31.05.2013 Views

TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Cipriano Vagarmi<br />

<strong>Il</strong> SENSO TEOLOGICO<br />

DELLA LITURGIA<br />

<strong>Il</strong> benedettino P. Cipriano <strong>Vagaggini</strong>,<br />

assai noto negli ambienti<br />

dell'alta cultura religiosa<br />

internazionale, da oltre quindici<br />

anni professore di teologia dommatica<br />

al Pontificio Ateneo di<br />

S. Anselmo in Roma ove successe<br />

al compianto P. A. Stolz,<br />

e professore di <strong>liturgia</strong> all'Istituto<br />

Regina Mundi, è fra gli<br />

studiosi meglio preparati per approfondire<br />

l'appassionante tema<br />

svolto in « II <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong> <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>».<br />

Acuto conoscitore dei movimenti<br />

liturgici d'oltr'alpe e <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> orientale, anche per lunga<br />

pratica del rito bizantino al<br />

Collegio greco di Roma, egli si è<br />

interessato di <strong>liturgia</strong> mosso direttamente<br />

da un punto di vista<br />

<strong>teologico</strong> o, meglio ancora, di<br />

metodologia teologica generale,<br />

cui da molti anni dedica una<br />

ininterrotta attenzione. In tal<br />

modo egli è potuto scendere nei<br />

fecondi segreti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

conscio che essa sia di basilare<br />

importanza nel quadro stesso<br />

<strong>della</strong> teologia generale per ritrovare<br />

l'unità tra teologia dommatica,<br />

teologia biblica, tradizione<br />

patristica, vita spirituale, ministero<br />

sacerdotale, nell'intelligente<br />

rispetto delle grandi conquiste<br />

<strong>della</strong> Scolastica.<br />

Frutto di lungo studio e grande<br />

amore, l'opera ci schiude cosi<br />

una visione generale del valore<br />

dommatico, <strong>teologico</strong>, biblico,<br />

ascetico-mistico e pastorale <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, risalendo di continuo ai<br />

principi teologici che ne comandano<br />

la, sintesi.<br />

Effettivamente non esisteva<br />

fino ad oggi una sintesi del tipo<br />

di quella che il <strong>Vagaggini</strong> ha delineato<br />

nelle pagine che seguono.<br />

Tutti gli altri libri del genere<br />

non erano che saggi particolari<br />

o non oltrepassavano i<br />

limiti <strong>della</strong> letteratura divulgativa<br />

e devozionale.<br />

Di conseguenza questo studio<br />

indubbiamente poderoso, che viene<br />

ad impreziosire la collana<br />

« Theologica », interesserà utilmente<br />

teologi, professori di <strong>liturgia</strong>,<br />

sacerdoti in cura d'anime,<br />

tutti coloro che al breviario<br />

e al coro dedicano buona parte<br />

<strong>della</strong> giornata, e non per ultimi,<br />

quei laici, i quali, sentendo oscuramente<br />

che la <strong>liturgia</strong> costituisce<br />

un punto centrale di riferimento<br />

nella loro vita di cristiani,<br />

desiderano « scoprirla » per meglio<br />

sfruttarne gli ineffabili valori<br />

umani e trascendenti.


IL SENSO TEOLOGICO DELLA LITURGIA<br />

*.


CIPRIANO VAGAGGINI OSB<br />

IL SENSO TEOLOGICO<br />

DELLA LITURGIA<br />

SAGGIO DI LITURGIA TEOLOGICA GENERALE<br />

QUARTA EDIZIONE<br />

notevolmente riveduta ed aggiornata dall'Autore<br />

EDIZIONI PAOLINE


Nihil obstat quin imprimatur<br />

Ex Abbatia ad Sancti Andreae de Brugis<br />

die 9 Maii 1965<br />

>}• THEODORUS GHESQUIÈRE, Abbas<br />

IMPRIMATUR<br />

Roma:, die 17 - 7 • 1965<br />

Ex iEdibus Curia? Episcop.<br />

Ostieri, ac Portuen. et S. Rufina<br />

•ì* TITUS MANCINI, Vie. Gen.<br />

(V. 4325)<br />

© 1965 by EDIZIONI PAOLINE - ROMA


PREFAZIONE<br />

Chi è persuaso, con il concilio vaticano II, che la <strong>liturgia</strong>, senza<br />

esaurire in sé tutta l'attività <strong>della</strong> Chiesa, è tuttavia il culmine cui<br />

tende la sua vita, tanto spirituale che pastorale, e, insieme, la fonte<br />

da cui promana tutta la sua virtù 1 , crede naturalmente, che la Costituzione<br />

liturgica, emanata dallo stesso concilio, segni una data memorabile<br />

nella storia non solo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, ma anche dell'intera vita<br />

<strong>della</strong> Chiesa.<br />

Questa Costituzione ha un intento direttamente pastorale. Ma la<br />

sua forza segreta sta nel fatto che considera la meta pastorale e<br />

la stessa riforma liturgica che le serve di mezzo per raggiungerla, nel<br />

quadro di un concetto integrale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Un concetto nel quale<br />

l'aspetto <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> realtà liturgica occupa il centro e ne costituisce<br />

J(ijnÌ3ÓtÌa, quello storico ne è considerato il presupposto, e<br />

quello spirituale, pastorale e giuridico la conseguenza.<br />

Cosicché, nella Costituzione non solo la struttura generale dell'esposizione<br />

poggia sopra un'accurata analisi <strong>della</strong> natura e delle<br />

proprietà teologiche <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel quadro <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> salvezza,<br />

<strong>della</strong> cristologia e <strong>della</strong> sotereologia, nonché dell'ecclesiologia<br />

e di una teologia dei sacramenti in genere 2 , ma le stesse norme pratiche<br />

generali e particolari, <strong>della</strong> pastorale liturgica e <strong>della</strong> riforma<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 3 sono continuamente prospettate sullo sfondo dei princìpi<br />

teologici che le comandano.<br />

Questa preoccupazione del concilio d'inculcare ovunque un concetto<br />

integrale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sulla base del suo valore <strong>teologico</strong>, si<br />

riflette anche nelle norme che propone intorno al modo d'insegnarla.<br />

La <strong>liturgia</strong>, dice, « va insegnata sotto t'aspetto sia <strong>teologico</strong> e storico,<br />

che spirituale pastorale, e giuridico » *.<br />

Con ciò il concetto di <strong>liturgia</strong> acquista una completezza e una<br />

maturità mai raggiunte per il passato. Fino al 1920-1930 circa, la <strong>liturgia</strong>,<br />

comunemente, era considerata in sostanza, come il complesso<br />

i CL, art. 10.<br />

2 Ibid., art. 2; 5-13.<br />

3 Ibid., art. 14-46 e i capitoli 2-7.<br />

4 Ibid., art. 16. Vedi anche l'art. 23 sulla norma generale <strong>della</strong> riforma.


8 PREFAZIONE<br />

delle cerimonie del culto pubblico <strong>della</strong> Chiesa e delle leggi ecclesiastiche<br />

che lo regolano. La scienza liturgica era ritenuta parte del<br />

diritto canonico, in cui la storia, il pensiero <strong>teologico</strong> e la pastorale<br />

venivano impegnate per quel tanto che servono alla conoscenza delle<br />

leggi rubricali del culto. I relativi manuali « di <strong>liturgia</strong> » erano concepiti<br />

in questo <strong>senso</strong>.<br />

Questo concetto detta <strong>liturgia</strong> è stato duro a morire. Non oserei<br />

nemmeno negare che ne sopravviva ancora qualche traccia'.<br />

Ma dal 1920 circa, vi fu una forte reazione contro tale limitazione<br />

arbitraria <strong>della</strong> realtà liturgica. Reazione in un doppio <strong>senso</strong>:<br />

si allargò anzitutto l'oggetto considerato nella scienza liturgica. Si<br />

volle così che in essa fossero trattati non solo le cerimonie e le<br />

rubriche, ma gli stessi fatti o riti liturgici, i formulari liturgici, gli<br />

edifìci del culto, l'altare, i vasi sacri, le insegne liturgiche, il canto<br />

gregoriano stesso; e non solo la messa, il breviario, i sacramenti e<br />

i sacramentali, ma anche le feste e l'anno liturgico: ossia tutti gli<br />

elementi che hanno rapporto al culto. Anzi, si volle che tutto questo<br />

fosse considerato non solo nella <strong>liturgia</strong> romana, ma anche nelle<br />

altre liturgie, facendone, inoltre, uno studio comparativo {<strong>liturgia</strong><br />

comparata).<br />

In secondo luogo, di tutto questo insieme si volle fare una<br />

trattazione prevalentemente storica. L'ideale perseguito fu di proporre<br />

degli oggetti sopra elencati, di cui si compone la <strong>liturgia</strong>, lo<br />

sviluppo storico, dal loro nascere fino a oggi; e ciò, possibilmente,<br />

non solo nella <strong>liturgia</strong> romana, ma in tutte le liturgie, sia morte sia<br />

tuttora vive. Se prima la scienza liturgica era considerata essenzialmente<br />

come una rubricistica, da allora, nella quasi totalità dei casi,<br />

fu considerata come semplice storia. Non già che mancassero cenni<br />

al pensiero <strong>teologico</strong> o al valore ascetico spirituale e pastorale <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, ma, per lo pia, si trattava solo di cenni, spesso brevissimi.<br />

La preoccupazione essenziale andava all'aspetto storico: il formarsi<br />

successivo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che abbiamo oggi. Così l'insegnamento<br />

liturgico si sforzò di essere una sintesi delle ricerche storiche<br />

intorno alla <strong>liturgia</strong> che ebbero i loro inizi scientifici con i grandi<br />

storici <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> del secolo XVII", e han fatto progressi straordinari<br />

dall'inizio di questo secolo circa. <strong>Il</strong> manuale più perfetto<br />

di questo tipo di <strong>liturgia</strong> sembra sia stato in Germania quello di<br />

Luigi Eisenhofer 7 . In Italia abbiamo ora l'ottimo compendio di<br />

5 La MD già infliggeva chiara disapprovazione a simile concetto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

: « Perciò errano completamente intorno alla vera nozione e natura <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> coloro che la ritengono come una parte soltanto esterna del culto<br />

divino o come un cerimoniale decorativo; né sbagliano meno coloro i quali<br />

la considerano come una mera somma di leggi e di precetti con i quali la gerarchia<br />

ecclesiastica ordina il compimento dei riti ». N. 25.<br />

8 Vedi, per es., l'elenco che ne dà il RIGHETTI I 2 ed. 1950 p. 70 ss. Questi<br />

studi hanno avuto la loro enciclopedia, sfortunatamente non scevra di difetti,<br />

per il fatto che, dopo il primo volume, è stata compilata quasi unicamente da<br />

un unico redattore: H. LECLERCO, Dictionnaire d'archeologie chrétienne et de<br />

liturgie, Paris, dal 1903.<br />

7 Handbuch der katholischen Liturgik, 2 voi. Freiburg i. B., Herder 1932.


PREFAZIONE 9<br />

Mario Righetti in quattro volumi*, il quale offre un eccellente avviamento<br />

generale alla storia dei singoli oggetti e materie liturgiche<br />

considerati separatamente.<br />

Al Righetti, come all'Eisenhofer, che dividono le loro opere in<br />

<strong>liturgia</strong> generale e <strong>liturgia</strong> speciale, manca invece, anche dal solo<br />

punto di vista storico, una visione panoramica dello svolgimento<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in tutti i suoi oggetti e materie secondo le diverse<br />

epoche. Manca una visione in cui si possano vedere per ogni grande<br />

periodo storico i riflessi delle tendenze culturali religiose ed etniche<br />

in tutto il campo liturgico, ciò che è di somma importanza per<br />

una vera comprensione sia pure del solo aspetto storico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

9 .<br />

Che il predetto modo storico di considerare la <strong>liturgia</strong> segnasse<br />

un immenso progresso sul modo rubricistico, è evidente. La genesi<br />

storica del complesso liturgico, sotto tutti i suoi aspetti, porta ad<br />

una comprensione molto più sostanziosa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che oggi<br />

viviamo.<br />

Da ciò deriva, in primo luogo, che la continuazione e il perfezionaménto<br />

di questi studi è indispensabile e, inoltre, che i risultati<br />

delle ricerche storiche vanno sempre tenuti accuratamente presenti<br />

anche per ulteriori approfondimenti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Sono una<br />

base di cui non possono fare a meno la pastorale liturgica, la riforma<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e lo stesso studio del diritto liturgico. Fuori di<br />

questa base sarebbe poi ridicolo costruire ulteriori spiegazioni <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, sia pure teologiche e mistiche.<br />

Ciò ammesso, è certo tuttavia che sin dalla fine <strong>della</strong> seconda<br />

guerra mondiate, nello studio delta <strong>liturgia</strong> apparve l'urgente necessità,<br />

pur fondandosi sempre sulla ricerca storica ogni volta che<br />

la cosa lo comporta, di superare la fase dell'interesse puramente,<br />

o anche solo prevalentemente, storico. <strong>Il</strong> movimento liturgico, pur<br />

Seconda ristampa 1941-42. L'autore stesso ne fece un compendio Grundriss der<br />

katholischen Liturgik, tradotto in italiano: Compendiò di Liturgia, Torino, Marietti,<br />

3 ed. 1944. <strong>Il</strong> compendio tedesco è oggi sostituito da J. LECHNEK, Grundriss<br />

der Liturgik des ròmischen Ritus, Freiburg i. B., Herder 1950.<br />

8 M. RIGHETTI, Storia liturgica, 4 voli., Milano, Àncora, 1945-53, poi edizioni<br />

successive dei vari volumi. I. Introduzione generale; II. L'anno liturgico, il breviario;<br />

III. L'eucarestia; IV. Sacramenti e sacramentali.<br />

9 Nell'intento di supplire a questo difetto si ha ora un primo pregevole<br />

tentativo degno di ogni incoraggiamento, in: E. CATTANEO, Introduzione alta storia<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> occidentale, Roma 1962. Tra i lavori antecedenti vedi pure: A.<br />

BAUMSTARK, Vom geschichtlichen Verden der Liturgie, Freiburg i. B., Herder<br />

1923; l'ottima opera dell'anglicano G. Dix, The shape of the liturgy, Westminster,<br />

Dacre press 1945 (ristampa 1954). Nel 1949 TH. KLAUSER, ha scritto un<br />

articolo divulgativo panoramico sulla stessa materia: Abendlàndische Liturgiegeschichte,<br />

Bonn, Hanstein 1949 (estratto di Eleutheria, Heft 1, 1949); trad.<br />

francese: Petite histoire de la liturgie occidentale, Paris 1957. J. A. JUNGMANN,<br />

nel suo Missarum sollemnia dedica alla stessa questione, ma a proposito <strong>della</strong><br />

messa in particolare, una succosa trattazione: ediz. ital., Torino, Marietti 1953-<br />

54, I 9-143. Buon panorama dello sviluppo generale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> per epoche<br />

si ha pure, ma nel <strong>senso</strong> luterano, in R. STAEHLIN, Die Geschichte des christlichen<br />

Gottesdienstes von der Urkirche bis zur Gegenwart, in: Leiturgia, Kassel<br />

1 1954 pp. 1-80.


10 PREFAZIONE<br />

essendo esso stesso potente fermento dell'indagine storica nella<br />

<strong>liturgia</strong>, dalla quale a sua volta riceve forte impulso, spingeva nello<br />

stesso tempo a superare quella fase storica in tre direttrici: in una<br />

direttrice ascetica che, al di là <strong>della</strong> semplice comprensione storica,<br />

~poffasseràjcogliere nella <strong>liturgia</strong> il frutto di dottrina e di fermento<br />

di jrita, spirituale; in una direttrice pastorale che si preoccupasse,<br />

inoltre, dei mezzLpià adatti per riportare il popolo cristiano alla<br />

ttturjpa e la <strong>liturgia</strong> al popolo-cristiano; in una terza direttrice più.<br />

pròpriamente teologica che Approfondisse la <strong>liturgia</strong> alla luce dell'ultima<br />

sintesi di pensiero che sola può dare la teologia sintetica<br />

generale oggi detta dogmatica.<br />

Za considerazione pastorale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> prese allora uno sviluppo<br />

impressionante. Da quel momento la pastorale liturgica è<br />

stata la grande forza dinamica del movimento liturgico. Fu essa,<br />

senza dubbio, che ne fece un movimento veramente mondiale, che<br />

già prima del concilio vaticano II interessò profondamente non solo<br />

larghi strati del popolo cristiano, ma, in numero sempre crescente,<br />

i pastori gerarchi responsabili e i sacerdoti in cura d'anime tanto<br />

nei paesi di antica fede, che nelle missioni. L'ansia pastorale fu<br />

ancora il motivo decisivo che dette origine, sotto Pio XII, alle prime<br />

riforme liturgiche del presente periodo, e che furono, per quel tempo,<br />

clamorose.<br />

Non si'può dire, invece che, nello stesso periodo, l'indagine dell'aspetto<br />

<strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sia stata pari alla sua importanza<br />

reale anche per fondare saldamente ed equilibrare la preoccupazione<br />

pastorale e l'opera <strong>della</strong> riforma. Non già che, in questo campo<br />

allora non si facesse nulla. L'enciclica Mediator Dei, in specie, codificò<br />

felicemente i migliori risultati anche dell'indagine teologica<br />

liturgica ottenuti da un secolo circa di movimento liturgico. Inoltre,<br />

vi furono saggi di una certa importanza 10 . Ma molto rimaneva da fare.<br />

io I saggi più impegnativi nel campo <strong>teologico</strong>-liturgico sembra siano stati<br />

i tentativi di O. CASEL intorno alla teologia del mistero. A parte la teoria specifica<br />

di Casel <strong>della</strong> ripresentazione delle azioni salutifere storiche di Cristo,<br />

questi tentativi, anche per le opposizioni che hanno suscitato, hanno dato occasione<br />

di precisare e valorizzare un certo numero d'idee notevoli. Interesse per<br />

l'aspetto <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> mostrò pure Dom Lamberto Beauduin, iniziatore<br />

del centro liturgico dell'abbazia di Mont Cesar, a Lovanio, nel Belgio, interesse<br />

che è poi continuato nelle pubblicazioni di quel gruppo, particolarmente in<br />

« Les questions liturgiques et paroissiales » e nei « Cours et conférences des<br />

semaines liturgiques » (dal 1912). Anche il « Centre de pastorale liturgique »<br />

di Parigi non voleva trascurare quest'aspetto, come appare dal periodico :<br />

« La maison Dieu » e dalla collezione < Lex orandi ». La collezione « Ecclesia<br />

orans » e le riviste « Jahrbuch fiir Liturgiewissenschaft » (1921-41), « Archiv fiir<br />

Liturgiewissenschaft » (dal 1950) di Maria Laach vanno pure notate in questo<br />

<strong>senso</strong>. Più recentemente hanno presentito l'importanza di un'impostazione più<br />

decisamente teologica nello studio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, J. Daniélou e L. Bouyer. II<br />

P. DANIÉLOU si è impegnato in uno sforzo di riabilitazione critica <strong>della</strong> tipologia<br />

biblica e patristica, specialmente nelle due opere: Sacramentum futuri, Paris<br />

1950 e Bible et Liturgie, La théologie biblique des sacrements et des fètes<br />

d'après les Pères de l'Église, Paris 1951. Di L. BOUYER sono notevoli: Le mistère<br />

pascal, Paris 1947; Liturgical piety, Notre Dame press 1955: edizione francese:<br />

La vie de la liturgie (Lex orandi), Paris 1957. Oltre a questi, si contano un certo


PREFAZIONE 11<br />

L'interesse per la penetrazione propriamente teologica <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> cominciò a svegliarsi in modo più notevole solo pochi anni<br />

prima del concilio. Comunque, nel concilio stesso, la considerazione<br />

teologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, pur non intesa per se stessa, appare ovunque<br />

come la radice dalla quale, nel quadro di un concetto integrale delta<br />

realtà liturgica, s'illuminano le norme pastorali e quelle <strong>della</strong><br />

riforma.<br />

Ed è normale che sia così. È anzi necessario; non bisogna stancarsi<br />

di ripeterlo anche oggi, dopo il concilio, mentre siamo in piena<br />

euforia di riforme. Guai se si dimenticasse che queste riforme, per<br />

quanto importanti, non possono essere che uno strumento per facilitare<br />

il raggiungimento dello scopo <strong>della</strong> pastorale liturgica. Uno<br />

strumento che non è nemmeno il più decisivo sulla via verso la meta.<br />

Se il fine <strong>della</strong> pastorale liturgica è di ricondurre la <strong>liturgia</strong>, e nella<br />

titurgia, Cristo stesso, al popolo e il popolo alla <strong>liturgia</strong>, e così a<br />

Cristo, il mezzo decisivo sarà sempre quello <strong>della</strong> comprensione,<br />

meglio <strong>della</strong> penetrazione vitale, dell'anima del mondo liturgico.<br />

La riforma di struttura, di lingua, di canto, la creazione stessa<br />

di nuove forme liturgiche non possono essere che un aiuto, importante<br />

quanto si vuole, ma solo un aiuto per fare penetrare il popolo<br />

nel cuore del mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Che quest'aiuto non sia decisivo<br />

l'aveva compreso molto bene quel sacerdote francese, il quale, in<br />

una discussione intorno alla lingua liturgica, osservò : « la <strong>liturgia</strong>,<br />

sia fatta in latino o sia fata in francese, per il mio popolo sarà sempre<br />

in ebraico! ».<br />

E anche oggi, dopo il concilio, la <strong>liturgia</strong>, felicemente ormai quasi<br />

tutta nella tingua materna, rimane sostanzialmente « in ebraico »,<br />

non solo per il popolo ma anche per il clero. E se il clero per primo<br />

non impara bene quest'ebraico e non lo spiega al popolo, la cristianizzazione<br />

del mondo non avrà guadagnato gran che dalla riforma<br />

liturgica.<br />

L'ebraico qui significa: il pensiero <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, non<br />

separato, naturalmente, dal pensiero biblico e spirituale. Solo una<br />

<strong>liturgia</strong> teologica, considerando la realtà liturgica alla luce dei suoi<br />

ultimi princìpi nel quadro <strong>della</strong> visione del mondo data dalla rivelazione<br />

e studiata dalla teologia generale, arriva al midollo del pensiero<br />

liturgico. Essa è quindi l'unica solida base di una spiritualità<br />

liturgica come di una pastorale liturgica.<br />

È da augurarsi che siano assai più numerosi di quanto lo sono<br />

stati fin qui i teologi che si occupino di <strong>liturgia</strong> e i liturgisti che<br />

si occupino di teologia. Se questo si verificherà su scala notevole<br />

ne deriverà grande profitto non solo alla <strong>liturgia</strong> e al movimento<br />

liturgico, ma anche alla stessa teologia.<br />

Per quanto riguarda poi l'insegnamento programmatico <strong>della</strong><br />

numero di saggi particolari, ai quali ci riferiremo nel corso di questo studio.<br />

Comunque, in fatto di teologia liturgica, si ha l'impressione che, assai spesso,<br />

più che scendere nella ricerca tecnica e sistematica, base necessaria di ogni<br />

lavoro in profondità, ci si sia accontentati di saggi sporadici e di larga divulgazione.


12<br />

<strong>liturgia</strong>, è illusorio sperare di raggiungere lo scopo che è di dare<br />

un'iniziazione che avvii efficacemente alla scoperta del mondo liturgico<br />

nella sua integralità, senza impostare quest'avviamento sui princìpi<br />

di una visione sintetica liturgico-teologica che faccia vedere il<br />

posto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nell'economia generale <strong>della</strong> salvezza.<br />

La <strong>liturgia</strong> teologica imposta lo studio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sul suo<br />

valore <strong>teologico</strong>, dando all'indagine storica del fatto liturgico l'importanza<br />

di una fase previa <strong>della</strong> ricerca, e all'elaborazione del suo<br />

contenuto spirituale, pastorale e giuridico il significato di una conseguenza.<br />

La <strong>liturgia</strong> teologica generale studia, incentrandoli sul punto<br />

dì vista <strong>teologico</strong>, gli elementi comuni alle parti singole <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>;<br />

la <strong>liturgia</strong> teologica speciale studia nello stesso modo gli elementi<br />

speciali a queste stesse singole parti: alla messa, agli altri<br />

sacramenti, ai sacramentali, all'anno liturgico.<br />

Scopo di questo saggio di <strong>liturgia</strong> teologica generale è di lumeggiare<br />

il concetto di <strong>liturgia</strong>, il posto che ad essa spetta nell'economia<br />

generale <strong>della</strong> salvezza in rapporto alle leggi generali che reggono<br />

quest'economia, i suoi rapporti con la bibbia, con la teologia, con<br />

la vita spirituale e pastorale.<br />

Mi stimerei felice se con questo potessi aiutare qualche lettore<br />

a dissetarsi più facilmente alla grande fonte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>: fonte<br />

d'acqua viva che zampilla fino alla vita eterna. E la fonte è Cristo.


PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE<br />

L'aggiornamento di quest'opera, resosi necessario per la nuova<br />

edizione — la quarta dopo la ristampa del 1962 — non ha comportato<br />

cambiamenti sostanziali di prospettiva. La promulgazione <strong>della</strong><br />

Costituzione liturgica del concilio vaticano II è stata per l'autore<br />

motivo di particolare soddisfazione perché, nel documento conciliare,<br />

le linee fondamentali, che questo libro esponeva sin dal 1957,<br />

sul modo di concepire la natura e la funzione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella Chiesa,<br />

sono state largamente e solennemente confermate dall'autorità<br />

suprema.<br />

Cosicché, oltre all'aggiornamento <strong>della</strong> bibliografìa, sono stati sufficienti<br />

alcuni ritocchi. Anzitutto, ovunque la cosa è stata possibile,<br />

le idee esposte sono state suffragate con espliciti riferimenti ai testi<br />

del concilio e a quelli più recenti emanati dalla Sede Apostolica.<br />

Poi si è tenuto conto del mutamento <strong>della</strong> situazione pratica <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> in seguito alle recenti riforme. Per questo anche, nel capitolo<br />

XXIV, è sembrato più opportuno attenersi ormai strettamente<br />

all'indole teologica di quest'opera e non entrare in suggerimenti particolari<br />

riguardo alle riforme nella struttura, nella lingua o nel canto<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Questi suggerimenti furono utili, penso, prima del<br />

concilio, ma ormai i princìpi di tali riforme sono acquisiti e siamo<br />

in fase di piena esecuzione.<br />

Finalmente, una riflessione più. accurata ha suggerito di precisare<br />

o sviluppare una serie di questioni. L'abbiamo fatto principalmente,<br />

intorno alla definizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>; all'efficacia del segno<br />

nèlta <strong>liturgia</strong>; all'opus operantis Ecclesia; al concètto e all'importanza<br />

del mistero pasquale e intorno al problema dei rapporti tra<br />

<strong>liturgia</strong> ed orazione mistica.<br />

Devo particolare gratitudine al Professore Tommaso Federici per<br />

avere fatto gli indici di questo volume.<br />

Prima Domenica di Quaresima, 7 marzo 1965<br />

D. C. VAGAGGINI, OSB


s<br />

PARTE PRIMA<br />

IL CONCETTO DI LITURGIA


SIGLE<br />

CL : Concilium Vaticanum II, Constitutio de Sacra Liturgia.<br />

Dz : Enchiridion symbolorum di H. DENZINGER ed. 32 di A. SCHONMETZER. <strong>Il</strong> primo<br />

numero indica la nuova numerazione, il secondo la numerazione<br />

delle edizioni precedenti.<br />

MD : Enciclica Mediator Dei. I singoli passi vengono citati secondo la numerazione<br />

dell'edizione curata da A. BUGNINI, Documenta pontificia ad instaurationem<br />

liturgicam spectantìa (1903-53), Roma 1953 p. 95 ss.<br />

PG : MIGNE, Patrologia greca.<br />

PL : MIGNE, Patrologia latina.<br />

RIGHETTI: M. RIGHETTI, Storia liturgica, 4 volumi, Milano, Àncora, 1945-53. <strong>Il</strong><br />

primo volume viene citato nella seconda edizione, ibid., 1950.


CAPITOLO I<br />

LO SFONDO GENERALE DELLA LITURGIA:<br />

LA RIVELAZIONE COME STORIA SACRA<br />

Per penetrare il mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> bisogna penetrare il mondo<br />

<strong>della</strong> rivelazione e considerare le cose in quella visuale generale<br />

propria in cui le considera là rivelazione, in specie nella Scrittura.<br />

La <strong>liturgia</strong>, infatti, non è altro che una certa fase e un certo modo<br />

in cui si attua tra noi il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> rivelazione. Per questo è indispensabile<br />

considerare sempre la <strong>liturgia</strong> sullo sfondo generale <strong>della</strong><br />

storia sacra perché la storia sacra è appunto la visuale generale<br />

propria in cui la rivelazione considera ogni cosa.<br />

1. LA RIVELAZIONE SI PRESENTA ANZITUTTO<br />

COME UNA STORIA SACRA<br />

C'è un modo di considerare le cose, proprio nelle scienze umane,<br />

<strong>della</strong> speculazione metafìsica, che si può chiamare entitativo o ontologico,<br />

perché si preoccupa anzitutto di determinare la posizione<br />

di una cosa qualsiasi nella scala dell'ente, delle entità. Così, per<br />

esempio, se, analizzando quest'uomo, Tizio, considero che si tratta<br />

di un essere, di una sostanza, di un animale, ma ragionevole, che<br />

dunque ha il potere radicale di ridere, di studiare, che è sociale,<br />

che può essere religioso e cose simili, considero in Tizio anzitutto<br />

l'aspetto entitativo, ontologico.<br />

La rivelazione cristiana, specie nella Scrittura, non si presenta<br />

a noi anzitutto come un sistema spiegativo delle cose viste sotto il<br />

loro aspetto entitativo ad analogia di una spiegazione metafisica<br />

dell'essere; l'aspetto primario e prevalente sotto il quale ci si presenta<br />

la rivelazione non è una specie di metafisica rivelata. Non<br />

intendo dire, beninteso, che nella rivelazione, e già neHa stessa Scrit-


18 CAP. I - SFONDO DELLA LITURGIA : STORIA SACRA<br />

tura, non vi sia un numero più o meno considerevole di affermazioni<br />

di valore entitativo e metafisico di capitale importanza oggettiva;<br />

che, anzi, è chiaro, tali affermazioni ci sono. Ma intendo dire : primo,<br />

che affermazioni di tale genere sono relativamente rare e sporadiche;<br />

secondo, che non si può parlarne come di un sistema di spiegazione<br />

entitativa metafìsica del cosmo, ma se mai, come di brani o fondamenti<br />

che, ulteriormente sviluppati e completati, potrebbero servire<br />

alla costruzione di un tale sistema; in terzo luogo e principalmente,<br />

che queste affermazioni, per quanto in se stesse capitali, non sono<br />

al primo piano dell'attenzione, dell'interesse e delle preoccupazioni<br />

<strong>della</strong> rivelazione, ma sono come dei presupposti naturalmente accettati,<br />

a cui ogni tanto si allude, ma senza farli, per lo più, oggetto<br />

di preoccupazione ed attenzione primaria.<br />

Non sarebbe nemmeno preciso dire che la rivelazione, specialmente<br />

nella Scrittura, si presenta a noi in primo luogo come una<br />

direttiva pratica di vita, come un complesso di direttive e di precetti<br />

morali. Anche questo, naturalmente, c'è; anzi è ovunque molto<br />

esplicito ed essenzialissimo. Ma non sarebbe preciso dire che questo<br />

complesso di direttive e di precetti morali sia primario come quella<br />

cosa che anzitutto appare nella Scrittura, la quale si presenterebbe<br />

in questo <strong>senso</strong> anzitutto come norma di vita, come una morale.<br />

Questo, dico, non è preciso, perché la norma morale, che è fortemente<br />

esplicitata e messa in rilievo nella Scrittura, vi è però sempre<br />

proposta come conseguenza immediata di qualcosa d'altro; come<br />

derivazione naturale e insopprimibile di un altro elemento da cui<br />

tutto deriva immediatamente e che appare, lui, al primo piano.<br />

La rivelazione, principalmente nella Scrittura, si presenta invece<br />

anzitutto come una storia; come una storia sempre in atto; come<br />

una storia sacra sempre in atto, che presuppone, e ogni tanto afferma,<br />

nel suo sfondo, una certa metafìsica e da cui immediatamente<br />

deriva e mette fortemente in rilievo una norma di vita, una morale.<br />

È questa la storia sacra sempre in atto degli interventi di Dio nel<br />

mondo, per attirare a sé le creature razionali, comunicar loro la sua<br />

vita divina e realizzare così il suo regno cosmico. £ anche la storia<br />

sèmpre in atto <strong>della</strong> risposta di queste creature. E questa la visuale<br />

dominante e specifica sotto la quale la rivelazione presenta tutto<br />

quello di cui fa parola; dominante, dunque, non metafisica, né morale,<br />

ma storica, con uno sfondo metafìsico e una derivazione morale<br />

fortemente esplicitata.<br />

In tutto questo c'è più che una semplice sfumatura. Questa nota<br />

distintiva di essere anzitutto una storia sacra sempre in atto con<br />

uno sfondo metafisico e la forte esplicitazione di una morale, dà alla<br />

rivelazione giudeo-cristiana la sua fisionomia specifica che la distingue<br />

profondamente e di primo acchito da qualsiasi sistema semplicemente<br />

filosofico o etico.<br />

Per esempio: sono visioni del mondo essenzialmente filosofiche,<br />

dalle quali se mai, deriva una norma di vita pratica, il platonismo,<br />

l'aristotelismo, il plotinismo, il kantismo, l'hegelianismo. £ in-


LA RIVELAZIONE COME STORIA 19<br />

vece in primo luogo una norma di vita, una morale, il confucianismo;<br />

così anche, pare, il buddismo primitivo, come esperienza di vita.<br />

Sono invece anzitutto accadimenti storici: la conquista dell'Asia di<br />

Alessandro Magno, la scoperta dell'America di Cristoforo Colombo,<br />

le invasioni barbariche nell'impero romano, ecc. <strong>Il</strong> De bello gallico<br />

riferisce un accadimento storico, è anzitutto una storia.<br />

Orbene, la rivelazione cristiana, anch'essa, si presenta anzitutto<br />

come una grandezza nell'ordine degli accadimenti storici: la storia<br />

dell'irrompere sempre in atto di una persona concreta, Dio, nello<br />

spazio e nel tempo per fare certi suoi approcci a persone concrete,<br />

gli uomini, da Lui stesso, del resto, poste e mantenute nell'essere,<br />

ma di cui desidera la libera dedizione, in vista di realizzare su di<br />

loro un certo suo disegno di regno cosmico. Questo è il quadro primario<br />

<strong>della</strong> rivelazione cristiana.<br />

Che se poi in questo quadro c'è uno sfondo metafisico è semplicemente<br />

perché nessuna storia può farne a meno. Così anche nel<br />

De bello gallico c'è un certo sfondo di affermazioni di valore<br />

metafisico, per quanto generale. È chiaro, infatti, che verrebbe a<br />

svuotare completamente lo stesso valore storico del De bello gallico<br />

colui che non ammettesse sin dal principio il valore oggettivo, per<br />

esempio, dei concetti di uomo, impero romano, celti, guerra, libertà<br />

umana, responsabilità, tempo, spazio, ecc. ecc. Negati questi e simili<br />

concetti, l'avvenimento storico che vuol narrare il De bello gallico<br />

e il libro stesso non hanno più <strong>senso</strong>. Ne segue,, quindi, che l'autore<br />

del libro, che non intende certamente preoccuparsi di metafìsica,<br />

pur tuttavia non può fare a meno di presupporre e ogni tanto forse<br />

anche di affermare esplicitamente un certo numero di concetti di<br />

valore propriamente metafisico. Ma non è men chiaro che in una<br />

narrazione storica come il De bello gallico la metafisica c'entra solo<br />

come sfondo, come cosa naturalmente presupposta e ogni tanto,<br />

forse, più o meno esplicitamente affermata, ma sempre al servizio<br />

<strong>della</strong> storia; per quel tanto, cioè, che è necessario per salvaguardare<br />

e far capire il valore <strong>della</strong> storia. Similmente nella rivelazione cristiana:<br />

la metafisica, nello sfondo del quadro, vi è oggetto d'affermazione<br />

per quel tanto che è necessario per salvaguardare e far<br />

capire il valore <strong>della</strong> storia sempre in atto degli interventi di Dio<br />

nel mondo, né più né meno.<br />

<strong>Il</strong> fatto poi che nella rivelazione cristiana la norma morale di<br />

vita è fortemente esplicitata, proviene dalla natura stessa <strong>della</strong> storia<br />

che racconta. È una storia sacra, che per la natura di Colui che ne<br />

è il protagonista principale, Dio, e per le intenzioni che Egli vi<br />

persegue, investe ed impegna direttamente la vita e l'agire dell'uomo,<br />

i suoi diritti e i suoi doveri, nelle sue radici più profonde. Ciò non<br />

toglie però che, nella rivelazione cristiana, si tratti sempre di una<br />

morale che nella sua fisionomia concreta e propria è derivata immediatamente<br />

da una storia e non semplicemente da una metafisica.<br />

Stando, infatti, alle cose come le presenta la rivelazione, l'uomo<br />

deve agire in tale o tale modo non già semplicemente e solo per


20 CAP. I - SFONDO DELLA LITURGIA : STORIA SACRA<br />

ragioni metafisiche o per altre considerazioni, ma, immediatamente,<br />

perché Dio, persona concreta, è intervenuta e interviene concretamente<br />

e liberamente in Cristo, nello Spirito, in tale o tale modo nella<br />

storia del mondo, nella storia dell'uomo, di ogni uomo; nella tua<br />

storia. La rivelazione cristiana dice all'uomo: Dio liberamente ha<br />

agito ed agisce ed agirà così cogli uomini, con te, dunque è tuo dovere<br />

agire così.<br />

È già norma caratteristica dell'Antico Testamento di desumere<br />

il motivo <strong>della</strong> legge morale immediatamente e concretamente anzitutto<br />

dal patto che Dio ha concluso con Israele. Si veda, per esempio,<br />

Es 20,2 ss ove si tratta del decalogo. Al primo comandamento : non<br />

avere altro Dio fuori di me, è premessa come motivazione immediata<br />

: « Io sono il Signore, Iddio tuo, che ti trassi fuori dal paese<br />

d'Egitto, dalla casa di schiavi » (v. 2). Al secondo comandamento :<br />

Non ti fare scultura né immagine alcuna... non prostrarti ad esse,<br />

segue la motivazione : « Poiché io, il Signore Dio tuo, sono un Dio<br />

geloso... » (y. 5). Al comandamento dell'osservanza del sabato è data<br />

come motivazione : « Poiché in sei giorni il Signore fece il cielo e<br />

la terra e il mare e quanto è in essi, e al settimo si riposò; perciò<br />

benedisse il Signore il giorno del sabato e lo santificò » (v. 11). Vedi<br />

nello stesso <strong>senso</strong> Dt 4,2.7-9.15.16.32-40; 5,6; 7,6-11; 10,12-11,9. Sommamente<br />

caratteristico, tra questi testi, quello dove si motiva il<br />

sommo comandamento di amare Dio al di sopra delle altre cose:<br />

« Ed ora, Israele, che cosa richiede da te il Signore, tuo Dio, se non<br />

che tu tema il Signore, tuo Dio, cammini per tutte le sue vie, lo ami,<br />

lo serva, il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima<br />

tua, osservando i precetti del Signore e i suoi statuti, che oggi io<br />

ti ingiungo per tuo bene? Vedi! Del Signore, tuo Dio, è il cielo e<br />

il più alto cielo, la terra e quanto in essa si trova. Eppure, soltanto<br />

ai tuoi padri si è attaccato il Signore, amandoli, e dopo di loro<br />

ha preferito i loro posteri, voi, a tutti i popoli, com'è al giorno d'oggi.<br />

Circoncidete dunque l'incirconciso vostro cuore e non indurate la<br />

vostra cervice... » (Dt 10,12-16). Si veda pure come si motiva il precetto<br />

dell'amore del forestiero che abita in mezzo agli israeliti:<br />

« Poiché il Signore, vostro Dio, è il Dio degli dei... che non usa parzialità<br />

e non accetta regali... ed ama il forestiero, somministrandogli<br />

pane e vestito. Amate dunque il forestiero, giacché forestieri foste<br />

nella terra d'Egitto » (Ibid. v. 17-19).<br />

Già i profeti, del resto, vedevano tutto in questa prospettiva:<br />

dal modo di agire di Dio nella storia con Israele, modo d'agire di<br />

padre e di sposo, ma anche di giudice retributore, si desumono i<br />

doveri d'Israele verso Dio e si misura la gravità dei suoi peccati.<br />

Di qui, per esempio, il grande tema profetico dell'amore di Dio<br />

sposo, per Israele sua sposa; dell'infedeltà <strong>della</strong> sposa verso lo<br />

sposo e delle lamentele di Dio contro la sposa infedele, nonché delle<br />

tribolazioni senza fine cui la sposa va incontro per la sua infedeltà;<br />

tema già drammaticamente sviluppato da Osea (1,2; 2; 3,1-5; 4,10-19;<br />

5-10; 14,2 ss).


MORALE DERIVATA DALLA STORIA 21<br />

Lo stesso concetto di creazione e di Dio creatore, che ha tanta<br />

importanza nell'Antico Testamento come motivazione dei rapporti<br />

tra il mondo e Dio, non è tanto considerato (specialmente nei testi<br />

più antichi) nel suo valore metafisico quanto nei suoi rapporti con<br />

la storia. La creazione vi è vista anzitutto come l'inizio <strong>della</strong> storia.<br />

In tutto questo appare sempre lo stesso fenomeno: la norma<br />

morale è desunta immediatamente e concretamente da una storia<br />

e non semplicemente da una metafisica, tanto meno da un bisogno<br />

semplicemente pratico o edonistico dell'uomo.<br />

In questo, come in tanti altri punti, il Nuovo Testamento è<br />

l'erede e la continuazione dell'Antico. Solo che quell'agire divino, da<br />

cui si desume immediatamente la morale, è ora una storia immensamente<br />

più straordinaria di quella che avevano conosciuta gli antichi<br />

israeliti. E questa storia si riassume nel fatto che, nella persona<br />

di Cristo, Dio stesso in persona è venuto tra noi e ha abitato con noi,<br />

e « dopo aver Iddio in antico, a più riprese e in molte guise,<br />

parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi tempi<br />

parlò a noi per mezzo del Figlio suo » (Eb 1,1 s). « Infatti Dio ha tanto<br />

amato il mondo da dare il suo Figliuolo unigenito, affinché chiunque<br />

crede in Lui, non perisca, ma abbia la vita eterna » (Gv 3,16). Cristo,<br />

poi, lasciando questo mondo, ha mandato, da presso il Padre, il suo<br />

Spirito, che è ora sempre presente nei credenti e opera in essi la<br />

figliolanza divina, trasformandoli e configurandoli al Verbo incarnato<br />

morto e risorto per condurli all'ultima meta: la risurrezione gloriosa<br />

nella vita beata con Cristo (vedi, per es., Gv 14,15-21.25-31;<br />

Rm 8). Da questo intervento straordinario di Dio nel mondo in Cristo,<br />

nello Spirito, si desume ora la motivazione specificamente cristiana<br />

dell'agire.<br />

Ecco alcuni esempi. Così S. Giovanni giustifica la necessità dell'amore<br />

di Dio e del prossimo : « Chi non ama non ha conosciuto<br />

Dio, perché Dio è carità 1 . In questo si è manifestata la carità di Dio<br />

verso di noi : che Dio mandò il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché<br />

per mezzo di lui abbiamo la vita. In questo è la carità, che senza<br />

aver noi amato Dio, Egli per primo ci ha amati e ha mandato il suo<br />

Figliuolo come propiziazione per i nostri peccati. Carissimi se Dio<br />

ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci Vun l'altro. Nessuno<br />

ha mai veduto Dio. Se ci amiamo l'un l'altro Dio abita in noi e la<br />

carità di lui è perfetta. Da questo conosciamo che noi siamo in Lui<br />

ed Egli in noi: nel fatto che Egli del suo Spirito ci ha fatto dono.<br />

E noi abbiamo contemplato ed attestiamo che il Padre mandò il<br />

Figlio come Salvatore del mondo. ...Amiamo dunque Dio, perché Egli<br />

per primo ci ha amati» (lGv 4,7ss). «Da questo noi conosciamo<br />

l'amore: dal fatto che Quegli sacrificò per noi la sua vita: anche noi<br />

dobbiamo per i fratelli sacrificare le nostre vite » (Ibid. 3,16).<br />

1 Non è una definizione di natura metafisica di Dio, come, del resto, checché<br />

ne abbiano detto parecchi autori, non lo è nemmeno l'Ego sum qui sum dell'Esodo<br />

3,14; il <strong>senso</strong> è: tutto l'agire di Dio verso il mondo nella storia sacra<br />

ha per origine e per forma il suo gratuito amore. <strong>Il</strong> contesto è chiaro.


22<br />

CAP. I - SFONDO DELLA LITURGIA : STORIA SACRA<br />

Perché non si può commettere fornicazione : « Non sapete che i<br />

vostri corpi sono membra di Cristo? Or dunque le membra di Cristo<br />

le farò membra di una meretrice? Non sia mai!... Fuggite la fornicazione...<br />

O non sapete che il corpo vostro è tempio del santo Spirito<br />

che è in voi, che avete da Dio? e non siete di voi stessi perché siete<br />

stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro<br />

corpo » (1 Cor 6,15.19.20). Perché non si può scandalizzare i fratelli:<br />

« ...E va in rovina il debole, per la tua scienza : il fratello per cui<br />

è morto Cristo! Così peccando contro i fratelli e offendendo la loro<br />

coscienza debole, peccate contro Cristo. Per questo appunto: se un<br />

cibo è di scandalo al fratello, non mangerò carne in eterno, per non<br />

scandalizzare il fratello mio » (1 Cor 8,11 ss).<br />

Ed ecco, finalmente, donde si desume immediatamente e concretamente<br />

per S. Paolo la norma specificamente cristiana di ogni<br />

allontanamento dal peccato, di ogni ascesi e di ogni tendenza all'ultima<br />

perfezione : « Dio avendo mandato il proprio Figlio nella somi :<br />

glianza <strong>della</strong> carne di peccato e per il peccato condannò il peccato<br />

nella carne... Quei che sonò nella carne non possono piacere a Dio.<br />

Voi però non siete nella carne ma nello spirito se è certo che lo<br />

Spirito di Dio abita in voi. Che se uno non ha lo Spirito di Cristo,<br />

questi non gli appartiene. Or se Cristo è in voi ben è morto il corpo<br />

per il peccato, lo spirito invece è vita per la giustizia. Se poi lo Spirito<br />

di Chi risuscitò Gesù da morte abita in voi, chi risuscitò da<br />

morte Cristo Gesù vivificherà anche i vostri corpi mortali, per lo<br />

Spirito suo che abita in voi. Dunque fratelli siamo debitori non<br />

verso la carne per vivere secondo la carne, perché se vivete secondo<br />

la carne, la morte vi sarà sopra, ma se con lo spirito mortificate le<br />

opere del corpo, vivrete. Quanti infatti sono mossi dallo spirito<br />

di Dio questi figli sono di Dio... Or se siamo figlioli siamo anche<br />

eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se per altro per Lui soffriamo<br />

per essere con Lui anche conglorificati. Ritengo infatti che le sofferenze<br />

del tempo presente non sono adeguate alla gloria futura che<br />

deve essere manifestata in noi » (Rm 8,3 ss).<br />

Anche senza entrare nei particolari di questo testo di grande<br />

densità di pensiero, è intuitivo il suo movimento generale : la venuta<br />

del Figlio di Dio ha infranto di diritto il dominio del peccato (<strong>della</strong><br />

carne); avendoci comunicato il suo Spirito, Dio libera ognuno di<br />

noi da quel dominio; dunque non ci è permesso di vivere nel peccato<br />

(secondo la carne), ma dobbiamo vivere come figli di Dio, docili alle<br />

mozioni dello Spirito che è in noi; soffrendo ora per Cristo saremo<br />

glorificati assieme a Lui quando lo Spirito che abita in noi opererà<br />

in noi anche la risurrezione gloriosa.<br />

Va notato che nella stessa tradizione dogmatica e nel magistero<br />

ordinario <strong>della</strong> Chiesa la rivelazione viene presentata ugualmente,<br />

anzitutto, come una storia sacra, nello stesso <strong>senso</strong> <strong>della</strong> Scrittura.<br />

Una prima prova ne è il fatto che la tradizione dogmatica e il magistero<br />

ordinario propongono ai fedeli anzitutto la Scrittura stessa,<br />

dato che il messaggio <strong>della</strong> Scrittura costituisce l'oggetto principale


RIVELAZIONE E STORIA SACRA 23<br />

del loro stesso messaggio. Un'altra prova, non meno convincente,<br />

è il simbolo <strong>della</strong> fede proposto dalla stessa tradizione e dallo stesso<br />

magistero ordinario come un breve e facile riassunto <strong>della</strong> rivelazione.<br />

Questo concetto non solo è antichissimo e comune nella tradizione<br />

patrìstica 2 e liturgica 8 , ma continuò anche in quella scolastica<br />

*, la quale, com'è noto, sotto un altro aspetto, portò, pur tuttavia,<br />

la sua massima attenzione nel considerare la rivelazione dal<br />

punto di vista entitativo. È facile accorgersi che il simbolo <strong>della</strong><br />

fede principalmente nella sua forma più antica, quella detta del<br />

simbolo apostolico, è costruito secondo la prospettiva dominante<br />

<strong>della</strong> storia sacra degli interventi di Dio nel mondo. L'accentuazione<br />

dell'aspetto entitativo per alcuni punti di dottrina nelle formule<br />

dello stesso simbolo, fu opera, come è noto, del magistero straordinario<br />

per intervento polemico contro deviazioni ereticali 5 .<br />

Insomma, la conclusione è sempre la stessa: tutta la rivelazione<br />

giudeo-cristiana poggia sopra una storia e si presenta anzitutto come<br />

una storia, una storia sempre in atto, ma che ha un lungo passato<br />

e non si compirà che nel futuro; l_a_._st.Qria dei liberi e amorosi<br />

interventi di Dio nel mondo e <strong>della</strong> libera risposta delle creature.<br />

2 Cfr. per es., D. VAN DEN EYNDE, Las normes de l'enseignement chrétien<br />

dans la littérature patristique des trois premiers siècles, Gembloux 1933. Vedi<br />

per es., IRENEO, Adv. Haer., I 10,1-2; TERTULLIANO, De praescript. 14,1-3; ORIGENE,<br />

De Prina, Prologo. A partire dal secolo IV l'idea è comune; vedi per es., GIRO­<br />

LAMO, Contro. Ioan. 28; RUFINO, Corri, in symb. apost. 2; AGOSTINO, De symb.<br />

ad catech. 1.<br />

3 Si tratta del rito <strong>della</strong> Traditio symboli ai catecumeni, nel quale il simbolo<br />

viene considerato come il sommario di tutta la fede cristiana (vedi per<br />

es., M. RIGHETTI IV 36 ss; vedi pure il Sacramentario gelasiano, ed. Mohlberg,<br />

p. 48 n. 310), e già anticamente del rito <strong>della</strong> professione <strong>della</strong> fede, a modo di<br />

simbolo, nello stesso atto del battesimo (vedi RIGHETTI IV 65 s e il testo <strong>della</strong><br />

Traditio Apostolica di Ippolito Romano 21).<br />

4 Fu dottrina comune nella scolastica che tutta la fede è contenuta negli<br />

articoli del simbolo apostolico. Per gli scolastici i punti <strong>della</strong> fede non direttamente<br />

contenuti nel simbolo possono essere ridotti a uno che vi è contenuto, sia<br />

come supposto sia come conseguenza. Vedi per es., ALENSE, Summa III, q. 69,<br />

ed. Quaracchi, IV n. 698 ss; BONAVENTURA, in III d. 25 q. 1.<br />

5 Caso tipico: le modificazioni che il concilio niceno introdusse nel simbolo<br />

per difendere la dottrina ortodossa contro gli ariani. Anche il simbolo<br />

detto atanasiano, con la sua grandissima insistenza sull'aspetto entitativo <strong>della</strong><br />

Trinità e dell'incarnazione, è una composizione nettamente polemica.


24 CAP. I - SFONDO DELLA LITURGIA : STORIA SACRA<br />

2. LE GRANDI FASI DI QUESTA STORIA<br />

Qual è più concretamente questa storia? In riassunto se ne<br />

possono considerare le fasi essenziali nel seguente specchietto :<br />

ETERNITÀ: Dio (il Padre per appropriazione) liberamente, per amore, decide<br />

di partecipare la sua vita intima a creature per farne il suo regno<br />

unitario, spirituale, cosmico (sotto il primato di Cristo), che si realizzerà<br />

pienamente nella Gerusalemme celeste. Predestinazione (di Cristo e) degli<br />

eletti (sotto il suo primato). Creazione degli angeli prima del tempo;<br />

il dramma nel mondo angelico: angeli fedeli e angeli infedeli.<br />

TEMPO: Esecuzione del piano predetto nel mondo visibile e nel tempo:<br />

PRIMA FASE: IN ADAMO: tendente, cioè, all'esecuzione del piano con l'inclusione<br />

di Adamo quale capo spirituale dell'umanità (con subordinazione<br />

a Cristo o meno): creazione, elevazione, stato paradisiaco; unità cosmica;<br />

precetto; tentazione dagli angeli caduti; caduta; rottura dell'unità<br />

cosmica; nascita delle, due città: di Dio e del diavolo, in continua drammatica<br />

lotta; fallimento <strong>della</strong> prima fase; promessa del Redentore.<br />

SECONDA FASE: IN CRISTO SECONDO ADAMO: ripresa dell'esecuzione in<br />

Cristo redentore:<br />

La preparazione dei tempi a Cristo redentore:<br />

— Da Adamo ad Abramo: setiti; cainiti; Noè; il diluvio; i semiti.<br />

— Da Abramo a Mosè: i patriarchi: Abramo, Isacco, Giacobbe; il popolo<br />

in Egitto.<br />

— Da Mosè a Cristo: La teocrazia d'Israele:<br />

Mosè; liberazione; esodo; alleanza; peregrinazione nel deserto.<br />

Ingresso nella terra promessa.<br />

I giudici; i re, in specie David, Salomone; il tempio, il culto.<br />

I profeti.<br />

L'esilio.<br />

II messianismo.<br />

La restaurazione: la sinagoga.<br />

Giovanni Battista.<br />

Maria.<br />

La pienezza dei tempi: gli ultimi tempi in atto:<br />

— La comunicazione e manifestazione plenaria e definitiva di Dio nella persona<br />

di Cristo redentore:<br />

Maria, l'incarnazione; natività; epifania; vita nascosta.<br />

Ministero pubblico di Gesù.<br />

I misteri pasquali di Gesù: istituzione dell'eucarestia e del sacerdozio;<br />

passione; morte in croce; sepoltura; discesa agli inferi; risurrezione;<br />

i 40 giorni coi discepoli; ascensione; seduta alla destra del Padre.<br />

— Partecipazione alla pienezza di Cristo redentore, sacerdote, morto e risorto,<br />

attuata nelle singole anime, nella Chiesa, nel tempo che va dall'ascensione<br />

alla parusia:<br />

Venuta dello Spirito mandato da Cristo da presso il Padre: pentecoste.<br />

Effetti <strong>della</strong> presenza dello Spirito (la salvezza in Spiritu):<br />

Nascita <strong>della</strong> Chiesa visibile di struttura gerarchica come manifestazione<br />

plenaria societaria sulla terra <strong>della</strong> vita divina in Cristo<br />

nello Spirito (corpo mistico).<br />

i


LE FASI DELLA STORIA SACRA 25<br />

Crescita <strong>della</strong> Chiesa corpo dì Cristo fino alla parusia:<br />

Essenzialmente e in primo luogo per via liturgica: sacrificio;<br />

sacramenti; sacramentali; preghiera liturgica.<br />

A cui preparano e da cui conseguono tutte le altre attività nella<br />

Chiesa:<br />

Attività gerarchiche: magistero; governo; apostolato gerarchico<br />

e sua partecipazione.<br />

Attività privata dei singoli:<br />

Corrispondenza morale ascetico-mistica dei singoli alle realtà<br />

liturgiche.<br />

Attività temporali ordinate al piano spirituale.<br />

Realizzazione terminale (escatologia ultima):<br />

Individuale: morte; santi in cielo; fedeli in purgatorio.<br />

Cosmica: parusia; giudizio universale; risurrezione generale.<br />

ETERNITÀ: Punizione eterna dei dannati ed instaurazione definitiva del Regno<br />

di Dio (Padre per appr.) in Cristo nell'unica città di angeli fedeli e uomini<br />

redenti in <strong>liturgia</strong> cosmica eterna di lode e ringraziamento.<br />

Questa è dunque, in breve, la storia sacra nelle fasi essenziali<br />

del suo svolgimento; questo è il mondo specifico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

appunto come è il mondo specifico <strong>della</strong> Scrittura e <strong>della</strong> rivelazione<br />

cristiana in genere. Questo è anche, di diritto, e dovrebbe<br />

essere di fatto, il mondo specifico <strong>della</strong> teologia; in questo <strong>senso</strong><br />

che compito <strong>della</strong> teologia deve essere appunto di spiegare questo<br />

mondo <strong>della</strong> storia sacra sotto tutti gli aspetti nei quali la ricerca<br />

scientifica può aiutarci a capirlo meglio, e, naturalmente, senza<br />

mai perdere di vista, sia nell'impostazione generale che nei singoli<br />

particolari, che in questo mondo si tratta anzitutto di una storia,<br />

sebbene nello sfondo di una metafìsica e con nette e forti esplicitazioni<br />

delle conseguenze morali*.<br />

3. ANNOTAZIONI ESPLICATIVE<br />

Per lo scopo che qui perseguiamo, che è quello di situare la<br />

<strong>liturgia</strong> nel suo quadro generale <strong>della</strong> storia sacra, fuori del quale<br />

è incomprensibile, basterà, per il momento, fare alcune osservazioni<br />

spiegative dello specchietto sopra proposto. Sarà compito dei seguenti<br />

capitoli riprendere ed approfondire alcuni di questi punti<br />

in particolare.<br />

8 Non senza motivo durante la celebrazione del Concilio Vaticano II fu<br />

richiesto ripetutamente che la prospettiva <strong>della</strong> storia sacra o storia <strong>della</strong> salvezza,<br />

riacquisti il rilievo che le spetta nella teologia perché questa ritrovi quel<br />

migliore equilibrio che tutti oggi auspichiamo. Le divergenze che si manifestarono<br />

nei dibattiti sulla <strong>liturgia</strong> e sulla Chiesa ebbero la loro origine, in buona<br />

parte, in un modo diverso di concepire la teologia a seconda <strong>della</strong> maggiore o<br />

minore importanza che si dà alla storia <strong>della</strong> salvezza nella sua impostazione.<br />

Vedi C. VAGAGGINI, LO spirito <strong>della</strong> Costituzione sulla <strong>liturgia</strong>, in: Riv. hit. 51<br />

(1964) 8-30.


26<br />

CAP. I - SFONDO DELLA LITURGIA : STORIA SACRA<br />

È biblica<br />

Un lettore alquanto diligente <strong>della</strong> Scrittura, e specialmente<br />

di S. Paolo e dell'Apocalisse, riconoscerà facilmente in questo specchietto<br />

una semplice schematizzazione delle idee essenziali subiacenti<br />

a tutto il sacro libro, esplicitate e teorizzate appunto in modo particolare<br />

da San Paolo, sebbene frammentariamente e in diversi<br />

passi delle sue epistole, ed operanti molto efficacemente nell'Apocalisse<br />

7 . Per averne la prova si rileggano con attenzione, per esempio,<br />

i seguenti passi come quadro generale: Ef i tre primi capitoli<br />

per intero; Col 1,9-23; 1 Tm 3,16. Per il <strong>senso</strong> generale dei rapporti<br />

dell'Antico Testamento e la nuova economia in Cristo: 1 Cor 10,1-5;<br />

Rm 9,11; Eb 7,1-10,18 e anche Me 1,15; Gal 4,4. Per l'idea che la<br />

crescita <strong>della</strong> Chiesa, corpo di Cristo, si fa essenzialmente ed in<br />

primo luogo per via sacramentale vedi, per esempio, quello che dice<br />

S. Paolo in Rm 6,1-12 intorno alla parte del battesimo nella vita<br />

cristiana; per la parte dell'eucaristia nella stessa vita vedi 1 Cor<br />

11,23-30; 10,16 s; Gv 6,32-59. Per la Gerusalemme celeste e la <strong>liturgia</strong><br />

cosmica vgdi Eb. 12,21-23; Ap 5,8-14; 21-22,5.<br />

£ una teologia <strong>della</strong> storia<br />

La storia sacra si presenta come una teologia <strong>della</strong> storia, perché<br />

ne svela l'ultimo <strong>senso</strong>, quello cioè che tempo e storia hanno<br />

agli occhi di Dio, il quale, pur indicibilmente immanente e come<br />

frammischiato alla storia, la trascende però immensamente, e perciò<br />

la pone, la dirige, le dà un significato.<br />

Questa storia è lineare, perché prende le mosse da un unico<br />

punto di partenza: il consiglio di Dio nell'eternità cui segue la creazione<br />

degli angeli prima del tempo e di tutto il resto nel tempo;<br />

e si svolge successivamente e irreversibilmente verso un punto<br />

di arrivo cui sin dal principio è tutta protesa e nel quale, compiendo<br />

e realizzando se stessa, raggiunge il suo fine.<br />

Questa storia è unitaria, perché nello svolgimento verso il<br />

suo punto di arrivo le singole fasi successive sono dirette infallibilmente<br />

da un unico ed onnipotente regista, Dio, in un <strong>senso</strong> ben<br />

determinato, in vista del raggiungimento di un fine prestabilito.<br />

Per cui le singole fasi successive sono tra loro intrinsecamente<br />

connesse; le antecedenti preparano le susseguenti e ne sono già un<br />

primo imperfetto adempimento, che supera però se stesso nella fase<br />

successiva e si realizza perfettamente solo nella fase finale.<br />

Questa storia è segnata da un profondo dinamismo escatolo-<br />

T Vedi per es., L. TONDELLI, II disegno dì Dio nella storia, Torino 1947; S. DE<br />

DIETRICH, Le dessin de Dieu, 3 ed. Paris-Neuchàtel 1949; C. SPICQ, L'épitre aux<br />

hébreux (Bible de Jérusalem), Paris 1950 pp. 25-33; H. OSTER, Le grand dessin de<br />

Dieu dans la pastorale et la prédication, Paris 1955.


STORIA SACRA: MISTERO DI CRISTO 27<br />

gico. Infatti, le fasi antecedenti tendono tutte alle susseguenti, e<br />

tutte assieme tendono all'ultima; tutti i tempi tendono agli ultimi<br />

tempi (ta eschata) i quali così esercitano una forza intrinseca di<br />

attrazione generatrice di dinamismo su tutte e sulle singole fasi<br />

del processo e danno loro un <strong>senso</strong> intelligibile.<br />

Questa storia non è un processo semplicemente cosmologico<br />

necessario, ma è uno svolgimento drammatico, perché i protagonisti:<br />

Dio, gli angeli, gli uomini, sono persone libere, e gli angeli<br />

e gli uomini, creature libere e fallibili, hanno in questo processo<br />

la libera scelta di contrariare i disegni di Dio o di adeguarvisi. Di<br />

fatto, una parte degli angeli e una parte degli uomini li hanno<br />

liberamente accettati e li assecondano, e sono gli eletti; ma l'altra<br />

parte degli angeli e, dietro loro istigazione, una parte degli uomini,<br />

li hanno rifiutati e li ostacolano. Questa scissione delle creature<br />

libere fa sì che tutta questa storia nel tempo sia una lotta drammatica<br />

tra due città: da una parte gli angeli ribelli a Dio con gli<br />

uomini loro satelliti; dall'altra, gli angeli fedeli con gli uomini eletti.<br />

Dominatore di questo dramma è Dio; il teatro dello stesso è il<br />

cosmo: il mondo e il cielo.<br />

È il « mistero », il mistero di Cristo,<br />

il mistero pasquale<br />

Questa storia, in quanto storia sacra, nel significato che ha<br />

agli occhi di Dio, significato che solo Egli per natura conosce, ma<br />

che ora, negli « ultimi tempi », ha rivelato ai cristiani, massimamente<br />

nella persona di Cristo, S. Paolo la chiama : « il mistero »<br />

(per es., Rm 16,25; 1 Cor 2,7; Ef 5,32; Col 1,26-27), « il mistero <strong>della</strong><br />

volontà di Dio » (Ef 1,9), « il mistero nascosto nei secoli in Dio »<br />

(Ef 3,9; Col 1,16). Si è ormai d'accordo nel riconoscere 8 che questo<br />

modo di concepire le cose in S. Paolo non deve nulla al concetto<br />

dei misteri pagani ma è semplicemente lo sviluppo, dal punto di<br />

vista cristiano, di un concetto dell'Antico Testamento (per es. Dn<br />

2,20-30). Secondo questo, lo svolgimento <strong>della</strong> storia e il suo vero<br />

profondo significato, il quale non può essere che un significato<br />

religioso, è, naturalmente, conosciuto solo da Dio, dalla sapienza<br />

di Dio, è un segreto, un mistero, un.arcano <strong>della</strong> sua sapienza, e<br />

se gli uomini arrivano a conoscerlo, ciò non può essere se non<br />

perché Dio lo rivela.<br />

"""Ma questa stoHa" sacra, mistero, è tutta incentrata in Cristo.<br />

Questo fatto risalta ancora più egregiamente se, con molti teologi<br />

— ma la cosa è discussa e per questo nello specchietto l'ho<br />

messa tra parentesi — si ammette che Dio, sin dall'eternità, ha<br />

voluto Cristo e lo ha costituito capo di tutte le creature previamente<br />

e indipendentemente, dal punto di vista logico, dalla previsione<br />

del peccato di Adamo, e che, dunque, in ogni ipotesi, secondo<br />

8 Contro l'opinione di O. Casel.


28 CAP. I - SFONDO DELLA LITURGIA : STORIA SACRA<br />

i disegni di Dio, anche se Adamo non avesse peccato il Verbo si<br />

sarebbe incarnato 9 . Comunque, tutta la storia sacra si divide nettamente<br />

in due parti: prima di Cristo e dopo Cristo. Prima di<br />

Cristo, almeno a partire dal peccato di Adamo, tutto tende a Lui,<br />

e dopo Cristo tutto deriva da Lui. Perciò questa storia, questo<br />

mistero, può essere detto semplicemente con spirito paolino : « il<br />

mistero di Cristo ». È vero che S. Paolo stesso con l'espressione :<br />

« mistero di Cristo » (Col 3,2; 4,3; Ef 3,3), strettamente parlando,<br />

intende solo la vocazione dei gentili, assieme ai giudei, alla salvezza,<br />

per mezzo di Cristo, in un corpo unico di Cristo stesso, che è la<br />

Chiesa. Però nel contesto di tutti i passi sopra riferiti dove si parla<br />

<strong>della</strong> storia sacra come mistero, mistero di Dio, è chiaro che l'attenzione<br />

di S. Paolo è diretta su Cristo come centro dei piani divini.<br />

È per questo che S. Paolo può pensare a questa prospettiva<br />

di storia sacra incentrata in Cristo parlando semplicemente del<br />

« mistero che si riferisce a Cristo e alla Chiesa » (Ef 5,32); « il mistero<br />

del vangelo » (Ef 6,19); « il mistero <strong>della</strong> fede » (1 Tm 3,9); « il mistero<br />

<strong>della</strong> pietà » (1 Tm 3,16). Anzi in 1 Tm 3,16 (e in Col 2,2 secondo<br />

la lezione variante che pare debba essere preferita) « mistero »<br />

vuol dire semplicemente Cristo stesso e tutto quello che Egli, per<br />

volontà di Dio, significa per il mondo. È, dunque, rispettare la<br />

dottrina e la mente di S. Paolo, chiamare con l'espressione « mistero<br />

di Cristo » semplicemente quello che Cristo, perché uomo-Dio,<br />

redentore e sommo sacerdote dell'umanità, è nei piani di Dio e<br />

nella loro realizzazione, sia in se stesso che rispetto alle altre creature<br />

nella storia sacra sempre in atto dei loro rapporti con Dio.<br />

Si può dunque dire : storia sacra, mistero, mistero di Cristo, perché<br />

si tratta di un'unica realtà, in quanto centro di questa storia sacra,<br />

di questo mistero, è appunto Cristo 10 .<br />

Così, il tempo prima di Cristo, almeno dal peccato di Adamo<br />

in poi, ha il significato essenziale di essere una preparazione a<br />

Cristo redentore, mediatore, sacerdote, ora Signore glorioso, e<br />

come una serie successiva di abbozzi <strong>della</strong> realtà che si compie<br />

tutta in Lui. <strong>Il</strong> tempo dopo Cristo non ha altro significato che di<br />

realizzare nelle creature che si affacciano sul teatro del mondo fino<br />

alla fine dei tempi, la partecipazione e assimilazione di quelle realtà<br />

» È la nota discussione tra teologi scotisti e tomisti. Nella teoria scotista,<br />

oggi accettata da molti, anche'nel caso che Adamo non avesse peccato, il Verbo<br />

si sarebbe incarnato; ma allora anche Adamo sarebbe stato capo spirituale dell'umanità,<br />

sebbene sotto il capo supremo, Cristo, il quale, così, sarebbe stato<br />

Capo supremo e mediatore, ma non redentore. La questione si estende anche<br />

agli angeli. I dati <strong>della</strong> Scrittura e <strong>della</strong> tradizione non bastano a dirimerla.<br />

Sembra innegabile però che la tendenza e come il segreto sviluppo del pensiero<br />

di S. Paolo sia in questa direzione (Col 1,15-20). Ma S. Paolo stesso non l'ha<br />

esplicitato. Questo modo di vedere dà al piano divino e a tutta la storia sacra<br />

un'unità molto maggiore.<br />

10 Per il concetto di mistero in S. Paolo vedi, per es., D. DEDEN, Le mystery<br />

paulinien, in: Eph. theol. lov. 1936, 405ss. G. SOEHNGEN, Der Wesensaufbau<br />

des Mysteriums, Bonn 1938; J. T. TRINIDAD, The mystery hidden in God, in:<br />

Biblica 31 (1950) 1 ss.


STORIA SACRA: MISTERO DI CRISTO 29<br />

di vita divina che sono in Cristo morto e risorto e che Cristo loro<br />

comunica. <strong>Il</strong> tempo che corre dall'ascensione al ritorno glorioso<br />

j del Signore nella parusia, non è altro che l'intervallo in cui Egli<br />

I vuol comunicare il proprio essere e il proprio agire agli uomini<br />

che appaiono successivamente nella storia, attraendoli così nel suo<br />

mistero, nella pienezza <strong>della</strong> vita divina che sovrabbonda in Lui.<br />

Tutto questo è vero perché lo scopo da Dio inteso nel porre e<br />

nel dirigere la storia: comunicare la sua vita intima alle creature,<br />

j si realizza nella persona di Cristo in modo assolutamente plenario<br />

e definitivo. In Lui, anzitutto dopo la sua risurrezione, la comunicazione<br />

<strong>della</strong> vita divina alla creatura raggiunge il suo colmo e<br />

la sua epifania assoluta. Dopo di Lui non c'è da aspettare alcunché<br />

di sostanzialmente nuovo che non sia già tutto presente nella sua<br />

persona; c'è solo da aspettare l'estensione partecipata di quelle<br />

. realtà da Cristo alle altre creature, e lo svelamento glorioso e<br />

' cosmico di queste trasformazioni che hanno la loro realizzazione<br />

plenaria in Cristo, svelamento che avverrà al suo ritorno glorioso<br />

e nella risurrezione dei corpi. Così, il tempo dall'ascensione alla<br />

parusia ha questo <strong>senso</strong>: riprodurre nei singoli l'evento di Cristo,<br />

il mistero di Cristo, entrare in questo mistero, esserne assorbito.<br />

L'apparizione di Cristo sulla terra, e in modo specialissimo<br />

la sua risurrezione, segna l'inizio degli ultimi tempi, gli eschata,<br />

appunto perché in Cristo il <strong>senso</strong> del tempo e <strong>della</strong> storia si realizza<br />

pienamente. Questi eschata sono già in atto a partire da quel<br />

momento. <strong>Il</strong> tempo dall'ascensione alla parusia, nel quale noi viviamo,<br />

fa parte di questi eschata, è tempo escatologico che si chiuderà<br />

col ritorno glorioso del Signore e il trapasso del tempo nell'eternità<br />

senza tempo.<br />

Capire che tutta la storia sacra è mistero di Cristo, che in essa<br />

J prima di Lui tutto tende a Lui, più esattamente alla sua morte e<br />

risurrezione e dopo di Lui tutto deriva da Lui; capire che dopo<br />

la sua morte e risurrezione non c'è da aspettare niente di radicalmente<br />

nuovo, ma c'è solo da riprodurre nelle creature fino alla fine<br />

dei tempi il mistero del Figlio di Dio incarnato morto e risorto, far<br />

sì che esse vi partecipino e si dissetino alla sua pienezza, è capitale<br />

: per entrare nel mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. La <strong>liturgia</strong>, infatti, non è altro<br />

che un certo modo per cui Cristo, nel presente tempo intermedio<br />

che corre dalla pentecoste alla parusia, in questo tempo escatologico<br />

già in atto, comunica la pienezza <strong>della</strong> sua vita divina alle<br />

singole anime, riproduce in esse il suo mistero, le attrae nel suo<br />

' mistero.<br />

È 11 mistero <strong>della</strong> Chiesa<br />

Questo tempo intermedio dalla pentecoste alla parusia, tempo<br />

in cui tutto è già sostanzialmente e radicalmente realizzato e si<br />

aspetta solo che si compia il numero dei fratelli (cfr. Ap 6,11) ai


30 CAP. I - SFONDO DELLA LITURGIA : STORIA SACRA<br />

quali deve essere comunicata la realtà divina apportata da Cristo,<br />

è il tempo specificamente ecclesiale, il tempo <strong>della</strong> Chiesa. In essa<br />

Cristo, Figlio di Dio incarnato, morto e risorto, mandando visibilmente<br />

gli apostoli e i loro successori nella gerarchia, muniti di<br />

specifici poteri di santificazione, di magistero e di governo, e mandando<br />

nello stesso tempo invisibilmente lo Spirito Santo, che vivifica<br />

interiormente la loro opera, realizza il suo mistero nelle anime<br />

e adempie così il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> storia. La Chiesa è appunto quel<br />

quadro di vita umano e divino, visibile e invisibile, spirituale e pur<br />

socialmente strutturato, voluto da Cristo e da lui sempre sostenuto<br />

e vivificato, per mezzo dello Spirito che gli comunica; è il mezzo<br />

che vuole insostituibile per comunicare la pienezza <strong>della</strong> vita, di<br />

cui Egli è pieno, agli uomini che successivamente appaiono nel<br />

tempo dalla pentecoste alla parusia.<br />

La Chiesa è ancora quella comunità messianica degli ultimi<br />

tempi composta di un gran numero di gentili e di un piccolo resto<br />

di giudei fedeli, annunziata dai profeti (cfr. Rm 9,27-29), convocata<br />

da Dio intorno al Messia Cristo Gesù, come attuazione sulla terra<br />

di tutto l'influsso vitale divino che si spande da Cristo e preparazione<br />

<strong>della</strong> convocazione finale nella gloria <strong>della</strong> Gerusalemme<br />

celeste (cfr. Eb 12,18-24).<br />

La Chiesa è pure quel popolo santo, eletto e diletto da Dio,<br />

che Dio nel porre e nel condurre la storia aveva per fine di acquistarsi<br />

(cfr. 1 Pt 2,9-10). In questo popolo si attua appunto quel<br />

mistero di Cristo, quella partecipazione <strong>della</strong> pienezza di Cristo<br />

agli uomini (cin Gv 1,14), quell'attrazione che Cristo fa a sé di<br />

tutti gli uomini (cfr. Gv 12,32) che il Padre gli ha dato (cfr. Gv 10,27-29)<br />

prima di raccoglierli tutti nella Gerusalemme celeste.<br />

Come Cristo realizza ed esprime nella propria persona concreta<br />

il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> storia perché è l'espressione incarnata di Dio, la<br />

sua immagine plenaria ed esaustiva poiché in Lui « corporalmente<br />

abita la pienezza <strong>della</strong> divinità » (Col 2,9; cfr. Gv 14,9-11; 2 Cor 4,4.6;<br />

Eb 1,3; Col 1,15), così la Chiesa esprime e realizza in sé il <strong>senso</strong><br />

<strong>della</strong> storia perché essa — salva, naturalmente, la differenza che<br />

tra Cristo e la Chiesa non c'è unione fisica di persona, con tutte<br />

le conseguenze che ne derivano — è sulla terra l'espressione plenaria<br />

umano-divina dell'essere e dell'agire di Cristo, il quale, per<br />

lo Spirito che le comunica, internamente la vivifica; tanto da poter<br />

essere paragonata in questo al corpo, espressione visibile dell'anima<br />

invisibile che intrinsecamente lo vivifica, sua sfera completa<br />

e concreta di azione vitale al di fuori (cfr. Ef 1,23).<br />

Finalmente, come tutto ciò che vi è di vita divina nel mondo<br />

è interamente in Cristo, uomo e Dio, e nessuno si salva se non è<br />

realmente e attualmente unito a Cristo per la grazia, partecipando<br />

per Lui alla pienezza <strong>della</strong> vita divina, così, dopo Cristo, ciò che<br />

vi è di vita eristica e divina nel mondo è interamente nella Chiesa,<br />

umana e divina, visibile e invisibile nello stesso tempo, e nessuno


MISTERO DELLA CHIESA 31<br />

si salva se non in unione reale e attuale, almeno invisibile ", con<br />

quella stessa Chiesa. Lo Spirito Santo, infatti, è contenuto tutto<br />

in essa « come in un vaso buono contenente un tesoro prezioso<br />

perennemente giovane e comunicante la sua perenne gioventù al<br />

vaso in cui è contenuto... (Per cui) nella Chiesa Dio ha posto gli<br />

apostoli, i profeti, i dottori (cfr. 1 Cor 12,28) e l'intera rimanente<br />

operazione dello Spirito. Al quale Spirito non partecipano tutti<br />

coloro che non accorrono alla Chiesa, privando se stessi <strong>della</strong> vita<br />

per sbagliata dottrina e pessima condotta. Perché dov'è la Chiesa<br />

là è lo Spirito di Dio, e dov'è lo Spirito di Dio là è la Chiesa e ogni<br />

grazia; e lo Spirito è verità. Per cui coloro che non ne partecipano<br />

non sono nutriti dalle mammelle materne e non hanno parte alla<br />

limpidissima sorgente che scaturisce dal corpo di Cristo » 12 . È così<br />

che su questa terra dalla pentecoste alla parusia, la Chiesa, vera<br />

nuova Eva del vero nuovo Adamo, è la madre di tutti i viventi<br />

<strong>della</strong> vita divina; l'unica sposa, sposa immacolata (cfr. Ef 5,24-27),<br />

che partorisce i figli a Cristo. Sola : « Essa assegna al Regno i figli<br />

che ha rigenerati. Chiunque (è) separato dalla Chiesa... è forestiero,<br />

è nemico, è profano. Non può avere Dio per Padre chi non ha la<br />

Chiesa per madre » 13 .<br />

Ora è tutto questo: l'essere, cioè, umana e divina come Cristo,<br />

la sua espressione concreta e totale nel mondo, il suo corpo, il vaso<br />

vivo contenente interamente l'eterna gioventù dello Spirito; l'essere<br />

il nuovo popolo di Dio, annunziato dai profeti, composto di molti<br />

gentili e di un piccolo resto di giudei fedeli; l'essere il compimento<br />

<strong>della</strong> storia precedente (cfr. 1 Cor 10,11) e la preparazione <strong>della</strong><br />

Gerusalemme celeste (cfr. Gal 4,25 ss; Eb 12,18-24; Ap 21,9-22,2), la<br />

madre di tutti i viventi e l'unica sposa di Cristo; è tutto questo,<br />

dico, che costituisce « il mistero <strong>della</strong> Chiesa », quel mistero che<br />

è grande relativamente a Cristo e alla Chiesa (Ef 5,32); quel « mistero<br />

cosmico <strong>della</strong> Chiesa » di cui parla la Didachè "; il « totius<br />

Ecclesiae tuae mirabile sacramentum » <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> ". È così che<br />

storia sacra, mistero, mistero di Cristo, mistero <strong>della</strong> Chiesa sono<br />

inscindibili; sono anzi un'unica realtà, tanto che si potrebbe addirittura<br />

parlare di un unico concetto espresso con sfumature diverse<br />

11 Ogni uomo di buona fede che vive rettamente secondo la sua coscienza,<br />

per il fatto stesso, aderisce, almeno implicitamente, a tutto quello che da lui<br />

desidera la volontà divina, pronto a fare tutto quello che da lui esige non appena<br />

ne verrà a conoscenza. Così egli ha il desidèrio almeno implicito di aderire<br />

anche visibilmente alla Chiesa, tale essendo ora la volontà di Dio verso<br />

ogni uomo. Per questo desiderio l'uomo di buona fede riceve la grazia da Dio,<br />

e questa lo aggrega realmente e attualmente, sebbene ancora invisibilmente,<br />

all'unica vera Chiesa che è anche visibile; e tanto basta per essere salvati.<br />

12 IRENEO, Adv. Haer. <strong>Il</strong>i 24,1.<br />

13 CIPRIANO, De catti, eccl. unitale 6.<br />

'« 11,11.<br />

15 Messale romano, sabato santo, orazione dopo la seconda profezia quando<br />

erano ancora 12. Espressione ripresa da CL, art. 5.


