vari (mal di testa, bruciore, vertig<strong>in</strong>i). Ai livelli successivi ci sarà “un distacco<br />

dal corpo” e ci si orienterà di più verso l’apparato psichico, per procedere<br />

verso un processso di mentalizzazione abbastanza positivo se accompagnato<br />

soprattutto da una psicoterapia d’<strong>in</strong>dirizzo analitico. Tutto ciò dopo il secondo<br />

livello e se si tratta di malattie psicosomatiche (per es. rettocolite, asma, <strong>in</strong> coll.<br />

con gli specialisti medici). In queste visualizzazioni possono manifestarsi resistenze<br />

al cambiamento, difficoltà nell’identificazione e opposizioni emotive,<br />

ma anche trasformazioni significative.<br />

II Livello<br />

Ad un II Livello si riducono gli esercizi base a formule globali e si propongono<br />

visualizzazioni guidate più ampie e profonde (silenzio <strong>in</strong>teriore, i<br />

labir<strong>in</strong>ti della mente, occhio <strong>in</strong>teriore, passeggiata immag<strong>in</strong>aria, il vecchio<br />

saggio, n<strong>in</strong>na nanna). Ci si allontana gradualmente dal corpo e con le<br />

visualizzazioni c’è un’<strong>in</strong>trospezione, approfondimento e riflessione <strong>in</strong>teriore.<br />

La regressione gradualmente aumenta. Ci si pongono domande, la mente<br />

<strong>in</strong>izia a pensare e a riflettere all’<strong>in</strong>terno delle stesse visualizzazioni. Compaiono<br />

poche somatizzazioni. I s<strong>in</strong>tomi <strong>in</strong>iziano gradualmente a “sciogliersi”. Inizia<br />

un progressivo avvic<strong>in</strong>amento alle figure genitoriali, e un ascolto del mondo<br />

<strong>in</strong>teriore per un suo successivo approfondimento nella fase f<strong>in</strong>ale del Livello.


- 87 -<br />

Si affrontano <strong>in</strong>oltre tematiche importanti quali la trasformazione e l’<strong>in</strong>dividuazione.<br />

Verso la f<strong>in</strong>e del II livello le emozioni emergono e compaiono poche<br />

somatizzazioni, il corpo è più sollevato. Le visualizzazioni affronteranno temi<br />

quali la “Passeggiata immag<strong>in</strong>aria” (le scelte da compiere nella vita), il “Silenzio<br />

<strong>in</strong>teriore” (ascolto <strong>in</strong>teriore), il ”Vulcano” (avvic<strong>in</strong>arsi all’<strong>in</strong>conscio) e<br />

“Vecchio saggio” (<strong>in</strong>contro con il fantasma paterno). L. Peresson propone tra<br />

i temi meditativi “Silenzio <strong>in</strong>teriore” e “Vecchio saggio”. Anche C. Widmann<br />

<strong>in</strong>dica tra i temi analitici il “Vecchio saggio” (1980). Secondo l’autore questa<br />

visualizzazione propone un dialogo <strong>in</strong>teriore con il Sé (2004). Seguiamo ora<br />

una visualizzazione della f<strong>in</strong>e del II livello e analizziamone i vissuti. Uno dei<br />

terapeuti propone la visualizzazione “I labir<strong>in</strong>ti della mente”, cioè il tema<br />

della “<strong>in</strong>dividuazione”: “...Immag<strong>in</strong>o di trovarmi <strong>in</strong> un grande museo....è<br />

buio fuori e dentro il museo....mi ritrovo solo...com<strong>in</strong>cio ad <strong>in</strong>oltrarmi <strong>in</strong> un<br />

<strong>in</strong>trigo di sale e gallerie...rifletto...mi sento come <strong>in</strong> un labir<strong>in</strong>to....allora cerco<br />

di fissare con un solo occhio il corridoio....vedo un’ombra....sembra una<br />

persona...decido di vedere con entrambi gli occhi...è una statua... è una mia<br />

proiezione...com<strong>in</strong>cio a sentirmi diverso...lo sguardo monocolo non mi appartiene<br />

più...percepisco le mie vertig<strong>in</strong>i (cambiamento)...com<strong>in</strong>cio a guardare<br />

con entrambi gli occhi, a districarmi nel labir<strong>in</strong>to, a trovare la via<br />

d’uscita e a vedere la verità senza ombre....”. Marilena con s<strong>in</strong>tomi<br />

emicranici, riferisce: ”Peso e calore bene; freddo alle mani....il museo non<br />

mi faceva paura. Le luci soffuse...giravo....toccavo....avevo ansia quando lei<br />

mi toccava (riferita al terapeuta maschio)....quando lei se ne andava mi rilassavo...<br />

(fantasma paterno)....non ho avuto mal di testa...”. Anna che soffre di<br />

colite, racconta: “Rilassamento fisico bene....nel museo non avevo<br />

paura.......ero sola...stavo bene...giravo....guardavo...non avevo paura....è stato<br />

positivo....alla pancia ho sentito caldo, dopo il plesso solare”. È <strong>in</strong>teressante<br />

notare come il gruppo, metabolizzando questa visualizzazione riesce a passare<br />

attraverso “il labir<strong>in</strong>to”, luogo privilegiato della lotta tra l’Io e l’Inconscio,<br />

per avviarsi “senza paura” verso il processo d’<strong>in</strong>dividuazione.<br />

L. Peresson propone tra i temi delle visualizzazioni “Il Labir<strong>in</strong>to” come simbolo<br />

della “situazione nevrotica attuale” (1983). La regressione fa emergere i<br />

conflitti <strong>in</strong>teriori con le figure genitoriali (fantasma paterno e materno).<br />

III Livello<br />

Ad un III livello si riducono gli esercizi base a formule globali, mentre<br />

nelle visualizzazioni, sempre più simboliche e metaforiche, c’è un “rispecchiamento”<br />

della persona e si “r<strong>in</strong>contra” il fantasma (grotta e ricerca del padre e<br />

madre, n<strong>in</strong>fea, crisalide, la rosa che sboccia, drago, piovra). Si tratta di un livello<br />

evoluto “quasi terapeutico”. La mente si distacca dal corpo, c’è una vacuità<br />

del pensiero e una forza delle emozioni (dolore, pianto, rabbia). Aumentano<br />

regressione e proiezione. Il simbolo a questo livello “entra nel corpo”, viene<br />

