n. 4 - Primavera 2008 - Le montagne divertenti

M
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
TRIMESTRALE DI ALPINISMO E CULTURA ALPINA
LE ONTAGNE
VAL POLA
Non sarebbe il
caso di metter fine
all’emergenza e
lasciare il lago?
VALCHIAVENNA
Un anello attorno al
Pizzaccio
ALTA VALLE
Ai 3851 metri del Gran
Zebrù accompagnati da
Fabio Meraldi
PIAN DI SPAGNA
Il nostro primo incontro
col Nordic Walking
SCIALPINISMO
La Cima di Lemma,
nel paradiso della Val
Tartano
RETICHE
A Scermendone alla
ricerca dell’acqua
miracolosa
MESTIERI
Intervista con l’ultimo
degli artigiani, custode
di segreti centenari
VALMALENCO
L’imperdibile
ascensione al Corno di
Braccia
BELLI DA MORIRE
I fiori che uccidono
E INOLTRE
RICORDI, POESIE,
NATURA, STORIE,
RICETTE, GIOCHI ...
N°4 - PRIMAVERA 2008 - € 2
Divertenti
Speciale MELLOBLOCCO
il più grande raduno di sassisti del mondo
VALCHIAVENNA - BASSA VALLE - VALMASINO - VALMALENCO - VERSANTI RETICO E OROBICO - ALTA VALLE
M
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
TRIMESTRALE DI ALPINISMO E CULTURA ALPINA
LE ONTAGNE
VAL POLA
Non sarebbe il
caso di metter fine
all’emergenza e
lasciare il lago?
VALCHIAVENNA
Un anello attorno al
Pizzaccio
ALTA VALLE
Ai 3851 metri del Gran
Zebrù accompagnati da
Fabio Meraldi
PIAN DI SPAGNA
Il nostro primo incontro
col Nordic Walking
SCIALPINISMO
La Cima di Lemma,
nel paradiso della Val
Tartano
RETICHE
A Scermendone alla
ricerca dell’acqua
miracolosa
MESTIERI
Intervista con l’ultimo
degli artigiani, custode
di segreti centenari
VALMALENCO
L’imperdibile
ascensione al Corno di
Braccia
BELLI DA MORIRE
I fiori che uccidono
E INOLTRE
RICORDI, POESIE,
NATURA, STORIE,
RICETTE, GIOCHI ...
N°4 - PRIMAVERA 2008 - € 2
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VALCHIAVENNA - BASSA VALLE - VALMASINO - VALMALENCO - VERSANTI RETICO E OROBICO - ALTA VALLE

EDITORIALE
Beno
Un editoriale, una poesia o il testo di una canzone nascono in
momenti speciali.
Non puoi mai sapere quando.
Una situazione, un suono, un paesaggio risvegliano il ricordo di un sogno o di
qualcosa di magico che hai vissuto.
L’emozione e l’empatia ti colgono di sorpresa.
Questi attimi si sciolgono come neve al sole, e devi sforzarti di segnarteli nel cuore.
Quando la bellezza della vita si palesa, io vinco il mio imbarazzo nell’ammettere l’amore
che ne nasce, ma poi torno al quotidiano e credo che un fiore così bello e indifeso vada nascosto
talmente bene da dimenticarsi dove lo si è messo.
A volte provo ribrezzo per ciò che mi circonda, per l’avidità e l’insensibilità di molti uomini, per
l’attaccamento al denaro, per la vocazione dei più a volere affermare la loro superiorità sugli altri
inventandosi le regole del gioco.
Come ci si può sentire realizzati nel possedere più banconote di un altro?
Tutti si credono Dio e Dio li lascia fare.
Così la mia bocca si impasta, le parole si accavallano caotiche come i sassi in una ganda; perdono
ogni coerenza e tornano a rintanarsi nel profondo dello stomaco.
I pensieri più profondi mi accompagnano quando sono in montagna, quando sto scalando,
quando sono ore e ore che vago alla ricerca della mia meta.
So che chi non mi capisce è perchè non ha mai vissuto veramente la montagna.
Ed è anche per lui che scriviamo queste pagine.
Coi miei compagni d’avventura attraversiamo ore di silenzio
quando siamo in compagnia. Il senso delle cose diventa l’ammirare
la bellezza della natura, l’assaporarne la vicinanza, sentirsi
onorati d’esser lì.
Tutto il resto? Superfluo. Il freddo, i precipizi, la stanchezza
diventano amici.
Talvolta mi emoziono, mi scappa qualche lacrima che
nessuno vede e che il vento asciuga premuroso.
Non ci guardiamo gli uni con gli altri quando siamo
in silenzio. Il rumore dei nostri passi, i nostri respiri o il
tintinnio le piccozze che sbattono contro i ramponi di chi
prepara lo zaino alla rinfusa mi assicurano che nessuno si è
perso.
Il senso di tutto sta in quella pace, nel farsi piccoli
piccoli e pregare che quell’attimo diventi eterno.
Poi i rumori svaniscono per qualche metro...
“Beno ti è caduta la piccozza, te l’ho recuperata
io...”.
“Beviamo un po’ di te’?”
“Ma sì... prendiamo il mio che è ancora
caldo”.

Le Montagne Divertenti
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e
Valchiavenna
Registrazione
Tribunale di Sondrio n° 369
Editore
Beno
Direttore Responsabile
Maurizio Torri
Caporedattore
Enrico Benedetti (Beno)
Redazione
Roberto Moiola
Gioia Zenoni
Realizzazione grafica
Beno
Revisore di bozze
Mario Pagni
Hanno collaborato
Arturo Baracchi, Massimo Dei Cas, Enrico Minotti,
Giordano Gusmeroli, Carlo Pelliciari, Marino
Amonini, Luciano Bruseghini, Luciano Benedetti,
Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Josef Ruffoni, Fabio
Meraldi, Marco Confortola, Fabrizio Ceriani, Matteo
Gianatti, Matteo Monti, Nicola Giana, Ambrogio
Riva, Damiano e Samuele Miotti, Fabio Pusterla,
Jacopo Merizzi, Andrea Gobetti, Andrea Pavan, Sergio
Scuffi, Silvio Gaggi, Franco Benetti, Stefano Scetti,
Michele Comi, Nicola Noè e Nicolò Berzi.
Si ringraziano inoltre
Franco e Marina Monteforte, Matteo Tarabini, Anna
Giannoni, Mauro Lanfranchi, Franco Pinchetti, Ezio
Gianatti, Riccardo Ghislanzoni, Chiara , Luigino
Negri, Mirko Rosina, Johnny Mitraglia, Roby
Lisignoli, Maria Della Torre, Serena Piganzoli, Sonia
Travaini, Claudio Franchetti, Giovanni Lanciani,
Eva Fattarelli, Claudio Piscina, la Tipografia Bonazzi,
tutti gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere
la rivista e tutti gli sponsor che credono in noi e in
questo progetto.
Redazione
Via S.Francesco, 33 – 23020 Montagna (SO)
Abbonamenti per l’Italia
annuale (4 numeri della rivista):
costo €15 euro da versarsi sul
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Sondrio
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Via S.Francesco 33/C
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NUMERO 1 (ESTATE 2007): esaurito
Prossimo numero
21 giugno 2008
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Cartografia Beno, Matteo Monti e Ambrogio Riva
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S OMMARIO
SPECIALE VAL POLA
6 La grande frana della Val Pola
9 Preludio all’Apocalisse
17 Sulle rive del lago
18
ALPINISMO
Valmalenco: Il Corno di Braccia
28 Le miniere di rame dei laghi di Sassersa
31 Scialpinismo in Val Tartano: Cima di Lemma
37 Gran Zebrù: scialpinismo sulla Cima del Re
41 Rifugio Pizzini
42
ESCURSIONISMO
Versante Retico: L’anello dell’Olmo
52 Valchiavenna: Attorno al Pizzaccio
58 Nordic Walking al Pian di Spagna
67 Le “lobie” di Samolaco
70
NATURA RICETTE E GIOCHI
L’ultimo degli artigiani: il ramaio
74 L’arte della fotografia: le macro
76 Belli... belli da morire
79 Lo spazio dei lettori
80 Giochi e soluzioni
83 Le ricette della Nonna
86
SPECIALE MELLOBLOCCO
Cos’è il bouldering
87 Storia, protagonisti e atleti della grande gara
In copertina: 15 Maggio 2004. Bucaneve in Valgerola. Foto Roberto Moiola (www.sysaworld.com).
Editoriale: 20 gennaio 2008. Sagome al tramonto a Scermendone (www.vai.li/montagne-divertenti).
A fianco: Il risveglio nell’alveare. Foto R. Moiola.
Ultima di copertina: Giulia Giammarco su “Cadi e Muori”, Melloblocco 2007. Foto Claudio Piscina.
42
85
Prossimo Numero in uscita il 21 giugno 2008 a soli 2 euro!
6
58
84
37

Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (“scala Beno”) che vengono assegnati agli itinerari nelle schede
sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si riferiscono alla giornata in cui è stato compiuto
l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni meteo trovate. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano
dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di condizioni
ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale.
Grado difficoltà Spiegazione
Ottimo anche per anziani non autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale
0
per la camporella, anche per le coppiette meno esperte.
Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio
1
mettere qualche provvista e qualche vestito.
2
3
4
5
6
S IMBOLI
Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche.
Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (d’obbligo abito da sera e mocassini).
E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate!
E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e
muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia.
E’ consigliabile una guida.
Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a
tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati.
E’ una valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisico-atletica,
buona esperienza alpinistica, sprezzo del pericolo con barba lunga e incolta.
Con una scala da 0 a 3, le faccine vi riassumeranno per ogni itinerario
bellezza
fatica
LEGENDA
SPIEGAZIONE DELLE SCHEDE TECNICHE
pericolosità

Piogge
intense,
continue e
temperature
molto elevate
innescarono
la gigantesca
frana che
investì la Val
Pola nel 1987.
Il 27 luglio
alle ore 7:23
dalle pendici
del Monte
Zandila si
staccarono
50 milioni
di metri cubi
di materiale.
I detriti
risalirono
il versante
opposto per
270 metri,
distribuendosi
su una
superficie
di 2,4 kmq.
1986, S.Antonio Morignone. Foto A.Urbani.
6 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
E SCURSIONISMO
VAL
Luglio 1987, Bormio. Foto A.Urbani. La frana sul Monte Zandila. Foto J.Merizzi.
Primavera 2008
POLA
Il lago della Val Pola. Foto J.Merizzi. Grafica Beno.
Furono così
distrutti i paesi
di S. Antonio
Morignone,
Morignone, Poz
e Tirindrè.
27 le vittime.
L’accumulo
della frana
sbarrò il corso
del fiume
Adda creando
un invaso che
raggiunse una
estensione di
76 ettari: il
lago della Val
Pola. Poi fu
l’uomo l’artefice
dei paesaggi di
questa regione.
In molti si
chiedono oggi
come sarebbe
la Val Pola se
il lago non
fosse stato
prosciugato...
Il prosciugamento del lago. Foto A.Urbani. Al lavoro! Foto J.Merizzi. La costruzione delle briglie. Foto J.Merizzi.
LE MONTAGNE DIVERTENTI IL LAGO DELLA VAL POLA - 7

8 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Andrea Gobetti
Jacopo Merizzi
Nel 1994 invitai l’amico
Andrea Gobetti a “salire” in Valtellina
per scrivere una decina di racconti.
I racconti seguivano le illustrazioni
per il libro Aria di Valtellina.
Andrea dedicò l’ottavo capitolo
alla grande frana di Val Pola, l’evento
geologico più impressionante a
memoria d’uomo mai avvenuto in
Valtellina.
Quel racconto, frutto di interviste
raccolte sul posto, non venne mai
pubblicato.
Lo sponsor più importante del
libro non lo ritenne opportuno.
Andrea, colpito dall’incomprensibile
censura, se ne andò offeso, lasciando
il libro al settimo racconto.
Sono passati poco meno di quindici
anni e quel magnifico racconto
continua a rotolarmi nel cassetto.
Quella eccezionale testimonianza,
non può andar perduta. Soprattutto
per noi Valtellinesi, che della Val Pola
abbiamo avuto solo la versione ufficiale
centrata sulla “tragedia”.
La magistrale penna di Andrea
vi accompagnerà dentro un evento
che fece il giro del mondo e che, più
della frana stessa, scosse il cuore di
ogni valtellinese.
Andrea Gobetti, per chi non lo
conosce, è un mito nel mondo della
montagna di livello internazionale.
Nato a Torino nel 1952 è
speleologo di grande intuito,
alpinista, viaggiatore, sceneggiatore
di film vincitori di importanti premi
e soprattutto scrittore.
Scrittore avaro ma straordinario.
I suoi libri, quali L’ombra del
tempo e Una frontiera da immaginare,
hanno ammaliato più generazioni di
alpinisti e speleologi, come i racconti
che uscivano sulla rivista ROC di
cui era direttore.
Ritratto di Andrea Gobetti.
Primavera 2008
Per ricostruire i giorni drammatici
in cui cadde in Valtellina la gigantesca
frana di Val Pola andammo
ad intervistare Giovanni Peretti -
geologo, responsabile dell’Ufficio
Valanghe della Regione Lombardia
a Bormio.
Ne è uscita una rara fotografia panoramica
che abbraccia quei tragici
giorni da differenti angolature. E’
strano come nelle fotografie di parole
il tempo si lasci ritrarre come fa lo
spazio davanti agli obiettivi, e, come
quello viene distorto e re-inventato
da differenti focali, così l’emozione
contrae i giorni dell’attesa e indugia
sull’evento, giocando al contrasto tra
le ore destinate allo sfondo e quelle
che rimarranno sempre nei primi
piani della memoria.
“Piovve di colpo nel luglio
dell’87.
Non piovve sul bagnato, la terra
arida non ebbe il tempo di bere e
bevendo preparasi a bere, come quei
bevitori di vecchia data che non si
sbronzano mai, che dopo damigiane
e bottiglioni rimangono in piedi.
Se la montagna si sbronza d’acqua
con calma, la terra instabile “scucchiaia”,
sparge una cucchiaiata di
frana fuori dal piatto, non è un gran
guaio.
Ma quella volta piovve a dismisura
sulla siccità e dopo tre giorni
freddi in cui ad alta quota nevicava,
l’ultimo giorno della perturbazione
la temperatura salì, cosicché piovve
sulla neve appena caduta sciogliendola
d’un colpo. Dall’alto cadevano
ondate di piena l’una sull’altra e tutte
si sommavano nell’Adda. Le pendici
del monte vomitavano letteralmente
enormi quantità d’acqua, vari torrenti
strariparono facendo danni e
trascinando materiale. Dalla Val Pola
scese una frana superficiale che sbarrò
non solo la strada che unisce Bormio
a Tirano, ma lo stesso corso dell’Adda,
che formò un lago sul fondovalle
isolando Bormio e allagando le case
più base di Morignone.
Ma un mostro ben più terribile
era stato messo in moto dalla grande
bevuta.”
La grande frana
della
Val Pola
“Per capire la grande frana
devi immaginarti che quando i
ghiacciai scavarono le valli le sponde
di quelle erano sottoposte a enormi
pressioni del ghiaccio.
Quando i ghiacciai si ritirarono ci
fu una distensione del terreno, “per
sostegno manco” come dicevano i
vecchi autori.”
Andrea Gobetti
Tali distensioni causano un’
intensa fratturazione nella roccia
rendendola instabile. Situazioni del
genere ce le rivelano certi pianori sui
2000 metri di quota che sono stati
formati dal gonfiarsi della montagna
in risposta allo sparire del ghiacciaio.
Come se in quel punto la montagna
si sia “seduta” su se stessa e poi
PRELUDIO ALL’APOCALISSE
Analisi meteorologica epluviometrica a cura di Riccardo Scotti
15 LUGLIO 1987: LE PRIME PRECIPITAZIONI
Una depressione atlantica si forma a sud dell'Islanda creando un minimo di 990 hPa. Le
correnti sono già sud occidentali e favoriscono i primi temporali. Gli accumuli sono modesti
(mediamente minori di 20 mm) ma estesi a tutta l'alta Lombardia. Le temperature sono molto
elevate tanto che la stazione di Alpe Gera a m 2125 registra + 8° C di minima e ben 18° C di
massima. I dati forniti dai radiosondaggi di Milano Linate indicano uno ZT (zero termico)
a m 3900. I dati di terreno fanno intuire una leggera sottostima del dato in libera atmosfera
rispetto ai valori effettivamente registrati nelle stazioni lombarde.
LE MONTAGNE DIVERTENTI IL LAGO DELLA VAL POLA - 9

16 LUGLIO 1987: NUOVE PIOGGE ...
Il giorno successivo la depressione si espande leggermente verso sud e guida un primo
cavo d’onda verso le Alpi. Arrivano nuove piogge soprattutto in Valchiavenna (35,7 mm a
Chiavenna) e nelle Orobie valtellinesi (35 mm a Lago Venina). Altrove gli accumuli sono
mediamente inferiori ai 10 mm. Le temperature si abbassano leggermente (+ 6°/+14° gli
estremi all’Alpe Gera) così come lo ZT a Milano Linate (m 3800).
17 LUGLIO 1987: POTENTI TEMPORALI
Il 17 la depressione scende repentinamente di latitudine piazzando il minimo principale
al largo della Cornovaglia. La pressione si abbassa notevolmente e le veloci correnti sudoccidentali
diventano sempre più umide. Una serie di intensi fenomeni temporaleschi colpisce
la Lombardia partendo da ovest (125 mm al Lago Inferno in Val Gerola, 71 mm a Foppolo).
In Alta Valle i quantitativi sono più modesti e solo ad Arnoga superano i 20 mm. Lo ZT risale
nuovamente sfiorando i m 4000 in libera atmosfera, la copertura nuvolosa e le precipitazioni
abbassano le massime e saturando l’atmofera abbassano notevolmente il gradiente termico
verticale. Piove fin sulle vette più alte della Regione. L’Alpe Gera fa segnare + 6° di minima e
+ 11° di massima.
18 LUGLIO 1987: TEMPORALI PIU’ VIOLENTI
La depressione affonda nel Mediterraneo occidentale, le correnti ruotano da SSW a SW, la
pressione si abbassa ulteriormente. E’ la giornta decisiva: in serata si registrano i picchi massimi
di precipitazione oraria. Il terreno si satura completamente e quasi contemporaneamente si
innescano gran parte delle frane, soprattutto debis flow e fenomeni di colata. Le Alpi Lombarde
sono colpite da una serie di temporali che si sviluppano in modo estremamente repentino. Un
autentico diluvio colpisce le Orobie valtellinesi con accumuli ben poco omogenei. Il picco
massimo si registra al lago di Scais dove nelle 24 ore cadono 305 mm di pioggia (record
ancora imbattuto per la Provincia di Sondrio). Fortunatamente il picco è isolato e nel resto
della provincia cadono mediamente dai 30 ai 150 mm. Le temperature in serata si abbassano
leggermente (ZT a m 3600) e di conseguenza il limite delle nevicate, non riuscendo comunque
a limitare il bacino idrico che fornisce precipitazioni liquide. In serata la piena dell’Adda
percorre la valle devastando ed allagando completamente buona parte del fondovalle.
19 LUGLIO 1987: ANCORA PIOGGE
Il fronte freddo attraversa l’Alta Lombardia fra la notte ed il primo mattino. Solo in giornata
le precipitazioni calano di intensità, i quantitativi rimangono sui valori del giorno precedente
(148 mm a Foppolo, 156 mm a Madesimo, 120 mm all’Alpe Gera), quantitativi importanti
anche in Alta Valle, soprattutto in proporzione alle medie annue (99 mm ad Arnoga, 94,2
mm a Fusino). Nonostante il passaggio del fronte principale le correnti continuano ad
essere sud occidentali favorendo una marcata instabilità atmosferica. Le temperature calano
temporaneamente (ZT a m 3000) al termine delle precipitazioni. All’alba del 20 luglio il
peggio è passato.
10 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
si sia fermata. Queste “paleofrane”
stanno tranquille anche per migliaia
di anni, ma tanta acqua precipitò nel
pianoro fratturato con tanta violenza
che riempì le fratture per oltre mille
metri di dislivello e non trovando via
d’uscita provocò nel cuore del pendio
una pressione violentissima verso
l’esterno, innescando un processo catastrofico
irreversibile. Ma all’esterno
il cedimento non era avvertibile.”
Per sapere quanto la sbornia
è profonda bisogna concepire e calcolare
entità invisibili, quale il punto
di corrivazione - che è dato dalla velocità
con cui l’acqua scende dentro
la roccia... insomma è un lavoro da
dottori.
I dottori della terra sono i
geologi, quelle strane persone, spesso
con la barba, che amano la vita
all’aria aperta e preferiscono lunghe
camminate col sacco in spalle carico
di rocce ai pomeriggi chiusi in laboratorio
in cui si scopre la verità scientifica,
la verità invisibile.
La posizione dei geologi nella
società è sempre delicata: in tempo
di pace sono normalmente considerati,
in tutti quei lavori in cui la loro
presenza è resa necessaria dalla legge,
come l’ultima ruota del carro, ma
quando succede una catastrofe sono
i primi a salire sul carro che porta alla
ghigliottina.
In Italia, non dimentichiamolo
mai, la geologia accademica ha dato
una pessima prova di sè al tempo
della famosa catastrofe del Vajont,
quando l’Università di Milano, con
parere contrario a quello degli studiosi
di Pavia, affermò che il Monte
Toc si sarebbe adagiato dolcemente
nell’invaso artificiale che ospitava il
lago del Vajont.
Fu allora decretato di non evacuare
le popolazioni in pericolo per
non creare il panico e, all’alba del 9
ottobre 1961, la montagna precipitò
nel lago. Si sollevò un’ondata che
spazzò via Erto e Casso, oltrepassò la
diga e s’abbatté sul paese di Longarone
uccidendo circa tremila persone
colte nel sonno.
Primavera 2008
Dopo i quattro giorni di
pioggia violentissima, tornato il
sereno, i Bormini fecero buon viso
a cattivo gioco. La stagione turistica
estiva era andata al diavolo, ma
valeva la pena di salvare quella invernale
ancora più importante. C’era
da ripulire per bene l’unica via di comunicazione
con la Lombardia. Con
le ruspe si cominciò a far defluire il
lago, liberare e ripulire le case allagate
di Morignone. Pertanto si lavorava
attorno al malaugurato lago con
ogni mezzo e una gran quantità di
uomini, tra cui un migliaio di alpini
reclutati dalla Protezione Civile.
“Non era possibile
prevedere la frana a priori, la scala
della vita geologica è di milioni
di anni, quella umana invece non
dura neanche un secolo. Sapevamo
che quella era una paleofrana, ogni
paleofrana può rimettersi in moto,
ma diecimila anni prima o dopo
sono inezie, sono sbadigli per la vita
della terra. Nessuno è profeta a quel
livello.”
La Protezione Civile teneva però
gli occhi bene aperti in tutte le direzioni
usando gli elicotteri e gli
altri mezzi messi a disposizione dalla
Regione per l’emergenza. Così il
venerdì una delle squadre di rilevatori
sguinzagliate su tutta la zona torna
da Giovanni annunciandogli che una
grossa frattura si è aperta mille metri
più in alto del fondovalle sul versante
destro poco a valle di Morignone. Il
successivo sopralluogo è allarmante:
la frattura si muove, si estende per
2OO/3OO metri d’altezza per altrettanti
di larghezza, delimitando una
porzione notevolissima di pendio.
E, particolare molto inquietante
per chi ha orecchie per intendere, è il
silenzio del luogo. Cervi e marmotte
sono fuggiti via da tutta l’area.
La montagna comincia a muoversi:
frane di piccola, media e grande
importanza cadono dalla zona dove
si apre la lunga frattura. E’ un campanello
d’allarme incredibile e non
viene trascurato.
17/19 LUGLIO 1987: I NUMERI
20 LUGLIO 1987: UNA TREGUA
La depressione rimane stazionaria sulla Manica, ma si indebolisce. Le correnti sud occidentali
permangono favorendo nuove precipitazioni alternate a schiarite. Gli accumuli variano fra i
10 ed i 30 mm. Le temperature tornano a salire tanto che lo ZT torna a superare i m 4000.
21/26 LUGLIO 1987: QUALCHE PIOGGIA
V AL POLA
Dal 21 al 26 nuove precipitazioni interessano la regione con acumuli sostanzialmente
modesti.
La vera anomalia nella configurazione barica del luglio 1987 non va ricercata nella posizione
dei minimi ma nella stazionarietà del vortice sulla Manica, sostanzialmente fermo per più
giorni nella medesima posizione. Difficile comprendere le cause di tale "blocco" che, unito alla
notevole profondità del vortice, ha provocato precipitazioni persistenti ed intense. Occorre far
notare come le numerosissime frane di colata non siano state provocate tanto dal numero di
giorni di pioggia, che "aiutano" ma non sono decisivi, quanto dall'intensità delle stesse in un
lasso temporale limitato. In particolare il nubifragio che ha colpito la Valtellina il pomeriggio
e la sera del giorno 18 è risultato decisivo da questo punto di vista.
LE MONTAGNE DIVERTENTI IL LAGO DELLA VAL POLA - 11