32 CAP. I - SFONDO DELLA LITURGIA : STORIA SACRA<br />

da ognuna di queste espressioni 18 . Anche noi le usiamo indifferentemente<br />

l'una per l'altra.<br />

Tutto questo non va affatto preso per vago lirismo, ma come<br />

espressione molto sobria <strong>della</strong> nuda realtà. Spiegarne più da vicino<br />

i singoli particolari spetta alla teologia <strong>della</strong> Chiesa, e anche noi<br />

per certi punti lo faremo in un prossimo capitolo. Qui abbiamo<br />

tracciato un panorama per far intrawedere che la <strong>liturgia</strong> è incomprensibile<br />

se non è riferita alla Chiesa, come la Chiesa è incomprensibile<br />

se non riferita a Cristo, e Cristo è incomprensibile se<br />

non è riferito al piano generale di Dio nella storia sacra. Dal che<br />

risulta che la <strong>liturgia</strong> non si può comprendere che vista sullo<br />

sfondo <strong>della</strong> storia sacra, mistero, mistero di Cristo, mistero <strong>della</strong><br />

Chiesa. Non senza motivo il Concilio Vaticano II " spiega la natura<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in questa precisa visuale.<br />

i« Anche il Conc. Vat. II le usa in questa prospettiva di profonda unità.<br />

Vedi CL, articoli 2, 5, 35 § 2, e Const. De Eccl. cap. I.<br />

17 CL, art. 5-8. Vedi anche sotto questo aspetto l'importante art. 16.


CAPITOLO II<br />

LA LITURGIA COME COMPLESSO DI SEGNI SENSIBILI<br />

La <strong>liturgia</strong>, concretamente, è costituita : dai sette sacramenti, con<br />

l'eucaristia sacrificio e sacramento nello stesso tempo, dai sacramentali,<br />

dalle preghiere e dalle cerimonie con le quali la Chiesa riveste, per<br />

così dire, la celebrazione del sacrificio, dei sacramenti e dei sacramentali<br />

e dall'ufficio divino delle ore canoniche. Non è tutto questo un insieme<br />

eterogeneo? Qual è l'elemento che l'accomuna nel concetto di<br />

<strong>liturgia</strong>? Si entra così nella questione <strong>della</strong> definizione reale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

e <strong>della</strong> spiegazione dei singoli elementi che la compongono.<br />

1. LA DEFINIZIONE GENERALE DELLA LITURGIA<br />

Non si è ancora fatta l'unanimità tra gli stessi liturgisti intorno<br />

al problema <strong>della</strong> definizione reale 1 , tecnica e strettamente detta<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

1 In quanto alla parola stessa di « <strong>liturgia</strong> » per indicare l'insieme specifico<br />

di cose che noi oggi indichiamo così, è noto che essa risale agli umanisti e ai<br />

liturgisti eruditi del 600. Gli antichi parlavano di ministerium divinwn, ministerium<br />

ecclesiasticum, officia divina. La parola <strong>liturgia</strong>, dal greco leitourgia, leiton<br />

ergon, indica opera che riguarda tutto il popolo nel <strong>senso</strong> che è intrapresa per l'interesse<br />

e il bene di tutti, e così : opera pubblica, primitivamente di natura politica<br />

e tecnica, poi anche di natura religiosa e cultuale. È in questo <strong>senso</strong> religioso<br />

cultuale che nei LXX è adoperata per indicare il servizio religioso dei sacerdoti<br />

nel tempio (cfr. per es., Nm 4,33; Es 28,35.43; 1 Par 23,28). Questo <strong>senso</strong> è conosciuto<br />

anche nel Nuovo Testamento (per es., Le 1,23; Eb 9,21; 10,11), il quale<br />

trasferisce la parola anche al ministero cultico del sacerdozio di Cristo (Eb 8,2:<br />

leitourgos; 8,6); al ministero apostolico di Paolo che gli permette di offrire come<br />

in sacrificio a Dio i fedeli (Rm 15,16) e la loro fede (FI 2,17); all'offerta che i<br />

fedeli fanno a Dio come in sacrificio quando danno soccorsi caritativi (Rm 15,<br />

26-28; 2 Cor 9,12 s da connettere con FI 4,18; Eb 13,16); probabilmente anche ad<br />

azioni cultuali liturgiche dei cristiani propriamente dette (At 13,2). Molto presto<br />

« <strong>liturgia</strong> » in oriente, come termine cultuale cristiano, diventò sinonimo di sa-<br />

2 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


34 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

Questione impregiudicata<br />

L'enciclica Mediator Dei non volle affatto dirimere questa questione<br />

2 . È ugualmente certo che il Concilio Vaticano II non ha<br />

inteso risolverla. Dagli Atti del Concilio e dalle dichiarazioni orali<br />

ripetutamente fatte risulta che la sua intenzione è stata di lasciare<br />

alla libera discussione dei tecnici il problema <strong>della</strong> definizione<br />

strettamente detta e perfetta <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e di dare di questa solo<br />

una descrizione per mezzo di note caratteristiche che tutti i teologi<br />

riconoscono essere presenti nella stessa.<br />

Questa descrizione è la seguente : « La <strong>liturgia</strong> è giustamente<br />

ritenuta l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo, nel quale esercizio,<br />

per mezzo di segni sensibili è significata e, in modo ad ognuno<br />

di essi proprio, è causata la santificazione dell'uomo, e viene esercitato<br />

dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue<br />

membra, il culto pubblico integrale » 3 .<br />

Quasi tutti gli elementi di questa descrizione sono presi dalla<br />

Mediator Dei. Ma in due cose il Concilio fa notevoli progressi rispetto<br />

all'enciclica: 1. Nel fatto che mette fortemente in rilievo l'importanza<br />

che ha nella <strong>liturgia</strong> il segno; tanto che la sua strutturazione<br />

in un regime di segni sensibili vi appare come un dato<br />

centrale. La <strong>liturgia</strong> vi è considerata non semplicemente come<br />

l'esercizio del sacerdozio di Cristo (come qualcuno ha malamente<br />

interpretato), ma come un certo esercizio del sacerdozio di Cristo.<br />

orificio o di messa (vedi forse già Didachè 15,1; 1 Clem 41,1 ss; poi, a partire dal<br />

quarto secolo, comunemente); il che è molto ovvio se si pensa che, teologicamente,<br />

ed anche nell'espressione liturgica, specialmente antica, la messa è veramente<br />

il riassunto e il centro di tutto il culto cristiano, cosa di cui gli antichi avevano<br />

viva coscienza. Per tutto questo vedi, per es., E. RAITZ VON FRENTZ, Der Weg<br />

des Wortes « Liturgie » in der Geschichte, in: Eph. Ut. 55 (1941) 74 ss; A. ROMEO,<br />

II termine leitourgia nella grecità biblica, in : Miscellanea C. Mohlberg, II p. 467 ss,<br />

Roma 1949.<br />

2 Alla fine di un passo dove sviluppa il concetto che nella Chiesa e specialmente<br />

nella <strong>liturgia</strong>, è Cristo stesso che onora il Padre e la Chiesa non lo fa<br />

che associandosi a Cristo e per mezzo di lui, l'enciclica dice : « La sacra <strong>liturgia</strong><br />

è pertanto il culto pubblico che il nostro Redentore come capo <strong>della</strong> Chiesa<br />

rende al Padre; ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo fondatore<br />

e per mezzo di Lui all'eterno Padre; è, per dirla in breve, il culto pubblico integrale<br />

del corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del suo Capo e dei suoi membri »<br />

(n. 20). Qui si vuole solo inculcare che la <strong>liturgia</strong>, in quanto culto reso a Dio,<br />

è il culto di tutto,il corpo mistico di Gesù Cristo, capo e membra.<br />

La stessa enciclica, del resto, intendendo chiarire più perfettamente possibile<br />

la natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, ne presenta anche altre definizioni o altri abbozzi<br />

di definizione (vedi anche ed. di Roguet p. VII), per es., n. 22: « ... non essendo<br />

altro la <strong>liturgia</strong> che l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo » (cfr. anche n. 3).<br />

Specialmente al n. 169 : « Tale è la natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> : essa riguarda il Sacrificio,<br />

i sacramenti e la lode di Dio; essa riguarda ancora l'unione delle nostre<br />

anime con Cristo e la nostra santificazione per mezzo del Divin Redentore perché<br />

sia onorato Cristo e per Lui ed in Lui, la santissima Trinità ». Qui, in modo<br />

speciale, l'aspetto santificazione è più fortemente rilevato.<br />

_,„ 3 CL, art. 7.


DEFINIZIONE DELLA LITURGIA 35<br />

Tale esercizio tra le altre cose, ha questo di speciale che si fa attraverso<br />

segnisensibili. 2. Nel fatto che questi segni sensibili, nonché<br />

lo stesso sacerdozio di Cristo che nella <strong>liturgia</strong> per essi si esercita,<br />

sono messi in riferimento non soltanto al culto, ma insieme alla<br />

santificazione e al culto. <strong>Il</strong> doppio movimento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, quello<br />

che da Dio scende all'uomo e quello che dall'uomo sale a Dio, è<br />

molto più nettamente marcato nella stessa sua nozione di quanto<br />

avveniva nell'enciclica.<br />

La nozione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> data dal concilio contiene dunque<br />

elementi preziosi di cui bisognerà tener conto. E tuttavia non può<br />

essere la definizione tecnica di cui la scienza liturgica ha bisogno.<br />

Perché? O piuttosto, in primo luogo, la scienza liturgica ha proprio<br />

bisogno di una definizione tecnica rigorosa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>?<br />

Perché una definizione tecnica rigorosa?<br />

Ciò che essa esige<br />

L'esame di quanto scrivono in questo campo anche provetti<br />

liturgisti, dimostra, a mio modesto parere, che ciò che in non pochi<br />

casi difetta sono le stesse nozioni fondamentali — sì, filosofiche —<br />

intorno alla necessità e alle esigenze particolari di una definizione<br />

rigorosa dell'oggetto in una qualsiasi scienza. Mi si perdonerà di<br />

osare ricordarle qui.<br />

Anzitutto, la ricerca di una definizione tecnica rigorosa dell'oggetto<br />

di una scienza non è semplicemente una questione di terminologia,<br />

o una pedante preziosità, ma è il problema <strong>della</strong> determinazione<br />

precisa, tra tutte le sue proprietà necessarie, di quella che,<br />

nell'oggetto di questa scienza, è la radice e la ragion d'essere ultima<br />

di tutte le altre.<br />

In ogni scienza, da questa determinazione — espressa appunto<br />

mediante la definizione del suo oggetto — dipende l'impostazione<br />

<strong>della</strong> ricerca e dell'esposizione. Infatti, nella scienza di una cosa<br />

qualsiasi, la proprietà radice ultima di tutte le altre è necessariamente<br />

il suo primo principio d'intelligibilità al quale bisogna riferire<br />

o dal quale bisogna dedurre tutto quanto si afferma di questa<br />

cosa. Avere la conoscenza scientifica di un oggetto, in ultima analisi,<br />

significa appunto conoscere questo rapporto tra il suo primo<br />

principio d'intelligibilità e tutto il resto che <strong>della</strong> cosa si può dire.<br />

Si vede così quanto dalla giusta definizione tecnica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

dipenda l'intera scienza liturgica.<br />

Poi: per arrivare alla definizione tecnica di una cosa bisogna<br />

in primo luogo considerare questa cosa nella sua integralità. Questo<br />

perché la definizione tecnica di un oggetto deve essere coestensiva<br />

allo stesso; cioè deve applicarsi a tutto l'oggetto, senza omettere<br />

nessuna sua parte, e deve applicarsi solo ad esso ad esclusione<br />

di altri. Diversamente non sarebbe « definizione », cioè determinazione<br />

e distinzione rispetto alle altre cose. Gli elementi che appartengono<br />

alla <strong>liturgia</strong> come detto, sono nella loro concreta inte-


36 GAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

gralità: i sette sacramenti, con l'eucaristia, sacrificio e sacramento;<br />

i sacramentali; le preghiere e le cerimonie con le quali la Chiesa<br />

accompagna la celebrazione concreta del sacrificio, dei sacramenti<br />

e dei sacramentali; l'ufficio divino delle ore canoniche.<br />

In secondo luogo bisogna cercare le note caratteristiche essenziali<br />

nelle quali tutti questi elementi convengono, lasciando invece<br />

da parte quelle che sono proprie ad alcuni elementi dell'oggetto,<br />

ma non a tutti, e per ciò stesso non possono convenire all'oggetto<br />

come tale.<br />

In terzo luogo, tra gli stessi elementi essenziali, bisogna cercare<br />

quello da cui tutti gli altri dipendono e si spiegano come da<br />

ultima radice, perché solo questo è il vero principio d'intelligibilità<br />

di tutto il resto nella cosa considerata. Perciò una definizione<br />

tecnica deve non soltanto essere chiara, breve, coestensiva all'oggetto<br />

e non contenere che elementi essenziali, ma anche escludere<br />

le note solo presupposte o derivate da altre. È la via classica <strong>della</strong><br />

ricerca <strong>della</strong> definizione dell'oggetto di una scienza qualsiasi 4 .<br />

Descrizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

per le sue note essenziali<br />

Anzitutto, tutti gli elementi che costituiscono concretamente<br />

la <strong>liturgia</strong>, cioè: sacrificio, sacramenti, sacramentali, preghiere,<br />

cerimonie, ufficio divino, come sono in essa attuati, convengono<br />

in un concetto essenziale comune, quello di segno sensibile.^ Sono<br />

tutti segni sensibili di cose sacre, spirituali, invisibili, che non<br />

cadono direttamente sotto i sensi.<br />

<strong>Il</strong> sacrificio liturgico, essendo anche esterno, ha valore formale<br />

di.,sacrificio solo come segno sensibile di un sacrificio invisibile<br />

nell'animo, sia in Cristo stesso, per quanto concerne il Suo saci&ficio,<br />

sia nei fedeli che vi partecipano in quanto offrono il loro<br />

sacrificio facendo proprio il sacrifìcio di Cristo. L'aveva già ottimamente<br />

osservato S. Agostino : « <strong>Il</strong> sacrificio visibile dunque è sacramentum,<br />

cioè sacro segno, del sacrificio invisibile » 5 . Per i sette<br />

sacramenti è notissima la dottrina di S. Tommaso : « Propriamente<br />

parlando si dice sacramento quello che è segno di una cosa sacra<br />

che riguarda l'uomo, di modo che propriamente si dice sacramento,<br />

intendendo i sacramenti di cui qui parliamo, quello che è segno<br />

di cosa sacra in quanto santifica gli uomini » 6 . Anche i sacramentali<br />

sono segni di cose spirituali invisibili; in questo non differiscono<br />

dai sacramenti. Lo stesso dicasi dei riti e delle cerimonie di ogni<br />

specie che il concilio tridentino chiama appunto « segni visibili<br />

<strong>della</strong> religione e <strong>della</strong> pietà » 7 . La preghiera liturgica, finalmente,<br />

><br />

4<br />

Vedi per es., ARISTOTELE, // Post. Analyt. capp. 13 e 14.<br />

5<br />

De Civ. Dei X 5.<br />

6<br />

Stimma III q 60 a 2.<br />

•> Sess. XXII cap. 5. Di 1746 (943).


DESCRIZIONE DELLA LITURGIA 37<br />

essendo, per sua natura, anche esterna e vocale, cade anch'essa<br />

sotto il concetto di segno, poiché la parola è, per definizione, un<br />

segno convenzionale dei concetti ed affetti interni. Così tutti gli<br />

elementi che compongono la <strong>liturgia</strong> convengono nel concetto di<br />

segni sensibili di cose sacre, spirituali, invisibili. Questi segni sensibili<br />

nella <strong>liturgia</strong> hanno di proprio che furono istituiti sia da<br />

Cristo stesso — sostanza del sacrificio e dei sette sacramenti — sia<br />

dalla Chiesa — sacramentali, cerimonie, preghiere —.<br />

In secondo luogo, sacrificio, sacramenti, sacramentali, cerimonie<br />

e preghiera canonica, appunto perché segni sensibili di cose<br />

spirituali, invisibili, appartenenti non già a un uomo o a una società<br />

qualsiasi, ma a Cristo e alla Chiesa perché istituiti da Cristo e dalla<br />

Chiesa e adoperati come strumenti da Cristo e dalla Chiesa, hanno<br />

un'efficacia tutta propria rispetto al fine per cui furono istituiti.<br />

Questi segni sono sempre efficaci rispetto a quello che significano 8 .<br />

Ma questa efficacia è di natura diversa a seconda che si tratta<br />

del sacrificio e dei sette sacramenti istituiti' da Cristo e strumenti<br />

di Cristo (che operano anzitutto„g£_ojoere operato, come si dice),<br />

o degli altri segni d'istituzione ecclesiastica, e strumenti <strong>della</strong> Chiesa<br />

(che operano anzitutto ex opere operanti? Ecclesiae).<br />

In terzo luogo, quelle realtà sacre spirituali invisibili a cui si<br />

riferiscono i segni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, nonché i fini stessi per cui questi<br />

segni furono istituiti e sono continuamente messi in opera, riguardano<br />

da una parte la santificazione che Dio fa <strong>della</strong> Chiesa e dall'altra<br />

il culto che la Chiesa come tale rende a Dio. Attraversola<br />

mesjsaJn, .opera di questi segni Dio santifica la Chiesa e la Chiesa<br />

rende il suo culto pubblico a Dio. Questi due aspetti sono inseparabili.<br />

Dio però santifica sempre per mezzo di Cristo, Dio e uomo.<br />

Almeno dopo il peccato di Adamo, non c'è grazia e santificazione<br />

che non sia grazia e santificazione di Cristo e in Cristo, cioè meritata<br />

da Cristo, operante l'unione reale con Cristo, e, a partire dall'Incarnazione,<br />

operata, causata dall'umanità stessa di Cristo quale<br />

strumento congiunto <strong>della</strong> sua divinità. Nello stesso modo ogni<br />

culto reso dalla Chiesa a Dio è sempre in Cristo, cioè in unione<br />

con Cristo e attraverso Cristo capo <strong>della</strong> Chiesa. Anzi, più propriamente,<br />

il culto <strong>della</strong> Chiesa non è altro che la partecipazione <strong>della</strong><br />

Chiesa al culto che Cristo capo rende a Dio, è quindi il culto di<br />

Cristo capo a Dio e il suo sacerdozio continuato nella Chiesa, per<br />

la Chiesa e con la Chiesa suo corpo 9 . Dunque, nella <strong>liturgia</strong>, la santificazione<br />

che Dio fa <strong>della</strong> Chiesa e il culto che la Chiesa rende<br />

a Dio sono « in Christo ».<br />

Se sono « in Christo » sono « in Spiritu » perché, secondo la<br />

dottrina generale del Nuovo Testamento, l'azione di Cristo e l'azione<br />

dello Spirito sono inseparabili e non si è uniti a Cristo che nella<br />

8 Per il <strong>senso</strong> preciso di questa espressione per quanto riguarda la santificazione<br />

e il culto vedi sotto p. 107 ss.<br />

9 Vedi CL, art. 7; MD n. 2; 3; 20; 22.


38 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

presenza e nel possesso del suo Spirito, per cui il culto « in Christo »<br />

è necessariamente il culto « in Spirita ». Non solo il battesimo è<br />

« in Spirita » 10 e nella cresima, nella penitenza, nell'eucaristia, nell'ordine<br />

si riceve lo Spirito ", ma ogni sacrifìcio e ogni preghiera<br />

cristiana è sacrificio e preghiera « in Spirita » 12 . In questo precisò<br />

<strong>senso</strong> il culto cristiano è « spirituale » ls e i cristiani essendo « in<br />

Christo » sono un tempio santo nel Signore, nel quale sono « coedificati<br />

per formare un'abitazione di Dio nello Spirito » (Eb 2,21),<br />

Di loro si deve dire, con formula paolina comprensiva, manifestante<br />

appunto la natura del culto che essi esercitano, che « per mezzo<br />

di Cristo hanno accesso nello Spirito al Padre » I4 : il Padre (per<br />

appropriazione) origine da cui proviene e oggetto a cui è diretto<br />

il culto; Cristo l'unico mediatore di questo. culto; lo Spirito Colui<br />

che con la sua presenza rende « l'oblazione... accetta, santificata »<br />

(Rm 15,16).<br />

Se si mettono assieme questi elementi si ottiene la seguente<br />

descrizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>: La <strong>liturgia</strong> è il complesso dei segni sensibili<br />

di cose sacre, spirituali, invisibili, istituiti da Cristo o dalla<br />

Chiesa, efficaci, ognuno a suo modo, di quello che significano e per<br />

i quali Dio (il Padre per appropriazione), per mezzo di Cristo capo<br />

e sacerdote, e nella presenza dello Spirito Santo, santifica la Chiesa,<br />

e la Chiesa nella presenza dello Spirito Santo, unendosi a Cristo<br />

suo capo e sacerdote, per mezzo di Lui rende come corpo il suo<br />

culto a Dio (al Padre per appropriazione).<br />

A questo punto ricordiamoci dei tre capi di dottrina sopra spiegati<br />

a proposito <strong>della</strong> storia sacra, e cioè: 1. che il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> storia<br />

sacra non è altro che comunicare la vita divina agli uomini; 2. che<br />

questo <strong>senso</strong> si realizza concentrandosi tutto nel mistero di Cristo,<br />

il quale mistero consiste nel fatto che Dio, riversando in Cristo la<br />

pienezza <strong>della</strong> vita divina, unisce gli uomini a sé in Cristo, cioè<br />

in quanto Cristo comunica loro la vita divina di cui è pieno; 3. che,<br />

finalmente, il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> storia sacra e del mistero dì Cristo, per<br />

il tempo dalla pentecoste alla parusia, si realizza nel mistero <strong>della</strong><br />

Chiesa quale essere umano divino, istituito porto unico di salvezza,<br />

nel quale e per mezzo del quale, si realizza quella comunione di<br />

io Vedi per es., 1 Cor 12,13.<br />

« Vedi per es., At 8,15 s; Gv 20,23; 1 Tm 4,6-14 e At 20,28.<br />

12 Vedi Rm 15,15 s; cfr. anche Eb 9,14 con la variante hagion; Rm 8,26 s;<br />

Gal 4,6; Ef 6,18; Gd 20.<br />

13 Cfr. FI 3,3 direttamente nella lezione Theo, indirettamente nella lezione<br />

Theou. <strong>Il</strong> culto cristiano è « culto spirituale » non già per esclusione del culto<br />

anche esterno e sensibile, ma perché, anche se esterno e sensibile, è fatto in<br />

Spiritu.<br />

14 E quasi letteralmente la formula di S. Paolo: Ef 2,18. Si noti che<br />

il concetto di « avere accesso » (prosagogen) a Dio (cfr. anche 1 Pt 3,18) come<br />

anche il concetto di avvicinarsi, essere vicino (eggizo, eggus; erchomai, proserchomai:<br />

cfr: Ef 2,11-12; Eb 4,14-16; 7,19; 10,19-22) hanno un valore cultico. Vedi<br />

per es., K. L. SCHMIDT, Prosago, prosagoge, in: Theol. Wórt. zum NT. I 131 ss;<br />

PREISKER, Eggus, eggizo, ibid. II 330, 21; SCHNEIDER, Erchomai, proserchomai,<br />

ibid. II 663, 50 ss; 681,9 ss; 682,3 ss.


DEFINIZIONE DELLA LITURGIA , 39<br />

vita divina che Cristo trasmette agli uomini dando loro lo Spirito<br />

e unendoli così con sé e col Padre. Tenuti presenti questi punti,<br />

sarà facile ammettere che la <strong>liturgia</strong> non è altro che un modo sui<br />

generis, cioè sotto il velo dei segni sensibili sacri efficaci, in cui<br />

dalla pentecoste alla parusia si realizza il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> storia sacra,<br />

mistero di Cristo, mistero <strong>della</strong> Chiesa.<br />

La definizione tecnica rigorosa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

La predetta descrizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è ottenuta semplicemente<br />

mediante l'addizione delle sue proprietà essenziali più caratteristiche.<br />

Perché, tra queste proprietà, si possa arrivare a determinare<br />

quella che costituisce l'essenza stessa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e si possa quindi<br />

formulare una sua definizione tecnica rigorosa per genere prossimo<br />

e differenza specifica, occorre solo eliminare, nella predetta descrizione,<br />

quelle espressioni che, rispetto alle altre ivi contenute, hanno<br />

valore conseguente e spiegativo e, in realtà, non aggiungono niente<br />

di nuovo per chi sappia intendere la forza di queste altre alla luce<br />

<strong>della</strong> teologia generale.<br />

Così, nella prima parte, si elimineranno le parole : « ...di cose<br />

sacre, spirituali, invisibili ». Infatti, queste cose sacre, spirituali,<br />

invisibili a cui si riferiscono i segni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sono concretamente:<br />

la grazia santificatrice, più o meno immediatamente significata<br />

nei diversi segni liturgici, nonché l'autore di questa grazia,<br />

Cristo, e il fine di essa, la gloria futura; ed è pure il culto interno<br />

che la Chiesa rende a Dio, anch'esso più o meno immediatamente<br />

significato nei diversi segni. Basta dunque dire che la <strong>liturgia</strong> è<br />

un complesso di segni <strong>della</strong> santificazione che Dio fa <strong>della</strong> Chiesa<br />

e del culto che la Chiesa rende a Dio.<br />

Non è nemmeno necessario dire che quei segni sono stati istituiti<br />

da Cristo o dalla Chiesa; se si dice che si tratta di segni efficaci<br />

<strong>della</strong> santificazione e del culto pubblico, si include ipso facto che<br />

sono stati istituiti da Cristo o dalla Chiesa, perché solo segni che<br />

siano cose proprie di Cristo o <strong>della</strong> Chiesa e dunque istituiti da<br />

Cristo o dalla Chiesa e adoperati da Cristo o dalla Chiesa possono<br />

essere segni efficaci di quello che significano.<br />

Dopo « ...efficaci » non è necessario aggiungere « ognuno a<br />

suo modo di quello che significano », perché l'efficacia del segno,<br />

come segno, è necessariamente relativa a quello che significa, e,<br />

trattandosi di un complesso di segni, è ovvio che la loro efficacia<br />

è diversa secondo i diversi segni. Basterà dunque, nella spiegazione<br />

di « complesso di segni », distinguere i diversi segni che comprende<br />

questo complesso. Dalla natura diversa di ognuno seguirà l'efficacia<br />

diversa di ognuno.<br />

In una definizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> per genere prossimo e differenza<br />

specifica non è nemmeno necessario esprimere esplicitamente<br />

che ogni santificazione viene dal Padre (per appropriazione) per


40 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

mezzo di Cristo capo e sacerdote, nella presenza dello Spirito Santo,<br />

e che ogni culto <strong>della</strong> Chiesa è diretto a Dio (il Padre per appropriazione)<br />

nella presenza dello Spirito Santo per mezzo di Cristo<br />

capo e sacerdote. Non è necessario perché è questa semplicemente<br />

la dottrina teologica generale (sebbene non oso dire che ci si badi<br />

molto e sia molto intesa, ancor meno che sia efficacemente vissuta)<br />

del modo in cui a noi viene da Dio ogni bene e del modo in cui si<br />

fa ogni nostro ritorno a Dio. In questo ex Deo et ad Deum lo<br />

schema è sempre e necessariamente dal Padre, per Cristo il Figlio<br />

incarnato, nel possesso dello Spirito Santo, al Padre. Chi esprime<br />

dunque che la <strong>liturgia</strong> è il complesso dei segni <strong>della</strong> santificazione<br />

che Dio fa <strong>della</strong> Chiesa e del culto che la Chiesa rende a Dio ha<br />

già espresso abbastanza, per chi sa intendere la dottrina teologica<br />

generale, che questo processo si fa necessariamente: dal Padre, per<br />

QristQ. JFiglio incarnato nostro sommo sacerdote nel possesso dello<br />

Spirito „SajitQ._.al Padre,, Perciò non occorre nemmeno esprimere<br />

esplicitamente il concetto che la <strong>liturgia</strong> è esercizio del sacerdozio<br />

di Cristo. E non è necessario dire che il culto <strong>della</strong> Chiesa è reso<br />

a Dio. Questo è già incluso nel concetto stesso di culto <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Né che la santificazione <strong>della</strong> Chiesa viene da Dio perché è già compreso<br />

nel concetto di santificazione.<br />

Finalmente, in una definizione rigorosa non è necessario dire<br />

esplicitamente che nella <strong>liturgia</strong> è come corpo, ufficialmente, pubblicamente,<br />

che la Chiesa rende il suo culto a Dio. Infatti Chiesa,<br />

intesa formalmente come Chiesa, implica necessariamente tutto<br />

questo.<br />

Così, tra tutte le proprietà essenziali che costituiscono il complesso<br />

liturgico, si arriva a quella che è la radice di tutte le altre<br />

e, come tale le comprende, costituisce l'essenza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e<br />

quindi la sua definizione per genere prossimo e differenza specifica;<br />

la <strong>liturgia</strong> è: il complesso dei segni sensibili, efficaci, <strong>della</strong> santificazione<br />

e del culto <strong>della</strong> Chiesa ".<br />

La <strong>liturgia</strong> è dunque nel genere prossimo dei segni sensibili.<br />

La differenza specifica che distingue i segni liturgici da tutti gli<br />

altri segni sensibili è che essi significano, ed operano efficacemente,<br />

ex opere operato oppure ex opere operantis Ecclesiae, la santificazione<br />

che Dio fa <strong>della</strong> Chiesa e il culto che la Chiesa rende a<br />

Dio. Questa definizione comprende tutti gli elementi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

e si applica ad essi soli. Infatti, essa include non solo ciò che nella<br />

<strong>liturgia</strong> è azione <strong>della</strong> Chiesa verso Dio, ossia il culto, ma anche<br />

ciò che in essa è opera più propriamente di Dio verso la Chiesa,<br />

ossia la santificazione che Dio fa <strong>della</strong> Chiesa. E tutto questo vale<br />

a suo modo, non solo delle cerimonie e delle preghiere d'istituzione<br />

ecclesiastica, ma anche dei sette sacramenti e dello stesso sacrificio<br />

in quello che hanno d'istituzione divina.<br />

15 Una definizione sostanzialmente equivalente si avrebbe invertendo semplicemente<br />

i termini: la <strong>liturgia</strong> è la santificazione e il culto <strong>della</strong> Chiesa attuati<br />

in segni sensibili ed efficaci.


DEFINIZIONE DELLA LITURGIA 41<br />

Osservazioni intorno ad altre « definizioni »<br />

Le altre definizioni 16 peccano, a nostro parere, contro qualche<br />

regola essenziale di ogni definizione propriamente detta.<br />

Molte di esse sono, nel migliore dei casi, delle descrizioni più<br />

o meno felici, ma non delle definizioni rigorose, perché non si<br />

preoccupano di sceverare, tra le note rilevate, quella che è la radice<br />

di tutte le altre e di eliminare di conseguenza quelle che sono<br />

soltanto secondarie e derivate ". Anche la nozione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

semplicemente come « esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo », non<br />

può essere ritenuta definizione rigorosa perché, tra le altre cose,<br />

determina la <strong>liturgia</strong> per una nota non primaria, ma derivata, come<br />

sopra si è detto.<br />

Altre nozioni vengono meno alla regola che una definizione<br />

rigorosa deve essere coestensiva con l'oggetto definito. Anche contro<br />

questa regola pecca la definizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come « esercizio<br />

del sacerdozio di Gesù Cristo ». Infatti, anche il culto puramente<br />

interno e soltanto privato, nonché i pii esercizi di ogni genere, sono<br />

esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo e per essi Cristo continua<br />

nella Chiesa la sua opera di santificazione e di culto; questa nozione<br />

da sé sola non basta dunque a caratterizzare la <strong>liturgia</strong>.<br />

In modo speciale pecca contro la regola <strong>della</strong> coestensione con<br />

l'oggetto definito, la definizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> solo come culto, sia<br />

pure pubblico e integrate; per esempio quella che dice: la <strong>liturgia</strong><br />

è il culto pubblico e integrale del Corpo Mistico di Gesù Cristo.<br />

Questa nozione lascia fuori tutto ciò che nella <strong>liturgia</strong> è direttamente<br />

e in primo luogo santificazione dell'uomo, cioè l'essenza<br />

stessa .dei sacramenti e di parecchi sacramentali, come, per esempio,<br />

degli esorcismi.<br />

Chi accetta quella nozione come definizione rigorosa, per ciò<br />

sfesso è costretto a considerare l'aspetto primario ed essenziale<br />

delle azioni sacre dei sacramenti e di parecchi sacramentali, come<br />

cosa non appartenente all'essenza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, ma se mai, sua<br />

condizione o suo derivato. Ora, è assolutamente certo che, per esempio,<br />

l'eucaristia come sacramento trasformatore dell'uomo, oppure<br />

il battesimo, come azione santificatrice dello stesso, non sono sem-<br />

16 Non credo utile riferire nemmeno le principali di quelle proposte. Vedine<br />

una lunga esposizione in H. SCHMIDT, Introductio in <strong>liturgia</strong>m occidentalem,<br />

Herder 1960 pp. 47-86. Molti accettarono quella di L. Beauduin, che definiva<br />

la <strong>liturgia</strong> : « il culto <strong>della</strong> Chiesa », intendendo il suo culto pubblico e<br />

ufficiale. Vedi, per es., L. BEAUDUIN, Essai de manuel fondamental de liturgie,<br />

in: Les quest. Ut. (et parois.) 3 (1913) 56-66. E. CARONTI, Per una definizione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, in: Riv. Lit. 8 (1921) 4ss; A. STENZEL, Cultus publicus. Ein Beitrag<br />

zum Begriff und ekklesiotogischen Ort der Liturgie (Tesi <strong>della</strong> gregoriana)<br />

Innsbruck 1953.<br />

17 Sono in questo caso, per esempio, le definizioni proposte da J. H. Miller,<br />

da A. Stenzel, da H. Schmidt. Vedi H. SCHMIDT, Introductio in <strong>liturgia</strong>m occidentalem,<br />

Herder 1960 pp. 57, 59, 64.


42 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

plici presupposti o derivati <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, ma parti coessenziali<br />

<strong>della</strong> stessa; come, poniamo, il corpo è parte coessenziale dell'uomo<br />

e non un suo presupposto o un suo derivato.<br />

Includere nella definizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> solo l'aspetto culto<br />

significa fare un selezionamento arbitrario nella realtà liturgica<br />

concreta. Questa comprende essenzialmente non solo un certo<br />

atteggiamento, una certa azione <strong>della</strong> Chiesa verso Dio, ma anche<br />

un atteggiamento, un'azione di Dio verso la Chiesa. La <strong>liturgia</strong><br />

non è un monologo, ma un dialogo tra Dio è la Chiesa, nel quale<br />

anzi l'iniziativa è sempre di Dio. La <strong>liturgia</strong> è un punto di contatto<br />

e d'incontro tra Dio e la Chiesa. Nella sua realtà concreta si compenetrano<br />

inseparabilmente l'azione di Dio che santifica la Chiesa<br />

e la risposta <strong>della</strong> Chiesa che rende il suo culto a Dio.<br />

E poiché l'azione di Dio che santifica la Chiesa, non si realizza<br />

che per mezzo di Cristo e in Lui, e la risposta cultuale <strong>della</strong> Chiesa<br />

non si fa che per mezzo di Cristo e in Lui, la <strong>liturgia</strong> è, sotto il<br />

velo dei segni sensibili ed efficaci, il punto d'incontro in Cristo<br />

di Dio che santifica la Chiesa e <strong>della</strong> Chiesa che risponde rendendo<br />

il suo culto a Dio.<br />

Non senza motivo il Concilio Vaticano II, con insistenza, prospetta<br />

ovunque sia l'opera di Cristo, sia la stessa <strong>liturgia</strong> che la<br />

continua sulla terra, nel suo doppio inscindibile aspetto <strong>della</strong><br />

santificazione e del culto ls . È da sperare che ormai questo punto<br />

rimanga saldamente acquisito l *.<br />

Definizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e Sacramentimi<br />

Non si mancherà di notare che la proposta definizione <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> non è altro, in fondo, che un certo allargamento <strong>della</strong> classica<br />

definizione dei sette sacramenti in genere, i quali, dopo S. Tommaso,<br />

sono definiti: segni sensibili efficaci (ex opere operato) <strong>della</strong><br />

** Oltre all'articolo 7 <strong>della</strong> CL, vedi gli articoli: 5; 6; 10; 33; 48; 59; 61; 83.<br />

Vedi anche MD n. 3; 169; 203.<br />

19 Tanto più sono da rigettare quelle definizioni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che nella<br />

stessa non solo considerano soltanto l'aspetto culto, ma, inoltre, si fermano<br />

solo a ciò che nel culto è d'istituzione ecclesiastica senza includervi ciò che<br />

è d'istituzione propriamente divina. Così, per esempio, C. CALLEWAERT, Liturgicce<br />

institutiones - De S. Liturgia universim, Bruges, 1911 p. 5 definiva la <strong>liturgia</strong><br />

« l'ordinazione ecclesiastica del culto pubblico », « il culto pubblico in<br />

quanto è ordinato dall'autorità ecclesiastica ». Si può accettare come definizione<br />

tecnica rigorosa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> quella proposta da O. Casel? Egli così definisce<br />

la <strong>liturgia</strong> : « La <strong>liturgia</strong> è il mistero cultuale di Cristo e <strong>della</strong> Chiesa » (Mysteriengegenwart,<br />

in: Jahrbuch fur Liturgiewiessenschaft 8 (1928) 212; oppure:<br />

« La <strong>liturgia</strong> è l'azione rituale dell'opera <strong>della</strong> salvezza di Cristo nella Chiesa<br />

e per la Chiesa, cioè, è la presenza dell'opera divina <strong>della</strong> redenzione sotto<br />

il velo dei simboli » (ibid. p. 145). A questa definizione si devono fare, a mio<br />

parere due critiche: a) rimane da spiegare cosa significhino le espressioni<br />

« mistero cultuale », « azione rituale », « presenza dell'opera... ». Ora, una definizione<br />

deve essere chiara, b) Di fatto Casel intendeva « mistero cultuale »,<br />

« presenza... » non solo nel <strong>senso</strong> generale di mistero da noi sopra spiegato,


DEFINIZIONE DELLA LITURGIA E SACRAMENTUM 43<br />

grazia che significano. L'estensione è ottenuta in due punti essenziali:<br />

anzitutto per segni efficaci s'intendono non solo quelli efficaci<br />

ex opere operato, ma anche quelli efficaci ex opere operantis Ecclesiae;<br />

in secondo luogo per segni sensibili s'intendono non solo<br />

quelli che significano direttamente e producono la grazia per mezzo<br />

<strong>della</strong> quale Dio santifica gli uomini, e solo indirettamente il culto<br />

che gli uomini rendono a Dio, ma anche quelli che significano direttamente<br />

il culto che gli uomini rendono a Dio e solo indirettamente<br />

la grazia per mezzo <strong>della</strong> quale Dio santifica gli uomini. Inoltre,<br />

si esprime esplicitamente che il soggetto diretto <strong>della</strong> santificazione<br />

che Dio opera e del culto che Gli è reso, è la Chiesa come tale.<br />

Cosa non meno notevole è che con il predetto allargamento<br />

fatto subire al concetto di sacramento fino ad includervi tutta la<br />

<strong>liturgia</strong>, si ritrova semplicemente il concetto di mysterion, mysterium,<br />

sacramentum (o, al plurale, mysteria, sacramenta) con il<br />

quale l'antica tradizione patristica e liturgica designava appunto<br />

tutti quegli elementi che noi oggi, con parola comune, chiamiamo<br />

<strong>liturgia</strong>. E tutto questo non ha niente di sorprendente, se si pensa<br />

che, storicamente, gli scolastici e S. Tommaso in specie, determinarono<br />

il noto concetto di sacramento in genere, restringendo appunto<br />

l'antico concetto dei sacramenta o mysteria in modo da fargli<br />

significare solo ciò che, tra tutti i sacramenta o mysteria <strong>della</strong> tradizione<br />

anteriore, ossia tra tutti i riti liturgici in genere, hanno di<br />

proprio e specifico i sette nostri riti maggiori che oggi diciamo<br />

sacramenti.<br />

In un prossimo capitolo si parlerà esplicitamente dell'antico<br />

concetto di mysterion, mysterium, sacramentum. Qui basti solo<br />

ricordare che gli antichi comprendevano tutta la realtà liturgica<br />

sotto questo concetto di mysterion, mysteria; mysterium, mysteria;<br />

sacramentum, sacramenta. Per esempio, S. Agostino chiamava col<br />

nome di sacramentum, sacramenta, non solo le dottrine, i misteri,<br />

le figure e le prefigurazioni dell'Antico Testamento, la stessa bibbia,<br />

ma anche il battesimo, la cresima, l'eucaristia, il simbolo apostolico,<br />

l'orazione domenicale, gli esorcismi, il digiuno, tutte le cerimonie<br />

e le preghiere <strong>della</strong> messa, la festa liturgica di Pasqua, ecc. 20 .<br />

ma nel <strong>senso</strong> preciso di una ripresentazione delle azioni salutifere di Cristo<br />

nella loro individualità numerica. Cosa, penso, che non si può accettare (vedi<br />

sotto p. 118 s). Se, invece, il concetto di « mistero » fosse inteso senza questa<br />

precisazione, contro la definizione militerebbe solo la prima critica.<br />

20 Tutti questi significati s'incontrano per esempio nel Sermo 228,3; 227;<br />

Ep. 98 n. 9-10. Ossia, Agostino usa la parola sacramentum, per i nostri sacramenti,<br />

per i nostri sacramentali, per tutto l'insieme del linguaggio ecclesiastico<br />

e delle azioni ecclesiastiche nella <strong>liturgia</strong> ; « Sacramenta temporalia... ista omnia<br />

quae loquimur vobis, ipsa quae sonant et transeunt, quidquid in Ecclesia agitur<br />

temporaliter » come : la predicazione e la recitazione del vangelo, l'imposizione<br />

delle mani fatta dal vescovo, ecc. (v. In Ps 146,8). Sul sacramentum<br />

<strong>della</strong> festa di Pasqua in S. Agostino, vedi Ep. 55,2. L'Indiculus, nella stessa<br />

frase che contiene la celebre formula : « Legem credendi lex statuat supplicandi<br />

», chiama sacramenta le preci stesse liturgiche <strong>della</strong> Chiesa : « Obsecrationum<br />

quoque sacerdotalium sacramenta respiciamus... » (Dz 246-139-). Vedi: H.


44 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

Questo era possibile perché s'intendeva mysterion, mysterium, sacramentum<br />

in un <strong>senso</strong> vastissimo semplicemente come segni<br />

che hanno riferimento alle cose sacre dell'economia di Dio nel<br />

mondo e che nello stesso tempo manifestano a chi capisce il segno<br />

e nascondono a chi non lo capisce queste realtà sacre 21 . Per gli<br />

antichi i sacramenta dei riti, inoltre, contengono realmente in qualche<br />

modo quelle realtà che significano 22 .<br />

Ma ha tutto questo qualche reale importanza oggettiva che<br />

superi il puro interesse storico? Enorme. Significa la riscoperta<br />

che la « sacramentalità » non si applica esclusivamente ai sette riti<br />

maggiori che oggi chiamiamo appunto sacramenti, come per dire<br />

FERET, Sacramentum dans la tanguage théologique de S. Augustin, in: Rev. des<br />

sciences phìl. et théol., 1940, p. 218 ss; C. COUTURIER, Sacramentum et mysterium<br />

dans l'oeuvre de S. Augustin, in: Études augustiniennes, Paris 1953 pp. 163-332.<br />

Per il concetto di « Sacramentum » presso gli anteniceni vedi : J. DE GEL-<br />

LINCK, Pour l'histoire du mot Sacramentum. I. Les antenicéen, Louvain 1924;<br />

O. CASEL, Zum Wort Sacramentum, in : Jahrb. jùr Liturgiewis. 1928 pp. 225 ss.<br />

21 « ... Signorum, quae, cum ad res divinas pertineant, sacramenta appellante<br />

», S. AGOSTINO, Ep. 138 n. 67. « Ista (pane e vino) dicuntur sacramenta<br />

quia in eis aliud videtur et aliud intelligitur » ID., Sermo 272. È, essenzialmente,<br />

lo stesso il concetto di mysterion presso i padri greci, come a suo luogo si<br />

dimostrerà più in particolare. <strong>Il</strong> mysterion è sempre una rappresentazione<br />

di cose sacre soprassensìbili per mezzo di segni sensibili. Teodoro mopsuesteno<br />

dice : « Ogni mysterion è indicazione in segni sensibili di cose invisibili ed<br />

ineffabili » {Catech. XII 2). E S. Giovanni Crisostomo : « C'è mysterion quando<br />

consideriamo delle cose sacre diverse da quelle che vediamo (vedi: aliud videtur<br />

et aliud intelligitur di Agostino)... Altro è qui il giudizio del fedele, altro<br />

di colui che non crede. Io, «ento che Cristo è stato crocifisso, e ammiro subito<br />

il suo amore per gli uomini; colui che non crede lo sente dire anche lui e<br />

stima che sia follia... L'infedele, conoscendo il battesimo, stima che sia solo<br />

dell'acqua; io invece, non fermandomi solo a quello che vedo, considero la<br />

purificazione dell'anima effettuata dallo Spirito Santo » (In ep. 1 Cor Hom. 1<br />

n. 7). Per lo pseudo Dionigi vedi per es., Hier. eccl. I 5; II 1; II 3, 1, II 3, 2.<br />

E così che anche per i Padri greci mysterion, detto di cose cultuali, ha significato<br />

vastissimo. Lo pseudo Dionigi, per es., con questo nome indica non<br />

solo i nostri sacramenti, ma anche la consacrazione del crisma e dell'altare,<br />

il rito <strong>della</strong> professione monastica e quello <strong>della</strong> sepoltura. Simeone di Salonicco,<br />

nel s. XIV, sotto lo stesso nome enumera esplicitamente anche la dedica<br />

di una chiesa, la consacrazione dell'imperatore, la recita del Pater noster, le<br />

ore canoniche, gli uffici funebri ecc. Per tutto questo vedi, per es., A. MICHEL,<br />

Sacramentaux, in Dict. de théol. cath. XIV 1 (1939) 468 ss; G. FITTKAU, Der<br />

Begriff des Mysteriums bei Johannes Chrysostomus, Bonn 1953; R. ROGUES,<br />

L'univers dionysien, Paris 1954. Stessa situazione presso i padri siri; vedi: W.<br />

DE VRIES, Sakramentheniheologie bei den syrischen monophysiten, Roma 1940<br />

pp. 29-37.<br />

22 Vedi il concetto di res in S. Agostino. Egli lo applica anche ai sacramenta<br />

delle feste, almeno a Pasqua (cfr. Ep. 55 e Ep. 98,9) e ai sacramenta<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> messa e <strong>della</strong> parte che i fedeli vi prendono (cfr. Sermo<br />

227). La res dell'eucaristia è l'unità nel corpo di Cristo; la res del sacramentum<br />

dell'esorcismo e del digiuno è una certa macerazione spirituale; la res <strong>della</strong><br />

cresima è ricevere lo Spirito Santo; la res del sacramentum per cui nella<br />

messa si dice: sursum corda: habemus ad Dominum, è il fatto che si vuol<br />

significare che Cristo è in Cielo e che ci dà la grazia di avere il nostro cuore<br />

in cielo e non in terra. La res del sacramentum del sacrificio è il nostro stesso<br />

sacrificio: « Nos ipsos voluit esse sacrificium. Sacrificium Dei et nos, id est,<br />

signum rei quod sumus ». La res del bacio di pace è la pace <strong>della</strong> coscienza,<br />

il fatto che il cuore si unisce al fratello. Per tutto questo vedi il Sermo 227.


LITURGIA E SACRAMENTALITÀ 45<br />

sacramenti per eccellenza; ma è comune a tutta la <strong>liturgia</strong>, a parte<br />

ciò che è proprio di quei sette riti per quanto riguarda specialmente<br />

l'istituzione divina e la particolare efficacia ex opere operato.<br />

Anzi, la visuale si allarga e si scopre che l'essere strutturata in<br />

regime di « sacramento » è comune a tutta la Chiesa, che è perciò<br />

il « totius Ecclesiae tuae mirabile sacramentum »; la quale, a sua<br />

volta, è tale perché non è altro che l'espressione e la continuazione<br />

sulla terra del « Sacramento » primo e fontale che è Cristo Signore<br />

2S .<br />

Così si intravvede che tutta la <strong>liturgia</strong> non è altro che quel<br />

punto in cui il flusso sacramentale <strong>della</strong> vita divina da Cristo, nella<br />

Chiesa, arriva a noi. E si comincia a sospettare che proprio in essa<br />

sia il cuore stesso <strong>della</strong> Chiesa, la sua più perfetta espressione, la<br />

sua epifania jper eccellenza. <strong>Il</strong> punto, cioè, in cui essa meglio appare<br />

il puro strumento anche sensibile di cui la vita divina si serve per<br />

manifestarsi e trasmettersi agli uomini ben disposti.<br />

Non sono fantasie. Non è altro che il quadro generale di sacramentum<br />

in cui lo stesso Concilio Vaticano II prospetta esplicitamente<br />

il concetto di <strong>liturgia</strong> 24 .<br />

E poiché, come sopra abbiamo spiegato, la <strong>liturgia</strong>_non_è altro<br />

chejl__cealizzarsi dalla pentecoste alla parusia oTéT~<strong>senso</strong> <strong>della</strong> storia<br />

^acra -sotto il velo dei segni sensìbili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione<br />

e__djeJLculto, e che questo modo specifico dì realizzazione gli antichi<br />

lo chiamavano « sacramentum » « mysterium », se si volesse conservare<br />

la terminologia degli antichi si potrebbe dire che la <strong>liturgia</strong><br />

è asmplicemen/ts.,. L'attuazione « in sacramento » o « in mysterio »<br />

<strong>della</strong> storia sacra, dalla pentecoste alla parusia ".<br />

Essendo, dunque, tutta l'economia liturgica sotto il concetto<br />

di segno, per prima cosa è questo stesso concetto e il suo valore<br />

preciso nella <strong>liturgia</strong> che deve essere spiegato.<br />

23 Vedi ulteriore spiegazione di questo punto sotto, pp. 74-75.<br />

2i CL, art. 5-7 e art. 2 e 41.<br />

25 Questo modo assolutamente tradizionale, e largamente conservato dalla<br />

<strong>liturgia</strong> stessa, di intendere l'espressione di sacramentum e di mysterium, non<br />

implica la teoria personale di O. Casel sul mistero, in quello che essa ha di<br />

specificamente proprio; la riproduzione o ripresentazione per mezzo del segno<br />

sacro, anzitutto eucaristico, delle azioni salutifere storiche di Cristo, in specie<br />

<strong>della</strong> sua passione, nella loro individualità numerica, sebbene in un modo<br />

soprattemporale. Sarebbe ridicolo paventare la dottrina così tradizionalmente<br />

patristica e liturgica espressa dalle voci sacramentum e mysterium per il semplice<br />

fatto che non si è d'accordo con la teoria personale che Casel ha voluto<br />

annettere a queste parole. Sarebbe non meno ingiusto negare che a Casel, a<br />

parte sempre la sua teoria specifica, spetta il grande merito di aver riscoperto<br />

una ricchissima vena di autentica teologia tradizionale.


46 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

2. IL SEGNO<br />

Nozione<br />

Le osservazioni seguenti possono bastare al nostro scopo z *.<br />

Cosa comporti il concetto di segno lo spiega ottimamente S. Agostino<br />

: « Segno è una cosa che, oltre alla forma che imprime nei<br />

sensi, porta alla conoscenza di qualcosa d'altro da sé. Così, vedendo<br />

un'orma d'animale, conosciamo che è passato quell'animale di cui<br />

è il vestigio; vedendo il fumo sappiamo che sotto ci sta il fuoco;<br />

a udir la voce di un animale ne conosciamo i sentimenti; i soldati<br />

al suono <strong>della</strong> tuba sanno se devono avanzare o indietreggiare o<br />

fare qualsiasi altra cosa nella battaglia » 27 . <strong>Il</strong> segno così definito<br />

è uno strumento 2S che, per la relazione che ha con un'altra cosa,<br />

per il solo fatto di essere conosciuto in quella sua relazione, fa<br />

presente alla potenza conoscitiva quest'altra cosa. Esso, in qualche<br />

modo, fa, verso la potenza conoscitiva, le veci di quest'altra cosa<br />

assente o nascosta; ne è come un sostituto. Perciò stesso deve<br />

distinguersi da quella cosa e, in quanto segno, dipendere da essa<br />

e dunque essere più imperfetto. Ma, a colui che conosce, il segno<br />

deve essere meglio noto <strong>della</strong> cosa che significa, poiché dalla conoscenza<br />

del segno egli deve arrivare alla conoscenza <strong>della</strong> cosa significata.<br />

Così il segno, cosa sensibile che fa presente alla conoscenza<br />

qualcosa d'altro di cui fa le veci, deve possedere queste condizioni:<br />

essere distinto dalla cosa significata; essere in relazione di dipendenza<br />

da essa e perciò più imperfetto; esserle non solo simile ma<br />

anche dissimile; ,essere più conosciuto di essa.<br />

Perciò il segno, nello stesso tempo e sotto diversi aspetti, rivela<br />

26 Per più ampi particolari e, in specie, per un'analisi metafisica del<br />

concetto di segno vedi: GIOVANNI DA SAN TOMMASO, Logica II q 21 e 22 ed. Reiser<br />

I 646-722; J. MARITAIN, Signe et symbole, in: Rev. thom. 44 (1938) 299-330; A. M.<br />

ROGUET, Les sacraments (in: S. Thomas d'Aquin, La somme théologique, ed.<br />

de la révue des jeunes, Paris 1945) p. 269ss; E. MASURE, Le signe: psychologie,<br />

histoire, mystère. Paris 1953; K. RAHNER, Zur Theologie des Symbols, in: Cor<br />

Jesu, Herder 1959, voi. I pp. 463-565. A pp. 465-66 ulteriore bibliografia su studi<br />

recenti. Filosofia e simbolismo (Archivio di filosofia, Padova 1956); Le symbolisme<br />

(Recherches et débats n. 29, Dèe. 1959).<br />

" De doctr. Christiana II 1. Vedi già Origene, In R. Co. PG 14, 968 A.<br />

Le critiche mosse dal Masure l.c. pp. 15, 188 contro questo concetto di S. Agostino<br />

non mi sembrano fondate.<br />

28 Nella terminologia scolastica, si tratta di un segno strumentale, cosiddetto<br />

per distinguerlo dal segno puramente formale. <strong>Il</strong> segno strumentale porta<br />

alla conoscenza di altra cosa per mezzo <strong>della</strong> conoscenza di se stesso, notata<br />

e cosciente in colui che conosce. <strong>Il</strong> segno puramente formale, la specie espressa,<br />

è segno perfettamente traslucido, nel quale (e non già per mezzo del quale),<br />

senza conoscere e notare in nessun modo il segno stesso, si conosce solo la<br />

cosa alla cui conoscenza esso serve.


NOZIONE E DIVISIONE DEL SEGNO 47<br />

la cosa_sigaiJ&cataje_Ia.nasconde. La rivela: poiché è come un ponte<br />

tra la cosa significata e la potenza conoscitiva; la nasconde: poiché,<br />

nel segno strumentale, la cosa significata non appare in se stessa<br />

immediatamente, ma solo attraverso una cosa distinta e che non<br />

l'esprime perfettamente. Ogni segno è espressivo ed impressivo,<br />

perché è l'espressione di una cosa nascosta che significa e, imprimendosi<br />

nella potenza conoscitiva, vi rende presente quella cosa<br />

che esprime e significa.<br />

<strong>Il</strong> segno strumento non è perfettamente traslucido, ma oppone<br />

come una resistenza alla conoscenza <strong>della</strong> cosa significata; bisogna<br />

passare attraverso il segno per arrivare alla cosa signifìcata. È come<br />

un velo, sebbene trasparente. Per lo sguardo che non sa penetrare<br />

attraverso il velo, il segno è uno schermo. Penetrare attraverso il<br />

velo vuol dire capire il segno appunto nel suo valore significativo<br />

<strong>della</strong> cosa significata. Perciò a chi non capisce il valore,del segno,<br />

il segno fa da schermo; a chi lo capisce, invece, il segno fa da ponte<br />

e da rivelatore.<br />

Quando la cosa signifìcata è immediatamente, e dunque sveltamente,<br />

presente alla potenza conoscitiva, il segno non ha più ragion<br />

d'essere; il valore del segno si limita al momento in cui la<br />

cosa significata rimane nascosta. Perciò un regime di segni non ha<br />

<strong>senso</strong> che come ponte tra due mondi nascosti l'uno all'altro, ma<br />

non estranei. <strong>Il</strong> segno strumento è come il ponte sensibile per cui<br />

lo spirito umano, principio spirituale di concetti e di affetti, comunica,<br />

attraverso la materia, col mondo invisibile, o comunque a lui<br />

non presente, e vi esprime se stesso.<br />

Divisione<br />

Poiché il valore manifestativo del segno dipende dalla sua relazione<br />

con la cosa che significa, i segni si dividono essenzialmente<br />

secondo la relazione che ognuno ha con la cosa significata. Si hanno<br />

così nei segni strumentali due grandi categorie: i segni reali e i<br />

segni di pura ragione; i segni reali poi potranno essere non liberi,<br />

ossia naturali, o liberi.<br />

=-. Nei segni reali la relazione tra segno e cosa significata è reale<br />

perché c'è tra essi la relazione di effetto e causa: così il fumo è<br />

segno reale del fuoco perché ne è l'effetto; nello stesso modo, in<br />

uno che sceglie di fare un inchino per esprimere la sua venerazione<br />

a un altro, l'inchino è segno reale di quel suo sentimento di venerazione.<br />

I segni reali contengono in qualche modo realmente e quindi<br />

esprinìo^o^^^ignHicàho realmente la cosa significata, come l'effètto<br />

contiene in qualche modo realmente qualcosa <strong>della</strong> causa e<br />

l'esprime.<br />

— I segni reali non liberi o naturali sono quelli in cui la relazione<br />

tra segno e cosa significata non dipende da una libera determinazione<br />

dell'uomo, ma è stabilita dalla natura come principio di


48 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

necessità. Così il fumo è segno naturale del fuoco, l'orma del bove<br />

è segno naturale del passaggio del bove, certi gridi sono segni<br />

naturali di dolore, la ghianda è segno naturale <strong>della</strong> quercia, l'abbozzo<br />

<strong>della</strong> statua; anche il ritratto o la fotografia è, sotto questo<br />

aspetto, segno naturale di colui che rappresenta. Tali segni sono<br />

comuni e comprensibili a tutti gli uomini; per capirli basta conoscere<br />

la natura di cui sono l'espressione.<br />

^ Segni reali liberi sono oggetti, o azioni, o gesti sensibili fatti<br />

liberamente dall'uomo come segni di cose che non cadono, almeno<br />

attualmente, sotto i sensi e con le quali essi non hanno per natura<br />

relazione necessaria. Qui la libera volontà crea espressioni reali<br />

sensibili. Così: bandiera-patria; parola parlata-concetto; scritturaparola<br />

parlata; segno + per significare l'addizione aritmetica; inchino<br />

per significare la riverenza; emblemi di ogni sorta.<br />

Va notato che, anche in questo caso, la relazione tra segno e<br />

cosa significata è reale e che anche qui il segno contiene realmente,<br />

a suo modo, la cosa significata come l'effetto contiene la causa.<br />

Non è nel contenere o nel non contenere realmente a suo modo<br />

la cosa significata che i segni reali liberi differiscono dai segni reali<br />

naturali, ma nel modo in cui ognuno dei due tipi contiene la cosa<br />

significata. Nei segni reali naturali la cosa significata è contenuta<br />

direttamente nel segno per virtù di natura; nei segni reali liberi<br />

la cosa significata è contenuta in virtù di una libera determinazione<br />

e per virtù <strong>della</strong> libera forza creativa dell'uomo. È per questo che<br />

i segni naturali sono comuni a tutti gli uomini e per comprenderli<br />

basta conoscere la natura, mentre per comprendere i segni liberi<br />

bisogna conoscere la libera volontà che li ha determinati in qualità<br />

di segni e di tali segni. I segni reali liberi sono dunque, come tali,<br />

effetti reali sensibili che dipendono dalla libera volontà come da<br />

causa efficiente ed è la determinazione di questa libera volontà che<br />

essi per sé e immediatamente contengono, esprimono e significano,<br />

come l'effetto la causa. È solo mediante questa libera determinazione<br />

<strong>della</strong> volontà che i segni reali liberi contengono, esprimono<br />

e significano il concetto o l'affetto significato.<br />

Così, per esempio, la bandiera contiene, esprime e significa il<br />

concetto di patria unicamente per il fatto che questo oggetto fabbricato<br />

è l'effetto <strong>della</strong> libera determinazione e creatività dell'uomo<br />

che l'ha fatto per esprimere il suo concetto di patria. Così essa esprime<br />

e significa, come l'effetto esprime e significa la causa, anzitutto<br />

e immediatamente quella libera determinazione e per essa il concetto<br />

di patria. <strong>Il</strong> concetto di patria ha mosso come oggetto e come<br />

fine la volontà e per essa le altre potenze a fare, come causa efficiente,<br />

la bandiera, la quale così essendo l'effetto del concetto di<br />

patria e <strong>della</strong> volizione di patria, contiene in sé realmente in qualche<br />

modo questo concetto e questa volizione. Per cui può anche<br />

manifestare il concetto di patria a chiunque è al corrente del nesso<br />

che corre tra quell'oggetto e quel concetto mediante una libera<br />

determinazione.


SEGNO, IMMAGINE E SIMBOLO 49<br />

Nello stesso modo, l'inchino fatto per esprimere la venerazione<br />

contiene veramente, come l'effetto contiene la causa, questo sentimento<br />

di venerazione e così lo esprime e lo significa a chiunque<br />

ne comprende il motivo. I segni reali liberi sono, dunque, come<br />

creazioni libere dell'uomo nelle quali egli incarna e rende sensibili<br />

i suoi concetti e i suoi sentimenti invisibili e attraverso i quali un<br />

altro può conoscere questi stessi concetti e sentimenti.<br />

I segni di pura ragione non solo sono segni liberi e non naturali<br />

ma non sono in nessun modo creazioni dell'uomo e quindi non<br />

sono effetti reali <strong>della</strong> sua volontà e dei suoi concetti ed affetti.<br />

Sono oggetti esterni non creati o modificati dall'uomo, ma presi<br />

da lui, convenzionalmente a suo arbitrio, come segni di qualcosa<br />

d'altro. Così, per esempio, se due uomini volessero prendere, non<br />

già l'emblema dell'arcobaleno, ma l'arcobaleno reale nel cielo come<br />

segno <strong>della</strong> loro riconciliazione.<br />

Segno, immagine e simbolo<br />

Tra i concetti molto vicini a quello di segno, i concetti di immagine<br />

e di simbolo sono di non poca importanza nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Spesso, oggi, sono usati come sinonimi, ma, a guardarci bene, l'immagine<br />

e il simbolo sono specie particolari di segni.<br />

L'immagine, nei nostri concetti odierni, è un segno reale naturale<br />

che comporta tra il segno e la cosa significata una relazione<br />

di similitudine secondo la specie o per lo meno secondo una nota<br />

caratteristica <strong>della</strong> specie, principalmente secondo la configurazione<br />

estrinseca 29 . Perciò non diciamo che il fumo è l'immagine del fuoco,<br />

né che l'orma di un bove è l'immagine del bove (bensì forse <strong>della</strong><br />

pianta del suo piede), né diciamo che la ghianda è l'immagine <strong>della</strong><br />

quercia; mentre diciamo che l'abbozzo è l'immagine <strong>della</strong> statua<br />

e la statua l'immagine di colui che rappresenta e il figlio l'immagine<br />

del padre, e parliamo dell'uomo immagine di Dio.<br />

Assai più difficile riesce determinare il concetto moderno di<br />

simbolo 30 . È certo che ogni simbolo è un segno, ma non tutti i<br />

segni sono simboli; così non diciamo che il fumo sia simbolo del<br />

fuoco, ma il suo segno, il suo indice. Non diciamo che il ritratto<br />

sia simbolo di colui che rappresenta ma la sua immagine. Né diciamo<br />

che il grido sia simbolo del dolore che esprime. Simbolo non<br />

si identifica, dunque, né con segno in genere, né con immagine in<br />

specie. Sembra invece indicare, oggi, per noi, un segno libero sia<br />

reale sia di pura ragione per distinzione dal segno naturale. Così,<br />

29 Cfr. S. TOMMASO, Stimma I q 93 a 1 e 2. La nozione di immagine,<br />

eikon, presso gli antichi greci era più larga: ogni cosa che induce alla conoscenza<br />

di un'altra era detta eikon.<br />

30 Dal greco symbolon, da syn ballo, ossia tessera di riconoscimento formata<br />

da una parte di un oggetto che veniva ricongiunta alla parte mancante<br />

formando così di nuovo l'oggetto intero.


50 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

per noi, gli emblemi sono simboli; chiamiamo simboli anche molte<br />

cose da noi fatte con l'intento preciso di significare, cioè dei segni<br />

reali liberi, così: pastorale-potere vescovile; scettro-potere regale;<br />

bilancia-giustizia. E parliamo di gesti e azioni simboliche e di simboli<br />

matematici. Applichiamo il concetto di simbolo anche a molti<br />

segni di pura ragione, come: sole-Cristo; sale-sapienza; incenso-preghiera,<br />

ecc. Spessissimo i simboli, pur essendo segni liberamente<br />

scelti, sia reali sia di pura ragione, poggiano però sopra una certa<br />

analogia d'essere o d'agire tra il simbolo e la cosa simboleggiata<br />

e così diventano una specie di metafore sensibili. Per es., sole-Cristo<br />

(illumina, scalda, dà vita: come il sole illumina, scalda e dà vita<br />

nell'ordine naturale, così Cristo nell'ordine soprannaturale); sale-sapienza<br />

(conserva); incenso-preghiera (sale al cielo); aquila-S. Giovanni<br />

(volo alto, sguardo che fissa il sole ecc.); chiavi-potere papale<br />

(aprire, chiudere); pastorale-potere vescovile (dirige il gregge) ecc.<br />

Molte altre volte il simbolo, sia reale sia di pura ragione, poggia<br />

sopra una relazione reale o supposta tale tra il simbolo e la cosa<br />

simboleggiata come di appartenenza, di origine o somiglianza <strong>della</strong><br />

cosa o del nome, di fatti memorabili o comunque caratteristici.<br />

Così per esempio: lupa-Roma; orso-Russia; croce-cristianesimo; tre<br />

pignatte-stemma <strong>della</strong> famiglia Pignattelli; lXfrvs= pesce-Cristo; monogramma<br />

costantiniano XP-Cristo. Anche gli attributi iconografici<br />

dei santi sono di questa categoria, come: spada-S. Paolo; chiavi-San<br />

Pietro.<br />

Mentalità antica e moderna intorno ai concetti<br />

di segno, immagine, simbolo e connessi<br />

I concetti di segno, immagine, simbolo (ai quali, per gli antichi,<br />

vanno connessi, tra gli altri, i concetti di eikon, symbolon, mysterion,<br />

typos, imago, species, figura, sacramentum, mysterium), perché<br />

convengono tutti nel concetto generale di segno, comportano<br />

necessariamente un doppio aspetto antitetico rispetto alla cosa a<br />

cui si riferiscono e che significano. Anzitutto un aspetto di identità,<br />

per cui il segno, in qualche modo, conviene realmente con la cosa<br />

significata, la contiene in sé, è realmente la cosa significata. Da ciò<br />

proviene che può manifestare la cosa significata e, conoscendo il<br />

segno, l'immagine, il simbolo, si conosce la cosa significata, rappresentata,<br />

simboleggiata. Questa identità sui generis, tra segno e cosa<br />

significata, è palese per tutti i segni reali, sia naturali sia liberi.<br />

Infatti, in questi segni, la relazione tra segno e cosa significata)<br />

poggia sempre sul rapporto di causa ed effetto, secondo i diversi 1<br />

tipi di causalità: materiale; formale, sia intrinseca che estrinseca<br />

o esemplare; efficiente; finale. Ora, l'effetto contiene sempre in<br />

qualche modo la causa, perché ha realmente in sé qualcosa <strong>della</strong><br />

causa, partecipa <strong>della</strong> causa, in quanto la causa lascia realmente<br />

come l'impronta di se stessa nell'effetto. Ma una simile identità<br />

reale, sebbene parziale, tra segno e cosa significata, va anche affer-


IMMAGINE E REALISMO 51<br />

mata almeno per moltissimi tra i segni di pura ragione. È il caso<br />

di tutti quelli che sono stati liberamente scelti dall'uomo per una<br />

certa analogia reale di essere e di agire tra il segno e la cosa significata;<br />

come: il sole è detto segno, simbolo di Cristo perché, come<br />

il sole illumina, scalda e dà vita nell'ordine fisico, così Cristo illumina,<br />

scalda e dà vita nell'ordine soprrnnaturale. Infatti, chi dice<br />

analogia sia pur metaforica, tra due cose, afferma tra queste cose<br />

non solo una certa dissomiglianza, ma anche una certa identità.<br />

Senza questa certa identità non vi è affatto analogia. <strong>Il</strong> fatto, dunque,<br />

che il segno comporta un aspetto di una certa reale identità<br />

con la cosa significata è talmente generale che ci si domanda addirittura<br />

se possa esistere segno che faccia eccezione a questa regola.<br />

L'altro e non meno reale aspetto antitetico, che comporta il<br />

segno verso la cosa significata, è la diversità da questa cosa: il<br />

segno si distingue dalla cosa significata. E su questo non bisogna<br />

insistere perché è troppo evidente. Dunque, identità reale sotto<br />

un aspetto, reale diversità sotto l'altro. È inevitabile poiché il segno<br />

è una realtà-ponte tra due mondi nascosti l'uno all'altro e velo<br />

trasparente che nello stesso tempo manifesta e nasconde quello<br />

che significa.<br />

Di qui la possibilità che nella considerazione dei concetti di<br />

segno, immagine, simbolo, si metta l'accento ora sull'aspetto di<br />

reale unità e d'identità tra segno e cosa significata, ed ora sull'aspetto<br />

di diversità. Gli antichi in questi concetti badavano anzitutto all'unità<br />

e all'identità tra segno e cosa significata, pure essendo coscienti<br />

dell'aspetto di reale diversità. I moderni invece senza ignorare<br />

l'aspetto dell'unità — la quale però, nella loro psicologia, rimane<br />

come al secondo piano — badano, anzitutto, a quello <strong>della</strong> reale<br />

distinzione e diversità.<br />

Già al principio di questo secolo Harnack ne faceva la costatazione<br />

fondamentale, a proposito <strong>della</strong> dottrina eucaristica nell'antichità<br />

cristiana. Intorno al corpo e sangue di Cristo nell'eucaristia,<br />

« per quanto noi possiamo giudicarne, così egli dice, nessuno<br />

vi sentiva un problema (se cioè era reale o simbolico). <strong>Il</strong> simbolo<br />

era un mistero ed il mistero non lo si concepiva senza simbolo.<br />

Oggi sotto il nome di simbolo noi intendiamo una cosa che non è<br />

quello che significa; allora per simbolo s'intendeva una cosa che,<br />

in qualche modo reale, è quello che significa; inoltre, per il modo<br />

di concepire antico, la realtà celeste era sempre presente nella<br />

forma o sotto la forma, in cui si manifesta, senza, per altro, identificarsi<br />

completamente con essa su questa terra. Perciò si i deve<br />

respingere completamente la distinzione di un concetto simbolico<br />

e di un concetto realistico dell'eucaristia » 31 per capire il pensiero<br />

degli antichi. Vuol dire, dunque, che, per capire questo pensiero,<br />

chiedersi se esso riteneva che nell'eucaristia il corpo di Cristo è<br />

presente realmente oppure simbolicamente, è porsi una questione<br />

31 Dogmengeschichte I ed. 4 (1909) p. 476.


52 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

falsa; una questione, cioè, presupponente il concetto moderno che<br />

quello che è simbolico non è reale. Le ricerche storiche recenti, per<br />

esempio intorno ai concetti di eikon, symbolon, mysterion, typos,<br />

signum, imago, figura, species, sacramentum, mysterium presso gli<br />

antichi 32 , hanno confermato pienamente la verità dell'osservazione<br />

di Harnack. La cosa ha somma importanza, sia storica che attuale,<br />

tanto nel campo <strong>teologico</strong> generale che nel campo liturgico.<br />

In teologia generale da essa dipende l'esatta comprensione del<br />

tema scritturistico e patristico di Cristo immagine di Dio invisibile<br />

33 ; la retta valutazione del cosiddetto allegorismo o tipologismo<br />

biblico e patristico, tanto delle realtà dell'Antico Testamento rispetto<br />

alle realtà del Nuovo Testamento sia di Cristo che dei cristiani,<br />

quanto delle realtà del Nuovo Testamento rispetto alle realtà future<br />

escatologiche 34 ; l'intelligenza di tutta la teologia sacramentaria<br />

patristica e in specie <strong>della</strong> teologia patristica sull'eucaristia 35 ;<br />

finalmente, la comprensione dei fondamenti teologici <strong>della</strong> lotta<br />

dei padri greci dei secoli VII e Vili contro l'iconoclastismo 38 .<br />

In quanto alla <strong>liturgia</strong>, solo dalla predetta mentalità degli antichi<br />

intorno al concetto di segno e ai concetti connessi si può capire<br />

il vero pensiero dei padri intorno alle realtà liturgiche quando ne<br />

parlano, come fanno così abbondantemente, con la terminologia di<br />

mysterium, sacramentum, imago, species, ecc.; si percepirà, cioè,<br />

l'aspetto profondamente realistico del pensiero inerente a queste<br />

espressioni. Perciò solo la predetta mentalità farà capire il <strong>senso</strong><br />

preciso di tanti testi liturgici antichi tuttora in uso come, per esempio,<br />

di questi:<br />

Aeternae pignus vitae capientes humiliter imploramus ut apostolicis lutti patrociniis<br />

quod in imagine gerimus sacramenti manifesta perceptione sumamus 37 .<br />

32 Per un primo orientamento generale in questa materia si veda: T. CA-<br />

MELOT, Simbolo e simbolismo, in: Enciclopedia cattolica 11 (1953) 611-16 con<br />

bibliografia. Tra gli altri lavori si notino inoltre: H. WILLMS, Eikon. Eine begriffgeschichtliche<br />

Untersuchung zum Platonismus, Miinster 1935; l'articolo Bild,<br />

nel Reallexikon fur Antike und Christentum di Th. Klauser, scritto da H. E.<br />

KILLY e M. HOEFNER per i greci e i romani, e da J. KOLLWITZ per i cristiani;<br />

quest'ultimo, specialmente da 336-41. L. KOCH, Zur. Theologie des Christus-ikone,<br />

in: Benediktinische Monatschrift 19 (1937) 375-87; 20 (1938) 32-47; 168-75; 281-88;<br />

437-52. H. MENCES, DieBildlehre des hi. Joannes von Damaskus, Miinster 1937.<br />

KLEINECHT, Der griechische Sprachgebrauch von eikon, in: Theol. Wórt. zum NT<br />

II 386 s. U. RAHNER, Mysterion, trad. Paredi, Brescia 1952. W. DCRIG, Imago.<br />

Eine Beitrag zur Terminologie und Theologie der rómischen Liturgie, Munchen<br />

1952.<br />

33 Vedi Col 1,15. Cfr. KLEINECHT, in: Theol. Wòrt. zum NT II 386 s. Nel<br />

pensiero patristico il concetto ritorna nella lotta antiariana e poi nelle lotte,<br />

cristologiche.<br />

34 Vedi per es., J. DANIÉLOU, Origene, Paris 1948; Sacramentum futuri, Paris<br />

1950. H. DE LUBAC, Histoire et esprit, Paris 1950. C. CHARLIER, La lettura cristiana<br />

<strong>della</strong> Bibbia, E. Paoline Roma, 1956 pp. 250-284.<br />

35 Vedi per es., una breve esposizione <strong>della</strong> questione in T. CAMELOT. Simbolo<br />

e simbolismo, in: Enciclopedia cattolica 11 (1953) 611-16.<br />

36 Tra i lavori citati sopra nella nota 32 vedi a questo proposito quelli<br />

di Koch, Menges, Kollwitz.<br />

37 Sacramentario leoniano ed. Mohlberg, (Sacram. Veronense) n. 335.


IMMAGINE E REALISMO 53<br />

Perficiant in nobis Domine, quaesumus, tua •sacramenta quod continent, ut<br />

quae nunc specie gerimus, rerum ventate capiamus 3 *<br />

Quorum oblationem benedictam ratam acceptabilemque facere digneris, quae<br />

est imago et similitudo corporis et sanguinis Iesu Christi filii tui ac redemptoris<br />

nostri 39 .<br />

Ma interessa rilevare specialmente la conseguenza generale<br />

che ha la rispettiva mentalità dei moderni e degli antichi intorno<br />

ai predetti concetti, per la comprensione dell'insieme <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

e, per così dire, dello stile liturgico. Se, infatti, la <strong>liturgia</strong> è<br />

un complesso di segni sensibili sotto il velo dei quali e attraverso<br />

i quali si compie in noi, oggi, il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> storia sacra come<br />

comunicazione <strong>della</strong> vita divina che Dio per Cristo fa a noi e come<br />

nostra risposta all'azione di Dio in Cristo: è facile intuire quali<br />

conseguenze avrà per il modo di penetrare e di vivere la <strong>liturgia</strong><br />

la mente con la quale ci si avvicina al mondo dei segni. Avere il<br />

<strong>senso</strong> che sotto il velo del segno, di qualsiasi segno, si raggiunge<br />

la realtà <strong>della</strong> cosa significata e che, attraverso questo velo sensibile,<br />

quella realtà raggiunge noi perché tra il segno e la realtà significata<br />

c'è una certa reale identità sebbene parziale; capire che il segno<br />

è il ponte sul quale si fa il nostro incontro con la realtà invisibile e si<br />

realizza per noi la presenzialità di questa realtà, sebbene quell'incontro<br />

e quella presenza siano sempre molto imperfetti perché il<br />

segno non può mai contenere e trasmettere tutta la ricchezza dell'invisibile<br />

che si esprime in lui; avere, dico, un vivo <strong>senso</strong> di<br />

tutto questo, è una predisposizione indispensabile per entrare nel<br />

mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Credere invece a priori che, non essendo il segno la cosa significata,<br />

il segno e la cosa significata sono, in fondo, due mondi estranei<br />

legati solo artificiosamente tra loro, è una disposizione d'animo che,<br />

alquanto spinta, svalutando la forza reale di ogni segno e il suo<br />

realismo di contenuto, porterà a vedere nella <strong>liturgia</strong> un giuoco<br />

puramente arbitrario, quasi da bambini: giuoco di vuoti segni.<br />

Si avrà difficoltà psicologica ad ammettere che Dio possa, o comunque,<br />

voglia, compiere in noi il mistero di Cristo attraverso i segni<br />

e che nei segni l'uomo renda a Dio il suo culto verace, esprimendo<br />

efficacemente in essi il suo culto interno e spirituale, e che così,<br />

proprio i segni sensibili, nell'economia attuale, siano come il luogo<br />

d'incontro primario e connaturale tra Dio e l'uomo.<br />

Non si può negare che, nell'ammettere molto più facilmente di<br />

noi questa economia di segni, immagini, simboli, ecc., gli antichi<br />

siano stati fortemente aiutati dalla mentalità platonica-neoplatonica.<br />

<strong>Il</strong> platonismo con la sua forte distinzione tra il mondo spirituale,<br />

soprassensibile, eterno, come il vero mondo solo pieno di essere:<br />

38 Sacramentario gelasiano ed. Mohlberg (Liber sacramentorum romana<br />

ecclesia; ordinis anni circuii) n. 1051 p. 161 (vedi anche messale romano, poste,<br />

del sabato delle 4 tempora di Sett.).<br />

39 Liturgia mozarabica, Liber ordinum, ed. Férotin 322 (vedi anche J. QUA-<br />

STEN. Monumenta eucaristica et liturgica vetustissima, Miinster 1936 p. 160).