“<strong>in</strong>troiettato” per poter essere metabolizzato ed elaborato”. Le visualizzazioni riguardano<br />

temi come la forza <strong>in</strong>teriore nel “Mosè”, la trasformazione <strong>in</strong>teriore<br />

nella “N<strong>in</strong>fea”, il rispecchiarsi nel “Guardarsi allo specchio” e verso una nuova<br />

vita la “Crisalide”. R. L. Carrozz<strong>in</strong>i <strong>in</strong>dica tra i temi legati alla meditazione “Il<br />

Mosè” e “La N<strong>in</strong>fea”, mentre L. Peresson propone tra le visualizzazioni a tema<br />

transpersonale “la Crisalide” (1983). Widmann <strong>in</strong>dica tra i temi analitici lo<br />

“Specchio” (le varie sub-personalità) (1980). Seguiamo ora una visualizzazione


- 88 -<br />

di III livello e analizziamone i vissuti. Il terapeuta propone la visualizzazione<br />

della “N<strong>in</strong>fea cioè il tema della “trasformazione <strong>in</strong>teriore”: “......Immag<strong>in</strong>o di<br />

trovarmi d<strong>in</strong>anzi ad un piccolo lago......sulla superficie dell’acqua osservo una<br />

n<strong>in</strong>fea dai grandi petali rosa.... questa meravigliosa pianta sboccia di giorno e si<br />

chiude al tramonto.... un’antica leggenda narra che un tempo era una n<strong>in</strong>fa<br />

bellissima...di lei si era <strong>in</strong>namorato Raggio di Sole....per amore suo la n<strong>in</strong>fa si<br />

trasformò <strong>in</strong> fiore...di giorno si apriva per offrire a Raggio di Sole i propri tesori<br />

raccolti nel fondo del lago...di notte si chiudeva per custodirli f<strong>in</strong>o al giorno<br />

successivo...ora un raggio di luce attraversa l’acqua e illum<strong>in</strong>a il gambo della<br />

n<strong>in</strong>fea che affonda nel fondale fangoso del piccolo lago... stupita mi chiedo:<br />

“Come può una pianta così bella trarre nutrimento e orig<strong>in</strong>e dal fango e dalla<br />

melma”?... Cerco una risposta...rivolgo questa domanda alla n<strong>in</strong>fea che è dentro<br />

di me...”. Alessandro con s<strong>in</strong>tomi emicranici, riferisce: “ Questo passaggio<br />

dalla testa alla parte di sotto non bene......avevo freddo (s<strong>in</strong>tomo della scissione<br />

somato-psichica)...la visualizzazione l’ho seguita...la domanda poco <strong>in</strong>teressante....mi<br />

sono chiesto: “La storia di Raggio di Sole che c’entra? (non riesce a<br />

seguire il mito)...... ”. Il paziente sente freddo, perché non collega ancora la<br />

testa col corpo e non risponde alla domanda. Anna con problemi di gastrite:<br />

“Esercizi base bene....più vado avanti, più sento freddo... (aumenta la<br />

regressione e qu<strong>in</strong>di la resistenza)...ho immag<strong>in</strong>ato la n<strong>in</strong>fea...la domanda mi<br />

ha fatto riflettere molto...il fiore è come la mia anima... mi ha fatto pensare<br />

alle varie parti di me...zone d’ombra e zone no...”. La n<strong>in</strong>fea pone simbolicamente<br />

il problema del collegamento tra il corpo e la mente, tra il corpo<br />

“melmoso” e la mente “bella”. Giulio, sofferente di vertig<strong>in</strong>i cont<strong>in</strong>ua a dire:<br />

“Sentivo come un sottile tremore <strong>in</strong> tutto il corpo......poi è arrivato il calore ed<br />

è andato tutto bene...la visualizzazione....prima parte bene....al mito mi sono<br />

perso perché distratto dal mio corpo caldo (gioco tra il corpo e la mente, più si<br />

va verso il mito più il corpo arde)...la domanda che significa? <strong>in</strong>izialmente avevo<br />

dolore agli arti...non ho riflettuto tanto sulla domanda, ....”. Anche <strong>in</strong> questo<br />

passaggio c’è un’unità /dis-cont<strong>in</strong>uità tra il corpo che “parla”attraverso leggeri<br />

s<strong>in</strong>tomi (freddo, sottile tremore, dolore agli arti) e la mente che “pensa”e<br />

(la storia di Raggio di Sole che c’entra? mi ha fatto pensare alle varie parti di<br />

me, la domanda che significa?) e viceversa. È importante notare che, mentre si<br />

<strong>in</strong>ducono stimoli forti di calma e di calore con le visualizzazioni, il corpo, a<br />

volte, ripropone (diremmo a livello controtransferale), i suoi malesseri, pur se<br />

il soggetto è allenato. Si valuta quanto la metafora entra nel corpo, quanto ognuno<br />

di noi è capace di “vedere la n<strong>in</strong>fea dentro se stesso”. Il simbolo a questo<br />

livello “entra nel corpo”, per poter essere metabolizzato ed elaborato. In tal<br />

modo si riattiva l’immag<strong>in</strong>ario, le d<strong>in</strong>amiche psichiche e i conflitti possono essere<br />

elaborati ad un livello simbolico più alto e nell’immag<strong>in</strong>ario di gruppo,<br />

senza che si attiv<strong>in</strong>o le d<strong>in</strong>amiche: c’è solo l’ascolto di tutti. Si assiste così, ad<br />

un graduale processo di “desomatizzazione” e di “mentalizzazione”.<br />

Conclusioni<br />

Come abbiamo avuto modo di osservare, i gruppi, <strong>in</strong> un primo momento,<br />

si difendono dal simbolo e si propongono come corpo / s<strong>in</strong>tomo. Il<br />

T.A. “fa somatizzare”. Poi, pian piano, i componenti il gruppo si avvic<strong>in</strong>ano<br />

gradualmente al simbolo, proiettano e s’identificano con esso; <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e lo<br />

metabolizzano. Successivamente, il corpo diventa la metafora del gruppo e si


- 89 -<br />

valuta quanto ogni partecipante o paziente “riesca a vederla dentro di sé”.<br />