Giovanni improvvisa una stazione
di rilevamento continuo mandando
una squadra di rilevatori che
si sistema nella frazione di San Bartolomeo,
sull’altro lato della valle, in
faccia al pendio pericolante, ma 200
metri più in alto del fiume. Hanno il
compito di segnalare la frequenza e
l’importanza delle frane che cadono,
nonché la posizione da cui si staccano.
Dopo la notte di venerdì hanno
a disposizione lampade fotoelettriche
che illuminano la montagna di
fronte. Si nota un aumentare orario
del numero delle frane, ne saranno
segnalate 600 prima della catastrofe,
la maggior parte delle quali dopo
il venerdì si stabilizza su valori di
piccole con qualche eccezione di
media grandezza. La maggior parte
di queste si stacca dal centro e dal
settore sinistro, segno che la parete
sta “puntando” come ancora sostenuta,
incernierata a destra.
12 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Le crepe a vertice frana preannunciavano il
peggio. Foto Urbani.
Dappertutto
i sassi sono
“sputati” dalla
montagna,
partono in
orizzontale dal
pendio come se
esplodesse
“Il sabato mattina sono convinto
che la situazione è ormai irreversibile;
la caduta di una grande
frana è soltanto questione di tempo.
Vado a parlarne col mio amico
Carlo che è messo comunale della
Val di Sotto. Organizziamo una evacuazione
“ufficiosa” immediata. Gli
dico che è la Natura che parla e lui
mi crede. Non c’era forse il tempo di
far intervenire polizia e carabinieri e
soprattutto ci vuol gente del posto
per andare a convincere gli abitanti
delle case in pericolo ad andarsene. Io
in quel frangente “disponevo” degli
elicotteri della zona e con l’aiuto di
vari ragazzi ben conosciuti riusciamo
La desolante distesa di detriti rimasta dopo la frana e il prosciugamento del lago della Val Pola.
Primavera 2008
Luglio 1987. La travolgente foga del torrente Frodolfo a Bormio. Foto A.Urbani.
a evacuare le famiglie delle case sottostanti
alla frana. Immaginati che
quelli che sono morti a San Martino
erano pastori e avevano portato le
famiglie al sicuro più in alto (anche
loro dormivano lassù), ma due volte
al giorno scendevano al paese abbandonato
per mungere le vacche.
La frana superò ogni previsione:
io immaginavo dieci/quindici
Foto Jacopo Merizzi.
milioni di metri cubi messi in movimento,
ne caddero quaranta milioni
e il fronte fu di un chilometro.
Ma c’erano anche geologi che
non condividevano l’urgenza, che
avevano a loro modo acquisito
“prove certe” che quelle fratture
c’erano sempre state, che già ci
erano cadute dentro due pecore... e
via dicendo. La rapidità degli eventi
V AL POLA
io sono
morto e
questo è
un girone
dell’inferno,
una punizione
fu tale che comunque non permise la
formazione d’un partito antiallarmista
in contrapposizione alle conclusioni
dell’Ufficio Valanghe.
Alla domenica fu possibile acquistare
e far venire dalla Svizzera degli
osservatori geodetici, per sistemarli
sul versante della Valle opposto
alla frana, puntare l’area e con una
tringolazione vedere di quanto si
muoveva la montagna. La domenica
e il lunedì passarono in quest’installazione
e l’elaborazione dei primi
dati. Fu importantissimo averli.
La notte tra lunedì e martedì
annuncia la catastrofe, i quattro osservatori
a San Bartolomeo non riescono
più a rilevare le frane, a darne
le dimensioni, è un continuo stillicidio
di rocce che precipitano, non
c’è più differenza tra settori di destra
o sinistra (il foglio che conteneva i
rilevamenti dalle tre di notte in poi
non c’è perchè fu strappato via dalle
mani degli osservatori dal vento della
frana).
Dappertutto i sassi sono “sputati”
dalla montagna, partono in orizzontale
dal pendio come se esplodesse.
“A lle sette e un quarto della
mattina ero nel dormiveglia sulla
branda vicina alle radio, in ufficio,
e sento il rilevatore che chiama il
Comune di Val di Sotto e gli dice:
“Ascolta, son preoccupato, che ci
stiamo a fare ancora qui? E da un
quarto d’ora che non riesco più a
segnare niente, perchè è uno sgretolamento
continuo, la parete sta
LE MONTAGNE DIVERTENTI IL LAGO DELLA VAL POLA - 13

esplodendo, sputa sassi dappertutto,
sta esplodendo, ho paura; la parete
non si è mai comportata così...”
“Presi la radio e dissi d’andar via
tutti e al Comune, se mi sentivano,
di mandar giù i carabinieri e bloccare
la strada e evacuare la zona. Erano
le 7:18, alle 7:23 la frana cadde.”
Credo che se fosse caduta un’ora
più tardi con tutta la gente che stava
a lavorare là sotto, compresi 500
alpini, sarebbe stato un massacro,
mezz’ora dopo ci sarei stato sotto
anch’io e poi ti spiego perchè non
c’è stato scampo per chi era in fondo
valle. Fu la fortuna a volere che ci
fossero soltanto 23 morti.”
Mi mostra le fotografie
del fondovalle il giorno prima della
frana. C’è un grosso lago ai piedi
delle parete.
“Vedi: su quello è caduta la frana
a una velocità di circa trecento chilometri
all’ora, perchè aveva fatto
mille metri di caduta e ha colpito
il lago come un pugno e messo in
moto l’acqua. Per l’impatto dell’onda
di pressione che spianò tutto il
bosco le linee dell’alta tensione si
trovarono coi tralicci messi in orizzontale
già cento metri prima che
arrivasse la massa di roccia.
E loro guardavano, poi la massa è
caduta nel fondo valle inghiottendo
Morignone e San Martino; poi cominciarono
a veder davanti a loro,
nel vuoto, blocchi enormi che saltavano
su in verticale. Poi cominciano
a vederli arrivare di sbieco e quindi
sparati in orizzontale verso di loro,
BIBLIOGRAFIA
- AAVV, Inventario dei fenomeni franosi in Lombardia, Progetto IFFI, 2006
- Agostini S., Laffi R., Sciesa E., Centri abitati instabili della Provincia di Sondrio, Pubblicazione
CNR-GNDCI 1997
I dati pluviometrici e termometrici sono stati acquisiti da:
1) sul sito della Regione Lombardia http://www.meteovaltellina.it/www.ors.regione.lombardia.it
2) digitalizzati dagli “Annali Idrologici dell’ufficio idrografico del Po’ - Parma” anno 1987
3) G.Cola (stazione S.Antonio Valfurva)
4) i dati riguardanti lo Zero Termico sono messi a disposizione dall’University of Wyoming http://
weather.uwyo.edu/
5) Agostoni S., Laffi R., Sciesa E. Centri Abitati Instabili della Provincia di Sondrio - CNR
6) http://www.wetterzentrale.de/ per le mappe di reanalisi
14 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Dopo la frana della Val Pola il monte Zandila appariva come squarciato in due. Foto J.Merizzi.
al punto che alcuni colpirono perforando
le pareti delle case. Hanno
cominciato a scappare, ma in che
direzione andare? Il cielo in quella
si oscurò e cominciarono a sentire
dietro di loro come l’urlo d’un drago,
un terremoto che gli piombava alle
spalle. Era il braccio di sinistra della
frana che, dopo essere salita per trecento
metri sul loro versante, ripiegava
sopra di loro.
Si son messi a correre verso la
frana perchè il nemico principale
era ora quello che sentivano alle loro
spalle. Hanno creduto nell’Apocalisse,
sembrò loro che anche la montagna
di San Bartolomeo crollasse
insieme a quella di fronte. Ma la
frana ha abbracciato San Bartolomeo,
gli è girata attorno salvandolo
miracolosamente. Loro oramai attendevano
la morte.
Testimoniano d’un “buio accecante”,
la polvere non lasciava passare
luce, imbrattava gli occhi. Le rocce
macinate avevan liberato una violenta
puzza di zolfo che lasciava credere
d’essere all’inferno. Le energie in atto
scaldavano l’aria e la terra tremava.
Poi si fece un silenzio sovrannaturale
finché la terra smise lentamente di
tremare. Loro quattro s’erano gettati
al riparo sotto due rocce e lentamente
cadde come una pioggia di terra,
pulviscolo sempre più fine e il cielo,
per effetto del vento cominciò a rischiararsi.
Tra di loro il più vecchio
fu il primo a riprendersi e a correre
sul ciglio, sotto la chiesa di San Bartolomeo
da cui prima si vedeva il
paese, ma quello su cui si affacciò era
un panorama completamente sconosciuto.
Quando la frana è arrivata
sul fondo della valle ha trovato il lago
e gli ha dato un pugno terribile.
E’ partita un’onda di acqua e
terra, alta circa venti metri, divisa in
due come colore, la parte bassa nera,
quella alta più chiara, per terminare
in schiuma e areosol. L’onda è partita
un po’ obliqua rispetto alla valle, risalendo
tutto il piano sopra il lago.
La velocità è scesa poco a poco dai
300 ai 200 all’ora; come prova c’è la
testimonianza del padrone dell’azien-
Primavera 2008
da che lavorava in fondo valle. Lui
dice che nel momento in cui la frana
cominciò a cadere, mentre sentì gli
operai sulle scavatrici dire “Guarda!
Guarda! Sta cadendo tutto!” immediatamente
saltò a bordo della sua
Range Rover già girata verso Bormio
e accelerò a tutto gas sul rettilineo,
sarà andato a 140 all’ora e l’estremità
dell’onda lo ha raggiunto, gli ha
appena toccato il retro della macchina
e l’ha spostato. Se era venti
metri indietro era perduto. Immaginati
quindi che l’onda, partita più o
meno con lui, ha recuperato un chilometro
e mezzo sulla sua macchina
lanciata al massimo.
Tutto il fondovalle era riempito
da quest’onda e ci fu uno che la
vedeva arrivare da Aquilone e chiamò
la moglie: “Vieni a vedere che sta
arrivando, ma è solo acqua, guarda
che entra in paese.” Le case erano già
mezze sommerse e non si capiva la
potenza dell’onda finchè non si vide
piegarsi di netto il campanile in direzione
opposta alla spinta che gli
aveva spezzato la base. Allora hanno
capito che l’onda distruggeva il paese
e sono scappati in mutande su per
i prati, salvandosi. Ma ad Aquilone
morirono altre persone, come la
povera Alma con i suoi tre bambini
presi nel sonno, oltre ai sette operai
sulle scavatrici.
La famiglia di Luigi Bonetti,
uno dei nostri rilevatori, era evacuata
da San Antonio Marignone
ad Aquilone, in alto. Vedono
l’onda, capiscono tutto, esce tutta
la famiglia e cominciano a correre
verso l’alto. Uno dei fratelli rimane
indietro di qualche metro e l’ultimo
lembo di fango l’ha ghermito.
I parenti tornano immediatamente
indietro e lo trovano incastrato tra
una casa e un muretto. Il fango l’ha
sommerso ma, rifluendo, gli ha lasciato
la testa fuori. Scavando con le
mani riescono a tirarlo fuori, salvo
ma completamente rosa, come scalpato
e smerigliato.”
L’ onda quindi rifluì e spazzò
un’altra volta la valle tornando verso
il basso. In quella il rilevatore di San
Bartolomeo si affacciò da sotto il
campanile cercando il suo paese.
Vide vorticare sotto di lui un
lago di un chilometro di diametro,
un enorme mulinello fangoso in
cui galleggiavano tronchi, pali della
luce, tetti di case.
Allora ha pensato: io sono morto
e questo è un girone dell’inferno,
una punizione. Era li inebetito, non
gli importava di vivere o di morire,
era convinto di star vivendo un
girone dell’inferno.”
Giovanni si alza, mi dice che
non sa bene perchè mi sta raccontando
tutto questo, forse perchè sono
passati ormai sette anni e l’episodio,
uscito distorto da mille pagine di
cronaca, cerca un posto nella storia.
Quella frana ha sconvolto la sua vita
e non soltanto perchè ha perso amici
e parenti, non per le responsabilità
sopportate e neanche perchè in un
attimo lo ha reso protagonista, lo ha
messo in un punto “caldo” nell’enorme
meccanica dei soccorsi scatenata
dalla catastrofe, con relative responsabilità
e mole di lavoro e di tensione
inumane.
Forse perchè è utile sapere la
verità del prima, durante e dopo
quando si tratta di catastrofi, propongo
io . Sapere che altri han valutato
le cose per difetto o per eccesso
e tenerne conto, anche per ripercorrere
gli stessi passi, se già una volta
han significato la salvezza di migliaia
di persone.
La Valtellina è una storia da cui i
geologi sono usciti con onore, altro
che il Vajont. Giovanni però è un
anti-eroe per natura. Per lui se c’è
qualcuno che ha salvato vite umane
è stata la fortuna, si nega medaglie.
Forse ne ha già conosciuti troppi di
pluridecorati.
Ma non è qui per parlarmi di
uomini; con un gesto della mano allontana
il fastidio di questi pensieri e
si fa forza. E’ lui il protagonista delle
ultime righe del suo racconto.
Vide vorticare
sotto di
lui un lago di un chilometro
di diametro,
un enorme mulinello
fangoso in cui galleggiavano
tronchi, pali
della luce, tetti di
case.
“A lle 7:18, finito il collegamento
radio, andai in bagno per
farmi la barba. Quando mancò la
corrente capii che la frana era caduta
anche se non avrei mai pensato fosse
stata così grande. Dalla finestra vidi
il muro nero di polvere che veniva su
dalla valle.
Chiamai tutti i rilevatori e già alle
8 e un quarto in regione avevano un
fax che disegnava esattamente i contorni
del gigantesco impatto. Ancor
prima, immediatamente, abbiamo
avvertito sindaci e autorità della Valtellina
di stare in campana nel fondo
valle perchè allora non si poteva
sapere se il lago non stesse precipitando
verso valle. Alle 8:30 salii sull’elicottero
per il primo sopralluogo, ero
seduto sul pattino, assicurato all’imbraco,
la macchina foto in mano.
Ero impegnato nelle mie operazioni
e di colpo ho alzato gli occhi ed ero
appeso sopra il lago e la frana.
Per me è stata una folgorazione,
una martellata, un’emergenza
spirituale.
Io non ero più lassù e dentro,
facevo parte della natura, il mio essere
faceva parte del tutto. Ero intriso
dentro il fenomeno. Il fenomeno
era orribile, orripilante, spaventoso
Sapevo che la sotto c’erano morte e
distruzione, ancora non sapevo che
la sotto c’erano carissimi amici e
parenti; eppure non mi importava
più niente. Questo stato d’animo
durò un paio di minuti e finì quando
il pilota mi riscosse dicendo “Che
fai?
LE MONTAGNE DIVERTENTI IL LAGO DELLA VAL POLA - 15

Non fotografi? Dormi?”
Ero li così con la macchina foto
in mano che guardavo questa cosa
sotto di me, ma a un certo punto
non la guardavo più perchè ne
facevo parte e per me era una cosa
meravigliosa.
Hai presente il poeta che
dice “dell’orrenda bellezza”?
Io ero immerso in quella cosa orripilante,
brutta.
Tragedia e catastrofe, ma per me
era una cosa meravigliosa.
Quando lo specialista di volo
m’ha chiamato è stato come tornare
indietro, come ripiombare nella
realtà, e mi ha scioccato perchè a me
non interessava più aver a che fare
con gli altri o far foto.
Le gigantesche idrovore con cui si prosciugò il lago della Val Pola già pochi mesi dopo la sua formazione. Foto A.Urbani.
A fianco un’emblematica immagine dei lavori successivi alla frana. A pag 19 i faraonici lavori per la costruzione delle briglie al piede della diga naturale creata
dalla frana. Foto Jacopo Merizzi.
16 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Poi la mente ha ripreso il
sopravvento, ho cominciato a fotografare,
ma proprio nel momento
successivo alla visione io mi sentivo
in pace col mondo, con l’ambiente.
Starò esagerando? Forse.
Se tu non capisci, non capisci;
certe cose o si capiscono o no.
Per due/tre minuti la vita d’una
persona è cambiata, quest’episodio
l’ha cambiata.
E chissà quanti hanno avuto
incidentalmente questa visione, che
un buddista, un taoista può raggiungere
forse dopo anni di meditazione.
Una cosa del genere ti può
anche succedere per un’avventura
in montagna, una catastrofe, un incidente
automobilistico o la frana di
Val Pola; eppure queste esperienze
vengono poi gettate nel dimenticatoio
per cui non si sviluppano.
Io so solo questo: dopo la frana
di Val Pola ho saputo di far parte
della Natura.
Più in là, né le parole sue, né
tanto meno le mie, possono portarti,
caro lettore.
Primavera 2008
Come un tarlo indiscreto che
vaga nel cervello, tutte le volte che
transito ai piedi della grande frana
della Val Pola, mi nasce la domanda:
come sarebbe oggi questo tratto di
valle senza l’intervento dell’uomo?
Senza gli studi dei geologi e i
piani d’intervento dei politecnici,
se non ci fosse stata la legge Valtellina
e la seguente valanga di denaro,
come sarebbe oggi questa distesa di
detriti?
Se la frana fosse scesa un secolo
prima, prima degli escavatori, dei
camion, delle pompe idrauliche,
al tempo in cui l’uomo poteva solo
prendere atto del radicale cambiamento
della morfologia del paesaggio
e lì fermarsi al puro aspetto contemplativo?
Voi che ne pensate? Ci sarebbe
un placido lago come quello di Poschiavo,
oppure un vaso di Pandora,
padre di catastrofiche ondate d’acqua
e fango?
La rabbia per lo scempio del
nostro fondovalle spesso mi fa fantasticare
sulla seconda ipotesi. Sarebbe
stato divertente se, ogniqualvolta gli
Spett. Sig. Speculatori fossero riusciti
a lottizzare un terreno per edificarvi
un inutile capannone o un gruppo di
villette da vendere, il dispettoso laghetto
della Val Pola avesse fatto un
ruttino e glieli avesse spazzati via!?!
Ovviamente sto scherzando.
Tornando alla frana della Val Pola
credo si debbano distinguere due
momenti principali nell’analizzare
quello che è accaduto dall’87 a oggi:
l’emergenza che ha seguito il distacco
frana, emergenza in cui regnava l’in-
V AL POLA
SULLE RIVE DEL LAGO
un
meteorite
dallo spazio
colpirà il lago
della Val Pola
certezza su ciò che stava accadendo,
e i periodi seguenti, cioè da quando
si è stati in grado di valutare con più
raziocinio e informazioni la situazione
frana/lago.
La frana di Val Pola si è staccata
prendendo una grande velocità e
scorrendo su un piano inclinato di
roccia compatta. La frana ha ostruito
la valle formando un lago di dimensioni
considerevoli e nessuno nell’87
poteva garantire che non sarebbe
caduto altro materiale o che l’argine
del lago avrebbe tenuto. Lo spettro
del Vajont incombeva allora anche
sulla Valtellina, per cui è stato necessario
adottare tutte le misure di sicurezza
che potessero scongiurare tale
pericolo. Così il lago fu prima fatto
tracimare aumentando il rilascio
idrico dei bacini artificiali a monte
dello stesso, poi fu prosciugato con
gigantesche idrovore. Nel mentre
non accadde nulla di catastrofico,
ma va evidenziato che si fu costretti
alla verifica empirica della tracimazione
per testare la solidità dell’argine
naturale. Lo stare con le mani in
mano in quell’incertezza equivaleva
a mettere a repentaglio l’intera Valle.
Poi si iniziò ad alzare lo sguardo:
il “nuovo” versante venuto alla luce
sul Monte Zandila era caratterizzato
LE MONTAGNE DIVERTENTI IL LAGO DELLA VAL POLA - 17
Beno

18 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
E SCURSIONISMO
da una lastra di granodiorite dura e
liscia che in breve tempo si era ripulita
scaricando a valle gran parte dei
massi rimasti in equilibrio instabile
dal crollo.
Si entrava così nella fase della
consapevolezza, almeno per quel che
riguarda la comprensione dell’assetto
geologico della regione.
Tuttavia coi soldi della legge Valtellina
e cavalcando l’onda dell’emergenza
oramai passata, si iniziarono a
fare lavori su lavori, alcuni dei quali
di “dubbia utilità”:
- un grande vallo paramassi ai piedi
del versante franato;
- due gallerie di by-pass, per “scongiurare”
la formazione del lago, dimensionate
sulla portata massima
millenaria dell’Adda;
- un’imponente serie di briglie sovrastimate,
costruite sul piede della diga
naturale, anche se il fiume era già
stato deviato in galleria.
Successivamente, gli attenti
controlli geologici atti a valutare la
possibilità di nuovi dissesti su tutti
i versanti attorno alla frana hanno
dato sostanzialmente esito negativo.
Da parte dell’Arpa Lombardia
è in atto una graduale riduzione di
gran parte della rete di monitoraggio.
Il buon senso mi conduce verso
un’unica spiegazione:
NON SI SONO EVIDENZIA-
TI, NE’ SI TEMONO RILEVANTI
MOVIMENTI FRANOSI...
A lavori terminati, in una superficie
devastata prima dalla frana e poi
dall’uomo, cosa si può escogitare per
ri-avviare i lavori e speculare su fondi
pubblici e paure ingiustificabili?
La risposta è semplice: per azzerare
ogni pericolo anche solo teorico
derivato dalla formazione del lago,
quella diga naturale va spostata.
Va demolita una parte delle
briglie in cemento armato e spianato
il terreno: cioè livellare a monte il
suolo mantenendo una pendenza tale
che l’Adda possa scorrere senza più
formare il lago indipendentemente
dalle gallerie di by-pass.
Immaginatevi i costi economici,
ambientali e permettetemi anche
estetici di una idea così balzana: spostare
decine di milioni di metri cubi
di pietre e roccia per lasciare al posto
di un lago una discarica di pietrame.
E per rispondere a cosa? A una
domanda di maggior sicurezza? Per
rimediare a interventi passati definendoli
“errori di valutazione”?
Nello speciale sulla Televisione
Svizzera dedicato all’alluvione dell’87
si è parlato di questo progetto defi-
nendolo “assurdo”, specie se si considera
che la Natura si era già quasi
riappropriata della piana nascondendo
gli obbrobri del passato.
E dove sta il pericolo? Un meteorite
che dallo spazio possa centrare il
lago di Val Pola che già non esiste?
E’ comprensibile che gli studi di
geologia e ingegneria sostengano con
fervore l’emergenza: dal lato tecnico
è infinitamente più facile e più remunerativo
dire che quel versante
sarà perennemente pericolante, che
assumersi la responsabilità di affermare
il contrario.
Se ogni evento naturale fosse assoggettato
ad “una messa in sicurezza”
ci sarebbe da mettersi le mani nei
capelli.
Le speranze per il futuro?
Uscire una buona volta dall’emergenza
e questa può essere solo una
scelta politica. Rassicurare le varie
imprese che se arriva del denaro
ci sarà comunque lavoro per loro,
magari con un progetto utile all’intera
Valtellina, senza bisogno di speculare
e devastare il nostro territorio.
Ma fatemi tornare a sognare un
magnifico lago alpino sulle cui verdi
rive si disegna il piccolo paese di S.
Antonio Morignone.
Primavera 2008 LE MONTAGNE DIVERTENTI IL LAGO DELLA VAL POLA - 19

IL CORNO DI
Testi e foto Enrico Benedetti (Beno)
“Poderoso torrione roccioso isolato, dal quale si staccano dirupanti
creste calanti sull’alta Val Malenco tra Chiesa e San Giuseppe. I
troppi sfasciumi rendono la salita poco interessante per sè stessa, ma
20 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2008
BRACCIA (m 2909)
in certo modo compensata dal panorama magnifico. Finora poco
conosciuto e poco frequentato.” Così Aldo Bonacossa in Masino
Bregaglia Disgrazia, CAI-TCI, Milano 1936.
LE MONTAGNE DIVERTENTI CORNO DI BRACCIA - 21

22 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
A L P I N I S M O
17 febbraio 2007, un lago di nebbia domina Valmalenco e Valtellina. Foto scattata nei pressi del Lago Nero.
In alto: 2 marzo 2007, la notte in Valmalenco dalle pendici del Monte Palino.
In copertina a questo articolo: le ardite cime di Digrazia, Cima del Duca e Corno di Braccia visti dal Sasso Nero.
PARTENZA: Primolo (m 1200).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Sondrio prendere la SP15 per la Valmalenco. Arrivati a Chiesa (12 km) si entra
nel centro del paese e si seguono le indicazioni per Primolo. Una serie di tornanti porta al piccolo paese. Nell’
abitato si imbocca la carrozzabile sulla sx che sale per alcune centinaia di metri fino all’imbocco dei sentieri.
ITINERARIO SINTETICO: Primolo - alpe Pradaccio (m 1725) – inferiore dei laghetti di Sassersa (m 2438) – Corno di
Braccia (m 2908) per cresta S – ritorno per la stessa via.
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 7 ore per l’intero giro.
ATTREZZATURA RICHIESTA: piccozza, sci o ciaspole, ramponi, corda, imbracatura, kit antivalanga.
DIFFICOLTÀ/ DISLIVELLO IN SALITA: 3 su 6 / 1700 metri.
DETTAGLI: BSA (Necessita di buona tecnica sciistica se si vuole scendere dall’attacco della cresta con gli sci ai piedi - gli
altri tratti sono invece meno ripidi e più facili).
Con le ciaspole non si incontrano particolari difficoltà, basta levarle e mettere i ramponi nei tratti più ripidi.
Alpinistica facile, l’ultimo tratto di cresta va affrontato abbandonando ciaspole o sci.
Primavera 2008 LE MONTAGNE DIVERTENTI CORNO DI BRACCIA - 23

24 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
A L P I N I S M O
Dal poggio pochi metri a NE della vetta del Corno di Braccia si ammirano tutte le cime della Valmalenco e anche le vicine Orobie. Da sx spiccano Roseg,
Bernina, Cresta Guzza, Argento, Zupò e Palù. Al centro il passo di Campagneda, quindi a dx il gruppo Scalino - Painale e, oltre la Corna Mara, le vette
orobiche. Quota nebbia: m 2400.
Il Corno di Braccia è da collocarsi
fra le vette dimenticate, nella
sezione “inspiegabilmente dimenticate”.
Non si nasconde certo alla vista di
chi alza il naso dalle quote più basse.
Da San Giuseppe la sua imponenza
è addirittura imbarazzante. Sebbene
manchi un sentiero segnalato, non è
difficile da raggiungere, nè d’estate,
nè d’inverno e offre una delle prospettive
migliori sull’intera Valmaleco.
E’ contornato da stupendi laghi e
pietraie variopinte...
Ma ciò non è bastato: il non aver
valorizzato degnamente questa montagna
l’ha fatta dimenticare.
Una panoramica a 360° dalla vetta del Corno di Braccia.
Lasciamo Primolo alle 7:30
del mattino alla volta di Pradaccio. Il
sentiero si snoda placido fra valgelli,
larici e abeti. E’ facile e ben segnalato.
Dopo esserci spostati verso S, ci
alziamo in direzione SO.
Questa settimana sembrava fosse
nevicato, ma di neve ne rimane ben
poca. In cambio per terra c’è parecchio
e fastidioso ghiaccio. Ma questo
caldo lo traformerà in aghi di pino.
Dopo il casèl de l’acqua, poca
strada ci separa dai prati di Pradaccio,
dove, di rito, andiamo ad occupare
l’artistico tavolo in legno e
pietra vicino alla baita dell’amico
Davide (m 1725, ore 1).
Messe le ciaspole e con le
bocche ancora fumeggianti per il tè
caldo, seguiamo il sentiero estivo e
raggiungiamo la base del possente
costolone roccioso che orla a dx la
valle di Sassersa (O). Un masso con
scritto “Forza!” sancisce l’inizio del
ripido.
Le prime curve sono strette e
immerse fra i pini mughi, quindi
il tracciato si fa più arido entro
un’enorme ganda rossastra. A circa
a un terzo del pendio, il sentiero si
sposta sul versante orografico dx e
prosegue sulla sponda meridionale
della valle. D’inverno, quando non
si ha il problema di aggirare le gande
Primavera 2008
perchè gli interstizi fra i massi sono
messi in sicurezza dalla neve, si sale
direttamente la linea di massima
pendenza lungo il greto del torrente.
Un primo tratto ripido introduce in
una gola più dolce che culmina con
un imbuto: il sipario all’inferiore dei
laghi di Sassersa (m 2368, ore 2).
I laghetti di Sassersa sono tre. Il
più grande è l’intermedio (m 2391),
spostato a SE dell’inferiore. A m
2400 si trova il terzo. Cupo e incassato,
è spesso gelato fino a stagione
inoltrata. Giace oltre una fascia di
rocce verdastre dove vi sono i resti di
una miniera di rame. Quindi, non visibile
dal tracciato dell’Alta Via della
La prima ascensione alpinistica al Corno di Braccia porta i nomi di Bruno Galli-Valrio e Graglia, 19
agosto 1906.
L’ultimo tratto dell’ascesa al Corno di Braccia. In primo piano il costolone roccioso che segna il
punto di curvature della cresta S del Corno di Braccia.
LE MONTAGNE DIVERTENTI CORNO DI BRACCIA - 25