54 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

e il mondo sensibile, come ombra e immagine del mondo soprassensibile,<br />

il cui valore sta tutto nell'essere una partecipazione ed<br />

espressione di quel mondo superiore e una scala per l'uomo affinché,<br />

attraverso il sensibile, egli ritorni al mondo eterno che trascende<br />

i sensi; il neoplatonismo poi con la sua forte accentuazione del concetto<br />

dei gradi dell'essere, derivanti dal grado supremo in scala discendente<br />

ininterrotta, per cui ogni forma imprime nel grado inferiore immagine<br />

e somiglianza di se stessa, e ogni essere, per quel che vi è di<br />

supremo in lui, si connette al grado superiore e, per quel che vi è<br />

di infimo, al grado inferiore; tutta questa tradizione di pensiero,<br />

dico, ha assiduamente contemplato la profonda unità del cosmo,<br />

ha abituato le menti a leggere nei singoli esseri i legami con Finterò<br />

universo e, nel mondo sensibile in specie, i legami col mondo spirituale<br />

e soprassensibile 40 .<br />

Presso i pensatori pagani, questa mentalità soffre <strong>della</strong> deficienza<br />

del loro concetto di Dio; del loro concetto di analogia concepita,<br />

quasi unicamente, come degradazione quantitativa, che non<br />

salvaguarda la distinzione specifica degli esseri; e, specialmente,<br />

dell'ignoranza del concetto di creazione, per cui hanno tendenza<br />

a concepire la partecipazione dal sommo grado all'infimo, e quindi<br />

i concetti di immagine e connessi, come semplice emanazione <strong>della</strong><br />

stessa forma. <strong>Il</strong> risultato ne è un forte sapore monistico inasprito<br />

ancora, sia nel neoplatonismo sia nelle tendenze sincretistiche gnostiche<br />

dell'epoca, dall'afflato religioso e mistico.<br />

Tutto questo però, non intacca il fatto che gli autori cristiani<br />

antichi, sia pure imbevuti di pensiero platonico-neoplatonico (come<br />

Clemente Alessandrino, Origene, Gregorio Nisseno, lo pseudo Dionigi,-<br />

Ambrogio, Agostino), pur essendo aiutati dalla loro formazione<br />

filosofica nel modo realistico di concepire l'economia cristiana<br />

nel quadro di realtà di segni, immagini e simboli, non dipendono,<br />

per l'essenza di questo loro atteggiamento, da quello che nel<br />

platonismo-neoplatonismo vi è di caduco o anche tendenzialmente<br />

erroneo, ma poggiano su basi ben altrimenti salde.<br />

La prima di queste basi è la verità metafìsica dei gradi dell'essere,<br />

dell'unità analogica di tutti questi gradi e <strong>della</strong> partecipazione;<br />

verità che fu il nucleo vitale dell'intuizione platonica e neoplatonica<br />

e che S. Tommaso doveva poi rivendicare purificata dalle<br />

scorie di cui fu ricoperta nel pensiero pagano greco 41 . La metafìsica<br />

<strong>della</strong> partecipazione, del segno e dell'immagine, l'intuizione<br />

platonica in quello che ha di vero, può perfettamente e deve essere<br />

conservata in regime cristiano, anzi nella metafisica aristotelicotomista,<br />

dove, con la negazione di ogni monismo ed emanazionismo,<br />

si insegna la dottrina <strong>della</strong> creazione, la distinzione specifica negli<br />

esseri, l'analogia, la produzione per causalità efficiente.<br />

40 Vedi per es., H. WILLMS, Eikon, Miinster 1935. Vedi anche PLOTINO,<br />

Enneade III 6,11-14.<br />

41 Cfr. Stimma III q 60 a 2 e 3. C. FABRO, La nozione metafisica <strong>della</strong> partecipazione<br />

secondo San Tommaso d'A., 2 ed. Milano 1950.


ESEMPLARISMO UNIVERSALE 55<br />

Ogni produzione di effetto di causalità efficiente è sempre<br />

accompagnata da una partecipazione <strong>della</strong> forma <strong>della</strong> causa all'effetto.<br />

Ogni essere agisce per la sua forma e omne agens agit sibi<br />

simile. Per cui l'effetto è segno reale <strong>della</strong> causa efficiente alla cui<br />

forma partecipa. Questo perché non vi è causalità efficiente nel<br />

mondo che non implichi l'azione direttrice di un intelletto e quindi<br />

di un'idea e di una causalità esemplare, almeno dell'intelletto<br />

divino e dell'idea divina. Nella causalità specificamente umana anche<br />

l'intelletto umano e l'idea umana è causa formale esemplare dell'azione<br />

e dell'operato. Così ogni effetto di causalità efficiente, implicando<br />

sempre la realizzazione di una causalità esemplare, implica:<br />

nell'effetto una partecipazione <strong>della</strong> forma dell'agente, anzitutto di;<br />

Dio stesso. E per questo che tutte le cose sono sempre realmente<br />

g_necessariamente segni, vestigi, immagini di Dio, di cui realmente/<br />

partecipano e nelle quali è realmente presente, sènza che, con una<br />

simile affermazione, si debba cadere nel monismo, nel panteismo, o<br />

semplicemente in un malsano misticismo, o adottare su tutta la<br />

linea la metafìsica che, storicamente, fu quella del platonismo-e<br />

del neoplatonismo. Tutte le cose poi, in quanto agiscono le une<br />

sulle altre, e specialmente in quanto sono fatte e dirette dal sommo<br />

intelletto secondo un piano unitario in cui in qualche modo sono<br />

vicendevolmente connesse e solidali, sono, in un certo <strong>senso</strong> reale,<br />

simili tra loro, e segni le une delle altre, tanto che dall'una si può<br />

venire alla conoscenza dell'altra. Ed è questo il nucleo di verità<br />

del grande tema stoico e gnostico dell'armonia e simpatia universale.<br />

Finalmente l'uomo, in modo speciale, si esprime realmente e<br />

quasi stampa qualcosa di se stesso nelle sue azioni sensibili esterne<br />

e nelle opere che produce come artefice.<br />

È dunque un fenomeno che ha valore generale quello dell'artista<br />

che esprime realmente se stesso nella sua opera d'arte, vi stampa<br />

e vi incarna le sue idee, i suoi voleri, i suoi sentimenti, tutta la sua<br />

personalità, di modo che l'opera d'arte di tutto questo è realmente<br />

partecipe e che tutto questo in essa ognuno può vederlo<br />

e ritrovarlo, purché sappia leggerla.. Questo fenomeno si riproduce<br />

a suo modo in ogni causalità che avviene nel mondo. Come l'artista<br />

nella tela, Dio stampa se stesso in ogni essere; l'uomo stampa se<br />

stesso in tutti i suoi gesti e nelle sue opere; le cose stampano se<br />

stesse le une nelle altre in quanto agiscono le une sulle altre. <strong>Il</strong> principio<br />

deU'esemplarismo universale degli antichi, anche dal punto<br />

di vista <strong>della</strong> sana filosofia, non è dunque una semplice fantasia.<br />

Ciò, del resto, non giustifica affatto il modo in cui spesso gli antichi,<br />

e specialmente i loro epigoni medievali, interpretarono nei<br />

particolari questo esemplarismo universale. Anche in una tela, sebbene<br />

tutto vi riveli l'artista, bisogna però saper leggere rettamente<br />

i singoli particolari per poter dire in che modo essi lo rivelino realmente<br />

e non lasciarsi andare ad affermazioni arbitrarie e soggettive.<br />

La seconda base su cui poggia l'esemplarismo cristiano antico<br />

è la rivelazione. Qui hanno grande importanza una serie di temi


56 CAP. II - LITURGIA B SEGNI SENSIBILI<br />

scritturistici e tradizionali, come : il tema dell'unità <strong>della</strong> storia sacra<br />

e del piano divino <strong>della</strong> salvezza, in cui le fasi precedenti preparano,<br />

in abbozzo, le fasi susseguenti, le quali a loro * volta, sono la<br />

realizzazione delle antecedenti, mentre tutte le fasi tendono all'ultima<br />

<strong>della</strong> Gerusalemme celeste, che tutte le compie in sé; il tema<br />

dell'unità del cosmo infraumano, umano, angelico, divino; il tema<br />

dell'uomo immagine di Dio, unità sostanziale di materia e di spirito,<br />

che si esprime nel sensibile e per il sensibile sale a Dio; il<br />

tema <strong>della</strong> conoscibilità di Dio attraverso le cose anche sensibili<br />

e materiali; il tema dell'incarnazione e di Cristo, perfetta immagine<br />

del Padre, sulla cui faccia si può contemplare il Padre : « affinché,<br />

mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti<br />

all'amore delle cose invisibili » 42 . Su questi temi e la loro importanza<br />

per capire la <strong>liturgia</strong>, dovremo ritornare più a lungo in<br />

seguito. Qui basti avervi accennato per intendere che quando oggi<br />

i liturgisti (e non solo i liturgisti) invitano il nostro positivismo<br />

a una considerazione più equa del valore reale del segno, dell'immagine<br />

e del simbolo, ed augurano che noi possiamo riacquistare<br />

qualcosa del <strong>senso</strong> realistico degli antichi in questo campo, non c'è<br />

subito da paventare il pericolo di un malsano, nebuloso misticismo,<br />

ma che vale realmente la pena di esaminare la questione con calma<br />

e oggettività.<br />

3. IL SEGNO NELLA LITURGIA<br />

I segni nella <strong>liturgia</strong> cattolica hanno, naturalmente, valore religioso;<br />

sono segni sacri; riguardano i rapporti tra Dio e l'uomo,<br />

anzi, i rapporti tra Dio e l'uomo in regime cristiano e, più esplicitamente<br />

ancora, in regime cattolico.<br />

Prima cosa da osservare è che, nella <strong>liturgia</strong>, tutto si fa sotto<br />

il velo di segni sensibili e per il loro tramite. Quindi, tutta la <strong>liturgia</strong>,<br />

e ciascuna delle sue singole parti, ha valore di segno; qui in<br />

tutto: aliud videtur et aliud intelligitur* 3 . Già la semplice presenza<br />

di una comunità di fedeli in una chiesa per la celebrazione liturgica,<br />

ha valore di segno; è un'espressione sensibile di quei rapporti<br />

attuali, segreti, invisibili, tra Dio e l'umanità in regime di grazia<br />

in Cristo. Non è un'assemblea qualsiasi, ma, per chi sa vedere attraverso<br />

il velo del segno, è una convocazione, una ekktesia, di Dio in<br />

Cristo Gesù " 4 , un radunamento « nel nome » di Cristo "; tutto quello<br />

che ivi appare, si fa o si dice, è, a suo modo, un segno sensibile di<br />

42 Prefazio di Natale.<br />

« S. AGOSTINO, Sermo 272.<br />

** Cfr. per es., 1 Ts 1,1; 2 Ts 1,1.<br />

45 Mt 18,20. Vedi in R. WILL, Le eulte II p. 47 una descrizione fenomenologica<br />

di ciò che suscita nel credente il fenomeno assemblea religiosa.


IL SEGNO NELLA LITURGIA 57<br />

questa situazione invisibile. Che forse con questo s'intende ricondurre<br />

l'uomo moderno all'arbitrario ed ingenuo pansimbolismo<br />

liturgico medievale d'un Amalario o di un Durando?<br />

II criterio <strong>della</strong> sua esistenza ed interpretazione<br />

Sebbene nella <strong>liturgia</strong> tutto abbia valore di segno non tutto<br />

significa qualsiasi cosa e non siamo affatto abbandonati all'arbitrario<br />

e al fantastico nella determinazione dell'esistenza e del valore<br />

preciso dei singoli segni.<br />

Notiamo, anzitutto, che il segno liturgico non è mai semplicemente<br />

un segno naturale, ma che nella <strong>liturgia</strong> si tratta sempre<br />

di segni liberi, cioè, determinati a significare le cose che significano,<br />

dalla libera e positiva volontà di Dio o <strong>della</strong> Chiesa. Le realtà invisibili<br />

di cui i segni sono l'espressione sensibile nella <strong>liturgia</strong>, sono<br />

le realtà soprannaturali <strong>della</strong> vita divina che Dio comunica alla<br />

Chiesa e del culto soprannaturale e cristiano che la Chiesa rende<br />

a Dio come partecipazione al culto che Cristo stesso rende a Dio.<br />

Ora, nessuna cosa sensibile è segno semplicemente naturale di cotali<br />

realtà, come il fumo è segno del fuoco o un certo grido è segno del<br />

dolore, perché la realtà soprannaturale trascende l'ordine del sensibile.<br />

L'immersione e l'emersione dall'acqua è uno sparire e un<br />

riapparire, ma non significa naturalmente la morte al peccato e la<br />

risurrezione alla vita soprannaturale in Cristo. L'abluzione dell'acqua<br />

significa bensì naturalmente la purificazione fisica, ma non<br />

già la purificazione dal peccato. Un'assemblea non significa naturalmente<br />

la convocazione di Dio nel Cristo Gesù, un radunamento<br />

«nel nome » di Cristo. Un abbraccio non significa naturalmente<br />

l'amore fraterno in Cristo. Un inchino non significa naturalmente<br />

il culto a Dio in Cristo.<br />

In tutto questo, dunque, deve sempre intervenire la libera positiva<br />

volontà di Dio o <strong>della</strong> Chiesa che proprio con questi segni<br />

vogliono esprimere tali precise realtà e non altre. Un uomo o anche<br />

parecchi uomini a titolo di persone private non hanno autorità<br />

per determinare l'essere e il significato dei segni liturgici, non solo<br />

quando si tratta del sacrificio e dei sette sacramenti nella loro<br />

sostanza, nel qual caso l'unico competente è Dio, perché i sette<br />

sacramenti sono anzitutto strumenti di Dio, ma nemmeno quando<br />

si tratta dei rimanenti segni liturgici. In quest'ultimo caso l'unica<br />

competente è la Chiesa, non già per delega di uomini, ma per<br />

autorità ricevuta da Dio, nella sua struttura gerarchica autoritativa.<br />

Tale competenza non spetta mai a un uomo privato come<br />

tale. E questo perché la <strong>liturgia</strong> come culto, è azione <strong>della</strong> Chiesa<br />

e, quindi, i segni, nei quali si esprime sensibilmente il culto liturgico,<br />

sono segni <strong>della</strong> Chiesa e non di un privato. Non già che<br />

siano o possano essere estranei agli individui — questione <strong>della</strong><br />

relazione tra individuo e Chiesa nel culto, che sarà trattata a suo


58 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

luogo — ma nel <strong>senso</strong> che, per l'individuo, rendere il vero e personale<br />

culto a Dio in Cristo nella <strong>liturgia</strong>, implica necessariamente<br />

fare suoi anche personalmente quei segni <strong>della</strong> Chiesa e quelle<br />

realtà che la Chiesa esprime attraverso quei segni, sintonizzarsi a<br />

quei segni e a quelle realtà 4e .<br />

Naturalmente, Dio stesso e la Chiesa, nella libera scelta dei<br />

segni liturgici per significare le realtà soprannaturali cristiane, non<br />

hanno proceduto né procedono in modo arbitrario, senza tener conto<br />

del valore che questi segni hanno, sia naturalmente sia per convenzione<br />

più o meno generale nella società dove si è sviluppata<br />

o si sviluppa la Chiesa. Che, anzi, è vero proprio il contrario. L'acqua<br />

è stata liberamente scelta da Cristo come segno dell'abluzione<br />

dal peccato e <strong>della</strong> rinascita a nuova vita soprannaturale, sia per<br />

l'uso anteriore nella società ebraica, per esempio nel battesimo di<br />

Giovanni, sia per il suo significato naturale. Per il suo significato<br />

naturale e per l'uso che se ne faceva nella società ebraica, per<br />

esempio nel banchetto pasquale, Cristo scelse pure il pane e il vino<br />

come segni del suo sacrificio nell'eucaristia. L'imposizione delle<br />

mani e le unzioni erano segni conosciuti e adoperati nel giudaismo.<br />

Quasi tutti i segni liturgici scelti per il culto dall'antica Chiesa<br />

erano, come è noto, conosciuti e adoperati nell'uso, sia religioso<br />

che profano, <strong>della</strong> sinagoga o del mondo ellenistico e romano; e<br />

lo stesso vale dei segni liturgici introdotti nella <strong>liturgia</strong> nel medio<br />

evo rispetto al mondo germanico medievale 47 . I diversi segni liturgici<br />

sono stati, dunque, liberamente scelti da Cristo e dalla Chiesa<br />

per significare realtà spirituali soprannaturali che per propria virtù<br />

naturale o per convenzione puramente umana non significavano,<br />

ma non senza tener conto di una certa analogia che ha, od aveva,<br />

il significato naturale o convenzionale di quei segni, con le nuove<br />

realtà soprannaturali cristiane che furono destinati d'ora innanzi ad<br />

esprimere.<br />

Da tutto questo si desume il criterio generale per determinare,<br />

nei particolari, l'esistenza e il <strong>senso</strong> preciso dei singoli segni nella<br />

<strong>liturgia</strong>. Quest'esistenza e questo <strong>senso</strong> preciso dipendono essenzialmente<br />

dalla libera positiva volontà di Dio e <strong>della</strong> Chiesa. Quella di<br />

Dio ci è nota dalla rivelazione ed è determinabile secondo i criteri<br />

generali <strong>della</strong> teologia — determinazione teologica <strong>della</strong> materia<br />

e <strong>della</strong> forma dei sacramenti —. Quella <strong>della</strong> Chiesa la conosciamo<br />

in primo luogo attraverso tutti i documenti autentici nei quali essa<br />

manifesta esplicitamente questa sua intenzione, per esempio: le<br />

parole liturgiche che accompagnano, la posizione del segno e ne<br />

46 Vedi anche S. TOMMASO, Summa HI q 60 a 5.<br />

47 Vedi per es., bibliografia in G. LOw, Simbolo e simbolismo liturgico,<br />

in: Enciclopedia cattolica 11 (1953) 621, come pure le singole voci del Diction.<br />

d'archeologie chrétienne et de Ut. e, ora, nel Reallexikon fiir Antike und Christentum<br />

del Klausér, dove i singoli segni e riti liturgici vengono spiegati,<br />

quando occorre, ed occorre quasi sempre, dall'uso di simili riti nella sinagoga<br />

o nel mondo ellenistico romano o in quello medievale germanico. Vedi pure<br />

i 6 voli, di Antike und Christentum editi da F. DOLGEH, Munster 1929-50.


CRITERI DEI SEGNI LITURGICI 59<br />

determinano appunto anche il <strong>senso</strong>. Così, il fatto che nel rito dell'infusione<br />

<strong>della</strong> goccia d'acqua nel vino del calice all'offertorio<br />

<strong>della</strong> messa c'è un simbolo (mysterium) e il suo <strong>senso</strong> è stabilito<br />

dalla preghiera che l'accompagna : « Deus qui humanae substantiae...<br />

concedici di diventare mediante il mistero (mysterium) di<br />

quest'acqua e di questo vino, consorti <strong>della</strong> divinità di Colui che<br />

degnò farsi partecipe <strong>della</strong> nostra umanità ». <strong>Il</strong> significato simbolico<br />

dell'incensazione dell'altare è spiegato dalla preghiera che l'accompagna<br />

: « Dirigatur Domine oratio mea... Salga, o Signore, la<br />

mia preghiera, come l'incenso al tuo cospetto ». <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> simbolico<br />

penitenziale dell'imposizione delle ceneri il mercoledì delle<br />

ceneri è spiegato dalle preghiere che accompagnano la benedizione<br />

e l'imposizione : « ...queste ceneri che intendiamo di imporre sul<br />

nostro capo per umiliarci e meritarci il perdono » 4S . <strong>Il</strong> significato<br />

<strong>della</strong> processione delle palme la Domenica delle palme era così spiegato<br />

dalla quinta orazione <strong>della</strong> benedizione delle stesse : « ...che<br />

i devoti cuori dei tuoi fedeli comprendano il mistero adombrato<br />

nell'atto <strong>della</strong> folla (quid mystice designet in facto) che oggi, ispirata<br />

da celeste luce, movendo incontro al Salvatore, sparse sui<br />

passi di Lui rami di palma e di olivo. Significano, infatti, i rami<br />

di palma, i trionfi sul principe <strong>della</strong>' morte; i virgulti d'olivo, invece,<br />

annunziano, in qualche maniera, l'avvento di Colui nel quale è<br />

l'unzione spirituale... E noi che nel fervore <strong>della</strong> fede compiamo<br />

nuovamente questo fatto e il suo significato... factum et significatum<br />

retinentes... ».<br />

Spesso nella <strong>liturgia</strong>, nella sua forma attuale, il <strong>senso</strong> simbolico<br />

preciso di un rito è diventato oscuro. Ciò avviene talvolta perché<br />

i testi, attualmente in uso, non lo spiegano; per es.: il tracciare<br />

con la cenere una grande croce trasversale sul pavimento <strong>della</strong><br />

navata <strong>della</strong> chiesa nel rito <strong>della</strong> consacrazione di una chiesa. Talvolta,<br />

invece, perché il rito simbolico stesso è stato così materialmente<br />

ridotto che difficilmente viene ancora percepito come rito<br />

simbolico; per es.: il fatto che il sacerdote nell'amministrazione<br />

<strong>della</strong> penitenza al momento dell'assoluzione alza leggermente le<br />

mani verso il penitente; il pieno simbolismo del rito battesimale<br />

difficilmente riconoscibile nell'attuale rito comune per cui si versa<br />

un po' d'acqua sulla testa del battezzato 49 ; lo stesso si dica del<br />

pieno simbolismo <strong>della</strong> mensa in molti altari attuali.<br />

Per queste ragioni bisogna affermare come regola generale pratica<br />

che, per conoscere esattamente i segni liturgici e il loro significato<br />

secondo la precisa volontà <strong>della</strong> Chiesa che li ha adottati e<br />

determinati, specialmente nei casi in cui i testi stessi non la spiegano<br />

esplicitamente, è indispensabile lo studio storico dell'origine<br />

e dello sviluppo dei riti. Comunque, non è mai permesso lasciarsi<br />

andare a fantasie interpretative soggettive. Non è mai l'autorità<br />

48 Messale romano, seconda orazione <strong>della</strong> benedizione delle ceneri.<br />

J9 Vedi L. BOUYER, Le symbolistne des rites baptismaux, in: La Maison-<br />

Dieu n. 32 (1952) 5-17.


60 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

privata che determina il valore dei segni liturgici. Non basta nemmeno<br />

l'opinione privata di un Padre <strong>della</strong> Chiesa in questa materia.<br />

Bisogna sempre vedere se realmente tale sia stato il pensiero<br />

<strong>della</strong> Chiesa almeno nel <strong>senso</strong> che abbia poi accettato questo simbolismo<br />

sanzionandolo con la sua autorità e facendolo, così, un'espressione<br />

<strong>della</strong> sua azione cultuale. Ogni simbolismo liturgico non documentato<br />

nei predetti modi è da respingere come arbitrario e senza<br />

fondamento.<br />

Così si fa giustizia delle fantasie ipersimbolistiche a cui si<br />

lasciarono andare buon numerò di interpreti medievali a partire<br />

da Amalario di Metz 50 . <strong>Il</strong> loro difetto fu di non preoccuparsi abbastanza<br />

di riferire il pensiero <strong>della</strong> Chiesa, ma di proporre troppe<br />

opinioni personali e, per di più, fondate spesso su analogie assai<br />

stravaganti. Queste esagerazioni, per la reazione che suscitarono,<br />

furono la causa principale dell'ingiusto discredito in cui anche il<br />

vero <strong>senso</strong> simbolico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> cadde nell'età seguente, a partire<br />

dal rinascimento. Si sa che alcune di queste trovate simboliche<br />

liturgiche dei medievali, non altrimenti fondate, sono sopravvissute<br />

anche in certi libri moderni di devozione, come il voler vedere<br />

significati nelle singole parti <strong>della</strong> messa i singoli episodi <strong>della</strong><br />

passione di Gesù e negli ornamenti <strong>della</strong> pianeta sacerdotale gli<br />

strumenti di questa passione.<br />

I gruppi principali dei segni liturgici<br />

Passare in rassegna i singoli segni di cui consta la <strong>liturgia</strong>,<br />

spiegarne il <strong>senso</strong>, esaminare i problemi che solleva il loro retto<br />

uso, la loro efficacia, la loro comprensione è uno dei compiti essenziali<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> speciale 51 . Qui basta un breve cenno ai gruppi<br />

principali. Considerando sia i segni d'istituzione divina che quelli<br />

d'istituzione ecclesiastica sembra che si possano ridurre questi<br />

gruppi principali a cinque.<br />

\ II segno parola. — La parola è il primo e massimo segno di<br />

cui si serve la <strong>liturgia</strong>, sia quella d'istituzione divina che quella<br />

d'istituzione ecclesiastica. Nella sostanza stessa dei sacramenti la<br />

parola è il coefficiente che determina (forma) il <strong>senso</strong> dell'elemento<br />

che funge come da materia determinabile. Così l'immersione nell'acqua<br />

e l'emersione non significano per sé sole una realtà soprannaturale;<br />

tanto meno esse significano la partecipazione alla morte<br />

e alla risurrezione di Cristo. Le parole « io ti battezzo nel nome del<br />

Padre... », danno invece a questi gesti il significato che il battezzato<br />

50 Morto nell'850. Sui principali di questi allegoristi medievali e le loro<br />

opere, vedi, per es., M. RIGHETTI, I ed. 2 1950 pp. 45-48; 65-68. Ibid. pp. 46-47, si<br />

potranno anche leggere alcuni esempi di questo allegorismo.<br />

51 Vedi in genere G. MARTIMORT... La Chiesa in preghiera, ed. it. Desclée<br />

1963 pp. 163-93.


IL SEGNO PAROLA 61<br />

partecipa alla morte e alla risurrezione di Cristo. E similmente di<br />

tutti. gli altri sacramenti.<br />

Mediante il coefficiente parola l'elemento determinabile è elevato<br />

al significato determinato <strong>della</strong> realtà spirituale propria di<br />

ogni sacramento, e assieme ad esso, in una unità morale di significato,<br />

costituisce il segno unico sacramentale, constante appunto<br />

rebus et verbis, di cose e di parole, come dicono i teologi i2 -. Già<br />

S. Agostino, a proposito del battesimo, aveva scritto la celebre formula<br />

: « Togli la parola e cos'è l'acqua se non semplice acqua? Accede<br />

la parola all'elemento e diventa sacramento — accedit verbum ad<br />

elementum et fìt sacramentum — anch'esso come parola visibile » 53 .<br />

Così, se si pensa all'importanza dell'economia sacramentaria nel<br />

piano concretamente voluto ed osservato da Dio per comunicare<br />

la vita divina in Cristo dalla pentecoste alla parusia, appare subito<br />

l'importanza che ha il segno parola nella realizzazione del <strong>senso</strong><br />

<strong>della</strong> storia sacra, mistero di Cristo, mistero <strong>della</strong> Chiesa, in questo<br />

tempo intermedio preparatorio alla venuta del Signore.<br />

S. Tommaso paragona addirittura la dignità <strong>della</strong> parola-verbo<br />

nei sacramenti alla dignità del Verbo-seconda persona <strong>della</strong> SS. Trinità<br />

nell'incarnazione e concepisce il sacramento in qualche modo<br />

un verbo fatto carne : « È anche comune a tutti (i sacramenti) di<br />

consistere in parole e in cose corporali, come in Cristo, autore dei<br />

sacramenti, è il Verbo fatto carne. E come la carne di Cristo è<br />

santificata ed ha virtù di santificare per il Verbo che le è unito,<br />

così anche gli elementi sacramentali sono santificati ed hanno potere<br />

di santificare per le parole che sopra di essi sono pronunziate. Per<br />

cui Agostino dice: accede la parola all'elemento e diventa sacramento.<br />

Per questo, le parole, per le quali gli elementi sacramentali<br />

sono santificati, son dette forme dei sacramenti e gli elementi<br />

santificati son detti loro materia come l'acqua è materia del battesimo<br />

e il crisma <strong>della</strong> confermazione » s4 .<br />

Nel sacramento nel quale, sotto forma incarnata, Dio in Cristo<br />

e per Cristo, trasmette la vita agli uomini, la parola è la manifestazione<br />

sensibile dell'intenzione e del volere positivo di Dio e<br />

di Cristo — aliud videtur et aliud intelligitur — in modo simile a<br />

Cristo stesso il quale, perché Verbo incarnato, è nel mondo la manifestazione<br />

personale e sostanziale delle intenzioni e dei voleri di<br />

Dio verso gli uomini 55 . In ambedue i casi è in atto l'economia del<br />

segno, del sacramentum, del mysterium, come avrebbero detto gli<br />

52 Cfr. S. TOMMASO, Summa, III q 60 a 4-8. Per esempio: « Ex rebus et<br />

verbis fit quodammodo unum in sacramcntis sicut ex forma et materia: inquantum<br />

scilicet per verba perfìcitur significatici rerum » (ibid. a 7 ad 2).<br />

*» In Io. tract. 80,3.<br />

54 De articulis fidei et ecclesia? sacramentis n. 614, Opuscula theologica<br />

ed. Verardo. Marietti 1954 I p. 148.<br />

55 Cfr. Eb. 1,1 s : « Dopo aver a molte riprese e in vari modi parlato<br />

Iddio per mezzo dei profeti, ora, alla fine dei giorni, ha parlato per mezzo<br />

del Figlio, che ha costituito erede di tutto e mediante il quale ha creato<br />

l'universo. Questi che è fulgore <strong>della</strong> gloria e impronta <strong>della</strong> sostanza di Lui... ».


62 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

antichi. <strong>Il</strong> segno parola è dunque essenziale nel conferimento <strong>della</strong><br />

santificazione che Dio fa alla Chiesa nella <strong>liturgia</strong>. Quella parola è<br />

lo strumento di Dio e di Cristo e perciò nel suo significato sostanziale<br />

istituita da Lui.<br />

Anche nella <strong>liturgia</strong> d'istituzione ecclesiastica la parola occupa<br />

il primo posto tra i segni. E il grande segno strumento che incarna<br />

ed esprime, più direttamente di qualsiasi altro, la risposta <strong>della</strong><br />

Chiesa alla santificazione di Dio, cioè il culto interno <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Culto interno, incarnato più direttamente nella parola preghiera,<br />

in tutte le sue forme (adorazione, ringraziamento, espiazione,<br />

domanda o impetrazione con tutte le sfumature e sottospecie), più<br />

indirettamente nella parola annunziatrice e illuminatrice. Questa,<br />

come predica e insegnamento, in connessione prossima con l'azióne<br />

liturgica, è segno strumento <strong>della</strong> Chiesa per disporre immediatamente<br />

i fedeli a ricevere l'azione santifìcatrice di Dio nella <strong>liturgia</strong><br />

e partecipare nella stessa al culto di Cristo. <strong>Il</strong> segno parola,<br />

come espressione <strong>della</strong> preghiera interna di impetrazione <strong>della</strong><br />

Chiesa, domina anche tutta l'economia dei sacramentali propriamente<br />

detti, sia che si tratti di sacramentali cose (come l'acqua<br />

benedetta) o di sacramentali azioni (consacrazioni, semplici benedizioni,<br />

esorcismi). Nei sacramentali infatti, costruiti a somiglianza<br />

dei sacramenti, la parola, come impetrazione <strong>della</strong> Chiesa, è il coefficiente<br />

determinante la cosa o l'azione à segno significativo delle<br />

realtà invisibili che Dio, valla preghiera <strong>della</strong> Chiesa, accorda a chi<br />

usa il sacramentale con le debite disposizióni.<br />

Appare così come, tra i segni sacri <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> (signa rei<br />

sacrae, sacramenta), la parola occupa indubbiamente il primo posto,<br />

sebbene in intima unione con i segni gesti e i segni elementi 5a . Dio<br />

volle dare somma importanza alla parola sensibile come ponte di<br />

contatto tra Lui e gli uomini nell'economia soprannaturale in Cristo.<br />

Da questo già s'intuisce quale profondo carattere sociale, e<br />

non solo puramente spirituale ed interno, abbia questa economia<br />

in Cristo e quanto, in tutto questo, Dio abbia tenuto conto delle più<br />

connaturali tendenze <strong>della</strong> natura umana, poiché la parola tra gli<br />

uomini è il segno veicolo connaturale per la comunicazione specificamente<br />

umana dei pensieri e degli affetti ". Quando poi, e il caso<br />

è frequentissimo, la <strong>liturgia</strong> usa parole metaforiche e un linguaggio<br />

pieno di immagini, la parola diventa, per così dire, segno a due<br />

gradi: segno veicolo d'altri segni.<br />

S'intuisce pure la somma importanza che nella <strong>liturgia</strong> regni<br />

un giusto equilibrio tra i segni gesti, cose, elementi, e il segno<br />

parola. Diversamente si avrà o un eccessivo concettualismo, se<br />

predomina troppo la parola, o il mutismo psicologicamente inefficace<br />

degli altri segni, se la funzione <strong>della</strong> parola è troppo depressa<br />

perché troppo parca o perché diventata segno ormai incompreso.<br />

s» Per questa intima unione vedi buone osservazioni in L. BOUYER, Le riie<br />

et l'homme, Paris 1962 pp. 135-70.<br />

57 Vedi S. AGOSTINO, De doctr. christ. II 4.


L'ARTE COME SEGNO 63<br />

I segni gesti, atteggiamenti e movimenti. — L'importanza dei<br />

segni gesti, atteggiamenti, movimenti, sia dei singoli che di gruppi<br />

o di tutta la comunità cristiana, proviene dal fatto che, con essi,<br />

i pensieri e sentimenti interni del culto si esprimono anche in tutto<br />

il corpo; il che, a sua volta, influisce sui pensieri e sui sentimenti<br />

interni, tendendo così a creare la sintonia completa di tutta la<br />

persona alla realtà liturgica. Così, per esempio, negli inchini, nelle<br />

genuflessioni, nelle prostrazioni, nel tenere le mani espanse o giunte,<br />

nel fare il segno <strong>della</strong> croce, sia sul petto, sia in forma di benedizione,<br />

nel battersi il petto, nello stare in piedi, nel gesto <strong>della</strong><br />

imposizione delle mani in molti sacramenti, nelle insufflazioni, finalmente<br />

nei movimenti ordinati d'insieme sia dei ministri sia anche<br />

di tutta l'assemblea, come nelle processioni.<br />

Un rito, specialmente sacramentale, in cui il gesto è assente<br />

o troppo ridotto è anormale e psicologicamente mal costruito 3B .<br />

I segni elementi e oggetti. — Anche elementi naturali sono,<br />

nella <strong>liturgia</strong>, strumenti segni in funzione delle realtà sacre <strong>della</strong><br />

santificazione e del culto. Così: pane, vino, acqua, crisma, olio,<br />

incenso, sale, luce, tenebre, tempo: giorno, notte, settimana, anno.<br />

Così pure sono segni ed hanno, quindi, anche valore simbolico,<br />

l'edificio stesso <strong>della</strong> chiesa, in specie l'altare (vedi, per esempio,<br />

la <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> consacrazione di una chiesa o di un altare), i paramenti<br />

sacri (vedi, per esempio, le preghiere che recita il sacerdote<br />

indossandoli) e, oggi, anche i loro colorì (ognuno riservato per<br />

esprimere un determinato sentimento piuttosto che un altro). A<br />

questa grande categoria dei segni oggetti appartengono anche i<br />

segni figure: decorazioni, pitture, statue.<br />

L'arte come segno nella <strong>liturgia</strong>. — L'arte nella <strong>liturgia</strong>" è una<br />

qualità anche sensibile, avente essa stessa funzione di segno, che<br />

può (ma non deve necessariamente) rivestire gli altri segni liturgici<br />

:. anzitutto il segno parola, ma anche gli oggetti lavorati, i gesti<br />

delle persone e i loro atteggiamenti e movimenti. Praticamente<br />

tutta l'azione e tutto l'ambiente cultuale si rivestono degli splendori<br />

dell'arte: arte <strong>della</strong> parola e del canto, musica strumentale,<br />

architettura, pittura, plastica, coreografia, oreficeria ed altre arti<br />

minori.<br />

La <strong>liturgia</strong> sovrapponendo agli altri segni la forma artistica,<br />

ne potenzia la forza, elevandoli, in quanto segni, a quel livello di<br />

58 Vedi RIGHETTI, I pp. 296-341; H. LUBIENSKA DE LENVAL, La <strong>liturgia</strong> del<br />

gesto, Catania 1958.<br />

59 Vedi per es., CL, art. 112 ss; 122 ss; MD n. 193 s; Musicai sacra disciplina, in<br />

specie n. II e III, vedi in: Enciclopedia liturgica a cura di R. AIGRAIN, trad. it.<br />

ed. paoline 1957 p. 1009 ss. P. R. RÉGAMEY, Art sacre au XX siècle? 2 ed. Paris<br />

1957. G. WAGNER, L'arte liturgica e la pastorale, relazione al congresso di Assisi,<br />

vedi: La restaurazione liturgica nell'opera di Pio XII, Atti del congresso di<br />

Assisi 1956 pp. 77-93.


64 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

virtù espressiva ed impressiva a cui solo l'arte, tra i mezzi umani<br />

d'espressione e di comunicazione, può arrivare.<br />

Tra tutte le arti hanno particolare importanza nella <strong>liturgia</strong><br />

quelle che potenziano il ségno parola: retorica, poesia, e specialmente<br />

canto, mentre la musica strumentale può essere considerata<br />

come uno sviluppo, resosi autonomo, del segno canto. <strong>Il</strong> canto, più<br />

di qualsiasi altro mezzo d'espressione artistica, è intimamente connesso<br />

con la natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dalla quale sgorga connaturalmente,<br />

perché è il mezzo per eccellenza per esprimere e creare<br />

il <strong>senso</strong> comunitario <strong>della</strong> sintonia di vibrazioni più intense 60 .<br />

Nella <strong>liturgia</strong> la parola, gli oggetti, ecc., appunto perché segni,<br />

non sono ammessi se non al servizio delle realtà invisibili che per<br />

essi la Chiesa vuole esprimere e che si riassumono nell'attualizzazione<br />

hic et nunc del mistero di Cristo storia sacra come santificazione<br />

e culto <strong>della</strong> Chiesa. Con maggior ragione l'arte con la quale<br />

si potenziano quei segni, non è, nella <strong>liturgia</strong>, padrona indipendente,<br />

come se vi fosse ammessa solo in considerazione del valore proprio<br />

e per lo scopo intrinseco e specifico che ha, considerata in se stessa<br />

e per nient'altro (l'arte per l'arte!). Invece, nella <strong>liturgia</strong>, l'arte è<br />

una nobile dama al servizio di una signora più grande di lei. <strong>Il</strong> fine<br />

dell'arte è al servizio di un fine superiore: quello proprio <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>: la santificazione e il culto <strong>della</strong> Chiesa in Cristo, che l'arte,<br />

a suo modo, disponendovi gli animi, deve aiutare a meglio esprimere<br />

e a meglio realizzare.<br />

Per capire come e a quali condizioni ciò possa avvenire, bisognerebbe<br />

analizzare la natura dell'arte in genere (anzi delle singole<br />

arti, specialmente <strong>della</strong> musica vocale, dell'architettura e <strong>della</strong> pittura),<br />

quella dell'arte religiosa o sacra in specie e mostrare i possibili<br />

rapporti tra fine proprio dell'arte e fine proprio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

determinando così, il concetto di arte liturgica. Ma si sa che i concetti<br />

d'arte e d'arte religiosa sono tutt'altro che pacifici 91 . Per il<br />

nostro scopo bastino i seguenti cenni.<br />

L'arte. — <strong>Il</strong> concetto di arte (nelle belle arti) deve definirsi in<br />

rapporto al bello 62 . Ma il bello non può definirsi che in relazione<br />

a quel piacere specifico che può produrre, detto il piacere estetico.<br />

Perciò l'arte può definirsi: l'attitudine a percepire ed esprimere<br />

so Urge approfondire il <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong> del canto liturgico. Vedi spunti in:<br />

O. SOHNGEN (protestante) Theologischen Grundlagen der Kirchenmusik, in: Leiturgia<br />

IV, Kassel 1961 pp. 1-267, con bibliografìa. J. GELINEAU, Canto e musica<br />

nel culto cristiano, ed. it., Torino 1963. Vedi anche sotto p. 70 n. 71.<br />

81 Vedi per esempio, A. PRANDI, Arte, in: Enciclopedia cattolica II (1949)<br />

33-44 con bibl. antecedente ivi 43 s. Tra gli autori antecedenti notare : J. MARI­<br />

TAIN, Art et scolastique, 2 ed. 1927. ID., L'intuizione creativa, ed. it. Morcelliana<br />

1957. A. CARLINI, La religiosità dell'arte e <strong>della</strong> filosofia, Firenze 1934. P. M.<br />

LÉONARD, Art et spiritualità, in: Dictionnaire de spiritualité, I (1937) 899-934.<br />

G. VAN DER LEEUW, Vom Heiligen in der Kunst, Giitersloh 1957.<br />

62 Non basta il solo concetto di creatività, perché, tra le altre cose, questo<br />

concetto non distingue abbastanza l'arte dalla tecnica né dalla scienza. Anche<br />

i concetti di espressione, di incarnazione dello spirito nella materia, ecc.<br />

non distinguono abbastanza l'arte dalla tecnica. Le idee affini di sublime, grazioso,<br />

drammatico, ecc. vanno intese come quasi specie del bello.


L'ARTE COME SEGNO 65<br />

sensibilmente nelle cose la qualità per cui sono atte a suscitare il<br />

piacere estetico 63 .<br />

A sua volta, la definizione del piacere estetico — cosa più facilmente<br />

nota per esperienza che concettualmente analizzabile — presuppone<br />

una dottrina <strong>della</strong> psicologia. In termini di psicologia<br />

aristotelico-tomista, è la fruizione dell'appetito elicito umano nella<br />

stessa attuazione delle potenze conoscitive — specialmente vista,<br />

udito e fantasia 64 , e principalmente se vi è attuazione più o meno<br />

simultanea — in una certa proporzione conforme alle loro disposizioni<br />

innate o acquisite (conforme al loro appetito innato).<br />

Questa fruizione si distingue da ogni altra per il fatto che è<br />

disinteressata, cioè non proviene dal (e non tende al) possesso fisico<br />

e come materiale <strong>della</strong> cosa, ma dal solo suo possesso contemplativo<br />

quando si fa in sintonia con quelle disposizioni delle potenze<br />

conoscitive. <strong>Il</strong> piacere estetico è calmante ed esaltante nello stesso<br />

tempo perché, verificandosi per segreta armonia tra il modo d'essere<br />

e d'agire delle potenze, anzi di diverse potenze, dà impressione<br />

che sia raggiunta la pienezza dell'essere e dell'agire.<br />

La qualità artistica non è nelle cose — reali o immaginate o<br />

pensate — considerate assolutamente 'in se stesse, ma considerate<br />

secondo un certo loro rapporto alle potenze conoscitive. L'arte<br />

comprende dunque un aspetto oggettivo e uno soggettivo perché<br />

si realizza in un certo unisono tra cose e potenze.<br />

Le potenze conoscitive umane nella loro struttura fondamentale<br />

sono le stesse in tutti gli uomini; ma ammettono largo margine<br />

di diversità nelle disposizioni innate o acquisite, non solo da epoca<br />

a epoca, da gruppo a gruppo, da individuo a individuo, ma anche<br />

nello stesso individuo secondo i tempi e le circostanze. Perciò, il<br />

gusto, ossia l'attitudine d'ognuno a vibrare in fruizione estetica<br />

«a L'arte — e quindi il concetto di artista — nella sua integrità include<br />

l'attitudine alla percezione e all'espressione sensibile. Chi ha la prima e difetta<br />

<strong>della</strong> seconda può essere detto un artista nel solo animo. Nella tradizione<br />

aristotelica però l'attitudine a percepire le cose nella qualità in cui sono atte<br />

a suscitare il piacere estetico era ritenuta la parte essenziale nel concetto di<br />

arte e di artista. Quella dell'espressione era considerata come spettante all'abilità<br />

tecnica d'ordine piuttosto materiale.<br />

« 4 Anche l'attuazione dell'intelletto è inclusa per una parte essenziale nel<br />

fenomeno estetico. Ma non si tratta (fintanto che si rimane nella semplice<br />

contemplazione-fruizione estetica e non si passa all'esecuzione sensibile esterna<br />

dell'opera) di un'attività discorsiva, ma d'una attuazione intuitiva. Intuitiva<br />

non nel <strong>senso</strong> che, fintanto che siamo in questa vita, il nostro intelletto possa<br />

terminare direttamente alle cose singolari sensibili alle quali terminano intuitivamente<br />

i sensi esterni. Tale terminazione intuitiva dell'intelletto, in psicologia<br />

e noetica tomista — che qui supponiamo — è impossìbile, perché l'oggetto<br />

formale e proprio dell'intelletto in questa vita è la quiddità astratta dalle cose<br />

sensibili. Ma l'intelletto quando esso stesso è in atto in modo discorsivo più<br />

o meno ordinario può indirettamente, in obliquo, percepire se stesso e tutto<br />

il proprio io, attuato in tale o tale modo conforme o meno alla propria natura,<br />

e ciò d'una percezione intuitiva e non discorsiva. Ciò avviene appunto anche<br />

nella percezione estetica, nella quale anche l'intelletto percepisce intuitivamente<br />

il proprio io attuato nei sensi conforme all'appetito loro innato.<br />

3 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


66 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

all'unisono con determinate cose, ammette larghi margini di variabilità<br />

ed è soggetto a educazione.<br />

La percezione estetica è di tipo istintivo o intuitivo appunto<br />

perché implica una certa sintonia di connaturalità tra l'oggetto<br />

e le disposizioni delle potenze conoscitive del soggetto. Cosicché<br />

la percezione estetica non è analitica ma sintetica; e non è comunicabile<br />

per via diretta discorsiva come quando si comunica un<br />

teorema di geometria a un alunno, ma solo per via indiretta; cioè<br />

cercando con mezzi sensibili determinati di indurre l'altro nelle<br />

disposizioni nelle quali si trovava l'artista, di modo che, anch'egli,<br />

messo dinanzi allo stesso oggetto, faccia la stessa esperienza estetica.<br />

<strong>Il</strong> fine intrinsecamente specifico dell'arte (il fine dell'opera, come<br />

dicono gli scolastici) è dunque semplicemente di attuare le potenze<br />

conoscitive in modo tale da indurre il soggetto alla fruizione estetica,<br />

e nient'altro. Questa fruizione estetica, sotto l'aspetto morale,<br />

è indifferente, come la conoscenza scientifica o la conoscenza tecnica<br />

65 : diventa azione buona o cattiva se colui che la cerca lo fa<br />

per un ulteriore fine buono o cattivo (per il fine dell'operante, in<br />

terminologia scolastica).<br />

Così non è impossibile rivestire un oggetto o un'azione moralmente<br />

cattivi <strong>della</strong> qualità dell'arte purché siano considerati e rappresentati<br />

in modo tale che ne venga stimolato il piacere estetico.<br />

Come non basta che un oggetto o un'azione siano moralmente<br />

buoni, o che l'artista abbia intenzione moralmente retta, perché<br />

il risultato sia estetico.<br />

Tuttavia non è mai permesso agli artisti, e in genere a coloro che<br />

hanno la fruizione estetica, perché uomini, e non solo artisti, di<br />

non subordinare il loro atto alla moralità che deriva dal rapporto<br />

che ha ogni atto in concreto con il fine ultimo dell'uomo. Infatti,<br />

il bene che è l'arte, è, per l'uomo, un bene particolare — un certo<br />

bene delle sue potenze conoscitive —• e non già il bene totale e<br />

semplicemente ultimo.<br />

Per agire ordinatamente, bisogna dunque che l'uomo, ogni volta<br />

che lo cerca o ne fruisce, lo faccia sottomettendo quest'atto al suo<br />

bene ultimo totale, che è il bene morale. Così, nella linea del fine<br />

dell'operante, l'arte deve essere sottoposta alla moralità.<br />

Arte religiosa. — A questo punto entra l'arte religiosa o sacra.<br />

Infatti quando l'arte, pur rimanendo arte secondo le esigenze<br />

intrinseche <strong>della</strong> sua natura, si sottomette, inoltre, al fine specifico<br />

<strong>della</strong> religione 68 , diventa con ciò stesso arte religiosa, sacra, realizzando<br />

simultaneamente la doppia qualità: artistica e religiosa.<br />

65 Per l'indipendenza, in virtù del fine stesso dell'opera, di ogni arte e di<br />

ogni scienza dalla moralità vedi S. TOMMASO, Stimma I-II q 57 articoli 24.<br />

66 Questa sottomissione ha dei gradi. Vi è, tra le altre, una sottomissione<br />

che può dirsi materiale, di solo contenuto. È quella che consiste nel prendere<br />

come soggetto di una composizione artistica un soggetto religioso: mettere<br />

in canto parole religiose, dipingere una Madonna, costruire una chiesa, ecc.<br />

Ma, artisticamente parlando, si può trattare un soggetto religioso in modo<br />

(in una forma) tutt'altro che religioso anche se veramente artistico. Molte


ARTE RELIGIOSA 67<br />

Come? <strong>Il</strong> fine <strong>della</strong> religione è di produrre nell'uomo quell'atteggiamento<br />

sostanzialmente interno che è fatto di sottomissione,<br />

ammirazione, preghiera, fede, speranza e specialmente d'amore<br />

verso Dio.<br />

L'arte, rimanendo arte, si sottomette formalmente nello stesso<br />

tempo al fine <strong>della</strong> religione, ogni volta che la fruizione estetica,<br />

che è il suo fine proprio, è concretamente non opposta, ma anzi<br />

positivamente indirizzata e sottoposta (nell'artista che l'ha per il<br />

primo; nei mezzi sensibili per i quali la vuole trasmettere agli altri;<br />

in questi altri che, attraverso quei mezzi sensibili, la riproducono<br />

in sé) al fine superiore dell'atteggiamento religioso. Allora c'è fusione<br />

e connubio formale tra arte e religione, atteggiamento estetico<br />

e atteggiamento religioso.<br />

Ma questa fusione e questo connubio ammettono anch'essi dei<br />

gradi e delle concretizzazioni diverse come vi sono gradi e concretizzazioni<br />

diverse nella stessa qualità estetica e nell'atteggiamento<br />

religioso.<br />

Questo connubio è possibile. Ciò si prova anzitutto per esperienza<br />

psicologica e da esempi d'opere da tutti riconosciute per<br />

arte religiosa: come il canto gregoriano, le opere di fra Angelico,<br />

le sculture dei portali <strong>della</strong> cattedrale di Chartres, l'architettura<br />

basilicale cristiana antica" 7 . Vi è anche nella storia il fatto del connubio<br />

dell'arte e <strong>della</strong> religione in genere 68 .<br />

La possibilità di questo connubio deriva in ultima analisi dalla<br />

natura dell'atteggiamento estetico e di quello religioso. <strong>Il</strong> processo<br />

conoscitivo-fruitivo estetico ha qualcosa di comune con l'atteggiamento<br />

religioso e mistico e, mediante certe precauzioni, può servirgli<br />

di preparazione psicologica, salva la loro natura essenzialmente<br />

diversa.<br />

In spiritualità sono ben noti gli accorgimenti di preparazione<br />

psicologica più o meno remota alla meditazione, alla preghiera,<br />

all'orazione mentale, ecc. Tra questi ve ne sono alcuni di natura<br />

semplicemente fisico-psichica naturale che servono a creare un'atmosfera<br />

psicologica generale propizia per disporre i sensi ed attra-<br />

madonne dipinte o scolpite sono veramente artistiche, ma la qualità, la forma<br />

artistica non porta sul soggetto madonna, ma su soggetto : « la madre », a<br />

cui la madonna dà semplice pretesto. Infatti la madonna non è una madre<br />

qualsiasi, ma una madre religiosamente molto speciale: per cui, a proposito<br />

<strong>della</strong> madonna, trattare artisticamente il tema: la madre, non significa ancora<br />

aver fatto arte sacra, se non in <strong>senso</strong> puramente materiale. Solo se la' forma<br />

artistica porta su quello che la madonna ha di religiosamente specifico si avrà<br />

arte formalmente sacra. Come avviene per esempio nelle madonne di fra Angelico.<br />

Quando qui parliamo di sottomissione dell'arte alla religione l'intendiamo<br />

di sottomissione formale.<br />

87 Sono esempi niente affatto esclusivi. Appunto perché, come vi sono<br />

diverse incarnazioni di arte autentica e di autentica sensibilità religiosa, così<br />

anche di autentica arte religiosa. Non si vuol dunque indicare quegli esempi<br />

come modelli fuori dei quali non vi potrebbe essere autentica arte religiosa.<br />

68 II che, si noti bene, vale abbondantemente anche dell'Antico Testamento<br />

per l'arte <strong>della</strong> parola, del canto, <strong>della</strong> musica, dell'architettura.


68 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

verso i sensi l'attenzione e tutta la persona. Come quando Sant'Ignazio,<br />

per meditare, consiglia di chiudere la finestra e di stare al buio<br />

o con fioca luce; di pregare pronunziando lentamente certe parole<br />

al ritmo dell'inspirazione e dell'espirazione; di prendere certi<br />

atteggiamenti corporei mettendo per esempio, la mano al petto,<br />

tenendo gli occhi fissi nel vago o sopra qualche oggetto 69 . La parte<br />

di questi atteggiamenti è di creare l'atmosfera sensitivo-psicologica<br />

di un certo raccoglimento dei sensi che possa poi cooperare a suo<br />

modo alla genesi dell'atteggiamento di meditazione e di preghiera<br />

generale propriamente dette. Questo raccoglimento fisico-psichico,<br />

per sé solo, non è evidentemente la preghiera propriamente detta;<br />

ancor meno l'unione mistica; ma può contribuire a prepararvi il<br />

soggetto. Nel quadro di questa disposizione fisico-psichica potrà<br />

prodursi nel soggetto la preghiera propriamente detta anche d'ordine<br />

mistico. La radice di tutto questo sta nella natura dell'uomo:<br />

unità sostanziale di materia e di spirito, con influsso reciproco<br />

misterioso ma reale di una parte sull'altra.<br />

L'esperienza estetica può, sotto certi aspetti e in certe condizioni,<br />

adempire una parte in qualche modo simile. Questo fondamentalmente<br />

ro perché la percezione-fruizione estetica, che avviene<br />

per sintonia di due nature (dello stesso genere di quella in cui la<br />

madre « conosce » istintivamente il figlio), implica un modo di agire<br />

dei sensi e dello stesso intelletto completamente sui generis, superiore<br />

a quello ordinario (non concettuale e discorsivo per l'intelletto);<br />

modo intuitivo, sintetico, senza sforzo penoso e ricercatore,<br />

nel quale si ha l'impressione che l'anima lasci l'attività di superficie<br />

ordinaria ed entri in contatto immediato con il più profondo di se<br />

stessa e delle cose. Nell'atteggiamento estetico vi è come una sospensione<br />

del modo volgare e superficiale di agire dei sensi e dell'intelligenza;<br />

un loro concentramento in una sfera di vita più semplice<br />

e più intima, e un modo di comportarsi verso le cose esterne più<br />

distante, più elevato e più penetrante nello stesso tempo.<br />

Ora questi tratti, risultato di un procedimento fisico-psichico<br />

puramente naturale, possono, supposte le condizioni morali favorevoli<br />

del soggetto, essere terreno adatto nel quale, con l'intervento<br />

dei necessari fattori soprannaturali, si sviluppino la preghiera ed<br />

anche l'unione mistica propriamente dette. Appunto come quegli accorgimenti<br />

fisico-psichici raccomandati dagli autori spirituali, e di cui<br />

si parlava sopra, possono essere un ottimo avviamento allo stesso<br />

fine.<br />

E ciò per lo stesso motivo fondamentale che, la preghiera, e in<br />

genere l'unione con Dio, in virtù dell'unità sostanziale fisico-psichica<br />

69 Vedi per esempio, Esercizi, Prima settimana, esame particolare e quotidiano,<br />

prima addizione (Vedi P. BONDIOLI, Gli esercizi spirituali di S. Ignazio<br />

di Loyola, 2 ed., Vita e pensiero, Milano 1944 p. 40); addizioni alla fine del<br />

quinto esercizio n. 6-9, ed. cit. p. 86 ss; quarta settimana, i tre metodi d'orazione,<br />

il secondo metodo e il terzo, ed. cit. pp. 216; 220 s.<br />

70 Vedi per esempio, P. M. LÉONARD, Art et spiritualité, in: Dictionnaire de<br />

spiritualìté, I (1937) 925 ss. H. BRÉMOND, Prière et poesie, Paris 1916.


ARTE ED ESPERIENZA RELIGIOSA 69<br />

spirituale dell'uomo con reciproco influsso di una parte sopra<br />

l'altra, quanto più è profonda tanto più comporta un certo superamento<br />

dell'attività volgare di superficie dei sensi e dell'anima.<br />

Da ciò certi tratti fisico-psichici comuni tra l'esperienza estetica<br />

e l'esperienza mistica.<br />

Ma nello stesso modo che quegli accorgimenti fisico-psichici,<br />

raccomandati dagli autori spirituali come preparatori alla preghiera,<br />

devono essere usati con discernimento per servire al loro scopo,<br />

così, anzi con più forte ragione, il sentimento estetico e l'arte non<br />

possono servire all'atteggiamento religioso che entro ben determinate<br />

condizioni. Dico con più forte ragione, perché in virtù del<br />

piacere potente che, nella percezione estetica, procura il gioco<br />

conoscitivo fruitivo delle potenze in atto sul sensibile, il pericolo<br />

di fermarsi semplicemente a questo gioco per se stesso senza salire<br />

a Dio, può essere più grande. Pericolo di estetismo di chi prende il<br />

mezzo per il fine. Pericolo più o meno grande a seconda delle disposizioni<br />

del soggetto e <strong>della</strong> forza <strong>della</strong> sua vita spirituale nel superamento<br />

<strong>della</strong> sensualità. Pericolo che si riflette negli stessi mezzi<br />

espressivi dell'opera d'arte se, non abbastanza spiritualizzati, legano<br />

troppo l'attenzione al sensibile 71 .<br />

71 E certo che l'equilibrio oggettivo e soggettivo in cui l'arte è veramente<br />

mezzo proficuo per l'elevazione a Dio è delicato a mantenersi. Non sempre<br />

infondate furono nella storia <strong>della</strong> Chiesa le ripetute reazioni degli spirituali<br />

contro l'invasione nel santuario dell'arte troppo accaparratrice dell'attenzione<br />

e lusingatrice dei sensi. Ottimamente S. Agostino, per natura certamente predisposto<br />

alla sensualità e all'estetismo, ha descritto in se stesso, a proposito<br />

del canto in chiesa, i pericoli e i vantaggi dell'arte per innalzarsi a Dio : « Più<br />

tenacemente mi avevano legato e soggiogato le voluttà dell'udito; ma mi sciogliesti<br />

e mi liberasti. Adesso confesso di compiacermi un po' nei suoni che<br />

ammano la tua; parola quando sono cantati con voce soave e con arte; non<br />

per restarvi legato, ma per elevarmi di là a volontà. Tuttavia queste voluttà<br />

cercano di ottenere nel mio cuore un posto di qualche importanza assieme alle<br />

parole con le quali vivono, e riesco con difficoltà a dargli il posto che loro<br />

spetta. Talvolta mi pare di dargli più onore di quanto si debba, quando sento<br />

che i nostri animi sono mossi alla fiamma <strong>della</strong> pietà più devotamente e più<br />

ardentemente dalle sante parole quando vengono cantate così che se non lo<br />

fossero; e sento che tutti i nostri affetti, nella loro diversità, hanno ognuno la<br />

sua corrispondenza nella voce e nel canto che li muovono non so per quale<br />

occulta affinità. Ma la dilettazione carnale, a cui non bisogna permettere di<br />

snervare la mente, spesso m'inganna, quando il <strong>senso</strong> non accompagna la mente<br />

in modo tale che le sia pazientemente sottomesso, ma, con il pretesto che ha<br />

diritto di essere ammesso al suo servizio, cerca anche di passarle avanti e di<br />

condurla. In queste occasioni non mi accorgo di peccare, ma dopo me ne<br />

accorgo. Talvolta invece, ma molto di rado, per prevenire troppo zelantemente<br />

questo inganno, pecco per troppa severità, tanto che vorrei che fossero allontanate<br />

dalle mie orecchie e dalla stessa Chiesa tutte le melodie dei canti soavi<br />

che accompagnano il salterio davidico. E allora mi sembra più sicura la prassi<br />

del vescovo di Alessandria, Atanasio, di cui spesso mi si è parlato, come mi<br />

ricordo, il quale voleva che il lettore del salmo lo canti con una flessione di<br />

voce si semplice che sembri piuttosto recitarlo che cantarlo. Ma quando mi<br />

ricordo le lagrime che versai ascoltando i canti <strong>della</strong> tua Chiesa al principio<br />

<strong>della</strong> mia conversione, e osservo che anche adesso sono commosso non dal<br />

canto ma dalle cose che si cantano, quando sono cantate con voce chiara e<br />

adattissima modulazione, riconosco di nuovo la grande utilità del canto eccle-


70 CAF. II - LITURGIA E SEGNI SENSÌBILI<br />

Questo dell'arte religiosa in genere. Solo chi è nello stesso<br />

tempo sinceramente religioso e vero artista potrà produrre autentica<br />

arte religiosa.<br />

Arte liturgica. — Ma non ogni arte religiosa è arte liturgica. Per<br />

questo occorre non solo che l'opera sia bella e la fruizione che suscita<br />

sia indirizzata all'atteggiamento religioso in genere, ma inoltre serva<br />

ad attuare quel tipo particolare di religiosità che è incluso nella<br />

<strong>liturgia</strong>.<br />

Ora la religiosità liturgica, rispetto alla religiosità in genere,<br />

ha un certo numero di caratteristiche, che saranno spiegate meglio<br />

in seguito. Tra le altre cose: la <strong>liturgia</strong> è essenzialmente un'azione;<br />

è un'azione comunitaria di tutta l'assemblea presente gerarchicamente<br />

strutturata nella quale ognuno ha la propria parte attiva<br />

senza livellamenti né confusioni; è un'azione comunitaria incentrata<br />

nel sacrificio <strong>della</strong> messa e nei sacramenti, dove l'insieme del dogma<br />

è vissuto nella visuale predominante del mistero di Cristo, storia<br />

sacra sempre in atto con un modo proprio di proporre i dogmi in<br />

una certa gerarchia e un modo proprio di stimolare nell'uomo le<br />

diverse facoltà 72 . Questo è il mondo religioso proprio che l'arte,<br />

nella <strong>liturgia</strong>, pur conservando le sue esigenze in quanto arte, deve<br />

non solo rispettare, ma, a suo modo, esprimere e aiutare positivamente<br />

a realizzare, indirizzando ad esso quel piacere estetico<br />

che è suo compito di suscitare.<br />

Dal che si vede che se l'artista oltre ad essere autentico artista,<br />

non è vitalmente penetrato non solo di religiosità in genere, ma di<br />

questo mondo liturgico in specie, non potrà mai produrre opere<br />

di autentica arte liturgica.<br />

Le conseguenze pratiche di tutto questo sono innumerevoli per<br />

tutti i rami dell'arte che trovano posto nella <strong>liturgia</strong>, specialmente<br />

per l'arte del canto, <strong>della</strong> musica strumentale, per l'architettura e<br />

siastico. Cosi fluttuo tra il pericolo <strong>della</strong> voluttà e l'utilità salutare che sperimento;<br />

e sono più incline — senza voler proferire un parere definitivo — ad<br />

approvare la consuetudine del canto nella Chiesa; affinché l'animo debole, per<br />

i piaceri delle orecchie, si elevi all'affetto <strong>della</strong> pietà. Però quando mi succede<br />

che il canto mi diletta più <strong>della</strong> cosa che si canta, confesso di peccare e allora<br />

preferirei non sentir cantare. Ecco, in che stato sono; piangete con me e<br />

per me voi che avete le buone disposizioni interne dalle quali procedono anche<br />

le buone opere esterne. Voi che non le avete, queste cose certo non vi muovono.<br />

Tu, Signore, Dio mio, esaudiscimi, guarda, considera, abbi pietà e sanami.<br />

Dinanzi a te sono per me stesso una questione; e questo è il mio tormento<br />

» (Confessioni, X 33). Per la posizione completa di Agostino e dei Padri<br />

<strong>della</strong> Chiesa intorno al canto, vedi per esempio: H. EDELSTEIN, Die Musikanschauung<br />

Augustins nach seìner Schrift « De musica », Freiburg 1929; Tu.<br />

GEROLD, Les Pères de l'Église et la musique, Paris 1931; H. DAVENSON, Traité de<br />

la musique seton l'esprit de St. Augustin, Neuchàtel 1942; A. DOHMES, Der pneumatische<br />

Charakter des Kultgesanges nach fruhchristlichen Zeugnissen, in: Vom<br />

christlichen Mysterium, Dusseldorf 1951 pp. 35-53.<br />

72 Le caratteristiche proprie <strong>della</strong> pietà liturgica sono un punto determinante<br />

nel concetto di arte liturgica. Tutta quest'opera praticamente vuole spiegare<br />

quali siano queste caratteristiche. Vedi in modo speciale l'articolo secondo<br />

del capitolo XXI: nozione e caratteristiche generali <strong>della</strong> spiritualità liturgica.


LITURGIA E ARTE MODERNA 71<br />

la pittura. Da questi princìpi si possono dedurre una serie di regole<br />

normative dell'arte religiosa e liturgica in specie".<br />

A condizione che siano osservate quelle regole, la <strong>liturgia</strong> apre<br />

largamente le porte all'arte. Così ha fatto sin dal principio: dapprima<br />

principalmente all'arte <strong>della</strong> parola e del canto; poi, a partire<br />

dal secolo III-IV all'architettura monumentale, al mosaico, alla<br />

pittura, alla coreografia, alle arti minori; più tardi ancora alla statuaria<br />

e alla musica polifonica e strumentale.<br />

E poiché, come si è detto, l'arte e il gusto includono anche un<br />

aspetto notevolmente soggettivo, mutevole secondo gli uomini, i<br />

luoghi e i tempi — ciò che dà possibilità a incarnazioni sempre<br />

nuove del mondo estetico — la <strong>liturgia</strong> ha ammesso largamente le<br />

manifestazioni più varie del gusto e degli stili. Come concede agli<br />

artisti d'oggi il diritto di cercare anche in arte liturgica la loro via 74 .<br />

73 Come fa appunto l'autorità ecclesiastica. Vedi Mediator Dei n. 193 s;<br />

Musicete sacrae disciplinae per intero; Istruzione sull'arte sacra <strong>della</strong> Suprema<br />

Sacra Congregazione del.S. Ufficio diretta ai Vescovi di tutto il mondo, 30 giugno<br />

1952 (Vedi per esempio in: Enciclopedia liturgica a cura di R. AIGRAIN, trad.<br />

it. ed. paoline 1957 pp. 1016-19). Card. CELSO e Mons. G. COSTANTINI, L'Istruzione<br />

del S. Ufficio sull'arte sacra (testo e commento) Roma 1952. G. MARIANI, La legislazione<br />

ecclesiastica in materia di arte sacra, Roma 1945. (Vedi anche Enciclopedia<br />

cattolica II (1949) 44 s). Per le esigenze liturgiche dell'architettura<br />

sacra vedi TH. KLAUSER, Rechtlinien fiir die Gestaltung des Gotteshauses aus<br />

dem Geiste der romischen Liturgie, Miinster i. W. 1949 (trad. francese in: TH.<br />

KLAUSER, Petite histoire de la liturgie occidentale, ed. du Cerf, Paris 1956 pp. 102-<br />

36). S. E. il card. G. LERCARO, Prolusione al congresso di Bologna del 1955 (Vedi:<br />

Dieci anni di architettura sacra in Italia 1945-55; Atti del congresso, Bologna<br />

1956 pp. 17-20); G. BEVILACQUA, La chiesa nella città, relazione allo stesso congresso,<br />

ibid. pp. 25-27. T. COSTERMANELLI, Architettura sacra, Milano 1956. Per le<br />

esigenze liturgiche nell'architettura dell'altare in specie vedi: P. R. RÉGAMEY,<br />

Architecture de l'autel et exigences liturgiques, in: La maison Dieu n. 29 (1952)<br />

71-87. Nello stesso numero parecchie altre notizie teologiche, storiche e liturgico-architettoniche<br />

intorno all'altare. Per tutta questa materia vedi anche: Enciclopedia<br />

liturgica a cura di R. AIGRAIN, trad. it. ed. paoline 1957 pp. 96-279 con<br />

bibliografia.<br />

T4 II principio è stato solennemente proclamato dal concilio vaticano II<br />

il quale a proposito <strong>della</strong> musica e del canto, dice : « La Chiesa approva e ammette<br />

nel culto divino tutte le forme <strong>della</strong> vera arte, purché dotata delle qualità<br />

necessarie » CL art. 112. Lo stesso principio è ammesso per l'arte in genere:<br />

« La Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico, ma<br />

secondo l'indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso<br />

le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli, un tesoro<br />

artistico da conservarsi con ogni cura. Anche l'arte del nostro tempo e di tutti<br />

i popoli e paesi abbia nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la<br />

dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti ».<br />

Ibid. art. 123. Notevole nello stesso <strong>senso</strong> per l'atteggiamento <strong>della</strong> Chiesa verso<br />

l'arte moderna in genere, il discorso di Paolo VI agli artisti del 7 Maggio 1964.<br />

La Mediator Dei, n. 93, aveva già espresse, in massima, le stesse idee. Per la<br />

situazione esistente in questi ultimi tempi in Italia si è parlato di guerra fredda<br />

tra clero e artisti moderni. Molto interessanti sotto questo aspetto furono le<br />

reazioni degli architetti al congresso di Bologna del 1955. Paolo VI, nel discorso<br />

sopra citato, riconosceva questo stato di fatto non ideale nonché le colpe del<br />

clero in tale materia. Tra le opere che da noi cercano di contribuire alla soluzione<br />

del problema dell'arte sacra in genere nota: Card. C. e Mons. G. COSTANTINI, Fede<br />

e arte. Manuale per gli artisti, 3 voli. Roma 1945 ss; L. BARTOLI, L'arte nella casa di<br />

Dio, Torino 1950; A. RAULE, L'arte nella Chiesa, Bologna 1953. Per le riviste: Arte


72 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

Tanto più che non solo la sensibilità artistica è assai variabile, ma<br />

anche la stessa sensibilità religiosa: ossia il modo di reagire delle<br />

diverse sensibilità naturali al fenomeno religioso propriamente<br />

detto.<br />

Ma, come nei rapporti tra arte e religione in genere, così anche<br />

in quelli tra arte e <strong>liturgia</strong> in specie, non si possono negare i pericoli.<br />

Non solo il pericolo comune di estetismo quando la funzione<br />

estetica viene ricercata per se stessa e non indirizzata all'atteggiamento<br />

religioso, ma il pericolo specifico che quella funzione — a<br />

parte il suo carattere religioso generale — non serva alle esigenze<br />

proprie <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, in specie alle sue esigenze comunitarie.<br />

In specie il canto, la musica strumentale, l'architettura sono<br />

caduti non di rado in questo difetto. Così quando, col pretesto di<br />

fare opere esteticamente più perfette possibili, furono date ai canti<br />

liturgici, che per loro natura spettano al popolo, forme esteticamente<br />

forse bellissime ed anche veramente religiose, ma di esecuzione<br />

difficile o anche praticamente impossibile per il popolo stesso;<br />

con la conseguenza che quei canti furono sottratti al popolo e riservati<br />

a un gruppo di specialisti.<br />

Così anche quando si son fatte delle chiese esteticamente forse<br />

bellissime ed anche di un'architettura pervasa di profondo <strong>senso</strong><br />

religioso generico, ma nelle quali la massa del popolo presente è<br />

rimossa lontana dall'altare che non può più nemmeno facilmente<br />

vedere né può partecipare attivamente a quello che vi si fa.<br />

Così anche quando l'altare, relegato in fondo alla chiesa lontano<br />

dal popolo, viene trasformato in uno splendido zoccolo di<br />

esposizione, e come in un'immensa spalliera di trono, ma nel<br />

quale riesce difficile riconoscere la mensa eucaristica conviviale e<br />

sacrificale normalmente circondata da tutti i presenti.<br />

Riuscirebbe purtroppo facile moltiplicare simili esempi. I quali<br />

tutti hanno la loro radice nel fatto che si dimentica che l'arte in<br />

<strong>liturgia</strong> non ha una funzione estetico-religiosa generica, ma esteticoliturgica.<br />

È un segno liturgico e ogni segno è essenzialmente funzionale<br />

rispetto a quello che deve esprimere e in qualche modo<br />

realizzare. Per cui, chiunque usa il segno arte in <strong>liturgia</strong>, deve<br />

prima compenetrarsi delle realtà religiose liturgiche che quel segno<br />

è chiamato ad esprimere e realizzare a suo modo e sottomettersi<br />

alle loro esigenze.<br />

I segni persone. — Tutta l'assemblea cristiana, come tale, come<br />

dicevamo sopra, ha valore di segno nella <strong>liturgia</strong> in quanto è la<br />

convocazione di Dio in Cristo Gesù, il radunamento « nel nome »<br />

di Cristo, radunamento del « populus Dei », e, come tale, compie<br />

cristiana dal 1913: scuola Beato Angelico, Milano. Fede e arte dal 1953: <strong>della</strong><br />

Pontificia commissione centrale per l'arte sacra, Roma. Per la Francia vedi<br />

J. PICHARD, L'art sacre moderne (per il periodo 1914-53), Paris 1954. Vedi le riviste:<br />

L'Art d)église (successe nel 1950 a L'Artisan liturgique che usciva dal 1932),<br />

Abfcaye de Si André, Bruges, Belgio; L'Art sacre, Paris, dal 1946. Chiesa e quartiere,<br />

Bologna dal 1957. '


s<br />

L'ASSEMBLEA COME SEGNO 73<br />

in sé la ekklesia di Dio (Q e hal Jahweh) dell'Antico Testamento, è<br />

l'espressione massima <strong>della</strong> comunità locale e <strong>della</strong> Chiesa universale<br />

ed è già come il primo schizzo, l'ombra annunziatrice <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> cosmica e perfetta <strong>della</strong> Gerusalemme celeste di cui parla<br />

l'Apocalisse.<br />

Con più forte ragione ancora hanno valore di segno i ministri<br />

gerarchici <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e in modo speciale vale di loro: aliud videtiir<br />

et aliud intelligitur, poiché sono speciali rappresentanti e delegati<br />

di Cristo. È col profondo <strong>senso</strong> del valore di segno delle persone<br />

che concorrono alla <strong>liturgia</strong> che S. Ignazio antiocheno, per<br />

esempio, poteva scrivere ai magnesiani : « Vi ammonisco di fare<br />

tutto nella concordia di Dio, sotto la presidenza del vescovo che<br />

tiene il posto di Dio e dei presbiteri che tengono il posto del<br />

consesso degli apostoli e dei miei cari diaconi a cui è stato affidato<br />

il ministero di Gesù Cristo... Come dunque il Signore, né per se<br />

stesso, né per i suoi apostoli, non fece nulla senza il Padre a cui<br />

era unito, così anche voi non fate nulla senza il vescovo e i presbiteri...<br />

Sia una l'orazione, una la supplica, uno il pensiero, una<br />

la speranza nella carità e nel gaudio immacolato che è Cristo Gesù<br />

di cui non vi è niente di migliore. Tutti uniti accorrete come a un<br />

sol tempio di Dio, a un solo altare, a un solo Gesù Cristo, il quale<br />

venne da un .solo Padre, esistette nell'unità di un solo Padre e ritornò<br />

a Lui » ".<br />

Se si considerano i segni sensibili <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dal punto di<br />

vista dei diversi sensi a cui si indirizzano immediatamente, si vede<br />

come vi predomini la messa in atto dell'udito e dell'occhio. In questo<br />

niente di straordinario, perché, in tutto il campo delle comunicazioni<br />

e delle espressioni umane, questi due sensi, per la loro<br />

maggiore spiritualità, hanno il predominio. S. Agostino l'aveva già<br />

osservato : « Tra i segni, dunque, per i quali gli uomini comunicano<br />

a vicenda i loro pensieri ed affetti, alcuni riguardano gli occhi, la<br />

più parte l'udito, pochissimi gli altri sensi. Quando facciamo cenno<br />

non diamo che un segno agli occhi di colui al quale vogliamo per<br />

suo mezzo trasmettere la nostra volontà. Ce ne sono che significano<br />

quasi tutto con movimenti delle mani; gl'istrioni fanno dei segni<br />

a coloro che li capiscono con movimenti di tutte le membra e<br />

quasi parlano coi loro occhi; i vessilli e i dragoni militari per<br />

mezzo degli occhi trasmettono la volontà dei duci; e tutte queste<br />

cose sono come delle parole visibili. I segni che appartengono<br />

all'udito, sono, come dissi, moltissimi, consistenti specialmente in<br />

parole. Anche la tuba, la tibia, la cetra fanno per lo più suoni non<br />

75 Magnes, 6,1-7,2. Sulla teologia dell'assemblea liturgica vedi P. MASSI, L'assemblea<br />

del popolo di Dio I, Ascoli Piceno 1962, con ampia bibliografia. Anche<br />

il valore di segno che la <strong>liturgia</strong>, secondo il costume di tutta la tradizione antica,<br />

sia ebraica che ellenistica, attribuisce a certi numeri può essere menzionato. La<br />

cosa appare piuttosto nel linguaggio liturgico, biblico o di composizione ecclesiastica;<br />

ma non mancano anche esempi nei riti (come, poniamo, le dodici<br />

croci nella consacrazione di una chiesa, per i dodici apostoli e le dodici porte<br />

<strong>della</strong> Gerusalemme celeste).


74 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

solo piacevoli, ma aventi anche un significato. Ma tutti questi segni,<br />

paragonati alle parole, sono pochissimi. Le parole, tra gli uomini<br />

hanno il primato per significare ogni concetto ed affetto che si<br />

voglia manifestare. È vero che il Signore nell'odore dell'unguento<br />

col quale furono profumati i suoi piedi dette un segno; ed anche<br />

significò quello che Egli intendeva dando a gustare il sacramento<br />

del suo corpo e del suo sangue; anche la donna che fu salva quando<br />

toccò la fimbria del suo vestimento, ha un certo significato: tuttavia<br />

la stragrande maggioranza dei segni coi quali gli uomini<br />

esternano i loro pensieri è costituita dalle parole. Tutti gli altri<br />

segni che ho brevemente ricordato ho potuto enunziarli con le parole<br />

ma con quei segni non potrei in nessun modo enunziare le<br />

parole » 7e .<br />

<strong>Il</strong> rito come complesso di segni liturgici. — Si noti, finalmente,<br />

il concetto di rito. Un rito è la messa in opera dell'insieme dei segni<br />

(paròle/ canti, gesti, atteggiamenti e movimenti compiuti anche<br />

intorno a certi oggetti da determinate persone) per i quali si compie<br />

un'azione liturgica. Così parliamo del rito del battesimo, <strong>della</strong> messa,<br />

<strong>della</strong> consacrazione di una chiesa, dei vesperi, ecc. Rito romano,<br />

bizantino, ambrosiano, ecc. significa l'insieme dei riti liturgici nell'ordinamento<br />

e prassi romana, bizantina, ambrosiana.<br />

Perché l'incontro tra Dio e gli uomini in un regime di segni?<br />

A questo punto sorge spontanea la questione: perché, dunque,<br />

l'incontro tra Dio e gli uomini, l'attuazione nei singoli del mistero<br />

di Cristo, la trasmissione ai singoli <strong>della</strong> vita in Cristo, debba farsi<br />

in un regime di simboli, sotto il loro velo e attraverso, per così<br />

dire, la loro mediazione. Questa questione prende una forma addirittura<br />

angosciosa nell'uomo moderno che, per tante circostanze<br />

di ambiente e di educazione, in questa intromissione dei segni sensibili<br />

tra la singola persona e Dio, paventa sùbito una materializzazione<br />

e un impaccio alla spontaneità e alla sincerità religiosa.<br />

<strong>Il</strong> problema andrà esaminato anche in seguito. Intanto si noti<br />

quanto segue.<br />

La volontà positiva di Dio : il regime « sacramentale » <strong>della</strong> salvezza.<br />

— L'ultima soddisfacente risposta alla questione non può<br />

desumersi che dalla libera volontà di Dio che tale regime ha voluto<br />

e vuole nelle relazioni tra Lui e gli uomini. Assolutamente parlando<br />

tale regime non è necessario. Dio avrebbe potuto adottare un ordine<br />

di cose in cui la religione sarebbe stata affare puramente individuale<br />

e interno senza alcuna mediazione né di altri uomini né di<br />

cose esteriori. Ma la grande legge che domina la <strong>liturgia</strong>, e sulla<br />

76 De doctr. christ. II 4.


REGIME SACRAMENTALE 75<br />

quale bisognerà tornare in seguito, è la legge dell'oggettività: la<br />

via stessa per cui noi possiamo e dobbiamo andare a Dio non è<br />

lasciata alla nostra libera scelta, tanto meno al nostro capriccio;<br />

essa ci è imposta da Dio. La nostra salvezza non può compiersi<br />

che nel seguire questa via oggettivamente mostrataci, nell'accettarla,<br />

nel sintonizzarci ad essa. Ora questa via è una via incarnata:<br />

è attraverso uomini e cose anche sensibili e materiali che Dio si<br />

comunica agli uomini e gli uomini vanno a Dio. Prototipo di questa<br />

legge è Cristo stesso, Dio e uomo, unica via per andare al Padre,<br />

nel quale, in modo assolutamente plenario, il divino è sceso nell'umano<br />

e l'umano si è incontrato col divino. Continuazione, espressióne<br />

e strumento di Cristo, costruito in tutto sul modello incarnato<br />

che si verifica in Cristo stesso, è la Chiesa, divina e umana, invisibile<br />

e sociale visibile, attraverso la quale e nella quale Cristo, dalla pentecoste<br />

alla parusia, comunica la sua vita divina agli uomini e<br />

l'umanità rende il suo culto perfetto a Dio. Strumento di Cristo<br />

e <strong>della</strong> Chiesa, costruito sullo stesso modello incarnato, per il<br />

quale e nel quale Dio per mezzo di Cristo santifica la Chiesa e la<br />

Chiesa per Cristo e in Cristo rende il suo culto a Dio, è, appunto,<br />

tutto il regime dei segni che costituisce la <strong>liturgia</strong>.<br />

Legge dell'oggettività, legge dell'incarnazione, legge comunitaria,<br />

anzi ecclesiale, <strong>della</strong> salvezza, è questa l'ultima base che rende conto<br />

del perché l'incontro tra Dio e gli uomini si fa ora in un regime<br />

di segni, in sacramento, in sacramentis, direbbero gli antichi. Dal<br />

grande e primordiale sacramentwn che è Cristo, deriva il sacramentum<br />

generale che è la Chiesa, e questo si esprime massimaménte<br />

nei sacramenta che costituiscono la <strong>liturgia</strong>: in primo luogo<br />

nei suoi sette riti maggiori, i sette sacramenti propriamente detti,<br />

e in modo specialissimo nel santissimo sacramento per eccellenza,<br />

il mistero eucaristico 77 . In tutte queste fasi la trasmissione <strong>della</strong><br />

vita divina agli uomini e il ritorno degli uomini a Dio si fa per via<br />

incarnata in regime di segno: in sacramentis, dove aliud videtur<br />

et aliud intelligitur. Se si pensa poi che la stessa Sacra Scrittura è<br />

tutta basata sul concetto di segno, tanto segno parola che segno<br />

cose o persone (perché, a causa <strong>della</strong> profonda unità <strong>della</strong> storia<br />

sacra, e come dovremo spiegare in seguito, le stesse cose e persone<br />

di cui ivi si fa parola, nelle intenzioni di Dio, hanno anche riferimento<br />

intrinseco ad altre realtà sacre), ci si accorge come per tutte<br />

77 6 il concetto esplicitamente rilevato nel concilio vaticano II, CL, art.<br />

5-7. Vedi anche C. VAGAGGINI, LO spirito <strong>della</strong> Costituzione sulla <strong>liturgia</strong>, in:<br />

Riv. Lit. 51 (1964) 8-16; P. VISENTIN, // mistero di Cristo nella <strong>liturgia</strong> secondo la<br />

Costituzione liturgica, ibid. 55-62. Vedi anche S. AGOSTINO, Ep. 187, 34: Sacramentum<br />

porro regenerationis nostra... erat... antiquis aliquod occultum... Non<br />

est enim aliud Dei mysterium nisi Christus; nonché S. LEONE MAGNO, Sermo 74, 2:<br />

Quod conspicuum erat in Christo transivit in Ecclesiae sacramenta. Vedi anche<br />

E. H. SCHILLEBEECKX, <strong>Il</strong> Cristo sacramento dell'incontro di Dio con l'uomo, trad.<br />

it., ed. paoline 1963; P. BROUTIN, Mysterium Ecclesiae, Paris 1947; O. SEMMEL-<br />

ROTH, L'Eglise, sacrement de la rédemption, trad. frane, Paris 1963; la, Vom<br />

Sinn des Sakraments, Frankfurt 1960; K. RAHNER, Kirche und Sakramente, Freiburg<br />

i. B. 1960.


