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biblioteca di studi di filologia moderna – 17 - Firenze University Press

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miti uniVersali e memoria PeruViana<br />

scomparsi sono stati sacrificati (in una originale rielaborazione del momento<br />

della ‘ricostruzione del delitto’, tipico del poliziesco). dunque, la<br />

<strong>di</strong>mensione spirituale e del sacro non è semplicemente negata nel romanzo.<br />

eppure, esso finisce rivelando come sono culminati i sacrifici, ed allo<br />

stesso tempo rivelando la sensazione <strong>di</strong> ribrezzo che ciò ha lasciato in<br />

chi li ha compiuti: l’operaio che racconta a lituma il pasto umano da lui<br />

consumato, sottolinea anche come il sapore della carne umana sia ormai<br />

qualcosa <strong>di</strong> cui non riesce più a liberarsi, come il ricordo <strong>di</strong> una colpa che<br />

lo perseguiterà fino alla tomba.<br />

ed è proprio questa ripresa ‘alla lettera’ del mito, in un contesto che non<br />

sembrava essergli più proprio (il nostro presente), a costituire una vera e<br />

propria rivelazione spiazzante, <strong>di</strong>sarmante. Posta alla fine con grande sapienza<br />

narrativa come colpo <strong>di</strong> scena conclusivo, in essa si cifra il problema<br />

in<strong>di</strong>viduato all’inizio: se davvero la storia sia condannata al ‘ritorno<br />

del mito’, nella sua forma terribile <strong>di</strong> colpa e punizione, all’imposizione<br />

<strong>di</strong> un terribile prezzo <strong>di</strong> sangue da pagare nella speranza, nella migliore<br />

delle ipotesi, <strong>di</strong> veder rifiorire la vita. e se davvero si dovrà sempre pagare<br />

questo prezzo, per quanto estranei ci possiamo sentire a tale eventualità,<br />

e per quanto assurda essa possa sembrare.<br />

Note<br />

1 Lituma en los Andes si presenta, dunque, come un romanzo coerente con l’idea <strong>di</strong><br />

impegno letterario espressa da Vargas llosa in un’intervista del 1996: «la responsabilità<br />

morale dello scrittore è <strong>di</strong> dar conto dell’imperfezione della vita, <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare che<br />

è al <strong>di</strong> sotto dei sogni dell’uomo, <strong>di</strong> agitare gli spiriti, <strong>di</strong> seminare l’insod<strong>di</strong>sfazione»<br />

(m. Vargas llosa, Io, liberale impegnato, «la repubblica», 2 ottobre 1996). dunque,<br />

con una sfumatura più negativa dell’idea altre volte espressa dall’autore, per cui la capacità<br />

della finzione narrativa <strong>di</strong> produrre verità artistica ha un valore al tempo stesso<br />

<strong>di</strong> compensazione e <strong>di</strong> stimolo rispetto ad una con<strong>di</strong>zione umana ineluttabile: «Perché<br />

la vita reale, la vita autentica, non è mai stata né mai sarà sufficiente per appagare i<br />

desideri umani. e perché, senza questa insod<strong>di</strong>sfazione vitale che le menzogne della<br />

letteratura al contempo eccitano e acquietano, non c’è mai un autentico progresso.<br />

la fantasia <strong>di</strong> cui siamo dotati è un dono demoniaco. sta continuamente lì ad aprire<br />

un abisso fra quel che siamo e quel che vorremmo essere, fra quel che abbiamo e quel<br />

che desideriamo. ma l’immaginazione ha concepito un astuto e sottile palliativo per<br />

questo <strong>di</strong>vorzio inevitabile fra la nostra realtà limitata e i nostri appetiti smisurati: la<br />

finzione. grazie a questa, siamo <strong>di</strong> più e siamo altri senza smettere <strong>di</strong> essere gli stessi.<br />

in questa ci <strong>di</strong>ssolviamo e ci moltiplichiamo, vivendo molte più vite <strong>di</strong> quelle che abbiamo<br />

e <strong>di</strong> quelle che potremmo vivere se rimanessimo confinati nel veri<strong>di</strong>co, senza<br />

uscire dal carcere della storia» (m. Vargas llosa, La verdad de las mentiras, seix barral,<br />

barcelona 1990. trad. it. <strong>di</strong> a. morino, rizzoli, milano 1992, pp. 18-19).<br />

2 Ho tradotto da r. garcía, Vargas Llosa se enfrenta al nacionalismo cultural, «el<br />

País», 11 novembre 1993, p. 28.<br />

3 in proposito, scrive métraux: «gli apologisti della civiltà inca <strong>–</strong> tra cui garcilaso<br />

de la Vega <strong>–</strong> hanno gettato un pu<strong>di</strong>co velo sui sacrifici umani, che venivano correntemente<br />

praticati, sia negandone l’esistenza, sia riducendone l’importanza. [...] essi immolavano<br />

vittime umane ai loro più gran<strong>di</strong> dei ed alle principali huaca. oltre i sacrifici,<br />

che venivano regolarmente compiuti, uomini, ragazze ed in particolare bambini<br />

venivano sacrificati ogniqualvolta la protezione <strong>di</strong>vina sembrava necessaria: all’avven-<br />

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