A L P I N I S M O
La costiera Duca-Rosalba e il Monte del Forno visti dalla cresta del Corno di Braccia.
Valmalenco, c’è il Lago Nero, delocalizzato
a NE degli altri, in mezzo
ad una pietraia desolata alle pendici
SSE del Corno di Braccia.
Poco prima del lago inferiore
puntiamo direttamente a NE (dx).
Le vette iniziano ad emergere dalle
gande, e ci è così facile decidere l’itinerario
di salita.
Dal Corno di Braccia parte un
lungo crestone diretto a SO. In corrispondenza
di un possente costolone
roccioso, la dorsale piega decisamente
verso O (in questo secondo tratto
si trova la bocchetta di Valle Orsera,
valico desueto e, specie dopo l’estinzione
del ghiacciaio omonimo, difficilmente
praticabile).
Risaliamo le pietraie innevate
fino al costolone appena citato (ore
0:30).
Lambiamo i contrafforti rocciosi
che precipitano dallo spatiacque
(direzione NE) fino a raggiungere il
primo largo colatoio, quello immediatamente
a N dell’anticima meridionale
del Braccia (quota IGM: m
2827). Dopo una faticosissima salita
per il ripido pendio, dapprima cen-
tralmente al canale, quindi nella sua
biforcazione dx, guadagniamo una
finestra dell’ agoniata cresta (m 2750
ca., ore 1:30).
La vista è impressionante, specie
gli scorci sull’alto circo della Val
Orsera. Il vento soffia freddo e rimettiamo
le magliette. Incredibile:
salire in questa stagione fino a 3000
metri a torso nudo!
La vetta del Corno di Braccia
non è visibile, e va raggiunta per
cresta (NE).
Il crinale della montagna è a
tratti esposto e a tratti insidioso per
le cornici di neve, ma regala paesaggi
mozzafiato. Alla nostra sx precipita
la buia Val Orsera, cinta dalle inquietanti
guglie di Cima del Duca
e della Punta Rosalba. Alle loro
spalle, al di sopra dell’erta bocchetta
di Lagazzuolo, fa la sua apparizione
il maestoso Monte del Forno. Nel
fondo della gola si scorge la timida
forma del Lagüsc. Alla nostra dx è
il sole che la fa da padrone. Da un
immenso lago di nebbia emergono
solo le cime sopra i 2400. Alle nostre
spalle il Disgrazia ci osserva con so-
V ALMALENCO
spetto, mentre là di fronte, Tremogge
e Bernina sembrano lontanissimi.
Dopo qualche su e giù, giungiamo
all’ultimo intaglio sotto la cima.
Aggiriamo lato Val Orsera un roccione,
quindi al dritto per facili canali
e sfasciumi tocchiamo l’omino di
vetta del Corno di Braccia (m 2909,
ore 1 - ore 0:30 senza neve).
E da non dimenticare che, pochi
metri a NE della vetta principale,
oltre una facile sella, c’è una specie
di anticima da cui si gode un paesaggio
incredibile (1 minuto se non si è
imbranati...).
La discesa non ve la descrivo
nemmeno perchè anche noi siamo
tornati a valle controvoglia!
Non mi resta che consigliarvi
vivamente questa salita, magari eseguendola
come Bruno Galli-Valerio
il 19 agosto 1906. Egli partì alle tre
di notte a piedi da Sondrio col Signor
R.Graglia. I due fortissimi pionieri
vinsero il Corno di Braccia per la
difficile parete N, e discesero per la
Valle di Sassersa. E da lì ancora chilometri
e chilometri, per far ritorno
a Sondrio all’una di notte!
LE MONTAGNE DIVERTENTI CORNO DI BRACCIA - 27

Le miniere del sassersa
Fabrizio Ceriani con la collaborazione di Silvio Gaggi
La Val Malenco, val di sas,
la cui ricchezza mineralogica è ampiamente
e da tempo riconosciuta
e studiata, ha nella sua storia anche
un’antica attività estrattiva, non solo
per quegli elementi presenti in quantità
maggiore, quali serpentinoscisto,
pietra ollare, amianto a fibra lunga e
talco, ma anche per il ferro (magnetite,
siderite, ematite e limonite) e il
rame (calcopirite), diffusi in diverse
aree della valle a quote tra i 1600 e i
2200 metri di quota.
A queste miniere era collegata
l’attività di fusione del ferro in forni
di sasso per metà interrati e a forma
conica (80 cm alla base e 30 cm ca.
all’apertura in alto) situati sempre
nelle vicinanze dei giacimenti me-
28 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
talliferi, in zone ricche di legna - da
trasformare in carbone e torba combustibili
- e nei pressi di un corso
d’acqua, roggia o ruscelletto.
Vi sono tracce accertate di quattordici
forni, i primi d’essi risalenti
all’incirca al sec. XIV, ma potrebbero
esservene altre ben nascoste dalla vegetazione.
Due cave estrattive un tempo
importanti si trovano ai laghetti di
Sassersa (toponimo probabilmente
derivato da “sassi arsi” per il colore
rosso dato dalle rocce ricche di ferro
che si prolungano a S verso la Bocchetta
del Rus e a N verso il Pizzo
Rachele).
La principale vena di magneti-
Mappa a cura di Silvio Gaggi.
te passa tra il secondo e il terzo laghetto,
dove affiora una roccia detta
“vena del turchìn” per il suo colore
turchese.
E qui fu trovato l’oro.
L’ oro?
E’ una storia interessante che
pochi conoscono, qui ricavata dalla
testimonianza che Andrea Cìrolo,
classe 1924, ha rilasciato all’amico
Silvio Gaggi.
Il padre di Andrea, Alfonso, era
nato nel 1879. Egli seguì con altri
coetanei il flusso migratorio che li
portò a lavorare negli Stati nordamericani
dell’Iowa e del Montana con
la qualifica di minatori. Si
occupavano dell’estrazione
del rame da miniere di
oltre 1000 m di profondità,
prevalentemente distribuite
attorno alla città
di Mederville. Gli immigrati
erano in maggioranza
italiani con presenza di
serbi e montenegrini.
La compagnia, composta
da una trentina
di malenchi, emigrò nel
1906. Sapendo da altri
precedentemente emigrati
della ricchezza in quel
paese di miniere metallifere,
i malenchi portarono
con sé alcune matrici
di roccia del Sassersa con-
Primavera 2008
L’inferiore dei laghetti di Sassersa. Foto R.Moiola.
tenenti oro. Anche se non ne avrebbero
ricavato alcun utile, potevano
sperare in qualche parere dei tecnici
del posto. Questi campioni furono
analizzati e fu effettivamente riscontrata
una piccola percentuale d’oro e
d’argento entro la massa composta
principalmente da rame e ferro.
Successivamente, qui in Italia,
l’ing. Orsatti, nativo della valle,
venne a conoscenza delle analisi petrografiche
riportate dagli emigrati
e fece un sopralluogo nella zona.
Subito dopo la I Guerra Mondiale,
mobilitò alcuni minatori per collaborare
all’estrazione del prezioso minerale.
A tale fine ripristinò le vecchie
miniere risalenti all’alto medioevo e
attive fino alla fine del sec. XVII per
l’estrazione di rame e ferro.
Ma il tentativo ebbe vita breve
perché i minatori non ritennero
d’essere adeguatamente retribuiti per
i disagi e i sacrifici cui erano sottoposti
e a fine stagione abbandonarono
il lavoro.
L’ing. Orsatti, caparbio, non
volle arrendersi, ma restava comunque
difficile trovare minatori disposti
a lavorare in un posto così disagiato,
quasi sperduto tra le montagne.
Solo nel 1922, sapendo del
ritorno di alcuni minatori emigrati
nel Montana, prese contatto con
Alfonso Cìrolo, già emigrante, minatore
di professione e laveggiaio nella
zona dell’Alpe Pirlo. Alfonso fece da
tramite tra l’ingegnere e alcuni minatori-laveggiai
della zona, conoscitori
della valle del Sassersa.
Ne risultarono disponibili cinque
o sei tra cui Giacomo Gaggi detto
“Cumìn”, Filippo “Filipìn” Ferrari e
Riccardo Dell’Andrino di soprannome
“Benedèt”.
L’ing. Orsatti, che sarebbe dovuto
essere il direttore e l’organizzatore
dell’intera faccenda, stipulò un contratto
di massima della società in procinto
d’essere formata, ma quando si
giunse a discutere di spettanze delle
quote ci fu una netta controversia:
l’ingegnere pretendeva per sé la metà
del ricavato suddividendo l’altra tra
i minatori, che così non accettarono
la proposta.
Il contratto andò deserto e deserto
rimase con buona pace dell’ing.
Orsatti.
Del nobile metallo, che sicuramente
è presente in tracce, conserviamo
il nome nel Monte dell’Oro, ma
non abbiamo nemmeno una pepita
da mostrare ai giovani o ai turisti.
V ALMALENCO
AI TRE LAGHETTI
Silvio Gaggi
Sentiero di gioventù,
meta sublime,
valle senza sosta, ostile, solinga
Salivo su pietrami scabri,
come grattugie arrugginite,
arsi dal sol
A passi leggeri e a balzi sicuri
fra le pietre, scanditi da echi battenti,
dall’acqua che si infrange, intra i sassi
Ritornai sui miei passi
densi d’ogni memoria
più grevi, ma animato
dalle nipoti Daniela e Stella
Viva e intensa era l’attesa
di mostrare tal bellezze
ed ecco, il primo, il secondo e terzo
laghetto
Tre occhi di cielo,
incastonati come perle
tra le rocce rosse
e la vena tinta di turchino
pullula il prezioso metallo
In questo sito vagante
ultima riva della viva fonte
con la stessa visione
altero, superbo, fiero,
m’inchino e poso le mani sulle spalle
a proteggere i capolavori più preziosi
della mia vita.
LE MONTAGNE DIVERTENTI CORNO DI BRACCIA - 29

SCIALPINISMO
Testi e foto Luciano Bruseghini
NEL MAGICO
MONDO DELLA
VALTARTANO

32 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
A L P I N I S M O
La terza grande valle sul versante orobico della bassa Valtellina, dopo la Val Lesina e le Valli del Bitto di Gerola ed Albaredo, è la Val di Tàrtano
(o Val Tartano), che si congiunge con il fondovalle all’altezza del grande ed impressionante conoide del Tartano, all’altezza di Talamona.
Ha la forma di una Y, in quanto è costituita, nella parte medio-bassa, da un profondo ed orrido solco, che, all’altezza di Tàrtano (m 1210), si apre e biforca, verso
sud, nei due rami della Val Lunga, ad est, e della Val Corta, ad Ovest. Quest’ultima, a sua volta, si biforca, all’altezza delle contrade Bagini e Barbera, nella Val
di Lemma, ad est, e nella Val Bùdria, ad ovest.
PARTENZA: Tartano (m 1210).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Sondrio prendere la Strada Statale 38 direzione Morbegno. Passato il paese di
Ardenno, subito dopo il ponte sul fiume Adda, si svolta a sinistra e ci si immette sulla Strada Provinciale 23
fino a Tartano.
ITINERARIO SINTETICO: Tartano (m 1210) – Biorca (m 1140) – Barbera (m 1382) - Casera di Lemma Bassa (m 1694)
- Sponda (m 1933) – Cima di Lemma (m 2345) - Fienili Arale (m 1485) – S.Antonio (m 1300) – Tartano (m
1210).
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 4,5 / 5 ore per l’intero giro.
ATTREZZATURA RICHIESTA: kit antivalanga.
DIFFICOLTÀ: 2 su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 1200 metri.
DETTAGLI: MSA (l’unico tratto impegnativo è la salita finale alla cima, variabile a seconda delle condizioni di
innevamento).
Primavera 2008
L’ultimo tratto della salita alla Cima di Lemma. Foto scattata il 27 gennaio 2008.
In copertina a questo articolo: la salita in Val di Lemma al cospetto del Monte Tartano.
Domenica 19 febbraio 2006
è stato sicuramente uno dei giorni più
freddi di tutto l’inverno di due anni
fa. Mi ha fatto capire perché molti
animali vanno in letargo in questa
stagione! Ma nemmeno il gelo polare
di quel periodo avrebbe fermato la
nostra gita scialpinistica alla Cima di
Lemma (m 2350). E’ da tanto che
desideriamo visitare le valli laterali
della Val Tartano con i loro fantastici
pendii ricoperti da enormi quantità
di neve fresca. Bellissime sciate sia in
inverno che in primavera.
Alle nove parcheggiamo a
Tartano, nella piazzetta della chiesa.
Il termometro dell’auto di Mirko
segna – 9° C, ma è influenzato dal
calore del motore e quindi sbaglia
di almeno due gradi. Che fortuna:
siamo in doppia cifra negativa, ma
non ci demoralizziamo! L’abbigliamento
pesante e il desiderio di conquista
ci fanno da termocoperta!
La via normale che porta alla
Cima di Lemma percorre la Val
Lunga, ma noi preferiamo un altro
itinerario per evitare di utilizzare lo
stesso percorso sia in salita che in
discesa. Prendiamo gli sci in spalla
e ci abbassiamo di un centinaio di
metri a piedi, lungo una ripida stra-
dina, fino a raggiungere la località
Biorca. Qui si congiungono i torrenti
che scendono dalla Val Lunga e dalla
Val Corta. Attraversato il ponticello
e superate le ultime abitazioni possiamo
calzare gli sci e immergerci nel
silenzio più assoluto della Val Corta.
Direzione S.
Fa talmente freddo che teniamo
addosso anche le giacche: non mi era
mai capitata una cosa simile!
Anche l’acqua che scorre a fianco
V ALTARTANO
a noi si sente pochissimo,bloccata
com’è nella
morsa del ghiaccio.Raggiungiamo
la località
Barbera dove la valle si divide in due
(m 1382, ore 0:30).
A dx la Val Budria e a sx la Val di
Lemma; noi imbocchiamo quest’ultima.
Finalmente ci siamo scaldati e
possiamo rimettere negli zaini un po’
di vestiario.
Ci sono scie del passaggio di altri
escursionisti, ma non sono molto
evidenti: da alcuni giorni non transita
più nessuno. I segni ci aiutano a
capire qual è il tracciato migliore da
seguire per l’alpeggio di Sciucada (m
1415, ore 0:30).
Qui il percorso diviene meno
ripido e si svolge a sx del torrente.
Alcuni tratti si sviluppano su pascoli
ormai abbandonati da tempo, così
come ci suggeriscono le casere diroccate.
La maggior parte del percorso
avviene lungo il sentiero nel
bosco. Parecchie cascate di ghiaccio
ci tengono compagnia durante
la salita; se non fosse così isolata la
Val Corta sarebbe sicuramente una
zona adatta ai “piccozzisti” in cerca
di adrenalina.
LE MONTAGNE DIVERTENTI CIMA DI LEMMA - 33

Alla nostra sx i pendii che scendono
dal Dosso Tacher, dal Monte
Gavet, dal Monte Moro e dalla Cima
della Scala, sono molto ripidi, ma
fortunatamente hanno già scaricato
a valle quantità industriali di neve.
Passiamo così sicuri anche nei tratti
in cui la vallata è stretta.
Raggiungiamo la Casera di
Lemma Bassa (m 1694, ore 0:30).
Ignoriamo le tracce che salgono a
dx verso la cima del Monte Tartano
(m 2292) e proseguiamo nel fondovalle
fino alla località Sponda: qui
l’itinerario affronta una balza rocciosa
(m 1933, ore 0:30).
Per salirla impostiamo varie diagonali
sul pendio di sx dove l’inclinazione
è meno accentuata. In breve
raggiungiamo il vasto anfiteatro di
ampio respiro della parte terminale
della Valle di Lemma. La cima, che
ci era stata nascosta per tutto il tragitto,
ora è sempre davanti a noi ed
è impossibile sbagliare percorso. Dal
basso la parte terminale che porta ai
2345 metri del nostro traguardo ha
pendenze inarrivabili sci ai piedi. Ma
noi siamo due atleti masochisti che
34 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
non levano mai gli sci. E anche in
questa occasione, nonostante la forte
pendenza e lo scarso innevamento di
alcuni tratti, non ci smentiamo e con
numerose serpentine percorse all’interno
di un piccolo canale arriviamo
in vetta (m 2345, ore 1).
La vista è eccezionale: spazia
dal Pizzo dei Tre Signori alle altre
cime orobiche che fanno da spartiacque
con la bergamasca, fino al
Monte Valegino con i laghi di Porcile
cammuffati da pianori di neve. In
lontananza si scorge anche la testata
della Val Masino, con il Badile e il
Cengalo.
Dopo esserci rifocillati e aver
fatto le foto di rito, rimettiamo gli sci
ai piedi per intraprendere la discesa
in Val Lunga. Preferiamo però non
seguire l’itinerario classico che porta
al Passo Tartano (m 2108), ma prendiamo
la piccola sella in direzione N
tra la Cima di Lemma e il Pizzo della
Scala ricoperta di neve quasi immacolata:
d’altronde siamo venuti qui
anche per goderci le discese in neve
A L P I N I S M O
fresca!
Solamente nei pressi della Baita
della Croce ci ricongiungiamo con
l’itinerario utilizzato dagli altri sciatori.
Da qui si entra in un bosco
di abeti, non troppo fitto e con
una buona pendenza, che permette
ancora un’ottima sciata fino a raggiungere
il pianeggiante fondovalle.
Facciamo tappa nell’alpeggio di
Fienili Arale (30 minuti dalla cima),
ma non sostiamo al Rifugio Beniamino,
perché c’è troppo affollamento.
Poco più avanti troviamo una
baita con della panchine all’esterno
e ci fermiamo a goderci un’oretta di
sole: in fondo credo che ce la siamo
meritata.
Quando il sole scompare dietro
il Dosso Tacher, significa che è ora
di rientrare. Data la scarsità di neve
nei prati, seguiamo il percorso della
strada carrareccia battuta dalle motoslitte
fino ad arrivare a S. Antonio
(m 1443).
20 minuti con gli sci in spalla
ed ecco Tartano; il periplo Tartano
– Cima di Lemma – Tartano è stato
compiuto.
Primavera 2008
UN PO’ DI STORIA
Massimo Dei Cas
V ALTARTANO
La Val Tartano è stata un microcosmo
alpino, un piccolo mondo basato sull’economia
di sussistenza alpina. Fino a mezzo secolo
fa, infatti, ci si appoggiava prevalentemente allo
sfruttamento di splendidi alpeggi e ad attività
quali quella del disbosco (i boscaioli della valle
erano famosi per la loro perizia).
“Prima di giungere… a Talamona, si può
vedere dalla parte sinistra aprirsi, in alto fra i
monti, una vallata, la quale si dice del Tartano,
come il fiume che la percorre. Essa si spinge all’interno
fra i monti di mezzogiorno per un miglio
tedesco e mezzo, e là si divide poi in due convalli;
per le quali, mediante i rispettivi valichi, d’estate
si può accedere nel Bergamasco. Il torrente è assai
impetuoso e con acque così gelide, che non vi si
trovano pesci. Questa vallata è sparsa qua e là di
frazioni; e fra esse primeggia un notevole villaggio,
detto Campo, che sorge sulla riva destra del Tartano e donde si ammira una magnifica veduta della bassa Valtellina, verso il lago di Como.
Tutta la vallata del Tartano è senza vigneti e produce soltanto segale, fieno ed erbaggi: ottimi sono i pascoli e gli alpeggi.” 1 Questi sono
i ragguagli che sulla Val di Tartano ci offre il diplomatico e uomo d’armi Giovanni Guler von Weinec. Ecco, invece, quel che ne
dice, oltre due secoli e mezzo dopo, la Guida della Valtellina del CAI di Sondrio (1873): “Una stradicciola partendo da Talamona
passa il torrente Tartano a S. Bernardo e di là inoltrandosi nella valle giunge al villaggio di Campo, donde si apre una bella vista sul lago
di Como; quindi, proseguendo, entra in una stretta gola, finché a Tartano (800 m.), la vallata s’apre e si diparte in due valli minori.
Da Talamona a Tartano due ore e mezzo circa… La Valle di Tartano è ricca di boschi, di prati e di pascoli; ha 1367 abitanti che vi
dimorano tutto l’anno. Essi traggono il loro sostentamento quasi unicamente dalla pastorizia; per mantenere durante il lungo inverno
il numeroso bestiame, essi nella estate raccolgono, con incredibili stenti, ogni fil d’erba che la natura fa crescere sui ripiani delle scoscese
balze, né passa anno senza che qualche infelice trovi prematura morte fra quei dirupi. A Tartano e a Campo vi hanno modeste osterie.”
È proprio nell’Ottocento, e precisamente nel 1840, che la valle ottiene l’autonomia amministrativa da Talamona; nel
1886, poi, Campo e Tartano sono erette parrocchie indipendenti, staccandosi per sempre da Talamona. I 1367 abitanti
censiti nell’ultimo quarto dell’Ottocento aumentano ancora, fino a raggiungere la cifra di circa 2000 negli anni Trenta
del Novecento. La valle, in questo periodo, si presenta, dunque, come una comunità alpina estremamente vitale, disseminata
in 40 nuclei abitativi: 13 nel territorio di Campo Tartano e 27 in quello di Tartano. Una comunità che ha per secoli intrattenuto
contatti e scambi con la vicina Val Brembana (soprattutto con Branzi, dove si vendeva il suo pregiato formaggio
Bitto). I passi più battuti erano di Dordonella, Porcile e Tartano, in Val Lunga. Altro canale commerciale molto attivo era
quello con la bassa Valtellina, alla quale si scendeva per le due mulattiere storiche della Val Fabiolo e del dosso della Croce.
L’isolamento della valle era solo apparente. Basti pensare ai piccoli gruppi della comunità Walser, che, emigrati dal Vallese fra il
1200 ed il 1500, portarono in Val Tartano la tecnica costruttiva del block-bau o cardana, cioè della connessione con incastro negli
angoli di grossi tronchi. Molte baite della valle evidenziano questa tecnica; un piano-terra in muratura (destinato alla cucina) ed
un primo piano in legno (destinato a dormitorio).
Inoltre ogni centro della valle conservava gelosamente la propria identità; c’erano infatti, fino a cinquant’anni fa, tre scuole
elementari: Campo, Tartano ed la Piana.
Proverbiale e fiera la rivalità fra camparèi, gli abitanti di Campo Tartano, e tartanöo, quelli di Tartano. La molteplicità delle
identità è stata anche molteplicità dei dialetti, come emerge dall’ottima opera di Giovanni Bianchini 2 Campo di Tartano e uno sguardo sulla bassa valle. Foto M. Dei Cas.
.
La comunità è cementata da una fede assai viva, che trovava il suo luogo di espressione più propria nelle sei chiese della valle,
fra cui ricordiamo la chiesa parrocchiale di S. Agostino a Campo Tartano, di origini medioevali, e la più recente chiesa parrocchiale
di S. Barnaba a Tartano, che risale alla seconda metà del secolo XVI).
Dal secondo dopoguerra la svolta ed il progressivo spopolamento: il boom economico offre occasioni di lavoro meno faticoso
e più remunerativo sul fondovalle, inducendo gran parte della popolazione a lasciarla. Il fenomeno era imputabile anche
all’isolamento determinato dalla mancanza di una carrozzabile che servisse la valle. Per tamponare l’emorragia della popolazione e
ridare vita alla valle venne il ministro Vanoni che nel 1956 fece costruire la strada carrozzabile. Lo spopolamento, però, proseguì
per tutti gli anni Settanta. Oggi il fenomeno si è arrestato, ma la popolazione è ridotta a circa 550 unità, un quarto rispetto alla
prima metà del Novecento. 3
1 Tratto da: Giovanni Guler von Weinec, Raetia, Zurigo, 1616. Von Weinec fu governatore per le tre Leghe Grigie della Valtellina nel periodo 1587-88.
2 Giovanni Bianchini, Vocabolario dei dialetti della Val di Tartano, Fondazione Pro Valtellina, Sondrio, 1994).
3 Per chi volesse approfondire l’incontro con questa valle, si consiglia il volume: Dario Benetti e Paul H. Stahl, Le radici di una valle alpina, edito dalla Cooperativa
Editoriale Quaderni Valtellinesi, Sondrio 1996.
LE MONTAGNE DIVERTENTI VAL TARTANO - 35

20 febbraio 2008, ore 15:30. Lo stupendo paesaggio che si ha in vetta al Gran Zebrù (direzione S). Foto Beno.
20 febbraio 2008. L’ultimo tratto della cresta che porta ai 3851
metri del Gran Zebrù. Foto Mario Pagni.
36 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
A L P I N I S M O
Spettacolari cornici di neve sulla cresta O del Gran Zebrù. Foto Beno.
Primavera 2008
Konig Spitze è il nome tedesco del Gran Zebrù e significa “Cima del Re”. La sommità della montagna è una grossa meringa di neve ventata. Si trova qualche
metro più in alto della croce di vetta ed è a strapiombo sulla parete N.
20 febbraio 2008. Sci in spalla e ramponi ai piedi: così saliamo
il canalino a quota 3200. Foto Mario Pagni.
LE MONTAGNE DIVERTENTI VAL CEDEC - 37

14 febbraio 2008. Maurizio Torri e Fabio Meraldi (GUIDA ALPINA FABIO MERALDI - TEL. 3287654564 - EMAIL: FABIO@MERALDI.NAME ) s’avviano dalla Pizzini verso
il Gran Zebrù. In rosso è segnato il tracciato di salita, in verde il canale di discesa che viene solitamente percorso dalla vetta. Foto Beno.
Maurizio Torri con Fabio Meraldi
Ortles-Cevedale: il paradiso
dello scialpinismo. Peccato solo che
molti ancora non lo sappiano.
Parcheggiata l’auto, basta una
rapida panoramica nell’anfiteatro
delle “13 Cime” per rendersi conto
che, nel periodo primaverile, qui vi
è solo l’imbarazzo della scelta: San
Giacomo, Tresero, San Matteo, Giumella,
Cadini, Cime di Peio, Vioz,
Palon de la Mare, Rosole, Pasquale,
Cevedale, Gran Zebrù, Cima
Miniere, Cime dei Forni, Manzina,
Confinale…
Potremmo trascorrere due settimane
in questa zona senza ripetere
lo stesso itinerario. Lo sanno bene i
campionissimi dell’ “Alta Valle” e i
semplici appassionati che, ogni anno,
si inerpicano fin qua sù per inanellare
spettacolari concatenamenti e per
portarsi a casa una sciata da favola.
In questa fresca mattinata quasi
primaverile, Fabio Meraldi ha già
chiara in mente quale sarà la nostra
meta: giusto il tempo di “impellare”,
accendere l’arva e agganciare gli attacchi
che con lo sguardo si va già
in alto. Là, oltre la Pizzini, su quella
croce in cima al Gran Zebrù. Raggiungerla
non sarà una passeggiata
di salute, dal parcheggio dei Forni vi
sono quasi 5 ore di sfacchinata con
20 febbraio 2008. Discesa dal versante E del Gran Zebrù (“lo spallone”). La neve oggi è troppo ventata e
nell’ultimo tratto del pendio, quello appena sopra il Colle della Bottiglia, bisogna “andare di ramponi”.
Foto Mario Pagni.
PARTENZA: Rifugio dei Forni (m 2178).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Bormio prendere la SP del Gavia. Dopo 13 km si giunge a S. Caterina. Si segue la
rotabile aperta dall’inizio di marzo che porta al parcheggio dei Forni (indicazioni per Rifugio Forni, km 5).
ITINERARIO SINTETICO: Rifugio dei Forni (m 2178) - Rifugio Pizzini (m 2700) - Colle della Bottiglia (m 3296) - Gran
Zebrù (m 3851).
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 5 ore per la salita.
ATTREZZATURA RICHIESTA: kit antivalanga, corda, piccozza, ramponi, imbracatura e longe con moschettone.
DIFFICOLTÀ: 4+ su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 1700 metri circa.
DETTAGLI: OSA - scendendo dalla vetta si toccano pendenze fino a 45° e in alcuni tratti è vietato sbagliare!
LE MONTAGNE DIVERTENTI VAL CEDEC - 39