76 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

le fasi dei rapporti soprannaturali tra Dio e gli uomini che costituiscono<br />

la storia sacra, si possa ripetere come principio generale<br />

quello che Origene disse a proposito <strong>della</strong> storia di Abramo : « In<br />

sacramentis enim fiunt cuncta quae fiunt » .<br />

Anzi, sappiamo che non solo la stessa legge mosaica era basata<br />

su un gran numero di riti « sacramenta », ma anche che nelle stesse<br />

religioni naturali, tanto prima che dopo la legge mosaica, riti che<br />

possono essere a loro modo detti « sacramenta » servirono e servono<br />

a Dio per salvare gli uomini 79 . Così Dio ha disposto, e quello<br />

che egli vuole, in fin dei conti, non ha altra ragione che la sua libera<br />

volontà; all'uomo non rimane altro che costatarla ed accettarla.<br />

La natura umana. — Dio però in tutto questo disegno segue un<br />

modo di agire di cui noi possiamo intravvedere la profonda sapienza.<br />

Egli non fa altro che trattare l'uomo nello stile dell'uomo,<br />

come connaturalmente lo richiede la sua natura: unità sostanziale<br />

di anima e di corpo, di spiritualità e di materialità, la cui anima<br />

spirituale conosce, e quindi si perfeziona, attraverso il corpo e le<br />

cose sensibili, e, a sua volta, si esprime e si manifesta nel corpo<br />

e nelle cose sensibili, imprimendo in.esse qualcosa di sé. A tale<br />

natura, spirito incarnato, è sommamente conveniente la via incarnata<br />

e il regime del segno.<br />

Gli antichi scrittori ecclesiastici non avevano mancato di osservarlo<br />

a proposito appunto dei sacramenta, in specie dei nostri sette<br />

sacramenti. S. Giovanni Crisostomo, per esempio, osserva circa<br />

l'eucarestia e il battesimo : « Poiché il Verbo dice : questo è il mio<br />

corpo, acconsentiamo e consideriamolo con gli occhi spirituali. Infatti<br />

Cristo, in questo, non ci ha dato niente di puramente sensibile,<br />

ma, sebbene in cose sensibili, è tuttavia tutto spirituale. Lo stesso<br />

nel battesimo; il dono è dato per una cosa sensibile: l'acqua; la<br />

cosa spirituale che si compie è la rigenerazione e la rinnovazione.<br />

Se tu fossi stato incorporeo, Egli ti avrebbe dato doni nudi ed<br />

incorporei; ma poiché l'anima è unita al corpo, in, cose sensibili<br />

ti ha dato cose spirituali » 80 . « La sapienza divina, osserva a sua<br />

volta S. Tommaso, provvede a ogni cosa secondo il modo che a<br />

ciascuna compete, e perciò si dice che "essa tutto dispone con<br />

soavità" (Sap 8,1)... Ora, è connaturale all'uomo per le cose sensibili<br />

salire alla conoscenza delle intelligibili. Un segno è quella cosa per<br />

mezzo <strong>della</strong> quale si viene alla conoscenza di un'altra. Perciò, dato<br />

che le cose sacre significate dai sacramenti sono beni spirituali ed<br />

intelligibili per mezzo dei quali l'uomo è santificato, è naturale che<br />

il significato dei sacramenti si compia in alcune cose sensibili » 81 .<br />

» '<br />

78 In Gerì. Hom. 9, 1.<br />

79 Vedi, per es., S. TOMMASO, Summa III q 61 a 3.<br />

80 Hom. 37 in ev. n. 1.<br />

31 Summa II q 60 a 4. In III q 61 a 1. S. Tommaso precisa: «Così per<br />

mezzo dei sacramenti, l'uomo è istruito convenientemente, alla sua natura; è<br />

umiliato, dovendosi riconoscere soggetto alle cose corporali, poiché è aiutato


REGIME DI SEGNI E NATURA UMÀBlA 77<br />

Questa ragione generale <strong>della</strong> convenienza del segno con la stessa<br />

natura umana può essere molto particolareggiata ed approfondita<br />

dal punto di vista psicologico per mezzo di un'analisi descrittiva<br />

minuta del modo e dell'efficacia con cui avviene il processo <strong>della</strong><br />

conoscenza e dell'espressione religiosa nei singoli segni e nell'azione<br />

liturgica complessiva. Già S. Agostino aveva sentito profondamente<br />

questa efficacia psicologica vitale del segno e dell'espressione simbolica<br />

allegorica in genere : « Tutte queste cose che ci sono insinuate<br />

in figure hanno per scopo di nutrire e come accendere il fuoco<br />

dell'amore per mezzo del quale, come da una forza, noi siamo trascinati<br />

al di sopra o all'interno di noi stessi verso la pace. Così proposte,<br />

muovono ed accendono l'amore più che se fossero esposte<br />

nude e senza nessuna similitudine di sacramento. È difficile dire il<br />

perché; però è certo che una cosa proposta per significazione allegorica<br />

muove di più, diletta di più ed è più amata che se fosse detta<br />

chiarissimamente con espressioni proprie. Credo che il movimento<br />

stesso dell'anima è più pigro ad infiammarsi fintanto che è ancora<br />

legato alle cose terrene; se, invece, viene indirizzato alle similitudini<br />

corporali e da lì diretto alle cose spirituali che gli sono mostrate<br />

in figura, per questo stesso processo viene fortificato e, come<br />

una fiaccola di fuoco agitata, si accende e con più ardente amore<br />

è trascinato alla pace » 82 .<br />

Quello che Agostino da fine psicologo aveva presentito, i moderni,<br />

con lo strumento dell'analisi psicologica fenomenologica, si<br />

sono sforzati di descriverlo minutamente anche nel campo del culto.<br />

Tra i cattolici, Romano Guardini si è particolarmente interessato<br />

di quésto aspetto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 83 . Tra i protestanti è da segnalare<br />

l'opera di Roberto Will, Le eulte, in tre volumi 84 dei quali il secondo<br />

è tutto sulla fenomenologia del culto, anche cattolico. Egli tratta il<br />

tema minutamente, sforzandosi di penetrare nel processo psicologico<br />

dell'efficacia religiosa del culto nei suoi elementi semplici o<br />

complessi che cadono sotto i sensi per attuare l'incontro tra Dio<br />

e l'uomo. A parte, naturalmente, certe deficienze congenite alla<br />

mentalità di un protestante quando parla del culto cattolico, molte<br />

osservazioni del Will sulla necessità ed efficacia psicologica <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> nella sua struttura come complesso di segni sono giustissime<br />

e talune sue pagine eloquenti in proposito, con pochi mutamenti,<br />

possono essere pienamente approvate da un cattolico. Così,<br />

per esempio, sulla necessità psicologica del culto incarnato nei<br />

segni : « Ogni culto richiede forme espressive, immagini, suoni,<br />

parole, gesti, riti, persone. Queste forme, interponendosi tra Dio<br />

da cose corporali; è preservato da azioni peccaminose (= ricorso a riti superstiziosi)<br />

mentre è impegnato nella salutare frequenza dei sacramenti ». Vedi<br />

anehe ottimo e lungo testo in C. Gent. <strong>Il</strong>i 119.<br />

82 Ep. 55 n. 21.<br />

83 Specialmente in: Lo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> (ed. ital. Brescia, Morcelliana);<br />

/ Santi segni (ed. ital. ibid. 4 ed. 1954); Liturgische Bildung, Mainz, 1923; Die<br />

Sinne und die religióse Erkenntnis, Wiirzburg 1950.<br />

84 Paris, Alcan. <strong>Il</strong> secondo è del 1929.


78 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

e i fedeli, servono da commutatori alle correnti di vita che riallacciano<br />

il polo soggettivo al polo oggettivo e viceversa. Esse oggettivano<br />

e innalzano le aspirazioni delle anime e d'altra parte concretizzano<br />

e canalizzano le grazie che scendono dall'alto. Al servizio<br />

del soggetto religioso e dell'oggetto divino, il fenomeno cultuale<br />

risponde dunque a una doppia necessità, una d'ordine psicologico,<br />

l'altra d'ordine metafisico. In altre parole la natura dell'uomo lo<br />

richiede e l'essenza <strong>della</strong> rivelazione l'esige » 85 .<br />

Ancora : « Le osservanze cultuali appaiono dunque come mezzi<br />

destinati a conservare i valori oggettivi <strong>della</strong> religione perché traducono<br />

nel campo fenomenico i dati soprasensibili <strong>della</strong> rivelazione<br />

divina. Senza questa figurazione, la religione, puramente soggettiva,<br />

correrebbe il rischio di perdersi negli stati d'animo mistici, nelle<br />

fredde ideologie, o nelle applicazioni morali... La religione che si<br />

disinteressa del culto intristisce nell'atmosfera rarefatta di uno<br />

spiritualismo eccessivo 86 ... In una parola è altrettanto inammissibile<br />

separare la figurazione sensibile dall'ispirazione trascendentale<br />

che dall'ispirazione psichica. La trasposizione delle realtà trascendentali<br />

nel mondo sensibile è un postulato dell'essenza divina rivolta<br />

al mondo 87 , come la figurazione concreta dei dati <strong>della</strong> coscienza<br />

religiosa è un postulato <strong>della</strong> natura umana » 88 .<br />

O ancora questa osservazione sulla vita religiosa privata e il<br />

culto : « L'esperienza cultuale sarà un prolungamento i empirico e<br />

una maggiorazione concreta dell'esperienza religiosa. L'incontro cultuale<br />

sarà la convergenza e la combinazione di tutte le esperienze,<br />

frutto di un previo contatto con Dio <strong>della</strong> nostra fede e <strong>della</strong> nostra<br />

preghiera. La realtà divina <strong>della</strong> fede alimenta i dinamismi <strong>della</strong><br />

nostra fede soggettiva che si riversano nel culto. In virtù dell'azione<br />

generatrice dello Spirito, il culto è dunque una preghiera sovrabbondante,<br />

derivante dalla preghiera personale, ma d'un flusso meglio<br />

canalizzato e più largo, una preghiera sensibile e collettiva » 89 .<br />

« Insomma, il culto, prolungamento dell'azione mediatrice di Cristo,<br />

è il simbolo religioso per eccellenza. Facendo il ponte che conduce<br />

dalla trascendenza all'immanenza, esso ha per missione di contribuire<br />

a far sì che l'universo sia penetrato dalla presenza divina » 90 .<br />

Queste è simili osservazioni di un protestante, il cattolico le<br />

considererà con piacere come una riprova <strong>della</strong> somma efficacia,<br />

connaturalità, anzi necessità morale, che l'incontro tra Dio e l'uomo,<br />

considerando la cosa anche dal solo punto di vista psicologico,<br />

s' p. 13. Quell'« esige » lo s'intenda: lo richiede per comunicarsi connaturalmente<br />

all'uomo.<br />

« e O, come l'autore diceva sopra: di un ideologismo freddo o di un moralismo<br />

esagerato.<br />

87 Più precisamente: è il fatto di una libera volontà positiva di Dio nel<br />

comunicarsi al mondo che corrisponde però, meravigliosamente alla natura stessa<br />

dell'uomo.<br />

ss p. 26 s.<br />

a» p. 38.<br />

oo p. 25.


SEGNI E VITA RELIGIOSA 79<br />

avvenga in un regime di segni cultuali. Egli comprenderà meglio<br />

la parte insostituibile del culto in regime di segni affinché il giusto<br />

equilibrio psicologico <strong>della</strong> vita religiosa sia sempre osservato, il<br />

soggettivo e l'oggettivo siano dosati in giusta misura e si evitino<br />

i pericoli di un soggettivismo incontrollato, di un introspezionismo<br />

e psicologismo eccessivi, di un ideologismo senza efficacia vitale o<br />

di un moralismo che non distingue abbastanza la religione cristiana<br />

da una semplice filosofia etica.<br />

Tutti pericoli che il protestantesimo non ha saputo evitare, in<br />

gran parte appunto per la sua quasi generale opposizione — solo<br />

l'anglicanismo, con il suo carattere eclettico, vi fa una certa eccezione<br />

— alla forma incarnata del culto cattolico; mentre il cattolicesimo,<br />

grazie al suo culto incarnato, ha saputo conservare un<br />

equilibrio psicologico, che lo stesso Will, tutto sommato, non si<br />

stanca di riconoscere molto superiore. « È un fatto, dice il Will,<br />

che le chiese protestanti, e specialmente il puritanismo riformato,<br />

hanno squilibrato la bilancia dei due emisferi dell'esterno e dell'interno<br />

a favore di quest'ultimo. L'indigenza spiritualista che ne<br />

è stato il risultato, non risponde né ai postulati <strong>della</strong> nostra natura<br />

dualista, né ai bisogni <strong>della</strong> pietà popolare, né alle tendenze <strong>della</strong><br />

nostra generazione avida di realtà, di oggettività e di vita intensa<br />

» ". -<br />

Questa osservazione, giusta dal punto di vista psicologico, acquista<br />

tutta la sua gravità quando si aggiunge che tale squilibrio<br />

' non risponde anzitutto alla volontà positiva di Dio e di Cristo perché<br />

oltre le leggi <strong>della</strong> psicologia, ignora anche le leggi <strong>della</strong> storia<br />

sacra che Dio ha voluto osservare nei suoi rapporti con gli uomini:<br />

legge dell'oggettività, dell'incarnazione, <strong>della</strong> salvezza comunitaria,<br />

in cui Dio salva gli uomini per mezzo di altri uomini. Così si capisce<br />

che la scoperta <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, anche se occasionata piuttosto dal<br />

punto di vista <strong>della</strong> sua utilità psicologica, come lo è oggi presso<br />

i protestanti 92 , comporta, in germe, la scoperta di valori tali che,<br />

logicamente sviluppati, dovrebbero arrivare fino alla scoperta del<br />

cattolicesimo.<br />

A queste osservazioni, che, per riconoscere la profonda sapienza<br />

<strong>della</strong> volontà divina, la quale volle che l'incontro tra l'uomo e Dio<br />

si compisse essenzialmente in un regime di segni anche sensibili,<br />

si appellano alla natura dell'uomo considerato anzitutto come individuo,<br />

si aggiunga un'altra considerazione, alla quale la nostra generazione<br />

è particolarmente sensibile: quella <strong>della</strong> natura sociale<br />

dell'uomo e di tutte le manifestazioni anche più profonde <strong>della</strong><br />

sua vita e vitalità e, quindi, anche <strong>della</strong> religione. Socialità <strong>della</strong><br />

religione e regime di segni sensibili sono cose indissolubilmente<br />

connesse perché società implica unità, unificazione. Essa, infatti, im-<br />

»' p. 9.<br />

82 E noto come, da una trentina d'anni a questa parte, tra i protestanti<br />

ci sia un notevole movimento liturgico. Vedi cap. XXIII art. 2, <strong>liturgia</strong> e ecumenismo.


80 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

plica rapporti da individuo a individuo nella comunicazione di conoscenze,<br />

di voleri e di affetti convogliati al raggiungimento di fini<br />

comuni nell'uso di mezzi comuni e nell'aiuto reciproco. Se poi la<br />

società di cui si tratta non comprende effettivamente tutti gli uomini,<br />

questa implica non solo unità e unificazione, ma anche distinzione.<br />

La società unisce e distingue. Ora tutto questo, tra individui, che<br />

sono spiriti sostanzialmente uniti a corpi, non si stabilisce che attraverso<br />

l'esteriore e il sensibile, quale espressione delle conoscenze,<br />

dei voleri e degli affetti, che per loro natura non cadono sotto i<br />

sensi, e quindi attraverso i segni sensibili nei quali tali conoscenze,<br />

voleri ed affetti s'incarnano. I segni sensibili, in una società, sono<br />

appunto espressione e causa di unione con tutti i suoi membri e<br />

di distinzione da tutti gli altri.<br />

Perciò non si dà società e vita sociale senza larghissimo uso<br />

di segni sensibili: convegni, ricorrenze, divise e distintivi gerarchici,<br />

emblemi, canti, cerimonie, riti esterni e fatti in comune con<br />

parti distinte e ordinate dei diversi gruppi nei quali la società è<br />

strutturata, in specie per chi in essa detiene in qualche modo<br />

l'autorità. È noto il fenomeno dei « riti comunisti ». La parte del<br />

segno sensibile nella vita sociale è dunque capitale. <strong>Il</strong> fatto positivo<br />

che Dio ha liberamente voluto che l'incontro tra Lui e<br />

l'uomo in Cristo si facesse in regime di segni sensibili appare<br />

così conseguenza naturale dell'altro fatto positivo ch'Egli ,ha voluto<br />

che lo stesso incontro avesse un carattere sociale e comunitario,<br />

e l'uno e l'altro rispondano alle più profonde tendenze dell'umana<br />

natura.<br />

Così il regime religioso strutturato di segni sensibili, che è<br />

appunto il regime liturgico, appare una protezione e una garanzia<br />

non solo di oggettività e d'incarnazionismb contro il pericolo del<br />

soggettivismo di astrattismo concettualistico, e di uno spiritualismo<br />

disincarnato, ma anche di sano <strong>senso</strong> comunitario contro i<br />

pericoli di un individualismo esagerato. Chi ha scoperto il valore<br />

dell'aspetto comunitario <strong>della</strong> religione e <strong>della</strong> pietà cristiana non<br />

solo non paventa il simbolismo liturgico, ma vi si trova a suo agio,<br />

perché intuisce connaturalmente il valore sociale del segno liturgico<br />

9i .<br />

Naturalmente, molte e gravi conseguenze, sulle quali dovremo<br />

tornare ancora, derivano dal fatto che il segno liturgico ha, tra le<br />

altre cose, valore essenzialmente comunitario e sociale. Basti accennare<br />

a questa: il segno liturgico è dunque fatto per la comunità<br />

e deve essere da essa capito sotto pena di perdere la sua efficacia<br />

psicologica. Questa semplice osservazione istrada sopra una ben determinata<br />

via tutta la questione <strong>della</strong> pastorale liturgica.<br />

Riprova: rito e religione. — Quanto detto sopra dei rapporti<br />

tra rito e natura umana, è oggi largamente confermato dagli ultimi<br />

93 L'aspetto sociale del segno liturgico è rilevato particolarmente da C. M.


RITO E <strong>RELIGIONE</strong> 81<br />

sviluppi delle due giovani scienze, la storia comparata delle religioni<br />

e la psicologia delle profondità applicata allcr studio del<br />

fenomeno religioso 94 .<br />

<strong>Il</strong> materiale da esse messo in luce può contribuire non poco<br />

a una migliore comprensione delle radici sanamente umane <strong>della</strong><br />

strutturazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in regime di segni sensibili e <strong>della</strong><br />

sua corrispondenza alle leggi più sicure <strong>della</strong> psicologia religiosa.<br />

Per molti nostri contemporanei è tanto più necessario riscoprire<br />

questo fatto fondamentale, che il modo in cui si è sviluppata la<br />

teologia dopo il secolo XIII 95 , l'antiritualismo protestante, lo sperimentalismo<br />

puramente interiore e individualista di certe correnti<br />

spirituali, il concettualismo astratto dell'illuminismo dei secoli XVII<br />

e XVIII, che tante tracce ha lasciato anche in noi nel campo religioso,<br />

finalmente, l'odierna diffusa mentalità tecnico-meccanica,<br />

cospirano a nascondere loro le esigenze <strong>della</strong> concreta natura umana<br />

in questo campo 96 . I sintomi dì una felice reazione per arrivare<br />

a un migliore equilibrio costituiscono ancora tutt'altro che una<br />

mentalità comune.<br />

Da questi studi si possono anche meglio comprendere i pericoli<br />

che minacciano la <strong>liturgia</strong> se non è conservato il giusto equilibrio<br />

tra la parola e gli altri generi di segni; se i segni, fatti appunto<br />

per significare, non sono più percepiti nel loro significato e quindi,<br />

di fatto, non significano più nulla; se, peggio ancora, la stessa parola<br />

liturgica, che, in gran parte, ha appunto la funzione di determinare<br />

il significato degli altri segni, diventa essa stessa incompresa; se,<br />

finalmente, il tutto ristagna in un tradizionalismo fissista che non<br />

ha più rispondenza nella vita.<br />

Sfortunatamente, il movimento liturgico ha dato fin qui una<br />

attenzione del tutto insufficiente a questo genere di studi tanto<br />

per la <strong>liturgia</strong> in genere quanto per le singole sue parti in specie 87 .<br />

TRAVERS, Valeur sociale de la liturgie d'après S. Thomas d'A., Paris 1946, per es.,<br />

pp. 313-17.<br />

94<br />

Vedi, per es., N. TURCHI, Simbolo e simbolismo nelle religioni non cristiane,<br />

in: Enciclopedia cattolica 11 (1953) 639 ss, con bibliografia. Particolarmente<br />

importanti sono, sotto questo aspetto, nel campo <strong>della</strong> storia comparata<br />

delle religioni, le opere di M. ELIADE (specialmente Traile d'histoire des religions,<br />

Paris 1949; Images et symboles, ibid. 1952; Mythes rèves et mystères, ibid.<br />

1957), nonché, sotto diversi aspetti, quelle di- G. VAN DER LEEUW (principalmente<br />

quella intorno all'essenza <strong>della</strong> religione e alle sue manifestazioni; vedi trad.<br />

francese, La religion dans son essence et ses manifestations, Paris 1955). Nel<br />

campo <strong>della</strong> psicologia religiosa sono pregevoli molte delle osservazioni fatte<br />

da C. G. JUNG (Vedi, per es., Vber die Arthetypen des kollektiven Unterbewusstseins,<br />

Zurigo 1935, nonché le raccolte francesi: L'homme à la découverte de<br />

son dme, Ginevra 1944; Problèmes de t'àme moderne, Parigi 1960; Psychologie<br />

et religion, ibid. 1960).<br />

95<br />

Per comprendere come-^llora si produsse un profondo cambiamento<br />

nella mentalità teologica, vedi M. D. CHENU, La théologie au XH« siede, Paris<br />

1957 pp. 159-220.<br />

98<br />

Vedi F. W. DILLISTONE, Christianity and symbolism, Collins 1956, con<br />

bibliografia.<br />

97<br />

Vedi VALEUR PERMANENTE DU SYMBOLISME (La maison Dieu n. 22 1950). L.<br />

BOUYER, Le rite et l'homme. Sacralità naturelle de la liturgie, Paris 1962.


82 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

4. LE COSE SIGNIFICATE DAL SEGNO NELLA LITURGIA<br />

Dopo aver spiegato il concetto di segno in genere e aver costatato<br />

l'impero universale del segno nella <strong>liturgia</strong>, bisogna determinare<br />

più accuratamente quali sono le cose sacre invisibili, implicate<br />

nei rapporti tra Dio e l'uomo, che sono significate dai segni liturgici.<br />

Le quattro dimensioni del segno liturgico in genere<br />

Sappiamo che la <strong>liturgia</strong> è il complesso dei segni sensibili per<br />

mezzo dei quali Dio, in Cristo e per Cristo, nella Chiesa e per la<br />

Chiesa, santifica l'uomo e l'uomo in Cristo e per Cristo, nella Chiesa<br />

e per la Chiesa, rende il suo culto a Dio. Così il segno liturgico,<br />

nel regime effettivamente voluto da Dio, è il luogo d'incontro tra<br />

Dio e l'uomo, dove Dio scende verso l'uomo e l'uomo sale a Dio.<br />

Le realtà significate dai segni liturgici sono dunque quelle che<br />

costituiscono l'incontro tra l'uomo e Dio: la santificazione che Dio<br />

fa <strong>della</strong> Chiesa in Cristo, e il culto che la Chiesa in Cristo rende<br />

a Dio. Santificazione e culto sono due cose che, come spiegheremo<br />

più accuratamente in seguito, richiamandosi necessariamente a<br />

vicenda, sono inseparabili nella realtà liturgica. Esse sono quindi<br />

sempre significate in ogni segno liturgico. Ma lo sono a piani diversi<br />

secondo i casi; perché, considerando i singoli segni liturgici, negli<br />

uni la santificazione è al primo piano e sarà quindi significata direttamente,<br />

mentre il culto è al secondo piano e sarà 'significato indirettamente;<br />

negli altri, invece, avviene il contrario: il culto, al<br />

primo piano, sarà significato direttamente e la santificazione, al<br />

secondo piano, lo sarà solo indirettamente. Comunque, ogni segno<br />

liturgico significherà sempre quelle realtà sacre spirituali soprasensibili<br />

nelle quali consiste la santificazione che Dio in Cristo fa<br />

<strong>della</strong> Chiesa e il culto che la Chiesa in Cristo rende a Dio.<br />

* * *<br />

Quali sono, più precisamente, queste realtà? Tante cose diverse<br />

concorrono a costituirle sotto diversi aspetti. I segni liturgici, sotto<br />

diversi aspetti, riferendosi a tali cose, le significano, a diversi titoli.<br />

Quali siano esattamente ce se ne può fare un'idea analizzando i diversi<br />

elementi spirituali soprasensibili che la santificazione e il<br />

culto implicano in qualche modo secondo i diversi ordini di causalità.<br />

~~-—La causa formale intrinseca <strong>della</strong> santificazione è costituita<br />

dalla grazia santificante con tutte le virtù infuse che l'accompagnano.<br />

Quella del culto è l'atteggiamento interno di venerazione


DIMENSIONI DEL SEGNO LITURGICO 83<br />

verso Dio basato sul riconoscimento <strong>della</strong> sua eccellenza. Esso è<br />

fatto di ammirazione, di stima, di onore, di preghiera, nonché di<br />

umiltà, e di protestazione di sottomissione, ciò che include pentimento<br />

e volontà di soddisfazione in caso di peccato. <strong>Il</strong> tutto è<br />

espressione <strong>della</strong> virtù di religione, con quanto essa implica, virtù<br />

che ci fa rendere a Dio tutto ciò che è a Lui dovuto in quanto precisamente<br />

è primo principio creatore e governatore delle cose.<br />

All'ordine <strong>della</strong> causalità materiale invisibile nella santificazione<br />

cristiana e nel culto cristiano appartiene, in primo luogo,, l'anima<br />

come soggetto soprasensibile <strong>della</strong> santificazione. Ma, si badi bene,<br />

non si tratta mai dell'anima individuale considerata separatamente<br />

dalla Chiesa, come società anche invisibile dei credenti in Cristo,<br />

ma dell'anima nella Chiesa. In questo <strong>senso</strong> si dice che è la Chiesa<br />

che nella <strong>liturgia</strong> è santificata, e nella Chiesa e per la Chiesa, le<br />

singole anime. In secondo luogo all'ordine <strong>della</strong> ' causalità materiale<br />

invisibile <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> appartengono le disposizioni morali necessarie<br />

nell'anima perché possa essere soggetto atto a ricevere la santificazione<br />

e a rendere il culto cristiano a Dio. E qui è necessario<br />

insistere. Nell'adulto il ricevere la santificazione e il rendere il culto<br />

a Dio è UH atto pienamente umano, quindi libero e morale, e non<br />

mai un atto puramente meccanico. Quando si dice che i sette sacramenti<br />

danno la grazia ex opere operato ciò significa sempre che<br />

la danno in tal modo a chi non vi pone ostacolo d'ordine morale,<br />

ostacolo che equivale alla mancanza di disposizioni morali, umane<br />

e libere, prerequisite. Senza queste disposizioni, niente effetto di<br />

grazia.<br />

È per questo che, contro tutte le incomprensioni protestanti<br />

e razionaliste in questo campo, la teologia cattolica non si stanca<br />

di ripetere che il processo in cui avviene la santificazione negli<br />

stessi sette sacramenti, pur trascendendo immensamente la possibilità<br />

dello sforzo morale del solo uomo, non ha niente a che fare<br />

col processo magico. Nel processo magico è l'uomo che, per via fisicomeccanica,<br />

crede di forzare una potenza divina e metterla a sua disposizione<br />

e questo indipendentemente dalle sue disposizioni morali<br />

verso quella potenza. Nei sacramenti, invece, l'uomo si sottomette<br />

moralmente alla volontà di Dio che ha stabilito di comunicare in<br />

tal modo la vita divina e accetta questo modo; e l'effetto <strong>della</strong> comunicazione<br />

<strong>della</strong> grazia nell'adulto è sempre condizionato alle sue<br />

disposizioni morali. Inoltre, a queste disposizioni morali è sempre<br />

condizionata, nell'adulto, la conservazione <strong>della</strong> santificazione ricevuta<br />

nel sacramento e, fintanto che egli vive quaggiù, rimane integra<br />

la possibilità <strong>della</strong> caduta per introduzione di disposizioni morali<br />

contrarie.<br />

Tra -le disposizioni morali <strong>della</strong> santificazione è da annoverare<br />

L'IMPEGNO MORALE PER L'AVVENIRE di vivere in modo corrispondente<br />

alle esigenze del nuovo modo di essere che si riceve nell'atto<br />

santificativo. Questo impegno è sempre più o meno esplicito nell'adulto<br />

che riceve la santificazione, appunto perché questa implica


84 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

sempre l'ordine morale <strong>della</strong> libera cooperazione. In questo <strong>senso</strong><br />

preciso ogni sacramento è per l'adulto che lo riceve un GIURA­<br />

MENTO.<br />

Questo vale anche per il culto: la disposizione d'animo nella<br />

quale consiste il culto interno non è concepibile senza l'impegno,<br />

almeno implicito, di vivere in avvenire come lo esige quell'eccellenza<br />

di Dio che riconosciamo nel culto e la sottomissione che gli<br />

protestiamo. Ogni atto liturgico in cui l'uomo riceve la santificazione<br />

e rende il suo culto a Dio, implica dunque un impegno, un<br />

obbligo liberamente assunto per l'avvenire, un implicito giuramento,<br />

e il peccatore cristiano, rompendo i patti giurati con Dio, è<br />

necessariamente un fedifrago.<br />

Sempre tra le disposizioni morali indispensabili perché l'anima<br />

possa ricevere fruttuosamente la santificazione ed esercitare il culto,<br />

si noti pure la fede. Ogni azione liturgica presuppone ed esprime<br />

la fede di chi vi prende parte. Per cui non solo i sette sacramenti<br />

sono sacramenta fidei, ma tutta la <strong>liturgia</strong> è in grado eminente<br />

una protestano fidei.<br />

Causa efficiente principale invisibile <strong>della</strong> santificazione è Dio;<br />

Cristo nella sua umanità ne è la causa efficiente strumentale invisibile,<br />

perché di essa, come di strumento congiunto, si serve la divinità<br />

per santificare. Causa efficiente meritoria <strong>della</strong> stessa santificazione<br />

sono le azioni salutifere di Cristo nella sua vita mortale,<br />

massimamente la passione e morte in croce. Causa efficiente soprasensibile<br />

principale del culto che la Chiesa rende a Dio è Cristo<br />

stesso, perché il culto <strong>della</strong> Chiesa non è altro che il culto che Cristo<br />

rende a Dio per mezzo <strong>della</strong> Chiesa e facendovi partecipare la Chiesa,<br />

le cui disposizioni d'animo sono quindi strumento di cui si serve<br />

Cristo e partecipazione alle disposizioni d'animo di Cristo.<br />

Causa finale propria <strong>della</strong> santificazione, (quella comune a tutte<br />

le cose è sempre la gloria di Dio), è la futura gloria <strong>della</strong> visione<br />

beatifica a cui la grazia è intrmsecamente ordinata come il seme<br />

è intrinsecamente ordinato all'albero. Causa finale propria del culto<br />

quaggiù è il culto eterno e cosmico di Dio nella Gerusalemme<br />

celeste.<br />

Causa esemplare <strong>della</strong> santificazione e del culto che si compiono<br />

nella nostra <strong>liturgia</strong>, sotto un aspetto è Cristo stesso, alla<br />

cui santificazione e al cui culto noi partecipiamo e siamo mo<strong>della</strong>ti<br />

nella <strong>liturgia</strong>. Sotto un altro aspetto tutte le santificazioni e tutti<br />

i culti che, almeno dopo il peccato di Adamo, avvennero sulla terra<br />

prima di Cristo, specialmente nella storia del popolo di Dio, hanno<br />

una relazione di esemplarità rispetto alla santificazione e al culto<br />

<strong>della</strong> nostra <strong>liturgia</strong>; infatti, non erano altro che primi abbozzi<br />

imperfetti <strong>della</strong> santificazione e del culto che si compì in Cristo<br />

stesso e si compie ora nella nostra <strong>liturgia</strong> in Cristo. Sotto un terzo<br />

aspetto causa esemplare <strong>della</strong> santificazione e del culto che si compiono<br />

nella nostra <strong>liturgia</strong> è la perfetta santificazione e il perfetto


SEGNO DEL PRESENTE, PASSATO E FUTURO 85<br />

culto <strong>della</strong> Gerusalemme celeste di cui la nostra santificazione e<br />

il nostro culto non sono che abbozzi e schizzi ancora imperfetti<br />

che tendono ad essi come al loro supremo ideale in cui troveranno<br />

perfetto compimento.<br />

Queste, dunque, sono le realtà spirituali soprasensibili implicate<br />

dalla santificazione e dal culto nella <strong>liturgia</strong>, significate, a suo<br />

modo, dai segni liturgici. È tutto questo che intelligitur nei segni<br />

liturgici, nei quali aliud videtur et aliud intelligitur.<br />

* * *<br />

Tali realtà sono però significate dai segni liturgici secondo un<br />

ordine determinato, in quanto tutte hanno un certo ordine all'elemento<br />

formale intrinseco <strong>della</strong> nostra santificazione e del nostro<br />

culto, che è la grazia santificante e la disposizione d'animo in cui<br />

il nostro culto consiste. È questo l'elemento centrale e primario<br />

che significano immediatamente e in primo luogo i segni liturgici.<br />

Tutti gli altri elementi essi li significano in quanto hanno un necessario<br />

ed intrinseco rappòrto all'elemento primario e centrale su<br />

cui converge anzitutto la funzione significativa e rappresentativa<br />

del segno liturgico. La nostra santificazione e il nostro culto presuppongono,<br />

tra le altre cose, le nostre disposizioni morali, specialmente<br />

la fede e l'impegno morale per l'avvenire; di conseguenza<br />

i segni liturgici, significando direttamente la nostra santificazione<br />

e il nostro culto, significano pure le nostre disposizioni, in specie<br />

la nostra fede é il nostro impegno per l'avvenire; sono segni morali<br />

e impegnativi. Ancora: la nostra grazia viene da Dio, ma per mezzo<br />

di Cristo redentore; Egli ce l'ha meritata, massimamente nella sua<br />

passione; Egli ce la trasmette partecipandoci la santità o vita<br />

divina che ha in plenitudine. <strong>Il</strong> culto che rendiamo a Dio è il culto<br />

che Cristo rese sulla terra e rende sempre a Dio e a cui Egli ci<br />

associa. Così il segno liturgico, significando anzitutto la nostra santificazione<br />

e il nostro culto, significa, per conseguenza, Dio agente<br />

in noi, e Cristo e la sua santità e la sua passione e il suo culto.<br />

Ma poiché la nostra santificazione e il nostro culto sono diretti<br />

alla gloria futura e al culto <strong>della</strong> Gerusalemme celeste, anche la<br />

gloria e la Gerusalemme celeste saranno significati nel segno liturgico.<br />

Perché poi la nostra santificazione e il nostro culto compiono<br />

in sé, come la statua più perfetta compie l'abbozzo, tutto quello<br />

che, dopo il peccato di Adamo e prima di Cristo, vi fu nel mondo<br />

di santificazione e di culto accetto a Dio, massimamente nell'Antico<br />

Testamento, così, necessariamente, i segni liturgici significheranno<br />

anche quelle santificazioni e quei culti prima di Cristo.<br />

Ci si accorge così che, considerando queste sacre realtà invisibili,<br />

significate dai segni liturgici, sotto l'aspetto del presente,<br />

del passato e del futuro, i segni liturgici hanno riferimento di significato<br />

a tutta la storia sacra, presente, passata e futura. Significano<br />

infatti una serie di realtà sacre soprasensibili come presenti<br />

hic et nunc nell'azione sacra: è la grazia santificante còlle virtù


86<br />

CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

infuse in cui consiste formalmente la santificazione significata dai<br />

segni; è la disposizione d'animo cultuale come espressione <strong>della</strong><br />

virtù di religione nei suoi diversi aspetti, in cui consiste formalmente<br />

il culto significato dagli stessi segni; sono le presupposte<br />

disposizioni morali, in specie la fede e l'impegno per il futuro; è<br />

Dio operante presentemente come causa principale efficiente <strong>della</strong><br />

santificazione e come oggetto ultimo del culto; è Cristo anche nella<br />

sua umanità come causa esemplare e strumentale <strong>della</strong> santificazione<br />

e causa principale efficiente ed esemplare del culto; è la Chiesa<br />

come popolo di Dio nel suo aspetto invisibile, oggetto <strong>della</strong> santificazione<br />

e causa strumentale del culto che per essa Cristo rende<br />

a Dio.<br />

Una seconda serie di realtà sacre invisibili significate dai segni<br />

liturgici sono realtà del passato: sono le azioni salutifere di Cristo<br />

nella sua vita terrena, massimamente nella sua passione e morte,<br />

come causa meritoria <strong>della</strong> grazia significata dai segni liturgici e<br />

che costituirono l'inizio di quel culto di Dio che Cristo ora continua<br />

nella <strong>liturgia</strong>; sono le santificazioni e i culti che, dopo il peccato<br />

di Adamo, ebbero luogo sulla terra, prime ombre e abbozzi imperfetti<br />

di cui la santificazione e il culto che si compiono nella <strong>liturgia</strong><br />

sono il compimento che si avvicina molto più alla perfezione definitiva.<br />

Finalmente, una terza serie di realtà significate dai segni liturgici<br />

sono realtà del futuro, cioè la gloria e il culto <strong>della</strong> Gerusalemme<br />

celeste, che sono il fine e l'esemplare perfetto cui tendono<br />

come a loro perfezione intrinseca la santificazione e il culto <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> di quaggiù.<br />

Così ogni segno liturgico riguarda il presente, il passato e il<br />

futuro. Ma come segno del presente il segno liturgico ha due funzioni<br />

che è opportuno distinguere accuratamente. Infatti, molte di<br />

queste realtà presenti, il segno liturgico le indica come semplicemente<br />

presenti: così la grazia santificante e le disposizioni d'animo<br />

in cui consiste formalmente il culto interno; Dio operante la santificazione<br />

e oggetto del culto; Cristo causa strumentale ed esemplare<br />

<strong>della</strong> santificazione nonché causa efficiente principale e causa<br />

esemplare del culto; la Chiesa oggetto <strong>della</strong> santificazione e causa<br />

strumentale del culto. C'è invece una realtà che il segno liturgico<br />

indica bensì come présente ma che riguarda però intrinsecamente<br />

le azioni future <strong>della</strong> vita; questa realtà è la disposizione d'animo<br />

prerequisita in colui che riceve la santificazione o rende il culto<br />

per cui egli s'impegna attualmente a vivere per l'avvenire in conformità<br />

alle esigenze <strong>della</strong> santificazione ricevuta e del culto interno<br />

manifestato. Così il segno impegnativo ha qualcosa del segno del<br />

presente e del segno del futuro. La sua importanza è capitale poiché,<br />

da una parte, fa vedere come la vita liturgica incide fortemente<br />

nella cooperazione libera e nella vita morale che esige e,<br />

dall'altra, dimostra come la vita morale e ascetica fuori dell'azione<br />

liturgica, non è qualcosa di semplicemente parallelo e senza connessione<br />

con la vita liturgica, ma una sua connaturale derivazione<br />

richiesta in germe da ogni azione liturgica.


QUATTRO DIMENSIONI DEL SEGNO LITURGICO 87<br />

* * *<br />

In conclusione, il segno liturgico ha, dunque, quattro dimensioni:<br />

è segno dimostrativo delle realtà sacre invisibili presenti:<br />

anzitutto <strong>della</strong> grazia santificante e del culto interno; quindi di Dio<br />

operante la santificazione e oggetto di culto; di Cristo, causa strumentale<br />

ed esemplare <strong>della</strong> santificazione e causa principale ed<br />

esemplare nonché oggetto del culto; <strong>della</strong> Chiesa oggetto <strong>della</strong> santificazione<br />

e causa strumentale del culto. È segno morale e impegnativo<br />

già nel presente delle azioni future <strong>della</strong> vita di chi riceve<br />

la santificazione e rende il culto. È segno rimemorativo delle azioni<br />

salutifere di Cristo, anzitutto <strong>della</strong> sua passione e morte, nonché<br />

dei culti e delle santificazioni che avvennero nel mondo dopo il<br />

peccato di Adamo e prima di Cristo. È segno preannunziativo o profetico<br />

<strong>della</strong> gloria celeste e del culto <strong>della</strong> Gerusalemme futura.<br />

È da osservare però che le realtà del passato e quelle del<br />

futuro, non sono significate nei segni liturgici come puramente<br />

passate o future, ma lo sono, in qualche modo, anche come presenti.<br />

La questione di come debba essere concepita questa presenza <strong>della</strong><br />

realtà sacra passata, nell'azione liturgica attuale, quando si tratta<br />

delle azioni salutifere di Cristo nella sua vita mortale, e specialmente<br />

<strong>della</strong> passione, per la sua speciale difficoltà, sarà esaminata<br />

a parte. Ma è chiaro sin d'ora che le santificazioni e i culti che<br />

ebbero luogo prima di Cristo sono significati nei segni liturgici<br />

anche come presenti: in quanto il segno liturgico significa, come<br />

presente, la santificazione e il culto cristiano, il quale, eminentemente,<br />

compie in se stesso e rende presenti le santificazioni e i<br />

culti prima di Cristo, come la statua più perfetta compie in sé e<br />

rende presente l'abbozzo che l'ha preceduta. Invece la gloria futura<br />

e il culto <strong>della</strong> Gerusalemme celeste sono significati nel segno liturgico<br />

anche come presenti, perché la grazia <strong>della</strong> santificazione e<br />

il culto significati nella <strong>liturgia</strong> sono realmente il seme e il primo<br />

abbozzo <strong>della</strong> gloria futura e del culto celeste. Infatti, il seme e l'abbozzo<br />

significano come presente e, a loro modo, rendono già presente<br />

la cosa di cui sono il seme e l'abbozzo. <strong>Il</strong> passato e il futuro<br />

sono, dunque, significati nei segni liturgici come in un soprattemporale<br />

presente, perché le realtà sacre invisibili significate, sotto<br />

un certo aspetto, come passate o future, sotto un altro aspetto<br />

sono significate come concentrate nella realtà presente. I segni<br />

liturgici concentrano dunque, a loro proprio modo, tutta la realtà<br />

<strong>della</strong> storia sacra nel suo presente, passato e futuro.<br />

Si osserverà che in tutto questo non ho fatto altro che completare<br />

ed adattare alla realtà liturgica in tutti i suoi aspetti quello che,<br />

intorno al significato dei segni sacri, S. Tommaso aveva asserito<br />

dei sette sacramenti in modo speciale quando in essi vedeva un<br />

triplice significato. « Sacramento propriamente detto, aveva osservato<br />

il santo Dottore restringendo il vecchio concetto di sacramentum<br />

ai soli sette sacramenti, si chiama quello che è ordinato a


88 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

significare la nostra santificazione 08 . In questa si possono considerare<br />

tre cose: cioè la causa stessa <strong>della</strong> nostra santificazione,<br />

che è la passione di Cristo; la forma <strong>della</strong> nostra santificazione che<br />

consiste nella grazia e nelle virtù; e il fine ultimo <strong>della</strong> nostra santificazione,<br />

che è la vita eterna. Tutte queste cose sono significate<br />

per mezzo dei sacramenti. Perciò il sacramento è segno rimemorativo<br />

di quello che precedette, cioè <strong>della</strong> passione di Cristo; segno<br />

dimostrativo di quello che è operato in noi dalla passione di Cristo,<br />

cioè <strong>della</strong> grazia; e pregnostico, cioè preannunziativo <strong>della</strong> futura<br />

gloria » 9 *.<br />

L'allargamento del concetto di S. Tommaso a tutto il complesso<br />

dei segni che compongono la <strong>liturgia</strong> è legittimo e necessario.<br />

Infatti, il motivo fondamentale che giustifica la tridimensionalità<br />

di significato del segno dei sette sacramenti segnalata da S. Tommaso<br />

— cioè il rapporto tra santificazione e le diverse cause da cui<br />

essa dipende — vale, a suo modo, per tutti i segni che compongono<br />

la <strong>liturgia</strong>, come ho sopra spiegato. Inoltre, la realtà di segno<br />

morale impegnativo, nell'ordine <strong>della</strong> causalità dispositiva, è non<br />

meno evidente di quella di segno dimostrativo, rimemorativo e<br />

preannunziativo nell'ordine <strong>della</strong> causalità efficiente, formale e finale.<br />

Ci si accorge così non solo che si ritrova il vecchio concetto<br />

patristico di sacramentum, mysterium, ma specialmente che si<br />

ritrova tutta la forza del suo significato, in una intuizione che era<br />

stata il grande assillo di Origene per esempio l0 °.<br />

Quando poi si vuole esaminare nei particolari questa quadridimensionalità<br />

di significato dei singoli segni liturgici, bisogna distinguere<br />

i segni liturgici d'istituzione divina e i segni liturgici d'istituzione<br />

ecclesiastica. Sebbene quest'esame spetti più propriamente<br />

alla <strong>liturgia</strong> speciale, un rapido sguardo è assai utile anche qui<br />

perché si percepisca più vivamente questa quadruplice dimensione<br />

del significato dei segni liturgici, cosa tanto essenziale per penetrare<br />

realmente nel mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

98 S. Tommaso intende: che è ordinato immediatamente (e non solo mediatamente)<br />

a significare la nostra santificazione come cosa che si realizza al presente<br />

Me et nunc. Così egli esclude dal concetto di sacramentum quelli che noi<br />

oggi diciamo i sacramentali perché in essi il segno non significa la santità direttamente<br />

in se stessa, ma solo mediatamente, perché immediatamente significa<br />

solo una disposizione alla santità; così pure esclude dal sacramentum tutto<br />

quello che immediatamente è ordinato a significare il culto a Dio, per esempio<br />

la lode divina e anche il sacrificio (perciò S. Tommaso nell'eucaristia distingue<br />

il sacramentum e il sacrificio).<br />

»» Summa III q 60 a 3.<br />

100 Cfr. H. VON BALTHASAR, Le mysterion d'Origene, in: Rech. de se. rei.<br />

26 (1936) 513 ss; 27 (1937) 38 ss.<br />

t


IL SEGNO NEL BATTESIMO 89<br />

La quadruplice dimensione dei segni liturgici<br />

d'istituzione divina<br />

Si tratta dei sette sacramenti e del sacrificio in quello che hanno<br />

di sostanziale e sono d'istituzione divina. L'esame <strong>della</strong> quadruplice<br />

dimensionalità del significato di questi segni ha, in specie,<br />

il vantaggio di farci vedere come, riguardo ai due sacramenti fondamentali<br />

del battesimo e dell'eucaristia, questa dottrina sia già<br />

esplicitamente proposta nella Scrittura.<br />

<strong>Il</strong> battesimo. — Come il rito battesimale sia segno dimostrativo<br />

<strong>della</strong> grazia di Cristo cui il fedele per mezzo di esso partecipa,<br />

S. Paolo lo afferma quando dice che per il battesimo moriamo al<br />

peccato : « Siamo morti al peccato... quanti fummo battezzati in<br />

Cristo Gesù... il vecchio uomo nostro fu crocifisso con lui perché<br />

fosse distrutto il corpo del peccato, affinché non si servisse più<br />

al peccato » (Rm 6,2 ss); oppure quando dice che il battesimo è<br />

« un lavacro di rigenerazione e di rinnovazione dello Spirito Santo »<br />

(77 3,5. Vedi Ef 3,25; Gv 3,5).<br />

Che il battesimo sia un segno impegnativo in cui il fedele si<br />

obbliga a vivere tutto il resto <strong>della</strong> vita come lo esige il nuovo stato,<br />

è il tema esplicito del capitolo sesto dell'epistola ai Romani : « Che<br />

diremo dunque? Che rimaniamo nel peccato perché abbondi la grazia?<br />

Non sia mai! Noi che siamo morti al peccato, come vivremo<br />

ancora in esso? Ovvero ignorate che quanti fummo battezzati in<br />

Cristo Gesù, nella sua morte fummo battezzati? Sepolti dunque<br />

fummo insieme con lui per il battesimo nella morte, affinché com'è<br />

risorto Cristo per la gloria del Padre, così anche noi camminiamo<br />

nella novità <strong>della</strong> vita... <strong>Il</strong> vecchio uomo nostro fu crocifisso con<br />

lui perché fosse distrutto il corpo del peccato, affinché non si servisse<br />

più al peccato. Infatti chi è morto è già franco dal peccato...<br />

Così anche voi stimatevi come morti al peccato, ma viventi per<br />

Iddio nel Cristo Gesù. Fate dunque che il peccato non regni più<br />

nel vostro corpo mortale, sì da ubbidire alle sue concupiscenze;<br />

né presentate le membra vostre quali armi d'iniquità al peccato,<br />

ma esibite voi stessi a Dio come viventi da morte e le membra<br />

vostre quali armi di giustizia a Dio... Ma adesso, affrancati dal peccato,<br />

asserviti a Dio, raccogliete, per vostro frutto, la santificazione...<br />

» (Rm 1,1 ss. Vedi anche Col 3,1-4,5).<br />

Si comprende così come Tertulliano 10 \ e parecchi scrittori<br />

ecclesiastici latini dopo di lui 102 , esprimessero un pensiero profondamente<br />

scritturistico, quando, sotto lo stesso concetto di sacra-<br />

101<br />

Vedi J. DE GHELLINCK, Pour l'histoire du mot sacramentum, I Louvain<br />

1924 pp. 66-113.<br />

10<br />

- Vedi A. BLAISE, Dictionnaìre latin jrangais des auteurs chrétiens, Strasbourg<br />

1954 alla voce: Sacramentum, dove si cita per es., S. Cipriano, Arnobio,<br />

Optato di Milevi, S. <strong>Il</strong>ario.


90 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

mentum, assimilavano il battesimo al sacramentum militiae, che<br />

anticamente era nello stesso tempo giuramento militare e rito di<br />

iniziazione e di consacrazione religiosa 103 ; cosa questa tanto più<br />

comprensibile che il rito di iniziazione nei misteri pagani era<br />

spesso considerato anche come un giuramento e un'iniziazione<br />

a una sacra milizia 104 e che, inoltre, nello stesso rito battesimale<br />

antichissimo, già esisteva l'esplicita rinunzia a satana, alle sue<br />

pompe e ai suoi angeli X05 , ciò che ha valore di vero giuramento.<br />

Così Tertulliano poteva dire : « Noi siamo stati chiamati alla milizia<br />

di Dio... quando rispondiamo con le parole del sacramentum » loe ;<br />

e S. Cipriano fa dire al confessore <strong>della</strong> fede : « Io volli per certo<br />

combattere fortemente; memore del mio sacramentum presi le armi<br />

<strong>della</strong> devotìo e <strong>della</strong> fede » 107 . Così ogni peccato grave del cristiano<br />

era considerato come un tentativo di « esautorarsi dai sacramenta<br />

benedictionis », ossia dagli obblighi del giuramento benedetto nel<br />

battesimo » I08 .<br />

II battesimo è segno « rimemorativo » dell'azione salutifera passata<br />

di Cristo, cioè <strong>della</strong> sua morte : « Ovvero ignorate che quanti<br />

fummo battezzati in Cristo Gesù, nella sua morte fummo battezzati?<br />

Sepolti dunque fummo insieme con lui per il battesimo nella morte...<br />

Se infatti siamo diventati un solo germoglio nella somiglianza<br />

<strong>della</strong> morte... » (Rm 6,3 ss).<br />

Come il battesimo sia anche segno « rimemorativo » <strong>della</strong> storia<br />

sacra passata prima di Cristo si può vedere, per esempio, in 1 Cor<br />

10,1-11: il battesimo degl'israeliti « in Mosè, nella nube e nel mare-<br />

Or questi fatti sono divenuti tipi per noi... Tutto questo accadde<br />

loro per tipo, e fu scritto ad ammonimento di noi nei quali la fine<br />

dei tempi è arrivata ». Vedi pure 1 Pt 3,20 ss : « ...nei giorni in cui<br />

Noè costruiva l'arca, nella quale pochi, cioè otto anime, si salvarono<br />

per mezzo dell'acqua. Questa che ora, come antitipo, salva anche<br />

noi, è il battesimo ».<br />

Come il battesimo sia segno profetico <strong>della</strong> futura gloria, lo<br />

inculca S. Paolo nello stesso testo ai Rm 6,2-11 : « ...Se infatti siamo<br />

diventati un sol germoglio (con Cristo) nella somiglianza <strong>della</strong><br />

morte sua, lo saremo anche <strong>della</strong> risurrezione... Se siamo morti<br />

con Cristo, crediamo che vivremo ancora con lui » 109 .<br />

L'eucarestia. — Si legga la narrazione dell'istituzione nei sinottici<br />

(Mt 26,17-29; Me 14,12-25; Le 22,7-38); le riflessioni di S. Paolo:<br />

ma Vedi per es., F. DOELGER, Antike und Christentum 1930 p. 280; Jahb. fiir<br />

Liturgiew, 1923 p. 227; 0. CASEL, in: Theologische Revue 1925 p. 41.<br />

io* Cfr. TERTULLIANO, De corona 15 a proposito <strong>della</strong> iniziazione mitriaca.<br />

io» Vedi TERTULLIANO, De spectac. 4.<br />

"e Ad Marty. 3.<br />

io? De tapsis 13.<br />

los TERTULLIANO, De pudic. 14.<br />

109 cfr. anche Tt 3,5-7. Questo quadruplice significato del battesimo era<br />

molto più espressivamente affermato nell'antico rito del battesimo per immersione.<br />

Vedi RIGHETTI IV 65; 68 s.


IL SEGNO NELL'EUCARISTIA 91<br />

1 Cor 10,16-21; 11,23-30; il discorso eucaristico nel sesto capitolo di<br />

S. Giovanni. L'eucarestia è segno dimostrativo anzitutto nel corpo<br />

e sangue di Cristo ivi presente : « Questo è il mio corpo... questo è<br />

il mio sangue » (parole dell'istituzione); « <strong>Il</strong> pane che io darò è la<br />

mia carne per la vita del mondo... Se non mangerete la carne del<br />

figlio dell'uomo e berrete il suo sangue... Chi mangia la mia carne<br />

e beve il mio sangue-. » (Gv 6,51 ss); « <strong>Il</strong> calice <strong>della</strong> benedizione<br />

che noi benediciamo, non è comunione del sangue di Cristo? <strong>Il</strong> pane<br />

che spezziamo, non è comunione del corpo di Cristo? » (ICor 10,<br />

16). Poi: l'eucarestia è segno dimostrativo <strong>della</strong> vita divina e <strong>della</strong><br />

grazia d'unione con Cristo e tra noi : « Chi mangia la mia carne e<br />

beve il mio sangue dimora in me e io in lui... Chi mi mangia anche<br />

lui vivrà a causa di me » (Gv 6,56 s; cfr. 6,50-52). « Poiché uno solo è<br />

il pane, un solo corpo siamo noi che siamo molti: tutti infatti partecipiamo<br />

dell'unico pane» (ICor 10,17).<br />

Dell'eucarestia segno impegnativo di una vita corrispondente<br />

S. Paolo parla esplicitamente in 1 Cor 10,14-22 per far capire ai<br />

cristiani l'obbligo di fuggire l'idolatria : «Pertanto, miei diletti,<br />

fuggite l'idolatria. Parlo come si parla a persone intelligenti: giudicate<br />

quel che dico: il calice di benedizione che noi benediciamo<br />

non è comunione del sangue di Cristo? <strong>Il</strong> pane che spezziamo non<br />

è comunione del corpo di Cristo?... quello che le genti immolano,<br />

lo sacrificano ai demoni e non a Dio. Ed io voglio che voi non siate<br />

in comunione coi demoni. Non potete bere il calice del Signore e il<br />

calice dei demoni; non potete partecipare alla mensa del Signore<br />

e a quella dei demoni. O vogliamo provocare la gelosia del Signore?<br />

Forse siamo più forti di Lui?». <strong>Il</strong> concetto di eucarestia segno impegnativo<br />

di vita e del modo di condursi verso Dio è incluso in<br />

quello di nuovo patto, nuova alleanza nel sangue di Cristo (Mt 26,28;<br />

Me 14,24; Le 22,20; 1 Cor 11,25). Questo richiama il patto d'alleanza<br />

dell'Antico Testamento con la forte accentuazione di ciò che implica<br />

di consacratorio e di irrevocabilmente impegnativo per l'uomo che<br />

la riceve da Dio. L'impegno era consacrato nel sangue <strong>della</strong> vittima<br />

e nel banchetto sacro dinanzi a Dio (cfr. Es 24; Dt 29-30) 110 .<br />

<strong>Il</strong> concetto dell'eucaristia segno « rimemorativo » <strong>della</strong> cena e<br />

del Golgota è contenuto nei seguenti testi : « <strong>Il</strong> Signore... prese del<br />

pane, rese le grazie, lo spezzò e disse: questo è il mio corpo, che è<br />

per voi; fate questo in memoria di me. Similmente anche il calice,<br />

dopo aver cenato, dicendo: questo calice è il nuovo patto nel mio<br />

sangue: fate questo ogni volta ne beviate, in memoria di me. Infatti<br />

ogni volta che voi mangiate questo pane e beviate il calice, voi<br />

proclamate continuamente la morte del Signore» (ICor 11,23 ss).<br />

<strong>Il</strong> riferimento dell'eucaristia alla storia sacra precedente è<br />

espresso nelle parole : « Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue<br />

» (ICor 11,25. Cfr. Mt 26,28; Me 14,24; Le 22,20). Queste parole<br />

no per ia connessione dei concetti: sacrificio-banchetto sacro-alleanza-impegno<br />

vedi per es., W. EICHRODT, Teologie des AT I 1948 pp. 69-70 e nel Theol.<br />

Wort. zum NT le voci diatheke II 106 ss; koinonos III 802; 805 s.


92 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

alludono all'antico patto ai piedi del Sinai nel sangue dell'agnello<br />

(Es 24,8) e alle profezie del futuro patto che Dio avrebbe stretto<br />

col nuovo popolo ai tempi del messia (cfr. Ger 31,31; Zc 9,11). Relazioni<br />

tra l'eucaristia e la manna nel deserto : « I vostri padri mangiarono<br />

la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane disceso<br />

dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo<br />

che discesi dal cielo... e il pane che darò è la mia carne per la vita<br />

del mondo » Gv 6,49 ss; cfr. 6,32 ss, 59. Vedi anche 1 Cor 10,1-4.<br />

<strong>Il</strong> <strong>senso</strong> escatologico dell'eucaristia e, quindi, l'eucaristia come<br />

atto profetico <strong>della</strong> gloria futura, è pure un concetto che ricorre<br />

nei testi : « Ogni volta che voi mangiate questo pane e beviate il<br />

calice, voi proclamate continuamente la morte del Signore, sinché<br />

Egli non venga» (1 Cor 11,26). «Ho desiderato ardentemente di<br />

mangiare questa Pasqua con voi prima di patire, poiché vi dico<br />

che non ne mangerò più fino a che si celebri nel regno di Dio...<br />

Perché io vi dico che non berrò più del frutto <strong>della</strong> vite finché sia<br />

venuto il regno di Dio » (Le 22,15 ss). La connessione ideale dell'ultima<br />

cena celebrata da Cristo col banchetto pasquale giudaico è<br />

certa; non meno certo è il <strong>senso</strong> escatologico del banchetto pasquale<br />

giudaico. Anche per questo verso, si può vedere il <strong>senso</strong> escatologico<br />

dell'ultima cena. La connessione poi dell'eucaristia con la<br />

futura gloria e la risurrezione appare, per esempio, nei seguenti<br />

testi di Giovanni : « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue<br />

ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno... non<br />

come i vostri padri che mangiarono la manna e morirono: chi<br />

mangia questo pane vivrà in eterno » (6,55.59).<br />

La cresima. — Mentre per il battesimo e l'eucaristia la quadruplice<br />

dimensione del significato dei segni relativi è affermata<br />

con ogni chiarezza nella Scrittura, per gli altri sacramenti la cosa<br />

va dedotta per ragionamento dalla teologia generale di ognuno.<br />

La cresima è segno dimostrativo <strong>della</strong> grazia come effusione<br />

plenaria dello Spirito che avviene nel fedele al momento del rito<br />

liturgico. È segno impegnativo per il resto <strong>della</strong> vita come sigillo,<br />

carattere di appartenenza, consacrazione a Cristo e deputazione<br />

alla sua milizia. È segno rimemorativo <strong>della</strong> passione, perché l'effusione<br />

plenaria dello Spirito è l'effetto <strong>della</strong> passione di Cristo che<br />

sulla croce meritò di comunicarlo ai fedeli. Segno rimemorativo<br />

lo è anche delle comunicazioni ed effusioni dello Spirito di Dio nell'Antico<br />

Testamento, le quali erano abbozzi e prime figure <strong>della</strong><br />

sua comunicazione plenaria nel Nuovo Testamento. La cresima<br />

è, finalmente, segno profetico <strong>della</strong> pienezza dello Spirito nella<br />

gloria celeste quando questa pienezza sarà tale da risuscitare e trasformare<br />

gli stessi corpi dei fedeli a somiglianza del corpo glorioso<br />

di Cristo l ".<br />

1,1 Cfr. Rm 8,11 ss. Nella storia e nello stato attuale del rito liturgico <strong>della</strong><br />

cresima è facile ritrovare i quattro significati. L'imposizione delle mani con<br />

l'invocazione epicletica dello Spirito Santo fa vedere la cresima come segno<br />

dimostrativo dell'effusione plenaria e perfettiva dello Spirito. La « consigna-


IL SEGNO DELLA PENITENZA 93<br />

La penitenza. — <strong>Il</strong> fatto stesso che un penitente, detestando<br />

i propri peccati, li confessa e li sottomette al potere giudiziale<br />

<strong>della</strong> Chiesa, fa il proponimento per l'avvenire e ne riceve l'assoluzione,<br />

è un segno dal predetto quadruplice significato. È segno<br />

dimostrativo <strong>della</strong> riconciliazione con Dio e con la Chiesa per cui<br />

il fedele nel rito <strong>della</strong> penitenza passa nuovamente dalla morte<br />

alla vita. Questa nuova vita è la grazia e lo Spirito Santo, che Dio<br />

restituisce al penitente, come partecipazione alla pienezza <strong>della</strong><br />

vita divina di Cristo. <strong>Il</strong> valore di segno impegnativo nella penitenza<br />

è fortemente espresso nel proponimento di non più peccare. <strong>Il</strong> suo<br />

valore di segno rimemorativo <strong>della</strong> passione di Cristo si fonda nel<br />

fatto che da quella passione, come da causa meritoria, viene la<br />

possibilità <strong>della</strong> riconciliazione con Dio, colla Chiesa, l'efficacia del<br />

potere <strong>della</strong> Chiesa di rimettere i peccati e l'utilità soprannaturale<br />

delle disposizioni d'animo del penitente. Infatti, nel penitente,<br />

detestazione, confessione, proponimento, non sono atti vitali per<br />

ottenere la riconciliazione che in quanto sono una partecipazione<br />

alle disposizioni d'animo di cui Cristo, massimamente nella sua<br />

passione, fu animato verso i peccati degli uomini. Segno profetico<br />

<strong>della</strong> futura gloria e <strong>della</strong> vita beata, la penitenza lo è perché la<br />

grazia ivi riacquistata è il seme che connaturalmente esige di fiorire<br />

nella gloria m .<br />

L'Unzione degli infermi. — L'unzione degli infermi, dice S. Tommaso,<br />

« è il sacramento, che in qualche modo porta a compimento tutto<br />

il processo di cura spirituale e per cui l'uomo viene come preparato<br />

(intendi: immediatamente) per partecipare alla gloria» 113 . È segno<br />

dimostrativo <strong>della</strong> grazia santificante come irrobustimento contro<br />

la debilità spirituale che, per l'influsso non ancora completamente<br />

eliminato del diavolo, proviene dal peccato originale e abituale,<br />

tio », ossia il segno <strong>della</strong> croce sulla fronte, che-già negli antichi riti accompagnava<br />

spesso l'imposizione delle mani (vedi per es., M. RIGHETTI IV p. 91 s)<br />

e nel rito moderno è diventata la formula del sacramento (Signo te signo<br />

crucis...), indica come la cresima sia un segno rimemorativo anche <strong>della</strong> passione<br />

di Cristo, nonché segno impegnativo, quasi marchio di appartenenza a<br />

Cristo. La formula del Gelasiano, per esempio, indicava esplicitamente il significato<br />

escatologico <strong>della</strong> cresima: « Signum Christi in vitam aeternam».<br />

112 Anche nelle formule e nei riti sia storici che attuali <strong>della</strong> penitenza<br />

i diversi significati sono abbondantemente espressi. Per esempio: nel rituale<br />

odierno: la preghiera dopo la formula di assoluzione:<br />

« Passio Domini nostri lesti Christi...<br />

sint tibi in remissionem peccatorum,<br />

augmentum gratiae,<br />

et premium vitae aeternae ».<br />

Nell'antica penitenza pubblica tutto questo era espresso più fortemente<br />

ancora (Vedi, per es., nel Pontificale romano: il prefazio per la riconciliazione<br />

dei penitenti il Giovedì Santo — per la storia di questa formula, vedi RIGHETTI<br />

IV p. 195 s —. Vedi anche la formula di assoluzione ibid. alla fine del rito :<br />

« Dominus Jesus Christus... »).<br />

113 C. Gent. IV 73. Vedi anche B. BOTTE, L'onction des matades, in: La Maison<br />

Dieu, n. 15 (1948) pp. 91-97.


94 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

sebbene già rimessi n ". E segno impegnativo degli atti futuri che<br />

possono ancora rimanere nella vita perché non vi è comunque<br />

sanazione dal peccato che non implichi in colui che la riceve simile<br />

proponimento di vita. E segno rimemorativo <strong>della</strong> passione di<br />

Cristo che è la causa meritoria di tale grazia; ed è segno profetico<br />

<strong>della</strong> futura gloria che è il fiore connaturale di questo risanamento<br />

ed alla quale prepara immediatamente lls .<br />

L'ordine. — L'ordine è segno dimostrativo <strong>della</strong> grazia e del<br />

carattere sacerdotale come partecipazione specialissima al sacerdozio<br />

di Cristo. È segno impegnativo <strong>della</strong> vita del sacerdote stesso<br />

al servizio di Cristo secondo l'esigenza del ministero sacerdotale.<br />

È segno rimemorativo degli atti salutiferi di Cristo e massimamente<br />

<strong>della</strong> sua passione, perché è in questi atti, e principalmente nella<br />

sua passione, che Cristo esercitò il sacerdozio a cui ora partecipano<br />

i sacerdoti suoi ministri ed è in essi che meritò di partecipare loro<br />

la grazia sacerdotale con tutto quello che implica. È anche segno<br />

rimemorativo di tutti i sacerdozi <strong>della</strong> storia prima di Cristo, specialmente<br />

dell'Antico Testamento, i quali non erano che un abbozzo<br />

del sacerdozio di Cristo e <strong>della</strong> partecipazione che ora Egli ne fa<br />

ai suoi ministri. È segno profetico <strong>della</strong> gloria futura come frutto<br />

plenario del sacerdozio di Cristo e dei suoi ministri lie .<br />

<strong>Il</strong> matrimonio. — È segno dimostrativo <strong>della</strong> grazia santificante<br />

come grazia d'unione tra i due sposi in vista <strong>della</strong> procreazione<br />

ed educazione dei figli che dovranno essere membri <strong>della</strong> Chiesa<br />

e cittadini <strong>della</strong> città celeste, il tutto come partecipazione alla<br />

grazia di Cristo che nella Chiesa e per la Chiesa genera i figli a Dio.<br />

È segno impegnativo <strong>della</strong> vita futura degli sposi secondo le esigenze<br />

del matrimonio cristiano. È segno rimemorativo <strong>della</strong> passione<br />

di Cristo dove egli si acquistò la Chiesa come sposa (Ef 5,25 ss),<br />

ossia il diritto di santificare gli uomini e di farli, a titoli diversi,<br />

cooperatori <strong>della</strong> sua azione di generazione alla vita divina. E nello<br />

stesso tempo segno rimemorativo di tutti i matrimoni come grazia<br />

d'unione prima di Cristo perché primi abbozzi <strong>della</strong> grazia d'unione<br />

matrimoniale in Cristo. È segno profetico <strong>della</strong> futura gloria celeste<br />

concepita, come lo vuole l'Apocalisse (19,7; 21,2.9), come le perfette<br />

e definitive nozze dell'Agnello " 7 .<br />

" 4 Vedi S. TOMMASO, Summa III suppl. q 30 a 1.<br />

il» Nei riti attuali <strong>della</strong> sacra unzione viene specialmente espresso il valore<br />

di segno dimostrativo del sanamento e dell'irrobustimento dell'anima (Vedi per<br />

es., Rituale romano n. 7; il rito dell'unzione; la preghiera Respice... al n. 12).<br />

ne Nei diversi prefazi di ordinazione dei riti attuali è molto accentuato<br />

il concetto <strong>della</strong> grazia del sacerdozio per mezzo dell'infusione dello Spirito,<br />

del segno rimemorativo del sacerdozio, ecc. dell'Antico Testamento, e del segno<br />

impegnativo per il resto <strong>della</strong> vita dell'ordinato.<br />

117 I riti attuali del rituale romano per la benedizione del matrimonio<br />

sono molto sobri, per non dire poveri. <strong>Il</strong> rituale bizantino, per esempio, è molto<br />

più sviluppato.


I<br />

I SEGNI D'ISTITUZIONE ECCLESIASTICA 95<br />

La quadruplice dimensione dei segni liturgici<br />

d'istituzione ecclesiastica<br />

I segni liturgici d'istituzione ecclesiastica si possono distinguere<br />

in tre gruppi: le cerimonie, ossia gesti, atteggiamenti, movimenti,<br />

con cui la Chiesa, nella celebrazione del sacrificio e nell'amministrazione<br />

dei sette sacramenti, accompagna e, per così dire, riveste<br />

il nucleo essenziale d'istituzione divina e la recitazione delle ore<br />

canoniche; le preghiere d'istituzione ecclesiastica nella celebrazione<br />

del sacrifìcio e nell'amministrazione dei sette sacramenti, ma, specialmente,<br />

quelle che costituiscono l'ufficio delle ore canoniche; i<br />

sacramentali intesi nel <strong>senso</strong> stretto odierno. Non è necessario, per<br />

lo scopo che qui perseguiamo, discutere le questioni che potrebbe<br />

sollevare un simile raggruppamento dei segni liturgici d'istituzione<br />

ecclesiastica.<br />

Sebbene anche nella <strong>liturgia</strong> d'istituzione ecclesiastica culto e<br />

santificazione siano realtà che non possono èssere dissociate, tuttavia<br />

in essa, non esclusi, come pare, gli stessi sacramentali, l'aspetto<br />

culto è al primo piano e predomina sull'aspetto santificazione.<br />

È dunque la realtà culto che questi segni significheranno anzitutto;<br />

ma anche nel significare questa realtà si ritroverà, a suo modo,<br />

la quadruplice dimensione del segno liturgico: dimostrativo del<br />

presente, morale e impegnativo per il resto <strong>della</strong> vita, rimemorativo<br />

del passato, e preannunziativo, o profetico, del futuro.<br />

La realtà invisibile presente, di cui il segno liturgico è dimostrativo,<br />

sarà qui, anzitutto, la disposizione d'animo interna <strong>della</strong><br />

Chiesa in cui consiste formalmente il culto liturgico; sarà pure la<br />

disposizione d'animo di Cristo in cui consiste il suo culto a Dio e<br />

di cui il culto <strong>della</strong> Chiesa non è che una partecipazione e uno strumento.<br />

La realtà presente, di cui il culto è segno morale e impegnativo,<br />

sarà la vita morale del fedele. Quella passata di cui il culto<br />

è segno rimemorativo sarà in primo luogo il culto che Cristo rese<br />

a Dio sulla terra, massimamente nella sua passione, dove iniziò il<br />

culto che oggi si continua nella Chiesa, e meritò di renderne partecipe<br />

questa stessa Chiesa; poi saranno tutti quei culti che furono<br />

resi a Dio dopo il peccato di Adamo e prima di Cristo, i quali non<br />

erano che abbozzi e primi adombramenti del culto di Cristo e <strong>della</strong><br />

Chiesa. Finalmente, la realtà futura di cui il culto è segno profetico<br />

sarà il culto perfetto <strong>della</strong> Gerusalemme celeste nella gloria. Per<br />

comprendere con quali sfumature proprie questo quadruplice significato<br />

si ritrovi in ogni segno d'istituzione ecclesiastica, bisogna esaminare<br />

più particolarmente i tre gruppi di ségni sopra elencati.<br />

Le cerimonie. — Ogni gesto, atteggiamento, movimento, in cui<br />

consistono le cerimonie, ha per scopo di esprimere, e nello stesso<br />

tempo di creare in colui che lo compie e. in coloro che lo vedono,<br />

le varie disposizioni d'animo nelle quali consiste formalmente il


96 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

culto interno che la Chiesa rende a Dio, come adorazione, venerazione,<br />

umiltà, compunzione, preghiera. Perciò ogni gesto, atteggiamento<br />

o movimento delle cerimonie sarà a suo modo segno dalla<br />

quadruplice dimensione.<br />

Una semplice genuflessione davanti al Santissimo, per esempio,<br />

è un segno dimostrativo del sentimento di venerazione e adorazione<br />

che la Chiesa ha verso Gesù Cristo, che non • separa del resto, in<br />

questo, dal Padre e dallo Spirito 118 . È pure un segno dimostrativo<br />

del culto interno di Cristo a Dio, del cui culto, quello <strong>della</strong> Chiesa<br />

a Dio, non è che una partecipazione e uno strumento. La genuflessione<br />

è anche per colui che la fa un segno impegnativo di vita<br />

morale. Se, infatti, colui che fa la genuflessione non avesse, in modo<br />

più o meno esplicito, questa disposizione d'animo impegnativa per<br />

il futuro, ma che intendesse, per esempio, riservarsi la libertà di<br />

peccare, non farebbe certo un vero atto di culto ma, anzi, un'offesa<br />

a Dio; un atto di culto implica necessariamente un impegno morale<br />

per il futuro 119 . La genuflessione è pure un segno rimemorativo<br />

del passato: anzitutto, perché, fatta davanti al Santissimo, ipso<br />

facto proclama che il Verbo s'incarnò, morì e risuscitò, salì al cielo<br />

alla destra del Padre ed è ora sacramentalmente presente nell'eucaristia;<br />

riconosce che quella disposizione d'animo, nella quale consiste<br />

il culto di venerazione e di adorazione espresso nel gesto esterno,<br />

non sarebbe possibile se Cristo non ce l'avesse meritata nella<br />

sua passione e che, quel culto, in quanto si indirizza a Dio, non è<br />

altro che la partecipazione al culto che Cristo rese a Dio nella sua<br />

vita terrena, massimamente sulla croce. La genuflessione è pure<br />

segno rimemorativo dei culti che furono resi a Dio prima di Cristo,<br />

almeno dopo il peccato di Adamo, perché quei culti non erano che<br />

un'adombrazione e un abbozzo del culto futuro che la Chiesa in<br />

Cristo avrebbe reso a Dio. Finalmente, la genuflessione è ancora<br />

un segno profetico <strong>della</strong> futura venerazione e adorazione che noi<br />

renderemo a Dio e a Cristo nella Gerusalemme celeste poiché la<br />

nostra adorazione di quaggiù è già realmente, sebbene imperfettamente<br />

e sub signis, la nostra futura adorazione di lassù.<br />

Si potrebbe fare un ragionamento analogo intorno a ogni gesto<br />

o movimento liturgico tenendo conto <strong>della</strong> natura e dell'oggetto<br />

proprio di ciascuno. Così intorno a un semplice inchino davanti<br />

all'altare o alla croce. Così pure intorno ai gesti liturgici di rispetto<br />

alle persone, come al vescovo, al sacerdote, alla stessa assemblea<br />

ii8 Padre e Spirito, anch'essi, come è noto, presenti nell'eucaristia per<br />

concomitanza mediata, come si dice tecnicamente, cioè a causa dell'unità di<br />

natura col Figlio, il quale è presente nell'eucaristia in virtù dell'unione ipostatica<br />

con l'umanità in Cristo.<br />

119 Gli antichi, spiegando falsamente l'etimologia <strong>della</strong> parola religio da<br />

re-ligare, avevano capito tuttavia che in ogni atto di culto l'uomo si lega a<br />

Dio: « <strong>Il</strong> culto di Dio, dice S. Tommaso, si chiama religio perché per mezzo<br />

di questi atti l'uomo in qualche modo si lega a Dio per non divagare lontano<br />

da Lui e anche perché, per un certo istinto naturale, sente di essere obbligato<br />

verso di Lui » (C. Gent, III 119).