Compaiono resistenze al cambiamento e difficoltà emotive, ma anche trasformazioni<br />

significative. I s<strong>in</strong>tomi psicosomatici, <strong>in</strong> un primo momento,<br />

emergono dal corpo per essere successivamente e gradualmente elaborati attraverso<br />

una ri-attivazione dell’immag<strong>in</strong>ario e una rielaborazione dei conflitti<br />

<strong>in</strong> chiave simbolica, sempre tenendo presente l’unità mente-corpo e nell’esperienza<br />

di gruppo con le proprie valenze emozionali e simboliche: è il<br />

processo di “mentalizzazione” che si sviluppa nelle terapie corporee, però<br />

senza l’aiuto dei sogni, che <strong>in</strong> questi casi è proibito. Il tutto senza <strong>in</strong>terpretare<br />

le d<strong>in</strong>amiche <strong>in</strong>tergruppali e <strong>in</strong>tragruppali, per non trasformare questa<br />

esperienza <strong>in</strong> una psicoterapia analitica di gruppo dove i sogni la fanno da<br />

padrona.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

1. Agresta F., (2002), Dall’approccio familiare alla psicoterapia corporea, <strong>in</strong> Problemi di <strong>Psicologia</strong><br />

Generale e Cl<strong>in</strong>ica. N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>, Pescara; 2;<br />

2. Agresta F., (2005), Il corpo e i sogni <strong>in</strong> psicoterapia analitica <strong>in</strong>dividuale <strong>in</strong> gruppo di rilassamento<br />

analitico <strong>in</strong> pazienti psicosomatici, Medic<strong>in</strong>a Psicosomatica, vol. 50 (1), Gennaio -<br />

Marzo;<br />

3. Agresta F., Agresta D., A. Serroni et alii, (2007), Introduzione al Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g Autogeno con<br />

Visualizzazioni Guidate, Quaderni del CSPP, N. 1, gennaio, Pescara;<br />

4. Balzar<strong>in</strong>i G., Salardi C., (1987), Analisi immag<strong>in</strong>ativa, Astrolabio, Roma;<br />

5. Carrozz<strong>in</strong>i R. L., (1991), Manuale di musicoterapica immag<strong>in</strong>ativa, Edizioni universali<br />

romane, Roma;<br />

6. Freud. S., (1914), Opere 1915-1917, Vol. 8, Bor<strong>in</strong>ghieri, Tor<strong>in</strong>o, 1987;<br />

7. Jung C .G., (1939), La vita simbolica, Bollati Bor<strong>in</strong>ghieri, Tor<strong>in</strong>o, 1965;<br />

8. Jung C. G., (1915/1952), Simbolismi della trasformazione, Bor<strong>in</strong>ghieri, Tor<strong>in</strong>o, 1970;<br />

9. Peresson L., (1983), L’immag<strong>in</strong>e mentale <strong>in</strong> psicoterapia, Città Nuova Editrice, Roma;<br />

10. Schultz J. H., (1978), Il Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g Autogeno, Feltr<strong>in</strong>elli, Milano;<br />

11. Serroni A., Agresta F., Barone M. et alii, (1985), Il corpo e il gruppo: storia di un’esperienza,<br />

Atti del X Congresso della SIMP, (Pres. R. Di Donato), Il corpo e la comunicazione<br />

non verbale, Chieti- Pescara 23-26 maggio 1985;<br />

12. Serroni A., (1986), Rilassamento analitico e dialettica hegeliana, <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>,<br />

Anno II, Settembre, Pescara;<br />

13. Serroni A., (2003), Il rilassamento come comunicazione dialettica, Atti del II Convegno Nazionale<br />

Mente - Corpo, N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> psicologia, Francavilla al Mare (CH), 26-27<br />

aprile 2003;<br />

14. Serroni A., (2003), Il gruppo <strong>in</strong> rilassamento: vissuti, fantasmi e ricordi, N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong><br />

<strong>Psicologia</strong>, Anno XI, n. 1, maggio, Pescara;<br />

15. Serroni A., (2004), Il Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g Autogeno e le visualizzazioni guidate: il Mito della caverna,<br />

N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>, Anno XII n. 1, maggio, Pescara;<br />

16. Serroni A., (2004), Simboli, simbolismi e visualizzazioni guidate nel Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g Autogeno,<br />

N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>, Anno XIX ( fondazione), N. 2, novembre, Pescara;<br />

17. Serroni A., (2005), Il Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g autogeno con Visualizzazioni guidate e la Psicoprofilassi ostetrica.<br />

N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>, Anno xx, n. 2, novembre Pescara;<br />

18. Serroni A., S. Di Virgilio, Colomba V. et alii, (2006), Obesità e psicoterapie <strong>in</strong>tegrate: dalla<br />

dieta al T.A. di gruppo, Atti III Congresso Nazionale GRP, suppl. al n. 2, Aprile- giugno<br />

2006;<br />

19. Serroni A., (2007), Aggressività e Visualizzazioni (Sigfrido e l’uccisione del Drago Fafner),<br />

N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>, Anno XXII, n. I. Maggio, (Fasc. n. 37), Pescara;


- 90 -<br />

20. Serroni A., (2008), Nausea, vomito, vertig<strong>in</strong>i <strong>in</strong> gravidanza e tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g autogeno con<br />

visualizzazioni guidate, N.<strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>, Anno XXIII, n.1, Maggio (fascicolo39),<br />

Pescara;<br />

21. Widmann C., Caldironi B., (1980), Visualizzazioni guidate <strong>in</strong> Psicoterapia, Piovan, Abano<br />

Terme;<br />

22. Widmann C. (2004), Le terapie immag<strong>in</strong>ative, Edizioni Magi, Roma;<br />

23. Widmann C. (2006), Le radici antropologiche delle terapie immag<strong>in</strong>ative, N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong><br />

psicologia, Anno XXI, n. 1. Maggio (Fasc. n. 35).<br />

° Angela Serroni. Psicologa, Psicoterapeuta, Analista e libero professionista. Specializzata <strong>in</strong><br />

Psicoterapia ad <strong>in</strong>dirizzo psicoanalitico nella Scuola Quadriennale di Medic<strong>in</strong>a<br />

Psicosomatica Psicoanalitica della SIMP Abruzzese (Direttore: R. Di Donato). Ulteriore formazione<br />

psicoanalitica (SIMP Pescarese: Dott. F. Agresta). Ha conseguito un Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g di formazione<br />