14 febbraio 2008. Una delle possenti lingue del Ghiacciaio del Cedèc. La seraccata è uno dei maggiori spettacoli
che si godono dalla Pizzini e chiunque passi di qui non può che rimanerne affascinato. Foto Beno.
un dislivello positivo di circa 1700
metri.
No problem: Fabio si mette
davanti a batter traccia e con “passo
guida” ci conduce sino in Pizzini (m
2700, ore 1:30).
Entriamo da Claudio, un tè caldo
e si riparte. Risaliti alcuni dossi, con
40 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
una traiettoria che aggira il grosso
testone roccioso al centro della valle,
siamo sotto il canalino. Una trentina
di inversioni sempre più strette ci
portano sino al punto più irto; qui la
pendenza arriva a 35°. Sopra di noi
le condizioni non sembrano buone:
«Meglio togliere gli sci e mettere i
A L P I N I S M O
ramponi – consiglia Fabio -. Oggi la
neve è troppo ventata. Peccato, qui
solitamente salivo con le pelli».
In cima al canale pieghiamo a sx
(O) e iniziamo la salita della maestosa
spalla E dello Zebrù.
Mentre la quota comincia a farsi
sentire, si procede piano facendo
delle brevi soste che servono a fare
scendere le pulsazioni: «Siamo oltre
i 3000 - continua un Fabio per nulla
in affanno -. Meglio non forzare,
così poi ci si gode di più la lunga
discesa». Quasi in cima alla spalla,
una diagonale in salita (dx) ci porta
dritti all’attacco del canalino sommitale.
Sempre coi ramponi ai piedi e
gli sci nello zaino affrontiamo anche
l’ultima cresta di neve (passaggio
aereo) che porta alla cro Sarà che
non si scorge una nuvola neanche a
pagarla, che il sole scalda da paura,
ma quassù sembra di essere in paradiso.
Sulla dx, proprio lì sotto i piedi,
notiamo una vecchia scala. «Roba
della guerra – ci erudisce un Fabio in
versione cicerone -. Questa dovrebbe
essere del ’15-’18, anche se non ho
mai capito la sua funzione in questo
punto, è sicuramente servita agli austriaci
per difendere un estremo baluardo».
Tocchiamo la croce di vetta
che è l’ora del pranzo (m 3851, ore
3:30).
Ora però c’è la discesa. Al contrario
della salita si smonta dalla cresta
e si discende il primo canale sulla
dx. Fabio e Beno sono tutti eccitati,
io un po’ meno: la variante, infatti,
non è delle più banali, anche perchè
oggi c’è poca neve. Mentre loro si
cimentano in una stretta serpentina,
io vado di “derapata”: «Se sbagliassi
arriverei dritto in Pizzini!»
Fortunatamente sono solo 50
metri di dislivello, poi lo “spallone” è
già più abbordabile, anche se ripidissimo.
Vietato cadere o si rotola giù
fino a Solda!
Anche l’ultimo canalino, tanto
temuto nella fase d’ascesa, ora lo si
affronta senza patemi. Solo quattro
curve lunghe ci distanziano da una
meritata Weisse in Pizzini, poi arrivare
ai Forni è questione di far correre
gli sci per non doversi spingere.
Primavera 2008
Si festeggia un importante anniversario
al Rifugio Pizzini. «Nel 2008
ricorre il cinquantesimo di gestione
della mia famiglia – ci ha anticipato
con soddisfazione Claudio Compagnoni
-. Nel ’58 mio nonno Filippo e
mio padre Luigi subentrarono infatti
alla mitica Tuana. Ora, da diversi
anni, a mandarlo avanti ci pensiamo
io e mio fratello Mauro».
Posto a quota m 2706 nel comprensorio
del Gruppo Ortles Cevedale,
questo rifugio ha però una lunga
storia: «Fu eretto nel 1887 e inaugurato
l’anno successivo con il nome di
“Capanna Cedeh” – ha continuato
Compagnoni -. Distrutto durante la
Grande Guerra, venne poi ricostruito
nel 1926 e dedicato alla memoria di
Luigi E. Pizzini, noto alpinista milanese,
da un gruppo di soci suoi amici
che lo donarono alla sezione Cai di
Milano».
Per te è quindi una seconda casa?
«Direi proprio di si, visto che vi sono
entrato la prima volta che avevo solo
4 mesi. Qui ho molti ricordi ed ogni
anno vi ritorno con entusiasmo perché
La Pizzini in veste primaverile. Foto Mauro Lanfranchi.
amo queste zone e il mio lavoro».
Quali sono i vostri periodi
d’apertura e qual è il cliente tipo
della Pizzini? «Apriamo tutti i giorni
da inizio marzo sino a metà maggio,
poi solo nei weekend fino metà
giugno, quindi continuativamente
fino a fine settembre.
Il nostro cliente tipo? Non saprei
dire. Qui arrivano italiani e stranieri.
Giovani, vecchi e bambini che hanno
in comune la passione per la montagna.
Alcuni sono alpinisti famosi, altri
semplici escursionisti. In primavera la
Pizzini è meta abituale di scialpinisti
e ciaspolatori, mentre d’estate non
mancano gli appassionati di mountain
bike e nordic walking».
Quello del rifugista è un lavoro
speciale che richiede sacrifici, ma ne
vale veramente la pena? «Sicuramente
si, almeno dal punto di vista delle
soddisfazioni e della qualità della vita.
Vuoi mettere alzarsi la mattina e respirare
quest’aria a pieni polmoni?
Non lo cambierei per nulla al mondo.
Adoro queste vette e non mi pesa dare
una mano a chi fa tanta fatica per ar-
MAURIZI M AURIZI AU AURIZI RIZI R O T
TORRI T ORRI RI IN INTERVIS ERVIS RVISTA TA C LAUDIO LAUD UDIO CCOM
PAGNON PAGNO PAGNONN I
rivare sin quassù. Anche alzarmi ogni
mattina alle quattro per le colazioni è
una cosa che non mi pesa».
Tra levatacce e le svariate ore in
cucina dietro i fornelli non ti senti
alla stregua di un ristoratore? «Facciamo
della ristorazione, ma non mi
sento un ristoratore, altrimenti aprirei
un ristorante in una zona più accessibile.
Il nostro è un lavoro tutto
diverso che ti lega maggiormente alla
gente. A certe quote un consiglio
o anche un semplice sorriso hanno
valore diverso».
Qui tra vette mitiche e scenari
mozzafiato ne avrai viste di cotte e
di crude: «Né più né meno di altri
rifugisti. Un aneddoto triste è il recupero
che i miei erano stati chiamati
a fare di una ragazza caduta in un
crepaccio. All’epoca ero poco più di
un ragazzino e la vista di quel corpo
inerme mi aveva davvero colpito.
Ve ne sono però molti altri decisamente
più felici perché in quota non
si trovano solo alpinisti burberi e silenziosi,
ma anche molta gente che ha
voglia di socializzare e divertirsi».
LE MONTAGNE DIVERTENTI VAL CEDEC - 41
Claudio Compagnoni

L’ ANELLO
Si potrebbe chiamarlo l’Anello dell’Olmo o l’Anello dalla
Croce dell’Olmo, luogo mitico e mistico che tocchiamo
nel suo punto culminante.
DELL’OLMOMassimo
Dei Cas
Non sarà il Signore degli Anelli, ma è di certo un signor
anello, anzi, un signor doppio anello, un’escursione per
tutti, un’uscita indimenticabile.

44 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
E SCURSIONISMO
V ERSANTE RETICO
PARTENZA: Alpe Granda (m 1600 ca).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Sondrio prendere la SS 38 fin a Berbenno, quindi la Valeriana a
(SP 12) fino a Pedemonte dove ci si immette in via Maroggia (svolta a dx) e si sale la SP 29
fino a Buglio in Monte (km 19). Prima di raggiungere la piazza centrale, si prende a dx, per poi
volgere subito a sx (indicazioni per Our). Una strada con fondo in asfalto sale alla parte alta del
paese e prosegue con diversi tornanti (il fondo diventa in cemento) raggiungendo il maggengo
di Our di fondo, per poi proseguire verso Our di Cima; la seguiamo fino all’ultimo tornante
destrorso che precede Our di Cima (quota approssimativa: 1300 metri). Qui la carrozzabile tocca la pista sterrata
che da Erbolo, sopra Ardenno, sale all’alpe Granda. Possiamo imboccare questa pista con l’automobile (c’è
una sbarra, ma è sempre aperta), tenendo però conto che il fondo è dissestato e che lo spazio per parcheggiare
all’ingresso dell’alpe Granda è assai limitato (nei finesettimana estivi conviene lasciare l’automobile al tornante
destrorso e percorrere la pista a piedi: ci vuole circa un’ora di cammino per raggiungere Granda).
ITINERARIO SINTETICO: Rifugio Alpe Granda (m 1680) - Alpe Merla (m 1729) - Oligna (m 1701) - San Quirico (m
2070) - Alpe Piano di Spini (m 2198) - Lago di Scermendone (m 2339) - Croce di Olmo (m 2342) - San
Quirico - Casera di Scermendone (m
2103) - Alpe Granda.
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 6 ore per
l’intero giro.
ATTREZZATURA RICHIESTA: -
DIFFICOLTÀ: 1 su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 730 metri.
DETTAGLI: EE. L’escursione va affrontata
preferibilmente dalla tarda primavera
alle prime nevicate invernali, oppure
con l’ausilio di ciaspole e molta
attenzione per il marcato pericolo di
distacco valanghe (pendii ripidi).
5 settembre 2007. Albero solitario all'alpe Granda.
In copertina a questo articolo: Pozza all’alpe Granda.
Foto M. Dei Cas.
Nell’Anello dell’Olmo non
occorre macinare chilometri per
trovare viste spettacolari. Già da
subito all’alpe Granda, all’inizio del
nostro giro, si apre improvviso un panorama
emozionante sulle cime del
gruppo del Masino: ad O si impone
la cima del Desenigo (m 2845);
proseguendo verso dx, ammiriamo
la selvaggia costiera Cavislone-Lobbia,
uno scorcio della Val Porcellizzo,
della Valle del Ferro, della Val
Qualido della Valle di Zocca, con il
pizzo Porcellizzo (sciöma dò porsceléc’,
m 3075), la cima di Cavalcorto
(m 2763), il pizzo Cengalo (cìngol,
m 3370), i pizzi del Ferro (sciöma dò
fèr) occidentale (m 3267), centrale
(m 3289) ed orientale (m 3199)
e la cima di Zocca (m 3174). Più
a dx ancora, la costiera Arcanzo-
Remoluzza ci nasconde le rimanenti
celeberrime cime del gruppo del
Masino, ma non il regale monte Disgrazia
(m 3678), di cui vediamo un
ampio scorcio.
Prendiamo ora a dx (NE), in direzione
del rifugio Alpe Granda (m
1688), che ancora non vediamo,
perché è nascosto da una macchia di
abeti.
Superata una nuova baita isolata
(foto di copertina a questo articolo),
ce lo troviamo all’improvviso di
fronte, leggermente in alto alla nostra
dx, bellissimo nella sua struttura interamente
in legno. Da qui parte
l’anello che si sviluppa toccando
prima gli alpeggi gemelli del sistema
Merla-Verdel-Oligna per poi salire
all’alpe Scermendone e raggiungere
il laghetto omonimo.
Non dobbiamo imboccare il
recente tratturo che sale ripido verso
il bosco e va direttamente a Scermendone,
ma il sentiero che parte
alle spalle del rifugio e che procede,
quasi in piano, in direzione ESE. Si
tratta di un sentiero ben marcato,
con fondo buono, immerso in uno
splendido spaccato , nella quale il
sole gioca la sua eterna partita a rimpiattino
con le profondissime ombre
del bosco.
Attraversiamo il vallone che
scende verso S-O dal pizzo Mercantelli
(sciöma dè Mercantéi), riportandoci
nel territorio di Buglio. La
vegetazione via via si dirada e approdiamo
in fondo al prato dell’alpe
Merla, riconoscibile per la baita ristrutturata
sulla sommità di un grazioso
cocuzzolo erboso (m 1729).
Proseguiamo verso NE per il
Verdel (cartello segnaletico) e rientriamo
nel bosco. L’andamento del
sentiero (che singolarmente non è
segnalato sulla carta IGM) è molto
regolare e il fondo ottimo, tanto che,
Primavera 2008 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'ANELLO DELL'OLMO - 45

L’ACQUA DEGLI OCCHI E LA LEGGENDA
DEI CORNI BRUCIATI
C’è un edificio del ricovero bestiame a quota 2070, poco sotto della chiesetta
di S. Quirico all’alpe Scermendone (O). Lì vicino, sulla dx per chi sale da Oligna,
v’è una sorgente. Seminascosta in una piccola nicchia di sassi è segnalata da una
scritta appena decifrabile che la denomina “aqua occ”. Se non è prosciugata (e in
primavera molto probabilmente non lo è), il viandante deve bagnare gli occhi con
quest’acqua benedetta, che li preserverà dalle malattie che potrebbero colpirli.
Ma perchè quest’acqua è miracolosa? Il motivo risale a un tempo antichissimo,
quando ancora il monte Disgrazia si chiamava Pizzo Bello e i Corni Bruciati non
avevano questo nome, perché splendidi alpeggi di un verde vivissimo ne contor-
La costiera Sasso Arso - Corni Bruciati.
navano i versanti più alti.
Venne un giorno Cristo travestito da mendicante e andò fra i fortunati pastori che caricavano quegli alpeggi. Si presentò
a due fratelli, chiedendo ospitalità. L’uno lo cacciò a male parole, l’altro, preso da pietà, lo ristorò e gli offrì un ricovero per
passare la notte.
All’alba il misterioso mendicante, prima di riprendere il cammino, disse al fratello generoso: “Fuggi da qui, oggi stesso,
torna a Buglio e, lungo la strada, non voltarti indietro, per nessun motivo”. Il pastore non comprese, ma, quando il viandante
sparì dalla sua vista, intuì che forse si trattava di un angelo o di un inviato dal Signore, ed obbedì. Salì, dunque, da
Preda Rossa a Scermendone basso e da lì a Scermendone alto. Qui giunto, si accorse che qualcosa di terribile accadeva alle
sue spalle: rumori sordi si susseguivano con incalzante cadenza, bagliori sinistri trafiggevano il cielo che si era fatto scuro
proprio a metà del giorno. Camminò per un tratto, verso il sentiero che dall’alpe porta a Buglio, ma, proprio mentre si
accingeva a scendere, la tentazione lo vinse, e si voltò. Vide, solo per un attimo, una pioggia di fuoco che dal cielo bruciava
monti ed alpeggi, facendo rotolare dalla cima dei monti enormi massi incandescenti. Poi una fiammella colpì i suoi occhi e
lo rese cieco.
Pregò allora il Signore di perdonare la sua colpa, ed udì la sua voce, che gli comandò di bagnarsi gli occhi con l’acqua che
correva lì vicino. Così fece, e riebbe la vista. La sorgente, sgorgata miracolosamente quel giorno, è ancora lì, e la sua acqua
benedetta ricorda la terribile punizione divina, ma anche la misericordia del Signore.
Da quel giorno il monte Disgrazia perse l’antico nome di Pizzo Bello, che ben si addice al suo profilo regale (dovete
sapere che era ancora denominato Pizzo Bello sulle carte dello stato maggiore austriaco nel periodo asburgico), ed assunse
l’attuale denominazione che allude a questa catastrofe.
Il nome di Pizzo Bello venne invece assegnato ad una cima più modesta ed umile, che presidia il lato orientale dell’alta
Val Terzana.
I Corni Bruciati assunsero
l’attuale nome
per il colore rossastro
delle loro rocce, che resta
ancora a testimonianza
dell’immane rogo.
I pascoli più pregiati
della Valle di Preda
Rossa vennero sommersi
da colate di massi rossastri
scesi dai fianchi del
Sasso Arso (cima che
conserva anch’essa, nel
nome, l’eco dell’evento),
e l’acqua della sorgente
miracolosa ricorda che il
Signore soccorre chi ha
fede in lui, preservandone
la salute.
46 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2008
L’alpe Granda si trova sul lungo crinale che separa la Val Masino dalla media Valtellina. Si tratta del principale alpeggio del comune di Ardenno (a questo
rimanda il significato della sua denominazione dialettale). Fino a qualche decennio fa v’erano caricati 60 capi di bestiame. Ora questo numero è ridotto, ma
non azzerato come in altre famose alpi della nostra valle. Al centro della foto spicca il rifugio dell’alpe Granda. Foto M. Dei Cas.
per la maggior parte della traversata,
potremmo percorrerlo a piedi
nudi. Dopo aver oltrepassato alcuni
valloncelli che più in basso confluiscono
nella Val Primaverta, raggiungiamo
un singolare “crotto”, ricavato
alla base di un grande masso. Pochi
passi ancora e riemergiamo alla luce
dell’alpe Verdel (m 1716).
Qui si trovano diverse baite divise
in due gruppi.
Ignoriamo la direttrice S-N (sentiero
che da Our di Cima prosegue
per Scermendone) e prendiamo
verso NE, seguendo le indicazioni
per l’alpe Oligna. La partenza del
sentiero non è molto evidente: nel
primo tratto, ancora all’aperto, passiamo
nei pressi di una vasca per
l’acqua. Anche il primo tratto nel
bosco non è molto evidente, poi la
traccia si fa più chiara. Il sentiero è
meno riposante di quello Merla-Verdel,
ma senza difficoltà. Dopo aver
raggiungo la quota 1770, attraversa
la selvaggia parte alta della Valle della
Làresa, per poi perdere leggermente
quota, fino ai 1750 metri delle baite
alte dell’alpe Oligna (o Olegna), più
ampia delle due precedenti.
Altro crocevia. Da S sale il sentiero
che proviene dal maggengo di
Sessa, e prosegue con debole traccia
in direzione NNE (non è segnalato
né sulla carta IGM, né su quella
Kompass). Imbocchiamo invece il
sentiero per Scermendone che entra
nel bosco sul lato alto di sx dell’alpe
(direzione N, cartello segnaletico).
È finita la prima parte
dell’escursione, caratterizzata da una
sequenza di modesti saliscendi che
ci tengono ad una quota costante di
poco superiore ai 1700 metri.
Inizia la salita. Dopo aver attraversato
un valloncello e alcuni serrati
tornantini, a quota 1900, intercettiamo
il più largo sentiero che sale
direttamente dall’alpe Verdel. Proseguiamo
per un tratto verso O, poi,
piegando a dx (direzione NNO),
affrontiamo gli ultimi tornantini che
ci portano fuori dal bosco verso lo
splendido terrazzo dorato dell’alpe
Scermendone (Scermendùn).
Risalito il ripido versante di prati,
ci ritroviamo sul limite NE dell’alpe,
proprio all’edificio che serviva per
il ricovero del bestiame, (m 2070).
Intercettiamo qui il tratturo che sale
direttamente dall’alpe Granda e che
sfrutteremo al ritorno. Alla nostra dx
la chiesetta di San Quirico (san Cères,
m 2131). La sua campanella nei
secoli ha chiamato a raccolta i pastori
per la preghiera. A poca distanza,
l’utilissimo e simpatico bivacco Scermendone.
Proseguiamo oltre, prendendo a
sx e portandoci sul versante che si
V ERSANTE RETICO
affaccia alla Val Masino: troveremo
facilmente la partenza della pista che
si addentra in Val Terzana (attenzione
a non imboccare quella che se ne
stacca sulla sx e scende all’alpeggio
di Scermendone basso). Tagliamo il
fianco meridionale della valle, fino
all’alpe Piano di Spini (m 2198).
Alle spalle della baita di sx dell’alpe
comincia un sentiero (segnavia
rosso-bianco-rosso), che sale per un
tratto verso sx, sormonta un dosso
e prosegue verso NE. Uno strappo
severo precede un breve corridoio
nella roccia, oltre il quale ci ritroviamo
qualche metro sopra la piccola
perla incorniciata dalla parte terminale
della Val Terzana: il laghetto di
Scermendone (m 2339).
Inizia il ritorno. Per un breve
tratto sfruttiamo il sentiero che ci ha
condotti sin qui. All’alpe Piano di
Spini cerchiamo il sentierino sulla sx
che affronta il versante meridionale
della valle. Per facili balze, tenendo
più o meno il centro o il lato dx di
un ampio canalone, raggiungiamo
senza difficoltà l’ampia sella erbosa
a E della cima quotata 2395 metri
(possibilità di brevi tratti di neve
anche fino a inizio estate).
La sella non ha nome sulle carte,
ma meriterebbe di essere menzionata
in quanto rappresenta la più agevole
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'ANELLO DELL'OLMO - 47

La chiesetta di San Quirico a Scermendone. Foto Beno.
L’ALPE SCERMENDONE
L’ alpe Scermendone è una delle più ampie, belle e luminose del versante retico mediovaltellinese. Il suo valore panoramico
è splendido.
Diverse sono le ipotesi sull’origine del nome: forse è da ricercarsi in un nome personale o soprannome, cui è premesso
“Scer” da “ser” o “scior”, cioè “signore”. Alcuni ipotizzano, invece, una derivazione etrusca da “cer”, “cerro”, o dal germanico
“schirm”, che significa ricovero per il bestiame. Non è da escludere, infine, la voce del dialetto bergamasco “scérem”, che significa
“soccida”, un particolare contratto fra il proprietario di alpeggi ed un prestatore d’opera che vi conduceva anche alcuni
capi di bestiame propri.
Anche oggi l’alpe è caricata, anche se non si raggiunge più il considerevole numero dei 200 capi che venivano censiti fino
a qualche decennio fa.
Molti sono gli escursionisti che passano di qui, poiché rappresenta un importante crocevia escursionistico, con un importante
punto di appoggio rappresentato dalla solitaria baita riadattata a bivacco, sul suo limite NE, presso la chiesetta di San
Quirico.
All’alpe Scermendone si vedono anche i biker: uno splendido anello di alpin-bike, infatti, che sale sulla direttrice Ardenno-
Cataeggio-Valbiore-Preda Rossa-Scermendone basso, raggiunge qui il suo punto culminante, prima di iniziare la lunga discesa
che riporta ad Ardenno passando per Granda ed Erbolo.
Perla dell’alpe è la chiesetta di San Quirico. Forse anticamente essa fungeva anche da xenodochio, cioè da ricovero di viandanti,
mercanti o pellegrini, che, percorsa poi l’intera Val Terzana, valicavano il passo di Scermendone, attraversavano l’alta
valle di Postalesio e, per il passo di Caldenno, scendevano in Val Torreggio e di qui in Valmalenco.
Oggi la campanella chiama a raccolta un affezionato pubblico di escursionisti o semplicemente di innamorati di questi
luoghi che salgono qui a metà di luglio, nella festa dedicata al santo. Data la natura dei luoghi, vien fatto di pensare al santo
come ad un vegliardo dalla lunga ed austera barba.
Pochi sanno, invece, che si tratta di uno dei più
giovani martiri cristiani, un bambino ucciso in
tenera età insieme alla madre (15 luglio del 304 o
305). Una versione della morte del piccolo e della
madre narra che furono entrambi arsi vivi, ma le
fiamme non alterarono i loro corpi che furono
ritrovati miracolosamente intatti: una storia che
conferma il misterioso legame di questi luoghi con
il fuoco, il flagello dal quale scampano solo coloro
che conservano una fede autentica.
Perla dell’alpe è il microlaghetto che si trova
poco distante, più ad O, nei pressi di una baita solitaria:
quando le sue acque non sono increspate dal
vento, imprigionano l’immagine del monte Disgrazia
e dei Corni Bruciati.
48 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2008
porta che collega, come ci indica un
cartello, gli alpeggi della Val Terzana
a quelli del versante retico sopra Berbenno
(alpe Baric, alpe Vignone e
Prato Maslino).
Un fuori-programma di circa
un’ora ci consentirebbe di raggiungere
l’arrotondata cima erbosa del
Monte Vignone (m 2608) e di godere
dello splendido panorama che essa ci
offre.
A SO si apre davanti a noi un larghissimo
corridoio erboso, proprio
a S (sx) delle roccette della cima
quotata 2395 metri; sul suo limite
V ERSANTE RETICO
Il monte Disgrazia visto dall'alpe Scermendone.
L’alpe Scermendone e sullo sfondo le cime del Masino.
Foto M. Dei Cas.
C’è qualcosa di mistico in questi luoghi, di unico ....
basso c’è un grande ometto, posto
nei pressi della Croce dell’Olmo. È
davvero un piacere impagabile scendere
sul dolce declivio erboso, protetti
quasi maternamente dall’abbraccio
di questo alveo che ci nasconde da
più ampi orizzonti, restituendoci alle
più antiche sicurezze di un’infanzia
remota.
Inattesa si rivela una pozza nella
quale si riflettono la cima del Desenigo
ed il monte Spluga, le cime
della Merdarola e l’arrotondato pizzo
Ligoncio. Guardata dal lato opposto
la pozza regala, invece, il riflesso del
tripudio dorato del crinale, coronato
dalla dolce cima di Vignone. Nasce
un raro senso di raccoglimento e di
imperturbata quiete.
C’è qualcosa di mistico in questi
luoghi, di unico. La vicina Croce
dell’Olmo corona questa sensazione.
La raggiungiamo in pochi minuti,
scendendo per un breve tratto
verso sx. È posta, a 2342 metri, a
pochi metri dal grande ometto che
abbiamo scorto dalla sella, su uno
speroncino di roccette nel punto
culminante dell’ampio Dosso del
Termén, confine fra i comuni di
8/10/2005: le cime della Valmasino riflesse in una delle tante pozze lungo l’anello dell’Olmo. Ma cosa indica “Olmo”? Nel suo nome nasconde un mistero (il
riferimento diretto all’albero, data la quota, è da escludersi; c’entra, forse, un riferimento indiretto, in quanto l’olmo era rappresentato nello stemma della famiglia
degli Olmo, che venne dalla bergamasca in Valtellina nei secoli scorsi, ed alla quale si riconduce anche il paesino di Olmo, in Valchiavenna). Foto R. Moiola.
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'ANELLO DELL'OLMO - 49

LA VAL TERZANA E IL PASSO DI SCERMENDONE
La Val Terzana (o Valle di Scermendone)
rappresenta il volto meno conosciuto
della Val Masino. Eppure la sua
selvaggia e solitaria bellezza le conferisce
un fascino che incanta anche gli escursionisti
più esigenti.
Vi si può arrivare grazie alla pista che
parte nei pressi della chiesetta di San
Quirico all’alpe Scermendone. Raggiunta
l’alpe Piano di Spini, la pista diviene
sentiero e prosegue fino al laghetto di
Scermendone (m 2339).
Si tratta di uno specchio d’acqua non
ampio, ma pur sempre considerevole, sia
per bellezza, sia per il fatto che, insieme
ai laghetti della valle di Spluga e a uno
specchio ancor più modesto al centro
Il lago di Scermendone. Foto M. Dei Cas.
della Val Cameraccio, è ciò che resta dei
laghi alpini in Val Masino. In tempi remoti la presenza di laghi nella valle era decisamente più consistente.
Una sosta sulle sue rive permette di osservare il Sasso Arso ed i Corni Bruciati: viste da qui queste formazioni montuose
mostrano bene la ragione della loro denominazione. Alle spalle del laghetto, verso E, si scorge il pizzo Bello (m 2748), che
ci riporta con la mente alla terribile vicenda del fuoco e dell’acqua legata al monte Disgrazia.
Alla sua sx si riconosce facilmente il passo o bocchetta di Scermendone (m 2595), in fondo alla valle a dx del modesto ed
affilato torrione quotato 2656 metri.
Per questo valico passa la direttrice che porta in Valmalenco, attraversando l’alta valle di Postalesio, salendo al passo di
Caldenno e scendendo al rifugio Bosio in Val Torreggio. Eppure, nonostante la sua posizione nodale, non c’è alcun itinerario
“ufficiale” che lo sfrutti: il Sentiero Italia passa più a S (direttrice Scermendone - Prato Maslino), il Sentiero Roma più a N
(direttrice Preda Rossa – passo di Corna Rossa - Val Airale – Val Torreggio). Ciò mortifica inspiegabilmente la sua importanza
ed il suo fascino.
La salita al passo è agevole: dal laghetto il sentiero piega gradualmente a sx; superata qualche modesta roccetta, scavalca
il torrentello della valle, passa a dx di uno sperone di roccia (m 2621) e, con qualche serpentina, porta al grande ometto che
presidia il valico.
Buglio e Berbenno. È una modesta
croce in legno, ma l’orizzonte all’improvviso
si fa angosciante: sul fondo,
ad O, le valli di Spluga, della Merdarola,
Ligoncio e dell’Oro; poi, più
a dx, la costiera Remoluzza-Arcanzo.
Ai piedi di questo splendido scenario,
il lungo serpente dell’alpe Scermendone
(rivediamo San Quirico ed
il baitone). A N la cima centrale dei
Corni Bruciati (m 3114) occhieggia
appena alle spalle del crinale erboso
che ci separa dalla Val Terzana. A S
le Orobie. Una fitta trama di cime
che giochiamo volentieri a riconoscere,
percorrendole una ad una fino
all’inconfondibile corno del monte
Legnone, vera colonna d’Ercole della
Valtellina.
Lasciamo a malincuore questo
luogo di meditazione, per continuare
la discesa alla volta del bivacco Scermendone.
Non c’è un vero e proprio
sentiero, si va paralleli alla linea del
crinale che corre, poche decine di
metri più in alto a dx. Seguendo il
percorso più agevole, cominciamo a
descrivere un arco che tende progressivamente
a sx. Superiamo qualche
rudere di modesti ricoveri e scendiamo
su terreno un po’ ripido fino ad
individuare una
V ERSANTE RETICO
La Val Terzana (o Valle di Scermendone) rappresenta il volto meno conosciuto della Val Masino. La si raggiunge da Scermendone passando per l’alpe Piano di
di Spini, o della Spina. Il nome della località rimanda al casato degli Spini e deriva da “spino”, cioè rovo. Foto M. Dei Cas.
Il bivacco Scermendone. Foto M. Dei Cas.
È una
modesta croce
in legno, ma
l’orizzonte
all’improvviso
si fa
angosciante
traccia di sentiero che, volgendo a
dx, ci fa perdere ulteriormente quota.
Intercettiamo la marcata mulattiera
(dx) che in pochi minuti ci porta al
bivacco Scermendone
Ripassiamo dalla chiesetta di San
Quirico e scendiamo di nuovo al
baitone dove, invece di piegare a sx
scendendo verso il limite del denso
bosco di abeti, proseguiamo sul largo
tracciato che taglia il fianco meridionale
di un dosso. Ci portiamo alla
sezione mediana dell’alpe, dove troviamo
una baita solitaria davanti alla
quale si stende un delizioso microlaghetto.
Proseguiamo sul crinale, passando
nei pressi del grande ometto posto
su un poggio molto panoramico.
Alla nostra dx il cocuzzolo boscoso
quotato 2103 metri. Una traccia di
sentiero ci porta alla casera di Scermendone
(m 2077) ed infine sul
limite SO dell’alpe. Oltre un rudere
di baita (sx) ci portiamo sul limite
del bosco dove troviamo la partenza
del sentierino che scende a intercettare
il tratturo per l’alpe Granda.
Dopo circa 6 ore di cammino il
giro è concluso (il dislivello approssimativo
in salita è di 730 metri).
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'ANELLO DELL'OLMO - 51

