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Blog (pdf) - Maurizio Ferrarotti

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delle guardie di frontiera francesi al confine con la piel del toro settentrionale. All’epoca,<br />

parlo della prima metà degli anni Novanta, ero in pieno trip Euskadi e la maggior parte<br />

delle volte vi andavo in macchina da solo. È ovvio che ciò insospettisse la Gendarmerie.<br />

Ma io non ho mai contrabbandato droga né armi né niente, ci mancherebbe. Nondimeno,<br />

le rotture di marroni che non ho dovuto subire a Hendaye o su di lì!<br />

Primo dell’anno 1991. Con due ore di pseudo-sonno e un eccesso di libagioni ancora da<br />

smaltire, monto in macchina, metto su Back in The U.S.A. degli MC5 e parto da Donostia<br />

alla volta dell’Italia. Ho ancora in bocca il gusto delle ali di pollo croccanti che deliziose<br />

ragazze dai nomi impossibili - Nekane, Edurne, Aitziber, Izaskun - servivano in vassoi di<br />

peltro ai clienti dell’ultima discoteca che ci siamo fatti, intorno alle sette del mattino. Il<br />

resto della mia banda tornerà a Torino tra due giorni: io, personalmente, devo timbrare il<br />

cartellino domani alle 6. Ora sono le 13.00. Partirono in quattro con due macchine ma ne<br />

tornò soltanto uno. Highwaylander.<br />

The shakin’ street, it’s got that beat.<br />

I doganieri spagnoli neanche mi cagano. Varco la frontiera. I doganieri francesi con ampi<br />

gesti mi segnalano di parcheggiare. Sbuffo. Che il diavolo li porti!<br />

Smonto e, giocando d’anticipo, consegno loro i documenti d’identità e della vettura senza<br />

proferire favella. Due sbirri e un pastore tedesco capitanati da una donna allampanata con<br />

la stessa faccia di Nicole Kidman in The Hours. “Parlez-vous Français?” mi domanda<br />

costei, sguardo spento, visibilmente assonnata.<br />

“No” rispondo. "Parlo un po’ di spagnolo. Usted me entiende? ”<br />

“Oui, usted lo habla bastante bien.”<br />

Detto ciò, gli sbirri e il cane mi rivoltano l’auto come un calzino. Aprono i miei bagagli e<br />

li fanno annusare alla bestia, esaminano i miei nastri uno a uno controluce, ficcano i loro<br />

nasi adunchi sotto i sedili, smontano le casse e le bocchette dell’aria, svitano i tappi delle<br />

vaschette dei fluidi e il filtro dell’aria. Virginia Woolf assiste al rituale con aria truce, si<br />

dev’essere persuasa di aver bloccato un pericoloso spacciatore internazionale. Intanto il<br />

tempo scorre e il mio proponimento s’allontana spostandosi verso il rosso. Non ce la farò<br />

mai ad arrivare al rusco in orario. Fortuna che non fa tanto freddo: ieri mattina si poteva<br />

girare in T-shirt e giubbotto.<br />

La perquisizione dura tre quarti d’ora. Finalmente un gendarme mi ridà i documenti con<br />

un lieve cenno d’assenso “très bien monsieur”, mentre Virginia Kaiser s’allontana senza<br />

spiccicar parola, visibilmente contrariata. Ciapa lì, befana dei Pirenei. (Mi gioco 1000$<br />

che era un vug. Ma allora non potevo vederli...) Ha ha ha.<br />

Risata che poco più in là, quando mi fermo alla stazione di Bidart per far benzina e bere<br />

un caffè, muta in un’orrida bestemmia allorché m’accorgo che quei procioni mi hanno<br />

sciancato la bocchetta sul lato passeggero. Non s’incastra più. Ma porcaccia la...<br />

(Per la posterità, arrivai a Torino alle 5.10 del mattino, esausto e in preda a un attacco di<br />

diarrea. Se andai a lavorare? Non ve lo dirò. Speculate pure, che mi piace.)<br />

Guardo l’orologio per la centesima volta: 6.10 p.m. Ho ancora cinquanta minuti prima<br />

che cominci l’imbarco del volo per Tampa. Due ore segregato in questa ghiacciaia, senza<br />

poter usare il cellulare - gli sbirri s’infuriano se lo fai - né alzarsi. I vug hanno interrogato<br />

e scarcerato tutti coloro i quali erano prima di me; ciò nondimeno, come ne mollano uno<br />

ne portano dentro un altro corrispondente al loro concetto di racial profiling: vale a dire,<br />

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