PREGHIERE E SACRAMENTALI 97<br />

dei fedeli; perché con tali gesti la Chiesa onora, in queste persone,<br />

il loro carattere spirituale invisibile; anche qui vale aliud videtur<br />

et aliud intelligitur; e quindi è sempre a Dio, a Cristo e alla sua<br />

opera redentrice che questi gesti, come segni liturgici, si indirizzano;<br />

sono anch'essi un atto di culto.<br />

Le preghiere. — Queste preghiere, in tutte le loro forme di<br />

adorazione, ringraziamento, impetrazione, espiazione, sono il mezzo<br />

massimo, tra i segni istituiti dalla Chiesa, per il quale essa, in<br />

Cristo, rende il suo culto a Dio. Mezzo massimo, in virtù del predominio<br />

del segno parola sugli altri segni sensibili nelle comunicazioni<br />

tra Dio e gli uomini. Anche questi segni preghiera hanno la solita<br />

quadruplice dimensione.<br />

Le preghiere liturgiche sono direttamente segno dimostrativo<br />

delle disposizioni d'animo <strong>della</strong> Chiesa nelle quali consiste la sua<br />

preghiera interna di adorazione, ringraziamento, impetrazione, espiazione.<br />

Di conseguenza, sono anche segno dimostrativo delle disposizioni<br />

d'animo corrispondenti in Cristo stesso, ora glorioso alla<br />

destra del Padre, poiché la preghiera <strong>della</strong> Chiesa non è altro che<br />

la preghiera di Cristo a Dio a cui si associa la Chiesa, o meglio, a<br />

cui Cristo associa la Chiesa. La preghiera <strong>della</strong> Chiesa è segno impegnativo<br />

per colui che la recita facendola anche sua preghiera personale,<br />

sempre per lo stesso motivo che nessun atto di culto, e quindi<br />

nessuna preghiera, è tale se colui che lo fa non s'impegna in qualche<br />

modo per il futuro. La preghiera <strong>della</strong> Chiesa è segno rimemorativo<br />

del culto di preghiera che Cristo rese al Padre nella sua vita terrena,<br />

massimamente nella sua passione, per il quale Cristo iniziò la preghiera<br />

cristiana di cui quella <strong>della</strong> Chiesa non è che la continuazione.<br />

È anche segno rimemorativo di tutte le preghiere fatte a Dio dal<br />

peccato di Adamo fino a Cristo, poiché queste non erano che un<br />

primo abbozzo imperfetto che ebbe il suo compimento nella preghiera<br />

di Cristo a cui ora Egli associa la sua Chiesa.<br />

Finalmente, la preghiera <strong>della</strong> Chiesa è segno profetico <strong>della</strong> perfetta<br />

ed eterna preghiera di adorazione, di ringraziamento e di lode<br />

nella Gerusalemme celeste assieme agli Angeli, come il seme contiene<br />

già in sé e preannunzia l'albero perfetto (cfr. Ap 5,8-14).<br />

I sacramentali. — Poiché intorno ai sacramentali regnano spesso<br />

concetti poco chiari 120 , è necessario, per rendersi conto preciso in<br />

qual modo anche qui si ritrovino le quattro dimensioni di significato<br />

dei segni liturgici, richiamare prima alla memoria alcune nozioni,<br />

tra quelle accettate per lo più oggi dai teologi in questa materia, e<br />

precisarne alcune altre.<br />

Nozione. — Oggi la tendenza è d'escludere dai sacramentali le<br />

semplici cerimonie che accompagnano la celebrazióne del sacrificio e<br />

120 Vedi per es., A. MICHEL, Sacramentaux, in: Dict. de Théol. cath. XIV<br />

1 (1939) 465-82. A. GABOARDI, Sacramentali, in: Enciclopedìa cattolica 10 (1953)<br />

1555-58.<br />

4 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


98 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

\<br />

l'amministrazione dei sette sacramenti, nonché le opere pie e tutta<br />

la preghiera canonica <strong>della</strong> Chiesa. Si tende invece a riservare la nozione<br />

di sacramentali a certi riti, istituiti dalla Chiesa, che per sé<br />

non fanno parte <strong>della</strong> celebrazione del sacrificio e dell'amministrazione<br />

dei sette sacramenti, ma sono di struttura simile a quella dei<br />

sacramenti e che la Chiesa suole usare per ottenere con la sua impetrazione<br />

effetti principalmente spirituali I21 .<br />

Si distingue, generalmente, i sacramentali cose e i sacramentali<br />

azioni. I sacramentali cose sono quelli che perdurano anche dopo<br />

quell'azione; come l'acqua benedetta, le candele benedette, i rami<br />

benedetti di olivo o di palme, le ceneri del mercoledì delle<br />

ceneri. I sacramentali azioni sono quelli che passano con l'azione<br />

stessa con cui sono stati costituiti. Si distinguono in tre classi.<br />

La prima è costituita dalle consacrazioni che, per una benedizione<br />

detta costitutiva, separano stabilmente dall'uso profano e riservano a<br />

Dio, deputandola permanentemente al suo servizio, la cosa o la persona<br />

a cui sono applicate. Per esempio : la consacrazione di una chiesa,<br />

di un altare, di un calice; la chiericatura; la benedizione di un abate;<br />

la consacrazione di una vergine; la professione monastica o religiosa.<br />

Alla seconda classe appartengono le semplici benedizioni invocative<br />

fatte su cose o su persone per attirare su di esse la protezione e i<br />

benefici divini; per esempio: la benedizione nuziale, la benedizione<br />

dei bambini, dei malati, di tutto il popolo col Santissimo, dei campi,<br />

degli utensili. La terza classe è formata dagli esorcismi per l'allontanamento<br />

dell'influsso demoniaco dalla cosa o dalla persona su cui<br />

sono fatti.<br />

I sacramentali consistono immediatamente e in primo luogo in<br />

una preghiera d'impetrazione che la Chiesa indirizza a Dio, e solo<br />

in secondo luogo.e mediatamente, cioè, mediante questa preghiera<br />

d'intercessione <strong>della</strong> Chiesa,-in una santificazione, in quanto la Chiesa,<br />

per mezzo di questi riti, impetra da Dio la santificazione delle<br />

persone o delle cose.<br />

Qui, il concetto di santificazione, applicato alle persone e alle<br />

cose non ha, evidentemente, lo stesso <strong>senso</strong>. Solo la persona, e immediatamente<br />

l'anima, è soggetto atto a ricevere la santificazione,<br />

121 Cfr. CL, art. 60; Codex Juris canonici, canone 1144; MICHEL, 1. e; GABOARDI,<br />

1. e. L'estensione da dare al concetto di sacramentali, e quindi la sua precisa definizione,<br />

ha subito parecchie variazioni lungo la storia. Verso il secolo XIII si<br />

scisse il vecchio concetto di sacramentum per meglio distinguere quello che hanno<br />

di proprio gli attuali nostri sette sacramenti da tutti gli altri riti che erano prima<br />

compresi nel concetto di sacramentum, e si cominciò a parlare, per questi<br />

ultimi, di sacramentalia, ossia piccoli sacramenta. Tra questi sacramentalia si<br />

comprendevano ancora non solo tutti i riti accessori nella celebrazione dei sette<br />

sacramenti, ma anche le semplici cerimonie nella celebrazione dei sacramenti<br />

e del sacrificio, nonché molte cerimonie (e oggetti) compiute in altre occasioni;<br />

alcune preghiere, come il Pater; tutte le preghiere canoniche; alcune opere pie,<br />

come l'elemosina, il digiuno, ecc. Fu solo in tempi più recenti, a partire da<br />

Bellarmino, che, presso taluni si manifestò la tendenza a restringere ancora<br />

il concetto di sacramentali escludendone le semplici cerimonie, le opere pie,<br />

e tutta la preghiera canonica <strong>della</strong> Chiesa.<br />

1


I SACRAMENTALI 99<br />

come partecipazione formale <strong>della</strong> vita divina. Per i corpi e le cose<br />

esterne si può parlare di partecipazione alla vita divina, ossia di santificazione,<br />

in tre casi diversi, dei quali solo il terzo è quello che si<br />

verifica appunto nei sacramentali.<br />

In un primo modo si può parlare di santificazione dei corpi e<br />

delle cose esterne quando Dio le usa come strumenti per trasmettere<br />

la vita divina agli uomini. S. Tommaso ritiene giustamente che, in<br />

Cristo, anche il corpo è lo strumento congiunto, santo e santificatore,<br />

di cui si serve la divinità per trasmettere la grazia agli uomini 122 .<br />

Anche i sacramenti, sempre secondo S. Tommaso 123 , sono lo strumento<br />

fisico separato di Cristo, mediante il quale, la divinità trasmette<br />

la vita divina agli uomini.<br />

In un secondo modo si può parlare di santificazione dei corpi<br />

e di cose esterne quando esse, senza essere distrutte nella loro<br />

natura, sono però profondamente perfezionate ed elevate nelle loro<br />

qualità dall'influsso <strong>della</strong> vita divina allo scopo di cooperare più perfettamente<br />

alla vita dello spirito. Così avverrà perfettamente e permanentemente<br />

nella risurrezione gloriosa dei corpi e nella trasformazione<br />

del cosmo dopo la parusia, quando vi sarà un cielo nuovo<br />

e una terra nuova. Così avvenne già, in qualche modo, nel paradiso,<br />

prima del peccato, mediante i doni preternaturali. Così avviene ma<br />

solo tendenzialmente e, comunque, in un modo molto più imperfetto,<br />

nella vita ascetica di ogni cristiano, già su questa terra. Così<br />

pure avviene, a suo modo, nell'ubbidienza delle cose all'influsso transitorio<br />

miracoloso di Dio e di coloro ai quali Dio accorda talvolta<br />

questo carisma.<br />

<strong>Il</strong> terzo modo, in cui il corpo e le cose infraumane in genere,<br />

possono ricevere l'influsso <strong>della</strong> vita divina, è quello proprio dei sacramentali.<br />

Qui le cose, senza essere fatte vere cause strumentali<br />

<strong>della</strong> grazia, né essere perfezionate ed elevate nelle loro qualità naturali,<br />

tuttavia in considerazione <strong>della</strong> preghiera impetrativa <strong>della</strong><br />

Chiesa, sono prese sotto la speciale protezione o accettazione divina<br />

per il bene spirituale di chi le possiede o ne userà con le debite disposizioni.<br />

Questa speciale protezione di Dio si manifesta proteggendo o<br />

liberando le cose dall'eventuale influsso demoniaco per l'impetrazione<br />

che la Chiesa gliene fa nell'esorcismo. Ancora: proteggendole,<br />

per speciale provvidenza e almeno per un certo tempo o in una<br />

certa occasione, dalla naturale corruzione o da naturali impedimenti<br />

di altre cause seconde, affinché chi le possiede, o se ne serve<br />

nelle debite disposizioni, possa avere occasione di operare meglio<br />

la sua salvezza. Dio lo fa in considerazione dell'impetrazione <strong>della</strong><br />

122 Vedi per es.. Stimma III q 8 a 1 ad 1; q 2 a 6 arg. 4 et ad 4; q 43 a 2;<br />

q 49 a 6. È dottrina comune dei Padri greci.<br />

123 Questa sembra certamente la mente di S. Tommaso, sebbene alcuni<br />

autori abbiano voluto mettere la cosa in dubbio. Cfr. Summa, HI q 62; A. M.<br />

ROGUET, Les sacrements (S. Thomas d'A., La somme, ed. Rev. des jeunes, Paris<br />

1945) p. 353 ss.


100 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

Chiesa nei riti dei sacramentali azioni per semplici benedizioni<br />

invocative come nella benedizione dei malati, dei campi, degli<br />

utensili.<br />

La speciale accettazione che Dio fa di certe cose avviene in<br />

due modi: primo quando, in considerazione dell'impetrazione che<br />

la Chiesa gliene fa nei riti che costituiscono i sacramentali cose,<br />

con semplice benedizione, come acqua benedetta, candele benedette,<br />

ceneri benedette, Dio accetta di dare speciali grazie in occasione<br />

dell'uso che i fedeli ne faranno con le debite disposizioni; secondo,<br />

quando Dio, in considerazione dell'impetrazione che gliene fa la<br />

Chiesa nei riti che costituiscono i sacramentali cose con benedizioni<br />

costitutive o consacrazioni, accetta queste cose, o anche queste<br />

persone, compresi i loro corpi, come riservati esclusivamente<br />

a sé: come un calice consacrato, una chiesa consacrata, una vergine<br />

consacrata, il monaco alla professione solenne. Questa accettazione<br />

di speciale riserva di cose o persone consacrate fa sì che chi, colpevolmente,<br />

le distogliesse dall'uso a cui sono state riservate, commetterebbe<br />

anche un sacrilegio. Trattandosi di cose consacrate,<br />

quella stessa accettazione di Dio implica anche che Egli darà speciali<br />

grazie a coloro che le useranno con le debite disposizioni d'animo;<br />

e, trattandosi di persone consacrate, essa implica in queste<br />

persone un titolo morale presso Dio per ottenere a suo tempo le<br />

grazie di stato necessarie per adempiere i doveri che comporta<br />

quella permanente consacrazione.<br />

In breve, un sacramentale, nel <strong>senso</strong> ristretto di oggi, consiste<br />

immediatamente in una preghiera d'impetrazione <strong>della</strong> Chiesa e,<br />

mediante quella preghiera, in una santificazione, che, trattandosi<br />

dell'anima è una santificazione formale, trattandosi invece del corpo<br />

o di cose esteriori è una speciale protezione o accettazione divina<br />

per il bene spirituale di chi te possiede o ne userà con le debite<br />

disposizioni.<br />

La santificazione formale dell'anima comporta, in ultima analisi,<br />

la grazia santificante. Ma si ritiene, per lo più, che, nei sacramentali,<br />

la Chiesa chieda ed ottenga immediatamente grazie attuali<br />

per la persona cui le impetra, come contrizione dei peccati, atti di<br />

fede, di speranza, di carità, che siano disposizioni favorevoli al buon<br />

uso dei sacramenti o agli atti di carità perfetta. All'uso dei sacramenti<br />

e agli atti di carità perfetta si ritiene che Dio abbia riservato<br />

di dare immediatamente la grazia santificante o il suo aumento.<br />

Si vede pure che quando un sacramentale (esorcismo, semplice<br />

benedizione o consacrazione) ha per oggetto una cosa, quella speciale<br />

protezione o accettazione divina che la Chiesa le ottiene per<br />

mezzo del rito e nella quale consiste la sua santificazione, implica,<br />

in fondo, una sua reintegrazione iniziale e ancora imperfetta, ma<br />

reale, al servizio <strong>della</strong> vita divina come già avveniva nel paradiso<br />

terrestre prima del peccato e come avverrà perfettamente nella<br />

Gerusalemme celeste con la risurrezione dei corpi e un cielo nuovo<br />

e una terra nuova.


I SACRAMENTALI 101<br />

La quadruplice dimensione del segno nei sacramentali. — Si può<br />

ora capire come anche nei sacramentali si ritrovi il quadruplice significato<br />

dei segni liturgici in genere. Ogni sacramentale, implicando<br />

in primo luogo e immediatamente una preghiera d'impetrazione<br />

<strong>della</strong> Chiesa, è, come in genere tutte le preghiere liturgiche istituite<br />

dalla Chiesa, innanzitutto segno dimostrativo di questa preghiera.<br />

È pure segno dimostrativo <strong>della</strong> preghiera di Cristo alla destra del<br />

Padre di cui quella <strong>della</strong> Chiesa non è che una partecipazione. È poi<br />

segno impegnativo per colui che recita o accetta questa preghiera<br />

anche a nome proprio. È segno rimemorativo delle impetrazioni<br />

di Cristo nella sua vita terrena, massimamente nella sua passione,<br />

nonché delle impetrazioni indirizzate a Dio dopo il peccato di Adamo<br />

prima di Cristo e che erano l'ombra di quelle future di Cristo<br />

e <strong>della</strong> Chiesa. È finalmente segno profetico <strong>della</strong> preghiera <strong>della</strong><br />

Gerusalemme celeste quando l'impetrazione si trasformerà, come<br />

meta perfetta a cui tende, nella lode cosmica ed eterna.<br />

Ogni sacramentale, implicando in secondo luogo una santificazione<br />

nel modo sopra spiegato, sarà anche un segno dimostrativo<br />

di questa santificazione. Trattandosi di sacramentali che hanno per<br />

oggetto immediato la santificazione dell'anima da ottenersi per l'impetrazione<br />

<strong>della</strong> Chiesa, essi saranno immediatamente segni dimostrativi<br />

delle grazie attuali che la Chiesa chiede nel rito e che dispongono<br />

il fedele alla grazia abituale o al suo aumento. Mediante queste<br />

grazie attuali, quei sacramentali saranno segni dimostrativi anche<br />

<strong>della</strong> grazia abituale. Trattandosi invece di sacramentali che chiedono<br />

immediatamente la protezione e accettazione speciale di Dio<br />

sul corpo o sulle cose esteriori, essi saranno segni dimostrativi di<br />

questa protezione e accettazione con tutto quello che implicano<br />

secondo i casi: protezione o liberazione dall'eventuale influsso<br />

demoniaco negli esorcismi; protezione dalla naturale corruzione o<br />

impedimenti naturali nei sacramentali azioni; grazie da concedersi<br />

nell'uso con le debite disposizioni dei sacramentali cose costituiti<br />

per semplice benedizione; deputazione speciale e riserva all'uso<br />

divino delle persone e cose nei sacramentali consacratori. Tutti i<br />

sacramentali, che hanno per oggetto immediato il corpo o le cose<br />

esteriori, sono, inoltre, seghi dimostrativi delIaV reintegrazione iniziale<br />

ma reale delle cose materiali al servizip <strong>della</strong> vita divina.<br />

Ogni sacramentale, sia pure la semplice benedizione di una casa<br />

o di un utensile, o un semplice segno di croce in quanto implica<br />

una santificazione, è, per colui che lo richiede o he fa uso con le<br />

debite disposizioni morali, segno protestativo, di queste sue disposizioni<br />

e impegnativo per il resto <strong>della</strong> sua vita. Questo, còme è<br />

ovvio, vale in modo speciale per le persone che ricevono i sacramentali<br />

consacratori, come avviene nella consacrazione di una<br />

vergine, nella chiericatura, nella professione religiosa.<br />

Tutti i sacramentali, in quanto implicano una santificazione,<br />

sono anche segni rimemorativi <strong>della</strong> passione di Cristo come causa<br />

meritoria di questa santificazione; nonché delle santificazioni che


102 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI (<br />

avvenivano prima di Cristo e dopo il peccato di Adamo, in quanto<br />

ombre e primi schizzi di quelle che avvengono ora nella Chiesa in<br />

Cristo.<br />

Finalmente, i sacramentali, in quanto implicanti una santificazione,<br />

sono anche segni profetici <strong>della</strong> gloria futura, dove sarà<br />

la santificazione perfetta e la reintegrazione perfetta del cosmo<br />

al servizio <strong>della</strong> vita divina di cui le santificazioni e le reintegrazioni<br />

che avvengono ora nei sacramentali non sono che ombre ed abbozzi<br />

imperfetti.<br />

Le feste e i cicli liturgici. — Se il sacrificio, i sette sacramenti,<br />

i sacramentali, le cerimonie e le preghiere <strong>della</strong> Chiesa sono tutti<br />

segni liturgici dalla quadruplice dimensione sopra spiegata, altrettanto<br />

si dovrà dire delle feste liturgiche e dei cicli liturgici. Infatti<br />

una festa è uh insieme che consta del sacrificio, di sacramenti, di<br />

sacramentali, di cerimonie e di preghiere <strong>della</strong> Chiesa, e un ciclo<br />

liturgico è un raggruppamento di feste o, comunque, di giorni liturgici,<br />

sotto un'idea propria.<br />

Vuol dire dunque che la chiave <strong>della</strong> comprensione di tali feste<br />

e di tali cicli sarà necessariamente la determinazione del loro<br />

oggetto speciale e la sua considerazione sotto la quadruplice dimensione<br />

propria di ogni segno liturgico. Spiegare accuratamente come<br />

ciò avvenga è oggetto di quella parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> teologica che<br />

si occupa dell'anno liturgico.<br />

Per esempio : oggetto del ciclo liturgico avvento-Epifania è il<br />

mistero di Cristo come venuta epifanica del Signore. Questa venuta<br />

epifanica sarà considerata secondo le predette quattro dimensioni:<br />

come segno dimostrativo questo ciclo liturgico indicherà la venuta<br />

epifanica del Signore in quanto si realizza presentemente in ogni<br />

messa e in ogni anima; come segno rimemorativo indicherà la<br />

stessa venuta epifanica realizzata un giorno storicamente vin Palestina<br />

e preparata, desiderata, annunziata, prefigurata, ecc., ancora<br />

prima nell'Antico Testamento; come segno impegnativo lo stesso<br />

ciclo indicherà le esigenze di vita morale che la stessa venuta impone<br />

ai fedeli come preparazione per esserne fatti degni e come<br />

conseguenza per averla ricevuta; come segno profetico del futuro<br />

lo stesso ciclo parlerà <strong>della</strong> stessa venuta che si compirà perfettamente<br />

e definitivamente nella parusia.<br />

Similmente si deve ragionare per il ciclo settuagesima-Pentecoste<br />

il cui oggetto è il mistero di Cristo come redenzione. Si tratterà<br />

<strong>della</strong> redenzione resa necessaria, annunziata, prefigurata, preparata<br />

nell'Antico Testamento e realizzatasi storicamente in Cristo<br />

stesso in Palestina, specie nei misteri <strong>della</strong> sua passione, mbrte^<br />

risurrezione e ascensione. Si tratterà ancora <strong>della</strong> redenzione realizzantesi<br />

ogni anno per gli uomini: mediante il sacrificio e i sacramenti<br />

per i catecumeni ammessi all'iniziazione cristiana; per i penitenti<br />

nella riconciliazione; per i fedeli ordinari nell'incremento <strong>della</strong>,<br />

loro vita per la partecipazione ai misteri pasquali ogni anno. Si<br />

\..


CONCLUSIONE 103<br />

metterà in rilievo l'aspetto morale come preparazione alla degna<br />

recezione di questa redenzione e come esigenza conseguente alla<br />

stessa. L'aspetto escatologico (per verità meno sviluppato, nella<br />

liturgìa romana di quanto avviene per esempio nel ciclo avvento-Epifania)<br />

sarà la considerazione <strong>della</strong> redenzione plenaria che<br />

si verificherà con la parusia, la risurrezione dei corpi e la visione<br />

beata. i,<br />

* * *<br />

Concludendo questo capitolo è facile accorgersi come la <strong>liturgia</strong>,<br />

grazie alla sua strutturazione in regime di segni, sia come uno<br />

specchio straordinario in cui si riflettono e si compendiano come<br />

reali e presenti tutte le relazioni tra Dio e gli uomini, anzi tra Dio<br />

e il mondo in genere, che costituiscono la storia sacra, mistero di<br />

Cristo, mistero <strong>della</strong> Chiesa, nella sua realtà passata, futura e<br />

presente : come discesa sempre in atto di Dio in Cristo tra gli uomini<br />

e ascesa sempre in atto degli uomini a Dio in Cristo. Non è, dunque,<br />

per un vano gioco d'immaginazione che si può affermare che la<br />

<strong>liturgia</strong> ha prospettive e dimensioni cosmiche, come la stessa storia<br />

sacra, lo stesso mistero di Cristo, lo stesso mistero <strong>della</strong> Chiesa;<br />

perché appunto, sotto il velo di segni, in sacramentis, in mysteriis,<br />

concentra in sé tutto il significato <strong>della</strong> storia sacra.<br />

Ogni assemblea liturgica in specie, per il fatto stesso di essere<br />

un'adunanza in nomine meo, nella quale aliud videtur et alìud<br />

inteltigitur, proclama agli occhi <strong>della</strong> fede la ekklesia in atto degli<br />

uomini fatta da Dio Padre in Cristo Gesù (cfr. 1 Ts 1,1; 2Ts 1,1;<br />

Dt 4,9-13; 9,10; 18,15-18; Eb 12,18 ss), la presenza sempre attuale<br />

fi vivificante di Cristo tra gli uomini, l'unità dei fedeli col Padre<br />

per Cristo nella presenza dello Spirito e l'unità dei fedeli tra loro<br />

in un corpo in Cristo. Proclama pure il patto e l'impegno <strong>della</strong> Chiesa<br />

a seguire Dio in Cristo, a camminare secondo Cristo, ciò che implica<br />

tutta la vita cristiana extraliturgica. Proclama in terzo luogo l'intervento<br />

di Dio nella storia, l'unità di questa storia sacra da lui diretta,<br />

la manifestazione plenaria e sostanziale di Dio in Cristo, temporibus<br />

novissimis, la morte e risurrezione di Cristo, la sua seduta gloriosa<br />

alla destra del Padre. E, infine, proclama, annunzia, spera, chiama,<br />

il suo ritorno glorioso come giudice e la gloria futura <strong>della</strong> città<br />

beata quando Dio sarà tutto in tutti.<br />

Tutto questo non è percepibile che agli occhi <strong>della</strong> fede. Qui<br />

non basta né una visione del mondo puramente filosofica o etica,<br />

né un semplice ripiegamento di introspezione psicologica, ma ci<br />

vuole il sensus Christi. Anzi, non basta, credo, un <strong>senso</strong> cristiano<br />

generico, ma bisogna essere stati abbagliati da quella realtà che è<br />

il mistero di Cristo come lo spiega S. Paolo; appunto perché qui<br />

non si tratta di altro che <strong>della</strong> concretizzazione sempre in atto,<br />

sotto il velo dei segni, del mistero di Cristo, <strong>della</strong> storia e <strong>della</strong><br />

Chiesa. Si tratta di quella sapienza di cui- S. Paolo parlava : « Tra i<br />

perfetti: sapienza di Dio nel mistero (in mysterio), sapienza nasco-


104 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

sta, che Dio preordinò avanti tutti i secoli a gloria" nostra/, e che<br />

nessuno dei principi di questo mondo ha conosciuto... A noi però<br />

lo rivelò per Io Spirito... noi non abbiamo ricevuto lo spirito del<br />

mondo, ma lo Spirito che è da Dio, affinché conosciamo le cose che<br />

ci sono state donate da Dio... Ma l'uomo animale non accoglie le<br />

cose dello Spirito di Dio : follia infatti sono per lui, e non può<br />

intenderle perché si giudicano secondo gli insegnamenti dello Spirito...<br />

noi possediamo il <strong>senso</strong> di Cristo» (ICor 2,7 ss).<br />

Non si può mai ripetere abbastanza che, fuori di questa prospettiva,<br />

la <strong>liturgia</strong> non può essere capita, e ancor meno efficacemente<br />

vissuta, in tutta la sua pienezza. Come non c'è, fuori <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, mezzo più efficace per capire e specialmente per vivere<br />

questa prospettiva che è il succo stesso <strong>della</strong> dottrina biblica e<br />

paolina in specie, mistero di Cristo.<br />

In specie, fuori di questa prospettiva non si può capire la vera<br />

portata dei testi liturgici. Si vedrà in un apposito capitolo come il<br />

<strong>senso</strong> che prendono i testi biblici usati nella <strong>liturgia</strong> dipenda tutto<br />

dalla quadruplice dimensione del segno liturgico. Ma lo stesso<br />

vale, essenzialmente, anche dei testi liturgici di composizione ecclesiastica.<br />

Non già che in ogni singolo testo si ritrovi esplicitamente<br />

l'intero schema delle quattro dimensioni sopra spiegate; ma nel<br />

<strong>senso</strong> che quello schema è sempre presupposto come lo sfondo<br />

comune sul quale si muove ogni azione e ogni pensiero <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>;<br />

e poi nel <strong>senso</strong> che ogni testo liturgico esprime anche, esplicitamente<br />

e in modo più o meno diretto, uno o più aspetti di quellaquadruplice<br />

dimensione.<br />

Ecco alcuni esempi presi a caso dal messale. L'orazione <strong>della</strong><br />

vigilia di Natale è la seguente:<br />

O Signore ch'e ci allieti con l'annua attesa <strong>della</strong> nostra redenzione, fa' sì che<br />

l'Unigenito tuo Figlio, che ora accogliamo festanti come Redentore, l'accogliamo<br />

pure con coscienza tranquilla allorché verrà come giudice, Signor nostro<br />

Gesù Cristo: il quale teco vive...<br />

In quest'orazione la festa <strong>della</strong> vigilia <strong>della</strong> Natività di N. S. è<br />

considerata come segno in cui si esprime la nostra disposizione<br />

d'animo cultuale di attesa dell'aumento in noi <strong>della</strong> redenzione, e<br />

come segno di quella venuta di Cristo in noi come redentore che<br />

si realizza in questa festa liturgica e in quella dell'indomani, massimamente<br />

nella messa stessa.<br />

La coscienza tranquilla che s'implora da Dio per il futuro giudizio<br />

allude al valore di segno impegnativo di corrispondente vita<br />

morale che ha questa festa per coloro che vi prendono parte: sono<br />

le buone opere nelle quali siamo obbligati a tradurre la nostra<br />

partecipazione all'azione liturgica; buone opere che sole potranno<br />

darci la coscienza tranquilla per il futuro giudizio e che quindi<br />

chiediamo a Dio di concederci di fare con la sua grazia.<br />

<strong>Il</strong> concetto di annua attesa <strong>della</strong> nostra redenzione allude anche<br />

al valore dell'attuale festa liturgica come segno rimemorativo <strong>della</strong><br />

i


CONCLUSIONE 105<br />

venuta storica di Cristo sulla terra. <strong>Il</strong> pensiero <strong>della</strong> futura venuta<br />

di Cristo come giudice esprime il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> festa come segno<br />

profetico <strong>della</strong> parusia e <strong>della</strong> futura gloria.<br />

<strong>Il</strong> postcommunio <strong>della</strong> messa <strong>della</strong> notte di Natale è il seguente:<br />

Concedici, te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, che, rallegrandoci di celebrare<br />

in misteri la nascita di Nostro Signor^ Gesù Cristo, meritiamo, con degno<br />

modo di vivere, di pervenire al suo consorzio.<br />

Qui la celebrazione liturgica <strong>della</strong> nascita di Nostro Signore è considerata<br />

come segno (in misteri) <strong>della</strong> nostra celebrazione interna<br />

di gioia e di grazia (celebrare nella gioia, in misteri, la nascita di<br />

N. S.). <strong>Il</strong> degno modo di vivere allude al valore impegnativo del<br />

segno. <strong>Il</strong> suo valore rimemorativo è incluso nel concetto <strong>della</strong> celebrazione<br />

<strong>della</strong> nascita storica di N. S. <strong>Il</strong> suo valore profetico, in<br />

quello del futuro consorzio di gloria con Cristo a cui perveniamo<br />

mediante una santa vita con l'aiuto <strong>della</strong> grazia.<br />

L'orazione <strong>della</strong> seconda messa di Natale dice:<br />

Concedi Signore, te ne preghiamo, che, inondati dalla nuova luce del tuo Verbo<br />

incarnato, risplenda nelle nostre opere, ciò che per la fede rifulge nella nostra<br />

mente.<br />

La nuova luce del Verbo incarnato che c'inonda è la realtà <strong>della</strong><br />

grazia di cui la celebrazione liturgica è segno dimostrativo. La traduzione<br />

di questa realtà nelle opere è indicata dalla stessa celebrazione<br />

come segno impegnativo.<br />

Caratteristico pure, dal punto di vista che ci preoccupa, il postcommunio<br />

<strong>della</strong> terza messa di Natale:<br />

Fa', te ne preghiamo, o Dio, che il Salvatore del mondo, oggi nato, com'è l'autore<br />

<strong>della</strong> nostra divina rigenerazione, così ci sia anche datore dell'immortalità.<br />

<strong>Il</strong> salvatore oggi nato, autore <strong>della</strong> nostra rigenerazione, indica nella<br />

celebrazione liturgica il segno dimostrativo <strong>della</strong> grazia che ci è<br />

in essa concessa: oggi, nella messa, nasce nuovamente in noi e<br />

compie nuovamente in noi la rigenerazione. Indica pure il segno<br />

rimemorativo dell'avvenimento storico <strong>della</strong> nascita di Gesù: nato<br />

oggi, come autore <strong>della</strong> nostra rigenerazione, va inteso anche nel<br />

<strong>senso</strong> di: nato in quel giorno di cui oggi si rimemora l'anniversario.<br />

L'augurio che lo. stesso Salvatore ci sia anche un giorno<br />

datore dell'immortalità esprime il valore di ségno profetico <strong>della</strong><br />

stessa celebrazione.<br />

Nell'orazione <strong>della</strong> Messa del Sabato Santo si esprimono il<br />

piano dimostrativo, rimemorativo e impegnativo <strong>della</strong> celebrazione<br />

liturgica <strong>della</strong> risurrezione, senza alludere esplicitamente al piano<br />

profetico <strong>della</strong> futura gloria:<br />

Dio, che illuminasti questa santissima notte con la gloria <strong>della</strong> risurrezione<br />

del Signore (= piano rimemorativo e anche dimostrativo), conserva (piano impegnativo)<br />

nei nuovi figli <strong>della</strong> tua famiglia lo spirito di adozione che tu hai


106 CAP. II - LITURGIA E SEGNI SENSIBILI<br />

loro donato (allusione ai neo battezzati: piano dimostrativo); affinché rinnovati<br />

nel corpo e nello spirito (piano dimostrativo) ti prestino un servizio immacolato<br />

(piano impegnativo).<br />

I quattro piani sono invece perfettamente espressi nell'epistola<br />

di questa stessa messa : « Se siete risuscitati con Cristo cercate le<br />

cose dell'alto, là dove Cristo siede alla destra di Dio; abbiate il<br />

gusto delle cose dell'alto, non di quelle terrene. Poiché voi siete<br />

morti e la vostra vita è nascosta col Cristo in Dio. Quando il Cristo<br />

vostra vita comparirà, allora anche voi apparirete con Lui nella<br />

gloria» (Col 3,1-4).<br />

Non credo necessario insistere, tanto è ovvia la cosa alla sòia<br />

lettura un po' attenta dei testi. È dunque vero che la <strong>liturgia</strong>, in<br />

virtù del valore dei segni, è come uno specchio straordinario in cui si<br />

riflette e si concentra il mistero di Cristo, <strong>della</strong> Chiesa, <strong>della</strong> storia,<br />

nel suo presente, passato e futuro. Si riflette e si concentra : ma non in<br />

un modo solo e puramente psicologico, intenzionale, di conoscenze,<br />

di ricordi e di affetti; bensì in un modo molto più profondo e<br />

reale. I segni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sono, a loro modo, segni efficaci.


CAPITOLO III<br />

LA LITURGIA COME COMPLESSO<br />

DI SEGNI SENSIBILI EFFICACI<br />

Nella definizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> si parla di segni efficaci <strong>della</strong><br />

santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa. Bisogna ora spiegare questa<br />

efficacia nel suo significato generale e descriverne i modi propri<br />

tanto nella <strong>liturgia</strong> d'istituzione divina quanto in quella d'istituzione<br />

ecclesiastica.<br />

1. COSA VUOL DIRE IN GENERE CHE NELLA LITURGIA<br />

I SEGNI SONO EFFICACI DELLA SANTIFICAZIONE<br />

E DEL CULTO DELLA CHIESA?<br />

<strong>Il</strong> segno formalmente, in quanto tale, non può avere una causalità<br />

efficiente. La sua causalità propria è nell'ordine <strong>della</strong> rappresentazione,<br />

in quanto il segno, come segno, fa solo conoscere.<br />

Una causalità d'esemplarità dunque: la causa formale estrinseca<br />

degli scolastici.<br />

Tuttavia i teologi dicono giustamente che i sette sacramenti<br />

non solo significano la grazia, ma causano anche la grazia che<br />

significano. Che anzi, in essi, vi è stretta relazione tra il significare<br />

la grazia e causare la grazia: significando causant.<br />

È nello stesso <strong>senso</strong> — salva la differenza tra sacramenti e<br />

sacramentali — che nella definizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> si afferma che<br />

in essa i segni sono efficaci <strong>della</strong> santificazione <strong>della</strong> Chiesa. Qual è<br />

precisamente questo <strong>senso</strong>?<br />

Quando si dice che nella <strong>liturgia</strong> il segno è efficace <strong>della</strong> santificazione<br />

che significa, si vuol dire che Dio ha liberamente stabilito<br />

di produrre ogni volta — purché siano adempiute le condizioni<br />

da Lui volute — come causa efficiente principale, tale santificazione<br />

in riferimento a e come in dipendenza (le ulteriori determinazioni


108 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

sono oggetto di discussione tra i teologi) dalla posizione del segno<br />

e del suo significato.<br />

Ma si può dire che nella <strong>liturgia</strong> i segni sono efficaci anche del<br />

culto <strong>della</strong> Chiesa che essi significano?<br />

Certamente, in tal caso l'efficacia del segno liturgico va intesa<br />

in <strong>senso</strong> alquanto diverso da quella che lo stesso ha verso la santificazione<br />

<strong>della</strong> Chiesa 1 . Perciò sopra 2 si diceva che ogni segno<br />

liturgico è efficace a suo modo <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong><br />

Chiesa.<br />

Ciò posto, rimane tuttavia il fatto che il segno liturgico è<br />

efficace non solo <strong>della</strong> santificazione ma anche del culto <strong>della</strong> Chiesa<br />

che esso significa. In che <strong>senso</strong>?<br />

In sostanza, nel <strong>senso</strong> preciso che il Corpo Mistico (Capo e membra),<br />

ad ogni posizione debita del segno liturgico attua o produce,<br />

nel modo significato dal segno stesso e in dipendenza da esso, un<br />

atto di culto a Dio, perché ha liberamente stabilito di voler così<br />

fare ogni volta che tale segno sarebbe posto. Per spiegare meglio questa<br />

affermazione distinguiamo il sacrificio nella sua essenza dagli<br />

altri segni liturgici.<br />

Quando si tratta <strong>della</strong> consacrazione nella messa, dire che il<br />

segno liturgico è efficace del culto che significa, vuol dire: 1) in<br />

primo luogo che, posto il segno (materia e forma del sacrificio) e<br />

adempiute le condizioni, Dio ha stabilito di operare ogni volta la<br />

transustanziazione per la quale Cristo è reso presente in atto di<br />

perpetuare in modo incruento e misterioso ma reale il proprio sacrificio<br />

che offrì cruentemente sul Golgota, e dunque di rendere il suo<br />

sommo culto a Dio quale capo <strong>della</strong> Chiesa. E poiché, per propria<br />

libera determinazione, è in infallibile connessione con la posizione<br />

del segno e con la sua significazione e in dipendenza da essi<br />

che Cristo capo qui attua ogni volta nel modo predetto il suo<br />

culto, giustamente si dice che nella messa il segno liturgico non<br />

solo significa ma anche produce il culto. 2) In secondo luogo ciò<br />

vuol dire, che la Chiesa ha stabilito che ogni volta che avverrebbe<br />

nelle condizioni volute la posizione di quel segno da parte del ministro<br />

autorizzato, essa intende affermare, in connessione appunto<br />

con il segno e in dipendenza da esso e dal suo significato, la sua<br />

volontà di offrire la Vittima divina in sommo culto a Dio, di adorarla<br />

e di offrire se stessa insieme a Lui. E Dio stesso nella posizione<br />

di quel segno vede ed accetta tutto questo. Così il segno<br />

essenziale <strong>della</strong> messa non solo significa ma anche causa il culto<br />

<strong>della</strong> Chiesa.<br />

In modo simile si deve ragionare degli altri segni liturgici che<br />

1 Per attirare in qualche modo l'attenzione su questo fatto il concilio vaticano<br />

II, CL, art. 7, adopera un'espressione diversa per indicare l'efficacia dei<br />

segni liturgici rispetto alla santificazione e rispetto al culto. Per il segno liturgico,<br />

dice, la santificazione dell'uomo è causata (efficitur) e il culto è esercitato<br />

(exercetur).<br />

- p. 38 s.


SEGNI EFFICACI DEL CULTO 109<br />

significano in qualche modo il culto <strong>della</strong> Chiesa. Dire che essi sono<br />

arfche efficaci del culto che significano vuol dire che la Chiesa<br />

(corpo mistico, capo e membra) ha liberamente stabilito d'intendere,<br />

affermare e rinnovare, a ogni posizione del segno nelle condizioni<br />

volute e in dipendenza da esso e dal suo significato, la sua<br />

volontà di offrire il suo culto a Dio nel modo significato dallo stesso<br />

segno. E Dio così intende i segni e li accetta. Cosicché è sempre<br />

doveroso affermare che la posizione del segno attua ogni volta il<br />

culto <strong>della</strong> Chiesa.<br />

In quanto al modo e al grado d'efficacia propri dei segni liturgici<br />

il concilio vaticano II così si esprime in una frase che segue<br />

immediatamente la nozione di <strong>liturgia</strong> dallo stesso proposta : « Perciò<br />

ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote<br />

e del suo Corpo, la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra<br />

azione <strong>della</strong> Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado,<br />

ne uguaglia l'efficacia » 3 .<br />

L'espressione non ha tutta la chiarezza che si desidererebbe<br />

anche per una sua eccessiva concisione. Aiuta in qualche modo a<br />

meglio comprenderla ciò che lo stesso concilio dice poco dopo:<br />

« Dalla <strong>liturgia</strong> dunque e particolarmente dall'eucaristia, deriva in<br />

noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene, con la massima efficacia,<br />

quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in<br />

Cristo, verso la quale convergono, come a loro fine, tutte le altre<br />

attività <strong>della</strong> Chiesa » 4 .<br />

Ma è necessario ricorrere alla spiegazione ufficiale data dal<br />

relatore all'espressione dell'articolo 7 e nella quale si dice che<br />

l'efficacia del sacrificio e dei sacramenti è ex opere operato, mentre<br />

quella dell'orazione pubblica e dei sacramentali è ex opere operatitis<br />

Ecclesiae; e si osserva che questa efficacia, nei documenti del<br />

magistero, è detta somma e viene distinta da quella, sia <strong>della</strong> Chiesa<br />

stessa che dei suoi membri, sotto questa precisa considerazione<br />

dell'efficacia oggettiva delle azioni e prescindendo dal merito soggettivo<br />

che è un altro punto di vista.<br />

La distinzione tra opus operatimi e opus operantis Ecclesiae,<br />

non entrata nel testo stesso <strong>della</strong> Costituzione 5 , rimanda evidentemente<br />

alla Mediator Dei che per prima l'ha codificata in un documento<br />

ufficiale. <strong>Il</strong> testo dell'enciclica è il seguente:<br />

« Per farci giungere alla santità il culto reso a Dio dalla Chiesa in unione<br />

col suo Capo divino, possiede la più grande efficacia. Quando si tratta del sacrificio<br />

eucaristico e dei sacramenti questa efficacia proviene soprattutto e anzitutto<br />

dall'azione stessa (ex opere operato).<br />

Se si considera poi l'attività propria <strong>della</strong> Sposa immacolata di Gesù<br />

Cristo, la quale, con le sue preghiere e le sue cerimonie, dà risalto al sacrificio<br />

eucaristico e ai sacramenti, o anche se si tratta dei sacramentali e degli altri<br />

•> CL, art. 7.<br />

« Ibid. art. 10.<br />

5 Per comprendere come ciò sia avvenuto vedi C. VAGAGGINI, LO spirito<br />

<strong>della</strong> Costituzione sulta <strong>liturgia</strong>, in: Riv. Ut. 51 (1964) 4647. Su questo punto preciso<br />

la Costituzione è, sfortunatamente, in regresso rispetto alla Mediator Dei.


110 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

riti istituiti dalla gerarchia ecclesiastica, allora l'efficacia dipende anzitutto<br />

dall'azione <strong>della</strong> Chiesa (ex opere operantis Ecclesiae) in quanto santa e nella<br />

sua attività strettamente unita al suo Capo » «.<br />

Ecco dunque distinti, rispetto alla loro efficacia, i segni liturgici,<br />

in segni d'istituzione divina: sostanza del sacrifìcio e dei<br />

sacramenti, la cui efficacia è soprattutto e anzitutto ex opere operato,<br />

e in segni d'istituzione ecclesiastica: cerimonie, preghiere e<br />

sacramentali, la cui efficacia è anzitutto ex opere operantis Ecclesiae.<br />

Spieghiamo l'uno e l'altro aspetto <strong>della</strong> questione.<br />

2. L'EFFICACIA DEI SEGNI LITURGICI<br />

D'ISTITUZIONE DIVINA<br />

Non intendiamo, evidentemente, esporre qui la classica dottrina<br />

cattolica dell'opus operatum come si deve fare in un trattato<br />

<strong>teologico</strong> generale sui sacramenti. Basta al nostro scopo richiamarne<br />

brevemente il <strong>senso</strong> generale e, specialmente, rilevare alcune delle<br />

maggiori conseguenze d'interesse liturgico.<br />

L'« opus operatum » ed alcune caratteristiche <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

L'efficacia dei segni liturgici d'istituzione divina non proviene<br />

esclusivamente dall'opus operatum, ma bensì anzitutto e soprattutto<br />

da questo. Come è noto, è dottrina di fede cattolica che i sette<br />

sacramenti, supposti i poteri, le intenzioni e gli atti debiti da parte<br />

del ministro, e supposto che il soggetto atto a ricevere i sacramenti<br />

non vi opponga liberamente un impedimento d'intenzione o d'ordine<br />

morale, i sette sacramenti conferiscono ex opere operato la<br />

grazia che significano 7 .<br />

Quando si dice che i sacramenti conferiscono la grazia s'intende,<br />

come detto, che Dio la conferisce, come causa principale, ma<br />

in connessione e avuto riguardo al rito sacramentale. <strong>Il</strong> concilio<br />

di Trento dice : « per mezzo di questi sacramenti » 8 . Lo stesso concilio<br />

definisce esplicitamente per il battesimo che quel « per mezzo<br />

» significa la causa strumentale e . Che anche per tutti gli altri<br />

sacramenti si tratti, nelle intenzioni del concilio, di cause strumentali<br />

delle quali Dio si serve per conferire la grazia, non c'è nessun<br />

motivo di dubitarne ed è perciò dottrina oggi ammessa da tutti i<br />

e n. 26-27.<br />

7 Definito esplicitamente dal concilio tridentino contro le negazioni dei protestanti.<br />

Vedi Dz 1606-1608 (849-51).<br />

8 Dz 1607 (850).<br />

9 Ibid. 1528 (799).


L'OPUS OPERATUM 111<br />

teologi. Invece è noto che nelle ulteriori determinazioni del modo<br />

d'intendere la causalità strumentale dei sacramenti riguardo alla<br />

grazia che conferiscono, c'è anche oggi diversità d'opinioni.<br />

Si sa che gli uni parlano di strumentalità fisica per significare<br />

che il rito sacramentale influisce realmente e direttamente, sebbene<br />

solo come strumento di Dio, nella grazia che per esso da Dio viene<br />

conferita. Gli altri ricorrono, invece, al concetto di una strumentalità<br />

morale, per significare che per il rito sacramentale la volontà<br />

di Dio si lascia, per così dire, muovere psicologicamente a conferire<br />

come sola vera causa efficiente la grazia sacramentale, e che in<br />

questo conferimento di grazia il rito sacramentale è solo causa strumentale<br />

morale che muove Dio. Un terzo gruppo ricorre, finalmente,<br />

al concetto di strumentalità intenzionale per dire che il sacramento<br />

è strumento di Dio in quanto semplice segno che significa la sua<br />

volontà di dare la grazia sacramentale, e, dunque, segno tale che,<br />

per sua disposizione è, in colui che riceve il sacramento, un titolo<br />

che esige l'infusione <strong>della</strong> grazia, supposto sempre che non ci siano<br />

impedimenti.<br />

Quando si dice, invece, che i sacramenti conferiscono la grazia<br />

ex opere operato, con quest'ultima espressione si vuol dire che<br />

i riti sacramentali, quali strumenti di Dio, producono, nel modo<br />

predetto, il loro effetto nel conferimento <strong>della</strong> grazia semplicemente<br />

per il fatto che il segno sacramentale è stato posto validamente<br />

(questo vuol dire opus operatum), e non già per i meriti morali<br />

né del ministro né di colui che riceve il sacramento. Da parte del<br />

ministro si richiede solo che abbia poteri e che presti liberamente<br />

la sua opera strumentale a Cristo e alla Chiesa, accettando di fare<br />

quello che vuol fare la Chiesa in questo rito. In colui che riceve<br />

il sacramento si richiede solo che sia soggetto atto a riceverlo validamente<br />

e non frapponga volontariamente impedimenti all'azione di<br />

Dio che gli darà la grazia. Ma queste disposizioni, nel ministro e,<br />

secondo la spiegazione comune, anche in colui che riceve il Sacramento,<br />

sono semplicemente condizioni prerequisite perché la grazia<br />

del sacramento sia infallibilmente accordata, e non già cause<br />

di questa grazia. Sono cose note; non occorre insistere.<br />

È opportuno invece rilevare esplicitamente sin d'ora alcune<br />

caratteristiche che la <strong>liturgia</strong> e la vita liturgica del cristiano ricevono<br />

dall'opus operatum, sebbene si tratti di concetti che dovranno<br />

poi essere precisati. Se i sette sacramenti, coll'eucaristia sacrificio<br />

e sacramento nello stesso tempo, sono, come sono, il nucleo centrale<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, è chiaro che, in virtù dell'opus operatum, in<br />

quell'attuazione del mistero di Cristo, <strong>della</strong> Chiesa e <strong>della</strong> storia<br />

che si compie nelle anime nell'azione liturgica, è fortemente accentuato<br />

il carattere di cosa oggettivamente data e oggettivamente<br />

ricevuta. Non già, beninteso, che questa attuazione possa compiersi,<br />

e, specialmente, possa compiersi plenariamente, nelle singole<br />

anime, senza la loro cooperazione, il loro impegno, la loro sintonia<br />

morale; ma perché questa attuazione, supposta la previa sintonia


112 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

morale e pur compiendosi nell'interiorità delle singole anime, trascende<br />

immensamente, nella sua qualità e nella sua intensità, il<br />

piano puramente psicologico, soggettivo e sperimentale di queste<br />

singole anime; non si misura semplicemente a quella loro sintonia,<br />

o ai loro meriti morali, tanto meno i meriti morali del ministro.<br />

Come già osservato, l'opus operatum non ha niente a che fare<br />

con l'azione magica. Tuttavia, non si può negare che esso, e ancora<br />

più il modo comune di spiegare la necessità <strong>della</strong> sintonia morale<br />

del soggetto nell'opus operatum solo come condizione previa al conferimento<br />

<strong>della</strong> grazia da parte di Dio 10 , fa apparire la <strong>liturgia</strong> cattolica<br />

come immensamente elevata al di sopra del semplice moralismo<br />

e psicologismo protestante, per il quale il rito liturgico non trascende<br />

mai il valore di un'esortazione e d'una predica. Se nella <strong>liturgia</strong><br />

l cattolica il fedele, pur senza poter mai sentirsi dispensato dall'impegno<br />

morale e dalla sintonia morale <strong>della</strong> vita, sa che il suo incontro<br />

con Dio avviene sopra una roccia ben altrimenti salda che le<br />

sabbie mobili e malsicure del proprio soggettivismo e dei poveri<br />

suoi sforzi morali, questo è dovuto anzitutto all'opus operatum.<br />

Di qui si comincia a vedere — e più tardi bisognerà precisarlo<br />

— in che modo la <strong>liturgia</strong> realizza l'equilibrio del binomio soggetto-oggetto,<br />

uomo-Dio. Dall'opus operatum risulterà, infatti, non<br />

solo che non sarà il soggetto a determinare l'oggetto, né l'uomo<br />

a determinare Dio, ma che queste due grandezze non possono nemmeno<br />

concepirsi come due dati paralleli, giustapposti o semplicemente<br />

coordinati, ma devono essere considerati come due subordinate:<br />

sta al soggetto ad accettare l'oggetto, a vibrare al suo unisono;<br />

sta all'uomo ad accettare Dio e il suo dono.<br />

Nell'attuazione liturgica, è Dio che attua nelle anime il mistero<br />

di Cristo, mistero <strong>della</strong> Chiesa, <strong>della</strong> storia; Egli lo dà all'uomo,<br />

glielo partecipa, ve lo attrae. La salvezza dell'uomo è, anzitutto, di<br />

non ostacolare l'opera di Dio; poi di rispondere alla sua azione,<br />

di sintonizzarsi all'oggetto che Egli oggettivamente gli presenta:<br />

il mistero di Cristo; di lasciarsi dominare dalla sua maestà, di lasciarsi<br />

attirare da esso. Non già, non è mai inutile ripeterlo in tutti<br />

i modi, che l'uomo possa ridursi a un atteggiamento di eterodosso<br />

quietismo; ma è innegabile che nella <strong>liturgia</strong>, massimamente in<br />

quella dei sacramenti, appunto a causa dell'opus operatum,, realmente<br />

e psicologicamente trionfa al primo piano la maestà dell'oggetto:<br />

il mistero di Cristo attuato da Dio e non per virtù dell'uomo<br />

sotto il velo dei segni, e la maestà di Dio che opera tutto in tutti.<br />

Per cui, nella <strong>liturgia</strong>, l'incontro tra l'uomo e Dio non sarà organizzato<br />

con un procedimento ove predomini l'introversione e l'analisi<br />

psicologica. Infatti nella <strong>liturgia</strong> si tratta per l'uomo non tanto<br />

10 Non nego tuttavia la necessità di approfondire più di quanto avviene<br />

nella spiegazione comune il rapporto tra rito sacramentale e fede di colui che<br />

lo riceve rispetto alla grazia che Dio conferisce nel sacramento. Ma, in ogni<br />

ipotesi, l'opus operatum deve rimanere intatto e con ciò la trascendenza <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> sullo psicologismo e il semplice moralismo.


L'OPUS OPERATUM 113<br />

di concentrarsi su se stesso per analizzarsi ed ascoltare le reazioni<br />

psicologiche del proprio io di fronte al mistero di Cristo, quanto<br />

assai più di guardare e di ascoltare fuori di sé, di uscire, per così<br />

dire, fuori di sé ed immettersi nell'oggetto presente fino a dimenticare,<br />

se è possibile, se stesso in lui. Interiorità e molta interiorità<br />

richiede la <strong>liturgia</strong> come ogni via per andare a Dio; l'ideale, a cui<br />

tende e al quale istrada, è un'interiorità talmente soggiogata dall'oggetto<br />

— Dio e il mistero di Cristo attuato sotto il velo dei<br />

segni — che tende ad ignorarsi, tanto è forte l'impronta dell'opus<br />

operatum nella struttura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Impronta oggettivista, impronta teocentrica, dunque impronta<br />

realista. I segni liturgici dei sacramenti sono efficaci non solo perché<br />

attuano realmente nel fedele la conoscenza, il ricordo, l'affetto<br />

e il desiderio del mistero di Cristo, <strong>della</strong> storia e <strong>della</strong> Chiesa a<br />

tutti i suoi piani, ma perché nell'attuazione di questo mistero, come<br />

strumenti di Dio, raggiungono e trasformano l'interiorità delle anime<br />

in un punto molto più radicale e profondo del semplice piano<br />

<strong>della</strong> psicologia, e perciò stesso di ordine diverso. Ordine diverso<br />

che, pur essendo strettamente spirituale, i teologi, per distinguerlo<br />

appunto dall'ordine spirituale psicologico, chiamano fisico e, che,<br />

per evitare ogni pretesto a materializzazioni grossolane, si potrebbe<br />

chiamare transfisico, iperfisico.<br />

L'opus operatum, finalmente, apre un grande spiraglio su quest'altro<br />

carattere essenziale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> — anch'esso da analizzare<br />

maggiormente e precisare in seguito — che cioè essa è in primo<br />

luogo azione, non già <strong>della</strong> Chiesa, dei suoi ministri o dei suoi<br />

fedeli, ma di Cristo; che la Chiesa, i suoi ministri e i suoi fedeli<br />

sono oggetto e strumento dell'azione di Cristo nella <strong>liturgia</strong> e che<br />

essi non possono fare attivamente propria la <strong>liturgia</strong> che in quanto<br />

si associano attivamente all'azione di Cristo e vi partecipano.<br />

L'opus operatum dimostra al massimo grado, quanto il ministro<br />

e il fedele nella <strong>liturgia</strong> siano un nulla senza Cristo e quanto, invece,<br />

siano grandi dinanzi al Padre quando, tenendosi strettamente uniti<br />

a Cristo, ricevono il suo influsso, partecipano al suo essere e al<br />

suo agire.<br />

L'« opus operatum » e la presenzlalità reale<br />

delle realtà spirituali significate dal segno sacramentale,<br />

specialmente nella sua dimensione rimemorativa<br />

In virtù del realismo indotto nella <strong>liturgia</strong> dei sacramenti dall'opus<br />

operatum, è relativamente facile capire in qual <strong>senso</strong>, in<br />

questi, il ségno liturgico, nell'essere posto, implichi realmente l'attuazione<br />

di quelle realtà spirituali che significa come segno dimostrativo,<br />

impegnativo, profetico e anche rimemorativo rispetto alla<br />

storia sacra prima di Cristo. Presenta invece speciali difficoltà la<br />

questione come il segno liturgico sacramentale attualizzi le azioni<br />

storiche salutifere di Cristo nella sua vita mortale.


114 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

La presenzialità delle realtà spirituali significate dal segno sacramentale.<br />

— Abbiamo detto sopra che, come segno dimostrativo,<br />

il segno liturgico, quando si tratta di un segno che, come appunto<br />

avviene nei sacramenti, si riferisce immediatamente alla santificazione<br />

e solo mediatamente al culto, significa immediatamente la<br />

grazia santificante, e mediatamente le altre realtà, ossia: le disposizioni<br />

d'animo cultuali, Dio operante presentemente come causa<br />

principale <strong>della</strong> santificazione ed oggetto ultimo del culto, Cristo anche<br />

nella sua umanità come causa strumentale <strong>della</strong> santificazione<br />

e causa principale ed anche oggetto del culto, la Chiesa come oggetto<br />

<strong>della</strong> santificazione e causa strumentale del culto che Cristo rende<br />

a Dio. Orbene, nei segni liturgici dei sette sacramenti, in virtù dell'opus<br />

operatum, queste realtà molto effettivamente, sebbene ognuna<br />

a suo modo, sono rese presenti e come attuate presenzialmente<br />

dalla posizione valida e fruttuosa del segno. Infatti, per tale posizione,<br />

la grazia santificante è prodotta dalla divinità e applicata per<br />

mezzo dell'umanità di Cristo quale strumento congiunto, nell'interiorità<br />

invisibile delle anime in quanto membri <strong>della</strong> Chiesa, corpo<br />

mistico di Cristo. Parimenti, la posizione valida e fruttuosa del<br />

segno sacramentale implica come realtà presenzialmente attuate<br />

le disposizioni d'animo in cui consiste formalmente, per colui che<br />

riceve il sacramento, il culto che rende a Dio per mezzo di Gesù<br />

Cristo capo <strong>della</strong> Chiesa, suo corpo mistico.<br />

Si capisce pure come, nella posizione valida e fruttuosa del<br />

segno sacramentale, sia anche implicata presenzialmente quella<br />

realtà spirituale invisibile significata dal segno sacramentale come<br />

segno impegnativo e che non è altro che la disposizione d'animo<br />

di colui che riceve il sacramento che s'impegna per l'avvenire.<br />

Infatti senza questa disposizione non c'è posizione fruttuosa del<br />

segno.<br />

Le realtà spirituali invisibili che il segno liturgico, nei sette<br />

sacramenti, significa come segno profetico, sono la gloria e il culto<br />

perfetto <strong>della</strong> Gerusalemme celeste. In virtù dell'opus operatum<br />

queste realtà sono, a loro modo, attuate come già presenti hic et<br />

nunc, nello stesso modo che la ghianda rende realmente presente<br />

la quercia — realmente, cioè, in germe — e che l'abbozzo rende realmente<br />

presente la futura statua, sebbene incoativamente.<br />

In tutto simile a quest'ultimo modo, ma rovesciando, per così<br />

dire, l'ordine dei termini, è l'efficacia del segno sacramentale nell'attuare<br />

come presenti quelle realtà spirituali di santificazione e<br />

di culto che avvennero nella storia sacra dopo il peccato di Adamo<br />

e prima di Cristo, in specie le santificazioni e il culto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

dell'Antico Testamento. In virtù dell'opus operatum, queste realtà,<br />

alle quali il sacramento si riferisce come segno rimemorativo, sono<br />

da esso attuate come la statua attua e rende presente l'abbozzo<br />

che realizza e da cui fu preparata.<br />

Come si vede, in virtù dell'opus operatum, l'efficacia del segno<br />

liturgico nei sette sacramenti e il suo potere di rendere realmente


LA TEORIA DI CASEL 115<br />

presente la realtà spirituale significata, non va limitato alla sola<br />

grazia, ma va esteso, a suo modo, a tutte le predette realtà secondo<br />

i diversi piani significativi del segno stesso. In questo non ci sono<br />

difficoltà speciali.<br />

L'attuazione presenziale nel segno sacramentale delle azioni<br />

storiche salutifere <strong>della</strong> vita mortale di Cristo. — Presenta maggiori<br />

difficoltà la questione di sapere in che <strong>senso</strong> preciso si può dire<br />

che il segno sacramentale, quale segno rimemorativo efficace ex<br />

opere operato, attua e rende realmente presente nell'azione liturgica<br />

le opere salutifere che Cristo fece nella sua vita terrena, ed anzitutto<br />

la sua passione e morte. Come capire esattamente e rispetto<br />

a tutti i sacramenti il « recolitur memoria passionìs eius » dell'« O<br />

sacrum convivium »?<br />

In questa materia dal 1922 il P. Oddone Casel dette inizio tra<br />

i teologi a una controversia che dura tuttora. Ecco, per informazione,<br />

i punti, credo essenziali, <strong>della</strong> sua teoria personale sul « mistero<br />

» in quello che ha di specifico rispetto al concetto di mistero<br />

sopra spiegato n . Secondo Casel, negazione cultica sacramentale,<br />

è reso oggettivamente presente non solo l'effetto delle azioni salutifere<br />

storiche di Cristo, e specialmente <strong>della</strong> passione, ossia è resa<br />

oggettivamente presente non solo la grazia, ma anche la stessa<br />

azione salutifera passata, in specie la passione sul Golgota, non già<br />

in tutte le minime circostanze di persone e di ambiente, ma, come<br />

egli dice, in quello che aveva d'essenziale, nella sua sostanza. Così,<br />

secondo Casel, nel rito che nella <strong>liturgia</strong> si compie nello spazio e<br />

nel tempo, le azioni salutifere storiche di Cristo sulla terra e specialmente<br />

la passione, vengono « commemorate », nel <strong>senso</strong> che<br />

verrebbero oggettivamente rese presenti, ripresentate, e, si noti<br />

bene, numericamente le stesse, sebbene, e anche questo va accuratamente<br />

notato nella posizione di Casel, in un modo proprio<br />

completamente sui generis.<br />

Questo modo proprio, secondo Casel, trascende lo spazio e il<br />

tempo, mentre il rito liturgico stesso si compie nello spazio e nel<br />

tempo; ed egli lo chiama modo « misterico », « mistero ». Così<br />

egli dà alla tradizionale espressione di mistero a proposito <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, questo <strong>senso</strong> specifico, propriamente nuovo, (sebbene Casel<br />

abbia creduto di poterlo dimostrare anche nell'uso che di questa<br />

parola facevano i Padri a proposito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e nell'uso stesso<br />

dei testi liturgici) di rito cultico che, sotto il velo dei segni e in<br />

un modo trascendente lo spazio e il tempo, renderebbe oggettivamente<br />

presente anche la stessa azione salutifera storica passata di<br />

11 Cfr. sopra pp. 27-32 e 43-45. Per la teoria di Casel vedi in: Jahrbuch<br />

fiir Liturgiewissenscha.it 6 (1926) 113-204; 8 (1928) 145-224; Dos christliche Kultmysterium,<br />

Regensburg 1935. TH. FILTHAUT, Die {Controverse iiber die Mysterienlehre,<br />

Warendorf 1947. Vedi pure gli studi Vom christlichen Cultmysterium...<br />

a cura di A. MAYER..., Dusseldorf 1951. L. BOUYER, La vie de la liturgie, Paris 1956<br />

pp. 115-31; 220-29. P. WEGENAERT, Heilsgegenwart, Miinster i.W. 1958.


116 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

Cristo, nella sua individualità numerica, anzitutto la stessa passione.<br />

Nell'eucaristia in specie, per Casel, è reso presente nel predetto<br />

modo non solo Cristo che patì sul Golgota ed è ora glorioso alla<br />

destra del Padre, ma anche l'azione stessa storica passata <strong>della</strong><br />

passione, e in questo <strong>senso</strong> preciso, non solo Cristo che patì, ma<br />

la passione stessa di Cristo.<br />

Casel, non solo si sforzò di appoggiare queste sue spiegazioni<br />

sui testi dei Padri e delle liturgie, ma credette anche che il concetto<br />

di mistero cultico cristiano, nel preciso <strong>senso</strong> che egli intendeva,<br />

sarebbe stato, storicamente parlando, la risposta cristiana, vera e<br />

trascendente, a quelle aspirazioni generali religiose umane che,<br />

nell'antichità, si manifestarono negli sviamenti dei culti misterici<br />

pagani. In questi misteri cultici pagani, pensa Casel, sotto il simbolo<br />

del rito cultico, rappresentante le vicende storiche di una divinità<br />

supposta salvatrice, anzitutto il suo morire e risorgere (per es.,<br />

Mitra, Iside e Osiride), l'iniziato era persuaso di rivivere in se stesso,<br />

per via cultica e per arcana assimilazione, quelle stesse vicende<br />

del dio, anzitutto il suo morire e risorgere, e così di ottenere la<br />

soteria, la salvazione.<br />

Non è mia intenzione entrare nei particolari <strong>della</strong> controversia<br />

suscitata da questa teoria e nei tentativi di correzione ed adattamento<br />

fatti da alcuni teologi. Bastino al nostro scopo alcune osservazioni.<br />

Anzitutto le ricerche storiche occasionate dalle teorie<br />

di Casel, hanno stabilito, si può dire ormai definitivamente, tre<br />

punti di capitale importanza, sui quali l'unanimità tende a farsi tra<br />

gli studiosi. <strong>Il</strong> primo è che la teoria di Casel <strong>della</strong> ripresentazìone<br />

numerica non può identificarsi con il concetto di mysterion nel<br />

Nuovo Testamento, e in specie, in S. Paolo. Abbiamo già parlato<br />

nel primo capitolo del mysterion in S. Paolo e abbiamo visto che<br />

il concetto connesso con questa espressione non è da S. Paolo stesso<br />

esteso esplicitamente al culto ma riferito semplicemente alla storia<br />

sacra in genere. Tanto meno può trovarsi in S. Paolo la ripresentazione<br />

numerica.<br />

<strong>Il</strong> secondo punto è che Casel, sotto l'influsso di Reitzenstein,<br />

ha sopravvalutato il vero significato dei culti misterici pagani non<br />

rilevando abbastanza il loro fondo naturistico come semplice simbolismo<br />

del ciclo <strong>della</strong> vegetazione nel succedersi delle stagioni,<br />

simbolismo ben lontano, specialmente all'epoca antica, dal concetto<br />

di un personaggio storico, o almeno supposto tale, redentore per<br />

mezzo <strong>della</strong> sua morte e risurrezione. Inoltre, Casel è notevolmente<br />

inesatto nel concepire i rapporti <strong>della</strong> tradizione cristiana, specialmente<br />

di quella più antica, prima del secolo IV, nei confronti dei<br />

misteri cultici pagani. Non solo, infatti, nella costituzione storica<br />

dell'essenza del culto cristiano non hanno influito i culti misterici<br />

pagani, ma la stessa spiegazione teologica patristica che vede il<br />

culto cristiano sullo sfondo dei concetti di mysterion, mysterium,<br />

sacramentum, si sviluppa, essenzialmente, a partire dal concetto<br />

e dalla realtà scritturistica <strong>della</strong> storia sacra, <strong>della</strong> dimensione allegorica<br />

e tipica dei fatti, testi, persone, dell'Antico Testamento, in


CRITICA DI CASEL 117<br />

contatto se mai, con la mentalità generale di tradizione platonica<br />

che nelle realtà di questo mondo vedeva anzitutto immagini e simboli<br />

delle realtà del mondo ultraterreno ia .<br />

Terzo punto sul quale si è, ormai, sempre più d'accordo: il concetto<br />

di mistero cultico, inteso del culto cristiano nel <strong>senso</strong> di ripresentazione<br />

numerica che le dà Casel, è sconosciuto sia ai Padri sia<br />

alle liturgie 13 . Questi, quando parlano di mysterion, mysterium e<br />

di sacramentum a proposito del culto cristiano, lo fanno semplicemente<br />

nel <strong>senso</strong> che a suo luogo abbiamo brevemente spiegato<br />

e sul quale torneremo ancora, di segno sensibile che significa una<br />

cosa sacra in rapporto alla trasmissione <strong>della</strong> vita divina in Cristo<br />

nel mondo e che, in qualche modo, contiene e trasmette questa<br />

realtà. Ma precisare quel modo come lo fa Casel significa oltrepassare<br />

di molto il pensiero dei Padri.<br />

Tuttavia è perfettamente legittimo il tentativo di fornire, in<br />

questo campo, spiegazioni teologiche maggiori di quelle che si possono<br />

trovare nella Scrittura o nella tradizione patristica. Ma, anche<br />

considerata sotto questo aspetto la teoria di Casel non pare soddisfacente.<br />

Va bensì considerato legittimo lo scopo ultimo che Casel<br />

vuole, a quanto pare, raggiungere: quello di rivendicare fortemente<br />

la natura realistica, e non solo di semplice ricordo psicologico, del<br />

legame che riallaccia la grazia sacramentale significata e prodotta<br />

dal rito sacramentale, non solo a Cristo in modo generico, ma anche<br />

all'azione salutifera storica di Cristo, a quello che Cristo agì e<br />

patì nella carne, anzitutto sul Golgota. Queste azioni sono propriamente<br />

in Cristo la causa <strong>della</strong> grazia che ci è data. È quindi giusto<br />

mettere maggiormente in luce, nella coscienza del fedele, che, nel<br />

rito sacramentale, egli viene messo, in qualche modo reale, in presenza<br />

e in contatto con quell'azione storica salutifera.<br />

Ma nelle azioni storiche salutifere di Cristo si possono considerare<br />

due elementi: l'uno di natura non permanente: sono le<br />

azioni stesse nella loro individualità numerica, che passarono con la<br />

posizione dell'atto; l'altro di natura permanente che è la disposizione<br />

d'animo permanente, ossia l'abito operativo, da cui, come da<br />

radice psicologica, stabile, emanarono le singole azioni salutifere<br />

in tutta l'esistenza terrena di Cristo.<br />

12 Vedi sotto cap. XIX dove si parla di teologia e <strong>liturgia</strong> nei padri.<br />

13 Vedi per es., gli studi di G. SOEHNGEN, Ver Wesensaufbau des Mysteriums,<br />

Bonn 1938. H. MARSH, The use of Mysterion in the writings of Clement of Alexandria,<br />

in: Journal of theological studies 1936 p. 64ss. H. VON BALTHASAR, Le mysterion<br />

d'Origene, in: Rech. se. relig. 26 (1936) 513 ss; 27 (1937) 38 ss. G. FITTKAU, Der<br />

Begriff des Mysteriums bei Joannes Chrysostomus, Bonn 1953. Intorno all'opera<br />

di J. BETZ, Die Eucharistie in der Zeit der griechischen Vdter, Band 1/1: Die<br />

Aktualpràsenz der Person und des Heilswerkes Jesu im Abendmahl nach der<br />

vorephesinischen griechischen Patristik, Freiburg 1955, nella quale l'autore difende<br />

la tesi storica di Casel — a parte il tentativo di spiegare in modo diverso<br />

la ripresentazione dell'opera salutare di Cristo — vedi la severa, ma, a mio<br />

parere, sostanzialmente giusta, recensione di J. BARBEL, in: Theologische Revue<br />

53 (1957) 61-71. B. DE SOOS, Le mystère Hturgìque d'après saint Leon le grand,<br />

Munster i.W. 1958.


118 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

Poiché si tratta di sapere se, nel rito sacramentale, le singole<br />

azioni sono rese realmente e numericamente presenti in se stesse<br />

come lo vuole Casel, è indispensabile analizzare metafisicamente<br />

la natura dell'azione e vedere da che cosa proviene l'individuazione<br />

delle singole azioni per rendersi conto se tale ripresentazione numerica<br />

sia possibile, almeno per miracolo. Basti notare che l'azione<br />

in se stessa è una entità di natura non permanente e, in questo<br />

preciso <strong>senso</strong>, successiva, che, uscendo efficientemente come atto<br />

dalla potenza operativa, è in un determinato momento di tempo<br />

e cessa di esistere con l'interruzione dell'influsso efficiente attuale<br />

<strong>della</strong> potenza. E si noti bene che questo vale di ogni azione umana<br />

fatta in questa vita, non escluse le azioni propriamente spirituali<br />

d'intelligenza e di volizione. Anch'esse, in virtù <strong>della</strong> connessione<br />

e dipendenza, misteriosa quanto si vuole, ma reale in questa vita,<br />

dell'esercizio di queste potenze spirituali dagli organi corporei,<br />

cadono sotto il tempo, vengono all'essere in un determinato momento<br />

di tempo e cessano di esistere con l'interruzione nel tempo<br />

dell'influsso efficiente attuale <strong>della</strong> potenza.<br />

A causa <strong>della</strong> natura non permanente dell'azione, entra in<br />

modo essenziale nella sua individuazione l'elemento tempo. L'interruzione<br />

nel tempo di un atto interno o anche esterno, lo distingue<br />

numericamente da qualsiasi atto antecedente o susseguente<br />

<strong>della</strong> stessa specie, cosicché, per l'individuazione di ogni singola<br />

azione, in quanto entità non permanente, è determinante che sia<br />

stata fatta senza interruzione in.questo spazio di tempo e non in<br />

un altro 14 . Ne segue che è metafisicamente impossibile, dunque<br />

anche per miracolo perché contraddittorio in se stesso, che un'azione<br />

possa essere riprodotta o ripresentata numericamente la stessa<br />

dopo un'interruzione di tempo, in uno spazio di tempo successivo.<br />

Perciò non è possibile parlare di passione di Cristo, e in genere<br />

di azione salutifera storica di Cristo come entità di natura non<br />

permanente ripresentata oggettivamente in se stessa numericamente<br />

la stessa in un tempo successivo. Se è attuata in uno spazio di<br />

tempo, distinto per interruzione dal momento primevo, per il fatto<br />

stesso, non è più numericamente la stessa, ma una nuova azione.<br />

Non giova dire che, sebbene sia proprio l'azione storica passata<br />

che nella sua singolarità .numerica vien fatta presente nel rito liturgico<br />

che si compie nello spazio e nel tempo, però essa vien fatta<br />

presente in un modo proprio che trascende lo spazio e il tempo.<br />

Si risponde, infatti, che proprio questo modo, nel presente caso,<br />

implica contraddizione con la natura dell'azione individuale come<br />

tale; perciò, a chi fa tale affermazione, rimane da spiegare come<br />

possa essere conservata, sia pure per miracolo, per poter poi essere<br />

ripresentata nella sua singolarità numerica, un'entità di natura<br />

non permanente, individuata nella sua singolarità dal tempo in cui<br />

14 Vedi, per esempio, S. TOMMASO, Quodlib. IV q 3 a 5; GIOVANNI DA S. T.,<br />

Philos. nat. HI pars, quaestio 12 art. 1 (ed. Reiser II p. 636 ss).


CRITICA DI CASEL 119<br />

fu fatta, se questo tempo viene ad essere interrotto e a cadere<br />

nel nulla.<br />

Così si risponde anche all'affermazione di Casel quando dice<br />

che l'azione salutifera storica di Cristo, nella <strong>liturgia</strong> sacramentale,<br />

viene ripresentata numericamente la stessa non già nelle sue particolarità<br />

di spazio e di tempo ma nella sua sostanza. Da quanto<br />

sopra, risulta come, alla sostanza di un'azione storica numericamente<br />

individuale come tale appartiene appunto l'elemento tempo, perché<br />

questo è uno dei suoi elementi individuanti. E' dunque contraddittorio<br />

dire che l'azione è ripresentata nella sua sostanza numericamente<br />

individuale, ma senza la circostanza di tempo.<br />

Non giova affatto rifiutare l'analisi concettuale metafisica che<br />

distingue tra entità permanente e entità non permanente e determina<br />

il modo d'individuazione dell'una e dell'altra, per rifugiarsi<br />

in un intuizionismo vitalista e antintellettualista : primo, perché<br />

negare le esigenze <strong>della</strong> ragione concettuale e del ragionamento<br />

metafisico non è risolvere le questioni che esso inevitabilmente<br />

pone, e, secondo, perché ciò significherebbe mettere in questione<br />

princìpi fondamentali di filosofia fuori dei quali la fede stessa e<br />

la teologia come tale non possono sussistere.<br />

Tra le difficoltà che giustamente si muovono alla teoria caseliana<br />

non va taciuta neppure questa : che, se la passione sul Golgota<br />

fosse ripresentata nella messa nella sua individualità numerica,<br />

la messa sarebbe un sacrifìcio cruento e Cristo in essa nuovamente<br />

meriterebbe.<br />

Bisogna dunque dire che il rito sacramentale non rende presenti<br />

oggettivamente in se stesse le azioni salutifere storiche di<br />

Cristo considerate nel loro elemento di natura non permanente<br />

individuato numericamente dal tempo in cui furono fatte.<br />

Però quelle azioni, ormai passate e non ripresentabili nella<br />

loro individualità numerica, continuano ad influire sulla grazia<br />

che ci vien concessa, di cui sono sempre causa efficiente strumentale,<br />

meritoria ed esemplare.<br />

È insistente dottrina di S. Tommaso che tutte le azioni storiche<br />

di Cristo, quello che Egli fece e patì nella sua vita mortale, continuano<br />

ad esercitare influsso di causalità efficiente strumentale su<br />

tutte le grazie per mezzo delle quali la salvezza viene applicata<br />

agli uomini in tutti i luoghi e in tutti i tempi. Questo perché non<br />

furono azioni semplicemente umane — che, come tali, furono di<br />

virtù limitata anche nello spazio e nel tempo — ma azioni teandriche,<br />

umano-divine. Per il loro stesso elemento umano, come per<br />

uno strumento, operava la virtù divina « la quale tocca presenzialmente<br />

tutti i luoghi e tutti i tempi » 15 . E così quelle stesse azioni,<br />

limitate nel loro elemento umano, nello spazio e nel tempo, nel<br />

loro effetto totale raggiungono tutti i luoghi e tutti i tempi 18 .<br />

15 Summa III q 56 a 1 ad 3.<br />

16 Rileva la dottrina di S. Tommaso in questo punto P. WEGENAERT, Heilsgcgenwart...,<br />

Miinster i.W. 1958. Tra i testi di S. Tommaso nota i seguenti:


120 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

Inoltre, continuano ad influire sulla grazia che ci vien data<br />

come causa meritoria. Poiché, intenzionalmente presenti nell'accettazione<br />

divina, influiscono, per così dire, moralmente sulla volontà<br />

di Dio, il quale concede la grazia, avuto riguardo a queste<br />

azioni. i<br />

Finalmente, sono anche causa esemplare <strong>della</strong> nostra santificazione<br />

e del nostro culto. Infatti, in noi, santificazione e culto non<br />

sono che partecipazioni alla santità di Cristo, di cui quelle azioni<br />

furono il frutto, e al culto che in quelle Egli rese a Dio e di cui<br />

il nostro culto liturgico non è che la continuazione. Così le azioni<br />

salutifere di Cristo, anche nella loro individualità numerica ormai<br />

passata e non riproducibile, sono rese realmente presenti nel rito<br />

liturgico nel modo che l'immagine viva fa presente il prototipo che<br />

rappresenta e ripresenta perché di esso realmente partecipa.<br />

Pertanto la « rimemorazione » delle azioni salutifere di Cristo<br />

nei riti liturgici, anche considerando queste azioni come entità non<br />

permanenti, non riproducibili nella loro individualità numerica, non<br />

si riduce mai a un semplice ricordo di cose passate. Nel rito liturgico<br />

sono realmente presenti sia nei loro effetti ontologici, sia perché<br />

attraverso la virtù divina che opera questi effetti in dipendenza<br />

strumentale da queste azioni, il fedele viene messo in reale contatto<br />

di virtù non solo con Cristo in modo generico, ma con quello che<br />

Cristo fece e patì nella carne ". ,<br />

Se poi nelle azioni storiche salutifere di Cristo si considera<br />

Affermazioni generali : « Omnes actiones et passiones Christi instrunientaliter<br />

operantur in virtute divinitatis ad satutem humanam » (Summa III q 48 a 6 e).<br />

« Sicut alia quae Christus fecit vel passus est, ex virtute divinitatis eius sunt<br />

yiobis salutaria, ita et resurrectio Christi est causa efficiens nostrae resurrecfionis<br />

virtute divina... quae virtus praesentialiter attingit omnia loca et tempora » (ibid.<br />

III q 56 a 1 ad 3). « Quae humanitati Christi gesta sunt, non solum sunt gesta<br />

secundum virtutem humanam, sed virtute divinitatis sibi unitae. Unde sicut tactus<br />

x suus curabat ìeprosum inquantum instrumentum divinitatis, sic et resurrectio<br />

Christi causa est nostrae resurrectionis » (In 1 Thes IV, lect 2). « Propter infinitam<br />

virtutem Christi, sicut ex contactu carnis suae vis regenerativa pervenit non<br />

solum ad illas aquas quae Christum tetigerunt, sed ad omnes ubique terrarum<br />

per omnia saecula futura, ita etiam ex prolatione ipsius Christi haec verba (dell'istituzione)<br />

virtutem conseàrativam sunt consecuta a quocumque sacerdote dicantur<br />

ac si Christus ea praesentialiter proferret » (Summa III q 78 a 5 e.<br />

Vedi a 4 e).<br />

Per la passione di Cristo conie causa efficiente, esemplare e meritoria, vedi<br />

Summa HI q 48 a 6 e; ibid. ad 2 e ad 3; q 56 a 1 ad 4; a 2 ad 4. Per la risurre :<br />

zione di Cristo causa efficiente ed esemplare <strong>della</strong> nostra risurrezione vedi<br />

Summa IH q 56 a 1 e e ad 3, ad 4; a 2 ad 4; In 1 Thes IV, lect 2; 4 d 43 q 1<br />

a -2 sol 1.<br />

17 L'enciclica Mediator Dei in un passo dove parla dei riti dell'anno liturgico<br />

fa un'allusione sfavorevole al tentativo di spiegazione di Casel : « Questi<br />

misteri, non è nel modo incerto ed assai oscuro in cui parlano certi scrittori<br />

recenti, che essi restano costantemente presenti ed operano, ma come ci insegna<br />

la dottrina cattolica. Secondo i Dottori <strong>della</strong> Chiesa, infatti, essi sono eccellenti<br />

modelli <strong>della</strong> perfezione cristiana; a causa dei meriti e delle preghiere di Cristo<br />

essi sono la sorgente <strong>della</strong> grazia divina; essi si prolungano in noi per i loro<br />

effetti, poiché ognuno, secondo la propria natura, rimane a suo modo la causa<br />

<strong>della</strong> nostra salvezza » (n. 163).