<strong>in</strong> Psicoterapia di Rilassamento Analitico (Relaxation di M. Sapir) presso ASSIRA<br />

(Associazione Italiana di Rilassamento Analitico; Direttore Dott. R. Di Donato. Ha ricoperto<br />

un <strong>in</strong>carico professionale come conduttrice di gruppi di Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g Autogeno Respiratorio<br />

(RAT) per la psicoprofilassi al parto presso il Reparto Ostetrico dell’Ospedale Civile di<br />

Teramo, ULSS, Regione Abruzzo. Conduttrice di gruppi di Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g Autogeno con<br />

Visualizzazioni Guidate CSPP. Didatta CSPP (Centro Studi di <strong>Psicologia</strong>, Psicosomatica C<strong>in</strong>ica<br />

e Psicoterapia analitica, Direttore: Dott. Prof. F. Agresta). Cultore della materia presso la<br />

cattedra di <strong>Psicologia</strong> Cl<strong>in</strong>ica, Università degli studi G. D’Annunzio di Chieti (Prof. M.<br />

Fulcheri). Ha scritto diversi articoli sulla formazione al T. A. e sulle Visualizzazioni Guidate.<br />

* Parte di questa relazione è stata presentata al IV Convegno nazionale “Mente - Corpo: teoria e<br />

pratica, cefalee e vertig<strong>in</strong>i” (discussione di casi cl<strong>in</strong>ici trattati con Psicoterapia analitica e<br />

col Tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g Autogeno con Visualizzazioni Guidate); lavori di gruppo; Montesilvano (PE):<br />

12 febbraio 2007, <strong>in</strong> Collaborazione Cattedra di <strong>Psicologia</strong> Cl<strong>in</strong>ica (Prof. M. Fulcheri).<br />

Relatori e Conduttori di gruppo: F. Agresta, M. Fulcheri, G. Bontempo, G. Bonetta,<br />

A. M. Rotondo, D. Romagnoli, A. Serroni e D. Agresta.<br />

Sede del Convegno:<br />

Scuola Elementare I circolo, Piazza A. Diaz- Montesilvano (PE). Dirigente: Dott. V. Spezza.<br />

Indirizzo dell’Autore: Dott. Angela Serroni<br />

Via della Fonte, 1, 64100 Teramo.<br />

Cell. 3386262287<br />

E-mail: angelaserroni@virgilio.it<br />

ABBONAMENTO A<br />

“N. PROSPETTIVE IN PSICOLOGIA”<br />

• Il costo di UN SOLO NUMERO della <strong>Rivista</strong> è di DIECI (10) Euro.<br />

• L'Abbonamento annuale A DUE (2) NUMERI della <strong>Rivista</strong> “N. PROSPETTIVE IN<br />

PSICOLOGIA” è di SEDICI (16) Euro.<br />

• L’Abbonamento per L’ESTERO è di VENTI (20) Euro.<br />

L'importo relativo (abbonamento, numero s<strong>in</strong>golo o altro) deve essere versato sul<br />

CC POSTALE N. 32 93 70 96 ed <strong>in</strong>testato: ASSOCIAZIONE CULTURALE ITALIANA<br />

N. PROSPETTIVE IN PSICOLOGIA - Via Bologna, 35 - 65121 PESCARA (I).<br />

P.S. Specificare bene la causale del versamento.<br />

ON-LINE: http://www.prospettive<strong>in</strong>psicologia.com/<strong>in</strong>dex.html


- 91 -<br />

PROSPETTIVE IN LIBRERIA<br />

FAUSTO AGRESTA<br />

IL LINGUAGGIO DEL CORPO IN PSICOTERAPIA<br />

Glossario di Psicosomatica<br />

(Prefazione: Piero Parietti)<br />

Alpes Italia, Roma: I Edizione, marzo 2010, pagg. 272; Euro:19,00<br />

DALLA PREFAZIONE di Piero Parietti<br />

“La psicosomatica è una discipl<strong>in</strong>a dai significati ambigui e dalle attribuzioni molteplici e<br />

spesso apparentemente antitetiche. Il collega Fausto Agresta è uno studioso serio ed appassionato<br />

che ha preso sul serio la psicosomatologia diffondendone la conoscenza e cercando<br />

di strutturarne, per quanto possibile, i concetti esplicativi, sia nell’ambito della propria<br />

attività professionale di docente e di psicoterapeuta <strong>in</strong>dividuale e di gruppo, sia nel<br />

contesto della Società Italiana di Medic<strong>in</strong>a Psicosomatica quale organizzatore di Corsi,<br />

Convegni, come Coord<strong>in</strong>atore della Sezione di Pescare e di responsabile dell’ “area di attività”<br />

degli Psicologi. È però anche l’autore di pubblicazioni <strong>in</strong>teressanti ed orig<strong>in</strong>ali di cui<br />

gli esempi più significativi sono, a mio parere, il testo pubblicato nel 1997 “Malattie<br />

Psicosomatiche e Psicoterapia Analitica” e la rivista semestrale “<strong>Nuove</strong> <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong>”<br />

giunta ormai al XXIII anno dalla sua fondazione ed al quarantesimo fascicolo. Il<br />

libro citato illustra <strong>in</strong>fatti <strong>in</strong> maniera chiara, tanto la storia della Medic<strong>in</strong>a Psicosomatica,<br />

quanto la critica elencazione delle teorie e dei modelli teorici progressivamente elaborati,<br />

sempre con il supporto esplicativo di situazioni cl<strong>in</strong>iche affrontate. Un testo che dovrebbe<br />

essere letto e studiato da quanti si occupano di psicosomatica. La “rivista”, tramite contributi<br />

orig<strong>in</strong>ali e <strong>in</strong>terviste a tutto campo a livello nazionale ed <strong>in</strong>ternazionale, ha trattato e<br />

tratta, di tutte le impostazioni di lavoro teoriche e pratiche tradizionali, ma anche attuali<br />

<strong>in</strong> ambito psicologico (ma non solo) secondo un’ottica psicosomatologica. L’attuale pubblicazione<br />

costituisce un ulteriore importante contributo all’attività svolta, con merito e successo,<br />

dall’autore nella sua costante diffusione di conoscenza della psicosomatica, con una<br />

modalità pratica ed orig<strong>in</strong>ale bene espressa dal suo titolo “IL LINGUAGGIO DEL CORPO<br />

