AA.VV. - Appendici del futuro 8 - ctsbasilicata
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Gli oggetti erano più o meno disposti su una fila. All’estrema sinistra ce n’era uno<br />
alto almeno trentacinque centimetri. Era una figura umana, dritta in piedi, con le<br />
braccia incrociate alla maniera indiana. La prese e ne saggiò il peso. La parte<br />
inferiore era più sottile e liscia, e aveva nel mezzo un solco che stava a indicare le<br />
due gambe. Nella base, quasi un piedestallo, erano mo<strong>del</strong>lati i piedi, grossi e piatti. Se<br />
la statuetta era stata copiata dal vero, e forse era proprio così, il mo<strong>del</strong>lo doveva<br />
essere stato un Indiano alto con piedi grossi come badili. Che fosse la riproduzione<br />
<strong>del</strong> vecchio capo?<br />
Anche qui, nella testa brillavano alcune gemme: un paio per gli occhi e una, più<br />
grande, al posto <strong>del</strong> naso. E ancora, andato alla finestra, Occhio di Gufo le studiò.<br />
Alla luce <strong>del</strong> giorno sarebbero state di un giallo pallido. Avvicinò il naso <strong>del</strong>la<br />
statuetta alla fronte e ne ricavò una sensazione di freddo: topazi, quindi. Occhio di<br />
Gufo sapeva solo quello sui topazi e sull’impressione che potevano dare. Sorrise con<br />
compiacimento alla scultura mentre la faceva scivolare nella sacca sopra il serpente e<br />
il vaso.<br />
Il pezzo successivo posato sulla mensola era più grottesco, ma in mano pesava<br />
come gli altri. Era una figura tozza, con corte gambe arcuate e una testa da cui<br />
spuntava un paio di corna. I bianchi avrebbero pensato che era un diavolo, ma chi<br />
poteva sapere cos’era o cos’era stato per gli Indiani?<br />
Era attraversata da strisce nere, ruvide al tatto, alternate a strisce d’oro, una<br />
sull’altra da cima a fondo. Forse era stato ricoperto di resina ricavata da un albero<br />
antico, l’abete sempreverde, che gli Indiani consideravano sacro. Sogghignò nel<br />
sentire il peso <strong>del</strong>la cosa grottesca che teneva stretta in mano: parecchi chili e tutta<br />
d’oro! Chissà che quella non fosse la notte di lavoro più proficua che gli fosse mai<br />
capitata!<br />
Nel far cadere anche la terza figura dentro il sacco, si soffermò a dare un’occhiata<br />
al tavolo. Cosa poteva esserci scritto in quel taccuino? Probabilmente qualcosa di<br />
scientifico, per esempio qualcosa che aveva a che fare con gli scavi e il ritrovamento<br />
<strong>del</strong>le statue d’oro. Cope, quel ladro di tombe, credeva forse di arricchirsi, e invece<br />
aveva semplicemente fatto il lavoro pesante per mettere poi tutti i suoi tesori nelle<br />
mani di Occhio di Gufo.<br />
L’oggetto seguente <strong>del</strong>la fila richiese un attimo di studio. Era una massa gibbosa,<br />
in piedi su quattro tozzi mozziconi di gambe. Sbirciando nell’oscurità. Occhio di<br />
Gufo riuscì a distinguere a una <strong>del</strong>le estremità una testa con piccole corna<br />
arricciolate. Un bufalo, ecco cosa raffigurava!<br />
Al tempo degli Indiani, c’erano stati i bufali lì, in quel paese di montagna. La gente<br />
raccontava anche che l’ultimo bufalo <strong>del</strong>la zona era un maschio, che un uomo di<br />
nome Rice aveva ucciso lì intorno poco prima <strong>del</strong> 1810. Occhio di Gufo non<br />
ricordava l’anno esatto, anche se la famiglia Rice gli aveva raccontato la storia un<br />
sacco di volte. La raccontavano con tale ricchezza di particolari e con tanto gusto, che<br />
si sarebbe detto fosse successa l’altro ieri e che tutti loro avessero mangiato a pranzo<br />
una bella bistecca di bufalo. D’accordo, gli Indiani avevano conosciuto il bufalo allo<br />
stesso modo <strong>del</strong> serpente, e questo rendeva l’animale una cosa degna da seppellire<br />
con il loro capo. Via, dentro il sacco con quello. Adesso il sacco cominciava a tirare<br />
per il peso e aveva qualche protuberanza qua e là.<br />
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