CONTATTO CON CRISTO 121<br />

la disposizione d'animo permanente, o l'abito, donde fluirono, è innegabile<br />

che, nel rito sacramentale, il fedele viene messo in contatto<br />

con esse e nella loro presenzialità in un modo ancora più profondo.<br />

Questo perché quella disposizione d'animo di Cristo, di cui le<br />

azioni salutifere nella sua vita terrena non erano che espressioni<br />

singole e successive, non era essa stessa entità successiva, ma permanente<br />

nella sua natura. Dal primo istante <strong>della</strong> sua esistenza,<br />

mai interrotta o semplicemente diminuita, rimase sempre numericamente<br />

la stessa fino all'ultimo respiro <strong>della</strong> sua vita terrena<br />

e tale continua in Cristo ora glorioso alla destra del Padre.<br />

Nell'eucaristia, dove la persona stessa di Cristo, e non solo la<br />

sua virtù soprannaturale, è realmente presente nella sua divinità<br />

e nella sua integra umanità gloriosa: corpo, anima, intelligenza,<br />

volontà, la presenzialità oggettiva di quella disposizione permanente<br />

<strong>della</strong> sua anima è di natura tutta speciale per forza e realismo.<br />

Chiamiamola presenzialità personale in quanto è implicata nella<br />

presenza reale <strong>della</strong> persona stessa di Cristo nell'eucaristia.<br />

Negli altri sacramenti quella presenzialità è di virtù e non di<br />

persona, e il fedele è messo in contatto oggettivo di virtù con quella<br />

disposizione permanente dell'anima di Cristo. Ma quella presenza<br />

e quel contattò reale di virtù non è un semplice ricordo, né una<br />

semplice conoscenza o affetto nel fedele. È d'un ordine, che i teologi,<br />

per distinguerlo, appunto, da quello <strong>della</strong> semplice conoscenza,<br />

affetto o ricordo, chiamano fisico. Infatti, ogni trasmissione di grazia<br />

nei sacramenti è causata, come da strumento vivo <strong>della</strong> divinità,<br />

dall'integra umanità di Cristo ora glorioso, comprese le sue disposizioni<br />

d'animo, dalle quali, nella sua vita terrena fluirono i singoli<br />

atti salvatori.<br />

Notiamo, infine, che le azioni storiche salutifere di Cristo, nella<br />

sua vita terrena, erano molte, perché cominciarono col primo istante<br />

dell'incarnazione del Verbo e finirono coll'ultimo respiro di<br />

Cristo sulla croce. Inoltre ognuna di esse era, per se stessa, sufficientissima<br />

per redimerci. Tuttavia, nell'ordine effettivamente voluto<br />

dal Padre ed accettato liberamente da Cristo, concorrevano<br />

tutte come cause parziali a formare la causa totale unica <strong>della</strong><br />

nostra salvazione che si compì, nella sua integralità, solo coll'ultimo<br />

respiro di Cristo sulla croce. Tutte le azioni salutifere di<br />

Cristo nella sua vita mortale tendevano, dunque, alla croce come<br />

al loro compimento, da essa prendevano <strong>senso</strong> e solo in essa cominciò,<br />

nella sua integrità, come cosa completa, il culto cristiano.<br />

La croce così riassume e compie in sé tutte le azioni salutifere<br />

precedenti <strong>della</strong> vita di Cristo. E per questo che i singoli misteri<br />

redentori <strong>della</strong> vita di Cristo implicano tutti il mistero <strong>della</strong> croce. Che<br />

anzi, tutta la vita terrena di. Cristo non è che un mistero redentore<br />

che si compie sulla croce.<br />

Bisogna anche osservare che la risurrezione e l'ascensione,<br />

con la seduta alla destra del Padre e la missione che quindi Cristo<br />

fece dello Spirito Santo, non sono stati atti meritori e in questo


122 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

<strong>senso</strong> redentori, come non lo sarà la seconda venuta di Cristo.<br />

Pur tuttavia, nel rito sacramentale, anzi nella celebrazione liturgica<br />

in genere, come l'attuazione presenziale, nel modo sopra spiegato,<br />

dei singoli misteri storici <strong>della</strong> vita di Cristo non è mai separata<br />

dall'attuazione presenziale del mistero <strong>della</strong> croce, così anche<br />

questa non è mai separata dall'attuazione presenziale rimemorativa<br />

efficace <strong>della</strong> risurrezione, dell'ascensione, <strong>della</strong> seduta alla destra<br />

del Padre e <strong>della</strong> missione dello Spirito. Anzi non è mai separata<br />

dall'attuazione presenziale efficace profetica <strong>della</strong> futura seconda<br />

venuta del Signore.<br />

Tutto questo perché tutte le fasi <strong>della</strong> vita storica e metastorica<br />

del Signore, fino alla sua seconda venuta inclusivamente, sono<br />

talmente unite tra loro che non formano che un unico grande<br />

mistero: il mistero di Cristo redentore. Dall'incarnazione alla morte<br />

in croce, tutto tendeva al Golgota come al suo apice e compimento<br />

da cui tutto il resto prendeva <strong>senso</strong>. Ma il Golgota stesso<br />

tendeva con tutto il suo peso alla risurrezione, ascensione, seduta<br />

alla destra del Padre e alla missione dello Spirito nella pentecoste,<br />

perché solo con la risurrezione, ascensione, seduta alla destra del<br />

Padre e con la pentecoste Cristo raccoglie per se stesso e per noi<br />

i frutti del Golgota e ce li comunica. Questi frutti per noi si riassumono<br />

nello Spirito che Cristo ci comunica con tutto quello che<br />

lo Spirito e la sua presenza tra noi e in noi comportano: Chiesa,<br />

sacramenti, grazia, virtù, doni. Finalmente, il frutto dello Spirito<br />

non ha <strong>senso</strong> che in vista dell'instaurazione definitiva e cosmica<br />

del regno di Dio che avverrà nella parusia..<br />

Vuol dire che ogni segno sacramentale, ' come segno « rimemorativo<br />

» efficace delle azioni storiche salutifere di Cristo, non<br />

attua solo presenzialmente, nel <strong>senso</strong> sopra spiegato, una di queste<br />

azioni, ma tutti i misteri <strong>della</strong> vita di Cristo dall'incarnazione alla<br />

croce, alla risurrezione e alla pentecoste; e come segno profetico<br />

attua efficacemente la futura seconda venuta. Così il segno sacramentale<br />

attua efficacemente ex opere operato il mistero di Cristo<br />

nella sua pienezza come un sol tutto, sebbene in diversi modi a<br />

seconda dei suoi diversi aspetti.<br />

3. L'EFFICACIA DEI SEGNI LITURGICI<br />

D'ISTITUZIONE ECCLESIASTICA<br />

Riguardo all'efficacia propria dei segni liturgici istituiti dalla<br />

gerarchia ecclesiastica, l'enciclica Mediator Dei dice, come si ricorda,<br />

che essa « dipende anzitutto ex opere operantis Ecclesiae in<br />

quanto santa e nella sua attività strettamente unita al suo Capo ».<br />

Si dice: dipende anzitutto ex opere operantis Ecclesiae, perché<br />

non ne dipende esclusivamente. Ciò allude al fatto che, nei favori


I SEGNI D'ISTITUZIONE ECCLESIASTICA 123<br />

ottenuti nei riti d'istituzione ecclesiastica, Dio, in seconda linea,<br />

ha anche riguardo alla dignità morale, al merito e alla santità <strong>della</strong><br />

vita di chi riceve questi riti o di chi li pone, concedendo, per questo<br />

motivo, grazie attuali maggiori. Inoltre, nei riti d'istituzione ecclesiastica,<br />

alcuni effetti, secondo l'opinione dei teologi, sono anche<br />

ottenuti infallibilmente per la posizione oggettiva del rito, e dunque<br />

come per un certo opus operatum,<br />

L'effetto spirituale ottenuto infallibilmente dalla semplice posizione<br />

del rito o dalla semplice recitazione <strong>della</strong> preghiera istituiti<br />

dalla gerarchia, purché fatti da persone a ciò da essa autorizzate<br />

e con l'intenzione e secondo le prescrizioni da essa stabilite, è anzitutto<br />

l'impetrazione stessa <strong>della</strong> Chiesa, che quei segni liturgici<br />

d'istituzione ecclesiastica hanno appunto per scopo immediato di<br />

significare. Vuol dire che, nelle cerimonie, preghiere o sacramentali<br />

istituiti dalla gerarchia, posto il rito, o recitata la preghiera da persone<br />

autorizzate, con l'intenzione e nei modi prescritti dalla Chiesa<br />

per la validità, l'impetrazione stessa <strong>della</strong> Chiesa in essi significata,<br />

è infallibilmente attuata, a barte la dignità morale o santità personale<br />

di colui del quale la Chiesa si serve per elevare in questo<br />

momento la sua impetrazione a Dio. Così, per esempio, nella preghiera<br />

delle ore canoniche, recitata da persone che la gerarchia<br />

espressamente delega a compiere questo ufficio a nome <strong>della</strong> Chiesa,<br />

purché siano osservate le prescrizioni richieste per la validità, è<br />

sempre ed infallibilmente attuata la preghiera <strong>della</strong> Chiesa<br />

sposa di Cristo, a parte la santità personale di colui che a suo<br />

nome la compie.<br />

Un altro effetto ottenuto infallibilmente nei riti d'istituzione<br />

ecclesiastica in virtù <strong>della</strong> posizione oggettiva e valida del rito o<br />

del suo ricevimento oggettivo e valido, è la consacrazione di cose<br />

o persone nei sacramentali istituiti dalla gerarchia a questo scopo,<br />

come: la professione religiosa, la consacrazione delle vergini, la<br />

consacrazione di una chiesa, degli altari, dei calici. In simili casi<br />

è certo che il compimento oggettivo e valido del rito produce<br />

infallibilmente l'effetto spirituale che consiste in questo che Dio<br />

accetta tale oggetto o persona come riservata al suo uso esclusivo.<br />

Gli altri effetti connessi efficacemente alla <strong>liturgia</strong> d'istituzione<br />

'ecclesiastica sono concessi da Dio alla preghiera <strong>della</strong> Chiesa che<br />

si compie in quei riti e ciò secondo le leggi generali che regolano<br />

l'esaudimento <strong>della</strong> preghiera. Questi effetti sono specialmente :<br />

1. ogni specie di grazie attuali per le persone, come sentimenti di<br />

fede, di speranza, di carità, di pentimento, ecc., e, mediante queste<br />

grazie attuali, la grazia santificante ridata o aumentata; 2. l'impedimento<br />

dell'influsso demoniaco sulle persone o sulle cose implorato<br />

negli esorcismi; 3. anche grazie temporali accordate da Dio<br />

in vista del bene spirituale. Tutto questo, dunque, nella <strong>liturgia</strong><br />

d'istituzione ecclesiastica, è concesso da Dio, principalmente in<br />

riguardo all'opus operantis Ecclesìae. È la prima volta, se non mi<br />

sbaglio, che un documento ufficiale del magistero codifica questo


124 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

concetto introdotto dai liturgisti or non è tanto tempo 18 . 6 questo<br />

concetto che^ ora dobbiamo sforzarci di chiarire; tanto più che,<br />

per quanto mi risulta, è tutt'altro che chiaramente definito da quelli<br />

stessi che fin qui vi hanno fatto ricorso.<br />

La nozione dell'«opus operantis eccleslae »<br />

È noto che l'espressione ex opere operantis contraddistinta da<br />

quella di ex òpere operato, significa in genere, che l'effetto spirituale<br />

che segue l'azione religiosa è prodotto da Dio non già per<br />

mezzo e avuto riguardo semplicemente al rito oggettivamente e<br />

debitamente posto, ma avuto riguardo alla dignità morale dell'azione<br />

attiva dell'uomo che pone il rito o lo riceve. L'effetto spirituale<br />

dell'opus operantis non è semplicemente il frutto dello sforzo<br />

o <strong>della</strong> dignità dell'uomo solo, ma è un effetto prodotto da Dio<br />

che trascende le sole forze dell'uomo. Però Dio, nel produrlo di<br />

tale qualità o intensità, ha riguardo alla dignità morale dell'atto<br />

prodotto dall'uomo. Così l'azione stessa dell'uomo che pone il rito<br />

o lo riceve, riguardo all'effetto spirituale che Dio produce, ha valore<br />

di causa morale e intenzionale impetratoria, soddisfattoria, meritoria:<br />

Dio produce l'effetto spirituale di tale natura e intensità<br />

in risposta alla preghiera, alla virtù di soddisfazione e di merito<br />

che si esprime nell'azione religiosa dell'uomo che pone o riceve<br />

il rito.<br />

La questione è di determinare accuratamente i diversi gradi<br />

o tipi che si possono distinguere ulteriormente nello stesso opus<br />

operantis. Generalmente, si propone la distinzione di opus operantis,<br />

del ministro del rito o dèi soggetto che Io riceve, e di opus<br />

operantis <strong>della</strong> Chiesa. Per determinare maggiormente la nozione<br />

nei suoi particolari, propongo la seguente divisione e terminologia:<br />

distinguo l'opus operantis del ministro del rito o di chi lo riceve<br />

nella Chiesa, e l'opus operantis <strong>della</strong> Chiesa stessa. Suddistinguo<br />

ulteriormente l'opus operantis <strong>della</strong> Chiesa, in opus operantis <strong>della</strong><br />

Chiesa liturgico (pubblico e ufficiale) e in opus operantis <strong>della</strong> Chiesa<br />

non liturgico (pubblico ma non ufficiale).<br />

Con questa divisione e terminologia intendo mettere in rilievo<br />

anzitutto che ogni opus operantis, di qualsiasi individuo, che ha<br />

per effetto un frutto spirituale, avviene sempre nel seno <strong>della</strong><br />

Chiesa; che in ognuno, in qualche modo, si esprime sempre ed<br />

agisce la Chiesa, e che agli occhi di Dio, senza l'unione reale ed<br />

attuale con la Chiesa, nessuna opera ha valore o dignità sopranna-<br />

18 Ma la cosa si trova già in S. Tommaso. Vedi Stimma IH q 82 a 6 e: nelle<br />

parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che sono d'istituzione divina (la sostanza dei sacramenti e<br />

del sacrificio) il ministro agisce in persona Christi; in quelle che sono d'istituzione<br />

ecclesiastica agisce in persona Ecclesiae. Sotto l'uno e l'altro aspetto l'azione<br />

ottiene il suo effetto anche se il ministro è indegno. Vedi anche IH q 82<br />

a 7 ad 3; IMI q 83 a 12; 4 d 5 q 2 a 2 qla 2 ad 2; 4 d 15 q 4 a 1 ad 3 q.


OPUS OPERANTIS ECCLESIA 125<br />

turale qualsiasi. Ma, ciò non ostante, altro è l'opus operantis di<br />

un individuo o di un gruppo d'individui nella Chiesa e altro è<br />

l'opus operantis <strong>della</strong> Chiesa stessa.<br />

Secondo: intendo rilevare che non tutte le opere operantis<br />

<strong>della</strong> Chiesa, anche quando queste azioni hanno per oggetto preghiere<br />

e riti estèrnamente in tutto simili alle azioni liturgiche, sono,<br />

per questo stesso, azioni liturgiche. Per esempio, la recitazione<br />

pubblica e solenne del rosario in una parrocchia sotto la direzione<br />

del parroco, consigliata o addirittura impòsta dall'autorità gerarchica,<br />

vescovo o Papa, è un'azione pubblica <strong>della</strong> Chiesa stessa<br />

e non solo dei singoli fedeli privati o di un gruppo privato di fedeli<br />

nella Chiesa.<br />

Bisognerà dunque concludere che altra è la natura e la forza<br />

dell'opus operantis <strong>della</strong> Chiesa^nella <strong>liturgia</strong> (chiamiamolo opus<br />

operantis Ecclesiae pubblico e Ufficiale), e altra la natura e la forza<br />

dell'opus operantis <strong>della</strong> Chiesa fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> (chiamiamolo:<br />

opus operantis Ecclesiae pubblico ma non ufficiale). Tutto questo,<br />

come si vede, vuole precisare nella lom natura e nella loro rispettiva<br />

efficacia i diversi gradi dell'intervento <strong>della</strong> Chiesa nella sua<br />

intercessione presso Dio, ciò che è, credo, necessario per capire<br />

la natura e l'efficacia propria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> di creazione ecclesiastica.<br />

Per maggiore chiarezza si noti ancora quanto segue. In un<br />

certo <strong>senso</strong> è verissimo che quando anche un semplice fedele prega,<br />

sia pur in privato e solo mentalmente, se è unito alla Chiesa, ossia<br />

alla gerarchia e per essa agli altri fedeli, in questa sua preghiera<br />

dinanzi a Dio non è mai un isolato; egli in questo caso non fa<br />

un'azione che abbia interesse solo per se stesso, né Dio lo considera<br />

separatamente da tutta la Chiesa; anzi Dio lo considera solo<br />

come membro <strong>della</strong> Chiesa, e così come unito a Cristo e membro<br />

di Cristo. Così, in un certo <strong>senso</strong>, è verissimo che, quando<br />

questo fedele prega, è la Chiesa che prega in questo fedele e per<br />

mezzo di questo fedele, come è vero che Cristo prega in questo<br />

fedele e per mezzo di questo fedele. Ogni azione di valore soprannaturale<br />

di qualsiasi uomo, come è sempre un'azione in Christo,<br />

così è anche sempre una azione in Ecclesia, fuori <strong>della</strong> quale non<br />

c'è unione con Cristo e non c'è salvezza 19 . Dunque, in ogni opera<br />

buona soprannaturale, in ogni preghiera, in qualche modo reale<br />

è in atto la Chiesa che fa quest'opera e questa preghiera.<br />

Con maggiore ragione si dovrà dire che è in atto la Chiesa che<br />

prega, quando parecchi fedeli si riuniscono per pregare insieme,<br />

sia pure in un luogo profano, come in una casa privata, e senza<br />

la direzione di un membro <strong>della</strong> gerarchia : « Perché se due tra<br />

19 Si sa che, per la salvezza, è bensì necessaria un'unione reale ed attuale<br />

con la Chiesa visibile, ma basta che questa unione sia invisibile per mezzo <strong>della</strong><br />

grazia che Dio dà a chi, vivendo secondo la sua coscienza, ha la disposizione<br />

d'animo di fare quello che Dio vuole da lui quanto prima conoscerà questa<br />

volontà e così ha anche il desiderio implicito del battesimo e dell'unione anche<br />

visibile con la Chiesa visibile. Vedi C. VAGAGGINI, L'unione alla Chiesa e la salvezza,<br />

in: L'Osservatore Romano 14-15 maggio 1962 p. 5.


126 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

voi uniscono la loro voce sulla terra per chiedere una qualsiasi<br />

cosa, sarà loro accordata dal mio Padre che è nei cieli; perché là<br />

dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro »<br />

(Mt 18,19 s).<br />

Tuttavia è vero che si ha un grado qualitativo maggiore d'attuazione<br />

<strong>della</strong> Chiesa quando si tratta non solo di azioni soprannaturali<br />

di fedeli uniti genericamente ai loro pastori, ma di azioni<br />

che si fanno sotto la condotta attuale dei pastori, in virtù dei poteri<br />

da essi ricevuti non dai fedeli ma da Cristo; quali mandatari e rappresentanti<br />

di Cristo, e solo conseguentemente quali capi dei fedeli<br />

e loro rappresentanti dinanzi a Dio, perché Cristo, di cui sono gli<br />

speciali mandatari, è il loro capo dinanzi a Dio. In una tale azione,<br />

per esempio di una preghiera fatta in tali condizioni, la Chiesa è<br />

formalmente come tale molto più impegnata che nel primo esempio.<br />

L'individuo come tale vi appare molto più relegato a] secondo piano<br />

come membro di una società che lo trascende e l'azione come tale<br />

appare molto più come azione di quella società che, pur fatta d'individui,<br />

trascende gli individui.<br />

Infatti, quell'azione è azione diretta di Cristo stesso capo dei<br />

suoi membri che opera attraverso i suoi speciali rappresentanti e<br />

mandatari visibili, ai quali dette una speciale investitura a tale fine<br />

che altri fedeli non hanno. Cosicché tale azione Cristo stesso la considera<br />

in modo specialissimo la sua azione, che, attraverso i suoi<br />

mandatari gerarchici visibili, Egli compie dinanzi a Dio come capo<br />

dei suoi membri, ossia <strong>della</strong> sua Chiesa. Egli vi è, per così dire,<br />

immensamente più impegnato dinanzi a Dio che nel primo esempio.<br />

A ragione quindi i liturgisti, per distinguere l'efficacia spirituale<br />

molto maggiore che tale azione ha dinanzi a Dio da quella che<br />

ha l'azione privata del semplice fedele pur fatta in unione con<br />

Cristo e con la Chiesa, fatino ricorso al concetto di opus operantis<br />

Ecclesiae.<br />

Tale opus operantis Ecclesiae si avrà già a un certo grado nel<br />

caso dei fedeli che in una parrocchia recitano il rosario sotto la<br />

direzione del loro parroco, perché il parroco, quale membro <strong>della</strong><br />

gerarchia, ha ricevuto attraverso i legittimi organi, il mandato<br />

speciale da Cristo di essere suo rappresentante e mandatario nella<br />

preghiera pubblica che i fedeli fanno a Dio, o piuttosto, che Egli,<br />

quale capo dei fedeli, fa a Dio con i fedeli e per i fedeli. Però,<br />

dato che il rosario, nelle sue formule e nei suoi riti, pur approvato<br />

dalla gerarchia, non è, almeno per ora, approvato da essa — sola<br />

competente in questo campo per mandato speciale di Cristo — come<br />

preghiera ufficiale <strong>della</strong> Chiesa, quella cioè che la Chiesa, o meglio<br />

Cristo, considera in tutto e per tutto come sua, nella quale, per<br />

così dire, si considera totalmente impegnato dinanzi a Dio, l'opus<br />

operantis Ecclesiae che si ha nel caso del rosario, non è ancora il<br />

sommo grado possibile.<br />

L'attuazione somma dell'opus operantis Ecclesiae e quindi del<br />

fatto che Cristo, quale capo dei suoi membri, si assume, per così<br />

dire, dinanzi a Dio la responsabilità dell'azione <strong>della</strong> preghiera e


OPUS OPERANTIS ECCLESIA 127<br />

del rito, che Egli, per mandato speciale, ha dato potere alla gerarchia<br />

d'istituire e di compiere a suo nome quale capo <strong>della</strong> Chiesa,<br />

si avrà nei riti e nelle preghiere liturgiche propriamente dette d'istituzione<br />

ecclesiastica. Questi riti e queste preghiere non sono riti<br />

e preghiere di Cristo per mezzo dei suoi ministri allo stesso<br />

titolo che i sacramenti che operano ex opere operato, ma lo sono<br />

a un titolo superiore a quello delle azioni soprannaturali e delle<br />

preghiere che i semplici fedeli, uniti a Cristo e nella Chiesa, fanno<br />

a Dio, come privati.<br />

Per quale motivo i riti e le preghiere istituiti dalla gerarchia<br />

<strong>della</strong> Chiesa sono riti e preghiere di Cristo a un titolo inferiore<br />

a quello che avviene nella sostanza dei sacramenti, per cui, in<br />

questi, supposto tutto quello che deve essere supposto, Dio produce<br />

infallibilmente l'effetto spirituale senza farlo dipendere come da<br />

causa <strong>della</strong> dignità morale degli uomini, mentre nei riti e preghiere<br />

istituiti dalla gerarchia Egli lega l'effetto alla dignità morale <strong>della</strong><br />

Chiesa? L'unica risposta esauriente è la volontà positiva di Dio<br />

conosciuta per mezzo <strong>della</strong> rivelazione proposta dalla Chiesa. Per<br />

mezzo di questa, consta che Cristo non ha dato alla Chiesa il potere<br />

d'istituire riti e preghiere alla semplice posizione dei quali, ex opere<br />

operato, Egli avrebbe annesso il conferimento <strong>della</strong> grazia a colui<br />

che non vi avrebbe posto impedimento.<br />

Mentre ha dato alla gerarchia il potere d'istituire e compiere<br />

riti e preghiere, che, sebbene posti da uomini determinati dalla<br />

gerarchia, non sarebbero riti e preghiere di questi uomini a titolo<br />

d'individui privati, ma preghiere e riti <strong>della</strong> Chiesa stessa, pastori<br />

e fedeli, come corpo di cui Cristo è capo o sposa di cui Cristo è<br />

sposo. A questi riti e preghiere Dio avrebbe concesso i benefìci<br />

richiesti, non ex opere operato in virtù <strong>della</strong> semplice posizione del<br />

rito debitamente fatta, ma nemmeno soltanto secondo la dignità<br />

morale privata di quegli individui che compiono o sono oggetto<br />

di quei riti e di quelle preghiere, ma secondo la dignità morale <strong>della</strong><br />

Chiesa come sposa intimamente unita a Cristo suo sposo, o corpo<br />

intimamente unito a Cristo suo capo. Di questa Chiesa gli individui<br />

che compiono quei riti e quelle preghiere, non sono che i mandatari<br />

autenticamente delegati come tali dalla gerarchia che ha da Cristo<br />

il potere di fare ciò, e perciò autenticamente accettati come tali da<br />

Cristo e da Dio.<br />

L'« opus operantis Ecclesiae » e la distinzione<br />

tra <strong>liturgia</strong> e « pii esercizi »<br />

I concetti sopra esposti intorno all'opus operantis Ecclesiae<br />

sono il fondamento <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> distinzione tra <strong>liturgia</strong> e « pii<br />

esercizi », nonché per la distinzione nel gruppo stesso dei pii esercizi<br />

tra quelli fatti per disposizione dell'autorità gerarchica (in<br />

primo luogo <strong>della</strong> Sede Apostolica e poi dei vescovi locali) e quelli


128 CAP. <strong>Il</strong>i - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

fatti per libera elezione di individui (in primo luogo in gruppo e<br />

poi singolarmente), anche se in forme approvate, almeno genericamente,<br />

dalla competente gerarchia.<br />

Queste distinzioni risultano ormai dai documenti ufficiali. La<br />

« Istruzione » del 1958 così distingue la <strong>liturgia</strong> dai pii esercizi :<br />

« Sono "azioni liturgiche" quelle azioni sacre che per istituzione<br />

di Gesù Cristo o <strong>della</strong> Chiesa, e a loro nome, sono compiute da<br />

persone legittimamente deputate per rendere a Dio, ai Santi *é~àl"<br />

Beati il debito culto, in conformità ai libri liturgici approvati dalla<br />

S. Sede (can. 1257); le~altre azioni sacre che si compiono sia in<br />

chiesa sia fuori, anche con la presenza e sotto la guida del sacerdote,<br />

si chiamano pii esercizi » 20 .<br />

<strong>Il</strong> concilio vaticano II, presupponendo la nozione dell'Istruzione,<br />

così ne determina alcuni aspetti : « I pii esercizi del popolo<br />

cristiano, purché siano conformi alle leggi e alle norme <strong>della</strong> Chiesa,<br />

sono vivamente raccomandati, soprattutto quando si compiono per<br />

mandato <strong>della</strong> Sede Apostolica. Di speciale dignità godono anche<br />

quei sacri esercizi delle chiese particolari, che vengono compiuti<br />

per mandato dei Vescovi, secondo le consuetudini o i libri legittimamente<br />

approvati » 2I . Qui, all'interno stesso dei pii esercizi si<br />

distinguono per dignità due categorie : quelli che si fanno non solo<br />

con l'approvazione, ma anche per mandato <strong>della</strong> gerarchia (in primo<br />

luogo <strong>della</strong> Sede Apostolica, poi dei vescovi locali) e quelli<br />

che si fanno senza tale mandato. ì<br />

Stando a quanto sopra detto, in questa ultima categoria biso- I<br />

gnerà ulteriormente distinguere i pii esercizi fatti in comune da ;<br />

gruppi e quelli fatti da persone singole.<br />

Così si ottiene il seguente specchietto:<br />

Azioni sacre:<br />

I. Efficaci ex opere operato:<br />

<strong>liturgia</strong> d'istituzione divina.<br />

II. Efficaci ex opere operantis:<br />

A. Ex opere operantis <strong>della</strong> Chiesa :<br />

1. con autorità pubblica e ufficiale:<br />

<strong>liturgia</strong> d'istituzione ecclesiastica;<br />

2. con autorità pubblica ma non ufficiale:<br />

pii esercizi fatti per mandato <strong>della</strong> gerarchia:<br />

a. per mandato <strong>della</strong> Sede Apostolica:<br />

pii esercizi d'autorità apostolica;<br />

b. per mandato dei vescovi locali:<br />

pii esercizi d'autorità vescovile.<br />

B. Ex opere operantis degli individui nella Chiesa:<br />

1. agenti in gruppo: pii esercizi privati di gruppo;<br />

2. agenti come singoli: pii esercizi privati di singoli.<br />

20 Instructio de musica sacra et de sacra <strong>liturgia</strong>, del 3 sett. 1958, n. 1,<br />

AAS 50 (1956) 632.<br />

2i CL art. 13.


I PII ESERCIZI 129<br />

<strong>Il</strong> fondamento <strong>teologico</strong> di queste distinzioni è sempre il diverso<br />

grado d'efficacia oggettiva delle singole azioni (a parte, come si<br />

è detto, la questione del merito personale) derivante dal diverso<br />

grado d'impegno dì Cristo stesso e <strong>della</strong> Chiesa in ognuna delle<br />

stesse.<br />

Qui si comprende pienamente perché il concilio vaticano II<br />

abbia potuto dire che « ogni azione liturgica, in quanto opera di<br />

Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra<br />

per eccellenza, e nessun'altra azione <strong>della</strong> Chiesa allo stesso titolo<br />

e allo stesso grado ne uguaglia l'efficacia » 22 .<br />

E si comprende pure perché una preghiera, a parte le sue qualità<br />

di struttura, di pensiero e simili, non può mai essere <strong>liturgia</strong><br />

se non è approvata come tale dalla Chiesa, e perché la Chiesa di<br />

cui qui si tratta è la gerarchia sotto il primato del Romano Pontefice.<br />

Infatti, la <strong>liturgia</strong> impegna sempre l'autorità di Cristo e<br />

<strong>della</strong> Chiesa a un titolo tutto speciale che non conviene a nessun'altra<br />

azione ed implica l'esercizio <strong>della</strong> triplice potestà di santificazione,<br />

di dottrina e di governo.<br />

Per rispondere alla questione se i vescovi abbiano autorità<br />

sufficiente per creare la <strong>liturgia</strong>, o rendere liturgica, almeno nell'ambito<br />

del loro territorio, un'azione sacra, bisogna osservare<br />

quanto segue.<br />

<strong>Il</strong> vescovo, in virtù <strong>della</strong> sua stessa consacrazione episcopale,<br />

riceve direttamente da Dio tutti i poteri necessari per condurre,<br />

fintanto che rimane nell'unità <strong>della</strong> Chiesa, il popolo di cui è pastore<br />

al fine soprannaturale. È la dottrina chiaramente emessa nel concilio<br />

vaticano II. Tra questi poteri v'è certamente anche quello di<br />

determinare e ordinare la <strong>liturgia</strong> nella sua diocesi.<br />

Tuttavia, in virtù del primato universale, il Papa ha diritto, per<br />

l'unità e il bene comune di cui ha particolarissima responsabilità,<br />

di riservare a sé, e fintanto che lo giudica opportuno, l'esercizio<br />

di alcuni poteri, compreso quello di creare e ordinare la <strong>liturgia</strong><br />

anche nelle singole diocesi, inerenti per sé alla dignità di ogni<br />

vescovo.<br />

Sapere se di fatto il Romano Pontefice si è riservato o si riserva<br />

ancora tale potere è semplice questione di storia del diritto.<br />

In realtà, mentre fino allora la <strong>liturgia</strong> era stata comunemente<br />

di diritto episcopale, dal secolo XVI la S. Sede ha riservato unicamente<br />

a sé il potere di « ordinare la <strong>liturgia</strong> e di approvare i libri<br />

liturgici » 2ì anche delle chiese particolari.<br />

Fintanto che perdura questo diritto non vi può dunque essere<br />

<strong>liturgia</strong> di nessuna sorta se non è approvata come tale dalla Santa<br />

Sede 24 . <strong>Il</strong> concilio vaticano II ha certamente lasciato un margine<br />

22 Ibid. art. 7.<br />

23 CIC can. 1257.<br />

24 Non sembra perciò fondata l'opinione di chi vorrebbe riconoscere anche<br />

oggi ai vescovi il potere di dare, anche senza approvazione <strong>della</strong> S. Sede, il<br />

carattere di vera <strong>liturgia</strong> diocesana a un rito o una preghiera di loro creazione.<br />

5 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


130 CAP. <strong>Il</strong>I - LITURGIA E SEGNI EFFICACI v<br />

assai maggiore all'autorità episcopale territoriale, nonché ai singoli<br />

vescovi, per determinare e ordinare la <strong>liturgia</strong> nell'ambito <strong>della</strong><br />

propria giurisdizione 25 . Ma « gli atti » di tali decisioni episcopali<br />

devono essere « approvati ossia confermati » 2a , o, come dice altrove,<br />

« rivisti » 27 , dalla Sede Apostolica. In pratica dunque, anche oggi,<br />

non c'è <strong>liturgia</strong>, sia pure diocesana, che non debba essere approvata<br />

come tale dalla S. Sede.<br />

<strong>Il</strong> fondamento dell'efficacia <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

« ex opere operantis Ecclesiae »<br />

La radice <strong>della</strong> difficoltà che si sente nel concetto di opus operantis<br />

Ecclesice come realtà distinta e più efficace dell'opus operantis di<br />

un semplice fedele privato o di un gruppo di fedeli privati, proviene,<br />

dal fatto che si stenta a concepire la Chiesa come qualcosa di più<br />

che la semplice somma delle persone private dei fedeli che credono<br />

in Cristo. Così si vede nella personalità <strong>della</strong> Chiesa niente di più<br />

che un concetto giuridico e forse, addirittura, una finzione giuridica;<br />

per cui non si riesce a capire come la dignità morale <strong>della</strong><br />

Chiesa sia più grande <strong>della</strong> somma <strong>della</strong> dignità morale degli individui<br />

privati che la compongono e la preghiera <strong>della</strong> Chiesa sia,<br />

dinanzi a Dio, più efficace <strong>della</strong> semplice preghiera degli individui<br />

che la recitano a suo nome.<br />

Se poi si aggiunge quello che abbiamo osservato sopra, e cioè<br />

che anche la preghiera privata e mentale di qualsiasi fedele nella<br />

Chiesa è, in un certo <strong>senso</strong> verissimo, la preghiera <strong>della</strong> Chiesa,<br />

non si vede proprio affatto per quali ragioni la preghiera « ufficiale »<br />

dovrebbe essere più efficace di quella non ufficiale, a parità di<br />

condizioni. E ' taluni forse crederanno che quando i liturgisti magnificano<br />

la Chiesa e l'efficacia trascendente <strong>della</strong> preghiera <strong>della</strong><br />

Chiesa sulla preghiera semplicemente privata e cose simili, essi non<br />

siano lontani dal cadere realmente nell'errore che alcuni protestanti<br />

rimproverano ai cattolici: di fare <strong>della</strong> Chiesa una specie di entità<br />

platonica ipostatizzata. Eppure, il concetto di opus operantis Ecclesiae<br />

è innegabilmente <strong>teologico</strong> e giusto, come lo prova la sua<br />

consacrazione ufficiale dal magistero. Inoltre, la stessa enciclica<br />

Mediator Dei, quando spiega le relazioni tra preghiera liturgica e<br />

preghiera privata, ha questa frase : « Senza dubbio la preghiera<br />

liturgica, per il fatto stesso che è la preghiera pubblica dell'inclita<br />

Sposa di Gesù Cristo, ha una dignità superiore a quella delle preghiere<br />

private » 28 . Bisogna dunque credere che i detti preconcetti<br />

Vedi J. A. JUNGMANN, Liturgie und « pia exercitia », in : Liturgisches Jahrbuch<br />

9 (1959) 79-86.<br />

2 » Vedi CL art. 36 §§ 3 e 4; 39; 54; 63; 77; 120; 55; 57; 64; 68; 71; 76; 79; 97;<br />

101 §§ 1 e 2; 124-130.<br />

2 " Ibid. 36 § 3.<br />

" Ibid. 63 b.<br />

28 n. 37. Sull'efficacia speciale <strong>della</strong> preghiera <strong>della</strong> Chiesa come tale, supe-


CHIESA SOCIETÀ SPECIALE 131<br />

i<br />

contro l'opus operantis Ecclesiae provengano dalla dimenticanza<br />

di qualche punto importante <strong>della</strong> dottrina cattolica.<br />

La dottrina dimenticata è, nientemeno, che la Chiesa non è una<br />

società come le altre, nemmeno come le altre società religiose. Nelle<br />

altre società civili e religiose l'organizzazione <strong>della</strong> società, la sua<br />

costituzione, nonché la designazione degli individui che ne deterranno,<br />

sia pur da Dio, l'autorità, dipende immediatamente dagli<br />

uomini, i quali, con gli stessi poteri che la costituirono, possono<br />

pure cambiarla, per un motivo ragionevole di bene comune, come<br />

lo credono più opportuno.<br />

La Chiesa invece si forma per il fatto che Cristo aggrega a sé gli<br />

uomini trasformandoli intrìnsecamente per la comunicazione che<br />

fa loro <strong>della</strong> vita divina in un modo ed ordine ben determinato.<br />

Egli fa di alcuni tra gli uomini i suoi rappresentanti ed intermediari<br />

presso gli altri uomini, con speciali poteri. Questi poteri, non<br />

solo giuridici ma reali, sono poteri di santificazione, di dottrina e<br />

di governo, alla mediazione reale, e non solo puramente giuridica,<br />

dei quali tutti gli altri uomini devono sottostare per ottenere, conservare<br />

e far crescere l'unione reale con Cristo e, mediante Cristo,<br />

con Dio.<br />

Quei poteri includono bensì, come fondamento, un autentico<br />

mandato di valore anche giuridico, ma oltrepassano nella loro<br />

natura il piano giuridico delle società civili e religiose puramente<br />

umane. Cristo infatti, con quel mandato autentico che contiene<br />

in sé anche la forza dei mandati giuridici umani, trasmette ai<br />

suoi rappresentanti e mandatari speciali una realtà soprannaturale<br />

che nessun mandato giuridico umano può trasmettere: il carattere<br />

dell'ordine e l'assistenza speciale dello Spirito. Questa realtà spirituale<br />

incide realmente sull'essere e sul potere d'agire di questi<br />

uomini in azione d'intermediari rappresentanti di Cristo presso<br />

gli altri. Ne deriva pertanto che questi altri uomini, perché Cristo<br />

l'ha così voluto, dipendono da questi intermediari e dai loro poteri,<br />

non solo per pura finzione giuridica, e nemmeno nella linea <strong>della</strong><br />

sola causalità morale dell'affetto e <strong>della</strong> conoscenza, ma nella linea<br />

<strong>della</strong> causalità fisica, o, se si vuole, per non cadere nelle materializzazioni,<br />

transfisica o superfisica. Vuol dire che solo chi è in<br />

contatto con quelle realtà e quei poteri ottiene la vita divina, è<br />

realmente aggregato a Cristo e quindi unito a Dio 29 ; è realmente,<br />

nell'ordine <strong>della</strong> vita divina, aggregato ed unito con gli altri fratelli<br />

in Cristo con un vincolo molto più profondo e reale di quello giuridico<br />

o di quello puramente morale.<br />

rante l'efficacia <strong>della</strong> preghiera privata, vedi pure il testo di S. Ambrogio, In<br />

le Vii. 11: « Magnus Dominus qui aliorum merito ignoscit aliis, et dum alios<br />

probat, aliis relaxat errata. Cur apud te homo collega non valet, cum apud Dominum<br />

servus et interveniendi meritum et jus habeat impetrando Si gravium<br />

peccaforum diffidis veniam, adhibe precatores, adhibe ecclesiam, quae prò te<br />

precetur, cuius contemplatane quod Ubi Dominus negare posset ignoscat ».<br />

29 Come abbiamo detto sopta p. 125 nella nota 19, basta il contatto invisibile.


132 CAP. <strong>Il</strong>I - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

Da tutto questo risulta che la Chiesa non è semplicemente la<br />

somma o l'organizzazione umana degli individui privati che sono<br />

nel suo seno, ma un'entità molto particolare, più profonda e immensamente<br />

più reale di qualsiasi aggregato puramente umano,<br />

giuridico o morale che sia. Senza Cristo non c'è Chiesa; senza gerarchia<br />

non c'è Chiesa; senza il carattere dell'ordine e l'assistenza dello<br />

Spirito coi poteri di governo, di dottrina e di santificazione non<br />

c'è Chiesa. Nella Chiesa la struttura gerarchica ha una parte insostituibile;<br />

in essa risiede un essere e dei poteri che trascendono<br />

l'essere e i poteri di qualsiasi privato, compresi i gerarchi stessi<br />

come privati, e dai quali dipende il nascere, il sussistere e il crescere<br />

dei fedeli in Cristo. Tuttavia la gerarchia sola non è la Chiesa.<br />

Ancor meno si può dire che i singoli fedeli come privati sono la<br />

Chiesa. La Chiesa è l'insieme indissolubile che risulta da Cristo<br />

capo, dalla gerarchia come struttura mediatrice umana divina, mandataria<br />

e rappresentante di Cristo, per la sua volontà insostituibile,<br />

e dal popolo che attraverso la gerarchia è unito a Cristo capo 30 .<br />

La Chiesa è la somma di questi elementi. Dal che si vede quanto<br />

trascenda la somma degli uomini che, come individui privati,<br />

la compongono.<br />

Quando si parla, dunque, dell'opus operantis Ecclesiae, come<br />

trascendente l'opus operantis del semplice individuo privato, o di<br />

un gruppo di individui privati, è alla Chiesa sopra descritta che<br />

bisogna pensare; si tratta <strong>della</strong> : « plebs sacerdoti adunata, et pastori<br />

suo grex adhaerens » 3I e l'uno e l'altro uniti a Cristo come<br />

il corpo al capo o come la sposa allo sposo. E sebbene, come abbiamo<br />

detto, anche nella preghiera di un semplice fedele nella Chiesa,<br />

sia, in qualche modo, la Chiesa che preghi, tuttavia questa attuazione<br />

<strong>della</strong> Chiesa come tale raggiunge il suo massimo di realtà e<br />

d'intensità nell'azione liturgica; l'azione cioè che la gerarchia, in<br />

virtù dei poteri speciali che, per questo, ha ricevuti da Cristo, determina<br />

essere al sommo grado la preghiera <strong>della</strong> Chiesa come corpo<br />

mistico di Cristo, ossia del popolo cristiano informato dalla gerarchia<br />

come un tutto unito intimamente a Cristo. Quei poteri dati<br />

da Cristo alla gerarchia, come al suo rappresentante e mandatario,<br />

essendo, dinanzi a Dio, poteri reali ed efficaci e non fittizi, la posizione<br />

del rito o <strong>della</strong> preghiera determinati dalla gerarchia come<br />

rito e preghiera <strong>della</strong> Chiesa come tale, in modo eminente, mette<br />

realmente in moto, per così dire, dinanzi a Dio il popolo fedele<br />

informato dalla gerarchia e in unione con Cristo. In un modo spirituale<br />

e misterioso, non solo morale, tanto meno fittizio; reale,<br />

quanto è reale e non solo morale, tanto meno fittizio, il corpo mistico<br />

di Cristo che è la Chiesa. Di qui, credo si possono capire<br />

30 Ottimamente S. CIPRIANO: «Itti sunt ecclesia: plebs sacerdoti (intendi:<br />

vescovo) adunata et pastori suo grex adhaerens. Unde scire debes episcopuni in<br />

ecclesia esse et ecclesiam in episcopo, et si qui ciim episcopo non sit, in ecclesìa<br />

non esse » (Ep. 66,8). Vedi anche CL art. 26.<br />

31 S. CIPRIANO 1. e.


OPUS OPERANTIS ECCLESIA 133<br />

meglio le parole <strong>della</strong> Mediator Dei secondo le quali nei riti liturgici<br />

istituiti dalla gerarchia, l'efficacia « dipende anzitutto ex opere operantis<br />

Ecclesiae 32 in quanto santa e nella sua attività strettamente<br />

32 La dottrina qui esposta dell'opus operantis Ecclesiae è stata negata da<br />

K. Rahner (Thesen iXber das Gebet « im Namen der Kirche », in : Zeitschr. fiir<br />

kath. Theoi, 83 [1961] 307-24) vers. ital. in Saggi di Spiritualità, (Edizioni Paoline,<br />

Roma). La sua tesi essenziale è questa: la dignità intrinseca e l'efficacia presso<br />

Dio di una preghiera dipende unicamente dalla devozione personale di colui<br />

che la fa o che l'ascolta. Perciò anche il fatto che si tratta di una preghiera<br />

liturgica fatta per mandato <strong>della</strong> Chiesa « non le conferisce dinanzi a Dio maggiore<br />

dignità » (p. 317) o efficacia al di là di quella che ha dalla devozione personale<br />

del sacerdote che' la dice o del fedele per il quale è detta. Nella preghiera<br />

liturgica l'intervento regolatore <strong>della</strong> Chiesa giova solo in quanto favorisce in<br />

qualche modo tale personale atteggiamento, obbligando, per esempio, il prete<br />

a pregare (obbligo del breviario) e regolandone l'azione (vedi pp. 310-12; 317-18;<br />

321). La prova di tali asserzioni? Perché, risponde Rahner (vedi, per esempio,<br />

pp. 311-12) la dignità e l'efficacia <strong>della</strong> preghiera dipende solo dalla grazia con<br />

cui è fatta. È facile capire come tale tesi implichi la negazione <strong>della</strong> distinzione,<br />

riguardo alla dignità e all'efficacia, tra preghiera liturgica e preghiera puramente<br />

privata, in quanto tale distinzione viene ridotta a un ordinamento puramente<br />

esterno <strong>della</strong> Chiesa, senza efficacia intrinseca, per sé, dinanzi a Dio. Del resto,<br />

aggiunge Rahner, non è ogni preghiera, preghiera del corpo mistico di Cristo?<br />

Ma tale ragionamento riposa sopra un sofisma. Si può dire, infatti, che la dignità<br />

intrinseca e l'efficacia di una preghiera si fonda dinanzi a Dio sulla grazia con<br />

la quale è fatta. Ma nella preghiera liturgica bisogna distinguere: 1. la grazia<br />

di Cristo come capo del corpo mistico; 2. la grazia <strong>della</strong> « Chiesa », cioè, di tutti<br />

i membri del corpo mistico, gerarchicamente strutturato, e uniti al loro capo<br />

divino, in quanto fra loro costituiscono, assieme al loro capo, quell'unità sui generis<br />

detta appunto corpo mistico di Cristo; 3. la grazia personale del ministro;<br />

4. la grazia personale del singolo fedele che assiste alla preghiera liturgica o<br />

per il quale è fatta. <strong>Il</strong> sofisma di Rahner consiste nel considerare, quando si<br />

tratta di stimare la dignità e l'efficacia <strong>della</strong> preghiera anche liturgica, solo la<br />

grazia personale del ministro o del singolo fedele. Ora, ciò che vi è di proprio<br />

nella preghiera liturgica rispetto a quelle che non lo sono, è appunto che, pur<br />

essendo preghiera anche personale del ministro o del singolo fedele, non è mai<br />

soltanto quella né principalmente quella. Infatti: 1) quando si tratta <strong>della</strong> forma<br />

del sacramento o del sacrificio, è anzitutto preghiera e azione di Cristo stesso<br />

come capo del corpo mistico. Così, la forma deprecativa dell'assoluzione sacramentale<br />

nel rito bizantino non è affatto in primo luogo preghiera personale del<br />

sacerdote o del fedele; né <strong>della</strong> Chiesa; ma di Cristo stesso, che prega, servendosi<br />

come strumento, del sacerdote. <strong>Il</strong> quale in primo luogo agisce allora in<br />

persona Christi. Perciò la dignità e l'efficacia di quella preghiera dipende in primo<br />

luogo dalla grazia di Cristo capo del corpo mistico e non da quella dei suoi<br />

membri sia pure uniti a Lui, tanto meno del solo ministro o del singolo fedele.<br />

E l'efficacia ex opere operato. 2) Quando invece si tratta di preghiere liturgiche<br />

d'istituzione ecclesiastica, esse sono in primo luogo, preghiere non del solo<br />

Cristo capo, né del ministro o del singolo fedele, ma <strong>della</strong> Chiesa, come sopra<br />

spiegato, e la loro dignità ed efficacia dipende in primo luogo dalla grazia di<br />

tutti i membri del corpo mistico, come unità sui generis sopraddetta. Esse sono<br />

fatte dal ministro in primo luogo, in persona Ecclesiae. Né ciò suppone una<br />

indebita ipostatizzazione <strong>della</strong> Chiesa in <strong>senso</strong> platonico, ma semplicemente la<br />

dottrina del corpo mistico come unità sui generis, ma reale. Ed è vero che, in<br />

un certo <strong>senso</strong> in ogni preghiera l'intero corpo mistico è impegnato, come vi è<br />

impegnato Cristo stesso, ma in gradi diversi e quindi con efficacia diversa.<br />

Tutto questo è dottrina <strong>della</strong> Mediator Dei (Vedi n. 27; 36) ed è chiaramente<br />

quella di S. Tommaso (Stimma HI q 82 a 6 e) che si oppone direttamente<br />

alle affermazioni di Rahner.


134 CAP. <strong>Il</strong>I - LITURGIA E SEGNI EFFICACI<br />

unita al suo capo » e che « la preghiera liturgica, per il fatto stesso<br />

che è la preghiera pubblica dell'inclita Sposa di Gesù Cristo, ha<br />

una dignità superiore a quella delle preghiere private ». È su questo<br />

sfondo pure che va intesa l'affermazione del concilio vaticano II<br />

che la <strong>liturgia</strong> ha un'efficacia che nessun'altra azione <strong>della</strong> Chiesa<br />

allo stesso titolo e grado può uguagliare.


CAPITOLO IV<br />

LA LITURGIA COME COMPLESSO<br />

DI SEGNI SENSIBILI EFFICACI DELLA SANTIFICAZIONE<br />

E DEL CULTO DELLA CHIESA<br />

Abbiamo definito la <strong>liturgia</strong>: il complesso dei segni sensibili<br />

efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa. Dopo aver spiegato<br />

il concetto di segno e la sua efficacia, rimane da spiegare quello<br />

di santificazione e di culto nella <strong>liturgia</strong>. Si tratta del fine prossimo<br />

specifico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, quello comune e remoto essendo sempre<br />

e unicamente, come per ogni altra cosa, la gloria di Dio. Questo<br />

fine, da parte di Dio, è la nostra santificazione, che, in quanto si<br />

fa in seno alla Chiesa e come membri <strong>della</strong> Chiesa, è appunto la<br />

santificazione <strong>della</strong> Chiesa, e da parte nostra, ossia <strong>della</strong> Chiesa,<br />

è il culto pubblico e ufficiale di Dio. Così la <strong>liturgia</strong> appare sin<br />

d'ora come il luogo d'incontro privilegiato tra l'uomo e Dio; sotto<br />

il velo dei segni, Dio scende verso l'uomo, l'uomo sale a Dio.<br />

1. SANTIFICAZIONE E CULTO NELLA LITURGIA IN GENERE<br />

Nella realtà liturgica concreta, l'azione di Dio che santifica e<br />

la risposta <strong>della</strong> Chiesa che rende il suo culto a Dio s'intrecciano<br />

intimamente e non possono affatto separarsi, essendo come due<br />

aspetti correlativi e inscindibili di una medesima realtà. <strong>Il</strong> motivo<br />

ultimo ne è l'intima compenetrazione dell'azione divina e <strong>della</strong><br />

risposta umana nell'opera <strong>della</strong> santificazione dell'uomo e del culto.<br />

In questa opera l'azione divina non può mai essere ricevuta dall'adulto<br />

in modo inerte e meccanico, ma è ricevuta vitalmente e<br />

liberamente. Così, ogni ricevimento dell'azione santificatrice di Dio<br />

è, nell'adulto, un'accettazione cosciente e libera, ed implica il cosciente<br />

e libero riconoscimento dell'eccellenza divina e <strong>della</strong> sog-


136 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

gezione dell'uomo a Dio come cosa a cui Egli ha diritto. Ora, tale<br />

riconoscimento è l'anima stessa del culto. Ogni ricevimento dell'azione<br />

santificatrice di Dio implica dunque nell'adulto un atto di<br />

culto. Viceversa, un qualsiasi atto di culto cristiano a Dio, che sia<br />

un'opera soprannaturale e meritoria, è impossibile all'uomo senza<br />

una profonda azione santificatrice di Dio nell'uomo che dia o mantenga<br />

od aumenti lo stato di grazia e prevenga e accompagni l'atto<br />

del culto.<br />

È per questo che S. Tommaso, a proposito dei sacramenti,<br />

insiste con forza sull'inscindibilità <strong>della</strong> santificazione che Dio fa<br />

dell'uomo e del culto che l'uomo rende a Dio: l'atto di religione,<br />

egli dice, si compie « sia offrendo qualcosa a Dio, sia ricevendo<br />

qualcosa di divino » *. Per S. Tommaso, ricevere i sacramenti è un<br />

atto anche esteriore di latria 2 . Pertanto nel trattato dei sacramenti<br />

è principio basilare <strong>della</strong> spiegazione che egli ne propone che il<br />

fine specifico per cui sono stati istituiti i sacramenti <strong>della</strong> nuova<br />

legge è doppio: santificare l'uomo mondandolo dal peccato e far<br />

sì che egli renda a Dio il culto a Lui dovuto: « I sacramenti <strong>della</strong><br />

nuova legge hanno un doppio fine, cioè la guarigione dal peccato<br />

e il culto divino » 3 ; « nell'uso dei sacramenti si possono considerare<br />

due cose, cioè: il culto divino e la santificazione dell'uomo; la prima<br />

spetta all'uomo verso Dio, la seconda invece spetta a Dio verso<br />

l'uomo » 4 . È chiaro che questo vale, a^suo modo, non solo dei sacramenti,<br />

ma di tutto il complesso liturgico concreto.<br />

Sebbene però, nella <strong>liturgia</strong> concreta, l'azione santificatrice<br />

di Dio e il culto che la Chiesa rende a Dio siano inscindibili, è<br />

altrettanto chiaro che alcuni aspetti e alcune parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

mettono maggiormente in rilievo l'azione santificatrice di Dio, altri,<br />

invece, il culto che la Chiesa rende a Dio. Così, per esempio, è<br />

evidente che nel sacramento <strong>della</strong> penitenza predomina l'aspetto<br />

di santificazione dell'uomo il quale, conseguentemente, è maggiormente<br />

messo in rilievo anche nella sua espressione estrinseca, specialmente<br />

moderna. Lo stesso si dica dell'unzione dei malati, se, come<br />

ritiene S. Tommaso, il suo scopo immediato è l'irrobustimento del<br />

malato contro quella languidezza spirituale che è vestigio del<br />

peccato. Tuttavia anche nella penitenza e nell'unzione dei malati<br />

l'aspetto di culto è realissimo: il peccatore, assoggettandosi alla<br />

penitenza, proclama la sovrana maestà di Dio, il suo diritto alla<br />

nostra soggezione, anzi si assoggetta effettivamente a Lui, tutti atti<br />

che costituiscono la quintessenza del culto. Inoltre, è in vista di<br />

partecipare plenariamente e fruttuosamente al culto <strong>della</strong> Chiesa<br />

insieme coi fratelli, cioè al culto nell'azione eucaristica, che il peccatore<br />

si assoggetta alla penitenza; questo sacramento lo riabilita<br />

appunto perché possa partecipare plenariamente a quell'atto supre-<br />

i Summa IMI q 81 a 3 ad 2.<br />

2 Vedi IMI q 89 prologo.<br />

3 IH q 63 a 6 e.<br />

• III q 60 a 5 e.


REALISMO DELLA SANTIFICAZIONE 137<br />

mo del culto. Si può ragionare similmente intorno a molte altre<br />

parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> d'istituzione ecclesiastica, per esempio, intorno<br />

a parecchi sacramentali e agli esorcismi, nei quali predomina<br />

l'aspetto di santificazione.<br />

Parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> ove, invece, predomina nettamente l'aspetto<br />

culto — sebbene anche qui non sia mai assente l'aspetto santificazione<br />

— sono, per esempio, le preghiere <strong>della</strong> Chiesa, sia quelle<br />

con le quali essa accompagna l'amministrazione dei sacramenti e<br />

dei sacramentali, sia, e massimamente, la preghiera delle ore<br />

canoniche.<br />

L'eucaristia, come sacramento e sacrificio, unisce al sommo<br />

grado i due aspetti, perché nell'eucaristia come sacramento, purché<br />

ricevuto nelle debite disposizioni, si verifica al sommo grado<br />

la santificazione che Dio, per mezzo di Cristo, fa degli uomini, e,<br />

come sacrificio, si verifica l'apice del culto che la Chiesa, in Cristo,<br />

rende a Dio. Ed è per questo che, come avremo occasione di spiegare<br />

ancora meglio, la messa è il centro di tutta la <strong>liturgia</strong> e la<br />

massima sua espressione. Da tutto questo si capisce ancora una<br />

volta quanto sia insufficiente definire la <strong>liturgia</strong> solo come culto<br />

e quanto invece sia necessario definirla anche come azione santifij<br />

catrice di Dio.<br />

Ì Non occorre spiegare qui maggiormente l'aspetto santificazione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Si ricordi solo che nella dottrina cattolica la santificazione<br />

delle anime che avviene nei sacramenti mediante la grazia<br />

santificante, è concepita come qualcosa di profondamente reale,<br />

che trascende immensamente il puro piano psicologico <strong>della</strong> conoscenza<br />

e dell'affetto perché incide nelle radici stesse dell'essere<br />

e dell'agire dell'uomo. Nella grazia santificante si parla di vera,<br />

sebbene accidentale e misteriosa, partecipazione <strong>della</strong> natura divina;<br />

di partecipazione all'incarnazione e di conformità a Cristo, che<br />

include in noi l'inabitazione delle persone divine e ci condurrà<br />

fino alla gloria <strong>della</strong> visione beatifica come al suo connaturale compimento.<br />

Da tutto questo risulta il serio e il tremendum dell'azione<br />

liturgica. Anche le grazie attuali che i riti d'istituzione ecclesiastica,<br />

in quanto riti santificatori, hanno per scopo immediato di<br />

ottenerci, sono dirette alla grazia santificante da ricuperare o da<br />

aumentare in noi. Anzi questo vale anche per le grazie d'ordine<br />

temporale che alcuni di questi riti istituiti dalla Chiesa hanno<br />

per fine immediato di ottenerci da Dio, poiché queste grazie temporali<br />

la Chiesa non le chiede, e Dio non le accorda, se non in quanto<br />

possono aiutarci a conseguire meglio la nostra salvezza. Finalmente,<br />

quando si tratta di santificazione del corpo o di oggetti esteriori<br />

a noi, che alcuni dei riti istituiti dalla Chiesa vogliono ottenerci,<br />

la santificazione, come abbiamo spiegato sopra, s'intende di una<br />

speciale protezione od accettazione divina di quelle cose, per il<br />

bene spirituale di chi le possiede o ne userà con le debite disposizioni.<br />

È sulla spiegazione delle relazioni tra <strong>liturgia</strong> e culto che dobbiamo<br />

ora fermarci.


138 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

2. LA <strong>RELIGIONE</strong> E LA « DEVOTIO »<br />

<strong>Il</strong> culto è un'espressione <strong>della</strong> virtù di religione. Frutto eminente<br />

<strong>della</strong> virtù di religione in genere e del culto in specie, degno di<br />

speciale considerazione nello studio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, è quella disposizione<br />

d'animo che gli antichi chiamavano la devotio. Per penetrare<br />

meglio nel mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come complesso di segni mediante<br />

i quali la Chiesa rende il suo culto pubblico e ufficiale a Dio, credo<br />

opportuno chiarire alcuni punti essenziali di questi concetti di<br />

religione e di devotio.<br />

La religione<br />

La tradizione teologica scolastica, seguendo principalmente<br />

S. Tommaso, il quale, a sua volta, segue l'uso dei teologi anteriori<br />

che si riallaccia a un concetto di Cicerone, connette la spiegazione<br />

<strong>della</strong> virtù di religione col concetto di giustizia. Questa giustizia<br />

fu concepita dagli scolastici, secondo la tradizione ellenistica, nello<br />

schema delle quattro virtù cardinali, non senza notevoli ondeggiamenti<br />

e indecisioni nel modo stesso di definirla 5 . Così la virtù di<br />

religione è ritenuta una giustizia: quella virtù di giustizia cioè, che<br />

ci fa rendere a Dio ciò che è a Lui dovuto in quanto precisamente è<br />

primo principio creatore governatore é fine di tutte le cose 6 . Però è<br />

impossibile all'uomo rendere a Dio quello che è a Lui dovuto in<br />

stretta misura di uguaglianza, come l'esigerebbe il concetto stesso<br />

di stretta giustizia, il quale vuole l'uguaglianza delle persone che si<br />

trovano di fronte. Così si dice che la religione non è propriamente<br />

una specie del genere giustizia, ma una virtù annessa alla giustizia<br />

strettamente detta, di cui è una certa imperfetta partecipazione.<br />

Questo si vuol dire quando, con termine tecnico, si dice che la religione<br />

è una « parte potenziale » <strong>della</strong> giustizia 7 .<br />

Recentemente sono stati sollevati da alcuni teologi seri dubbi<br />

intorno a questa sistemazione <strong>della</strong> virtù di religione nello schema<br />

generale delle quattro virtù cardinali di tradizione ellenistica come<br />

un annesso <strong>della</strong> giustizia 8 . Ragioni storiche! ossia la conoscenza<br />

che ormai abbiamo del modo in cui sono nati questi schemi di sistemazione<br />

delle virtù e del modo in cui sono entrati nella tra-<br />

5 Per tutto questo vedi O. LOTTIN, Psychologie et Morale aux Xlfc et XIII«<br />

siede III pp. 313-26; ID., Vertu de religion et vertus théologales, in: Dominican<br />

studies 1 (1948) 212 ss.<br />

6 Per S. TOMMASO cfr. Summa IMI q 81 a 5 e e ad 3.<br />

7 Cfr. S. TOMMASO, Summa II-II q 80 a unico.<br />

8 Vedi O. LOTTIN, Morale fondamentale, Desclée 1954 pp. 350-63 con riassunto<br />

delle discussioni precedenti e bibliografia a p. 363 nota 1.


LA VIRTÙ DI <strong>RELIGIONE</strong> 139<br />

dizione <strong>della</strong> scuola e ci si sono mantenuti, nonché ragioni teoretiche<br />

sulle relazioni <strong>della</strong> virtù di religione con le virtù morali e le<br />

virtù teologali, obbligano certamente a riprendere in seria considerazione<br />

un ripensamento di tutta la questione.<br />

Pur tuttavia, per lo scopo che perseguiamo, non occorre che entriamo<br />

nel vivo di questa discussione, perché tutti gli autori sono<br />

d'accordo su tre punti fondamentali che sono la chiave per capire<br />

la relazione tra <strong>liturgia</strong> e religione. Si tratta: del <strong>senso</strong> generale<br />

<strong>della</strong> virtù di religione nella vita cristiana come risposta dell'uomo<br />

a un suo profondo debito verso Dio autore e fine di tutti gli esseri;<br />

del fatto che la virtù di religione trascende le altre virtù morali; del<br />

fatto che la virtù di religione è in tale intima connessione e vicinanza<br />

con le virtù teologali che queste sono come materia di cui si<br />

serve la virtù di religione, mentre le virtù teologali sono sorgente<br />

<strong>della</strong> virtù di religione e che questa, a sua voltale un ottimo terreno<br />

in cui le virtù teologali prosperano e si sviluppano.<br />

Perché l'essere è uno, è legge naturale che ogni effetto ritorni<br />

in qualche modo alla sua causa. Questo si verifica nell'uomo, tra<br />

le altre cose, per la virtù di religione, in quanto egli è effetto conoscente,<br />

cosciente ed amante di Dio, totalmente dipendente da Lui<br />

nel suo essere e nel suo agire. L'uomo perciò conosce questa sua<br />

totale dipendenza. Messo dinanzi alla maestà trascendente dell'essere<br />

divino 9 , egli concepisce il sentimento di ammirazione, timore,<br />

riverenza e sudditanza, davanti a quel tremendum che lo trascende<br />

e lo schiaccia; è già il <strong>senso</strong> primordiale spontaneo dell'adorazione.<br />

Ritornando poi riflessivamente su questo sentimento l'uomo liberamente<br />

Io approva come giusto e necessario, come il più primordiale<br />

e il più inevitabile dei debiti che egli ha verso l'essere supremo;<br />

è la risposta libera dell'uomo alla visione <strong>della</strong> primordiale obbligazione<br />

di dipendenza che egli ha verso l'essere primo principio<br />

e ultimo fine, creatore e governatore di tutti gli esseri. Così l'uomo<br />

accetta e proclama l'eccellenza di Dio e la propria sudditanza e dipendenza<br />

da Lui; lo loda, lo ringrazia e, non potendo fare altro di<br />

meglio, si mette a sua totale disposizione.<br />

Comprendendo, inoltre, che Dio è il sommo suo bene, anche f<br />

personale, lo ama, desidera di possederlo e gli domanda di darsi a<br />

lui e di accordargli tutto quello che è necessario per arrivare a questo<br />

fine supremo. Anzi si sforza di vivere anche nella vita quotidiana<br />

una vita morale che sia accetta a Dio. Così: ammirazione, timore<br />

riverenziale, protestazione e accettazione libera <strong>della</strong> propria sudditanza,<br />

adorazione, amore, lode, ringraziamento, desiderio, domanda,<br />

volontà di vivere conformemente a quello che a Dio piace<br />

e sentimenti connessi, sono tutte disposizioni d'animo che provengono<br />

da un atteggiamento fondamentale unico che può dirsi la risposta<br />

complessiva dell'uomo sentita come un debito rigoroso che<br />

egli ha verso Dio in quanto supremo creatore, governatore ed ulti-<br />

9 Vedi Lottin ibid.


140 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

mo fine delle cose. Questo atteggiamento è l'atteggiamento religioso.<br />

Ci si accorge subito quanto profondamente esso investa tutta<br />

la vita dell'uomo e convogli, in qualche modo, anche tutte le altre<br />

virtù in una certa direzione, nella direzione cioè di soddisfare, nel<br />

modo proprio all'uomo e secondo i suoi poteri, al profondo obbligo<br />

che egli avverte verso Dio quale supremo creatore, governatore e<br />

fine, di tutte le cose.<br />

Per questa ragione tutti i teologi, nel paragonare la virtù di<br />

religione con le altre virtù morali, sono d'accordo nel collocarla in<br />

un posto eminente che le sovrasti tutte. Coloro che accettano il concetto<br />

di religione come annessa alla virtù cardinale di giustizia, non<br />

mancano di esaltarla sopra tutte le altre virtù morali, in quanto<br />

queste regolano atti che si riferiscono a una cosa creata non immediatamente<br />

ordinata a Dio — come la fortezza regola i nostri atti<br />

intorno ai pericoli,— mentre la religione regola i nostri atti intorno<br />

a cose che si riferiscono direttamente e immediatamente a Dio in<br />

quanto rendiamo a Lui quello che Gli è dovuto come sommo creatore<br />

e governatore. « La religione, avverte S. Tommaso, si avvicina<br />

a Dio più delle altre virtù morali, in quanto si occupa di cose che<br />

direttamente e immediatamente sono ordinate all'onore divino; e<br />

quindi la religione eccelle tra le altre virtù morali » 10 .<br />

I teologi poi che non accettano il concetto <strong>della</strong> religione come<br />

annessa alla virtù <strong>della</strong> giustizia sono indotti a ciò fare, dal punto<br />

di vista teorico, appunto dallfevidente trascendenza <strong>della</strong> virtù di<br />

religione rispetto a tutte le altre virtù morali, trascendenza che non<br />

ritengono abbastanza tutelata relegando la virtù di religione tra i<br />

semplici annessi <strong>della</strong> giustizia. Tra questi, per es., il P. Lottin propone<br />

la distribuzione generale delle virtù morali in cinque classi:<br />

1. le virtù che regolano il nostro comportamento verso noi stessi:<br />

temperanza e fortezza; 2. quelle che regolano il nostro comportamento<br />

verso i nostri uguali: benevolenza e giustizia; 3. quelle che regolano<br />

il nostro comportamento verso le creature a noi superiori, genitori,<br />

maestri, patria: sottomissione all'autorità; 4. la virtù che regola il<br />

nostro comportamento verso Dio: la religione; 5. il tutto diretto<br />

dalla sana ragione: la prudenza. Anche in questa distribuzione è<br />

evidente l'eminente dignità <strong>della</strong> virtù di religione. Poiché, sola fra<br />

tutte, ha Dio per oggetto, essa è superiore a tutte le altre che si<br />

riferiscono immediatamente alle cose create e segna l'apice <strong>della</strong><br />

vita morale 11 .<br />

Ugualmente d'accordo sono tutti i teologi quando si tratta di<br />

affermare l'intima connessione tra la virtù di religione e le virtù<br />

teologali. S. Tommaso caratterizza le virtù teologali come quelle<br />

che hanno per oggetto immediato Dio stesso e ritiene che questo<br />

sia il caso solo per la fede, la speranza e la carità, mentre non lo<br />

è per la virtù di religione. Questa, secondo il santo Dottore, ha bensì<br />

]° Summa IMI q 81 a 6 e.<br />

II O. LOTTIN, La définition classique de la verta de religion, in: Ephemerides<br />

theologicae lovanienses 24 (1948) p. 350.


<strong>RELIGIONE</strong> E VIRTÙ TEOLOGALI 141<br />

Dio per fine cui si riferiscono immediatamente e direttamente i<br />

suoi atti, e per questa ragione è superiore alle altre virtù morali,<br />

ma non ha Dio per oggetto immediato come le virtù teologali; questo<br />

spiega, per S. Tommaso, il fatto che la religione è inferiore alla<br />

fede, alla speranza e specialmente alla carità, l'incontrastata regina<br />

di tutte le virtù 12 .<br />

Tuttavia, anche per S. Tommaso, la connessione tra la virtù<br />

di religione e le virtù teologali è somma e singolare. Infatti, ritiene<br />

in primo luogo che le virtù teologali sono la radice <strong>della</strong> virtù soprannaturale<br />

di religione : « Col loro comando (suo imperio) causano<br />

l'atto di religione » 13 ; per onorare Dio soprannaturalmente<br />

nell'atto di religione, si presuppone che crediamo che Dio è creatore,<br />

governatore e fine ultimo delle cose 14 , che abbiamo la speranza<br />

che Dio accetti i nostri omaggi; la carità è, in modo speciale, in<br />

colui che la possiede, « principio <strong>della</strong> religione » ".<br />

Ma poi S. Tommaso riconosce con gli altri teologi, che la virtù<br />

di religione è anche una virtù generale che si serve di tutte le altre<br />

virtù, comprese le virtù teologali, per attuare se stessa offrendo i<br />

loro atti in debito omaggio a Dio come sommo creatore, governatore<br />

e fine delle cose. Così le altre virtù sono come la materia di<br />

cui si serve la virtù di religione : « La religione stessa... ha... per<br />

materia gli atti <strong>della</strong> fede o di un'altra virtù, che essa offre a Dio<br />

come a Lui dovuti » ie .<br />

Finalmente, per un reciproco influsso, sotto aspetti diversi, la<br />

virtù di religione, sgorgante dalle virtù teologali, in specie dalla carità,<br />

nutre a sua volta le virtù teologali e la carità : « ...La carità<br />

causa la devozione... ma anche la carità è nutrita dalla devozione,<br />

come ogni amicizia si conserva e si aumenta per l'esercizio delle<br />

opere dell'amicizia e per la meditazione » ". Lo stesso dicasi <strong>della</strong><br />

fede e <strong>della</strong> speranza.<br />

La connessione tra virtù di religione e virtù teologali è tale che<br />

non è mancato tra i teologi chi abbia ritenuto che alla virtù di religione,<br />

teoricamente parlando, non difetta niente per essere classificata<br />

quarta tra le virtù teologali 18 , anzi come la sintesi generale<br />

delle virtù teologali 19 .<br />

Comunque, il dominio <strong>della</strong> virtù di religione nella vita cristiana<br />

è quantitativamente e qualitativamente profondissimo. Cominciando<br />

con un'ammirazione contemplativa dell'eccellenza di Dio<br />

sommo creatore, governatore e fine delle cose, suscita nell'ani-<br />

12<br />

Cfr. Summa IMI q 81 a 5.<br />

» Ibid. ad 1.<br />

14<br />

Cfr. In Boeth. de Triti. Lect. 1 q 1 a 2.<br />

« Summa IMI q 82 a 2 ad 1.<br />

« In Boeth. de Trin. Lect. 1 q 1 a 2.<br />

" Summa IMI q 82 a 2 ad 2.<br />

18<br />

R. HOURCADE, La vertu de religion, in: Bulletin de litt. éccl. de Toulouse,<br />

1944, p. 181-219.<br />

19<br />

A. MAHTINET, Institutionum theologicarum quarta pars seu theologia moralis,<br />

Paris 1867 I q. 355 (citato da LorriN, Morale fondamentale p. 354).


142 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

ma il sentimento riflesso e libero di compiacenza e di sottomissione<br />

riverenziale che si traduce nell'adorazione interna. Questa disposizione<br />

interiore <strong>della</strong> volontà, anima di tutto il culto, si esprimerà<br />

connaturalmente all'esterno in atteggiamenti, gesti e parole,<br />

perché la volontà interiore mobilita, per esprimersi, le potenze<br />

esteriori e le comanda. Comanda anche l'intelligenza che inflette<br />

all'attenzione e alla contemplazione anche prolungata e penosa e,<br />

naturalmente, l'immaginazione e le altre facoltà interne che convoglia<br />

all'atto di religione.<br />

Anzi, quella disposizione interiore <strong>della</strong> volontà comanda tutta<br />

la persona e arriva ad offrirla a Dio in perfetta sottomissione, a<br />

metterla per così dire a disposizione discrezionale del creatore,<br />

fino alla distruzione, se così Egli lo giudicherà opportuno: è il sacrificio<br />

interno, la somma espressione <strong>della</strong> religione, di cui i sacrifici<br />

esteriori sono estrinsecazioni, e le cose esternamente offerte, sostituzioni.<br />

L'espressione massima di quel sacrificio interno <strong>della</strong> propria<br />

persona fino alla distruzione, se così il creatore lo stima<br />

opportuno, è il martirio, di cui la vita religiosa in tutte le sue<br />

forme e la verginità consacrata a Dio, sono surrogati. Tutti questi<br />

sono atti <strong>della</strong> virtù di religione, la sua espressione.<br />

Ricordando poi che essa si serve degli atti delle altre virtù, in<br />

specie, trattandosi di religione soprannaturale, <strong>della</strong> fede, speranza<br />

e carità, come di materia che offre a Dio per esprimere se stessa,<br />

si ammetterà facilmente che, come è stato giustamente osservato 20 ,<br />

la virtù di religione è il legame generale che unifica tutta la vita<br />

morale, anzi, quando si tratta <strong>della</strong> virtù soprannaturale di religione,<br />

tutta la vita soprannaturale del cristiano. Essa ne connette tutte<br />

le buone azioni di vita contemplativa e di vita attiva convogliandole<br />

allo scopo unico generale del debito omaggio da rendere a Dio<br />

quale sommo creatore, governatore e fine di tutte le cose.<br />

La « devotio »<br />

Tra gli atti <strong>della</strong> virtù di religione S. Tommaso considera in<br />

modo speciale la preghiera e la devotio. Questo concetto di devotio<br />

ha speciale interesse nello studio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Oggi la nostra parola devozione suggerisce piuttosto sia una<br />

certa propensione, specialmente di sentimento sensibile, alle cose<br />

religiose in genere — e in questo <strong>senso</strong> si dice di qualcuno : è devoto,<br />

è un devoto — sia, più precisamente ancora, una certa propensione<br />

privata a considerazioni o aspetti particolari <strong>della</strong> dottrina<br />

religiosa o a pratiche religiose particolari — così diciamo: aver<br />

devozione al Sacro Cuore, alla passione di Nostro Signore, a San<br />

Giuseppe —.<br />

L'antico concetto di devotio è qualcosa di molto più profondo.<br />

20 O. LOTTIN, Morale fondamentale p. 362.


NOZIONE DEL CULTO 143<br />

« Devotio, dice S. Tommaso, deriva da devovere (votarsi a, darsi<br />

interamente a... fino alla morte); quindi "devoti" si dicono coloro<br />

che in qualche modo si votano a Dio per essergli interamente sottomessi.<br />

Per questo, anticamente, presso i pagani, erano detti "devoti"<br />

coloro che votavano se stessi alla morte per la salvezza dell'esercito:<br />

come narra Tito Livio (Vili 9) dei due Deci. Quindi la devotio<br />

non è altro che una certa volontà pronta di darsi a tutto quello che<br />

riguarda il servizio di Dio » 21 . « La devotio è un atto di volontà<br />

di colui che offre se stesso a Dio per servirlo » 22 .<br />

Così la devotio è una certa decisione <strong>della</strong> volontà per cui si<br />

mette in atteggiamento radicale sempre pronta al servizio di Dio;<br />

è un votarsi totale che l'uomo fa di se stesso a Dio, dirigendo i<br />

propri voleri e piaceri verso l'unico scopo del suo servizio, sempre<br />

pronto ad impegnarsi in quello che concerne il suo onore. È dunque<br />

un atteggiamento di volontà calmo e virile, frutto di una decisione<br />

riflessa. È come il primo atteggiamento psicologico fondamentale<br />

frutto <strong>della</strong> virtù di religione che penetra la vita, dando orientamento<br />

e forma agli atti susseguenti nei quali questo servizio si<br />

concretizza 23 . Le devozioni non possono aver valore che come mezzi<br />

per alimentare ed esprimere la devotio. In ultima analisi devono<br />

dunque dirigersi a Dio. La devotio è come l'humus immediato su<br />

cui germoglia e cresce il culto.<br />

3. IL CULTO IN GENERE<br />

È necessario, a questo punto, ricordare brevemente la nozione<br />

generale del culto e le sue grandi divisioni 24 .<br />

Nozione<br />

<strong>Il</strong> culto, da colere, aver cura di, coltivare in <strong>senso</strong> larghissimo,<br />

è la venerazione per un essere, basata sul sentimento <strong>della</strong> sua<br />

eccellenza e <strong>della</strong> propria inferiorità e sudditanza che si ha di fronte<br />

ad esso. È, dunque, radicalmente, un certo atteggiamento interno,<br />

fatto non solo di ammirazione, di stima e di onore, ma anche di<br />

umiltà e di protestazione di sottomissione.<br />

Questo atteggiamento può esprimersi in atti diversissimi, ma<br />

21 Summa IMI q 82 a 1 e.<br />

22 Ibid. ad 1.<br />

23 Cfr. Summa IMI q 82 a 1 ad 1. Sul concetto di Devotio in genere vedi<br />

I. CHATILLON, in: Dict. de Spirti., fase. 20-21 (1955) 702-716. A. DANIELS, Devotio,<br />

in: Jahrb. fur Liturgiwis. 1 (1921) 40^0.<br />

24 Del culto nella teologia di S. Tommaso tratta J. LECUYER, Réflexions sur<br />

la théologie du eulte selon S. Thomas, in : Rev. thomiste 55 (1955) 339 ss.


144 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

atto di culto propriamente detto verso un essere si ritiene solo<br />

quello che ha per oggetto diretto quest'essere. Così l'atto per cui<br />

il figlio studia assiduamente per onorare i genitori, o il cittadino<br />

si comporta bene all'estero per onorare la patria, o il fedele fa<br />

un'elemosina o cura un malato per amore di Dio, non sarà detto<br />

culto dei genitori, <strong>della</strong> patria o di Dio che in <strong>senso</strong> largo, perché,<br />

nei predetti casi, lo studio non ha per oggetto diretto i genitori, né<br />

la buona condotta la patria, né l'elemosina, o la cura del malato<br />

Dio. Mentre l'atto di venerazione <strong>della</strong> bandiera, non avendo per<br />

oggetto diretto quel pezzo di stoffa, ma la patria di cui quel pezzo<br />

di stoffa è il simbolo e, per così dire, il sostituto, sarà un atto<br />

di culto <strong>della</strong> patria. Lo stesso si dica <strong>della</strong> preghiera fatta a Dio<br />

o del sacrificio offertogli. Sono atti di culto in <strong>senso</strong> stretto.<br />

Divisioni<br />

Del concetto di culto si possono avere diverse divisioni a seconda<br />

del fondamento che si considera per farle.<br />

Sulla base oggettiva dell'eccellenza. — Poiché l'eccellenza dell'essere<br />

che si venera nel culto ne è la base oggettiva, si avranno<br />

altrettanti culti di natura diversa che distingueranno eccellenze di<br />

natura diversa.<br />

Eccone uno schema:<br />

Nel culto profano, per esempio dei genitori, <strong>della</strong> patria, delle<br />

arti, dei filosofi, l'eccellenza considerata è di natura profana. Nel<br />

culto religioso è di natura religiosa, ossia avente rapporto a Dio<br />

e alla vita morale.<br />

L'eccellenza religiósa vera, in fin dei conti, è sempre Dio stesso,<br />

la vita divina, in se stessa o partecipata alle creature. Dunque il<br />

culto religioso non può riferirsi che a Dio; alla creatura non può<br />

riferirsi che in quanto partecipa in qualche modo alla vita divina.<br />

Ma quello che è per partecipazione, pur essendo realmente qualcosa<br />

in sé, si riferisce sempre, in fin dei conti, a quello che è per<br />

sé e si riduce a lui. Così il culto religioso di qualche essere creato,<br />

pur potendo essere un vero culto anche di quest'essere e non solo<br />

di Dio, per l'eccellenza reale <strong>della</strong> vita divina presente in lui, in<br />

ultima analisi si riferisce sempre a Dio, causa ultima di quella<br />

eccellenza.