52 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
E SCURSIONISMO
ATTORNO AL
PIZZACCIO
Primavera 2008
Un anello in Valchiavenna, un anello attorno all’ardito
Pizzaccio (m 2588), punto culminante dello spartiacque fra
valle del Drogo e valle della Forcola, è l’occasione per ripercorrere
le antiche vie dei contrabbandieri e visitare gioielli d’architettura
alpina ancora splendidamente conservati, quali Orlo,
Cermine, Scima, Forcola, Lendine e Zecca. Beno
LE MONTAGNE DIVERTENTI ATTORNO AL PIZZACCIO - 53

54 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
E SCURSIONISMO
SCU S C RSIONI O N SMO MO M
PARTENZA: Gordona, inizio strada per la Val Bodengo (m 400). Si consiglia di lasciare una seconda automobile a S.
Giacomo – Filippo per evitarsi la lunga traversata S. Giacomo – Gordona al ritorno.
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Dalla rotonda di Nuova Olonio si prende la SS 36 verso N fino a S. Cassiano (km
14). Si svolta quindi a sx, s’attraversa la ferrovia, e si seguita sulla SP 40 (km 1,5) per inserirsi sulla SP 9 e
proseguire verso N per Gordona (km 2,5). Prima rotonda dritto, poi all’incrocio con indicate la palestra e la Val
Bodengo si svolta a sx. Si percorrono via degli Emigranti e via Cimavilla, quindi, sempre sulla via principale,
si raggiunge il piccolo parcheggio che precede il divieto di transito per la Val Bodengo.
ITINERARIO SINTETICO: Gordona (m 400) – Orlo (m 1165) - Cermine (m 1346) - Scima (m 1785) – Bivacco Forcola
(m 1838) – Passo Forcola (m 2227) - bocchetta O di Lendine (m 2324) – lago Caprara (m 2288) – alpe
Valcapra (m 2164) - alpe Lendine (m 1710) – Corseca (m 1379) – Zecca (m 1162) – Olmo (m 1056) – S.
Giacomo-Filippo (m 522)
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 15 ore per l’intero anello. Si consiglia di spezzare il giro in 2 giorni, pernottando
al Bivacco Forcola, sempre aperto e incustodito.
ATTREZZATURA RICHIESTA: Scarponi. Si consigliano le ciaspole se l’innevamento è ancora consistente. Portarsi provviste
in caso di pernottamento al bivacco.
DIFFICOLTÀ: 2 su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 1976 metri.
DETTAGLI: EE. In caso di neve diventano ben superiori. In caso di neve instabile il tratto Scima - Lendine va assolutamente
evitato!
Primavera 2008
Un anello attorno all’ardito
Pizzaccio, punto culminante dello
spartiacque fra valle del Drogo e
valle della Forcola, è l’occasione per
ripercorrere le antiche vie dei contrabbandieri,
quelle che fino agli
anni ‘70 erano le arterie principali
per lo scambio illegale di merci fra
Valchiavenna e Val Mesolcina nella
vicina Svizzera. Il percorso è arricchito
da gioielli d’architettura alpina
ancora splendidamente conservati,
quali Orlo, Cermine, Scima, Forcola,
Lendine e Zecca.
La partenza è a Gordona, località
Cimavilla, al parcheggio che precede
il divieto di transito sulla carrozzabile
per la Val Bodengo.
Consiglio, visto il notevole sviluppo,
di spezzare il giro in due giorni,
pernottando al bellissimo e sempre
aperto bivacco all’Alpe Forcola.
Sono le 8 di mattina, il tempo
è uggioso, molto umido e piuttosto
mite. Nell’aria odore di fogliame
misto a combustibile. Al mattino
presto la carrozzabile per la Val
Bodengo è il regno dell’Ape e dei
carri agricoli.
Procediamo lungo l’asfalto e,
appena dopo il primo tornante,
incontriamo la vecchia mulattiera
di ciottolato che si diparte sulla
sx. Bolli bianchi e rossi e pendenze
senza sconti di pena trasformano in
breve i campi del fondovalle in una
scacchiera dai quadrati gialli e verdi
sempre più piccoli. Tutte le pietre del
selciato su cui camminiamo trasudano
la fatica occorsa per un’opera così
certosina quale questo risc. Arriviamo
al poggio panoramico della Cappella
Donadio (m 759, ore 0:50).
Pochi metri più in alto incrociamo
la carrozzabile, l’attraversiamo,
ci abbeveriamo alla fontana, e riprendiamo
il risc che si sale dritto a
O. Un susseguirsi di baite e fontane
(Alpe Gualdo, m 927, e Alpe Magna,
m 977), poi si torna sulla carrozzabile
di cemento che senza alcun criterio
è stata sovrapposta alla vecchia via.
Due curve ripide e possiamo appoggiarci
di nuovo al sentiero che si
diparte quasi pianeggiante sulla dx. I
larici si mangiano pian piano le latifoglie,
finchè usciamo all’alpe Orlo
(m 1165, ore 1:15).
Vedetta sulla Valchiavenna, è
formata da due nuclei di baite ben
distinti: l’orientale è posto sul ginocchio
del crinale, mentre l’occidentale,
quello attraversato dal sentiero, è più
arretrato e dotato di una bella cappelletta
in corrispondenza del trivio
Val Piotella – Gordona – Cermine.
Le tempistiche sulla segnaletica sono
oltremodo ristrette: Gordona, che è
700 metri più in basso, è data a 50
minuti!
Un tratto rilassante ci porta all’alpe
Cermine (m 1346, ore 0:30). Una
cappelletta fa da sipario al grazioso
paesino. Lì vicino un pannello con
plastico ricostruisce la morfologia
montuosa della regione, mentre una
V ALCHIAVENNA
lapide ci ricorda a
che la cappelletta a
fu ristrutturata da a
G.B. Mazzina nel
1930 al termine
della costruzione della mulattiera.
Alla nostra dx c’è un parcheggio che
segna il capolinea della carrozzabile.
Un faggio gigantesco all’inizio del
paese ci mostra il Lago di Novate illuminato
da strisce di sole che filtrano
fra le nubi sempre più cagliate.
Ogni abitazione ha una catasta di
legna impilata con estrema precisione,
sculture che dispiace smembrare
per ardere. Guardo lo zaino di Mario,
vestiti e attrezzatura ficcati dentro
a casaccio, le ciaspole dondolano e
urtano ritmicamente la piccozza.
“Se tu avessi baita qui, la si riconoscerebbe
subito: un mucchio
informe di legna gettato davanti
alla porta!”, esclamo. “Ma dai, non
sono poi così un disgraziato!” ribatte
Mario. “Ah, dimenticavo, ci metteresti
sopra un cellophane per proteggerla
dall’acqua e qualche bulugnìn
perchè il vento non ti porti via il
cellophane, una vera opera d’ architettura
alpina!”, ribatto io.
Scoppiamo a ridere immaginandoci
la nuova baita di Mario all’alpe
Cermine, poi velocemente siamo al
trivio Scima - Menarola – Orlo (m
1346, ore 0:40).
Superiamo la fascia pascoliva che
contorna l’alpe, quindi la traccia
diviene esilissima, quasi irriconoscibile.
Procedendo verso O sul crinale,
Il tracciato di salita da Gordona al Passo della Forcola visto dall’abitato di San Cassiano. Foto E. Minotti.
In copertina a questo articolo: il Pizzaccio e il lago di Caprara visti dal Passo di Lendine. Foto scattata da Beno il 3 marzo 2007.
LE MONTAGNE DIVERTENTI ATTORNO AL PIZZACCIO - 55

L’alpe Scima e il suo splendido campanile bianco. Foto E. Minotti.
di tanto in tanto troviamo qualche
segnavia scolorito. Dopo poco passiamo
vicino ad una presa dell’acqua
in acciaio inossidabile, poco visibile
ma molto rumorosa.
Inizia la neve. Marcia. Le voragini
che lascio dove passo sembrano
opera d’un cane che sta cercando disperatamente
il suo osso. Faticando
sullo spartiacque, o appoggiandoci a
dx di questo, sbuchiamo sul Dosso
Mottone (m 1909), vedetta sulla
spianata dell’alpe Scima e sul suo
peculiare campanile bianco. Ci abbassiamo
di qualche metro, quindi
pianeggiamo fra i pascoli fino a
56 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Scima (m 1785, ore 1:30).
Siamo due statuine nel presepe,
Scima è un posto incredibile con
le sue casette a secco e il bizzarro
campanile. La campana riporta la
data 1760, inimmaginabile la fatica
fatta per portarla fin quassù! Peccato
che la maggior parte delle baite stia
crollando perchè abbandonata, ma
il vederne ancora alcune in ottima
salute ci toglie la nostalgia per un
mondo che sta scomparendo. Il
paesaggio sulle nebbiose cime della
Val Bodengo è mozzafiato. A guardarsi
bene attorno ci sono minuscoli
alpeggi sparsi qua e là fra i monti,
E SCURSIONISMO
3 marzo 2007. Il Pizzaccio (m 2588) svetta imponente sopra il
Bivacco Forcola (m 1838), struttura sempre aperta e incustodita
inaugurata il 24 giugno 2001. Foto Beno.
una delizia, specialmente il casone
isolato sul crinale alla nostra sx.
Non ci resta che continuare (non
azzardate questo tratto con pericolo
slavine). Armati di ciaspole e
buona volontà ci abbassiamo nella
valle della Forcola. I bolli sugli alberi
sono un fido segnavia. Dopo un tratto
ondulato giungiamo a un poggio da
cui si vede un pilone della corrente
bianco e rosso a metà della costiera
settentrionale della valle. Il sentiero
passa appena a monte del sostegno.
La traversata è in leggera salita, ma
molto faticosa perchè i pendii su cui
si traversa sono ripidissimi e la neve
Primavera 2008
La discesa dal passo di Lendine. Il valico era quello comunemente usato dai contrabbandieri
che scendevano in Svizzera passando per la Valle del Drogo. La bocchetta più a SE sulla cresta
è la via più breve fra il passo della Forcola e il lago Caprara, ma non la scelta più comoda in
caso di neve. Foto Beno.
è cattiva. Spesso dobbiamo levare le
ciaspole e tacchettare con gli scarponi.
La traversata è invece banale a
stagione avanzata.
Stremati siamo al pilone. Se ne
vede un secondo. Lo puntiamo,
sapendo che il sentiero s’abbassa decisamente
a dx di questo per superare,
nell’unico punto di valicabilità,
l’erta costiera rocciosa della valle del
Vendul (= valanga), canalone trasversale
alla valle principale e sipario
dell’alpe della Forcola. E’ l’una passata
quando mettiamo piede sul rifugio.
Proprio così! L’ingresso è sommerso
dalla neve, per cui saliamo sul tetto
(m 1838, ore 1:30 – con molta neve
anche ore 2:30).
Arriva il sole, accompagnato
dal vento. Ci sdraiamo sulle spesse
piode del bivacco e fissiamo le nubi
che corrono veloci nel cielo.
Ci rimettiamo in marcia abbassandoci
lungo il sentiero fino al
greto del torrente, quindi saliamo il
lungo e faticoso vallone verso O. Le
pendenze man mano diminuiscono,
ma il vento le compensa. Al passo è
bufera. Non si riesce a stare in piedi!
(passo della Forcola, m 2227, ore 1).
Dinnanzi a noi vortici di neve
che offuscano la Val Mesolcina. Sulla
dx un fotogramma del Campanile
di Val Marina, poi solo nebbia.
Ci abbassiamo rapidi (O) fino al
primo ripiano, quindi traversiamo
sulla dx (NE) e raggiungiamo la base
dell’unico canalone che senza balze
ci accompagna sullo spartiacque con
la valle del Drogo (passo di Lendine,
m 2324, ore 1). Ai nostri piedi (E) il
lago Caprara tutto coperto di neve,
più a dx il Pizzaccio (m 2558) si è
appena liberato delle nuvole, mentre
a SE svetta la Punta della Forcola (m
2671).
Perseguitati dal vento iniziamo
subito la discesa costeggiando il lago
Caprara. Senza allontanarci troppo
dai muri rocciosi del Pizzo di Val
Marina, raggiungiamo i ruderi dell’alpe
di Valcapra (m 2164, ore 0:20).
Sicuramente fino ad una quarantina
d’anni fa queste baite a secco erano
un rifugio strategico per i contrabbandieri.
Molti, infatti, preferivano
valicare il confine per lo sguarnito
passo di Lendine, piuttosto che per
passo della Forcola, più semplice ma
anche più controllato dai finanzieri.
Oggi neve e desolazione
sommergono tutto.
Ci alziamo di qualche metro sulla
sx per portarci in testa a un grosso
canalone di scolo. Il sentiero estivo
supera il valloncello e discende dal
costolone della montagna che s’inar-
V ALCHIAVENNA
ca verso levante;
noi seguiamo la a
direttissima, giù a
E per il canalone.
Circa a 2/3 del
pendio aggiriamo
una piccola cascata appoggiandoci
a un ripido valletto parallelo (dx),
quindi tutto semplice fino a Lendine
(m 1710, ore 1).
Una larga mulattiera segnalata
s’abbassa prima verso N, poi con
pendenze moderate percorre tutta
la Valle del Drogo verso E. Alcune
baite, fontane, Corseca, poi altre
baite: una via crucis che sembra non
finire più. Arriviamo a Zecca salutati
dalla notte.
Attratti dalle luci come
zanzare, scendiamo per i prati fino
al vicino paese di Olmo (m 1056,
ore 2), e da qui, avendo il sentiero
precluso dalle tenebre, contiamo i
mille tornanti d’asfalto che portano
a S.Giacomo-Filippo (m 522, ore 1
– se si prende il sentiero).
Senza più energie in corpo barcolliamo
sulla SS36. Un frontalino
acceso è il nostro salvavita. Le macchine
ci suonano contro perchè
non tollerano i pedoni nel regno dei
motori. A Chiavenna troviamo una
delle rare cabine a moneta per chiamare
casa, poi come dei reduci di
guerra, seguitiamo verso Gordona.
Mario, in preda alle allucinazioni,
sostiene che fra poco si fermeranno
due belle ragazze a darci un passaggio.
Io lo ammonisco: “Puzziamo
come bucc’!”, ma lui continua a
sognare.
Mese: un bel marciapiede ci protegge
dai giovani scalmanati che con
le loro turbo-vetture-tamarre non
scendono mai sotto i cento all’ora.
Al termine del paese termina anche
il marciapiede, ma arriva la grazia:
una coppia, mossa a pietà dal nostro
procedere pachidermico, ci dà un
passaggio che ci abbuona gli ultimi
2 km che ci mancavano alla macchina.
LE MONTAGNE DIVERTENTI ATTORNO AL PIZZACCIO - 57

PIAN DI SPAGNANICOLA
GIANA
Il primo incontro
con la primavera e il
Nordic Walking

Il Nordic Walking è una disciplina motoria che non ha finalità agonistiche, una camminata assistita da bastoncini che
permettono di coinvolgere e potenziare anche la parte superiore del corpo. Il Nordic Walking ha le sue origini in Finlandia
dove veniva utilizzato già negli anni ‘30 come metodo di allenamento estivo per i fondisti. Si pratica all’aria aperta, secondo
un allenamento dolce che sviluppa resistenza, migliora le capacità polmonari, riattiva i muscoli poco utilizzati, fa lavorare
l’apparato cardiocircolatorio in modo completo e senza affaticamento.
È l’esercizio perfetto per mantenere un buon livello psico-fisico o per ottenere una semplice riduzione di peso senza
affaticare le articolazioni. Applicando correttamente la tecnica, il nordic walker impara a conoscersi e trovare la propria
andatura.
Per questo motivo è una disciplina accessibile a qualsiasi età, da praticare preferibilmente in compagnia, su strade pedonali,
sentieri e perfino in spiaggia.
Il Nordic Walking è spesso utilizzato per la riabilitazione di soggetti che hanno subito infarti (opportunamente seguiti dal
proprio medico) e di soggetti traumatizzati. Molti appassionati di corsa scelgono il Nordic Walking quando hanno problemi
alle articolazioni.
Il Nordic Walking coinvolge attivamente le braccia nel movimento con un conseguente aumento della muscolatura della
schiena e dei pettorali; scioglie le contrazioni nella zona delle spalle e della nuca rafforzando contem
poraneamente la muscolatura cervicale.
Tonifica i muscoli della fascia addominale prevenendo o riducendo i dolori alla schiena,
tipici di chi conduce una vita sedentaria.
Con Con il Nordic Walking le articolazioni dell’anca, del ginocchio e del piede vengono alleggerite
del 30% circa rispetto alla camminata senza bastoncini. Complessivamente si può aff
fermare che il Nordic Walking è del 40% più efficace rispetto al Walking tradizionale.
Allena tutti i muscoli più importanti, in modo analogo allo sci di fondo.
Richiede un elevato consumo di energia in virtù del massiccio coinvolgimento
muscolare (si parla del 90%, vale a dire circa 600 muscoli).
COME IMPARARE
NORDIC WALKING
Per praticare il Nordic Walking e riuscire a godere di
tutti i suoi benefici, è importante imparare la tecnica corretta.
Partecipare ai corsi organizzati dagli “Instructor “Instructor
ANWI” AANWI” con il certificato internazionale dell’IN- dell’IN-
WA, WWA,
(International Nordic Walking Association)
è il miglior modo per cominciare.
Gli “Instructor ANWI”, gli unici titolati ad
insegnare in Italia il vero e corretto “Nordic
Walking WWalking
originale”, utilizzano un sistema di
insegnamento con cui si impara non soltanto soltanto
la tecnica, ma anche come muoversi meglio,
correggere correggere la postura e controllare tutto il
corpo. Al termine del corso rilasciano
l’apposito l’apposito diploma con il titolo di
“Nordic Walker” che permetterà
la partecipazione privilegiata
agli eventi, convegni,
viaggi, vviaggi, corsi istrut- istrut-
tori ecc.
In copertina a questo articolo: cigni nel Pian di Spagna. Foto Marino Amonini.
A fianco: la tecnica del Nordic Walking. Foto M. Amonini.
B ASSA VALLE
PARTENZA: dal ristorante “Beccaccino” (Sorico), in sponda sinistra della Mera.
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Sondrio a Morbegno per la SS 38 e da qui alla rotonda di Nuova Olonio per la
Pedemontana. Attraversare il passaggio a livello di fronte alla rotonda e proseguire sino al termine del rettifilo ove
si incrocia la strada proveniente dal Trivio di Fuentes appena prima del Ponte del Passo. Attraversare l’incrocio
e proseguire diritti per la via Boschetto (di fronte) per circa un km, sino al “Beccaccino” (chiedere eventuale
autorizzazione a sostare).
ITINERARIO SINTETICO: Ristorante “Beccaccino” – Fortino d’Adda – ponte sul canale Borgofrancone – sponda nord
dell’Adda – foce dell’Adda. Ritorno per lo stesso itinerario al Ristorante “Beccaccino”. 14 Km A/R.
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 3 h e 30’.
ATTREZZATURA RICHIESTA: -
DIFFICOLTÀ: 0 su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 0 metri.
DETTAGLI: Guide e carte: “Guida
Turistica della Provincia di
Sondrio ”, B.P.S. II edizione
2000 - Bianchi G. Ferranti
R. “Pian di Spagna Lago
di Mezzola” Lyasis 2004,
Sondrio – “Riserve naturali
della Lombardia” Scotti
S.p.A. Milano - Kompass
n. 92 “Chiavenna – Val
Bregaglia” 1:50.000.
LE MONTAGNE DIVERTENTI PIAN DI SPAGNA - 61

IL LUOGO
Pian di Spagna, un nome che
incute un certo timore, una sorta di
riverenza per questo “strano” luogo
che tutti sanno dove si trova, ma che
in realtà pochi hanno effettivamente
avuto il piacere di visitare. Pare addirittura
di trovarsi in un altro paese;
castelli su promontori a dominare
l’ampia pianura alluvionale punteggiata
d’alberi, acquitrini e canneti,
laghi e corsi d’acqua popolati di
anatre e cigni, catene montuose imponenti
le cui pendici si raccordano
bruscamente con il piano stesso e gli
fanno da cornice.
Uno scenario certamente insolito,
che evoca tempi lontani, di
manieri che spuntano tra le nebbie
che si dissolvono al sole, scene
di battaglie a cavallo secondo gli
antichi riti, di corti e balli sfarzosi,
ma anche tornei di caccia con archi
e frecce o coi falconi. Lasciando
libera la mente è ancora possibile
immaginare tutto questo quando ci
62 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
E SCURSIONISMO
6 gennaio 2008: il Pian di Spagna e il Lago di Novate visti da Dascio. Foto R.Moiola.
si trova immersi in questo lembo di
pianura stretta tra il Lario e il Lago
di Mezzola. La piana si è formata nei
secoli recenti in seguito ai continui
apporti di materiale alluvionale depositati
dai fiumi Adda e Mera, che
da tempi immemori scorrono pigramente
nelle rispettive Valtellina e
Valchiavenna.
IMPORTANZA
STORICA
Il Pian di Spagna è ricco di implicazioni
tra la geografia delle due
valli e la loro storia.
Sin dai tempi dei Romani fu crocevia
di rotte commerciali, di idee
ed eserciti in movimento per e dal
centro-nord Europa. L’ubicazione
in direzione del passo dello Spluga,
uno dei valichi più veloci per l’attraversamento
dell’arco alpino, ha reso
il piano un luogo strategico per il
controllo del territorio circostante.
Ciò è testimoniato dalla presenza di
diversi e differenti resti di opere di
fortificazione, quali il forte di Fuentes
(che nulla ha a che vedere col centro
commerciale), il fortino d’Adda e il
più recente forte Lusardi.
INTERESSE
ATTUALE
Oggi l’importanza del Pian di
Spagna riguarda soprattutto l’aspetto
naturalistico in quanto costituisce
un punto cruciale di incontro e di
transito dell’ornitofauna migratoria
diretta o proveniente dal nord
Europa. I volatili trovano nelle aree
umide che caratterizzano il Pian di
Spagna un luogo ideale di sosta. Qui,
durante il periodo di svernamento,
si possono osservare diverse specie
di uccelli legate alle zone umide;
tra questi, diverse specie di anatre,
Primavera 2008
aironi cenerini, folaghe ecc...
La particolare attenzione posta a
quest’area risale al 1971, anno in cui
a Ramsar (Iran), in occasione della
“Conferenza internazionale sulla
Conservazione delle Zone Umide e
sugli Uccelli Acquatici” fu siglata la
“Convenzione sulle Zone Umide di
importanza internazionale, soprattutto
come Habitat degli Uccelli Acquatici”
la quale riconobbe alle stesse
il ruolo di ambienti ad elevata naturalità
da tutelare. Seguirono diverse
vicende istituzionali che videro, tra
le tante, nel 1983 l’istituzione della
“Riserva Naturale Pian di Spagna –
lago di Mezzola” (l.r. 30/11/1983,
n. 86) e nel 1996 l’approvazione del
“Piano della Riserva”, primo strumento
operativo per la conservazione
attiva dell’area in oggetto.
Interessi storici e naturalistici
si fondono pertanto in quest’area
purtroppo oggi pesantemente trasformata
dallo sviluppo e dalla speculazione
urbana e viaria.
L’area è spesso considerata solo
come un luogo da attraversare in
fretta per raggiungere centri di
vacanza più blasonati, ma che in
fondo sono anche più caotici e stressanti.
Presso la Sede del Consorzio
Riserva Naturale Pian di Spagna
e Lago di Mezzola sono reperibili
tutte le informazioni indispensabili
sia riguardo ai differenti regimi di
tutela alle quali sono sottoposte le
aree, sia riguardo al comportamento
da adottare durante le visite; in ogni
caso lungo i tre percorsi consentiti,
oltre la consueta segnaletica verticale,
sono disposti diversi pannelli con informazioni
e prescrizioni. E’ praticamente
impossibile sbagliarsi e tanto
meno perdersi, anche perché tutti gli
itinerari prevedono andata e ritorno
per lo stesso percorso.
Il Percorso Naturalistico Sud che
vi proporremo si svolge interamente
nella parte sud orientale della Riserva
lungo il perimetro delle aree protette,
pertanto non necessita della presenza
di una Guida autorizzata dal Consorzio.
Il tracciato è tutto in piano, facile
anche se un po’ lungo. E’ privo di
pericoli e può essere percorso anche
in bici o a cavallo, persino con figli e
nonni al seguito!
ITINERARIO
Prima del Ponte del Passo, in corrispondenza
della rotonda, si prende
la strada che scende lungo la via Boschetto
(1 km ca.) e corre parallela
alla sponda sx della Mera. Lasciate le
auto in prossimità del ristorante “Beccaccino”,
si percorre un breve tratto
sull’asfalto mantenendo la stessa direzione
di provenienza.
Appena sotto il piano stradale, tra
le fronde degli alberi e i radi canneti
lungo gli argini del fiume Mera, si
scorgono i primi esemplari di cigno
reale. Di fronte, sulla riva opposta,
è l’abitato di Sorico. Si imbocca successivamente
una sterrata (sx) che at-
Il Pian di Spagna e il Lago di Novate all’alba. Foto E. Minotti.
traversa una zona a bosco di robinie;
un cartello indica la direzione per la
“Cascina Rebuschini”. Si procede in
questa direzione e, dopo circa 1 km, si
esce all’aperto fra prati e campi coltivati
a mais. Si svolta a sx e si prosegue
sempre su strada sterrata in direzione
NE; man mano che si avanza si
profila nitido l’inizio del crinale retico
che sale al monte Bassetta e separa la
Valchiavenna dalla Valtellina. Ancora
più lontano compare, oltre la colma
di Dazio e sopra il Passo dell’Aprica,
il gruppo del Corno Baitone (Adamello).
In prossimità delle Stalle Polledrotti
sorge il “Fortino d’Adda”,
antica struttura difensiva che assieme
al Forte di Fuentes e al fortilizio sopra
Sorico, fungeva da avamposto rivolto
verso Chiavenna e monitorava i potenziali
invasori provenienti da N (i
Grigioni); attualmente di proprietà
privata, è adibito a mansioni agricole,
ma sono ancora ben visibili le strutture
di rinforzo disposte alla base e le
aperture per le bocche da fuoco.
Dal fortino si procede, sempre tra
prati e campi, in direzione S sino ad
incontrare il ponte sul canale Borgofrancone.
Il canale fu costruito in
epoca austriaca per raccogliere le acque
provenienti dal Legnone, che venivano
in questo modo ritenute all’origine
delle pianure di Colico, mentre
in precedenza confluivano con quelle
del Pian di Spagna. In questo tratto
lo sguardo può spaziare tutto intorno
a 360 gradi, dal monte Berlinghera
sopra il lago di Mezzola (NO), alle
valli Codera e dei Ratti sovrastate
dall’inconfondibile massiccio squa-
LE MONTAGNE DIVERTENTI PIAN DI SPAGNA - 63