IN PSICOTERAPIA” e dal sottotitolo: Glossario di Psicosomatica. Ritengo che il dare particolare<br />

risalto alla dimensione corporea <strong>in</strong> psicoterapia, ove comunemente predom<strong>in</strong>a la dimensione<br />

del mentale, costituisca una precisa scelta dettata dall’orientamento psicosomatista dell’autore.<br />

Questo <strong>in</strong> quanto la chiamata <strong>in</strong> campo del “corpo” pone <strong>in</strong> primo piano la duplice<br />

caratterizzazione dello stesso tra “corpo reale” fondato sul codice biologico e focalizzato sulla<br />

oggettività della osservazione cl<strong>in</strong>ica, e “corpo vissuto” o fantasmatico, basato su di un codice<br />

simbolico ed espresso dalla soggettività <strong>in</strong>dividuale della persona sofferente. Differenziazione<br />

bene espressa dai fenomenologi di l<strong>in</strong>gua tedesca, con i term<strong>in</strong>i rispettivi di “koerper”<br />

[corpo biologico] e di “Leib” [corpo vissuto], che costituisce una artificiosa separazione sostanzialmente<br />

messa <strong>in</strong> atto nella operatività cl<strong>in</strong>ica dalla “medic<strong>in</strong>a” focalizzata sul koerper<br />

e dalla “psichiatria” centrata sul leib, e che la psicosomatica tende <strong>in</strong>vece ad unificare soprattutto<br />

attraverso il co<strong>in</strong>volgimento dei soggetti implicati <strong>in</strong> quella particolare relazione<br />

terapeutica che Michel Sapir ha <strong>in</strong>dicato con l’espressione di “corpo a corpo tra medico e<br />

paziente”. Formulazione che richiama l’<strong>in</strong>fluenza bal<strong>in</strong>tiana sulla impostazione culturale di<br />

questo autore francese che ha avuto un ruolo fondamentale assieme a quello di Boris Luban<br />

- Plozza nella scelta bal<strong>in</strong>tiana fatta dalla SIMP negli anni settanta del secolo scorso, per l’attività<br />

formativa dei propri soci. Due amici scomparsi quelli citati, il francese Michel e lo svizzero<br />

Boris, entrambi di orig<strong>in</strong>e russa e il maestro di orig<strong>in</strong>e ungherese Michael Bal<strong>in</strong>t, che<br />

hanno fortemente e positivamente <strong>in</strong>fluenzato l’atmosfera culturale della SIMP di cui Fausto<br />

Agresta è un autorevole esponente. Ma la chiamata <strong>in</strong> causa del corpo, secondo la prospettiva<br />

<strong>in</strong>dicata, comporta anche una possibilità di <strong>in</strong>tegrazione pratica tra le due componenti<br />

culturali, sorte nell’ambito della psicosomatica e della sua storia evolutiva, costituite da quelle<br />

che lo psichiatra Carlo Lorenzo Cazzullo, riconosciuto maestro e pioniere della medic<strong>in</strong>a<br />

psicosomatica <strong>in</strong> Italia, <strong>in</strong>dicava come “nosografica” e “metodologica”. La prima, quella


- 92 -<br />

“nosografica” prende (prendeva) <strong>in</strong> considerazione alcune particolari forme di malattia, def<strong>in</strong>ite<br />

appunto come “psicosomatiche”, la cui orig<strong>in</strong>e sarebbe da <strong>in</strong>dividuare <strong>in</strong> d<strong>in</strong>amiche<br />

conflittuali psichiche <strong>in</strong>consce somatizzate. La seconda, quella “metodologica” (più attuale),<br />

centrata non tanto sull’aspetto nosografico della malattia, quanto <strong>in</strong>vece sul tipo di approccio<br />

da parte del terapeuta all’<strong>in</strong>dividuo comunque sofferente, considerato secondo una prospettiva<br />

globale comprendente anche la relazione terapeutica attivata. La chiamata <strong>in</strong> causa<br />

della relazione <strong>in</strong>terpersonale tra l’<strong>in</strong>dividuo sofferente e l’<strong>in</strong>dividuo (professionista) che lo<br />

assume <strong>in</strong> cura appare come un superamento della artificiale ed assurda suddivisione tra forme<br />

psicosomatiche e non di malattia. Nel glossario, che comporta la illustrazione di term<strong>in</strong>ologie<br />

molteplici con la citazione di modalità terapeutiche derivate da modelli teorici diversi<br />

ed arricchite dalla esemplificazione di casi cl<strong>in</strong>ici ricavati sia dalla letteratura, sia dalla<br />

esperienza cl<strong>in</strong>ica personale le problematiche prima <strong>in</strong>dicate trovano adeguata espressione.<br />

Al term<strong>in</strong>e del libro nell’appendice “NUOVO TIPO DI INTERVENTO IN PSICOSOMA-<br />

TICA: Gruppoanalisi e Psicosomatica”, Agresta esplicita, anche con la citazione di esperienze<br />

cl<strong>in</strong>iche affrontate, la propria modalità operativa esponendola, coraggiosamente (<strong>in</strong><br />

quanto non spesso avviene), alle valutazioni ed alle critiche dei Lettori, quale base per riflessioni<br />

e possibili elementi di discussione tra addetti ai lavori ed anche questo è motivo di merito.<br />

Come ulteriore motivo di merito è l’avere voluto fornire un utile strumento di studio e<br />

di lavoro tramite l’elencazione di oltre mille <strong>in</strong>dicazioni bibliografiche sull’argomento.Tutti<br />

motivi quelli citati per cui ho accettato di buon grado di fornire una presentazione al lavoro<br />

dell’amico Fausto che r<strong>in</strong>grazio affettuosamente per la sua richiesta”.<br />

°Piero Parietti,<br />

Psichiatra, Psicoterapeuta, è Presidente della Società Italiana di Medic<strong>in</strong>a Psicosomatica<br />

(SIMP) e Responsabile della Formazione. È Direttore della Scuola ad <strong>in</strong>dirizzo Psicosomatico<br />