DIVISIONI DEL CULTO 145<br />

In un ipotetico ordine puramente naturale, l'eccellenza divina,<br />

base oggettiva del culto, sarebbe formalmente la vita divina in se<br />

stessa o partecipata, solo in quanto Dio è autore dell'ordine naturale,<br />

e si avrebbe così un culto religioso semplicemente naturale.<br />

Nell'ordine soprannaturale, invece, la base oggettiva del culto<br />

è formalmente la vita divina in se stessa o partecipata in quanto<br />

Dio è autore dell'ordine soprannaturale. <strong>Il</strong> culto soprannaturale<br />

presuppone quindi una rivelazione soprannaturale e la fede in noi<br />

per cui aderiamo a questa rivelazione, perché la vita divina soprannaturale<br />

non ci è nota che attraverso quella rivelazione cui noi aderiamo<br />

nella fede teologale.<br />

<strong>Il</strong> culto giudaico dell'Antico Testamento era già un culto religioso<br />

soprannaturale perché basato sopra una rivelazione soprannaturale<br />

e sopra la fede. Dio in esso veniva onorato con atti aventi<br />

per oggetto diretto Lui stesso quale supremo creatore, autore e<br />

datore del patto a Israele, il suo popolo eletto, in vista dello stabilimento<br />

del suo regno soprannaturale nel mondo. Ma l'Antico<br />

Testamento, visto nell'insieme dei piani divini che si esplicano nella<br />

storia sacra, ha solo un <strong>senso</strong> di incoazione e di preparazione : è<br />

una prima concretizzazione, momentanea e imperfetta, di quell'idea<br />

divina che Dio voleva poi e doveva realizzare plenariamente in<br />

Cristo e nell'economia cristiana e che si manifesterà e compirà<br />

perfettamente nella Gerusalemme futura. <strong>Il</strong> culto dell'Antico Testamento<br />

deve essere inquadrato in questa prospettiva generale che<br />

ne determina il <strong>senso</strong> profondo. Era quindi un primo abbozzo, una<br />

prima figura e un primo schizzo, di quel culto che Cristo avrebbe<br />

inaugurato nella sua vita mortale, di cui il culto cristiano non è<br />

che la continuazione sotto il velo dei segni e dei simboli, e il culto<br />

<strong>della</strong> Gerusalemme celeste futura, il compimento perfetto nella<br />

gloria. È noto che quest'idea è uno dei temi maggiori dell'epistola<br />

agli ebrei 25 .<br />

<strong>Il</strong> culto cristiano è il culto di Dio iniziato da Cristo nella sua<br />

vita mortale, principalmente sul Golgota, quale redentore e capo<br />

dell'umanità redenta, da formarsi come sua Chiesa, suo corpo e<br />

sua sposa, espressione di se stesso e continuazione <strong>della</strong> sua opera<br />

nel mondo fino al suo glorioso ritorno. E dunque il culto di Dio<br />

in Cristo e per mezzo di Cristo: iniziato da Cristo, continuato<br />

invisibilmente da Lui in noi e per mezzo di noi e a favore nostro,<br />

ossia nella sua Chiesa, per mezzo <strong>della</strong> sua Chiesa e a favore <strong>della</strong><br />

sua Chiesa; la quale non fa altro che partecipare e associarsi al<br />

suo culto. L'eccellenza propria <strong>della</strong> vita divina su cui si basa formalmente<br />

il culto cristiano, è dunque la vita divina manifestata<br />

in Cristo.<br />

Solo la natura intellettuale, la persona, ha formalmente in sé<br />

un'eccellenza religiosa che la fa degna di venerazione e quindi<br />

di culto. Per questo la persona può essere oggetto di culto in se<br />

25 Vedi C. SPICQ, L'Épttre aux hébreux, I 280-83; 291 ss; 311-24.


146 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

stessa; quel culto ad essa tributato, per questo motivo e in questo<br />

<strong>senso</strong>, si dice culto assoluto.<br />

Gli oggetti invece, se hanno qualche eccellenza in relazione<br />

alla vita divina, non possono averla formalmente in se stessi, ma<br />

solo per un certo loro rapporto alla persona, in quanto le appartengono<br />

in qualche modo. Se quindi si rende loro qualche culto,<br />

questo deve andare tutto alla persona. Questo culto è detto perciò<br />

puramente relativo, cioè relativo alla persona. Così, per esempio,<br />

il culto con cui vengono onorati gli oggetti che hanno un qualche<br />

rapporto alla persona dei santi, come le loro reliquie e le loro<br />

immagini, è puramente relativo, perché le reliquie e le immagini<br />

dei santi non hanno eccellenza religiosa per un valore loro intimo<br />

di vita divina, ma solo per il rapporto che colui che le venera<br />

stabilisce mentalmente tra esse e la persona dei santi. Così il culto<br />

con cui sono venerate va tutto ai santi, in quanto partecipano <strong>della</strong><br />

vita divina.<br />

Ancora: v'è una grande differenza, nell'ambito stesso del culto<br />

assoluto, tra quello che si rende a Dio e quello che si rende a<br />

creature sia pur sante. <strong>Il</strong> culto supremo tributato alla natura<br />

divina stessa, che è il culto di adorazione, nel quale l'uomo professa<br />

verso Dio il suo totale servaggio, è detto culto di latria (latreia-servaggio).<br />

È dovuto solo alla Santissima Trinità e alle singole sue<br />

persone, nonché, in virtù dell'unione ipostatica, a Gesù Cristo, in<br />

cui, anche sotto le specie sacramentali, l'umanità è adorata assieme<br />

alla divinità con unico atto di adorazione.<br />

L^ècellenza religiosa degli angeli e dei santi deriva tutta dal<br />

fatto che sono fedeli servi di Dio. <strong>Il</strong> culto loro tributato è detto<br />

perciò culto di dulia (douleia-servitù). Mentre Maria Santissima,<br />

che ha, tra tutti i servi di Dio, un posto privilegiatissimo, è oggetto<br />

di un culto che, sebbene essenzialmente diverso da quello di latria<br />

e a lui inferiore, è pur nondimeno superiore a quello di tutti gli<br />

altri santi e angeli, e viene detto perciò di iperdulia. Dato che<br />

l'eccellenza religiosa dei santi è partecipata, perché consiste nel<br />

fatto che, con la grazia di Dio, partecipano a un grado eminente<br />

di vita divina, il culto dei santi, pur andando realmente anche ad<br />

essi, appunto perché partecipi <strong>della</strong> vita divina, però, in ultima<br />

analisi, va sempre a Dio, perché di quella vita divina essi sono<br />

solo partecipi.<br />

Sulla base del soggetto che rende il culto. — <strong>Il</strong> soggetto che<br />

rende il culto è l'uòmo. Ma l'uomo può essere considerato sotto<br />

aspetti diversi. Per esempio: si può considerare l'uomo in quanto<br />

è un composto d'anima e di corpo, e da questo punto di vista il<br />

culto si distinguerà in culto solo interno ed in culto interno ed<br />

esterno nello stesso tempo; si può considerarlo in quanto essere<br />

sociale, e da questo punto di vista il suo culto si distinguerà in<br />

culto pubblico e in culto privato.<br />

<strong>Il</strong> culto è essenzialmente e principalmente interno. Anzitutto<br />

perché è un omaggio che si rende a Dio; ora l'onore è, formalmente,


CULTO INTERNO ED ESTERNO 147<br />

nello spirito di chi lo rende, essendo, formalmente, un atteggiamento<br />

di spirito, anzitutto <strong>della</strong> volontà. Poi perché Dio è spirito<br />

ed è principalmente con lo spirito che si viene in contatto con Lui.<br />

Finalmente, perché "nell'uomo, che pur è composto di spirito e di<br />

corpo, è tuttavia lo spirito che è la parte sostanziale determinante<br />

e più nobile che dà tutto il <strong>senso</strong> e il valore propriamente umano,<br />

e dunque, morale, alle espressioni esterne. <strong>Il</strong> culto consiste dunque<br />

essenzialmente e principalmente in quegli atti e disposizioni d'animo,<br />

principalmente <strong>della</strong> volontà, in cui, riferendosi direttamente<br />

a Dio, l'uomo riconosce l'eccellenza divina e protesta a Lui la sua<br />

inferiorità e sudditanza. Senza quest'animo interno, qualsiasi<br />

espressione esterna di culto non è che vuota comparsa, perché a<br />

questa facciata di esteriorità mancherebbe lo spirito vivificante.<br />

Pur tuttavia l'uomo, non essendo un puro spirito, ma un composto<br />

d'anima e di corpo e un essere sociale, è non solo connaturale<br />

e spontaneo, ma anche doveroso, ossia realmente debito a Dio, che<br />

il suo culto interno, a tempo e con misura debita, si esprima anche<br />

esternamente. Questo per tre motivi: primo, perché è l'uomo intero,<br />

nella sua unione sostanziale d'anima e di corpo, che deve onorare<br />

Dio, riconoscendo, come lo comporta la sua integra natura compósta,<br />

l'eccellenza divina e protestando in ugual modo a Di


148 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

l'uomo è essere sociale e anche come tale, dunque in società, deve<br />

rendere a Dio il culto che è a Lui debito; ma senza l'esteriorizzazione<br />

del culto non c'è culto sociale.<br />

La struttura connaturale del culto come risposta dell'uomo a<br />

Dio, fatta d'animo interno che si concretizza anche esteriormente,<br />

corrisponde quindi perfettamente alla connaturale struttura <strong>della</strong><br />

santificazione come discesa di Dio nell'uomo fatta di vita divina comunicata<br />

all'uomo attraverso cose anche materiali e sensibili. È sempre<br />

la legge dell'incarnazione che presiede all'incontro tra l'uomo e Dio.<br />

Nel culto interiore a Dio non si può mai peccare per eccesso,<br />

che anzi, in questo, tutto quello che l'uomo farà sarà sempre inferiore<br />

a quello che egli sarebbe in debito di fare verso Dio come<br />

suo sommo creatore, governatore e fine. Infatti, l'eccellenza di Dio,<br />

a cui nel culto si rende omaggio, eccede ogni misura, e dunque la<br />

creatura non potrà mai onorarla tanto quanto è degna di essere<br />

onorata.<br />

Gli atti esterni del culto sono invece regolati dalla prudenza.<br />

Vuol dire che, in questi, si può peccare non solo per difetto, ma<br />

anche per eccesso o per imponderatezza nelle circostanze di modo,<br />

di quantità, di tempo. Però nel culto pubblico soprannaturale regolato<br />

dalla Chiesa, non si può peccare per eccesso nell'osservanza<br />

degli atti anche esterni che la Chiesa impone come obbligatori.<br />

Invece riguardo agli atti esterni di culto approvati dalla Chiesa,<br />

ma non imposti come obbligatori, in ognuno deve intervenire la<br />

prudenza per osservare la giusta misura secondo le circostanze di<br />

persone, di luogo e di tempo. Questa osservazione ha non piccola<br />

importanza nelle questioni dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e spiritualità, <strong>liturgia</strong><br />

e pastorale.<br />

Considerando l'uomo come essere sociale, il suo culto si divide<br />

in culto privato e in culto pubblico. <strong>Il</strong> culto privato può essere<br />

o solo interno o interno ed esterno nello stesso tempo. Non vi<br />

è vero culto che sia solo esterno. Quello pubblico è nello stesso<br />

tempo interno ed esterno, dato che l'uomo non comunica con gli<br />

altri uomini x ché attraverso l'esterno. <strong>Il</strong> culto pubblico ufficiale è<br />

quello reso\ dalla società come tale, ossia dagli uomini in quanto<br />

corpo sociale strutturato in gerarchia. Ma gli uomini sono corpo<br />

sociale formalmente in quanto i singoli individui dipendono, in<br />

quello che riguarda il fine <strong>della</strong> società, dall'autorità che li informa,<br />

li dirige, li rappresenta ed agisce a loro nome. Così il culto pubblico<br />

ufficiale è solo quello che è riconosciuto dalla legittima autorità<br />

come culto <strong>della</strong> società, ordinato e reso da essa, come forma e<br />

rappresentante di tutto il corpo sociale.<br />

La legittimità, anzi la necessità, di un culto pubblico per l'uomo<br />

in genere, deriva dalla sua natura sociale, per cui egli non nasce,<br />

non sussiste, non si sviluppa e non raggiunge la sua perfezione,<br />

sotto qualsiasi aspetto, se non in società come membro di un<br />

corpo strutturato da un'autorità. Dunque, in qualche modo, anche<br />

come essere sociale e membro di un corpo socialmente strutturato,


CARATTERI SACRAMENTALI E CULTO 149<br />

l'uomo deve rendere il suo culto a Dio; ciò che implica la necessità<br />

che in questo culto intervenga la società come tale gerarchicamente<br />

strutturata attraverso la sua autorità legittima.<br />

<strong>Il</strong> grado poi e il modo concreto specifico di socialità del culto<br />

cristiano, dipende inoltre dal libero volere positivo di Dio, il quale<br />

ha deciso di non comunicare con gli uomini che in Cristo e in quella<br />

società che è la Chiesa coi suoi determinati mezzi di santificazione<br />

e con i suoi determinati poteri gerarchici di governo e di dottrina.<br />

Questo ultimo pensiero sarà ulteriormente spiegato in un prossimo<br />

capitolo.<br />

Da tutte le precedenti divisioni del culto, si vede che la <strong>liturgia</strong><br />

cattolica come culto è il culto religioso, soprannaturale, cristiano,<br />

principalmente interno, ma anche essenzialmente esterno, pubblico<br />

e ufficiale <strong>della</strong> Chiesa.<br />

4. I CARATTERI SACRAMENTALI E IL CULTO CRISTIANO<br />

Una delle maggiori caratteristiche <strong>della</strong> spiegazione teologica<br />

dei sacramenti proposta da S. Tommaso, è l'intima connessione<br />

che egli stabilisce tra sacramenti e culto cristiano. Sebbene non<br />

si possa dire che, in questo campo, le spiegazioni di S. Tommaso<br />

debbano ritenersi come dogma di fede, e nemmeno come unica<br />

spiegazione possibile, specialmente in tutti i suoi particolari, pur<br />

tuttavia, nel suo insieme, è una spiegazione dei dati <strong>della</strong> rivelazione,<br />

non solo molto soddisfacente, ma anche d'incontestabile<br />

grandiosità. Anzi, per quanto concerne, in specie, la relazione tra<br />

carattere battesimale e culto cristiano, è accettata generalmente<br />

dai teologi ed anche riportata dal concilio vaticano II ". Ne proporrò<br />

dunque un riassunto, a cui farò seguire alcune annotazioni d'interesse<br />

liturgico.<br />

Come è noto, per S. Tommaso, il fine proprio dei sacramenti<br />

cristiani è doppio: santificare l'uomo mondandolo dal peccato e<br />

abilitarlo al culto cristiano : « La grazia sacramentale è ordinata<br />

principalmente a due fini, cioè: per togliere i difetti dei peccati<br />

passati, in quanto passano quanto all'atto, ma rimangono quanto<br />

al reato; e secondo, per abilitare l'anima riguardo al culto di Dio<br />

secondo la religione <strong>della</strong> vita cristiana » 2S . Riguardo al culto come<br />

fine specifico dei sacramenti cristiani, si noti che, per mezzo dei<br />

sacramenti, si tratta di abilitare il fedele non già a un culto qualsiasi<br />

di Dio, ma al culto specificamente cristiano. Sappiamo che il culto<br />

cristiano è il culto che Cristo rese a Dio nella sua vita mortale,<br />

principalmente sul Golgota, e che ora sempre continua. Sappiamo<br />

pure che, per S. Tommaso, sebbene tutti i sacramenti abilitino al<br />

« Const. De Ecclesia, art. 11. Vedi anche MD nn. 87 e 103, nonché CL art. 14.<br />

2 » Summa III q 62 a 5 e.


150 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

culto cristiano di Dio, anzi ogni sacramento ricevuto sia già esercizio<br />

del culto cristiano, tuttavia non tutti i sacramenti sono allo<br />

stesso modo o in ugual misura diretti al culto.<br />

S. Tommaso connette in modo specialissimo il battesimo, la<br />

cresima e l'ordine con l'aspetto cultuale dei sacramenti, e questo<br />

a causa del carattere indelebile che questi tre sacramenti, e solo<br />

essi, imprimono a colui che li riceve. <strong>Il</strong> rapporto speciale tra questi<br />

tre sacramenti e il culto divino sta in questo, che il fine proprio<br />

dèi carattere indelebile è appunto di abilitare direttamente al culto<br />

cristiano. <strong>Il</strong> carattere del battesimo e <strong>della</strong> cresima 2B , per S. Tommaso,<br />

abilitano direttamente al culto divino cristiano in quanto<br />

questo culto consiste nel partecipare attivamente agli altri sacramenti<br />

ed anzitutto all'eucaristia; nel riceverli, ma non in modo<br />

puramente passivo. <strong>Il</strong> carattere dell'ordine abilita, invece, al culto<br />

cristiano in quanto abilita a dare i sacramenti agli altri 30 .<br />

<strong>Il</strong> culto cristiano non è altro, come spesso si è ripetuto, che<br />

il culto stesso di Cristo a Dio, che Egli iniziò nella sua vita terrena,<br />

principalmente sul Golgota, e che ora sempre continua quale sommo<br />

sacerdote, mediatore tra Dio e gli uomini e capo del suo corpo<br />

mistico che è la Chiesa. <strong>Il</strong> carattere sacramentale che deputa appunto<br />

al culto cristiano, non può, dunque, fare altro che abilitare<br />

l'uomo a partecipare al culto che Cristo, quale capo <strong>della</strong> Chiesa,<br />

suo corpo mistico, rende a Dio. Ogni carattere sacramentale è<br />

quindi una partecipazione al sacerdozio di Cristo.<br />

« <strong>Il</strong> carattere, propriamente parlando, dice S. Tommaso, è un<br />

certo marchio (signaculum). con cui si marchia una cosa in quanto<br />

ordinata a qualche determinato fine; così si marchia il danaro<br />

per l'uso dei consumi e i soldati sono segnati di marchio come<br />

deputati alla milizia. Ora il fedele è deputato a due cose: anzitutto<br />

e principalmente alla fruizione <strong>della</strong> gloria; e a questo fine è<br />

segnato col marchio <strong>della</strong> grazia... Poi il fedele è deputato a ricevere<br />

o a dare ad altri cose che riguardano il culto divino. A questo fine,<br />

propriamente, mira il carattere sacramentale. Ora tutto il rito <strong>della</strong><br />

religione cristiana deriva dal sacerdozio di Cristo. È quindi chiaro<br />

che il carattere sacramentale è, in modo speciale, il carattere di<br />

Cristo, al cui sacerdozio i fedeli vengono configurati secondo i ca-<br />

29 Per il battesimo non c'è difficoltà; anzi la cosa è fortemente accentuata<br />

dalla prassi liturgica: solo i battezzati possono ricevere i sacramenti, e, anticamente,<br />

solo i battezzati potevano assistere al sacrificio. Per la cresima una certa<br />

difficoltà sussiste per il modo in cui, comunemente, oggi la si concepisce (così<br />

anche in S. Tommaso che la dice ordinata all'eucarestia: « Ut homo non vereatur<br />

se subtrahere a tali sacramento », Summa III q 65 a 3. Nello stesso S. Tommaso<br />

ci sono esitazioni intorno alla finalità propria del carattere <strong>della</strong> cresima<br />

(Cfr. Summa III q 72 a 5). Nell'uso antico, invece, questa difficoltà sembra non<br />

esserci: poiché, in quest'uso, la cresima era sempre ricevuta dopo il battesimo<br />

e prima <strong>della</strong> comunione (per es., nella notte del sabato santo. Vedi anche l'uso<br />

sempre persistente presso i greci, anche per i bambini). Così nell'antichità la<br />

cresima appariva veramente una parte essenziale dell'iniziazione e dunque dell'abilitazione<br />

cristiana al culto divino dell'eucaristia.<br />

30 Cfr. Summa III q 63 a 6.


CARATTERI SACRAMENTALI 151<br />

ratteri sacramentali, i quali non sono altro che certe partecipazioni<br />

al sacerdozio di Cristo, da Cristo stesso derivate » 31 . Per il carattere<br />

sacramentale che imprime nei fedeli partecipando loro il suo<br />

sacerdozio, Cristo esercita il proprio sacerdozio, come la causa principale<br />

esercita la sua azione per mezzo dello strumento e <strong>della</strong><br />

virtù strumentale che gli partecipa 32 .<br />

Per mezzo di qualsiasi sacramento l'uomo, in qualche modo,<br />

partecipa al sacerdozio di Cristo, almeno in quanto partecipa ai<br />

suoi effetti e, ricevendo i sacramenti, fa atto di culto a Dio. Ma<br />

nei tre sacramenti del battesimo, <strong>della</strong> cresima e dell'ordine, questa<br />

partecipazione è molto più intima e profonda, appunto per mezzo<br />

del carattere che imprimono, perché per esso, in questi tre sacramenti,<br />

si riceve una deputazione a fare o a ricevere attivamente<br />

qualcosa che è proprio al sacerdozio di Cristo ".<br />

<strong>Il</strong> carattere è così una certa consacrazione oggettiva in quanto<br />

separazione dall'uso profano e riserva all'uso del culto divino. « Per<br />

tutti i sacramenti: l'uomo viene santificato, in quanto la santificazione<br />

importa la purificazione dal peccato che si fa per la grazia.<br />

Ma in modo speciale per alcuni sacramenti che imprimono il carattere,<br />

l'uomo è santificato per una certa consacrazione, in quanto<br />

viene deputato al culto divino; come anche degli oggetti diciamo<br />

che vengono santificati in quanto vengono deputati al culto divino<br />

» 34 . S. Tommaso pensa che il carattere risieda nelle potenze<br />

dell'anima e più precisamente nella potenza conoscitiva 35 .<br />

Da tutto questo S. Tommaso deriva la spiegazione dell'indelebilità<br />

del carattere sacramentale. Infatti, il soggetto in cui risiede<br />

(l'anima, l'intelletto) è per sé indelebile e perpetuo, a meno che<br />

Dio non voglia annientarlo; e il sacerdozio di Cristo, di cui il carattere<br />

è una partecipazione, è eterno; dunque ciò che viene consacrato<br />

per una partecipazione a questo sacerdozio, rimane sempre<br />

consacrato, a meno che non venga distrutto 30 . « Sebbene dopo<br />

questa vita non rimanga il culto esteriore rimane però il fine di<br />

quel culto. Per cui anche dopo questa vita rimane il carattere,<br />

nei buoni per loro gloria, nei malvagi a loro ignominia; come anche<br />

il sigillo militare rimane nei soldati dopo la vittoria, in quelli che<br />

vinsero a loro gloria, in quelli che furono vinti a loro pena » 37 .<br />

S. Tommaso riesce dunque, a proposito del carattere sacramentale,<br />

a proporre una grandiosa prospettiva sintetica. Anzitutto,<br />

tutta l'economia sacramentale vi appare ordinata, come al suo fine<br />

specifico, in primo luogo ed essenzialmente al culto cristiano di<br />

Dio, come prolungamento in noi del culto di Cristo a Dio. L'altro<br />

fine essenziale dei sacramenti, la santificazione dell'uomo, vi appare<br />

31 Summa IH q 63 a 3 e.<br />

32 Cfr. Summa III q 63 a 5 ad 1 e ad 2.<br />

33 Cfr. Summa IH q 63 a 6 ad 1.<br />

34 Ibid. ad 2.<br />

35 Vedi Summa IH q 63 a 4 e ad 2 e ad 3.<br />

38 Cfr. Summa III q 63 a 5.<br />

37 Summa IH q 63 a 5 ad 3.


152 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

ordinato esso stesso al culto. Questo fatto deve essere ben notato:<br />

la santificazione dell'uomo è ordinata all'adorazione, alla gloria,<br />

da dare a Dio nel culto cristiano, e non viceversa. I due fini inscindibili<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>: santificazione e culto, non sono scopi paralleli<br />

o indipendenti, ma subordinati : la santificazione è in vista del culto.<br />

È evidente che tutta l'economia sacramentale, anzi tutta la<br />

<strong>liturgia</strong>, ne ricava un colore fortemente teocentrico: nell'interno<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> tutto è ordinato all'omaggio da dare a Dio, anche<br />

la santificazione dell'uomo. A più forte ragione dovrà considerarsi<br />

come strettamente subordinato al fine dell'adorazione e del culto<br />

quello che nella <strong>liturgia</strong> ha per scopo immediato di ammonire e<br />

istruire, come letture, prediche, eventuali spiegazioni. <strong>Il</strong> fine didattico<br />

e moralizzatore <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è subordinato al fine cultico.<br />

È per questo che in essa l'aspetto didattico ed esortativo deve<br />

essere regolato in modo tale che non si perda mai di vista il fine<br />

preciso cui è immediatamente ordinato. Se si pensa poi che i sacramenti<br />

e, con più forte ragione, la <strong>liturgia</strong> d'istituzione ecclesiastica,<br />

sono ordinati all'eucaristia, come insegna S. Tommaso 38 e anche<br />

noi dovremo chiarire in seguito, si capisce come tutta l'opera di<br />

santificazione, e a fortiori tutta l'opera di dottrina e di governo<br />

nella Chiesa, sia ordinata al culto cristiano di Dio nel sacrificio<br />

<strong>della</strong> messa. S'intravvede così, ancora una volta, come tutto nella<br />

<strong>liturgia</strong> e nella vita cristiana, teocentricamente concepita e vissuta,<br />

abbia per centro e sole il sacrificio <strong>della</strong> messa.<br />

Inoltre, mediante questa dottrina dei caratteri sacramentali,<br />

l'intero sistema di santificazione dell'uomo e di culto a Dio appare<br />

incentrato sul sacerdozio di Cristo e sul culto che Cristo rende<br />

a Dio e quindi sulla sua partecipazione ed estensione attuale a tutta<br />

la Chiesa: anzitutto e in modo singolare alla gerarchia mediante<br />

il carattere dell'ordine, ma poi, in modo bensì diverso, ma realissimo,<br />

anche a ogni fedele, per mezzo del carattere del battesimo<br />

e <strong>della</strong> cresima. <strong>Il</strong> culto <strong>della</strong> Chiesa è il culto di Cristo, capo <strong>della</strong><br />

Chiesa, che partecipa il suo culto a tutto il corpo; il sacerdozio<br />

<strong>della</strong> Chiesa è il sacerdozio di Cristo, capo <strong>della</strong> Chiesa, che partecipa<br />

il suo sacerdozio a tutto il corpo?<br />

Di qui si scorge il carattere proprio del culto cristiano, come<br />

prolungamento e partecipazione del culto di Cristo a Dio, che non<br />

ha nessun riscontro possibile in quello che uomo ha mai potuto<br />

pensare o realizzare. Qui si vede quanto la sola filosofia, o. la semplice<br />

storia delle religioni, o la nuda psicologia religiosa, siano<br />

ben lontane da potere sia pur sospettare simili profondità, e quanto<br />

sia superficiale l'aspetto che queste scienze, al solo lume <strong>della</strong><br />

propria lanterna, possono cogliere nel culto cristiano 39 .<br />

3 » Summa III q 65 a 3.<br />

38 È per questo che il teologo cattolico, pur ammirando in alcuni casi un<br />

gran numero di interessanti osservazioni fenomenologiche di psicologia religiosa,<br />

non può non notare quanto siano vuote le opere di acattolici che parlano del<br />

culto cristiano; essi non possono cogliere che la scorza di questa realtà. Così


QUESTIONE DEL SACERDOZIO GENERALE 153<br />

Si comprende pure come solo chi è segnato col carattere del<br />

battesimo abbia un culto cristiano e possa partecipare alla <strong>liturgia</strong>,<br />

principalmente al sacrificio <strong>della</strong> messa. Così si spiega la disciplina<br />

antica che non vi ammetteva i non battezzati nemmeno come semplici<br />

assistenti.<br />

5. IL SACERDOZIO CRISTIANO<br />

E IL SACERDOZIO DI TUTTI I FEDELI<br />

Dalla dottrina del carattere sacramentale, come « carattere<br />

di Cristo, al cui sacerdozio i fedeli sono configurati secondo i caratteri<br />

sacramentali, i quali non sono altro che certe partecipazioni<br />

al sacerdozio di Cristo, da Cristo stesso derivate » 40 , prende, finalmente,<br />

il suo giusto significato, senza esorbitazioni, ma anche senza<br />

ingiuste menomazioni, il concetto del sacerdozio universale di tutti<br />

i fedeli e quindi <strong>della</strong> loro partecipazione attiva all'azione liturgica,<br />

principalmente alla messa.<br />

La questione<br />

Da alcuni decenni a questa parte, la questione del sacerdozio<br />

universale di tutti i fedeli richiama nuovamente l'attenzione dei<br />

teologi, i quali si sono dati a ristudiarla nella Scrittura, nella tradizione<br />

patristica, liturgica, teologica e nei suoi aspetti teorici 41 .<br />

Due cause li spingono in questo <strong>senso</strong>: il rinnovato <strong>senso</strong> liturgico,<br />

col conseguente desiderio di chiarire meglio dal punto di vista<br />

teorico e di valorizzare meglio praticamente la parte attiva dei<br />

fedeli nell'azione liturgica, e le riflessioni più accurate intorno alla<br />

parte dei laici nella Chiesa.<br />

C'è anzitutto un fatto, dal punto di vista <strong>teologico</strong>, da cui deve<br />

partire ogni considerazione in questa materia: e cioè che la Scrittura,<br />

la tradizione liturgica, quella patristica, nonché quella dei<br />

teologi medievali e moderni, parlando di tutti i fedeli, attribuiscono<br />

loro la qualità di sacerdote e parlano di sacrificio a proposito di<br />

quello che essi offrono, per un numero grandissimo di situazioni<br />

e di azioni. Così si parla di sacerdozio e di sacrificio di tutti i fedeli<br />

per es., W. James, Pettazzoni, Yung, Otto. L'osservazione vale ancora più per<br />

le opere dei modernisti tipo Tyrell e Buonaiuti.<br />

40 S. TOMMASO, Summa III q 63 a 3 e.<br />

41 Lo studio più recente, e, dal punto di vista teorico, migliore, è, mi pare,<br />

Y. CONGAB, Jalons pour une théologie du laìcàt, Paris 1953 pp. 159-366. Vedi anche<br />

A. PIOLANTI, II sacerdozio dei fedeli, in: Enciclopedia del sacerdozio, ed. Fiorentina<br />

1953 pp. 715-31, con abbondante bibliografia. Tra gli altri studi, notare:<br />

P. DABIN, Le sacerdoce royal des fìdèles dans la tradition ancienne et moderne,<br />

Bruxelles-Paris 1950. P. J. LÉCUYER, Essai sur le sacerdoce des fìdèles chez les<br />

Pères, in: La maison Dieu n. 27 (1951-53) pp. 7-50.


154 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

a proposito <strong>della</strong> loro preghiera, principalmente di lode; delle loro<br />

mortificazioni; <strong>della</strong> verginità e <strong>della</strong> vita monastica e religiosa<br />

in genere; del martirio; del compimento dei doveri del proprio<br />

stato; del ministero apostolico; dell'insegnamento <strong>della</strong> dottrina;<br />

<strong>della</strong> partecipazione di tutti i fedeli al sacrificio eucaristico; del<br />

fatto che i coniugi amministrano a se stessi il sacramento del<br />

matrimonio; <strong>della</strong> vita dei padri e delle madri di famiglia; dell'amministrazione<br />

di alcuni sacramentali; dell'azione cattolica. In tutto<br />

circa tredici casi diversi. Oltre a questo, ci sono molte affermazioni<br />

esplicite generali sull'esistenza di un sacerdozio particolare<br />

che compete a tutti i fedeli.<br />

Questi aspetti non si sono esplicitati ad un tratto e tutti assieme<br />

nella storia <strong>della</strong> teologia, ma successivamente. <strong>Il</strong> quadro generale<br />

dello sviluppo storico dei diversi punti è, press'a poco, il<br />

seguente: nella Scrittura si trovano già esplicitati: 1. anzitutto<br />

l'affermazione generale del sacerdozio di tutti i cristiani : 1 Pt 2,4-10;<br />

Ap 1,5-6; 5,9-10; 20,6. A questi testi che usano la parola stessa di<br />

sacerdozio a proposito di tutti i fedeli, vanno aggiunti: 2. i testi<br />

in cui si dice che ora, in Cristo, ci avviciniamo (proserchomai) a<br />

Dio: Eb 4,14-16; 7,19; 10,19-22; oppure che in Cristo accediamo<br />

(prosago) o abbiamo accesso (prosagoge) a Dio: Ef 2,18-22; (cfr.<br />

anche Ef 3,12; Rm 5,2; 1 Pt 3,18). Questo tema di avvicinare ed<br />

avere accesso ha, indiscutibilmente, un valore cultico sacerdotale 42 :<br />

ci si avvicina a Dio per fare un atto cultico; chi si avvicina ed ha<br />

accesso a Lui sono massimamente i sacerdoti (vedi nei Settanta:<br />

Nm 18,2-7; £5 29,10; Lv 4,14; 7,6; Ger 7,16; vedi anche 1 Clem 31,3; Ad<br />

Diog 3,2). 3. In terzo luogo c'è il concetto esplicito che i fedeli<br />

offrono culto e sacrificio a Dio: FU 3,3 (culto in genere); FU 4,18<br />

(sacrificio come soccorso finanziario ai missionari); Rm 12,1 (sacrificio<br />

dei propri corpi; vedi anche FU 2,17; 2 Tm 4,6); Eb 13,15-16<br />

(sacrificio di lode e di carità verso il prossimo); Rm 15,16 (S. Paolo<br />

offre in sacrificio i gentili come frutto del proprio apostolato).<br />

La tradizione patristica 43 , oltre ai punti già espressi direttamente<br />

nella Scrittura, esplicito specialmente i concetti del sacrificio,<br />

del sacerdozio, del martirio e <strong>della</strong> verginità; si trovano anche i<br />

concetti del sacrificio e del sacerdozio <strong>della</strong> predicazione e del padre<br />

e <strong>della</strong> madre di famiglia 44 .<br />

<strong>Il</strong> medioevo chiarì specialmente il concetto del sacerdozio<br />

e del sacrificio eucaristico anche del laico, con esplicito riferimento<br />

ai caratteri sacramentali del battesimo e <strong>della</strong> cresima; mentre i<br />

concetti di sacrificio e sacerdozio universale nell'amministrazione<br />

del matrimonio, nell'uso dei sacramentali e nell'apostolato dell'azione<br />

cattolica sono idee messe in rilievo dalla teologia moderna.<br />

42 Vedi K. L. SCHMIDT, Prosago, prosagoge, in: Theol. Wort. zum NT I<br />

131-34. J. SCHNEIDER, proserchomai, ibid. II 680-82.<br />

43 Per questa vedi specialmente le opere del Dabin e del Lécuyer sopra citate.<br />

44 Vedi, per es., i testi di Giustino, Ireneo, Origene, Giovanni Crisostomo,<br />

Leone Magno citati da PIOLANTI 1. e. p. 717 s.


IL CONCETTO DI SACERDOZIO 155<br />

La questione che si pone per il teologo a proposito di questo<br />

linguaggio <strong>della</strong> Scrittura, <strong>della</strong> tradizione patristica e teologica è<br />

la seguente: come ordinare questi dati in un sistema spiegativo<br />

unitario sul sacerdozio comune a tutti i fedeli? Quale sarà il principio<br />

di spiegazione teologica di questa materia? I saggi in proposito<br />

sono stati molti e molto divergenti.<br />

Non parliamo degli sviamenti nettamente eretici in questo<br />

campo che, da Tertulliano montanista a Lutero, tolgono esplicitamente<br />

qualsiasi distinzione essenziale tra il sacerdozio gerarchico<br />

e quello comune a tutti i fedeli 45 . Tra i cattolici stessi si va dalla<br />

posizione minimista che interpreta la parola sacerdozio detta di<br />

tutti i fedeli rispetto al sacerdozio gerarchico in <strong>senso</strong> puramente<br />

metaforico, anzi in <strong>senso</strong> equivoco 48 , alle posizioni diametralmente<br />

opposte che esaltano talmente la realtà del sacerdozio comune a<br />

tutti i fedeli da far temere una tendenza latente che non salvi<br />

abbastanza la sua distinzione essenziale dal sacerdozio gerarchico;<br />

perciò anche il magistero recente ha ribadito tale distinzione essenziale<br />

".<br />

Saggio di sistemazione del concetto di sacerdozio cristiano<br />

Tenendo conto delle osservazioni fatte recentemente dai teologi<br />

in questo campo, suggerisco il seguente specchietto riassuntivo<br />

intorno al concetto del sacerdozio di Cristo e <strong>della</strong> sua partecipazione<br />

ai cristiani. Scopo di questo specchietto è di chiarire il<br />

concetto di sacerdozio generale dei fedeli secondo le diverse accezioni<br />

affermate dalla Scrittura e dalla tradizione inquadrandolo nel<br />

concetto generale del sacerdozio cristiano e mostrandone il rapporto<br />

al sacerdozio di Cristo ed al sacerdozio gerarchico.<br />

SACERDOZIO DI CRISTO<br />

in se stesso;<br />

partecipato ai cristiani :<br />

I. Mediante il carattere dell'ordine (= sacerdozio gerarchico):<br />

A. per compiere in persona Christi, il sacrificio eucaristico in se stesso;<br />

B. per compierlo nei suoi presupposti e conseguenze,<br />

" 1. presso i fedeli.<br />

a. Nei presupposti e conseguenze di natura liturgica:<br />

— amministrazione degli altri sacramenti;<br />

— istituzione e messa in opera dei sacramentali, cerimonie, preghiere<br />

e lode divina.<br />

45 L'errore protestante fu condannato a Trento, vedi Dz nn. 1767-78 (960-68).<br />

4 6 Così, praticamente B. CAPELLE e il periodico: Les questions liturgiques<br />

et paroissiales, in numerosi articoli e recensioni.<br />

47 Vedi Concilio Vat. <strong>Il</strong>, Const. De Ecclesia, art 10; MD nn. 81-83.


156 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

b. Nei presupposti e conseguenze di natura extraliturgica:<br />

— governo <strong>della</strong> Chiesa;<br />

— insegnamento <strong>della</strong> dottrina.<br />

2. Presso i non fedeli: apostolato missionario. s<br />

II. Mediante il carattere del battesimo e <strong>della</strong> cresima (= sacerdozio comune<br />

a tutti i fedeli) N<br />

A. per partecipare attivamente al sacrificio eucaristico e fanlo suo in se stesso;<br />

B. per parteciparvi attivamente e farlo suo nei suoi presupposti e conseguenze<br />

:<br />

1. Nei suoi presupposti e conseguenze di natura liturgica.<br />

a. Di natura liturgica sacramentale:<br />

— per ricevere la penitenza, l'unzione dei malati, l'ordine;<br />

— per amministrarsi e vivere il matrimonio cristiano.<br />

b. Di natura liturgica non sacramentale:<br />

— per ricevere i sacramentali e anche per amministrarne alcuni;<br />

— per partecipare alla lode divina liturgica.<br />

2. N^i suoi presupposti e conseguenze di natura extraliturgica:<br />

a. Santità di vita:<br />

— mortificazioni;<br />

— verginità e vita religiosa;<br />

— doveri del proprio stato;<br />

— esercizio <strong>della</strong> carità verso il prossimo;<br />

— preghiera privata.<br />

b. Apostolato, in specie nell'azione cattolica.<br />

e. Confessione <strong>della</strong> propria fede fino al martirio, se occorre.<br />

Una serie di annotazioni servirà a spiegare il <strong>senso</strong> dello specchietto.<br />

Sul concetto di sacerdozio. — La prima questione che, tra i<br />

teologi, dà origine a diversi pareri intorno al concetto del sacerdozio<br />

comune di tutti i fedeli, è il concetto stesso di sacerdozio<br />

in genere. Ed anzitutto: la mediazione entra in modo essenziale<br />

nel concetto di sacerdozio? In modo tale, cioè, che, venendo eventualmente<br />

a mancare la mediazione viene, per il fatto stesso, a<br />

mancare il sacerdozio? Se così fosse, il « sacerdozio » comune a<br />

tutti i fedeli, non avrebbe analogia, nemmeno metaforica, col sacerdozio<br />

di Cristo e <strong>della</strong> gerarchia, perché nel « sacerdozio » dei semplici<br />

fedeli manca la mediazione " 8 . In tale caso, parlare di « sacerdozio »<br />

generale accanto al « sacerdozio » di Cristo e <strong>della</strong> gerarchia, o anche<br />

dell'Antico Testamento, sarebbe usare un'espressione equivoca.<br />

Ora, già la Scrittura, quando parla del « sacerdozio » di tutti<br />

i fedeli, intende certamente rilevare un'analogia tra il sacerdozio<br />

dei fedeli e il sacerdozio dell'Antico Testamento. Questa analogia<br />

48 Eccettuato, forse, ancora nel caso che il semplice fedele, con le sue preghiere<br />

di lode e di intercessione, fa da « mediatore » tra Dio e gli altri uomini<br />

e la natura infraumana. Ma, appunto, per quanto mi consta, di tale «sacerdozio<br />

» la Scrittura non parla né credo, la tradizione, almeno in modo notevole.<br />

La Const. De Ecclesia del Concilio Vaticano II ha degli spunti in questo <strong>senso</strong><br />

(art. 31; 34; 36) : in connessione all'idea <strong>della</strong> consecratio mundi; ma non li<br />

sviluppa.<br />

;


CONCETTO DI SACRIFICIO 157<br />

consiste nell'offerta di vittime (thysia) e dunque di sacrificio 49 :<br />

« Anche voi, quali pietre vive, siete costruiti come edificio spirituale<br />

(pneumatikós) in vista di un sacerdozio santo, per offrire<br />

vittime spirituali (pneumatikàs thysias) bene accette a Dio per<br />

mezzo di Gesù Cristo» {\Pt 2,5). <strong>Il</strong> sacerdozio dei fedeli è dunque<br />

posto in relazione con l'offerta delle vittime. <strong>Il</strong> tertium comparationis<br />

tra il sacerdozio dell'Antico Testamento e il sacerdozio universale<br />

di tutti i fedeli non è altro che l'offerta di un sacrificio: i<br />

fedeli del nuovo Testamento sono ora tutti sacerdoti, analogamente<br />

ai sacerdoti dell'Antico Testamento, perché anche i fedeli del Nuovo<br />

Testamento offrono vittime 50 . <strong>Il</strong> sacerdozio universale di tutti i<br />

fedeli è dunque definito in rapporto all'offerta di vittime in sacrificio.<br />

Sul concetto di sacrificio. — Ma qual è la nozione precisa di<br />

sacrificio che bisogna adottare? Si sa che anche questa questione<br />

è molto discussa tra i teologi. Senza entrare nei particolari <strong>della</strong><br />

discussione, propongo la seguente nozione: sacrificio, in <strong>senso</strong> larghissimo,<br />

è l'atto interno di mettere a disposizione completa, fino<br />

alla distruzione totale se occorre, una cosa, fatto a un'altra persona<br />

o altro soggetto, in riconoscimento <strong>della</strong> sua superiorità sulla cosa che<br />

tè si mette a disposizione. È così che si può parlare di sacrificare<br />

una somma a qualcosa o a qualcuno; di sacrificare la carriera<br />

o la propria riputazione a qualcosa o a qualcuno, e, specialmente,<br />

di sacrificare a qualcosa e a qualcuno una persona o una<br />

cosa viva, detta, appunto, come tale, vittima.<br />

<strong>Il</strong> concetto di sacrificio include così: 1. il concetto di oblazione:<br />

si offre, si mette a disposizione; 2. il concetto di distruzione,<br />

almeno potenziale, <strong>della</strong> cosa offerta; la quale distruzione,<br />

trattandosi del sacrificio di un essere vivo, o vittima, si chiama<br />

immolazione. Ma la distruzione accettata in anticipo dall'offerente,<br />

non deve necessariamente essere anche attuale; l'essenziale è che<br />

sia accettata in anticipo, se le circostanze lo richiederanno; 3. il<br />

concetto di riconoscimento <strong>della</strong> superiorità <strong>della</strong> cosa o <strong>della</strong><br />

persona a cui si sacrifica su quello che le viene sacrificato.<br />

Nel sacrificio religioso l'uomo mette a disposizione <strong>della</strong><br />

divinità se stesso o qualcosa fino alla sua distruzione, se occorre,<br />

per riconoscere il sovrano dominio <strong>della</strong> divinità sulle cose e su<br />

se stesso. Nel sacrificio religioso, fatto da chi ha un retto concetto<br />

delle divinità, la cosa offerta deve sempre includere in qualche<br />

modo la vita e l'intera persona dell'offerente, diversamente non<br />

vi sarebbe reale riconoscimento dell'effettivo dominio e superiorità<br />

<strong>della</strong> divinità, perché questo dominio si estende alla vita stessa<br />

49 Thysia, vittima, è termine sacrificale nell'Antico Testamento.<br />

50 Si noti che Eb 5,1 : « Ogni sommo sacerdote, infatti, che è assunto tra<br />

gli uomini, viene costituito a vantaggio degli uomini nei rapporti con Dio, perché<br />

offra doni e sacrifìci per i peccati », non vuol essere una definizione del sacerdozio<br />

in genere, ma parla del sommo sacerdozio aronitico.<br />

1


158 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

e all'intera personalità dell'uomo. Chi dall'atto sacrificale intendesse<br />

escludere il riconoscimento del dominio <strong>della</strong> divinità sulla propria<br />

vita e persona non compirebbe certo un sacrificio ma farebbe<br />

un'offesa alla divinità.<br />

Poiché il concetto di sacrificio religioso include necessariamente,<br />

come materia offerta, la persona totale, le altre cose non<br />

possono essere materia di sacrificio religioso che in quanto hanno<br />

un qualche rapporto alla persona, sia come simbolo (materia simbolica),<br />

sia come effetto e manifestazione <strong>della</strong> persona (come la<br />

salute, i divertimenti, l'onore, le gioie), sia come oggetti da lei posseduti<br />

(danaro, beni terreni). Si vede già, per questo verso, come<br />

il concetto di sacrifìcio religioso contenga un'analogia di attribuzione<br />

e si dica in primo luogo del sacrificio <strong>della</strong> persona e solo<br />

subordinatamente di altri sacrifici, in quanto hanno una qualche<br />

relazione alla persona come suo simbolo o manifestazione, o come<br />

oggetto da lei posseduto.<br />

Nella costituzione intrinseca del sacrificio si può distinguere<br />

qualcosa che ne è come la forma e qualcosa che ne è come la<br />

materia. La forma del sacrificio è l'animo interno, la volontà, l'intenzione<br />

di colui che facendo l'offerta sacrifica se stesso o un'altra<br />

cosa per riconoscere la superiorità e il dominio <strong>della</strong> persona o<br />

<strong>della</strong> cosa a cui sacrifica. La materia è la cosa stessa che viene<br />

offerta, messa a disposizione. Questa materia può distinguersi secondo<br />

il seguente specchietto:<br />

MATERIA DEL SACRIFICIO<br />

I. Materia reale: quella stessa che si mette a disposizione:<br />

1. Intrinseca alla persona dell'offerente:<br />

a) totale e primaria: la persona totale, la vita;<br />

b) parziale e secondaria: le manifestazioni più varie <strong>della</strong><br />

persona, <strong>della</strong> vita (come salute, lavoro, onore, ecc.).<br />

2. Estrinseca: qualsiasi bene estrinseco alla persona (come<br />

danaro e altri beni).<br />

II. Materia simbolica: non quella stessa che si mette a disposizione,<br />

ma un'altra che ne tiene il posto come simbolo (come<br />

un animale per simbolo <strong>della</strong> propria vita).<br />

<strong>Il</strong> sacrificio può rimanere puramente interno o anche esternarsi,<br />

sia imperfettamente (per esempio, con sole parole di adorazione,<br />

lode, ringraziamento, espiazione ecc.), sia perfettamente (azione<br />

sacrificale esterna propriamente detta).<br />

Si sa che i fini assoluti del sacrificio religioso sono l'adorazione,<br />

la lode, il ringraziamento; mentre l'espiazione è un fine ipotetico,<br />

che ha luogo, cioè, se ha preceduto un'offesa. Nel sacrificio la<br />

religione, e la devotio in specie, raggiungono il loro apice massimo.


SACERDOZIO DI CRISTO 159<br />

Sul sacerdozio di Cristo. — Cristo è essenzialmente capo e<br />

mediatore, perché tale costituito per la libera volontà di Dio, il<br />

quale fece solidale lui con noi e noi con lui. In Cristo il sacerdozio<br />

è dunque essenzialmente un sacerdozio di capo e di mediatore e<br />

il suo sacrificio è essenzialmente sacrificio di capo e di mediatore.<br />

Perciò, in Cristo, il sacrificio è formalmente l'atto e la disposizione<br />

<strong>della</strong> sua volontà per cui, come capo mediatore responsabile<br />

di tutta l'umanità, sin dal primo istante <strong>della</strong> sua esistenza,<br />

ha messo a disposizione di Dio la propria persona sino alla distruzione<br />

totale <strong>della</strong> sua vita, tale essendo la volontà del Padre, per<br />

riconoscere il sovrano assoluto dominio di Dio sopra se stesso e<br />

sopra tutta l'umanità 51 .<br />

<strong>Il</strong> sacrificio, e quindi il sacerdozio di Cristo, si estende a tutta<br />

la sua esistenza perché l'offrì sin dal primo istante. Tutti gli atti<br />

<strong>della</strong> sua vita furono sacrificali perché tutte le manifestazioni <strong>della</strong><br />

stessa furono da lui offerte al Padre come materia intrinseca, parziale<br />

e secondaria di sacrifìcio. Ma questo sacrificio era tale in riferimento<br />

al sacrificio <strong>della</strong> materia intrinseca totale e primaria, ossia<br />

<strong>della</strong> propria vita. Anche quest'ultimo sacrificio si iniziò sin dal<br />

primo istante dell'esistenza di Cristo, ma si compì solo sul Golgota,<br />

perché lì avvenne la distruzione effettiva <strong>della</strong> vita offerta, distruzione<br />

richiesta dal Padre. Così, in Cristo, tutti gli atti sacrificali, e<br />

quindi tutto il sacerdozio, si riferiscono al Golgota come all'atto<br />

sacrificale e sacerdotale a cui miravano gli altri e da cui derivavano.<br />

<strong>Il</strong> sacrificio dell'ultima cena era tale in riferimento al Golgota di<br />

cui era un'anticipazione sacramentale. <strong>Il</strong> sacrificio <strong>della</strong> messa è<br />

tale in riferimento al Golgota di cui è un'attualizzazione sacramentale<br />

incruenta. In che <strong>senso</strong> preciso? È questa, come si sa, una delle<br />

questioni più discusse tra i teologi. Si può dire, in breve, a mio parere,<br />

che la messa è un'attualizzazione sacramentale incruenta del<br />

sacrificio <strong>della</strong> croce perché rende presente in persona Cristo, ora<br />

glorioso, ma che patì e morì e si trova sempre neHa disposizione<br />

d'animo numericamente identica a quella che costituì formalmente<br />

il suo sacrificio <strong>della</strong> croce ed è diventata in Lui ormai eterna con<br />

il trapasso all'altra vita. Per questa disposizione Egli, in continuazione<br />

all'offerta di se stesso che fece sul Golgota, mette a totale<br />

disposizione di Dio (Padre per appropriazione) la propria vita per<br />

riconoscere il suo sovrano dominio su se stesso come uomo e su tutta<br />

l'umanità di cui è capo, accettando ciò che la volontà paterna ha<br />

voluto sin dall'eternità intorno all'eventuale distruzione effettiva<br />

di questa vita. Così il sacrificio <strong>della</strong> croce e il sacrificio che Cristo<br />

fa ora di se stesso nella messa sono in tutto lo stesso identico sacrificio<br />

per quanto riguarda l'aspetto formale (la disposizione d'animo<br />

permanente). In quanto all'aspetto materiale differiscono invece in<br />

un punto: perché l'offerta che Cristo fece <strong>della</strong> propria vita sulla<br />

croce ebbe lì effetto cruento, così avendo voluto il Padre, mentre<br />

51 Vedi, per esempio, un'efficace espressione di queste idee in C. SPICO,<br />

Épitre aux hébreux I 291-324; II 136 s; 303 s.


162 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

implica necessariamente l'unione e la dipendenza dal sacerdozio<br />

che Cristo esercita nella messa per mezzo del sacerdozio gerarchico.<br />

I fedeli, nella messa, in virtù del loro carattere battesimale,<br />

offrono un sacrificio di regime cristiano, e così esercitano un sacerdozio<br />

di regime cristiano, che, rispetto ai concetti sopra definiti,<br />

è tale non già equivocamente, né solo metaforicamente, ma<br />

realmente. Questo consiste propriamente nel fatto che offrono come<br />

loro proprio sacrificio, includendo dunque in esso l'offerta di se<br />

stessi fino alla distruzione <strong>della</strong> propria vita se così a Dio piacesse,<br />

il sacrificio che Cristo offre per mezzo del sacerdozio gerarchico.<br />

Sebbene solo i sacerdoti gerarchici siano strumenti di Cristo nell'operare<br />

la consacrazione delle specie eucaristiche, pur tuttavia<br />

chiunque, tra i fedeli muniti di carattere battesimale, può fare proprio<br />

quel sacrifìcio, offrendone la vittima, Cristo, insieme con il<br />

sacerdote gerarchico e per mezzo di lui 56 , anzi insieme con Cristo<br />

stesso e per mezzo di Lui, e (condizione essenziale al predetto scopo)<br />

includendovi l'offerta <strong>della</strong> propria vita.<br />

Tale esercizio di sacerdozio comune a tutti i fedeli differisce<br />

dall'esercizio del sacerdozio propriamente gerarchico nella messa,<br />

perché questo consiste strettamente e formalmente nell'essere e nell'essere<br />

esso solo, in virtù del carattere dell'ordine sacerdotale, lo<br />

strumento vivo per mezzo del quale Cristo compie incruentemente e<br />

offre il proprio sacrificio. L'atto sacerdotale proprio del sacerdozio<br />

gerarchico nella messa, non include come necessario, per la validità<br />

o realtà del compimento del sacrificio che Cristo fa sacramentalmente<br />

di se stesso, l'offerta <strong>della</strong> propria vita del sacerdote. Questa<br />

invece, unita all'offerta <strong>della</strong> vittima che è Cristo, diventa necessaria<br />

per il sacerdote gerarchico, come per qualsiasi altro fedele,<br />

perché egli possa fare anche personalmente proprio il sacrificio<br />

che Cristo compie di se stesso per il suo intermediario e possa così<br />

esercitare nella messa, oltre che al suo sacerdozio gerarchico, anche<br />

il sacerdozio che ha in comune con tutti i fedeli.<br />

« Che i fedeli, per le mani del sacerdote, offrano il sacrifìcio,<br />

spiega l'enciclica Mediator Dei, risulta con evidenza dal fatto che il<br />

ministro dell'altare rappresenta Cristo come capo che offre a nome<br />

di tutti i suoi membri. È per questo che giustamente si dice che<br />

la Chiesa intera presenta per mezzo di Cristo l'offerta <strong>della</strong> vittima.<br />

Se il popolo offre insieme con il sacerdote, non è che i membri <strong>della</strong><br />

Chiesa compiano il rito visibile nello stesso modo che il sacerdote<br />

stesso, ciò che spetta al solo ministro delegato da Dio a questo<br />

scopo, ma perché esso unisce i suoi voti di lode, d'impetrazione,<br />

d'espiazione e di ringraziamento, ai voti o intenzioni mentali del<br />

sacerdote ed anzi del Sommo Sacerdote, affine di presentarli a Dio<br />

nel rito esterno stesso del sacerdote che offre la vittima. Infatti<br />

il rito esteriore del sacrificio, per sua natura, deve necessariamente<br />

manifestare il culto interno. Ora il sacrificio <strong>della</strong> nuova legge<br />

'• CL art. 48.


SACERDOZIO DEI FEDELI 163<br />

significa l'omaggio sommo per il quale il principale offerente, Cristo,<br />

e con Lui e per Lui tutti i suoi membri mistici, rendono a Dio<br />

l'onore e il rispetto a Lui dovuti » ".<br />

<strong>Il</strong> fedele non fa suo il sacrificio <strong>della</strong> messa che in quanto,<br />

insieme con il sacerdote, offre se stesso, tutta la sua vita, in unione<br />

con Cristo e per mezzo di Cristo sul Golgota, perché solo la vita<br />

dell'offerente è materia reale intrinseca totale e primaria del sacrificio<br />

a Dio. <strong>Il</strong> resto non ha valore di sacrificio personale che in<br />

quanto include o manifesta la propria vita. Se il fedele nella messa<br />

escludesse completamente questa offerta totale di se stesso, non<br />

parteciperebbe in nessun modo alla messa, non farebbe in nessun<br />

modo di essa il suo sacrificio. Invece più questa offerta di se stesso<br />

è cosciente, reale, perfetta, più la sua partecipazione alla messa<br />

è reale e perfetta. « Affinché l'oblazione per mezzo <strong>della</strong> quale in<br />

questo sacrificio i fedeli offrono la vittima divina, ottenga il suo<br />

pieno effetto, dice ancora l'enciclica, bisogna che i cristiani aggiungano<br />

ancora qualcosa: bisogna che s'immolino essi stessi come<br />

vittime. Questa immolazione non si riduce solo al sacrificio liturgico...<br />

Quando siamo all'altare dobbiamo dunque trasformare l'anima<br />

nostra; tutto ciò che in essa è peccato deve essere completamente<br />

soffocato, mentre tutto ciò che per mezzo di Cristo genera<br />

in noi la vita soprannaturale deve essere restaurato e fortificato<br />

con vigore, di modo che diventiamo insieme con l'Ostia immacolata<br />

una sola vittima accetta all'eterno Padre... Nel sacramento dell'altare,<br />

infatti, secondo S. Agostino, si dimostra alla Chiesa che nel<br />

sacrificio che offre è offerta anch'essa. Che i fedeli considerino dunque<br />

a quale dignità li ha elevati il sacro lavacro del battesimo, e<br />

che non si accontentino di partecipare al sacrificio eucaristico con<br />

l'intenzione generale che si addice ai membri di Cristo e ai figli<br />

<strong>della</strong> Chiesa, ma che, secondo lo spirito <strong>della</strong> santa liturgìa, liberamente<br />

e intimamente uniti al Sommo Sacerdote e al suo ministro<br />

sulla terra, si uniscano a Lui in modo particolare al momento <strong>della</strong><br />

consacrazione dell'Ostia divina e l'offrano con lui quando sono pronunziate<br />

le solenni parole : « Per mezzo di Lui, con Lui, in Lui, è<br />

a te Dio, Padre onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni<br />

onore e gloria nei secoli dei secoli », parole a cui il popolo risponde<br />

: Amen. Che i cristiani non dimentichino, insieme con il loro Capo<br />

divino crocifisso, di offrire se stessi, le loro preoccupazioni, i loro<br />

dolori, le loro angosce, le loro miserie e i loro bisogni » 5S . Così<br />

tutta la vita <strong>della</strong> Chiesa, convergendo, come al suo centro, nella<br />

nozione di sacerdozio e di sacrificio, converge per il fatto stesso<br />

sulla messa e sul Golgota.<br />

« n. 92.<br />

" n. 97-103. Vedi anche CL art. 48.


164 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

* * *<br />

In conclusione, la spiegazione teologica proposta del sacerdozio<br />

di tutti i cristiani può essere riassunta nelle seguenti<br />

proposizioni :<br />

<strong>Il</strong> sacerdozio in genere si definisce come un potere di sacrificio.<br />

<strong>Il</strong> sacrificio religioso si definisce formalmente l'atto interno<br />

di mettere a disposizione completa di Dio, in riconoscimento del<br />

suo sommo dominio, la propria vita, fino alla sua distruzione totale<br />

effettiva, se così a Lui piace, sia realmente in se stessa, e ciò totalmente<br />

o nelle sue manifestazioni parziali, sia mediante un simbolo<br />

che ne fa le veci.<br />

<strong>Il</strong> sacrificio di Cristo è formalmente l'atto di volontà per cui<br />

Egli, come capo dell'umanità con cui Dio lo aveva fatto solidale,<br />

mise a totale disposizione di Dio la propria vita fino alla sua distruzione<br />

totale effettiva voluta dal Padre per riconoscere il suo sovrano<br />

dominio sull'umanità intera; questo sacrificio s'iniziò sin<br />

dal primo istante <strong>della</strong> sua vita e si compì sul Golgota.<br />

<strong>Il</strong> sacrifìcio e il sacerdozio tra i cristiani è la loro partecipazione<br />

al sacrificio e sacerdozio di Cristo sul Golgota attuato sacramentalmente<br />

e incruentemente nella messa.<br />

<strong>Il</strong> sacerdozio gerarchico tra i cristiani è un'abilitazione mediante<br />

il carattere dell'ordine a essere strumento per mezzo del<br />

quale Cristo attua sacramentalmente e incruentemente nella consacrazione<br />

<strong>della</strong> messa il suo sacrificio del Golgota. Gli altri atti<br />

sacerdotali specificamente gerarchici, liturgici o extraliturgici sono<br />

tali come preparazione o conseguenze di quello <strong>della</strong> messa.<br />

<strong>Il</strong> sacerdozio comune a tutti i fedeli cristiani è un'abilitazione<br />

mediante il carattere del battesimo e <strong>della</strong> cresima che permette<br />

ad ognuno di fare personalmente anche suo il sacrificio del Golgota<br />

che Cristo, mediante il solo sacerdote gerarchico, attua sacramentalmente<br />

nella messa, partecipando così al sacrificio e sacerdozio<br />

di Cristo, capo dell'umanità. Questa partecipazione attiva<br />

per cui ogni cristiano, in atto realmente e non solo metaforicamente<br />

sacerdotale, fa suo il sacrificio di Cristo, avviene quando egli, nella<br />

messa, unito con la volontà a Cristo in atto sacerdotale sacrificale,<br />

offre a Dio, Cristo stesso assieme alla propria vita per riconoscere,<br />

sempre unito a Cristo, il suo sovrano dominio. Gli altri atti che<br />

Scrittura e tradizione dicono sacerdotali e sacrificali, comuni al<br />

cristiano, liturgici e extraliturgici (mortificazioni, verginità e vita<br />

religiosa, doveri del proprio stato, carità verso il prossimo, preghiera<br />

privata, apostolato, martirio, offerta dei beni) sono tali perché<br />

sono o disposizione all'atto sacerdotale <strong>della</strong> messa o suoi<br />

effetti e manifestazioni. Nello stesso modo una medicina è sana<br />

o un ambiente è sano perché dispone alla sanità dell'organismo<br />

e il colore del viso è sano perché è un effetto <strong>della</strong> sanità dell'organismo<br />

e la manifesta.<br />

<strong>Il</strong> concetto di sacerdozio, e quindi di sacrificio cristiano, nei


CONCLUSIONE 165<br />

casi diversi nei quali viene usato dalla Scrittura e dalla tradizione<br />

patristica e teologica, è un concetto analogico. Secondo i diversi casi<br />

dei quali si tratta in concreto, questa analogia è, per dirla con la<br />

terminologia scolastica, ora un'analogia di proporzionalità propria<br />

includente nello stesso tempo anche un'analogia di attribuzione,<br />

ed ora, invece, un'analogia di attribuzione soltanto. Le stesse espressioni<br />

di sacrificio di lode e di offerta di vittime spirituali che sono<br />

le lodi innalzate a Dio, non sono equivoche e nemmeno soltanto<br />

metaforiche, perché la lode a Dio, nel suo <strong>senso</strong> cosciente e plenario,<br />

non è altro che una conseguenza e una manifestazione dell'atto<br />

interno dell'uomo con il quale mette a completa disposizione<br />

di Dio la propria vita, fino alla sua distruzione totale effettiva, se<br />

così a Dio piacesse, in riconoscimento del suo sovrano dominio<br />

di creatore e provveditore di tutte le cose.<br />

La natura del sacerdozio gerarchico, come ogni entità strumentale,<br />

non è comprensibile che in riferimento alla causa principale,<br />

cioè al sacerdozio di Cristo, da cui tutto dipende; si riduce<br />

completamente allo stesso genere e alla stessa specie. È vero che,<br />

in un certo <strong>senso</strong>, ogni sacerdozio cristiano, anche quello comune<br />

a tutti i fedeli, è strumento di Cristo. Ma ciò avviene in <strong>senso</strong><br />

diverso nel sacerdozio gerarchico e in quello comune a tutti i fedeli.<br />

<strong>Il</strong> sacerdozio gerarchico può dirsi sacerdozio puramente strumentale<br />

di Cristo. A tal punto che vi può essere una messa celebrata<br />

validamente da un sacerdote — e nella quale si attua» realmente<br />

e plenariamente il sacrificio incruento di' Cristo — senza che si<br />

attui in nessun modo il sacrificio personale del sacerdote celebrante.<br />

Ciò avviene quando un sacerdote celebra in stato di peccato<br />

mortale. La cosa si verifica analogamente anche negli altri<br />

sacramenti.<br />

<strong>Il</strong> sacerdozio comune a tutti i fedeli, rispetto al sacerdozio di<br />

Cristo, è sacerdozio analogo di analogia di proporzionalità propria,<br />

sebbene specificamente diverso, e includente inoltre un'analogia<br />

di attribuzione. Infatti, in tutti e due i casi il sacerdozio dice potere<br />

di offrire in sacrificio la propria vita per riconoscere il sommo<br />

dominio di Dio. È specificamente diverso perché in Cristo il sacrificio<br />

e il sacerdozio sono sacrificio e sacerdozio di capo e includono<br />

la grada capitis. Include un'analogia di attribuzione perché<br />

il sacrificio e il sacerdozio di Cristo sono i primi analogati. Dopo<br />

il peccato nessun uomo ha il potere di offrire se stesso a Dio se<br />

non in riferimento al sacrificio di Cristo.<br />

Rispetto al sacerdozio e al sacrificio puramente strumentali<br />

propri <strong>della</strong> gerarchia, il sacerdozio comune a tutti i fedeli è tale<br />

solo per analogia di attribuzione perché il sacerdozio comune a<br />

tutti i fedeli è effetto di quello puramente strumentale <strong>della</strong><br />

gerarchia.


CAPITOLO V<br />

LA NOZIONE DELLA LITURGIA E LA MESSA<br />

COME REALIZZAZIONE ED ESPRESSIONE SINTETICA<br />

DI TUTTO IL COMPLESSO LITURGICO<br />

<strong>Il</strong> lettore ha potuto accorgersi che massima cura dei precedenti<br />

capitoli è stata di chiarire il concetto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> riferendosi al<br />

suo connaturale inquadramento nel panorama generale <strong>della</strong> storia<br />

sacra. La <strong>liturgia</strong> è apparsa così come quel modo specifico per<br />

cui, dalla pentecoste alla parusia del Signore, si attualizza il mistero<br />

di Cristo; modo specifico che si riassume nella santificazione<br />

che, sotto il velo e per il tramite dei segni sensibili efficaci, Dio, in<br />

Cristo, fa dell'uomo e nel culto che, sotto e per gli stessi segni, l'uomo,<br />

in Cristo, rende a Dio.<br />

Sembra utile, a questo punto, quasi come riprova <strong>della</strong> verità<br />

e <strong>della</strong> fecondità del concetto di <strong>liturgia</strong> sopra spiegato, mostrare<br />

come, partendo da esso, ci si renda facilmente conto <strong>della</strong> reale<br />

portata di una delle verità per tante altre vie riconosciuta capitale<br />

nella scienza liturgica: che, cioè, la messa è il centro e il sole di<br />

tutto il complesso liturgico.<br />

Se, infatti, la <strong>liturgia</strong> non è altro che l'espressione, sotto il velo<br />

dei segni sacri efficaci, del mistero <strong>della</strong> storia, per cui Dio santifica<br />

gli uomini in Cristo e gli uomini in Cristo rendono il loro culto a<br />

Dio, bisogna anche affermare, come principio generale, che in ogni<br />

messa, sotto il velo dei segni sacri efficaci, la <strong>liturgia</strong> attua se stessa<br />

in modo plenario come in scorcio e concentrato. A tal punto che il<br />

resto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> non è che preparazione o conseguenza di quest'atto<br />

essenziale e non fa altro che mettere variamente e successivamente<br />

in rilievo l'uno o l'altro aspetto di quell'unico mistero<br />

espresso e realizzato tutto intero e sinteticamente in ogni messa.<br />

<strong>Il</strong> motivo fondamentale di questa affermazione è che la messa<br />

è, nello stesso tempo, sacramento e sacrificio e che come sacramento<br />

contiene e comunica a chi lo riceve Cristo in persona, divinità<br />

e umanità, corpo e anima, autore ultimo di ogni santificazione<br />

come Dio, mediatore universale di ogni santificazione come uomo;<br />

mentre, come sacrificio, è il sacrificio di Cristo stesso, sorgente<br />

primaria, espressione somma e punto di riferimento di ogni culto


MESSA E SEGNI LITURGICI 167<br />

che gli uomini rendono a Dio. Sacrificio che Cristo stesso, per il<br />

ministero del sacerdote, offre a Dio, e tutta la Chiesa fa suo come<br />

espressione massima del suo culto, in quanto lo offre col sacerdote<br />

insieme con Cristo ed offre se stessa in sacrificio insieme con Lui,<br />

Così nella messa, sotto il velo dei segni efficaci, si attua al sommo<br />

grado possibile la santificazione che Dio fa <strong>della</strong> Chiesa in Cristo<br />

e il culto che la Chiesa in Cristo rende a Dio, ossia tutto il <strong>senso</strong><br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. La messa è dunque il primo e il massimo dei segni<br />

sacri efficaci sotto il cui velo, dalla pentecoste alla parusia, si attua<br />

l'incontro tra l'uomo e Dio.<br />

1. COME NELLA MESSA =<br />

LA QUADRUPLICE DIMENSIONE DEI SEGNI LITURGICI<br />

HA IL SOMMO GRADO DI ESPRESSIONE E DI EFFICACIA<br />

Nella messa il segno liturgico raggiunge il sommo grado di<br />

espressione e di efficacia rispetto alle realtà spirituali che vi sono significate<br />

ed efficacemente realizzate come dimostrativamente presenti.<br />

Queste realtà sono: anzitutto Cristo stesso, il quale nelle specie<br />

eucaristiche è realmente significato come presente in persona e non<br />

solo in virtù ed è realmente reso presente come tale. La messa significa<br />

pure ed attua al sommo grado come presente l'unione tra<br />

Dio e l'uomo in Cristo poiché, in essa, tra la persona di Cristo e il<br />

comunicante si stabilisce un'unione non solo morale e di grazia,<br />

ma fisica sacramentale e conseguentemente anche di grazia e morale.<br />

Nella messa l'unione in Cristo tra gli uomini raggiunge pure<br />

il suo sommo grado, poiché tutti ivi comunicano a un solo principio<br />

di vita spirituale, mangiando un unico pane e bevendo a un unico<br />

calice; ricevendo, cioè, sacramentalmente Cristo stesso, unico<br />

principio inscindibile di vita soprannaturale.<br />

Nella messa anche la realtà culto è presenzialmente significata<br />

ed attuata al sommo grado, poiché il sacrificio è il massimo<br />

atto del culto e il sacrificio di Cristo sul Golgota, di cui quello<br />

<strong>della</strong> messa è il prolungamento incruento, è la sorgente e il punto di<br />

riferimento di ogni culto e di ogni sacrificio cristiano. Massimamente<br />

nella comunione Cristo unisce al suo sacrificio tutti i fedeli<br />

che, insieme con il sacerdote, anzi con Lui stesso, Sommo Sacerdote,<br />

offrono la sacra vittima al Padre ed offrono se stessi insieme con Lui<br />

in sacrificio al Padre. Così essi fanno del sacrificio di Cristo il loro<br />

proprio sacrificio, danno a tutta la loro vita un <strong>senso</strong> di culto sacrificale<br />

al Padre in Cristo, e attuano al massimo il potere sacerdotale<br />

che hanno ricevuto nel battésimo, nella somma partecipazione al<br />

culto e al sacerdozio di Cristo.<br />

La messa è pure il sommo dei segni impegnativi di tutto il<br />

culto cristiano per il fatto stesso che è il sommo e il più efficace


168 CAP. V - NOZIONE DELLA LITURGIA E MESSA<br />

dei segni <strong>della</strong> santificazione che l'uomo liberamente riceve e del<br />

culto che egli liberamente offre a Dio. La messa tra tutti gli atti<br />

cristiani è per eccellenza il nuovo patto, la nuova alleanza nel sangue<br />

di Cristo (cfr. Le 22,20 e paralleli); chi vi partecipa, principalmente<br />

nella comunione, accetta questo patto, lo fa solennemente<br />

suo. Ora chi dice patto dice impegno. Perciò dice S. Paolo : « Non<br />

potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni; non potete<br />

partecipare alla mensa del Signore e a quella dei demoni » (1 Cor<br />

10,21). Perciò pure aggiunge (1 Cor ll,27s): «Chiunque mangi il<br />

pane e beva il sangue del Signore indegnamente sarà reo del corpo<br />

e del sangue del Signore. Si esamini dunque ognuno e così mangi<br />

del pane e beva del sangue: poiché chi mangia e beve, mangia e<br />

beve la propria condanna se non ravvisa il Corpo » 1 .<br />

Sommamente espressiva ed efficace tra tutti i segni liturgici,<br />

la messa lo è pure rispetto a quelle realtà passate a cui essa si riferisce<br />

come segno, rimemorativo. Infatti, qui al sommo grado « recolitur<br />

memoria passìonìs eius », poiché essa non è altro che lo stesso sacrificio<br />

del Golgota prolungato incruentemente nel sacramento. Al<br />

sommo grado quindi in essa è riattualizzato il sacerdozio di Cristo<br />

e il culto di Cristo nella sua vita mortale, nonché tutti i sacrifici,<br />

le santificazioni e i culti accetti a Dio dal peccato di Adamo a<br />

Cristo stesso, i quali non erano che figure e ombre del sacrificio<br />

del Golgota ora riattuato nel sacramento. Così la realtà sacrale<br />

che si compie in ogni messa è realmente il termine convergènte di<br />

una serie immensa di linee di forza che dalla creazione ih poi tendevano<br />

ad essa come alla loro realizzazione e alla loro ragion d'essere.<br />

Infatti, nel mistero di Cristo, storia sacra, tutta la fase <strong>della</strong><br />

preparazione storica dell'Antico Testamento tendeva alla fase <strong>della</strong><br />

realizzazione storica nella vita terrena di Cristo: incarnazione, passione<br />

e morte redentrice, risurrezione e ascensione.<br />

A sua volta la vita storica di Cristo, fino alla sua glorificazione,<br />

tendeva intrinsecamente come a trasfondersi negli uomini, realizzando<br />

il suo <strong>senso</strong> nella vita delle anime, comunicando loro quella<br />

vita divina, per dare la quale il Verbo si era incarnato. Ora, questo<br />

si realizza anzitutto nella messa. È chiaro così che la realtà sacrale<br />

1 Quanto i primi cristiani sentissero il valore essenzialmente impegnativo<br />

insito in ogni atto di culto e massimamente nell'eucaristia, risulta splendidamente<br />

dalla notizia che sulle riunioni liturgiche cristiane (si tratta molto probabilmente<br />

di una riunione eucaristica) Plinio il giovane, governatore <strong>della</strong> Bitinia,<br />

dette nel 111-113 all'imperatore Traiano: « Adjirmabant autem liane juisse<br />

summam vel culpae vel erroris, quod essent soliti stato die ante lucerti convenire<br />

carmenque Christo quasi deo dicere secum invicem, seque sacramento<br />

non in scelus aliquod obstringere, sed ne iurta, ne latrocinia, ne adulteria committerent,<br />

ne fidem jallerent, ne depositimi appellati abnegarent », (vedi per es.,<br />

in C. KIRSCH, Enchiridion... n. 30). Lo stesso appare nella Traditio Apostolica<br />

di Ippolito, la quale, dopo la comunione con l'eucarestia, che sigilla tutto il rito<br />

dell'iniziazione cristiana, aggiunge: « Quando tutto questo è compiuto, che ognuno<br />

si affretti nelle buone opere e a piacere a Dio, vivendo rettamente, dedito<br />

alla Chiesa, compiendo quello di cui è stato istruito e progredendo nel servizio<br />

di Dio » (ed. Botte p. 58).


MESSA E SEGNI LITURGICI 169<br />

<strong>della</strong> messa è il punto di convergenza di tutta la storia cosmica<br />

antecedente, poiché questa, nelle intenzioni di Dio, convergeva tutta<br />

al Golgota storico, mentre il Golgota storico tende al Golgota mistico<br />

<strong>della</strong> messa.<br />

Anche come segno efficace preannunziativo del futuro, e quindi<br />

come azione profetica, la messa tiene il primo posto nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Nella messa, sotto il velo dei segni, vi è nuova epifania reale<br />

del Verbo incarnato in persona, non solo in virtù; dello stesso Verbo<br />

incarnato, immolato, risorto, trasfigurato. È già il ritorno del<br />

Signore, che differisce dal ritorno definitivo, in sostanza solo perché<br />

quello che avviene nella messa si fa sotto il velo dei segni e<br />

non in forma svelata e gloriosa. La messa è già il banchetto dei<br />

tempi messianici aspettato nell'Antico Testamento, che differisce<br />

dal banchetto definitivo « in regno Patris mei » (Mt 26,29) essenzialmente<br />

solo perché non è in forma gloriosa.<br />

Ed è per questo che alla messa è insito un significato profondamente<br />

escatologico: essa annunzia, proclama e chiama, per così<br />

dire, con tutte le fibre <strong>della</strong> sua struttura, il ritorno glorioso del<br />

Signore e il banchetto in regno Patris nella gloria; perché l'azione<br />

velata sotto i sifcnboli sensibili, tende, connaturalmente, con tutto<br />

il suo peso, alla realtà svelata e senza simboli. Perciò « ogni volta<br />

che voi mangiate di questo pane e bevete il calice, voi proclamate<br />

la morte del Signore fino a che venga» (ICor 11,26). <strong>Il</strong> semplice<br />

fatto di partecipare al corpo eucaristico e al sangue del Cristo è<br />

dunque un proclamare dinanzi al mondo la morte redentrice del<br />

Signore ora glorioso, ma nascosto, morte che l'eucaristia . « commemora<br />

» e a suo modo incruentemente propone in sacramento.<br />

Questa proclamazione misteriosa <strong>della</strong> morte redentrice di Cristo<br />

è il modo specifico di proclamarla proprio di questo tempo intermedio<br />

tra l'ascensione e la seconda venuta gloriosa del Signore:<br />

quando Egli si presenterà a tutto il mondo nello splendore <strong>della</strong><br />

sua gloria, l'eucaristia avrà fine, perché il mistero cessa quando<br />

si compie ed appare in piena luce e senza veli quella realtà che il<br />

mistero proclamava sotto i veli. <strong>Il</strong> banchetto messianico continuerà<br />

allora svelatamente.<br />

Questo significato escatologico di ogni messa era fortemente<br />

sentito dai primi cristiani. È questo il <strong>senso</strong> di quella preghiera di<br />

ringraziamento dopo l'eucaristia riportata dalla Didaché: «Ricordati<br />

Signore, <strong>della</strong> tua Chiesa, liberala da ogni male, e rendila perfetta<br />

nel tuo amore, e, santificata, raccoglila insieme dai quattro<br />

venti nel regno che per lei preparasti... Avvenga la grazia, passi<br />

questo mondo... Maràn athà : vieni Signore, così sia » 2 .<br />

2 10,5 s. In un papiro copto, probabilmente del secolo V, che riporta un<br />

testo interpolato e con qualche variante <strong>della</strong> Didaché, il Maràn athà <strong>della</strong> Didaché<br />

X 6, che chiude la preghiera, è tradotto : « <strong>Il</strong> Signore venne. Amen ».<br />

Vedi G. HORNER, The new papyrus fragment of the Didaché in coptic, in : Journal<br />

of theological studies 1924 p. 230.