Attrezzatura per il NW
C
Come per qualsiasi altro sport,
al fine di conseguire risultati ottimali
ed evitare conseguenze negative per
il corpo, è importante scegliere l’attrezzatura
giusta anche per praticare
il Nordic Walking.
Occorrono dei buoni bastoncini
e ottime scarpe da walking, adatti
alle proprie dimensioni corporee e
alla capacità di movimento.
I bastoncini devono essere
quelli specifici da Nordic Walking,
caratterizzati da leggerezza e flessibilità,
ergonomicità dell’impugnatura
e praticità del lacciolo, dotati di
puntale con apposito gommino per
la progressione sull’asfalto. L’altezza
teorica del bastoncino è 0,68 volte
l’altezza dell’individuo. Le misure in
commercio sono standardizzate con
64 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
intervalli di 5cm (100cm, 105cm,
110cm ...). Nella scelta definitiva
dell’altezza del bastoncino, nel caso
la vostra altezza teorica risultasse
intermedia, occorrerà considerare
anche la mobilità delle articolazioni,
le proporzioni del corpo e degli arti.
Sono sconsigliati i modelli a lunghezza
regolabile perché più pesanti
e sbilanciati, oltre che poco pratici.
Le scarpe devono essere del
numero giusto ed avere una buona
calzabilità. Devono fornire un perfetto
supporto al piede. Se necessario
essere anche correttive. La flessibilità
e il sostegno debbono risultare nei
punti giusti per offrire una buona
capacità di “rullaggio
del piede”. Una
buona scarpa da
Il tuo istruttore
Beno
Nicola Giana è nato a
Sondrio nell’agosto del 1962.
Scrivere in poche righe qualcosa
su questo nuovo collaboratore della
rivista non è cosa facile, visto che
Nicola è uno di quelli che, spinto
dalla sete di conoscenza, ha visitato
mille paesi e svolto innumerevoli
mestieri (guardiaboschi, insegnante,
architetto ...).
La sua infanzia è trascorsa sui
monti in alta Valmalenco, luoghi
che hanno spinto i suoi sogni verso
i grandi spazi ignoti e legato il suo
cuore alle montagne.
La profonda passione per i lavori
manuali e di campagna sono eredità
di famiglia che tutt’ora coltiva a
fianco di molteplici altri interessi.
Presso la Sezione Valtellinese
del C.A.I. ha conseguito i titoli di
Istruttore di Scialpinismo e Istruttore
di Neve e Valanghe, prestando
contributo volontario
alle diverse
iniziative promosse
dalla stessa.
Nicola è Accompagnatore
di Media
Montagna dal
1998 e Istruttore di
Nordic Walking dal
2006.
Svolge la
libera professione
tenendo incontri
didattico-culturali
e organizzando gite ed escursioni sul
territorio per i ragazzi delle scuole
di ogni ordine e grado. Insegna
Nordic Walking e organizza escursioni
a vario livello specifiche per la
pratica dello stesso.
Da diversi anni persegue una
ricerca personale e un impegno tesi
ad approfondire e divulgare la co-
N ORDIC WALKING
camminata deve fornire spazio sufficiente
per le dita dei piedi e supporto
adeguato sul tallone, avere una suola
solida e con buona aderenza.
L’abbigliamento a strati è d’obbligo,
perché molto pratico. Ovviamente,
la combinazione degli strati
dovrà tener conto delle circostanze
climatiche, delle condizioni di forma
fisica, del metabolismo e la tolleranza
al caldo e al freddo che sono diversi
per ciascuno di noi.
Infine, può risultare utile uno
zainetto con capacità massima di 10
litri per riporvi guanti, berretta, borraccia
per l’acqua e qualche barretta
energetica o, meglio, pane e salame.
Nicola Giana.
noscenza diretta delle nostre valli e
tradizioni, condizione indispensabile
per evitare lo scempio che oramai
si riscontra in maniera continua e
diffusa sul territorio valtellinese.
CONTATTI:
Nicola Giana ......... 3408958565
www.freevaltellina.it
www.anwi.it
Primavera 2008
drato del Sasso Manduino (NE), al
monte Legnone con la sua incombente
parete N (S). Sempre più evidenti
si mostrano gli interventi di bonifica e
le attività agricole che hanno trasformato
questo lembo di terra; dentro i
recinti mucche e cavalli assistono imperterriti
al nostro passaggio.
Si costeggia per un breve tratto il
tranquillo canale bordato dagli steli
slanciati delle canne, poi ci si dirige
verso S. Si sale sul terrapieno dell’argine
dx dell’Adda e lo si percorre sino
in fondo, laggiù dove il fiume entra
nel lago di Como. Anatre e folaghe
sull’Adda, cigni negli stagni, in particolare
nel tratto oltre l’osservatorio ornitologico
della “Lodoletta”. I questa
stazione vengono catturati gli uccelli
per inanellarli e successivamente studiarli
nei loro spostamenti. Con un
po’ di fortuna, si potranno osservare
il martin pescatore e l’airone cenerino
intenti alla pesca.
Una meritata sosta sulle sponde
del lago rilasserà il corpo. La mente
avrà modo di “navigare” sulle note
dello sciabordio dell’acqua contro
i massi della scogliera. Lo sguardo
indugerà lontano alla ricerca di un
oggetto da seguire nel silenzio.
Scattate le foto di rito, per lo
stesso itinerario si ritorna alle auto. E
per concludere la giornata: un piatto
tipico a base di riso col pesce persico
in un ristorante del luogo.
B ASSA VALLE
Barca al lago di Novate. Foto E. Minotti.
Lungo il terrapieno dell’Adda. Foto Sceresini Maristella.
Un pettirosso maschio fra le fronde degli alberi del Pian di Spagna. Foto E. Minotti.
LE MONTAGNE DIVERTENTI PIAN DI SPAGNA - 65

N ATURA
La bonifica del piano e
Sergio Scuffi
i furmentóon
Nella prima metà dell’Ottocento
gli Austriaci diedero inizio alla
costruzione degli argini per regolare
ed incanalare i corsi d’acqua del Pian
di Spagna. Ciò consentì di sfruttare
in modo più regolare ed intenso vasti
appezzamenti di terreno. In parte
erano lasciati a prato per la produzione
del foraggio per i bovini, in
parte destinati ai seminativi, primo
fra tutti il granoturco (furmentóon).
Fu un progresso del sistema agricolo
che si affrancò dai soli ed esigui
terrazzi strappati faticosamente alla
montagna con un lavoro incessante
che impegnava più generazioni.
Il granoturco fu intensamente
coltivato fino all’ultimo dopoguerra,
e forniva la farina per polenta, che
era l’alimento principale nei nostri
paesi. Si arrivava addirittura a consumarla
tre volte al giorno, da cui
il detto: desc.dòtt pulènt e pö l’è induménighja
1 , diciotto polente e poi
arriva la domenica (occasione, finalmente,
per cambiare menü!).
La coltivazione del granoturco
cominciava in autunno con la concimazione.
Quindi venivano l’aratura
e la semina, quasi sempre affidata alle
donne che, munite di un grembiule
rovesciato a mo’ di sacca (sc.cusèda) e
di una zappetta, interravano i semi.
Quando le piantine raggiungevano
l’altezza di pochi centimetri, c’era
la prima sarchiatura (sciarlè dàla
prüma): si passava con un leggero
aratro (cultivéta, sciàrla), quindi si
toglieva pazientemente l’erba fino
all’ultimo filo con la zappa e le
mani. Durante la seconda sarchiatura
si procedeva al diradamento
delle piantine e al trapianto ove vi
fossero spazi vuoti (binè, sciarlè dàla
1 Note per la pronuncia:
sc. si legge come sc di scena, scienza ecc. Il punto
serve a separare dal suono della consonante successiva
(sc.fuiè, sc.pazè, sc.tàla…).
ghj (e anche chj) sono suoni tipici del dialetto
del “brì”, difficili da definire se non sentiti a viva
voce.
6 maggio 2007, la superficie agricola del Pian di Spagna. Foto E.Minotti.
La bonifica della piana, avviata nell’800 degli Austriaci, si è conclusa solo a metà del secolo scorso.
segónda).
Le piante venivano lasciate a
sè stesse fino a settembre-ottobre,
quando le si mondava dalle foglie
secche, tagliando anche la cima
(magliàscc) al di sopra della pannocchia:
questo fogliame (maéra),
serviva come alimento delle mucche.
Raggiunta la maturazione, tra fine
ottobre e l’inizio di novembre, si
procedeva finalmente al raccolto
delle pannocchie, subito liberate
dall’attaccatura che le aveva unite al
culmo (desc.cucugè).
Nelle serate autunnali si liberavano
le pannocchie dalle brattée più
esterne (sc.fuiè): in cucina, tutta la
famiglia si disponeva in tondo per la
“sfogliatura”. Spesso erano presenti i
vicini (fè a idàss: lavorare, a turno, in
casa di uno o dell’altro) ed era l’occasione
per raccontarsi storie, proporre
indovinelli, cantare in coro,
cuocere qualche pentola di castagne
(farü). Accumulata una certa quan-
tità di pannocchie le si legavano a
mazzi con un legaccio ricavato da
rametti di salice (salescíin). I ragazzi
trasportavano i mazzi di pannocchie
sul ballatoio in legno (lòbia) al quale
sarebbero stati appesi qualche mese
ad essiccare. Infatti, era convinzione
fino agli anni ‘60 che la pellagra
fosse causata da un fungo presente
sulle pannocchie di grano non ben
essicato e non troppo maturo 2
Giunti a gennaio-febbraio, le
pannocchie, ormai ben essiccate,
venivano ritirate e sgranate (fè sgiò
i furmentòon). I chicchi venivano
portati per la macinazione ai numerosi
mulini ad acqua, alimentati
dai canali scavati secoli fa dai nostri
antenati.
2 PELLAGRA: malattia che colpisce le popolazioni
povere, specialmente per uso prolungato di
granoturco alterato e che si manifesta con eruzioni
cutanee e poi con disturbi di digestione e
mentali... [dal Dizionario “Palazzi”, 1960].
In realtà la malattia era dovuta a carenza di vitamina
PP, tipica delle diete a base di mais.
LE MONTAGNE DIVERTENTI PIAN DI SPAGNA - 67

68 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
N ATURA
LE NOSTRE TRADIZIONI
Samolaco deriva la sua denominazione
dall’ originaria collocazione
in Summo lacu: in età romana,
difatti, il Lario arrivava fin lassù.
Poi, coi secoli, gli accumuli dovuti
alle continue alluvioni del Mera lo
hanno fatto retrocedere fino al suo
attuale limite, mentre quelli dell’Adda
hanno creato il Pian di Spagna,
dividendo il Lago di Como da quello
di Novate.
Samolaco conserva ancora alcune
testimonianze dell’antica civiltà contadina.
Innanzitutto molti dei vecchi
nuclei, sparsi al piede della montagna
o disseminati fra le pendici montuose
e spesso seminascosti dalla vegetazione
che ha preso il posto dei coltivi,
sono costituiti ancora per la gran
parte dai semplici e rustici fabbricati
del passato. La loro condizione, nella
maggior parte dei casi, è purtroppo
quella dell’abbandono e del conseguente,
irrimediabile degrado: si
tratta delle rustiche abitazioni, delle
stalle, dei cascinali adibiti alla conservazione
e lavorazione di alcuni
prodotti della terra.
Caratteristiche sono le lòbie,
ballatoi in legno che ricoprivano
quasi tutte le facciate delle case,
anche su più piani, e che ancora si
possono ammirare soprattutto nelle
frazioni di Era e Casenda.
Il granoturco, sia pure in quantità
modesta, viene ancora coltivato
da molte famiglie; l’essiccazione,
però, avviene in modo più comodo
e sbrigativo, semplicemente lasciando
le pannocchie sparse su qualche
Sergio Scuffi
vecchio pavimento in legno o sul
solaio.
Solo alcuni hanno conservato il
gusto (e la pazienza) per continuare
ad appendere i mazzi di pannocchie
“sfogliate” alle “lobie”: vederle, con
il loro caldo colore giallo-arancio,
è davvero uno spettacolo da non
perdere. Si possono ancora ammirare
soprattutto nella frazione di
Casenda, raggiungibile con una
breve deviazione a sx (per chi proviene
da Novate Mezzola) subito dopo
l’attraversamento del Ponte Nave.
Sopra: mazzi di pannocchie esposti sulle
“lòbie” ad essiccare durante i mesi invernali.
Foto R.Moiola.
Nella pagina a fianco: Samolaco, durante la
sfogliatura. Foto S.Scuffi.
Primavera 2008 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE LOBIE - 69

L’ULTIMO DEGLI ARTIGIANI:
Gioia Zenoni
70 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
IL RAMIERE
Verba volant scripta manent (trad.
I parola ai gula, i laù šcrivüt giù ai
rešta). Ma certe cose anche se scritte
svanirebbero comunque. Le tecniche
tramandate di padre in figlio costituiscono
un bagaglio di conoscenze che
sfuggono alla classificazione di qualsiasi
manuale. Il loro segreto è nella
precisione dei gesti, nell’esperienza
acquisita in anni di osservazione e di
lavoro a quattro mani, un maestro e
un allievo, en mastro e ‘n bocia.
Oggi, però, questo sapere straordinario
rischia di prendere il volo e
andare perso per sempre, perché gli
artigiani con la A maiuscola, quelli
che come diploma hanno sulle mani
i calli di chi plasma un manufatto
dalla materia prima al prodotto
finito, si stanno estinguendo. Sono
sempre più rari i giovani disposti ad
assumere sulle proprie spalle questa
pesante, ma preziosa eredità.
Giovanni Mazzoleni impegnato nella battitura
di una pentola di rame.
A fianco: un pezzo che viene scaldato alla
fucina. Foto Ruffoni/Moiola.
Morbegno, 11 gennaio 2008.
Al numero 7 di via Damiani c’è la
bottega dell’ultimo degli artigiani del
rame, Giovanni Mazzoleni. Ultimo
in Valtellina e nel lecchese. A Lecco,
sessant’anni fa, c’erano una cinquantina
di botteghe di ramieri, oggi in
tutta la Lombardia si possono contare
sulle dita di una mano.
Alla parete è appeso un motto,
significativo dello spirito con cui
Giovanni intende la sua attività:
“Qualsiasi cosa ben fatta è
nobile per quanto umile essa sia”
Cosa serve per fare bene una
cosa?
“Nel mio campo, serve innanzitutto
essere in grado di lavorare un
prodotto dalla materia prima alla sua
Il nonno di Giovanni Mazzoleni, anch’egli artigiano del rame.
finitura. Io faccio tutto con le mie
mani: mi procuro le lamiere di rame
e le trasformo in oggetti dalle forme
e per gli usi più diversi, con un’attenzione
particolare alla decorazione.
Infatti, bisogna anche maturare
una certa manualità e una buona
tecnica se si vuole seguire al meglio
la propria forza creativa. Non ci si
improvvisa artigiani.”
Da dove nasce questa sua vocazione
per l’artigianato del rame?
“È una tradizione di famiglia,
che si perpetra da quasi un secolo. Il
primo è stato mio nonno, di Lecco,
che da ragazzo è stato a bottega da
un artigiano del rame. All’epoca, a
Lecco, c’erano una sessantina di botteghe
del rame, che veniva estratto
nella vicina Valsassina. Trasferitosi
in Valtellina, mio nonno ha aperto
Primavera 2008
la sua officina a Morbegno, dove nel
‘24 è nato mio padre. È con lui che
questo mestiere, fino ad allora finalizzato
ad ottenere oggetti più funzionali
che estetici, ha incominciato
a diventare un’arte vera e propria.
Quante discussioni con il nonno
quando lui, bocia, dava forma alle
sue idee nella ricerca del bello... Io
ho iniziato verso i quindici anni
e tutto quello che so lo devo alla
loro esperienza e alla mia passione.
Difatti, nel nostro lavoro ci sono
tecniche precise da rispettare in ogni
fase della lavorazione, e per apprenderlo
c’è bisogno di qualcuno che
insegna, ma anche di qualcuno che
voglia ascoltare.”
Dunque anche lei a sua volta
insegna la sua arte a qualcuno?
“Ho avuto tre allievi, ma nessuno
seguirà le mie orme. Anni fa ho
tenuto un corso nell’ambito di un
progetto promosso dall’Unione
Europea, che prevedeva corsi semestrali
per i mestieri che si stanno
perdendo: restauro dei mobili, lavorazione
della pietra e artigianato
del rame. Ma tutti e tre gli allievi
hanno seguito il corso per curiosità
e interesse, non per farlo diventare
un lavoro.”
Guardiamo un quadretto in
rame appeso alla parete, è il regalo
di un suo allievo che lo ha ritratto
all’opera nel suo regno. Pensiamo
che è proprio un gran peccato.
“Ci sarebbe bisogno di un
giovane che venga qui ad imparare
con la voglia di continuare il mestiere.
Quando chiuderò la bottega,
a chi porteranno il paiolo da riparare?”
Lei ha dunque un’eredità unica
da offrire, perché nessuno la raccoglie?
“Bisogna che qualcuno se ne
accorga. E pensare che a due passi
da qui c’è il liceo artistico...
Evidentemente nei giovani manca
lo stimolo. Nel mio lavoro la passione
viene prima di tutto, è quella che
ti consente di avere buoni risultati e
di conseguenza tante soddisfazioni,
anche se non si diventa dei signori
[Ma, come ci ricorda il cartello, una
cosa ben fatta è nobile e nobilita chi
la porta avanti con serietà e impegno,
ndr.].
Eppure il suo lavoro è richiesto
sul mercato...
“Come no? La richiesta di manufatti
è superiore alla mia offerta, ma
come ho già detto, non sono nelle
condizioni di poter aumentare la produzione,
né di ampliare il mercato...
Purtroppo ho solo due mani e mi
manca il dono dell’ubiquità. I pezzi
di taglia grande che mio nonno pro-
duceva non posso neanche più farli,
da solo: ad esempio la caldaia del
latte per le latterie. Non basta un
aiutante, serve anche che siamo in
due a conoscere la tecnica!”
Alziamo lo sguardo: alla parete
una foto del ’42 con il padre che
mostra orgoglioso una caldaia della
capacità di 550 litri! Ora riusciamo a
dare una dimensione al problema!
Quindi cosa produce? Le
vengono maggiormente richiesti
oggetti funzionali o ad uso decorativo?
“Nella mia bottega lavoro il rame
dalla lamiera alla finitura: dò corpo
alle mie idee, eseguo oggetti su com-
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'ULTIMO L' UL U L LT IMO IM I MO M DEGLI DEGL DEG DE D EGLI EGL EG E GLI G GLI GL G LI LII
ARTIGIANI ART R IGIANI IGIAN IGIA IGI IG I GIANI GIAN GIA GI GIA
ANI AN A NI NII
-
- 71 771
1

Donare. Una scelta per gli altri,
una scelta per sé stessi
AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO:
AVIS DI BORMIO 0342 902670
AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954
AVIS DI CHIAVENNA 0343 67297
AVIS DI LANZADA 0342 452633
AVIS DI MORBEGNO 0342 610243
AVIS DI POGGIRIDENTI 0342 380292
AVIS DI SONDALO 0342 801098
AVIS DI SONDRIO 800593000
Associazione Volontari Italiani Sangue
La battitura serve a sagomare l’oggetto e a temprarlo. Foto Ruffoni/Moiola.
Il lavoro di Giovanni Mazzoleni ha anche una fase artistica in cui l’oggetto viene decorato a sbalzo.
Foto Ruffoni/Moiola.
E i risultati sono tutt’altro che umili! Foto Ruffoni/Moiola.
missione, faccio riparazioni, restauro
pezzi antichi. Per quel che riguarda le
commissioni, non c’è una netta prevalenza,
però sono ancora un po’ più
richiesti gli oggetti funzionali come
il paiolo, la pentola per cuocere in
umido, il tegamino per le uova, la
tortiera. Certo si cerca sempre più
il bel pezzo pregiato, da esporre.
All’epoca di mio nonno, invece, la
produzione consisteva soprattutto
nel materiale del contadino: la conca,
il filtro del latte, il brentèl, la caldaia.
Avete visto quel ragazzo che è entrato
due minuti fa? Lavora in latteria, è
venuto a ritirare un filtro del latte che
gli ho aggiustato.”
E quando non potrà più portarlo
da lei a riparare, come farà?
“Lo getterà. E come lui tanti altri.
Così pian piano gli oggetti tradizionali
in rame spariranno dalle nostre
latterie e dalle nostre case. Si imparerà
a farne a meno e cambieranno
gli usi.”
Tante altre tradizioni che se ne
vanno, e un ennesimo passo verso
il sistema dell’usa e getta?
“A quanto pare sì. Per il momento,
comunque, ho il mio bel daffare: il
fonte battesimale che ho creato per
la Chiesa di Andalo è piaciuto e
ora ne vogliono uno simile anche a
Traona.”
Quanto tempo ci ha messo per
realizzarlo?
“Le forme ovali sono molto insidiose.
Una settimana di lavoro continuativo.
Per un tegamino dell’uovo
ci metto mezza giornata.”
Ma qualsiasi cosa ben fatta è
nobile per quanto umile essa sia.
Questa la grande lezione di un uomo
che ogni giorno porta avanti con un
impegno e una passione senza pari
non solo un’arte in via di estinzione,
ma una tradizione che fa parte della
storia di tutti noi.
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'ULTIMO DEGLI ARTIGIANI - 73

L’ ARTE DELLA
Testi e foto Roberto Moiola
M MACROFOTOGRAFIA
MA MACROFOTOGRAFIA
MA MACROFOTOGRA
CROFOTOGRA O O T TO
RA RAFIA RA RAF AF AFIA IAA
La primavera è un periodo
molto atteso dai fotografi di natura
e paesaggio. Questa è la stagione in
cui la natura si risveglia e con essa i
colori, che si animano di giorno in
giorno: i prati risplendono di un bel
verde tinteggiato qua e là dalle fioriture
multicolori, i fiumi ricominciano
a scorrere rigogliosi dipingendo il
quadro del paesaggio e, per i più pazienti,
è possibile assistere alla nascita
di nuova vita nel mondo animale.
Ci sono minuscoli aspetti della
natura che non vengono spesso
tenuti in considerazione, perché ritenuti
forme difficili da immortalare o
perché poco evidenti o interessanti.
Questi sono i soggetti della macrofotografia,
dove per macro si intende
qualsiasi oggetto ingrandito oltre la
metà della sua grandezza naturale.
Partiamo quindi con in mente
una visione del tutto nuova, col desiderio
d’esaltare anche la più piccola
o nascosta forma di vita.
Una volta individuato il soggetto
sarà indispensabile una buona dose
di pazienza e di riflessione prima
dello scatto.
74 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
L’ attrezzatura? Per chi possiede
una fotocamera di tipo reflex,
tra gli strumenti da tenere in considerazione
abbiamo innanzitutto
l’obiettivo macro, il dispositivo
fondamentale per questo tipo di
immagini. L’obiettivo macro è appositamente
studiato con una distanza
minima di messa a fuoco davvero
ridotta, a volte persino di pochi centimetri.
Meglio senz’altro se con una
focale dai 50mm in su: infatti, più
alta sarà la focale e, a parità di soggetto,
maggiore sarà la possibilità di
tenersi a distanza, evitando magari
di far scappare le zigene posate
sul giallissimo fiore d’arnica (vedi
foto).
Ovviamente l’obiettivo dedicato
è la soluzione più costosa, ma non
l’unica per chi non avesse la possibilità
economica. Un buon compro-
messo è dato d dalle d ll llenti i addizionali, ddi i li o
lenti close-up, appositamente studiate
per essere montate sull’obiettivo.
Queste lenti permettono una messa
a fuoco più ravvicinata rispetto a ciò
che ci permetterebbe di fare il solo
obiettivo che stiamo utilizzando; per
intenderci, le lenti addizionali equivalgono
alle lenti degli occhiali da
vista.
Altra alternativa, che ritengo
ancora migliore a quest’ultima, è
l’acquisto di prolunghe macro da
montare tra l’obiettivo e il corpo
macchina. Queste però comportano,
a differenza delle lenti,
un utilizzo manuale
della fotocamera, in
quanto vengono perse
le funzioni di autofocus.
Sarà divertente in
questo modo imparare
a utilizzare la messa
a fuoco manualmente
senza farci aiutare dall’elettronica.
Tralasciando approfondimenti
su profondità di campo o la
qualità delle ottiche che andremo a
utilizzare, vediamo alcune regole essenziali
per il fotografo macro:
- è indispensabile l’uso del cavalletto
e mano ferma; meglio scattare
con opzione autoscatto impostata
al minimo dei secondi per evitare
la vibrazione del dito al momento
dello scatto;
- non fotografare se le condizioni di
luce non lo permettono. Solitamente
è molto difficile avere immagini
a fuoco se non vi è il sole a
illuminare il fiore o
la farfalla;
Farfalla su macroglossa stellatarum.
Primavera 2008
F OTOGRAFIA
- chiudere h d il l più possibile b l il l ddiafram f
ma per aumentare la profondità di
campo;
- come già detto meglio obiettivi a
focale più lunga e tenere una certa
distanza dal soggetto;
- evitare fotografie in giornate con
vento anche a regime di leggera
brezza: le foto vengono mosse.
Chiudo col dire che tale tipo
di fotografia non è esclusivamente
per chi possiede attrezzatura di tipo
reflex, dato che al giorno d’oggi le
moderne macchine digitali compatte
permettono di mettere a fuoco a
distanze sorprendentemente brevi e
hanno il pregio di avere un monitor
che facilita enormemente l’inquadratura
a differenza dello scomodo
mirino delle reflex. Teniamo infatti
presente che dovremo talvolta sdraiarci
o trovare posizioni impossibili
per poter inquadrare un oggetto
minuscolo, quando una fotocamera
compatta con monitor ruotabile
ci eviterebbe questo calvario. Si
perderà un po’ in qualità, ma si avrà
la schiena salva!
Gocciolone d’acqua su petali.
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'ARTE DELLA FOTOGRAFIA - 75