Riza, Milano.<br />

IL LINGUAGGIO<br />

DEL CORPO<br />

IN PSICOTERAPIA<br />

Glossario di Psicosomatica<br />

di FAUSTO AGRESTA<br />

Volume di 272 pag<strong>in</strong>e<br />

Prezzo di copert<strong>in</strong>a: € 19,00<br />

É possibile ord<strong>in</strong>are il volume<br />

a € 19,00 (+ spese di spedizione):<br />

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spedizione)<br />

Su richiesta presso le librerie


- 93 -<br />

ROSINE DEBRAY, ROSE-ANGÉLIQUE BELOT<br />

PSICOSOMATICA DELLA PRIMA INFANZIA<br />

Casa Editrice Astrolabio, Roma, 2009, pagg. 295; Euro: 26,00<br />

Ros<strong>in</strong>e Debray è psicoanalista, psicosomatista e consulente presso l’Institut de Psychosomatique<br />

de Paris (IPSO) dell’ospedale Pierre-Marty; è professoressa di psicologia cl<strong>in</strong>ica<br />

all’università René Descartes di Parigi, membro della Société Psychanlytique de Paris, da<br />

più di vent’anni scrive volumi e articoli sul concetto moderno di psicosomatica. Rose-<br />

Angélique Belot è psicologa cl<strong>in</strong>ica, ha realizzato la brillante ricerca sperimentale riportata<br />

<strong>in</strong> questo testo come tesi di dottorato presso l’università René Descartes (la dottoressa<br />

Debray è stata la sua relatrice). Le due autrici affrontano il delicato tema della psicosomatica<br />

precoce che ha come ambito di pert<strong>in</strong>enza lo studio e l’<strong>in</strong>tervento terapeutico sui complessi fattori<br />

che concorrono all’<strong>in</strong>sorgere della malattia psicosomatica nella prima <strong>in</strong>fanzia, a partire dal concepimento,<br />

f<strong>in</strong>o ai primi mesi di vita del bamb<strong>in</strong>o. In questo volume la molteplicità fattoriale che<br />

sottende la risposta deficitaria del bamb<strong>in</strong>o viene affrontata secondo un’ottica multifattoriale dove<br />

l’ambiente, le caratteristiche personali, il terreno ereditario, la mancanza di una “barriera”<br />

genitoriale che protegga l’<strong>in</strong>fante da stimolazioni eccessive di orig<strong>in</strong>e <strong>in</strong>terna ed esterna, divengono<br />

importanti <strong>in</strong>dicatori e strumenti per ripensare ed affrontare il disagio. Disturbi del sonno, dell’alimentazione,<br />

<strong>in</strong>fezioni frequenti, manifestazioni allergiche, sono tutte espressioni somatiche cui la psicoterapia<br />

congiunta madre-bamb<strong>in</strong>o o madre-padre-bamb<strong>in</strong>o costituisce una valida risorsa. Disturbi<br />

assai frequenti nel bamb<strong>in</strong>o piccolo destano tuttavia <strong>in</strong>variabilmente, nella madre e nel padre, molta<br />

preoccupazione e ansia che a loro volta <strong>in</strong>tensificano i s<strong>in</strong>tomi presentati dal bebè. Questo <strong>in</strong>effabile<br />

“circolo vizioso” può essere <strong>in</strong>terrotto se le angosce dei genitori trovano modo di esprimersi durante la<br />

consultazione. In particolare, il lavoro della dottoressa Debray, svela buona parte delle sofferenze, delle<br />

paure e delle difficoltà che ci portiamo dietro “da prima di venire al mondo”, ripercorrendo la<br />

storia familiare secondo un’ottica psicoanalitica. Allo stesso tempo, dimostra nell’analisi caso per caso<br />

che, i sensi di colpa di molte madri per i disturbi dei propri figli sono <strong>in</strong>giustificati. In virtù di una<br />

causalità multiparametrica soggiacente all’eziologia del disturbo si è constatato che madri con un’organizzazione<br />

psichica carente hanno dei figli che scoppiano di salute. La dottoressa Belot, guidata<br />

dal modello concettuale della Debray, <strong>in</strong>tesse un’<strong>in</strong>novativa ricerca per stabilire la relazione tra il<br />

comportamento del neonato (0-4 mesi) e il funzionamento psichico della coppia genitoriale. Per la<br />

sua <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e ha impiegato quattro differenti strumenti di ricerca: la scala NBAS (la Neonathal<br />

Behavioral Assessment Scale di T.B. Brazelton) dest<strong>in</strong>ata a valutare globalmente le competenze e le<br />

caratteristiche personali del bamb<strong>in</strong>o, il test di Rorschach e il TAT (Thematic Apperception Test<br />

sviluppato da H. Murray) per valutare il funzionamento psichico della madre, la Symptome Chech<br />

List questionario di ottanta domande per <strong>in</strong>quadrare la natura dei disturbi del neonato, ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e un<br />

colloquio di restituzione dest<strong>in</strong>ato alla madre o alla coppia, per comunicare <strong>in</strong>formazioni utili<br />

circa le competenze degli stessi e del bamb<strong>in</strong>o. Questa è la prima ricerca che mette <strong>in</strong> relazione: la<br />

qualità del funzionamento materno (<strong>in</strong> particolare della mentalizzazione, <strong>in</strong>tesa come capacità<br />

dell’<strong>in</strong>dividuo di costituirsi una rappresentazione adeguata dei processi di pensiero propri e dell’altro<br />

significante e, localizzata secondo gli studi di Pierre Marty, nel sistema preconscio); il sostegno ambientale;<br />

la regolazione fornita dalla funzione paterna che funge da c<strong>in</strong>tura protettiva attorno<br />

alla diade madre-bamb<strong>in</strong>o (come contenitore delle angosce); la salute somatopsichica del neonato.<br />

Il tutto attraverso l’uso di strumenti metodologici come il Rorschach e il TAT che non sono mai stati<br />

utilizzati prima per questo tipo di ricerche. Il libro si presenta come una sonata a due: la grande<br />

esperienza cl<strong>in</strong>ica della dottoressa Debray scandisce il tempo e lo spazio <strong>in</strong>terpersonale che la consultazione<br />

assume nei riguardi di una coppia <strong>in</strong> difficoltà evidente con la propria progenie; mentre la<br />

d<strong>in</strong>amicità della ricerca empirica sostenuta dalla dottoressa Belot offre considerevoli spunti di riflessione<br />

e fondamentali <strong>in</strong>terrogativi per la presente e la futura ricerca. Un testo chiaro, preciso ed estremamente<br />

scorrevole che illum<strong>in</strong>a una fascia di età molto più complessa di quello che ci si potrebbe<br />

attendere: pensiamo alla grande differenza che <strong>in</strong>tercorre tra un neonato e l’altro nell’affrontare l’eccitazione<br />

eccessiva o un ambiente anaffettivo. La vita psichica di un bamb<strong>in</strong>o appena nato, sebbene<br />

