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biblioteca di studi di filologia moderna – 17 - Firenze University Press

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a colloQuio con lo scrittore 19<br />

nella storia <strong>di</strong> Pedro Camacho ne la tía Julia y el escribidor (1977) potrebbero<br />

essere considerati racconti con una certa autonomia, ma secondo me è<br />

un po’ forzare i termini della questione: la verità è che non hai scritto altri<br />

racconti. La mia domanda è questa: sapendo, come tutti quanti, che sei uno<br />

scrittore che ama le costruzioni complesse, la vastità del mondo, la profon<strong>di</strong>tà,<br />

l’immersione totale che caratterizza il genere del racconto (e a proposito,<br />

hai appena pubblicato un libro su Onetti 5 , autore straor<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> racconti,<br />

e in quel libro lo <strong>di</strong>ci), conoscendo dunque la tua ammirazione per il genere<br />

del racconto, perché non ne hai più scritti né pubblicati?<br />

mVll: Ho avuto a volte la tentazione <strong>di</strong> scrivere racconti... ma mi si<br />

sono trasformati in romanzi. È quello che mi è successo ad esempio con<br />

Pantaleón y las visitadoras (1973): doveva essere un racconto lungo, una<br />

nouvelle, come <strong>di</strong>cono i francesi, ma alla fine è venuto fuori un romanzo.<br />

in alcuni romanzi si ritrovano testi che hanno una certa autonomia e potrebbero<br />

essere definiti racconti: uno sicuramente è La tía Julia, e lo stesso<br />

succede in un testo che è un romanzo sul racconto, El hablador (1987). El<br />

hablador è un romanzo fatto in buona parte a base dei racconti che questo<br />

parlatore primitivo racconta in una comunità amazzonica, la comunità<br />

machiguenga. lì effettivamente ci sono racconti che sono riscritture <strong>di</strong><br />

leggende e miti machiguengas raccolti non tanto dagli antropologi quanto<br />

piuttosto dai missionari domenicani.<br />

JMO: Però sono racconti corali, in realtà...<br />

mVll: beh, trasformati in racconti letterari, riscritti... comunque il<br />

motivo è stato soprattutto questo: quando mi veniva un’idea per un racconto<br />

e mi mettevo a scrivere, <strong>di</strong> solito questo racconto cresceva, si sviluppava,<br />

si moltiplicava e si trasformava in un romanzo.<br />

Vorrei fare una piccola correzione: in realtà il primo genere che ho coltivato<br />

non è il racconto, ma il teatro. la mia prima grande passione letteraria<br />

è stata il teatro, e <strong>di</strong>co sempre che se nella lima degli anni cinquanta ci<br />

fosse stato un movimento teatrale più o meno importante, probabilmente<br />

io sarei stato un drammaturgo e non un romanziere. mi ricordo che andavo<br />

ancora a scuola, non so che anno era, ero al terzo o quart’anno delle<br />

me<strong>di</strong>e, e venne a lima una compagnia argentina <strong>di</strong>retta da francisco Petrone;<br />

allestirono un’opera teatrale che mi causò un’impressione fortissima,<br />

la Morte <strong>di</strong> un commesso viaggiatore (1949) <strong>di</strong> arthur miller. ricordo<br />

lo spettacolo al teatro segura 6 : la storia era narrata con la libertà e la varietà<br />

<strong>di</strong> prospettiva che fino ad allora avevo visto solamente nei romanzi<br />

moderni. mi parve un genere terribilmente stimolante, e la prima cosa che<br />

scrissi, proprio a partire da questa impressione, fu un piccolo testo teatrale<br />

che intitolai La huida del Inca (1952), e sono sicuro che se a lima in<br />

quegli anni ci fosse stata la possibilità per uno scrittore <strong>di</strong> teatro <strong>di</strong> vedere<br />

rappresentate le proprie opere, sicuramente sarei <strong>di</strong>ventato soprattutto un<br />

drammaturgo. tuttavia, la vita teatrale <strong>di</strong> lima era molto ridotta, quasi<br />

inesistente, salvo quando passavano queste compagnie straniere, <strong>di</strong> solito<br />

argentine, alcune spagnole. c’era una scuola nazionale d’arte scenica, ma

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