76 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
B ELLI
La primavera è certamente
la stagione più romantica. Aromi e
colori si diffondono e si mescolano
con sapiente alchimia, deliziando
così i nostri sensi.
I fiori a volte hanno davvero
colori splendidi e le bacche sono invitanti,
ma a tanta beltà non sempre
corrisponde anche la giusta dose di
bontà... come a dire che spesso l’abito
non fa il monaco.
ACONITUM NAPELLUS
(Aconito napello o Cappuccio del monaco)
L’aconito è un’erba perenne che
fiorisce con uno splendido elmetto di
colore blu intenso nelle regioni montane
d’Europa; può raggiungere l’altezza di
due metri ed è una pianta ornamentale
abbastanza comune. Un bellissimo fiore
che nasconde però un’anima terribile;
infatti le sue radici contengono fino al
1,5% di alcaloidi tra i quali una sostanza
molto pericolosa chiamata aconitina;
tale sostanza si trova, anche se in percentuali
più basse, in tutte le parti della
pianta e agisce sul sistema nervoso sia
centrale che periferico stimolandolo e
poi paralizzandolo.
In alcuni paesi si usano preparazioni
per uso topico (tinture) a base di aconitum
contro le nevralgie come analgesico
grazie all’azione soppressiva sul sistema
nervoso, tuttavia è da evitare in maniera
categorica l’uso interno poichè 3 milligrammi
di aconitina possono causare
nausea, vomito, perdita della sensibilità
della bocca, abbassamento della temperatura
corporea con dolore generalizzato
fino ad arrivare a morte per paralisi
respiratoria senza alterazione dello stato
di coscienza; divertente eh? Direi che
non c’è proprio da scherzare!
Fate una bella foto, contemplate la
bellezza del paesaggio circostante ma
lasciate l’aconito dove si trova e sarà
molto meglio sia per lui che per voi!!
Aconito Napello all’Alpe Fora (agosto 2007).
Foto Beno.
Primavera 2008
BELLI DA MORIRE
VERATRUM ALBUM
(Veratro o Elleboro bianco)
Veratro. Foto Franco Benetti.
Il veratro è una pianta annuale
molto comune nei pascoli alpini; ha
grandi foglie ellittiche lanceolate e
fiori bianco-verdi non molto vistosi
riuniti in pannocchie.
La radice contiene delle sostanze
alcaloidi dette “protoveratrine” che
sono dotate di azione ipotensiva e
bradicardizzante (rallenta il battito
cardiaco) tanto da venire usate un
tempo nei casi di ipertensione grave.
Questa pianta nasconde la sua pericolosità
dietro alla sua somiglianza
(se non fiorita) con la “Gentiana lutea”
o genziana maggiore, molto utilizzata
per la preparazione di grappe e amari
digestivi.
Oggi i principi attivi del veratro
non vengono più usati a scopo terapeutico,
anche perchè il dosaggio
terapeutico e quello tossico sono
molto vicini e un’eventuale intossicazione
non è cosa da poco: “les
entrès” sono bruciore alla bocca e
aumento della salivazione per arrivare
a vomito, gastroenterite accompagnate
da tremori; a seguire
abbassamento della pressione arteriosa
con rallentamento del ritmo
cardiaco; di secondo abbiamo depressione
respiratoria e broncocostrizione
e, per chiudere, un bel collasso.
ATROPA BELLADONNA
(Belladonna)
Belladonna.
La belladonna è un erba perenne
che può raggiungere il metro di
altezza che appartiene alla stessa famiglia
della patata e dei pomodori (le
solanacee). Tutta la pianta è velenosa
e contiene diverse sostanze tra le quali
la josciamina, che quando estratta dà
origine all’atropina e ha come principale
azione farmacologica quella di
inibizione del sistema nervoso vegetativo
parasimpatico (diminuzione
secrezioni e rilassamento della muscolatura
liscia gastroenterica).
Dott. Giordano Gusmeroli
Vertigini,
delirio
antropinico,
convulsioni e
coma
Dalla belladonna si possono estrarre
quindi diversi principi attivi sicuri e
usati per la cura di diverse patologie.
La pianta produce delle bacche
scure simili per dimensioni a delle ciliegie
che un tempo venivano utilizzate
nei preparati di bellezza femminili
per via dell’effetto di dilatazione sulle
pupille (midriasi) che produce il loro
succo.
Ma le belle bacche dall’aspetto
succoso e invitante possono rivelarsi
fatali se ingerite accidentalmente:
nausea e vomito sono seguiti a breve
distanza da tachicardia e secchezza
delle fauci, poi dispnea (irregolarità
della respirazione), vertigini, “delirio
atropinico” convulsioni e coma. Tutto
questo può esservi servito da due o tre
bacche se siete bambini e da poco più
di una decina se siete adulti forti e vigorosi.
LE MONTAGNE DIVERTENTI BELLI DA MORIRE - 77

78 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
N ATURA
Lo spazio dei lettori
Quante segnalazioni, racconti e
fotografie abbiamo ricevuto in questi
mesi dai nostri lettori!
Abbiamo così pensato di creare
una piccola rubrica all’interno della
rivista dove pubblicare le vostre creazioni,
uno spazio in cui sceglieremo
la foto più bella e la poesia/racconto
più affascinante fra quelli che avremo
ricevuto.
Nel prossimo numero verranno
avvantaggiate le opere che riguarderanno
l’estate.
Mandate il vostro materiale a:
foto: info@waltellina.it
testi:
info@lemontagnedivertenti.com
MONTAGNE
Giovanna Zawadski
Verdi, bianche, dorate…...incantate…
di pascoli fioriti trapuntate.
Cattedrali maestose, piramidi
austere……chimere!!
Torrioni arroccati, guglie cesellate
proiettate verso cieli infiniti, tramonti
incandescenti.
Vertiginose muraglie di ghiaccio opalescente
sospese sul mondo distante. Assente.
Pareti levigate, dalla furia dei venti strigliate
lente scivolano nell’abisso sottostante.
Creste frastagliate, pizzi cristallini
lucenti si stagliano all’orizzonte
nel limpido universo azzurrino.
Sotto un candido velo di vaghe nuvole
a manto disteso come tante spose.
Spose amanti di principi arditi…
Elleboro (helleborus niger o rosa di Natale). Foto Giovanna Zawadshi.
ultima dimora dei suoi eroi traditi.
Magnetica dimensione verticale verso
l’Assoluto.
Sublime anelito di alti ideali col sangue
scolpiti
sulle sacre pietre degli antri per sempre
custoditi.
Silenti testimoni della storia……
di vita, passioni, vani olocausti
lapidi intrise di umana gloria.
Nell’animo conteso……
forte è il richiamo dell’invicta cima
ma ancor più sofferta è la salita
verso l’insormontabile vetta della rinuncia……
e conquistare alfine col cor compresso
il traguardo più arduo ma assai più prezioso
: LA VITA !!!
Primavera 2008 LE MONTAGNE DIVERTENTI LO SPAZIO DEI LETTORI - 79

GIOCHI GIOCHI GIOCHI GIOCHI GIOCHI GIOC OCHI GIOCHI GIOCHI GIOCHI GIOCHI GIOCHI
80 0 - LE MONTAGNE M MMONTAG
ONTAG ONTA ONT ON O NTAG NTA NT N TAG TA T AG NE N DIVERTENTI
DIVERT IVERT IVER IVE IV I VERT VER VE V ERT RT R ENTI ENT EN E NTI NT N TI
Ma ‘n gh’el ??
Com’è cambiata la nostra valle, certi posti sono irriconoscibili se visti da vecchie cartoline o fotografie. Solo analizzando
dei piccoli particolari nell’immagine si riesce a risalire alla località.
Se sei un attento osservatore, indovina
dove fu scattata questa foto.
Il più veloce dalle ore 12:00 del 21
Marzo 2008 vincerà l’esclusivo marsupio
di “Le Montagne Divertenti”.
Il secondo classificato porterà a casa
il cappellino.
ATTENZIONE: le risposte date in anticipo
verranno ritenute nulle.
Manda le tue risposte a
concorsi@lemontagnedivertenti.com
oggetto della mail: “ma ‘n gh’el”
LA TESTATA
Il gioco lo conoscete bene cari amici. Dovete indovinare da dove ho scattato questa foto e i nomi con relativa quota delle 13
cime indicate in questa panoramica.
Non è più una foto fatta da una vetta, ma come ci ha consigliato l’amico Fulvio Mescia, abbiamo deciso di porci in un punto
accessibile a tutti, un punto in basso, un giorno qualunque...
1 2 3 4
Primavera Prim Pri P i aver ver vee a 2008 20 2 08 0
Ma ch’el ??
I nostri avi avevano grande fantasia e abilità nel creare utensili.
E, dall’esito del “Ma ch’el” del numero precedente, direi che anche voi avete un ottimo senso pratico.
Abbiamo così alzato il livello di difficoltà... Si tratta di capire che cos’è l’oggetto fotografato e a cosa può servire...
Se sei un attento osservatore, rispondi
correttamente alle domande su questo oggetto.
Il più veloce dalle ore 12:00 del 21 Marzo
2008 vincerà l’esclusivo marsupio di “Le
Montagne Divertenti”. Il secondo classificato
porterà a casa il cappellino.
ATTENZIONE: le risposte date in anticipo
verranno ritenute nulle.
Che cos’è?
A cosa serve?
Manda le tue risposte a
concorsi@lemontagnedivertenti.com
oggetto della mail: “ma ch’el”
MISTERIOSA
Al più veloce andrà UNA SPLENDIDA MAGLIETTA TECNICA MIZUNO BREATH THERMO, il tessuto che si scalda col sudore, offerta
da Sport Side a Sondrio - Via Tonale 27.
Inviate la soluzione a partire dalle ore 12:00 del 21 marzo 2008 a concorsi@lemontagnedivertenti.com con oggetto “La
testata misteriosa”.
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LE MONTAGNE M
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LETTORI LE TT ORI OR O RI -
- 81 881
1

82 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Vincitori & Vinti
I giochi del numero Inverno 2007
hanno avuto un’enorme partecipazione,
nonostante la difficoltà degli
stessi.
Iniziamo con il più impegnativo:
la famigerata Testata Misteriosa.
Luca Ruffoni ha risolto l’enigma
in pochissimo tempo, aggiudicandosi
la splendida foto panoramica
incorniciata. Userò le sue parole nel
darvi la soluzione:
La foto è stata scattata dalla Cima di
Castello (m 3386)
Le 19 cime sono:
1- Pizzo del Ferro Orientale (m
3200)
2- Pizzo del Ferro Centrale (m 3287)
3- Monte Rosa (m 4634)
4- Pizzo Cengalo (m 3367)
5- Ago di Sciora (m 3205)
6- Pizzo Platta (m 3392)
7- Piz Julier (detto anche Piz Guglia
in italiano) (m 3380)
8- Piz Kesch (m 3418)
9- Pizzo Corvatsch (m 3451)
10- Pizzo Tschierva (m 3546)
11- Pizzo Morteratsch (m 3751)
12- Pizzo Bernina (m 4049)
13- Cresta Guzza (m 3869)
14- Cima di Vazzeda (m 3301)
15- Cima di Rosso (m 3366)
16- Pizzo Scalino (m 3323)
17- Pizzo Painale (m 3248)
18- Monte Sissone (m 3331)
19- Monte Disgrazia (m 3678)
82 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
12 gennaio 2008: Luca Ruffoni, vicitore della Testata Misteriosa, porta Le Montagne Divertenti negli
Stati Uniti sull’Empire State Buiding.
Ma ‘n gh’el?
E’ la chiesetta del sanatorio
Umberto I a Prasomaso, sopra Tresivio.
Era intuibile per i profili delle
vette del gruppo del Coca sullo
sfondo. L’unico ad aver indovinato è
stato Michele Battoraro di Ponte.
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11 13
Inverno 2007
Ma ch’el?
E’ un atrezzo in legno ricavato
dalla biforcazione di
due rami e chiamato “spola“
o “pal della fraschera”.
Collegato all’estremità di
una corda che faceva la funzione
dei moderni rinvii.
Serviva a legare sui carri il
fieno o i carichi di legna.
I vincitori sono Filippo
Fanoni di Sondrio e Gina Perregrini
di Talamona. Ma hanno indovinato
anche: Franco Parolini, Andrea Proh, Martino
Taloni, Antonietta Parolo, Piera Dioli, Giovanni Gianotti,
Fanchetti Germano, Agnese Romanello, Daniele Moretti,
Marchi Achille, Matteo Della Maddalena, Valentino
Grossi, Alberto Martinalli, Rampoldi Andrea ...
Ci terrei a scusarmi con tutti gli abbonati della rivista che a Dicembre si sono visti recapitare la loro copia con ritardi inaccattabili,
o addirittura non l’hanno mai vista arrivare. La colpa è delle Poste Italiane che sono letteralmente in tilt e, nonostante
offrano un servizio indecente, detengono il monopolio su questo tipo di consegne. Ci ripromettiamo di recapitare a mano
quante più copie possibile di questo numero primaverile, visto anche l’ulteriore danno economico che la situazione recherebbe
alla rivista qualora dovesse ripetersi. Grazie mille per la pazienza dimostrata (Beno).
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Primavera 2008
LE RICETTE
M IELE DI TARASSACO
Damiano Miotti
Finalmente primavera! Anche se de
marz el colt l’è amò ün po’ šcars, nelle
nostre valli finalmente cantano i cuculi
nelle selve mentre il sole, sempre più
alto sopra le Orobie, favorisce l’ultimo
remòll. I primi prati a rinverdire sono
quelli del fondovalle, per cui vorrei
proporre una ricetta particolare, che
vi porti come al solito in mezzo alla
natura alla caccia degli ingredienti migliori,
ma senza andare sü per i brich: il
“miele” di tarassaco.
Il tarassaco (Taraxacum officinale è
una pianta dalle molteplici virtù medicinali.
Uno dei suoi nomi comuni,
dovuto alla particolare forma dei lobi
delle foglie è “dente di leone”, anche
se probabilmente vi suonerà più famigliare
dendécan. In passato veniva
utilizzato per ottenere infusi e pozioni
contro i malanni di stagione, dal raffreddore
alla tisi. Le foglie hanno un
alto contenuto di vitamine A e C; se
DELLA NONNA
colte ancora fresche, sono ottime da
condire in insalata. Le radici, seccate
e macinate, possono poi essere usate
al posto del caffè o per tisane. A
noi servono i fiori, quelli gialli che
dorano i prati prima di trasformarsi
nel divertente “soffione”.
INGREDIENTI E CONSIGLI
- 150 fiori di tarassaco;
- 4 limoni, meglio se non trattati;
- 8 etti di zucchero;
- 1 litro d’acqua;
Il dendécan cresce nei prati o vicino
ai muretti dei campi: è una pianta
estremamente diffusa nella nostra
zona, quindi evitate le zone più
inquinate. Accovacciati, cogliete
150 fiori circa di tarassaco. Dopo
averli lavati e puliti con abbondante
acqua, scolateli accuratamente.
Nel frattempo procuratevi quattro
limoni, spremeteli avendo l’accortezza
di separare i semi. Triturate
anche la scorza. Mischiate ora il
tutto in una pentola con un litro di
acqua, portate a bollire a fuoco lento
per un’ora. Successivamente filtrate
la pozione e gettate i fiori e le scorze.
Aggiungete al liquido otto etti di
zucchero e mettetelo di nuovo sul
fuoco a bollire per circa 2 ore rimestando
ogni tanto, fino ad ottenere
una certa viscosità. Una volta raffreddato,
il vostro “miele” è pronto.
L’inverno prossimo vi salverà da raffreddori,
tosse, mal di gola e PM10.
Buon divertimento!
LE MONTAGNE DIVERTENTI LE RICETTE DELLA NONNA - 83

84 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
MELLO
Il più grande raduno
di bouldering in
ambiente naturale
Primavera 2008
BLOCCO
LE MONTAGNE DIVERTENTI SPECIALE MELLOBLOCCO - 85

I L BOULDERING
Andrea Pavan
Il bouldering è l’arrampicata
su massi; sport facile da praticare
sia per la semplicità delle sue regole,
sia per il costo relativamente basso
dell’attrezzatura. E’ molto divertente
e poco rischioso.
In Valtellina ci sono molte aree
in cui si possono scalare i massi,
prima tra tutte la Val Masino.
Per scalare i sassi sono sufficienti
un paio di scarpette da arrampicata,
un sacchetto con la magnesite
in polvere - per avere una presa più
salda - e un comune spazzolino da
denti per eliminare l’eccesso di magnesite
dagli appigli. Per aumentare
la sicurezza esistono in commercio
speciali materassi detti “crash-pad”
che, posizionati a terra sotto al masso
o per coprire eventuali spuntoni, attutiscono
la caduta dello scalatore.
Attrezzati di tutto punto non
resta che recarsi in un’area boulder,
che di solito non dista più di qualche
minuto dalla macchina, e, scelto un
masso più o meno alto, si individua
il percorso più interessante e lo si
prova a salire. Con un po’ di fortuna
si possono notare sulla roccia le tracce
bianche di magnesite che segnano
gli appigli; altrimenti diventa tutto
più stimolante e occorrerà un po’ di
ricerca e intuizione…
86 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
MELLOBLOCCO 2007 (FOTO CLAUDIO PISCINA)
Se il passaggio è semplice lo
si supera in breve tempo, se non si
riesce a salire non importa, si cercherà
un altro masso che magari è
più congeniale alle proprie capacità;
l’importante è scalare sui sassi godendosi
il gesto e il contesto naturale
in cui sono immersi, indipendentemente
dal grado affrontato.
Esiste anche il lato più sportivo
di questa attività: si cercano massi
difficili che in un primo momento
sembrano lisci e insalibili. Quasi
sempre dopo un attento studio compaiono
appigli e appoggi utili per
raggiungere la cima del sasso. Per i
massi più tosti è necessario possedere,
oltre alle doti tecniche, anche
doti atletiche, come la forza e la
scioltezza. Per migliorare tali aspetti
è necessario un allenamento a secco
specifico.
Altro punto di forza di
questo sport è il carattere aggregante
e scanzonato: quando si è un bel
gruppo di amici è bello e stimolante
provare assieme i passaggi e studiare
attentamente la tattica migliore e i
movimenti più adatti a superare un
tratto ostico. Più persone provano
un certo passaggio maggiori sono
le probabilità di trovare la soluzione
per salirlo, ma non è comunque
detto che si riesca a passare!
Da tenere bene a mente è
che, rispetto alla scalata con la corda,
nel bouldering quando si cade si
arriva direttamente a terra e quindi
ogni caduta deve essere ben protetta:
è importante essere almeno in due
quando si scalano i massi perché
la persona a terra deve “parare “ lo
scalatore impegnato sul passaggio.
In caso di caduta deve cercare di
frenarlo con le braccia distese verso
l’alto e poi accompagnarlo facendolo
cadere sul crash-pad opportunamente
posizionato a terra. Con questo
semplice ma importante accorgimento
si aumenta di molto la sicurezza
potendo trascorrere così belle giornate
all’aria aperta e provando forti
emozioni senza dover allontanarsi
troppo da casa .
Scalare i massi, e questo è un
mio giudizio personale, lo considero
un po’ “il germe dell’alpinismo”, è la
forma più istintiva di arrampicata.
Vedi un pezzo di roccia, un muro, o
qualsiasi cosa che può essere salita e
ne raggiungi la sua cima. Da questo
impulso di “SALIRE” nascono poi
tutte le altre forme di arrampicata,
come il desiderio di cercare la difficoltà,
l’altezza e il rischio fino a
salire le più alte pareti e montagne
della Terra, o più semplicemente può
essere un piacere fine a sé stesso 1 .
1 - Per saperne di più: Andrea Pavan, Mello Boulder
- Blocchi in Valtellina, Edizioni Versante Sud.
Alle pagg. 84-85: boulder vicino alla S del Remenno.
Foto Claudio Piscina.
Primavera 2008
COS’È MELLOBLOCCO
Nico Nic Ni NNicola ico co la l la a N NNoè
oè
Si può definire un grande,
un grandissimo raduno di persone,
un’esplosione di energia pura, di
voglia di fare, di stare insieme, un
appuntamento al buio. Si fissa la
data, si sa che è in Val Masino, ma
non esattamente dove fino a che
non si apre l’amatissima “sacca”:
una borsa in tela che contiene la
maglietta ricordo del Melloblocco®
e un’artistica mappa dei sassi della
valle ad opera di Simone Pedeferri,
arrampicatore, tracciatore, ma anche
riconosciuto pittore. È con questa
opera d’autore che il Melloblocco®
propone ad ogni partecipante
il campo di gioco, una moltitudine
di massi adagiati nei prati della Val
Masino e della Val di Mello su cui
sono disegnati con sbuffi banchi di
magnesite centinaia di passaggi dai
più facili, anche per principianti,
fino ai problemi estremi.
L’anima del Melloblocco® è la
spontaneità e la creatività dei singoli
e dei gruppi che “costruiscono”
la manifestazione, poco o nulla è
preconfezionato. La gente arriva in
Valle, l’iscrizione è un’attestazione
di presenza: non è dovuta e non c’è
un cancello d’entrata. Tanti, molti,
si aggiungono man mano durante il
giorno ai “Mellobocchisti” ufficiali,
quelli, per intenderci, dotati della
sacca della manifestazione. E ancora
altri scalano in aree diverse da quelle
proposte, prendono la corda e vanno
sulle pareti, ma poi si riuniscono la
sera, nei bar, alle feste, alle presentazioni.
La formula
Nei giorni della manifestazione
scalata libera sui blocchi segnati
sulla mappa, con speciale citazione
sia degli storici passaggi dei “Sassisti”
che dei nuovi passaggi scoperti
per l’occasione. Non ci sono punteggi
né classifica, ciascuno interpreta il
gioco a proprio modo. L’organizzazione
inoltre mette a disposizione
un montepremi su alcuni passaggi
Boulderisti allo Scivolo durante il Melloblocco 2007. Foto S.Scetti.
che considera particolarmente spettacolari,
tipicamente una decina, con
circa metà riservata alle donne. Sono
questi problemi nuovi, valutabili da
medio-difficili ad estremi, vere perle
del bouldering, capaci di appagare
anche le esigenze dei campionissimi.
Il montepremi di ciascun blocco
viene suddiviso tra chi riesce a salirlo.
Questi blocchi trovano enfasi sulla
mappa e sul campo sono contrassegnati
da ormai tipici picchetti in
legno e dalla presenza di un giudice
che registra le salite valide.
La domenica pomeriggio il
popolo dei “Melloblocchisti” si
ritrova per la cerimonia di chiusura,
con la premiazione di chi ha risolto
i blocchi duri e il sorteggio di premi
in materiale da arrampicata per tutti
gli altri 1 .
1 Età minima per partecipare è 18 anni compiuti.
Ma sono benvenuti i minori di qualsiasi età se accompagnati
da un genitore che firmi lo scarico di
responsabilità.
LE MONTAGNE DIVERTENTI SPECIALE MELLOBLOCCO - 87

L’ AMBIENTE
Michele Comi
E
Eravamo alla vigilia della
quarta edizione del Melloblocco.
Ricordo quando andammo a
presentare agli Enti locali il progetto
portato avanti dal Collegio lombardo
delle Guide Alpine.
Fu accolto con favore dal
Comune di Val Masino; si trattava
pur sempre di sassi e arrampicata,
pratica comune in questi luoghi,
con qualche stupore invece dagli
Enti sovra comunali: un raduno sui
sassi? Ma cos’è? Va bene, vi accordiamo
il patrocinio. Per un contributo
occorre vedere, valutare, sapete
abbiamo una miriade di richieste ...
e questo Melloblocco? Non ci risulta
ancora tra i grandi eventi, dobbiamo
suddividere le risorse, vedremo.
Poi sappiamo cosa è diventato
il Melloblocco, grazie sicuramente
alle Guide lombarde che grazie ai
contributi della Regione Lombardia
hanno sostenuto e avviato il raduno
che, numeri alla mano, è diventato
il più grande meeting di arrampicata
al mondo.
Così con gli anni e con i numeri
sono svanite anche le perplessità iniziali.
Temevamo forse l’impatto che
tante persone potevano lasciare sul
territorio.
L’esperienza ci ha dimostrato che
poche ore dopo il raduno non resta
nulla se non un poco di polvere di
magnesite sui blocchi che scompare
con il primo temporale.
La natura non competitiva del
meeting fa si che non vi siano orari
prestabiliti, che impongono un assembramento
concentrato, con noti
problemi di accesso e parcheggio
che assillano tutte le competizioni
di massa.
L’atmosfera rilassata e il gioco
d’arrampicata innescano magicamente
ciò che sarebbe utile e risolutivo
nella vita di tutti i giorni.
Nessuno si accalca, grida o
88 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
sbraita; nessuna cartaccia o cicca di
sigaretta buttata, solo il piacere di
immergersi in questa natura, entrando
in sintonia con essa.
Le auto son piazzate al parcheggio,
con arrivi diluiti a partire da
inizio settimana, specie per gli stranieri;
poi ci si muove esclusivamente
a piedi o con i minibus navetta che
fan la spola verso le aree di arrampicata,
curiosamente carichi di materassi
e uomini.
Nessuna infrastruttura è stata mai
creata per l’evento, nessun impianto,
nessun macchinario, battipiste, sparaneve,
palasport, trampolino, maxischermo...
si utilizza solo quello
che la natura a messo a disposizione:
migliaia di massi di granito!
Il terreno di gioco si prepara ri-
pulendo le aree da rovi, infestanti e
talvolta rifiuti, per riportare alla luce
gli antichi terrazzamenti un tempo
interamente coltivati e ripristinare la
percorribilità di tanti sentieri.
La collaborazione con Ersaf è stata
preziosa: con le loro squadre si sono
negli anni ripristinate ampie zone,
fruibili ora da boulderisti, escursionisti
e ospiti in cerca di quiete a due
passi dalla strada.
Anche la festa del sabato si
accorda con lo spirito del Melloblocco.
Sempre all’aperto, con la musica
che fugge via verso le pareti vicine che
incorniciano l’intera vallata e in sottofondo
mille mille voci e gesti che
mimano i tanti passi d’arrampicata,
superati tutti assieme da campioni,
semplici appassionati o principianti.
Primavera 2008
NATURALE
I numeri del Melloblocco son riportati
in queste pagine.
E’ anche possibile tentare un
confronto con altre realtà europee,
ad esempio con il meeting internazionale
di arrampicata su ghiaccio
che si svolge ogni anno ad Argentière
in Francia. Si tratta di un grande
evento che esiste da ben 18 anni e
che coinvolge l’intera Comunità del
villaggio transalpino ed è fortemente
sostenuto da una nota azienda di attrezzatura
alpinistica.
L’organizzazione francese riferisce
che il record di presenze si aggira
attorno al migliaio di partecipanti,
con un budget organizzativo di
110.000 euro e un indotto economico
sulla zona degli Ecrins pari a
circa 450.000 euro l’anno.
L’ambiente naturale della Val Masino. Foto R.Moiola.
Le presenze al Melloblocco superano
ampiamente tali numeri,
come pure il carattere internazionale
dell’evento.
Il budget delle passate edizioni
è circa 1/3 di quello francese, con
un contributo da sponsor privati in
crescita costante. Quanto ai benefici
economici non ci sono ancora dati
certi, ma stando al gradimento degli
operatori turistici locali siamo sulla
buona strada; sono infatti sempre
più numerosi i giovani frequentatori
della Valle, stranieri in particolare,
che tornano dopo averla conosciuta
proprio attraverso il Melloblocco.
Tutto questo è reso possibile,
al di la della formula azzeccata del
meeting e del momento magico del
bouldering, grazie allo straordinario
contesto ambientale della Val Masino.
Sulle Alpi esistono decine di aree per
l’arrampicata sui massi che competono
con quelle della Val Masino.
Tante sono più frequentate e in voga,
tante di più facile accesso, tante con
roccia forse migliore e meno abrasiva.
Nessuna però condensa in così
poco spazio una realtà di montagna
ancor così integra e ben conservata.
Ne sono un esempio i prati di fondovalle,
vero parco giochi della nostra
montagna, ormai diventati una rarità
anche nei pressi dei paesi di montagna
valtellinesi, dove all’interno dei
nuclei abitati è pressoché impossibile
trovare un brandello di prato originario.
E poi la Val di Mello con tutte
le vette del Masino così vicine, ma
anche apparentemente irraggiungibili,
con la piramide del Cavalcorto
innevata a primavera, mentre i nostri
sassisti giocano con innumerevoli
massi in un grande fitness collettivo
senza attrezzi.
Per molte realtà valtellinesi lo sviluppo
turistico è stato quasi esclusivamente
incentrato sullo sci. La Val
Masino ne è rimasta esclusa, ma oggi
questa decennale arretratezza si rivela
una grande risorsa.
La bellezza delle pareti, dei torrenti,
dei semplici massi accatastati
sul fondovalle, testimoni di antiche
ciclopiche frane, sono stati sempre in
passato considerati beni immateriali
e, in tante valli, anche vicine, sacrificati
e distrutti con uno sprezzo che
appare sorprendente, considerando
la singolarità di queste vallate.
Il Melloblocco dimostra come il
desiderio di cercare siti con una profonda
identità è ancora forte. Qui si
può respirare a pieni polmoni, in una
natura che non è più terrificante e repulsiva,
ma è un rifugio sicuro, apprezzato
da un frequentatore attento
e dal comportamento consapevole,
sempre più disposto a valorizzare
l’unicità di questi luoghi.
LE MONTAGNE DIVERTENTI SPECIALE MELLOBLOCCO - 89