<strong>in</strong> via di organizzazione e profondamente limitata, resta comunque un affasc<strong>in</strong>ate parte dell’universo<br />

della mente umana.<br />

Alessio Bianconi


- 94 -<br />

NOTIZIE<br />

La Società Italiana di Medic<strong>in</strong>a Psicosomatica (SIMP),<br />

Sezione Pescarese<br />

<strong>in</strong> Collaborazione con il Centro di <strong>Psicologia</strong>,<br />

Psicosomatica Cl<strong>in</strong>ica, Psicoterapia Analitica<br />

Individuale e di Gruppo (CSPP)<br />

<strong>Rivista</strong> <strong>Nuove</strong> <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong><br />

Organizza<br />

il II Gruppo esperienziale di<br />

PSICODRAMMA ANALITICO<br />

Due Giornate di Laboratorio Esperienziale a numero chiuso<br />

Condotto dal Dott. PIERO PARIETTI° e dalla Dott.ssa ELISA FARETTA°°<br />

(19-20 giugno 2010)<br />

Sabato 19: <strong>in</strong>tera giornata - Domenica 20 giugno: ore 9:00 - 12:30<br />

°Psichiatra, Psicoanalista, Presidente della Società Italiana di Medic<strong>in</strong>a Psicosomatica<br />

(SIMP), Responsabile della Formazione e Direttore della Scuola ad Indirizzo<br />

Psicosomatico Riza, Milano.<br />

°° Psicologa, Psicoterapeuta, Responsabile e Coord<strong>in</strong>atrice Centro PIIEC - Milano,<br />

Cotra<strong>in</strong>er e Supervisore EMDR Italia ed Europa.<br />

Sede: Grand Hotel Adriatico, Montesilvano (PE)<br />

PROGRAMMA<br />

IMPOSTAZIONE DEL LAVORO PSICODRAMMATICO<br />

F<strong>in</strong>alità<br />

- Sensibilizzare tramite nozioni ma soprattutto esperienze pratiche i partecipanti sulle<br />

possibilità e prospettive offerte dallo psicodramma<br />

- Sia a livello cl<strong>in</strong>ico terapeutico [auto ed etero]<br />

- Sia come apprendimento e formazione personale dell’operatore<br />

Obiettivi e Modalità pratiche<br />

- Integrare <strong>in</strong> maniera equilibrata i precedenti aspetti [apprendimento ed esperienza<br />

personale]<br />

- Fornire a tutti i partecipanti identiche opportunità.<br />

ISCRIZIONI: Quota di Iscrizione: € 130,00<br />

Soci Iscritti SIMP: € 120,00<br />

Sede: Grand Hotel Adriatico, Montesilvano (PE)<br />

INFORMAZIONI e iscrizioni: Dott.ssa A. D’Amato - cell: 349.6940474<br />

email: damatoale@hotmail.it;<br />

*A tutti i Partecipanti dello PSICODRAMMA ANALITICO verrà rilasciato un attestato<br />

specifico della SIMP e del CSPP.<br />

*Organizzazione: SIMP Sezione Pescarese e Centro di <strong>Psicologia</strong>,<br />

Psicosomatica Cl<strong>in</strong>ica, Psicoterapia Analitica Individuale e di Gruppo<br />

(CSPP) - Coord<strong>in</strong>azione Scientifica (Dott. F. Agresta) Via Bologna, 35 -<br />

65121 Pescara / E-mail: fagresta@hotmail.com; Tel. 085.28354.


- 95 -<br />

Sono aperte le iscrizioni alla SIMP. Le attività della SIMP e del CSPP: attività<br />

sem<strong>in</strong>ariali, teoriche e pratiche, corsi esperienziali di psicodiagnostica,<br />

supervisioni <strong>in</strong>dividuali e di gruppi, tra<strong>in</strong><strong>in</strong>g autogeno per gruppi con<br />

visualizzazioni guidate, Gruppi Bal<strong>in</strong>t e altre attività professionali.<br />

CSPP<br />

* * *<br />

CENTRO STUDI DI PSICOLOGIA, PSICOSOMATICA CLI-<br />

NICA, PSICOTERAPIA ANALITICA INDIVIDUALE E DI<br />

GRUPPO- <strong>in</strong> Collaborazione con la SEZIONE PESCARESE DI<br />

MEDICINA PSICOSOMATICA (SIMP) - (Direttore CSPP: Dott.<br />

Prof. Fausto Agresta- Via Bologna, 35- Via Pucc<strong>in</strong>i, 45- tel. 085/<br />

28354 Pescara)<br />

Patroc<strong>in</strong>i: Società Italiana di Medic<strong>in</strong>a Psicosomatica e Sezione Pescarese (SIMP)<br />

/ Coord<strong>in</strong>amento Nazionale Area Psicologi SIMP - Gruppo per la Ricerca <strong>in</strong><br />

Psicosomatica (GRP) - Cattedra di Medic<strong>in</strong>a Sociale (Tit. Prof. W. Nicoletti, Dipartimento<br />

di Medic<strong>in</strong>a Legale) - I Facoltà di Medic<strong>in</strong>a e Chirurgia Università<br />

“La Sapienza” di Roma - Coord<strong>in</strong>amento Nazionale.-Scuola di Specializzazione<br />

<strong>in</strong> Psicoterapia IPAAE - Pescara - <strong>Rivista</strong> N. <strong>Prospettive</strong> <strong>in</strong> <strong>Psicologia</strong><br />

In Collaborazione: Comitato Scientifico: Lilia Baglioni (Roma/Londra), Roberto<br />

Bassi (Venezia), Massimo Biondi (Roma), Giuseppe Bontempo (Vasto/<br />

Chieti), Romano Di Donato (Pescara), Diego Frigoli (Milano), Edmond<br />

Gilliéron (Roma/ Losanna), Franca Fub<strong>in</strong>i (Perugia/Londra), Giampaolo Lai<br />