Il bouldering, arrampicata su
massi alti pochi metri immersi in uno
scenario naturale molto suggestivo, è
il protagonista del raduno nei giorni
8-11 maggio 2008 organizzato dal
Comune di Val Masino. Nel nome
della manifestazione si vuole richiamare
l’originaria denominazione di
“sassismo” oggi universalmente noto
come bouldering, che proprio in Val
di Mello vide porre le sue radici italiane
negli anni ’70.
Le guide Alpine della Lombardia
prima (2004, 2005 e 2006) e il
Comune di Val Masino poi (dall’edizione
del 2007) hanno creduto nei
giovani, nella natura, nella possibilità
di fondersi nell’ambiente naturale
senza snaturarlo, senza renderlo
artificiale, senza offenderlo. E se ci si
è riusciti il merito è tutto del popolo
del boulder. Delle centinaia e migliaia
di persone che vogliono esserci
con la passione e il rispetto che li ha
contraddistinti.
I numerosissimi partecipanti
hanno avuto negli anni la possibilità
di arrampicare con i migliori specialisti
del mondo, hanno avuto il privilegio
di provare insieme i passaggi
più difficili, sui tanti massi sparsi
nei prati della splendida Val Masino
e Val di Mello, magnifico scenario
naturale, poco distante dalle grandi
città della Pianura Padana. Per
citarne alcuni e dimenticarne molti
altri, ricordiamo i miti statunitensi
Chris Sharma, David Graham ed il
giovanissimo Daniel Woods; i pluri
titolati campioni transalpini Daniel
Du Lac, Jerome Meyer, Sandrine
Levet e Liv Sansoz, la slovena Maja
Vidmar, i britannici Garreth Parry
e Andrew Earl; i rappresentanti
dell’Est Andrej Chrastina e Martin
Spilka; gli atleti del Sol Levante
Hiroshi Okano e Yasushu Sasaki; i
pilastri della storia del bouldering
come Jacky Godoffe, consulente
d’eccezione alla tracciatura nel 2006
e 2007, e anche dell’alpinismo come
Beat Kamerlander e i pionieri della
Yosemite Valley come Dale Bard.
E ancora, ultimi solo in ordine di
citazione, i Campioni del Mondo
90 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
LA STORIA
Nicola Noè
Boulder Mauro Calibani e Christian Core, le giovani certezze Gabriele Moroni
e Lukas Preti, e i nostri migliori ed eclettici rappresentanti Cristian Brenna (che
in febbraio ha aperto una nuova via sul Cerro Piergiorgio in Paragonia), Alberto
Gnerro, Marzio Nardi, Stefano Alippi, Stefano Ghidini, Giulia Giammarco e
Stefania De Grandi.
Il Melloblocco® è non solo roccia, è socializzazione, è allegria. E allora come
non riportare la descrizione del WHITE PARTY del sabato sera dell’anno scorso
magistralmente uscita dalla penna di Vinicio Stefanello:
“A proposito di festa. Come ballano i boulderisti? Anche questo è un quesito
dalla risposta incerta. Nell’anno del grande White Party al Camping Remenno,
MICHELE COMI(FOTO ARCH. M. COMI).
I PERSONAGGI
Abbiamo pensato fosse opportuno ritagliare uno spazio per coloro che, per primi, hanno
avuto la geniale intuizione del Melloblocco e che ancora oggi lavorano con il Comitato Organizzatore
per rendere possibile questo straordinario evento. Parliamo ovviamente di Michele
Comi e Nicolò Berzi (contatti con istituzioni e sponsor), Nicola Noè (relazioni pubbliche) e
Simone Pedeferri (responsabile tracciatura).
La nostra attenzione va anche a Marco Scetti, assessore del Comune di Val Masino, che ormai
per il secondo anno consecutivo è in primo piano nell’organizzazione del Melloblocco.
Tanti altri, certamente, hanno dato e daranno il loro importante contributo: le Guide Alpine
“Gigiat”, l’Associazione Operatori Val Masino, numerosi sponsor e enti pubblici (Regione,
Provincia e Comunità Montana) e moltissimi amici della valle
MICHELE COMI
Michele Comi, 39 anni, geologo,
guida alpina e maestro di sci. È
nato e vive in Valmalenco e si occupa
di montagna in tutti i suoi
aspetti. La sua attività spazia dalla
consulenza per il monitoraggio
delle frane dell’arco alpino, alla
partecipazione a vari progetti di
comunicazione e divulgazione
sportiva, culturale e scientifica
sulla montagna, all’accompagnamento
e insegnamento su tutti i
terreni.
In qualità di alpinista-ricercatore
ha preso parte ad alcune spedizioni
alpinistiche in giro per il mondo,
partecipando a spedizioni in
Himalaya, Karakorum, Africa,
Sudamerica e al Polo Nord.
È padre di tre bimbi. Nel 2004
ha scritto il suo primo libro, un
racconto per ragazzi: K2: la mia
avventura, ed. Fabbri, Milano
2004.
Primavera 2008
I NUMERI
tutti i melloblocchisti ci hanno messo del loro per dare il meglio. C’erano quelli
che hanno preferito guardare con una birra in mano. Quelli che si dondolavano
mollemente al ritmo dei tamburi. Quelli che si son persi nella folla. Quelli,
ancora, che hanno cercato funambolici equilibri sulla slackline, riuscendoci
anche (come il mitico Nicolino e il Brenna). C’era anche una ragazza (bravissima)
che ti ipnotizzava roteando palle di fuoco. E quelli che, cercando di imitarla,
hanno rischiato di bruciacchiarsi. E, ancora, c’era chi ha cercato di invitare nel
vortice della danze anche le (tolleranti) Forze dell’Ordine presenti. Chi invece,
trascinato dall’impeto di un gruppetto di boulderisti-pogatori, ha liberato tutte
le sue restanti energie (ma quante ne hanno ‘sti boulderisti?) nella bolgia di
GLI ATLETI
STEFANIA DE GRANDI
Stefania de Grandi (1972), veronese, è la donna che è attualmente in testa alla classifica
non ufficiale della manifestazione con 10 problemi “difficili” risolti nelle 3 edizioni del
Melloblocco a cui ha partecipato; fortissima su tutti i terreni naturali, fino al 7C/+ di blocco
e 8a+ in falesia, è altrettanto al top nelle competizioni dove ha vinto la Coppa Italia Boulder
nel 2004 e si è laureata Campionessa Italiana Bouldering nel 2005. Vanta inoltre numerose
convocazioni con la nazionale italiana in Coppa del Mondo Boulder con un lusinghiero 11°
posto come migliore risultato.
Cosa rappresenta per Stefania De Grandi il Melloblocco?
“ Il Melloblocco è una manifestazione a cui sono particolarmente legata, perchè per me è stata
una delle esperienze sportive internazionali più soddisfacenti. Inoltre esercita indubbiamente
un grande fascino in tutti gli arrampicatori e la sua organizzazione è stata di grande impulso
per l’incremento del fenomeno bouldering. Le palestre di boulder si popolano sempre di più di
giovani che danno all’arrampicata una nuova vitalità, un nuovo significato, che è più ritrovo
e fare qualcosa di alternativo che allenarsi. Molti di questi ragazzi quasi non sanno cosa vuol
dire arrampicare su roccia, ma il Melloblocco lo conoscono tutti!”
M ELLOBLOCCO
una scatenata danza al “chi-prendoprendo”.
E c’è anche chi c’è stato risucchiato
a forza nella folle “danza”.
Poi (in molti) nel profondo della
notte hanno giurato che è stata la
più bella festa di tutti i Melloblocchi...
Insomma, forse non saranno
proprio dei ballerini i boulderisti,
ma certo non si tirano indietro.”
(da www.planetmountain.com).
Lascia un po’ increduli vedere
che dall’idea di un gruppo di guide
alpine lombarde, poi discussa appassionatamente
con una birra in mano
e il gomito appoggiato al bancone
del Bar Monica di San Martino
Val Masino, sia nato il più grande
raduno di arrampicata del mondo.
Eppure è proprio così. I numeri delle
varie edizioni lo dimostrano inequivocabilmente.
LE 4 EDIZIONI
2004 - MAGLIETTE ARANCIONI
311 iscritti, 82,3% maschi e 17,7%
donne.
800 persone in valle.
Special Guest 2004: Dale Bard, mitico
pioniere di Yosemite.
17 gli stranieri (4,8%): Francia (8), USA
(3), Germania (2), Canada (1), Messico
(1) e Perù (1).
Chi c’era a questa prima edizione?
C’erano molti grandissimi, i campioni
del Mondo della specialità Christian
Core e Mauro Calibani, che aggiunti al
fantastico Chris Sharma e al macinatore
Dave Graham, valgono da soli otto 8C
di blocco. Con loro i nostri campioni
più amati, da Cristian Brenna a Giulia
Giammarco, da Stefano Alippi a Stefania
De Grandi, all’icona vivente del boulder
nostrano Marzio Nardi. Poi Liv Sansoz,
che con il suo 8A+ è al top del mondo,
Anthony Lamiche, Francois Lombard
e Toni Lamprecht tra gli stranieri. Con
loro i nostri giovani più promettenti
come Gabriele Moroni, Michele Caminati,
Paolo Leoncini, Geo Progulakis,
Damiano Corà e Alessandro Gandolfo.
LE MONTAGNE DIVERTENTI SPECIALE MELLOBLOCCO - 91
STEFANIA DE GRANDI IN VAL DI MELLO (ARCH. S. DE GRANDI).

CARLO GOBBO E NICOLA NOÈ (FOTO NICOLETTA COSTI). NICOLÒ BERZI (FOTO ARCH. N. BERZI).
NICOLO’ BERZI
Nicolò Berzi, svolge da 11 anni il lavoro di guida alpina a tempo pieno. Nonostante le molte
difficoltà che esistono in Italia per vivere di questa profonda passione per la montagna,
si è occupato di insegnamento delle discipline alpinistiche e dell’accompagnamento sulle
montagne italiane e del mondo. Con i propri clienti ha salito diverse vie impegnative sulle Alpi
(Cassin alle Grandes Jorasses, Pilone Centrale del Freney) e effettuato svariati viaggi in Asia,
Africa e Sud America. Dal 2002 è istruttore ai corsi di formazione per le guide alpine cui cerca
di trasmettere con impegno l’entusiasmo per intraprendere questa affascinante professione.
Per completare a 360° la figura di professionista della montagna ha portato avanti con amici
e colleghi l’ideazione e l’organizzazione di alcune manifestazioni legate alla montagna, tra cui
spicca il Melloblocco.
NICOLA NOE’
Nicola Noè, 1960, milanese, laureato in scienze agrarie, dottore di ricerca, agronomo, libero
professionista nella progettazione del verde, esperto in materia di tutela paesistico ambientale.
Collabora con l’Università di Milano ed è consigliere della Scuola Agraria del Parco di
Monza. Sciatore e calciatore, si è accostato all’escursionismo in quota per poi appassionarsi
all’alpinismo e allo scialpinismo. Più avanti l’incontro con l’arrampicata su roccia, dalle grandi
pareti ai monotiri in falesia, al bouldering, dalle ripetizioni di vie classiche alla apertura di
nuovi itinerari in ambiente. Da sempre iscritto al CAI, membro del Club dei 4000, tesserato
FASI, ho aderito fin dalla formazione a Mountain Wilderness. Ha scalato dalla Thailandia a
Yosemite, da Kalymnos al Monte Bianco, dalle Dolomiti alla Norvegia. Ha scritto per la Rivista
della Montagna, la Rivista del CAI, ALP Wall e Planetmountain.com, accreditato stampa
alle principali competizioni internazionali è stato membro della giuria internazionale della
prima edizione del Rock Award e del Competition Award del Rock Master di Arco di Trento.
Organizza manifestazioni di arrampicata dalle promozionali alla Coppa Italia. “Quando mi
hanno chiesto se volevo partecipare all’organizzazione del Melloblocco non mi sembrava vero,
ho accettato con entusiasmo per l’amicizia che mi lega a Nicolò e Michele e perché l’arrampicata
e l’ambiente sono l’una la mia grande passione ed il secondo la mia professione.”
92 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
2005 - MAGLIETTE GIALLE
822 iscritti, il 48% dei partecipanti è nato
negli anni ’70, il 33% negli anni ’80 e il
16% negli anni ’60, il resto (poco) prima
e dopo.
Presenze stimate in valle: 2000 persone.
Special guest 2005: Beat Kammerlander in
veste di fotografo.
22 Paesi stranieri con 109 atleti (13,3%):
Argentina (1), Australia (1), Austria (9),
Belgio (2), Brasile (1), Filippine (1),
Francia (37), Germania (4), Gran Bretagna
(11), India (1), Norvegia (1), Olanda
(10), Rep. Ceca (1), Romania (1), Serbia
(1), Slovacchia (4), Slovenia (4), Spagna
(5), Stati Uniti (3), Svezia (1), Svizzera (9)
e Venezuela (1).
Il tracciatore Simone Pedeferri mette a
disposizione qualcosa come 300 passaggi.
Chi c’era? “Ci sono i miti, quelli che hai
visto solo sulle foto. E ci sono quelli che sono
un mito perché non sai come fanno a risolvere
ciò che tu (con 30 chili in meno, con
10 anni in meno, con un sacco di esperienza
in più) non sai nemmeno comprendere”
(Vinicio Stefanello).
I ricordi di questa edizione: Beat
Kammerlander che fotografa un’orda di
principianti; Claudio Piscina che fotografa
Beat Kammerlander; la speciale cortesia
delle autiste delle navette; la distesa
di tende colorate al campeggio; il colpo
d’ascella dei Di Parpo, gesto sconosciuto
ai giovanissimi; la ragazza che arriva in
vespa dalla Pietra di Bismantova; crash
pad con le gambe che attraversano il ponte
sul Mello; Sandrine Levet parata da 100
mani protese; lo sfigato di turno accolto
da due braccia conserte; gli amici che tutti
abbiamo rivisto.
I blocchi “duri” … erano molto duri:
gli uomini che al meglio sono riusciti a
salirne 3 sono: Riccardo Scarian, Tony
Lamiche FRA, Cristian Brenna, Gabriele
Moroni, Wolter Yungeneelen NL, Daniel
Dulac FRA, Garreth Parry GBR, Guillaume
Glairon-Mondet FRA, Jerome Meyer
FRA, Marcello Bruccini, Michele Caminati,
Stefano Alippi e Valter Vighetti.
Meglio fanno invece le donne con percorso
netto con 4 blocchi su 4 proposti
per: Giulia Giammarco, Maud Ansadè
FRA, Anita Manachino, Sandrine Levet
FRA, Anne Laure Chevrier FRA, Katja
Vidmar SLO, Maja Vidmar SLO, Melanie
Son FRA, Stefania De Grandi, Claudia
Battaglia e Giovanna Pozzoli, un blocco
in meno per Amelie Delfino FRA, Marine
Largeron FRA, Nina Arc FRA e Raffaella
Cottalorda.
Primavera 2008
2006 – MAGLIETTE AZZURRE
953 iscritti, 740 maschi e 213 donne
(22,3%).
Presenze stimate in valle: 2500 persone.
Special guest 2006: Jaky Godoffe come supervisore
alla tracciatura.
182 atleti stranieri (19,1%) da 27 nazioni
differenti.
Francia (25), Gran Bretagna (23), Germania
(19), Austria (15), Spagna (13), Svizzera
(13), Rep. Ceca (10), Usa (10), Belgio
(9), Olanda (7), Polonia (5), Argentina (4),
Slovacchia (4), Australia (3), Giappone (3),
Lithuania (3), Romania (3), Messico (2),
Portogallo (2), Venezuela (2), Brasile (1),
Corea (1), Filippine (1), Libia (1), Perù (1),
Sudafrica (1), Ungheria (1) .
Novità di questa edizione è la comunità
d’intenti tra gli organizzatori della prova di
Coppa del Mondo di Bouldering di Rovereto
(TN) e le Guide Alpine della Lombardia
che hanno ideato e realizzato il Melloblocco®
per proporre al mondo dell’arrampicata
un doppio evento che a distanza di una
settimana attragga appassionati da ogni
parte del mondo. Il grande raduno in Val
di Mello e la settimana dopo la prova di
Coppa del Mondo Boulder. Così i tracciatori
della gara di Coppa del Mondo, Loris
Manzana e Mario Prinoth, con la supervisione
del mitico Jacky Godoffe, preparano i
blocchi “difficili” del Melloblocco®.
Com’è andata?
Tra gli uomini salgono tutti i blocchi (6)
Mauro Calibani (1 flash), e Tony Lamiche
FRA (2 flash), un blocco in meno (5) per
Andrew Earl GBR, Gabriele Moroni e
Michele Caminati, 4 blocchi per Andrej
Chrastina CZ, Cristian Brenna, Garreth
Parry GBR, Guillame Glairon-Mondet
FRA, Daniel Dulac FRA, Stefano Ghidini
e 3 blocchi per Alberto Gnerro, Alessandro
Gandolfo, Brian Kim GBR, Daniel Woods
US, Gabriele Gorobey, Marc Croxall GBR,
Michele Deicass, Stefano Alippi, Valter Vighetti,
e Alessandro Catalano. Tra le donne
sale tutti i blocchi la fuoriclasse austriaca
Barbara Zangerl (di cui 2 flash), mentre 3
sono i blocchi per Anita Manachino e 2 per
Raffaella Cottalorda.
2007 – MAGLIETTE VERDI
1003 arrampicatori iscritti, 79% uomini e
21% donne.
Presenze stimate 2500 persone.
Stranieri 18% con 28 nazioni rappresentate
e rappresentanze numerose di tedeschi
(30), inglesi (20), francesi, spagnoli e cechi
(15), ma anche presenze extra-europee da
CHRIS SHARMA SU “MELLOBLOCCO”, MELLOBLOCCO 2004 (FOTO CLAUDIO PISCINA).
MAURO CALIBANI SU “VASCELLI VAGABONDI”, MELLOBLOCCO 2004 (FOTO CLAUDIO PISCINA).
CHRIS SHARMA
MAURO CALIBANI
Chris Sharma (1981), americano di Santa
Cruz (CA) è il vero fenomeno mondiale,
amato da tutti, grande carisma; al top su
roccia in tutte le specialità: 9A+ lavorato
con Realisation a Ceuse, 8C a vista con
Digital System a Santa Linya e 8C di
blocco con Dreamtine e Unendliche
Geschichte 1+2 e soprattutto con
l’ultima incredibile realizzazione l’Arco
a Mallorca in stile Deep Water Soloing,
che vuol dire arrampicare free solo sulle
scogliere fino ad altezze disumane con
il mare che ti attende in caso di caduta;
grandissimo anche nelle competizioni
ha vinto prove di Coppa del Mondo di
boulder e Master internazionali.
Ecco cosa ha detto Sharma dopo la sua
partecipazione al Melloblocco alla prima
edizione del 2004, dove aveva salito 5
blocchi duri di cui ben 3 “flash” (che
in gergo vuole dire al primo tentativo):
“Penso che questo Melloblocco sia
grande, è davvero “Mello-w” (n.d.r.
mellow in inglese significa dolce, caldo e
mite insieme). Un evento che promuove
questo bellissimo atteggiamento, non
quello di essere il numero uno. E’ bello
vedere gente che prova blocchi facili,
blocchi duri, gente che scala insieme, si
para a vicenda: è la strada giusta.”
Chris Sharma dal video Petzl (visibile
sul sito www.petzel.com).”
Mauro Calibani, nato ad
Ascoli Piceno nel 1974, il 10
maggio e quindi quest’anno
festeggerà al Melloblocco
proprio la sera della grande
festa del sabato! Al top del
bouldering mondiale con
Tonino 78, 8C+ e Dreamtime,
8B/C e Campione del Mondo
Boulder nel 2001; eclettico
tanto che ha vinto la Coppa
Italia di Difficoltà nel 1997
e in falesia ha salito vie di
8c; amante dell’Hard Grit
britannico, ha liberato nei
Monti Sibillini It’s not always
Pasqua E9 7A. Ha creato il
marchio e trova l’energia
anche per condurre l’azienda
E9. E’ l’atleta che ha chiuso
più problemi “difficili” al
Melloblocco con 18, seguito
da Cristian Brenna e Gabriele
Moroni con 14 blocchi saliti.
Ci ha confessato:
“Il Melloblocco, nello splendido
contesto della Val di Mello,
carico di storie importanti,
è un momento di grande
aggregazione. Come è sempre
successo in questi giorni ho
la possibilità di tornare a scalare con le persone che mi stanno a cuore ma che non vedo
quasi mai. Mentre scappo fra un sasso e l’altro controllando che i buchi nelle dita non siano
da ospedale, sogno di andare a scalare anche le grandi pareti sovrastanti. Prima o poi ci
vengo!”
LE MONTAGNE DIVERTENTI SPECIALE MELLOBLOCCO - 93

FOLLA AL REMENNO (FOTO S.SCETTI). SIMONE PEDEFERRI (FOTO S.SCETTI).
SIMONE PEDEFERRI
Simone Pedeferri, nato a Cantù il
31-12-1973. Si iscrive alla scuola
d’arte di Cantù per le medie
superiori, indirizzo arredamento
e design, e dopo il diploma
all’Accademia di Brera, indirizzo
pittura, nel 1996. Trova molte
difficoltà il primo anno, poi
diventa il miglior studente del
corso. Finisce tutti gli esami con
votazioni sul trenta e trenta e lode,
ma ancora gli manca la tesi perchè
nel frattempo inizia a scalare in
spedizioni alpinistiche all’estero.
Le sue prime vie alpinistiche sono
nelle Grigne, a quindici anni, già
da capocordata. A diciasette anni
va in Galles scalando sui monotiri
a nuts del posto, e quando torna
ripete decine di classiche nel
Brenta e nel massiccio del Bianco.
Nel 1992 comincia ad allenarsi
e a frequentare la falesia, presto
arrivando ad un livello molto alto,
poi portato in montagna in tutte le
Alpi prima e all’estero in Pakistan,
Algeria, Cile, Patagonia, Perù poi. La sua via Joy Division, in Qualido, concatenamento di
800 metri fino all’8b su protezioni naturali e vecchio artificiale, è la più difficile via di granito
d’Europa. Il suo motto è “Non m’importa la grana. Non m’importano le necessità della vita.
M’importa solo quando mi provocano. Mi importa arrampicare, punto.”
Divide il suo tempo libero fra la pittura, la scalata, e la rivista d’Alpinismo Stile Alpino, fondata
insieme a Fabio Palma. Uno dei sui ultimi lavori è una collezione di dipinti che illustrano
racconti letterari di Fabio Palma, inerenti alla scalata, all’amore, e ad altre inquietudini.
Questo lavoro è diventato un libro d’arte dal titolo “Lettere di Sosta”.
IL COMUNE DI VAL MASINO presiede per il secondo anno consecutivo il Comitato
Organizzatore del Melloblocco.
Abbiamo incontrato l’Assessore al Turismo Marco Scetti per domandargli come mai ritenesse
importante sostenere questo evento:
“Questa manifestazione rispetta ed esalta i valori del nostro territorio, non ha bisogno di
nessuna struttura, ma utilizza con rispetto ciò che la natura mette a disposizione[...] Un tale
evento si sposa perfettamente con la politica del comune, che considera l’ambiente la risorsa
più importante per tutti, per questo da tutelare [...] Mi fa sempre piacere vedere, per tutto
il corso dell’anno, queste “formichine con il materasso” che invadono pacificamete la nostra
valle[...] E pensare che una volta questi blocchi sparsi nei prati erano visti, dai nostri avi, come
un ostacolo, poiché sottraevano terreno fertile da coltivare [...]”
Della stessa opinione troviamo Elena Scetti, Presidente dell’Associazione Operatori Val
Masino, che aggiunge: “Il Melloblocco non cade in un periodo, per noi, di “alta stagione”,
ma nonostante ciò attira tantissimi appassionati da tutte le parti del mondo [...] E’ una vera
e propria vetrina internazionale per la Val Masino, che crea un indotto continuo per tutto
il corso dell’anno. Importante è anche il recupero e la cura di tutte quelle aree che vengono
“utilizzate” durante la manifestazione, che altrimenti si riempirebbero di erbe infestanti.”
94 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
USA, Messico, Brasile, Corea, Filippine e
Sud Africa. Italiani provenienti da una settantina
di province diverse.
Grandi numeri per due giornate di scoperta
delle nuove aree, in Val Masino.
Le grandi novità di questa edizione sono
state le nuove aree d’azione attorno al Sasso
Remenno, e il testimone della manifestazione
che passa dal Collegio delle Guide
Alpine della Lombardia direttamente al
Comune di Val Masino.
420 i passaggi segnati sulla dettagliata
mappa disegnata nelle sue vesti di artista
da Simone Pedeferri, con maggioranza di
problemi medio-facili dal 5 al 6C, di cui
280 nuovi che Melloblocco® ha lasciato in
eredità a chi ora si avventura in Valle.
Percorso netto e quindi 5 blocchi per Elena
Chiappa e l’austriaca Barbara Zangerl, 4
per la francese Emiline Thomas e Roberta
Longo, 3 per Giulia Giammarco, Giovanna
Pozzoli, la bulgara Petya Garbova, Raffaella
Cottalorda e Stefania De Grandi. In
campo maschile hanno chiuso 5 blocchi su
6 Mauro Calibani e il francese Guillame
Glairon-Mondet, 4 per Gabriele Moroni
e Valter Vighetti, 3 per Cristian Brenna
(unico a salire il blocco “Unità di produzione”),
il ceco Martin Spilka e Stefano
Ghidini.
Dopo la pioggia di sabato pomeriggio,
gran finale con il sole al Centro Polifunzionale
della Montagna con Marco Ballerini a
suo agio a presentare le premiazioni, con lo
spagnolo Pedro Gonzales che vince il superpremio
finale.
Questo è il biglietto da visita di un
raduno che di anno in anno cresce di intensità,
emozioni e partecipazione.
“Se vogliamo cercare la chiave di questa
grande condivisione che riunisce giovani e
meno giovani per spellarsi i polpastrelli in
Val Masino, dobbiamo guardare al piacere di
vivere insieme questa manifestazione. Piacere
su più livelli. Dalla gioia di esserci con tutti
gli altri e divertirsi accanto ai grandi campioni
del bouldering, all’ambiente intatto
e accogliente che regala tranquillità e forza,
dalla grana magnifica e rugosa del granito,
alla spettacolarità delle centinaia di sassi
accatastati sui prati e nei boschi dalla mano
immaginaria di un artista ciclopico. Centinaia,
migliaia di appassionati che non lasciano
traccia del loro passaggio, solo qualche
macchia di magnesite qua e là sui sassi, un
rispetto degli altri e della natura da cui bisognerebbe
imparare. Un raduno con impatto
ambientale bassismo, che la Valle registra e a
cui risponde accogliendo e ringraziando tutti
i partecipanti che testimoniano il profondo rispetto
per questi luoghi straordinari.”
(Nicolò Berzi)
Primavera 2008

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