(Milano), Pierrette Lavanchy (Milano), Anton<strong>in</strong>o M<strong>in</strong>erv<strong>in</strong>o (Parma), Luigi<br />

Onnis (Roma), Piero Parietti (Milano), Loredana Petrone (Roma), Klaus Rohr<br />

(Lucerna), Domenico Romagnoli (Pescara), Massimo Rosselli (Firenze),<br />

Pierluigi Sommaruga (Milano), Francesca Natascia Vasta (Roma/ L’Aquila),<br />

Claudio Widman (Ravenna).<br />

Comitato dei Collaboratori: Fausto Agresta, Domenico Agresta, Lilia Baglioni,<br />

Franca Fub<strong>in</strong>i, Giuseppe Bontempo, Tancredi Di Iullo, Anton<strong>in</strong>o M<strong>in</strong>erv<strong>in</strong>o, Maria<br />

Carmela Pelusi, Domenico Romagnoli, Anna Maria Rotondo, Angela Serroni, Francesca<br />

Natascia Vasta, Claudio Widmann.<br />

ORGANIZZA<br />

Corso di Psicodiagnostica di Primo Livello<br />

(Totale lezioni n. 18, totale ore n. 51)<br />

PROGRAMMA PROVVISORIO<br />

PRIMO/SECONDO INCONTRO (TRE ORE CIASCUNO)<br />

Docente: Giuseppe Bontempo ed altri (n. 4 <strong>in</strong>contri, totale ore: n. 12)<br />

MMPI – 2 2 <strong>in</strong>contri n. 3 ore (ciascuno)<br />

Parte teorica<br />

- Le Scale cl<strong>in</strong>iche<br />

- Le Scale di controllo<br />

- Le Scale di contenuto<br />

- Le Scale supplementari<br />

TERZO INCONTRO 1 <strong>in</strong>contro n. 3 ore<br />

Docente: Giuseppe Bontempo<br />

Parte pratica<br />

- Scor<strong>in</strong>g ed elaborazione profili<br />

- Interpretazione profili


- 96 -<br />

QUARTO INCONTRO: CASI CLINICI 1 <strong>in</strong>contro n. 3 ore<br />

Docente: Giuseppe Bontempo<br />

- SQ - Symptom Questionaire di R. Keller<br />

- EPQ - R IVE: Le Scale di Eysenck per la descrizione della personalità degli adulti<br />

- Etica e deontologia nell’uso cl<strong>in</strong>ico dei test<br />

QUINTO/SESTO/SETTIMO/OTTAVO/NONO/DECIMO/UNDICESIMO/<br />

DODICESIMO INCONTRO (TRE ORE CIASCUNO)<br />

Docente: Tancredi Di Iullo ed altri (n. 9 <strong>in</strong>contri, totale ore: n. 24)<br />

TEST PER LA MISURAZIONE DELL’EFFICIENZA INTELLETTIVA:<br />

WPPSI 2 <strong>in</strong>contri n. 3 ore (ciascuno)<br />

WISC – R 2 <strong>in</strong>contri n. 3 ore (ciascuno)<br />

WAIS 2 <strong>in</strong>contri n. 3 ore (ciascuno)<br />

VALUTAZIONE PSICOMOTORIA 2 <strong>in</strong>contri n. 3 ore (ciascuno)<br />

TREDICESIMO/QUATTORDICESIMO/QUINDICESIMO/SEDICESIMO/<br />

DICIASETTESIMO INCONTRO<br />

Docente: Fausto Agresta* ed altri (n. 5 <strong>in</strong>contri, totale ore: n. 15)<br />

a. Il fenomeno della proiezione nei test proiettivi e <strong>in</strong> psicod<strong>in</strong>amica<br />

b. Il disegno <strong>in</strong> chiave proiettiva: cl<strong>in</strong>ica psicodiagnostica e psicopatologia (Diagnosi<br />

differenziale: livelli cognitivi, psicod<strong>in</strong>amici e <strong>in</strong>terattivi/ problematiche scolastiche<br />

ed evolutive: PM 47; PM 38: (a/b)<br />

c. Il test proiettivo nella d<strong>in</strong>amica psicoterapeutica<br />

d. Il test dell’Albero (Kock)<br />

e. Il test della Figura umana (Makover) e L’ uomo sotto la pioggia<br />

f. Il test della famiglia (Corman)<br />

g. Il test della famiglia <strong>in</strong> movimento (K.F.D.)<br />

h. Le favole della Düss/ Test di Lüscher<br />

i. Studio e analisi della scrittura nell’<strong>in</strong>fanzia (disgrafie, dislalie e discalculie).<br />

Periodo: Giugno/Novembre (da def<strong>in</strong>ire meglio) - Lezioni nel pomeriggio<br />

del lunedì dalle ore 14,15- 17,15.<br />

Durata e costi: 17 <strong>in</strong>contri di 3 ore ciascuno. Numero chiuso di 20 iscritti;<br />

riservato a: Laureati <strong>in</strong> Medic<strong>in</strong>a e <strong>Psicologia</strong> (e Laurea triennale). Costo<br />

€ 850 + IVA (si può pagare <strong>in</strong> due rate; all’<strong>in</strong>izio e a metà corso). *Gli <strong>in</strong>contri<br />

si terranno presso la sede del CSPP: Via Pucc<strong>in</strong>i, n. 45 (zona Porto, di<br />

fronte Parco de Riseis) – PESCARA.<br />

*Il colloquio prelim<strong>in</strong>are sarà condotto da Fausto Agresta.<br />

P.S.: Nel secondo anno (II Corso) si studieranno il Rorschach, il T.A.T., il<br />

C.A.T e i tests neuropsicologici. Iscrizioni e <strong>in</strong>fo: Dott.ssa B. Feliziani<br />

329.7859915; Dott.ssa I. Furno 328.3789866;<br />

Direzione e Organizzazione scientifica: Dott.ssa A. D’Amato cell:349/6940474 e<br />

Dott. F. Agresta, Via Bologna, 35 – Pescara: e-mail: f.agresta@hotmail.com;<br />

Tel: 085/28354.<br />

°Il Programma potrà subire piccole variazioni che saranno comunicate agli<br />

<strong>in</strong>teressati prima dell’<strong>in</strong>izio delle lezioni. Se non si raggiungerà il numero<br />

m<strong>in</strong>imo di 20 persone il corso del I Anno non avrà luogo.

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