170 CAP. V - NOZIONE DELLA LITURGIA E MESSA<br />

Insomma, la messa, sommo atto <strong>della</strong> santificazione e del culto,<br />

in modo eminente, più reale e più profondo di qualsiasi altro atto<br />

liturgico, appare in questo tempo intermedio tra la prima e la seconda<br />

venuta del Signore, il centro in cui, sotto il velo dei segni sacri<br />

ed efficaci, vivono e si concentrano tutte le fasi del mistero di<br />

Cristo, storia sacra, mistero <strong>della</strong> Chiesa: termine sommo del passato,<br />

realizzazione plenaria del presente, tensione verso l'avvenire<br />

che profetizza, annunzia, inizia e a cui è tutta indirizzata:<br />

O sacrum convivium in quo Christus sumitur;<br />

recotitur memoria passionis eius;<br />

mens impletur gratia<br />

et futurae gloriae nobis pignus datar 3 .<br />

2. L'ESPRESSIONE LITURGICA<br />

DI QUESTO FATTO NELLE ANAFORE<br />

È l'istinto profondo di questa idea generale a far sì che in ogni<br />

formulario di messa, anche nella parte mobile, si ritrovino quasi<br />

sempre queste quattro idee più o meno chiaramente e completamente<br />

espresse: 1. L'Antico Testamento e le realtà di cui ivi si<br />

parla erano preparazioni e figure di quello che si realizzò nella vita<br />

di Cristo e si realizza a suo modo continuamente nelle anime dei<br />

fedeli nell'azione liturgica anzitutto del sacrificio, ma anche dei<br />

sacramenti e dei sacramentali. 2. Nel presente sacrificio si compie<br />

la nostra redenzione. 3. La partecipazione alla messa presuppone<br />

le disposizioni morali ed è un grave impegno di vita per il futuro;<br />

per cui si prega Dio che, con la sua grazia, disponga l'animo del fedele<br />

e gli conceda di corrispondere al suo impegno. 4. Aspettiamo,<br />

desideriamo, preghiamo che il presente sacrificio a cui partecipiamo<br />

ci conduca alla gloria. Queste idee, espresse in modo più o<br />

3 Interessante vedere come un protestante, G. HARBSMEIER, (Dass wir die<br />

Predigt und sein Wort nicht verachten, Munchen 1958 pp, 161-62), profondamente<br />

contrario, per ragioni dogmatiche <strong>della</strong> sua confessione, alla <strong>liturgia</strong>, ha ottimamente<br />

compreso che, nella logica <strong>della</strong> dogmatica cattolica, la messa è necessariamente<br />

il centro e il sunto del mistero <strong>della</strong> salvezza in atto, e che ciò<br />

dischiude una prospettiva di prodigiosa grandezza. « L'eucaristia non celebra<br />

solo la memoria <strong>della</strong> notte in cui il Salvatore fu tradito e si consegnò. Fa<br />

anche questo. Ma, facendolo... vi rappresenta cultualmente, in simbolo, nel<br />

gesto, nella parola, nel canto, pressappoco l'intera somma di ciò che la Scrittura<br />

contiene. Coloro che operano questa rappresentazione vi immettono la somma<br />

di tutto quanto la terra conosce in fatto di religione... Si presenta al nostro<br />

sguardo una vasta traduzione in-culto dell'avvenimento <strong>della</strong> salvezza: opera<br />

completa e perfetta... Qui si è compreso che se il culto è possibile come realizzazione<br />

del mistero, tale realizzazione deve essere totale. In questo <strong>senso</strong> l'eucaristia<br />

è veramente cattolica, perché traduce in culto realmente e in modo globale<br />

la totalità del mistero <strong>della</strong> salvezza. Come interpretazione è una realizzazione<br />

prodigiosa»."


ANAFORE ORIENTALI 171<br />

meno completo, costituiscono, in specie, alcuni dei temi fondamentali<br />

delle post-comunioni delle messe romane.<br />

Questa stessa idea generale <strong>della</strong> messa, come espressione somma<br />

e sintetica di tutto il mistero di Cristo, si dimostra essenziale<br />

nella <strong>liturgia</strong> anche per il fatto che è sempre presente, più o meno<br />

fortemente e chiaramente espressa, in quella parte centrale di tutte<br />

le messe che si chiama anafora o canone. Si sa come i formulari<br />

anaforici siano molto diversi nelle varie liturgie cristiane. Si tratta<br />

però sempre essenzialmente di una grande preghiera al Padre per<br />

i benefici da Lui datici (è l'eucaristia, cioè il ringraziamento per<br />

eccellenza) anzitutto per mezzo di Gesù Cristo. L'economia salvatrice<br />

del mondo in Cristo, ossia il mistero di Cristo, centro <strong>della</strong><br />

storia sacra, è sempre espressamente ricordata più o meno dettagliatamente.<br />

Tutte, o quasi tutte, le formule conosciute ricordano<br />

esplicitamente il mistero di Cristo nella sua fase di realizzazione<br />

storica <strong>della</strong> sua vita terrena, almeno a partire dall'ultima cena<br />

(e qui s'inseriscono le parole dell'istituzione dell'eucaristia) all'ascensione.<br />

Nell'espressione esplicita degli altri particolari del<br />

mistero di Cristo vi è grande varietà; talvolta sono appena accennati,<br />

tal altra, invece, sono mólto sviluppati; altre volte ancora sono<br />

compresi in qualche espressione generale che include genericamente<br />

tutto quanto il mistero di Cristo che si realizza sinteticamente<br />

nella messa.<br />

<strong>Il</strong> testo più antico di anafora che ci è stato conservato è quello<br />

<strong>della</strong> Traditio Apostolica di Ippolito. Ma si tratta piuttosto di uno<br />

schema di anafora che di una anafora pienamente sviluppata. Comunque,<br />

una delle caratteristiche del testo di Ippolito è la sua<br />

grande sobrietà. <strong>Il</strong> tema di Dio creatore vi è appena accennato e<br />

quello di Dio provvidenza nell'economia dell'Antico Testamento,<br />

preparatoria alla venuta di Cristo, vi è poco riconoscibile. Ora sappiamo,<br />

dalle allusioni di Giustino per esempio 4 , che questi temi<br />

erano comuni nella tradizione più antica. Essi sono stati meglio<br />

conservati nella tradizione delle anafore orientali che in quella<br />

occidentale.<br />

Le anafore orientali<br />

Comunque, nella tradizione orientale, le anafore presero un amplissimo<br />

sviluppo, a partire almeno dal secolo IV. E sebbene, in<br />

parecchie di esse, vi sia una prolissità e una "nctòndanza retorica<br />

in netto contrasto con la sobrietà e lapidarietà romana antica, è<br />

tuttavia certo che, paragonate con il nostro canone romano attuale,<br />

hanno due grandi vantaggi: hanno una grande logicità e organicità<br />

di costruzione; sviluppano, per lo più armoniosamente, tutti<br />

i grandi temi teologici liturgici <strong>della</strong> grande preghiera eucaristica<br />

antichissima come li conosciamo dalla tradizione. Così le anafore<br />

•> Dial. cum Tryph. 41.


172 CAP. V - NOZIONE DELLA LITURGIA E MESSA<br />

orientali sono molto più vicine a quella tradizione. Per questi motivi<br />

anche noi, se vogliamo renderci conto come nelle anafore sia<br />

stata espressa la quadruplice dimensione <strong>della</strong> messa nel <strong>senso</strong><br />

sopra spiegato, dobbiamo rivolgerci anzitutto alle anafore orientali.<br />

Tra queste, come molto adatta al nostro scopo, ci si può fermare<br />

all'anafora greca di S. Basilio giustamente considerata rappresentativa<br />

in modo particolare 5 .<br />

L'anafora greca di S. Basilio<br />

Sac. : La grazia del Signore nostro Gesù Cristo,<br />

l'amore di Dio e Padre, e la comunicazione dello<br />

Spirito Santo sia con tutti voi.<br />

Pop. : E con il tuo spirito.<br />

Sac. : In alto i cuori.<br />

Pop. : Sono rivolti al Signore.<br />

Sac. : Ringraziamo il Signore.<br />

Pop. : È cosa degna e giusta.<br />

Tema trinitario. Sac. : Essere immutabile, padrone, Signore Iddio,<br />

Padre onnipotente, adorabile, è veramente degno e<br />

giusto e conveniente secondo la magnificenza <strong>della</strong><br />

tua santità, lodarti, cantarti inni, benedirti, adorarti,<br />

ringraziarti, glorificarti, tu che sei l'unico veramente<br />

Dio, ed offrire a te, con cuore contrito e spirito<br />

d'umiltà, questa nostra oblazione spirituale<br />

d'adorazione, perché tu sei Colui che ci hai donato<br />

la conoscenza <strong>della</strong> tua verità. Chi può narrare le<br />

tue gesta potenti, proclamare tutte le tue lodi o<br />

spiegare tutte le meraviglie che fai in ogni tempo,<br />

padrone di ogni cosa, Signore del cielo e <strong>della</strong> terra<br />

e di tutte le creature visibili e invisibili; tu che<br />

siedi sul trono <strong>della</strong> gloria e guardi in basso gli<br />

abissi; tu, senza principiq, invisibile, incomprensibile,<br />

incircoscritto, immutabile; Padre del Signore<br />

nostro Gesù Cristo, il nostro grande Dio e<br />

Salvatore nostro, speranza nostra, il quale è immagine<br />

<strong>della</strong> tua bontà, sigillo d'ugual figura, che<br />

ti rivela, o Padre, in se stesso, ed è Verbo vivo,<br />

vero Dio, eterna sapienza, vita, santificazione, forza,<br />

luce vera. Da Lui risplende lo Spirito Santo,<br />

spirito di verità, dono dell'adozione, caparra <strong>della</strong><br />

futura eredità, primizia dei beni eterni, forza vivificatrice,<br />

sorgente di santificazione. Ogni creatura<br />

intellettuale e spirituale, resane da Lui capace, ti<br />

5 Anche L. BOUYER, Liturgical piety, Notre-Dame press 1954, pp. 132-137 si<br />

riferisce alla stessa anafora ma sotto un altro aspetto.


L'ANAFORA DI S. BASILIO 173<br />

adora e innalza a te un'eterna glorificazione, perché<br />

tutte le cose sono a te soggette. Te lodano gli<br />

angeli, gli arcangeli, i troni, le dominazioni, i principati,<br />

le potestà, le virtù, i cherubini dai molti<br />

occhi; e intorno a te stanno i Serafini, aventi ognuno<br />

sei ali, con due delle quali si nascondono il<br />

volto, mentre con due altre si coprono i piedi e<br />

con due volano, e gridano con voce alterna, ininterrottamente<br />

Pop. : Santo, santo, santo...<br />

Tema cristologico : Sac. segretamente : Assieme a queste beate schiere,<br />

mistero di Cristo. Signore amatore degli uomini, anche noi peccatori<br />

gridiamo e diciamo: tu sei veramente santo e<br />

tutto santo, e non vi è misura alla grandezza <strong>della</strong><br />

tua santità : sei santo in tutte le tue opere perché<br />

tutto quello che fai a noi è fatto in giustizia e<br />

secondo verace giudizio.<br />

I. Piano primitivo Avendo formato l'uomo dal fango <strong>della</strong> terra, tu<br />

di Dio: sua natura: l'onorasti <strong>della</strong> tua immagine e lo ponesti nel<br />

paradiso di delizie, promettendogli immortalità di<br />

vita e godimento di eterni beni se avesse osservato<br />

i tuoi comandamenti.<br />

suo fallimento : Ma egli disubbidì a te, vero Dio, che l'avevi creato,<br />

soggiacque all'inganno del serpente e dette se<br />

stesso alla morte mediante le sue trasgressioni.<br />

Tu, o Dio, per giusto giudizio, lo cacciasti dal<br />

paradiso in questo mondo e lo facesti ritornare<br />

alla terra da cui era stato preso;<br />

promessa del ma disponesti benignamente che avrebbe riotteredentore:<br />

nuto ]a saivezza mediante la nuova nascita, quella<br />

che avviene in Cristo.<br />

II. Ripresa in Cristo Infatti, benigno creatore, non rigettasti per semredentore:<br />

pre ja tua creatura e non ti sei dimenticato dell'opera<br />

delle tue mani, ma nella tua misericordia,<br />

l'hai visitata in diverso modo.<br />

A. Preparazione Mandasti i profeti, facesti portenti per mezzo dei<br />

nellAT: tuoi santi che a te furono grati in tutte le generazioni,<br />

ci parlasti per la bocca dei tuoi servi i<br />

profeti, annunciandoci la futura salvezza; ci desti<br />

la legge in aiuto, ci assegnasti gli angeli come<br />

custodi.<br />

B. Realizzazione Quando poi venne la pienezza dei tempi ci parlanella<br />

vita di Cristo: stj nen0 stesso tuo Figliolo per mezzo del quale


174 CAP. V - NOZIONE DELLA LITURGIA E MESSA<br />

tu facesti i secoli. Egli, essendo lo splendore <strong>della</strong><br />

gloria e l'impronta di te medesimo, e tutto soste :<br />

a) Prima venuta: nendo con la parola <strong>della</strong> sua potenza, non stimò<br />

incarnazione: dover ritenere come bene inalienabile l'essere<br />

uguale a te Dio e Padre, ma, pur essendo Dio<br />

eterno, apparì su questa terra e conversò tra gli<br />

uomini, e, incarnatosi dalla vergine, si abbassò<br />

prendendo la forma dello schiavo, fatto in tutto<br />

simile al corpo <strong>della</strong> nostra umiltà, affine di farci<br />

consimili all'immagine <strong>della</strong> sua gloria. Perché<br />

per mezzo d'un uomo il peccato entrò in questo<br />

mondo e per mezzo del peccato la morte, tu hai<br />

voluto che l'unigenito tuo Figliolo, che è nel seno<br />

di Dio e Padre, nato dalla donna, la santa genitrice<br />

di Dio e sempre vergine Maria, nato sotto<br />

la legge, giudicasse il peccato nella propria carne,<br />

affinché coloro che erano morti in Adamo, fossero<br />

vivificati nel tuo Cristo.<br />

vita: Egli, vivendo in questo mondo, ci dette i comandamenti<br />

<strong>della</strong> salvezza, ci strappò all'inganno degli<br />

idoli e ci introdusse nella conoscenza di te. Dio<br />

e Padre, facendoci a se stesso stirpe eletta, sacerdozio<br />

regale, stirpe santa, purificandoci nell'acqua<br />

e santificandoci nello Spirito Santo.<br />

morte: Dette se stesso in vece nostra alla morte sotto<br />

l'impero <strong>della</strong> quale eravamo venduti a causa del<br />

peccato.<br />

risurrezione: Ma, disceso all'inferno, passando per la morte<br />

affine di riempire tutto di se stesso, egli sciolse i<br />

dolorosi lacci <strong>della</strong> morte, risuscitò il terzo giorno<br />

aprendo a tutti la via <strong>della</strong> risurrezione dai morti.<br />

E perché era impossibile che il principe <strong>della</strong> vita<br />

fosse ritenuto nei lacci <strong>della</strong> corruzione, egli divenne<br />

la primizia dei morti, il primogenito tra i<br />

morti, affine di essere Egli a tenere in tutto il<br />

primo posto.<br />

ascensione: Salendo poi al Cielo sedette alla destra <strong>della</strong> tua<br />

maestà nell'alto.<br />

b) seconda venuta: Ed Egli anche tornerà a rendere ad ognuno secondo<br />

le sue opere.<br />

C. realizzazione E ci lasciò questi memoriali <strong>della</strong> sua passione<br />

sacramentale salvatrice che noi ti abbiamo ora offerti come Egli<br />

nell'eucarestia: ce j comandò-


L'ANAFORA DI S. BASILIO 175<br />

a) Istituzione e rin- Infatti, sul punto di andare alla sua libera, glorionovamento<br />

attuale: sa e vivificatrice morte, la notte quando Egli stesso<br />

si dette per la vita del mondo, avendo preso<br />

il pane fra le sue sante ed immacolate mani, e<br />

sollevatolo a te Dio e Padre, rese grazia, lo benedì,<br />

10 santificò, lo spezzò:<br />

11 sac. ad alta voce: Lo dette ai suoi santi discepoli<br />

ed apostoli dicendo : Prendete, mangiate, questo<br />

è il mio corpo spezzato per voi in remissione<br />

dei peccati.<br />

Pop. : Amen.<br />

Sac. segretamente: Nello stesso modo, prendendo<br />

la coppa di vino, avendola temperata con l'acqua,<br />

rese grazia, la benedì, la santificò, la dette ai suoi<br />

santi discepoli ed apostoli dicendo:<br />

<strong>Il</strong> sac. ad alta voce : Bevete tutti : questo è il mio<br />

sangue, il sangue del nuovo patto, versato per voi<br />

e per i molti in remissione dei peccati.<br />

Pop. : Amen.<br />

b) suo valore di me- <strong>Il</strong> sac. segretamente : Fate questo in memoria di<br />

mortale efficace me Ogni volta, infatti, che voi mangiate questo<br />

e profetico: °, . ^ . • * f •<br />

^ pane e bevete questa coppa voi annunziate la mia<br />

morte e confessate la mia risurrezione.<br />

Facendo quindi anche noi anamnesi <strong>della</strong> passione<br />

salvatrice, <strong>della</strong> croce vivificatrice, dei tre<br />

giorni nel sepolcro, <strong>della</strong> risurrezione dai morti,<br />

dell'ascensione al cielo, <strong>della</strong> tua sessione alla<br />

destra del tuo Dio e Padre e <strong>della</strong> gloriosa e tremenda<br />

tua seconda venuta:<br />

Ad alta voce: Ti offriamo dai tuoi doni quello<br />

che a te appartiene in tutto e per tutto.<br />

Per rendersi conto come in questa anafora la messa appaia<br />

veramente come il nodo di tutte le fasi del mistero di Cristo nel<br />

suo svolgimento, si leggano ancora le seguenti preghiere, che vengono<br />

poco dopo quelle sopra riferite, e nelle quali si esprime<br />

l'unione dei fedeli celebranti la messa coi santi del cielo, i defunti<br />

e tutti i vivi <strong>della</strong> terra nei loro diversi bisogni, nonché il <strong>senso</strong><br />

<strong>della</strong> comunione del sacerdote e dei fedeli a questo sacrificio e<br />

il suo valore di segno impegnativo.<br />

« Unisci, o Signore, gli uni con gli altri nella comunanza di un<br />

unico Spirito Santo noi tutti che partecipiamo ad un unico Pane<br />

e ad un unico Calice, e fa' sì che nessuno di noi abbia parte per


176 CAP. V - NOZIONE DELLA LITURGIA E MESSA<br />

propria condanna al Santo Corpo e al Santo Sangue del tuo Cristo,<br />

ma che anzi noi troviamo misericordia e grazia assieme a tutti<br />

i tuoi santi che a te piacquero sin dall'inizio del mondo; protoparenti,<br />

padri, patriarchi, profeti, apostoli, predicatori, evangelisti,<br />

martiri, confessori, dottori e insieme con tutti gli spiriti dei giusti<br />

deceduti nella fede, principalmente insieme con la tutta santa, immacolata,<br />

tutta benedetta, gloriosa, signora nostra, genitrice di<br />

Dio e sempre vergine Maria... » (continua poi la commemorazione<br />

dei santi e la preghiera per i defunti e i vivi).<br />

« O Dio nostro, Dio Salvatore, insegnaci tu a ringraziarti degnamente<br />

per i benefici che ci hai fatti e ci fai. Tu, Dio nostro,<br />

che hai ricevuto questi doni, purificaci da ogni macchia di carne<br />

e di spirito e insegnaci a compiere la nostra santificazione nel tuo<br />

timore, affinché ricevendo la particella dei doni da te santificati<br />

con la testimonianza di una coscienza pura, noi ci uniamo al Santo<br />

Corpo e al Santo Sangue del Cristo tuo e, ricevendoli degnamente,<br />

Cristo abiti in noi e siamo fatti templi dello Spirito Santo. Sì, o<br />

Dio nostro, che nessuno di noi sia colpevole verso quésti tuoi<br />

tremendi e celesti misteri e che nessuno li riceva indegnamente<br />

per debolezza di anima o di corpo. Concedici che noi fino al nostro<br />

ultimo respiro degnamente riceviamo la particella dei tuoi santi<br />

doni come viatico per la vita eterna, per benaccetta difesa dinanzi<br />

al tremendo tribunale del tuo Cristo, affinché anche noi, assieme<br />

a tutti i santi che a te piacquero sin dall'inizio 4el mondo, partecipiamo<br />

a quei tuoi beni eterni che tu hai preparati, o Signore,<br />

a coloro che ti amano ».<br />

<strong>Il</strong> canone romano<br />

Queste idee si ritrovano anche nel canone romano attuale, ma<br />

più disperse e meno sviluppate, per cui, a prima vista riesce più<br />

difficile riconoscerle. Infatti nel canone romano, una buona parte<br />

di esse viene espressa nella prima sezione mobile che si chiama<br />

prefazio. <strong>Il</strong> mutamento di prefazio per ogni messa era considerato<br />

anticamente a Roma come regola ordinaria: il Leoniano — mutilo<br />

dei quattro primi mesi dell'anno — ne ha 267; il Gelasiano ne<br />

conservò ancora 54; il Gregoriano li ridusse a 14; oggi ve ne sono 15.<br />

Perciò si può dire che, a Roma, fu uso distribuire in gran parte<br />

l'espressione dei diversi aspetti del mistero di Cristo che si realizza<br />

nella messa, nella parte mobile del canone, ossia nel prefazio, mentre,<br />

per esempio, nell'anafora greca di S. Basilio venivano espressi<br />

tutti assieme in ogni messa in ordine assai più logico e sintetico.<br />

Comunque, è facile, leggendo i diversi prefazi del canone romano<br />

attuale, vedere come vi si esprimano separatamente notevoli aspetti<br />

del mistero di Cristo che troviamo riuniti nell'anafora greca di<br />

S. Basilio. Per esempio, nel nucleo essenziale dei prefazi di Natale,<br />

Epifania, <strong>della</strong> Croce, di Pasqua, dell'Ascensione, <strong>della</strong> Pentecoste


TUTTO ORDINATO ALLA MESSA 177<br />

sono espressi i diversi aspetti del mistero di Cristo nella sua fase<br />

di realizzazione storica nella vita terrena di Gesù.<br />

Nella parte fissa del canone romano il mistero di Cristo realizzantesi<br />

nella messa viene espresso per esempio nel Qui pridie fino<br />

all'Unde et memores: è la fase <strong>della</strong> realizzazione reale mistica<br />

liturgica del mistero di Cristo: commemorazione effettrice in sacramento<br />

dell'istituzione, passione, morte, risurrezione, ascensione.<br />

Nella preghiera Supra quae propitio ac sereno viene espresso<br />

il mistero di Cristo nella sua preparazione storica dell'Antico Testamento:<br />

il sacrificio di Abele, di Abramo, di Melchisedec, figure<br />

del sacrificio di Cristo sulla croce, attuato ora nella messa. Nel<br />

Nobis quoque peccatoribus, dove si chiede la nostra ammissione<br />

nella società dei santi, si esprime l'unione del sacrificio <strong>della</strong> messa<br />

con la Gerusalemme celeste, unione già prima più esplicitamente<br />

espressa nel Communicantes e ripetuta ancora nel Nobis quoque<br />

peccatoribus. L'unione con tutti i vivi viene espressa nel memento<br />

dei vivi e l'unione con i fedeli defunti nel memento dei defunti.<br />

La fase escatologica del mistero di Cristo è spesso accennata in<br />

formule diverse, per es. : Haec commixtio et consecratio... fiat accipientibus<br />

nobis in vitam aeternam; Corpus (Sanguis) DNIC custodiat<br />

animam meam in vitam aeternam.<br />

La recensione del canone romano detta di Moelcaich nel messale<br />

irlandese di Stowe del s. VIII-IX, mette magnificamente in<br />

rilievo il pensiero escatologico <strong>della</strong> messa quando, subito dopo<br />

le parole <strong>della</strong> consacrazione, alla frase « h&c quotìescumque /eceritis<br />

in mei memoriatn facietis » fa seguire le parole « passionem<br />

meam prxdicabitis, resurrectionem meam adhuntiabitis, adventum<br />

meum sperabitis donec iterum veniam ad vos de cozlis » 6 .<br />

3. NELLA LITURGIA TUTTO È ORDINATO ALLA MESSA<br />

Là nozione di <strong>liturgia</strong>, spiegata nei capitoli precedenti, facendoci<br />

capire come nella messa la <strong>liturgia</strong> ha necessariamente il suo<br />

sommo grado di realizzazione e di espressione, ci fa capire pure<br />

perché, conseguentemente, nella <strong>liturgia</strong> tutto è ordinato alla messa.<br />

<strong>Il</strong> fatto <strong>teologico</strong><br />

L'ordinamento intrinseco di tutti gli altri sacramenti all'eucaristia,<br />

come è noto, è stato fortemente rilevato da S. Tommaso.<br />

Egli proclama che l'eucaristia è il sommo tra tutti i sacramenti<br />

non solo se si considera che negli altri sacramenti è contenuta<br />

6 Cfr. LEO EIZENHOFER, Canon missae romanae, Romae 1954 p. 33. Vedi anche<br />

la <strong>liturgia</strong> ambrosiana : « Mortem meam praedicabitis, resurrectionem meam annuntiabitis,<br />

adventum meum sperabitis ». Vedi, inoltre, per altre simili formule<br />

J. A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, ed. it. Torino 1954 II 170-171.


178 CAP. V - NOZIONE DELLA LITURGIA E MESSA<br />

solo una virtù strumentale derivata da Cristo, mentre nell'eucaristia<br />

è[ contenuto sostanzialmente Cristo stesso in persona, ma anche<br />

se si considera la relazione reciproca dei sacramenti tra loro. « Infatti<br />

tutti gli altri sasramenti appaiono ordinati a questo sacramento<br />

come al loro fine. È chiaro che il sacramento dell'ordine è<br />

ordinato alla consacrazione dell'eucaristia. <strong>Il</strong> sacramento del battesimo<br />

è ordinato al ricevimento dell'eucaristia; a questo anche<br />

ci dispone la cresima affinché non ci vergogniamo di ricevere questo<br />

sacramento. Anche per la penitenza e l'estrema unzione l'uomo<br />

viene preparato a ricevere degnamente il corpo di Cristo. <strong>Il</strong> matrimonio<br />

pure si riferisce a questo sacramento, almeno per il suo<br />

significato in quanto simboleggia l'unione di Cristo e <strong>della</strong> Chiesa,<br />

rappresentata per il sacramento dell'eucaristia » \<br />

In quanto al riferimento del matrimonio all'eucaristia, si può<br />

anche aggiungere che il fine immediato e specifico del matrimonio<br />

è di fornire a Dio, mediante la generazione dei figli, i soggetti che<br />

saranno membri <strong>della</strong> Chiesa e figli di Dio in Cristo, ciò che avviene<br />

quaggiù radicalmente nel battesimo e perfettivamente nella comunione<br />

al sacrificio eucaristico. Così il matrimonio è ordinato all'eucaristia<br />

anche mediante la procreazione dei figli e il battesimo.<br />

È dunque nel fatto che i figli, intanto che siano ammessi alla gloria<br />

celeste, sono ammessi quaggiù a partecipare all'eucaristia nel<br />

sacrificio <strong>della</strong> messa, che il matrimonio dei genitori raggiunge il<br />

suo fine plenario. Di qui si vede cosa deve significare per i genitori<br />

la prima comunione e le comunioni successive dei loro figli al<br />

sacrificio eucaristico. ;<br />

Anzi, non solo tutti i sacramenti sono ordinati all'eucaristia,<br />

ma essi non causano la grazia propria che significano che in virtù<br />

del loro riferimento all'eucaristia; di modo che la sola eucaristia<br />

ha, per se stessa, la virtù di conferire la grazia, mentre, gli altri<br />

sacramenti non la conferiscono che in virtù del voto che, chi li<br />

riceve, ha di ricevere anche l'eucaristia. E già, fondamentalmente,<br />

la dottrina dello pseudo Dionigi, e dei suoi commentatori o seguaci<br />

greci, ripresa e perfezionata da S. Tommaso, quindi ripetuta da<br />

tanti teologi, ed esplicitamente inculcata dal catechismo tridentino<br />

8 . Già lo pseudo Dionigi diceva : l'eucaristia « è la perfezione<br />

di tutte le perfezioni 9 ... La partecipazione agli altri simboli gerarchici<br />

ottiene la sua consumazione per mezzo dei divini e perfettivi<br />

doni dell'eucaristia. Perché non si compie quasi nessun sacramento<br />

gerarchico, senza che la divinissima eucaristia, come corona di ogni<br />

rito, realizzi l'unione dell'iniziato con l'Uno e consumi la sua<br />

7 Stimma III q 65 a 3 e. e.<br />

5 Vedi per es., M. DE LA TAILLE, Mysterium fidei, Paris 1921 pp. 573-87, il quale<br />

riassume tutta la dottrina in due proposizioni: gli altri sacramenti non causano<br />

la grazia che per il loro ordine all'eucaristia; l'eucaristia stessa non causa la<br />

grazia senza gli altri sacramenti. Gli altri sacramenti hanno per fine di disporre<br />

all'eucaristia.<br />

9 Teleuton telete: perfezione delle perfezioni, o sacramento dei sacramenti,<br />

perfezione dei sacramenti.


MESSA E SACRAMENTI 179<br />

comunione con Dio per il dono dei divini misteri consumativi.<br />

Dunque, ogni altra iniziazione sacramentale <strong>della</strong> gerarchia, essendo<br />

in sé imperfetta, né portando a compimento la nostra unione<br />

e comunione con l'Uno, per questa sua manchevolezza è privata<br />

del carattere di un'iniziazione perfetta. E siccome il fine e la<br />

corona di tutta l'iniziazione è la comunicazione dei divini misteri<br />

all'iniziato, giustamente, la scienza gerarchica ha preso dalle cose<br />

questo nome (di comunione e sinassi) proprio dell'eucaristia » 10 .<br />

S. Tommaso conosce questi pensieri dello pseudo Dionigi n e<br />

li sviluppa nella Somma : « Questo sacramento (dell'eucaristia) ha<br />

per se stesso la virtù di conferire la grazia. Nessuno ha la grazia<br />

prima di ricevere questo sacramento se non per un certo voto di<br />

riceverlo, fatto da se stesso, come avviene negli adulti, o per il<br />

voto <strong>della</strong> Chiesa, ciò che avviene per i bambini, come è stato detto<br />

sopra. Proviene dunque dall'efficacia <strong>della</strong> virtù di questo stesso<br />

sacramento, il fatto che, anche dal solo voto che se ne ha, si può<br />

conseguire la grazia che vivifica spiritualmente. Quando dunque<br />

questo sacramento si riceve realmente, la grazia viene aumentata<br />

e la vita spirituale perfezionata... Per questo sacramento la grazia<br />

viene aumentata e la vita, spirituale perfezionata, affinché l'uomo<br />

in se stesso sia perfetto per la congiunzione con Dio » 12 .<br />

Questa dottrina è alla' base <strong>della</strong> raccomandazione che fa il<br />

catechismo di Trento ai 'pastori d'anime," quando fa loro obbligo<br />

di mostrare ai fedeli quale abbondanza di beni è inclusa nei misteri<br />

dell'eucaristia. « Lo faranno in qualche modo se, spiegando la natura<br />

e l'efficacia di tutti i sacramenti, paragoneranno l'eucaristia<br />

alla sorgente e gli altri sacramenti ai ruscelli. Infatti bisogna dire<br />

che essa è veramente la fonte di tutte le grazie, poiché contiene<br />

in modo mirabile la stessa fonte dei celesti carismi e doni e l'autore<br />

di tutti i sacramenti, Cristo Signore. Da questo sacramento, come<br />

dalla sorgente, derivano agli altri sacramenti ogni bene e perfezione<br />

che hanno » 13 . Compresa, naturalmente, la forza di culto reso a<br />

Dio, contenuta negli altri sacramenti. In questa prospettiva prendono<br />

tutto il loro valore le parole di Nostro Signore in S. Giovanni :<br />

« Se non mangerete la carne del Figliuolo dell'uomo e non berrete<br />

il suo sangue, non avrete la vita in voi » (Gv 6,54).<br />

È da osservare che, se è vero che gli altri sacramenti sono<br />

ordinati al sacrificio <strong>della</strong> messa e da esso derivano la loro forza<br />

santificatrice e di culto reso a Dio, è vero con più forte ragione<br />

ancora, che tutto quello che nella Chiesa, fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, ha<br />

qualche virtù santificatrice e di gloria resa a Dio, sia nella vita<br />

privata detta ascetica e mistica di ogni anima, sia nella vita pubblica,<br />

come amministrazione, apostolato, insegnamento, non possiede<br />

tale virtù che in riferimento al sacrificio <strong>della</strong> messa, come<br />

10 Hier eccl. <strong>Il</strong>i 1 PG 3,424-25.<br />

11 Vedi 4 d S q 1 a 1, ed. Moos p. 308 n. 19; 310 n. 34.<br />

12 Summa III 79 a 1 ad 1. Vedi pure III 73 a 3 e passi paralleli.<br />

13 Pars II cap. 4 n. 4748.


180 CAP. V - NOZIONE DELLA LITURGIA E MESSA<br />

sua preparazione o derivazione, e per un certo voto del sacrificio<br />

<strong>della</strong> messa. Questa osservazione è di capitale importanza per la<br />

soluzione <strong>della</strong> questione dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e spiritualità e<br />

tra <strong>liturgia</strong> e pastorale.<br />

Ragione teològica ultima del fatto che all'eucaristia sono ordinati<br />

tutti i sacramenti e che dall'eucaristia tutti gli altri sacramenti<br />

derivano la loro virtù santificatrice è che fine dei sacramenti è la<br />

santificazione dell'uomo e il culto reso a Dio in Cristo. Ma il Golgota<br />

è la sorgente di ogni santificazione che Dio fa dell'uomo in Cristo<br />

e di ogni culto che l'uomo in Cristo rende a Dio. Così l'uomo non<br />

è santificato e non rende il culto a Dio che in quanto è messo in<br />

contatto col Golgota e partecipa al Golgota ". Ora la messa è il<br />

Golgota sacramentalmente prolungato a cui l'uomo partecipa plenariamente<br />

nella comunione. L'eucaristia sacramento e sacrificio realizza<br />

dunque al massimo la nozione comune e il fine di tutti i<br />

sacramenti.<br />

L'espressione liturgica<br />

Espressione connaturale di questo ordinamento di tutti i sacramenti<br />

alla messa è la logica prassi antica, di cui si vorrebbe<br />

che anche oggi ognuno percepisse e rispettasse il più possibile il<br />

significato e la forza, di amministrare e ricevere naturalmente tutti<br />

gli altri sacramenti in immediata connessione con la messa. Questo<br />

avveniva affinché il fedele potesse, come richiede la natura delle<br />

cose, portare immediatamente la santificazione ricevuta negli altri<br />

sacramenti e l'atto di culto in essi esercitato al loro connaturale<br />

compimento mediante la partecipazione al sacrificio eucaristico<br />

nella comunione cui gli altri sacramenti sono appunto ordinati.<br />

Si sa che battesimo, cresima e comunione nell'iniziazione cristiana<br />

antica formavano un rito unico e omogeneo, iniziato nel<br />

fonte battesimale e compiuto nella prima comunione al sacrificio<br />

eucaristico. Anche la riconciliazione dei penitenti avveniva connaturalmente<br />

in connessione con la messa il giovedì santo : « Affinché,<br />

ricevendo la veste nuziale meritino di partecipare alla mensa regale<br />

da cui erano stati allontanati » ". Anche oggi il rito <strong>della</strong> preparazione<br />

degli infermi alla gloria celeste s'inizia nell'unzione degli infermi<br />

e si compie nel ricevimento del viatico. Tutti gli ordinati nel sacramento<br />

dell'ordine, ai diversi suoi gradi, lo sono connaturalmente<br />

durante una messa e ad essa devono connaturalmente partecipare<br />

nella comunione al sacrificio. Già lo pseudo Dionigi, in un testo<br />

citato anche da S. Tommaso, aveva osservato : « Nessuno è reso<br />

perfetto in un grado gerarchico se non per la divinissirria eucaristia<br />

» 16 . Finalmente, la celebrazione connaturale del matrimonio<br />

11 Vedi S. TOMMASO, De ventate q 27 a 4 corpo alla fine. Humanitas Christi<br />

est instrumentalis causa justificationis.<br />

15 Pontificale romano, ultima orazione del rito <strong>della</strong> riconciliazione.<br />

16 De eccl. hier. <strong>Il</strong>i 1 PG 3,424, citato da S. Tommaso in Stimma II q 65 a 3<br />

sed contra.


MESSA E SACRAMENTI 181<br />

avviene durante la messa, o almeno in connessione immediata con<br />

essa, e la natura stessa delle cose richiede non meno perentoriamente<br />

che gli sposi suggellino la loro unione nella partecipazione<br />

comune al sacrificio eucaristico.<br />

Così, pur rimanendo vero che l'amministrazione degli altri sacramenti<br />

in unione immediata con la messa non è richiesta alla<br />

validità di nessuno di essi, tuttavia la loro connessione con la comunione<br />

al sacrificio eucaristico è così intima che la mente profonda<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, e, per così dire, la sua china naturale, induce ad<br />

esprimerla anche nei riti. Ne segue che ognuno, per quanto dipende<br />

da lui, deve ben guardarsi dal frustrare questa mente, o dal privare<br />

il popolo di percepirne e viverne il significato profondo. È in gioco<br />

la comprensione del mistero di Cristo e la sua efficacia pratica<br />

nella vita del popolo cristiano.<br />

Quanto si è detto dei sacramenti, tutti ordinati al sacrificio<br />

eucaristico, vale con maggior ragione ancora di tutti i riti d'istituzione<br />

ecclesiastica nella <strong>liturgia</strong>: cerimonie, sacramentali, preghiere,<br />

in specie ufficio divino. <strong>Il</strong> motivo fondamentale è lo stesso:<br />

sappiamo che tutti questi riti d'istituzione ecclesiastica nella <strong>liturgia</strong><br />

non hanno altro scopo che-il- culto divino in Cristo e la santificazione<br />

dell'uomo in Cristo. Óra l'uno e l'altra, di fatto, non esistono<br />

che come partecipazione al sacrificio del Golgota, e come derivazioni<br />

da esso, sacrificio che si prolunga sacramentalmente nella messa.<br />

È dunque unicamente come disposizioni, più o meno immediate,<br />

alla comunione del sacrificio eucaristico e come derivazioni da<br />

esso che tutti questi riti hanno un significato.<br />

È quindi naturale che la logica delle cose abbia indotto la<br />

Chiesa a celebrare anche i riti da essa istituiti, in modo speciale<br />

l'ufficiatura divina e i sacramentali — specialmente le più importanti<br />

tra le benedizioni e le consacrazioni — in intima relazione<br />

con il sacrificio <strong>della</strong> messa.<br />

È così, per esempio, che l'ideale cui tende la <strong>liturgia</strong> è che la<br />

celebrazione <strong>della</strong> messa, almeno di quella conventuale, faccia<br />

immediatamente seguito alla recita d'una parte dell'ufficio; che le<br />

grandi benedizioni e consacrazioni (benedizione d'un Abate, consacrazione<br />

d'una chiesa, d'una vergine, professione monastica) avvengano<br />

nel corso di una messa; che le esequie dei defunti siano<br />

fatte in connessione con la messa e dallo stesso sacerdote che l'ha<br />

celebrata. È noto pure che molto presto si usò fare la benedizione<br />

di un gran numero di oggetti (acqua, latte, miele, olio per gli infermi,<br />

ma specialmente cibarie di ogni specie: uva, fagiolini, uova,<br />

agnello pasquale, pane, vino, frutta) nel corso stesso <strong>della</strong> messa,<br />

alla fine del canone alla formula : per quem haec omnia 17 . La<br />

stessa struttura dell'ufficiatura fu saldamente riallacciata alla messa<br />

del giorno, per esempio mediante la recita <strong>della</strong> stessa orazione.<br />

17 Vedi J. A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, ed. ital. Torino 1954 II p. 199 ss.


182 CAP. V • NOZIONE DELLA LITURGIA E MESSA<br />

4. IL SENSO DELLE FESTE LITURGICHE<br />

E DEI CICLI LITURGICI<br />

Dal fatto che, nella messa, sotto il velo dei segni sensibili ed<br />

efficaci, vivono e si concentrano al sommo grado tutte le fasi del<br />

mistero di Cristo, storia sacra, presenti, passate e future e che<br />

tutte le altre parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sono ordinate alla messa come<br />

al loro centro, ci è dato, finalmente, di capire quale sia il <strong>senso</strong> delle<br />

feste liturgiche e dei cicli liturgici. Se, infatti, nella messa si concentrano<br />

sacramentalmente e liturgicamente col sommo grado di<br />

espressione e di efficacia tutte le fasi del mistero di Cristo, bisogna<br />

dire che ogni messa è Avvento, Natale, Epifania, Giovedì Santo,<br />

Venerdì Santo, Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Cristo Re, Ognissanti.<br />

Una festa liturgica non può essere qualcosa che non sia già<br />

realmente contenuto in ogni e singola messa.<br />

Ecco, dunque, la relazione precisa tra ogni e singola messa e<br />

una festa liturgica: teologicamente e liturgicamente, ogni messa<br />

esprime sinteticamente e, a suo modo, realizza efficacemente, tutto<br />

il mistero di Cristo. Ma noi, siamo così fatti nella nostra limitata<br />

capacità psicologica, che non possiamo penetrare in una sola volta<br />

tutte le ricchezze <strong>della</strong> grazia del mistero di Cristo, che si esprime<br />

e si realizza sinteticamente in ogni messa in un sol punto dello<br />

spazio e del tempo. Abbiamo dunque bisogno che questo mistero<br />

ci venga successivamente come scomposto e analizzato nei suoi<br />

diversi aspetti, sempre tutti e simultaneamente presenti, affine di<br />

poter concentrare successivamente, con calma e con sufficiente<br />

efficacia psicologica, la nostra attenzione ora sopra uno e ora sopra<br />

l'altro ed arrivare così, pian piano, a penetrarci sempre più del<br />

<strong>senso</strong> pieno di ogni singola messa. Questo mettere liturgicamente<br />

in rilievo ora l'uno ora l'altro dei diversi aspetti dell'unico mistero<br />

di Cristo che si realizza simultaneamente in ogni messa, si chiama,<br />

appunto, celebrare una festa liturgica 18 .<br />

Parecchie feste si organizzano liturgicamente in cicli di feste,<br />

ossia in insiemi organici e periodicamente ricorrenti. Si lascia, naturalmente,<br />

a una trattazione speciale la spiegazione particolareggiata<br />

<strong>della</strong> formazione storica e del contenuto <strong>teologico</strong> liturgico<br />

dei singoli cicli liturgici. Qui basta accennare al loro significato<br />

generico in rapporto all'espressione liturgica generale del mistero<br />

di Cristo, storia sacra.<br />

Come si è detto nel capitolo II 19 , la chiave per capire il significato<br />

di ogni festa o ciclo liturgico, è la considerazione del suo<br />

J 8 Vedi O. CASEL, Zur Idee der liturgischen Festfeier, in: Mysterium, Gesamiielte<br />

Arbeiten taacher Monche, Munster 1926 pp. 53-61.<br />

'» p. 102 s.


MESSA E CICLI LITURGICI 183<br />

oggetto proprio, sullo sfondo <strong>della</strong> storia sacra, secondo i quattro<br />

piani significativi di ogni segno liturgico: piano dimostrativo, rimemorativo,<br />

morale impegnativo, escatologico.<br />

Vi è il ciclo del tempo e il ciclo dei santi; nella <strong>liturgia</strong> romana<br />

il ciclo festivo del tempo comprende il periodo di feste avvento-Epifania<br />

e il periodo di feste settuagesima-Pentecoste. <strong>Il</strong> periodo festivo<br />

avvento-Epifania esprime tutto il mistero di Cristo, ma sotto<br />

l'aspetto di venuta epifanica del Signore. La venuta epifanica del<br />

Signore vi è considerata continuamente e variamente secondo tutti<br />

i diversi piani o fasi in cui si svolge il mistero di Cristo: il piano<br />

<strong>della</strong> preparazione storica alla venuta del Signore (l'Antico Testamento<br />

considerato come tensione a preparazione, annunzio, prefigurazione<br />

<strong>della</strong> venuta epifanica del Signore); il piano <strong>della</strong> realizzazione<br />

storica <strong>della</strong> venuta del Signore nella sua nascita e manifestazione<br />

sulla terra (Natale, Epifania); il piano <strong>della</strong> sua realizzazione<br />

mistica nel periodo attuale, la quale è liturgica nel sacrificio<br />

e nei sacramenti e sacramentali, ed extraliturgica ma preparatrice<br />

alla <strong>liturgia</strong> e da essa derivante, nella trasformazione privata morale<br />

ascetica delle singole anime quale impegno morale e risposta<br />

alla venuta liturgica del Signore; finalmente, il piano <strong>della</strong> venuta<br />

escatologica del Signore, già ora annunziata, prefigurata, iniziata<br />

nella sua venuta mistica e che si compirà perfettamente nel suo<br />

secondo avvento, proclamato ed atteso. <strong>Il</strong> Signore doveva venire:<br />

il Signore venne; il Signore viene ogni giorno, nelle singole anime<br />

per via sacramentale, specialmente nella messa, per via morale<br />

nella vita morale di ognuno; il Signore verrà: ecco i temi essenziali<br />

di questo ciclo liturgico. Basta scorrere da questo punto di vista<br />

il messale e il breviario di questo periodo per accorgersene.<br />

È in un <strong>senso</strong> analogo che va capito tutto il ciclo <strong>della</strong> settuagesima-Pentecoste.<br />

Qui, di nuovo, è tutto il mistero di Cristo che<br />

viene considerato, ma sotto il concetto di redenzione. 1. Redenzione<br />

resa necessaria, annunziata, preparata, prefigurata nell'Antico Testamento;<br />

2. redenzione realizzata storicamente nella vita di Cristo<br />

e principalmente nella sua passione, morte, discesa agl'inferi, risurrezione,<br />

ascensione e seduta nella gloria alla destra del Padre;<br />

3. redenzione realizzata e realizzantesi continuamente nella Chiesa<br />

a partire dalla pentecoste, anzitutto mediante la comunicazione<br />

dello Spirito Santo fatta da Cristo alla Chiesa e la fondazione<br />

anche visibile di questa Chiesa come unica istituzione sociale di salvezza<br />

(festa di Pentecoste); poi realizzantesi ulteriormente nelle<br />

singole anime. Questa ulteriore realizzazione nelle singole anime,<br />

si fa per via liturgica ed extraliturgica. Per via liturgica massimamente<br />

nel sacrificio e nei sacramenti: sacramenti dell'iniziazione<br />

cristiana dati ufficialmente la notte del sabato santo e nella vigilia<br />

<strong>della</strong> Pentecoste, sacramento <strong>della</strong> penitenza nella riconciliazione<br />

dei penitenti il giovedì santo, sacramento dell'ordine dato nelle<br />

quattro tempora. Per via extraliturgica, ma come preparazione e<br />

derivazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>: nella vita morale e ascetica di ogni fé-


184 CAP. V - NOZIONE DELLA LITURGIA E MESSA<br />

dele: in specie digiuno, penitenza, elemosina, buone opere, tutte<br />

cose messe fortemente in rilievo liturgico nel periodo quaresimale;<br />

4. finalmente, redenzione piena, futura, escatologica nella risurrezione<br />

gloriosa e nella gloria beata, cui ci prepara la realizzazione<br />

sempre più perfetta <strong>della</strong> redenzione in noi fatta già in questa vita<br />

nel modo suddetto. Queste idee sono la chiave per capire questo<br />

periodo di feste liturgiche.<br />

È facile vedere come i due grandi cicli festivi del tempo nella<br />

<strong>liturgia</strong> romana non facciano altro, ognuno a suo modo, che mettere<br />

psicologicamente in rilievo ed analizzare successivamente, per metterla<br />

più facilmente alla nostra portata, una realtà che già si trova<br />

intera e simultaneamente in ogni singola messa.<br />

In modo analogo le feste mariane, le feste degli angeli, le feste<br />

dei santi, non fanno altro che mettere ognuna in rilievo qualche<br />

aspetto del mistero di Cristo già presente in ogni messa. Quelle<br />

<strong>della</strong> Madonna non fanno altro che mettere particolarmente in<br />

rilievo il posto che, per disposizione divina, compete a Maria in<br />

questo stesso mistero: le meraviglie di Dio in Maria già, in qualche<br />

modo, preparate e prefigurate nell'Antico Testamento, per renderla<br />

atta a disimpegnare la parte che le aveva assegnata nella realizzazione<br />

del mistero di Cristo ai diversi suoi piani; l'azione effettiva<br />

di Maria in questa stessa realizzazione, nella sua vita terrena, e<br />

ora nella gloria. Così nella <strong>liturgia</strong>, accanto al mistero di Cristo,<br />

si svolge ih modo parallelo, ma in <strong>senso</strong> molto lato e in tutto<br />

subordinato al mistero di Cristo di cui fa parte, il mistero di<br />

Maria : preparato nell'Antico Testamento, realizzato storicamente<br />

nella sua vita terrena, ed operante ora misticamente nelle anime<br />

in quanto le dispone a ricevere e vivere il mistero di Cristo.<br />

Le feste degli angeli considerano la parte degli angeli in questa<br />

stessa storia sacra, mistero di Cristo, ai suoi diversi piani, dal principio<br />

del mondo ai trionfi dell'apocalisse. Infatti, come si dovrà<br />

meglio spiegare in un prossimo capitolo, la storia sacra, mistero<br />

di Cristo, anche nel suo riflesso liturgico, è un tutto cosmico che<br />

include anche gli angeli.<br />

Le feste dei santi mettono in rilievo i frutti e i modelli <strong>della</strong><br />

redenzione di Cristo tra gli uomini. <strong>Il</strong> mistero di Cristo sempre<br />

in atto tra gli uomini, agisce in ognuno di essi con sfumature<br />

speciali. Nessuno realizza perfettamente e sotto tutti gli aspetti,<br />

questo mistero che è riprodurre in sé i tratti di Cristo; ognuno<br />

ne riproduce in modo speciale qualche tratto particolare, e così<br />

ognuno ha la sua fisionomia propria e un posto particolare a Lui<br />

assegnato da Dio nella realizzazione generale di questo mistero<br />

tra gli uomini. La festa di Ognissanti mette in rilievo l'aspetto<br />

escatologico trionfale finale del mistero di Cristo, la Gerusalemme<br />

celeste, termine ultimo di questo mistero, di tutta la storia sacra,<br />

mistero <strong>della</strong> Chiesa, e quindi di tutta la <strong>liturgia</strong>. Come è ovvio,<br />

tutte queste cose sono già presenti sinteticamente in ogni messa.<br />

Ed è per questo che ' tutte le feste si celebrano sempre essen-


CONCLUSIONE 185<br />

zialmente con l'unica stessa messa. I formulari diversi di cui essa,<br />

sempre la stessa, si veste, per così dire, nelle diverse occasioni,<br />

non fanno altro, appunto, che mettere maggiormente in rilievo<br />

ora l'uno ora l'altro dei punti tutti sempre presenti e che costituiscono<br />

l'unico e integrale mistero di Cristo 20 .<br />

* * *<br />

Concludendo questi capitoli intorno al concetto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

sullo sfondo <strong>della</strong> storia sacra, non sembra temerario affermare<br />

nuovamente le dimensioni cosmiche, spaziali e temporali, <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> sotto le sue umili apparenze di complesso di segni sensibili<br />

efficaci per mezzo dei quali Dio santifica la Chiesa e la Chiesa rende<br />

il suo culto a Dio. Alla luce del mistero di Cristo vissuto nella<br />

<strong>liturgia</strong> così compresa, è sorprendente la profonda unità e semplicità<br />

che acquista il cosmo, tutta la storia e la vita cristiana. È un<br />

riflesso di quella unità e semplicità che le cose hanno agli occhi<br />

di Dio nel Cristo Gesù. L'intenzione di Dio, il suo piano nel creare<br />

il mondo e nel condurne la storia è unitario e semplicissimo: Christus<br />

heri et hodìe: ìpse et in scecula (Eb 13, 8). La <strong>liturgia</strong> non è<br />

altro che l'attualizzazione sempre in atto di questa verità sotto il<br />

velo dei segni sensibili efficaci, attualizzazione plenariamente realizzata<br />

nella comunione al sacrifìcio del Golgota mistico, preparata<br />

negli altri sacramenti, nei sacramentali e nelle cerimonie, acclamata<br />

e contemplata nella lode divina donec veniat.<br />

20 Sul <strong>senso</strong> delle feste <strong>della</strong> Madonna e dei Santi nel quadro <strong>della</strong> celebrazione<br />

del mistero di Cristo vedi anche CL, art. 103; 104.


PARTE SECONDA<br />

LA LITURGIA E LE LEGGI GENERALI<br />

DELL'ECONOMIA DIVINA NEL MONDO


CAPITOLO VI<br />

LA LITURGIA E LA LEGGE DELL'OGGETTIVITÀ<br />

Avere una visione netta <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in rapporto alle grandi<br />

prospettive <strong>della</strong> rivelazione cristiana è indispensabile per capire<br />

esattamente la sua natura e la sua funzione nel cristianesimo. È<br />

per questo che nella spiegazione del concetto di <strong>liturgia</strong> abbiamo<br />

avuto costante cura di prospettarne la natura sullo sfondo <strong>della</strong><br />

storia sacra, concetto questo che sintetizza appunto il quadro<br />

dell'economia di Dio verso le creature e <strong>della</strong> risposta delle creature<br />

a Dio nella visione cristiana del cosmo. Ma questo inquadramento,<br />

fin qui, non ha potuto essere che molto generico: i punti<br />

di contatto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> con le costanti e con le grandi leggi che<br />

governano effettivamente i rapporti tra Dio e le creature, non<br />

sono stati, per lo più, che accennati. E indispensabile ritornarci<br />

sopra e analizzarne più comodamente almeno gli aspetti principali.<br />

Questi punti principali che interessano maggiormente il concetto<br />

di <strong>liturgia</strong>, possono assommarsi, credo, a sei: 1. La legge dell'oggettività.<br />

2. <strong>Il</strong> movimento cristologico-trinitario <strong>della</strong> salvezza. 3. La<br />

legge dell'unico liturgo e dell'unica <strong>liturgia</strong>, come maggiore spiegazione<br />

del movimento cristologico-trinitario. 4. La legge comunitaria<br />

<strong>della</strong> salvezza. 5. La legge dell'incarnazione. 6. La legge dell'unitotalità<br />

cosmica <strong>della</strong> salvezza. Analizzando queste somme leggi che,<br />

per la natura stessa delle cose e per libera volontà positiva di Dio,<br />

comandano i rapporti tra Dio e le creature nell'ordine effettivamente<br />

da Lui voluto, si vedrà meglio come la <strong>liturgia</strong> non sia che<br />

un caso particolare di queste prospettive generali che esprimono<br />

la quintessenza <strong>della</strong> visione cristiana del mondo; anzi si vedrà<br />

come proprio nella <strong>liturgia</strong> queste leggi raggiungano per noi la<br />

loro massima concretizzazione ed applicazione.


190 CAP. VI - LEGGE DELL'OGGETTIVITÀ<br />

1. OGGETTIVISMO, SOGGETTIVISMO E LITURGIA<br />

Chiamo la prima legge, legge dell'oggettività. Sotto questo<br />

nome intendo esprimere il fatto che la via per cui Dio si comunica<br />

all'uomo e l'uomo raggiunge Dio come il suo fine e quindi la propria<br />

salvezza, non è lasciata al capriccio dell'uomo e nemmeno alla sua<br />

libera scelta, ma, in fin dei conti, gli è oggettivamente imposta non<br />

solo dalla sua natura, e quindi da Dio autore <strong>della</strong> natura, ma,<br />

inoltre, dalla libera volontà positiva di Dio. L'uomo, se vuol salvarsi,<br />

non può far altro che accettare liberamente questa via oggettiva<br />

segnatagli positivamente da Dio, adattarsi a questo dato di<br />

fatto.<br />

Non già che non entri in gioco la nostra libertà, il nostro<br />

soggetto. Anzi è proprio il nostro soggetto, la nostra libera personalità,<br />

che Dio richiede da noi. Ma questo nostro soggetto non può<br />

svilupparsi, compiersi, essere pienamente se stesso, salvarsi, che<br />

nella libera accettazione, nel libero sottomettersi a queste realtà<br />

da sé distinte, oggettivamente proposte, indipendenti da lui. <strong>Il</strong><br />

soggetto non ha valore che se normato e tutto misurato dall'oggetto<br />

da lui indipendente. Questa realtà normatrice, impostaci da Dio<br />

come via e misura nel nostro avvicinarci a Lui, è Cristo Figlio di<br />

Dio incarnato; è la Scrittura; sono i sacramenti; è la Chiesa, come<br />

popolo di Dio" fuori dal quale non c'è salvezza, popolo di Dio organizzato<br />

in tale e tale modo gerarchico, sotto legittimi pastori, con<br />

a capo il Papa; sono le norme interpretative e propositive del<br />

magistero. Tutta la <strong>liturgia</strong>, come mezzo nei nostri rapporti con<br />

Dio, è improntata a questa legge dell'oggettività. È un caso particolare<br />

di questa legge suprema.<br />

Di qui si capisce subito una delle ragioni per cui la <strong>liturgia</strong> è<br />

così ostica alla cosiddetta mentalità moderna, intesa in <strong>senso</strong> peggiorativo.<br />

Se le vie di Dio sono comandate dalla legge dell'oggettività,<br />

le vie dell'uomo moderno sono tutte incentrate sulla legge<br />

<strong>della</strong> soggettività, e, fuori <strong>della</strong> Chiesa, arrivano fino al soggettivismo<br />

più esasperato. <strong>Il</strong> soggetto, si sa, è una delle conquiste, come<br />

si suol dire, dell'uomo moderno; anzi, in qualche modo, è, si dice,<br />

la conquista delle conquiste, perché tutte le altre si assommano<br />

in quest'unica. <strong>Il</strong> mondo moderno è tutto incentrato sulla ricerca<br />

dell'esperienza soggettiva; in questa esso mette tutto il suo valore.<br />

E non già, si badi bene, nell'esperienza soggettiva come riflesso<br />

e frutto del soggetto in contatto coU'oggetto, ma come cosa valente<br />

in se stessa e per se stessa, indipendentemente dall'oggetto. L'oggetto,<br />

nelle forme più acute di questa tendenza, diventa cosa<br />

secondaria, trascurabile, semplice riflesso, si crede, del soggetto<br />

che lo crea, oggettivando, come si dice, il proprio io. Si conoscono<br />

così quei temi <strong>della</strong> vita come assoluta libertà in conquista inde-


SOGGETTIVISMO E LITURGIA 191<br />

finita su se stessa; di Dio come creazione oggettivata di questa<br />

stessa libertà; di tutta la vita religiosa come fase ed espressione<br />

ancora rozza dell'immancabile spontaneità creatrice; delle religioni<br />

tutte ugualmente buone perché tutte frutto di un'esperienza<br />

religiosa.<br />

Quando la mentalità soggettivista è arrivata a queste fasi di<br />

sviluppo, è facile capire come essa si trovi agli esatti antipodi <strong>della</strong><br />

mentalità che forma il mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Questo, infatti, è tutto<br />

un mondo di oggettività, messe lì da Dio e a cui noi non dobbiamo<br />

far altro che adattarci. La realtà liturgica è Cristo; Cristo presente<br />

che fu immolato ed è ora glorioso; che trasmette la sua vita divina,<br />

realmente, oggettivamente; che esercita la sua mediazione in un<br />

determinato modo, sotto il velo di cose sensibili e simboliche; è<br />

un popolo, la Chiesa, ufficialmente presente, gerarchicamente agente,<br />

che accetta Cristo, la sua realtà, la sua azione, la sua mediazione<br />

sotto quel velo di cose sensibili e simboliche, a questa realtà si<br />

sottomette, e in questa sua accettazione e sottomissione comunica<br />

con Dio e realizza la sua vita. Noi diciamo che nella realtà liturgica<br />

il soggetto individuo è presente, agisce. Anzi affermiamo che senza<br />

questa sintonia del soggetto individuo, questa realtà, in lui, non<br />

sortisce il suo effetto, non lo salva, perché, per lui, tutto si ridurrebbe<br />

a pura esteriorità e meccanicità. Ma diciamo altresì che nella<br />

realtà liturgica la soggettività non è il deus ex machina creatore<br />

del tutto. Essa è una realtà che si compie solo come sintonia alla<br />

realtà oggettiva; da essa prende le sue mosse e la sua norma. <strong>Il</strong><br />

mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> afferma fortemente quest'assioma che per<br />

l'uomo non vi è creatività e conquista se non vi è previamente<br />

sottomissione non solo alle leggi dell'essere in genere e <strong>della</strong> natura,<br />

ma anche alle norme determinate da Dio liberamente e positivamente,<br />

oltre e al di là delle leggi <strong>della</strong> natura, sebbene mai in<br />

contraddizione con le stesse.<br />

Cosa può significare per un idealista kantiano, gentiliano o crociano<br />

che sia, per un vitalista e intuizionista tipo Bergson, per un<br />

esistenzialista del ramo Jaspers, Heidegger, Sartre: unirsi alla realtà<br />

di Cristo presente nel sacrificio sotto il velo di cose sensibili e<br />

simboliche; salvarsi nella recezione dei sacramenti operanti ex<br />

opere operato; pregare col popolo di Dio? Tutto questo, nell'ipotesi<br />

idealista, se ha ancora qualche <strong>senso</strong> e valore, non può averlo<br />

che come incitamento esterno, ancora rude e grossolano, a pensieri<br />

di dottrina e affetti di volontà; come puro incitamento alla libertà<br />

e all'esperimento interni. Ma così siamo mille miglia lontani dall'oggettivismo<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in cui l'unione a Cristo significa immensamente<br />

più che una semplice unione di pensiero e di affetto.<br />

Vi è di mezzo tutta la realtà <strong>della</strong> grazia come elevamento fisico<br />

all'ordine divino e <strong>della</strong> sacramentalità nella trasmissione di questa<br />

grazia.<br />

E dunque impossibile penetrare nel mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> senza<br />

una mentalità oggettivista, o se si preferisce, senza una mentalità


192 CAP. VI - LEGGE DELL'OGGETTIVITÀ<br />

realista, in cui i valori <strong>della</strong> soggettività e <strong>della</strong> interiorità non si<br />

realizzano che nella sintonia del soggetto con l'oggetto da sé distinto<br />

e indipendente. Così, a proposito di un punto particolare, la <strong>liturgia</strong>,<br />

tocchiamo nuovamente con mano la prpfonda unità di tutta la visione<br />

cattolica del mondo, fondamentalmente realista e oggettivista<br />

su tutta la linea.<br />

È l'equilibrio specificamente cattolico del binomio soggetto-oggetto;<br />

equilibrio che afferma fortemente non solo la realtà Inconfondibile<br />

dei due poli senza mai permettere che uno dei due termini<br />

sia soppresso per lasciare sussistere solo l'altro, ma che vuole, inoltre,<br />

che i due termini salvaguardati nella loro individualità, siano<br />

accuratamente subordinati l'uno all'altro e cioè il soggetto subordinato<br />

all'oggetto e prendente in tutto da lui la sua norma.<br />

L'oggetto e la norma oggettiva nel cattolicesimo significa : Dio,<br />

Cristo, la Chiesa coi suoi poteri di santificazione, di governo e di<br />

magistero, i sacramenti, i sacramentali, le preghiere, le cerimonie.<br />

La reazione individuale ed intima del soggetto significa: l'uomo.<br />

La subordinazione del soggetto all'oggetto significa: il vibrare dell'uomo<br />

di fronte alla realtà eristica, ecclesiale e liturgica immedesimandosi<br />

ad essa e prendendo da essa la sua norma. Equilibrio<br />

di maneggiamento più delicato di quanto si possa credere a prima<br />

vista. Anche solo uno spostamento, sia pur tendenziale, <strong>della</strong> preoccupazione<br />

intima e dell'accento messo sui diversi fattori, non sarebbe<br />

senza ripercussioni sul modo di considerare la <strong>liturgia</strong> e<br />

la sua funzione nella vita cristiana. Tale sarebbe, per esempio, un<br />

forte aumento dato all'introspezione, all'autoanalisi, all'esperienza<br />

psicologica dei propri stati intimi e delle reazioni delle proprie<br />

facoltà del conoscere, del volere e del sentire sia pure dinanzi a<br />

Dio e a Cristo, ma con la tendenza più o meno conscia a fermarsi<br />

alla propria esperienza, alle proprie reazioni psicologiche, ai propri<br />

atti psichici, ai propri stati fruitivi, come alla cosa essenziale e<br />

primariamente desiderata nei nostri rapporti con Dio: invece di<br />

considerare, come cosa essenziale e primaria, semplicemente Dio<br />

stesso e Cristo stesso, ossia l'oggetto dei nostri atti e nient'altro<br />

che lui. Rottura dell'equilibrio non meno fatale alla comprensione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e alla sua efficacia sarebbe pure, naturalmente, il fermarsi<br />

talmente all'oggettività, al dato estrinseco oggettivamente<br />

posto di fronte, da non preoccuparsi più di sintonizzarsi soggettivamente<br />

con lui, di vibrare come individualità intima dinanzi a<br />

lui, di farlo suo interiorizzandolo. Morto estrinsecismo senza ripercussione<br />

intima e vitale nel soggetto e psicologismo interiorista<br />

individualista a tendenza egocentrica, ecco i due grandi nemici<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.


OGGETTO-SOGGETTO NELLA LITURGIA 193<br />

2. SFUMATURE DI ATTEGGIAMENTI DIVERSI POSSIBILI<br />

E IL PIENO RENDIMENTO DELLA LITURGIA<br />

La <strong>liturgia</strong> non può avere pieno rendimento che in un clima<br />

in cui la maestà trascendente dell'oggetto impera fortemente nella<br />

psicologia del soggetto e il soggetto interiorizza l'oggetto rispondendo<br />

vitalmente alla norma oggettiva.<br />

È per questo che nel campo dell'equilibrio da osservare tra<br />

oggettività e soggettività, esteriorità ed interiorità, ci possono<br />

essere tra i cattolici stessi ed entro i limiti <strong>della</strong> più incensurabile<br />

ortodossia, delle sfumature diverse negli atteggiamenti generali,<br />

che non tutte saranno in ugual modo favorevoli alla piena comprensione<br />

e alla piena efficacia <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Naturalmente, tra<br />

cattolici, non si potrà trattare che di sfumature nella salvaguardia<br />

dei punti essenziali ed invalicabili. Nel campo cattolico non vi è<br />

e non vi può essere pietà o spiritualità che non sia in qualche<br />

modo fondamentalmente oggettivista, dunque sacrificale, sacramentale,<br />

ecclesiale e quindi liturgica. Come anche non vi può essere<br />

spirito e pietà liturgica realmente cattolica che non includa e si<br />

preoccupi essenzialmente <strong>della</strong> cooperazione e sintonia vitale individuale,<br />

personale, del soggetto di fronte alle realtà oggettive, liturgiche,<br />

sacrificali, sacramentali, ecclesiali. Su questo punto, che<br />

dovrebbe essere chiaro per tutti, hanno nuovamente attirato l'attenzione<br />

il concilio vaticano II e l'enciclica Mediator Dei 1 . <strong>Il</strong> richiamo<br />

era senza dubbio opportuno contro la mentalità nebulosa di taluni,<br />

che, facendosi paladini di una certa pietà da essi chiamata « oggettiva<br />

», identificata con la pietà liturgica e da essi opposta ad una<br />

pietà « soggettiva », in realtà non proponevano altro* come è stato<br />

giustamente detto -, che « una caricatura di pietà che trasformerebbe<br />

la <strong>liturgia</strong> in una specie di magìa ». Su questa questione avremo<br />

agio di ritornare ancora nel capitolo dove tratteremo esplicitamente<br />

<strong>della</strong> spiritualità liturgica. Lì si vedrà come, in pratica,<br />

l'efficacia <strong>della</strong> stessa <strong>liturgia</strong> impone che il fedele sia munito di<br />

una forte interiorità di vita spirituale che non sia affatto limitata<br />

ai soli momenti dell'assistenza alla <strong>liturgia</strong>, ma che pervada tutta<br />

la vita anche extraliturgica; forte interiorità concepita però, sempre<br />

come preparazione all'azione liturgica, e come sua conseguenza<br />

e quindi in stretta, prossima, e non solo remota, connessione<br />

con essa.<br />

Ammesso dunque che le differenze che si possono manifestare<br />

tra cattolici in questo campo toccano soltanto certe sfumature<br />

i CL art. 12; 14; MD nn. 26-32.<br />

- A. M. ROGUET, nell'edizione dell'enciclica a p. 15 nota 28.<br />

7 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


194 CAP. VI - LEGGE DELL'OGGETTIVITÀ<br />

che, dal punto di vista <strong>della</strong> fede e dell'ortodossia, devono essere<br />

considerate questioni solo secondarie, non si può negare, credo,<br />

che queste stesse sfumature di atteggiamento generale riguardo<br />

alla questione soggetto-oggetto, dal punto di vista <strong>della</strong> comprensione<br />

e <strong>della</strong> piena efficacia <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, abbiano la loro reale<br />

importanza. Può dunque esistere in un cattolico, nella piena salvaguardia<br />

dei limiti dell'ortodossia, una forma di mente che di<br />

fronte al binomio oggetto-soggetto è indirizzata in tal modo all'aspetto<br />

soggetto, individuo, esperienza psicologica personale, autodeterminazione,<br />

autocoscienza dei propri atti psicologici, anziché<br />

all'aspetto oggetto, realtà sacrificali, sacramentali, comunitarie,<br />

ecclesiali, che avrà tendenza a diminuire assai, e forse anche a<br />

ridurre al minimo indispensabile, il contatto col mondo liturgico.<br />

Essa si rifugerà di preferenza in una forma di pietà più individuale<br />

e, per lo meno, extraliturgica, in connessione solo assai tenue e<br />

remota con la <strong>liturgia</strong> stessa. Questa pietà più individuale ed extraliturgica<br />

gli parrà imporre minori legami alla libertà e creatività<br />

spirituale individuale e soddisfare maggiormente alla forte preoccupazione<br />

di autodeterminazione, d'introspezione psicologica, di<br />

autoanalisi e di autocoscienza dei propri atti psichici; mentre un<br />

contatto meno parsimonióso con la <strong>liturgia</strong> gli parrà d'impedimento,<br />

o almeno di distrazione e quindi meno efficace, allo scopo che si<br />

propone.<br />

Per chi vuol penetrare a fondo il mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e sperimentarne<br />

l'efficacia a pieno rendimento, il predetto atteggiamento<br />

generale di spirito non è il più adatto. Infatti questo mondo accentua<br />

fortemente la norma oggettiva <strong>della</strong> salvezza come dato indipendente<br />

dal soggetto; si preoccupa bensì di indurre il soggetto<br />

a delle determinazioni, a degli atti personali e a degli stati psicologici<br />

individuali e sentiti, ma tutto questo aspetto soggettivo è<br />

fortemente concepito come la dovuta risposta del soggetto alla<br />

norma oggettiva che Dio gli pone davanti; come un sintonizzarsi<br />

del soggetto alle realtà liturgiche, sempre al primo piano <strong>della</strong><br />

coscienza, come un appropriarsi queste realtà, come un partecipare<br />

ad esse.<br />

In questo mondo liturgico ci si preoccupa fortemente che l'attività<br />

del soggetto, le sue esperienze psicologiche personali, in questo<br />

incontro in Cristo tra Dio e l'uomo, pur ritenute indispensabili,<br />

non vengano malintese come se avessero valore di salvezza indipendentemente<br />

dall'oggetto ossia dalla realtà eristica, sacrificale,<br />

sacramentale, ecclesiale. Perciò più che preoccuparsi costantemente<br />

d'introspezione psicologica per analizzare il proprio stato psichico,<br />

il mondo liturgico porta anzitutto l'attenzione e lo sguardo su Dio<br />

e le realtà oggettive: Cristo, mistero di Cristo, redenzione, Chiesa.<br />

Non che, ancora una volta, il soggetto non badi a se stesso, ma,<br />

per lo più, si conosce come di obliquo per connotamento; come chi,<br />

in un determinato campo visuale ove sono molti oggetti, fissando<br />

il suo sguardo sopra uno di questi, vede bensì anche gli altri, ma


OGGETTO-SOGGETTO NELLA LITURGIA 195<br />

come di sbieco e senza che vengano ad occupare il primo piano<br />

<strong>della</strong> sua coscienza, ove impera invece sovrano l'oggetto direttamente<br />

fissato. In <strong>liturgia</strong> la terapia del soggetto si fa più per concentramento<br />

del soggetto sull'oggetto che per ritorno del soggetto<br />

su se stesso 3 .<br />

Tutto questo ci aiuta a capire una delle cause, e probabilmente<br />

una delle più profonde, perché tra gli stessi cattolici, anche fervorosi<br />

e solleciti di vita spirituale intensa, non tutte le mentalità<br />

hanno portato per il passato, o portano ancora attualmente, a una<br />

comprensione ugualmente profonda <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e a una sua immissione<br />

ugualmente abbondante ed efficace nella vita 4 . Né pare<br />

casuale che ai giorni nostri, tra i cattolici che sentono ed esprimono<br />

più fortemente degli altri i bisogni <strong>della</strong> loro generazione, vi sia<br />

un ardente desiderio di riscoprire il mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Sono,<br />

per lo più, infatti, quegli stessi uomini che sentono la necessità<br />

di un equilibrio <strong>della</strong> vita più efficace per noi, nel quale, tra le altre<br />

cose, al dato oggettivo, realista e comunitario, sia data un'attenzione<br />

più diretta e molto maggiore di quanto è avvenuto nell'immediato<br />

passato, senza però rinnegare alcunché delle innegabili<br />

conquiste nel campo del' soggettivo e dell'individuale.<br />

Finaliiiente, quanto abbiamo precedentemente rilevato ci aiuta<br />

a capire come oggi il grande problema liturgico sia in fondo questo :<br />

come condurre i cristiani a vibrare nuovamente, come soggettività<br />

personali e individuali, dinanzi al mondo oggettivo delle realtà liturgiche:<br />

realtà eristica, sacrificale, sacramentale, comunitaria, ecclesiale,<br />

fino a farne il proprio mondo interiore, nell'armonia del soggetto<br />

e dell'oggetto e sotto il primato deli'oggetto come elemento<br />

determinante e regolatore.<br />

3 Un eccellente conoscitore <strong>della</strong> letteratura mistica moderna, Enrico Brémond,<br />

dopo aver analizzato le preghiere di un tale Duguet, passando poi a correnti<br />

di spiritualità di tipo liturgico, così si esprimeva : « Uno dei vantaggi di<br />

queste ultime (= le formule liturgiche), una delle loro glorie, è, appunto, di tagliare<br />

corto a queste introspezioni appassionate, di cui le preghiere di Duguet ci<br />

offrono un esempio tanto patetico e nello stesso tempo tanto sconcertante. La<br />

<strong>liturgia</strong> non solo non permette di esprimersi, e quindi di esaltarsi, a questa timidità<br />

quasi morbida, ma, inoltre, essa la guarisce, per così dire, quasi in radice.<br />

Impedendoci di pensare solamente a noi stessi, la <strong>liturgia</strong> ci fa vivere senza sforzo<br />

e a nostra insaputa, la religione più alta che è adorazione disinteressata e<br />

puro amore ». Histoire du sentiment religieux en France, X p. 288 nota 2.<br />

4 Chi desidera maggiori particolari sulla questione a cui qui accenniamo potrà<br />

leggere, per esempio, i cenni storici (purtroppo sono solo dei cenni) del P. J. A.<br />

JUNGMANN, Missarutn sollemnia ed. ital. I pp. 89-113; 121-129. Vedi pure la controversia<br />

cui accenna I. MENNESIER, in: S. Thomas d'A., Somme théologique, ed. rev.<br />

des jeunes, La religion I, Paris 1932 p. 327.


CAPITOLO VII<br />

DAL PADRE, PER CRISTO NELLO SPIRITO SANTO, AL PADRE:<br />

LA LITURGIA E IL MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

DELL'ECONOMIA DIVINA<br />

La via per cui Dio viene a noi e noi andiamo a Dio non è<br />

lasciata né al nostro capriccio né alla nostra scelta, ma ci è positivamente<br />

segnata da Dio stesso: è la legge dell'oggettività: il<br />

primo fondamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Qùal è poi più precisamente questa via, Dio ce l'ha manifestato<br />

per rivelazione. La rivelazione ci ammonisce in primo luogo che<br />

il Dio a cui dobbiamo andare è il Dio Trinità: Padre, Figliolo e<br />

Spirito Santo. In secondo luogo questa stessa rivelazione, per<br />

illuminare di più il nostro cammino, ci apre un meraviglioso<br />

spiraglio di luce sull'intero ciclo dei rapporti tra quel Dio Trinità<br />

e ognuno di noi. Ed ecco in breve questo ciclo: ogni bene ci viene<br />

dal Padre, per mezzo del suo Figlio incarnato, Gesù Cristo, nella<br />

presenza in noi dello Spirito Santo, e così è nella presenza dello<br />

Spirito Santo, per mezzo del Figlio incarnato Gesù Cristo, che<br />

tutto deve ritornare al Padre e raggiungere il suo fine, la beatissima<br />

Trinità. È il movimento cristologico-trinitario <strong>della</strong> storia sacra e<br />

<strong>della</strong> salvezza, dell'economia di Dio nel mondo. Tutta la struttura<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> presuppone questo movimento fuori del quale non è<br />

comprensibile. E poiché, sfortunatamente, si tratta di una realtà<br />

che oggi è poco familiare, è necessario soffermarsi qui più del<br />

solito per dimostrare nei particolari che questa realtà è quanto<br />

mai autentica e che tutta la <strong>liturgia</strong> ne è effettivamente imbevuta.<br />

1. DUE MODI DI CONSIDERARE LA TRINITÀ:<br />

IL MODO DEL NUOVO TESTAMENTO<br />

E DELLA TRADIZIONE PIÙ ANTICA<br />

Che senza il <strong>senso</strong> cristologico non si possa penetrare nel mondo<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, si capisce con relativa facilità. Ma che, per entrare<br />

nell'intimità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, questo <strong>senso</strong> cristologico vada come abbinato<br />

al <strong>senso</strong> trinitario, ecco quanto a molti riuscirà assai meno


DALL'UNITÀ ALLA TRINITÀ 197<br />

chiaro. Tanto più che oggi tanti cristiani, anche sinceri e fervorosi,<br />

sono abituati a considerare la Trinità non solo come il mistero più<br />

augusto ed impenetrabile <strong>della</strong> nostra fede, ma anche come la<br />

realtà più metafisicamente astratta di tutte le nostre credenze e<br />

quindi come la più lontana dalla concretezza <strong>della</strong> nostra vita vissuta<br />

e una di quelle che, effettivamente, incidono meno profondamente<br />

nella nostra psicologia religiosa di ogni giorno. Non si può<br />

negarlo: oggi il <strong>senso</strong> trinitario è molto debole. Dio, per molti, è<br />

il Dio dei filosofi o, se mai, dei giudei più che il Dio cristiano:<br />

Padre, Figliuolo e Spirito Santo.<br />

Dall'unità <strong>della</strong> natura alla trinità delle Persone<br />

e dalla trinità delle Persone all'unità <strong>della</strong> natura<br />

Questo stato di cose mi pare provenire principalmente da due<br />

abitudini mentali: anzitutto dall'abitudine di considerare il mistero<br />

dell'unità <strong>della</strong> natura divina e <strong>della</strong> trinità delle persone partendo<br />

dall'unità divina per aggiungere poi mentalmente, in un secondo<br />

istante psicologico, la trinità delle persone; poi dall'abitudine mentale<br />

di considerare questo stesso mistero <strong>della</strong> Trinità anzitutto<br />

dal punto di vista ontologico e metafisico intratrinitario. Per spiegare<br />

questi due fatti e le loro conseguenze si ponga mente a quanto<br />

segue.<br />

<strong>Il</strong> dogma <strong>della</strong> Trinità ha due termini: unità numerica di natura,<br />

trinità delle persone realmente distinte; il mistero sta propriamente<br />

nel come conciliare questi due termini. Ma, appunto<br />

perché comprende due termini antitetici: unità di natura e trinità<br />

delle persone realmente distinte, questo dogma può correttamente<br />

formularsi in due modi perfettamente ortodossi tanto l'uno che<br />

l'altro, ma tra i quali vi è una diversità di sfumature psicologicamente<br />

importante per la maniera diversa in cui si avvicinerà e si<br />

vivrà questo mistero. <strong>Il</strong> P. de Régnon, sin dal 1892, ha attirato fortemente<br />

l'attenzione dei teologi su questo punto tanto importante<br />

anche per la <strong>liturgia</strong> 1 .<br />

Infatti, nel formulare questo mistero, posso partire psicologicamente<br />

dall'unità <strong>della</strong> natura ed aggiungere poi mentalmente<br />

in un secondo tempo, quasi come correttivo alla prima affermazione,<br />

la trinità delle persone realmente distinte. Così dirò: in Dio<br />

la natura è numericamente una, però la fede mi dice che in tale<br />

unità di natura sussistono tre persone realmente distinte. Nell'attenzione<br />

psicologica di colui che così considera e formula il mistero<br />

<strong>della</strong> Trinità, l'unità <strong>della</strong> natura in Dio è al primo piano. Essa<br />

costituisce la base da cui si parte e di cui non si discute; base che<br />

appare chiara e certa anche perché è alla portata del solo ragio-<br />

1 TH. DE RÉGVON, Études de théologie positive sur la Sainte Triniti, 4 volumi,<br />

Paris 1892-98.


198 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

namento filosofico. Invece, la trinità delle persone realmente distinte,<br />

nell'attenzione psicologica di colui che così procede, sarà<br />

relegata al secondo piano, quasi come appendice e semplice correttivo<br />

all'affermazione chiara e psicologicamente preponderante dell'unità<br />

<strong>della</strong> natura. Si dirà: unità numerica <strong>della</strong> natura, ma tale<br />

che non impedisca la trinità delle persone realmente distinte.<br />

In questo modo di considerare la Trinità, la difficoltà, per il<br />

ragionamento, non sarà di salvare in Dio l'unità <strong>della</strong> natura, che<br />

questa anzi è chiara e ammessa come punto di partenza, ma sarà,<br />

invece, di salvare la distinzione reale delle tre persone. <strong>Il</strong> problema<br />

sarà: come in una natura numericamente una possono sussistere<br />

tre persone realmente distinte. Qui il vicolo cieco, per il ragionamento,<br />

è che non si vede come da una natura numericamente una<br />

si possano far uscire tre persone realmente distinte 2 . <strong>Il</strong> Dio dei<br />

filosofi, e, se mai, il Dio dell'Antico Testamento, è clamorosamente<br />

affermato e messo in salvo nella psicologia viva del credente; ma<br />

le tre persone realmente distinte: Padre, Figlio e Spirito Santo?<br />

<strong>Il</strong> pericolo psicologico, che minaccia colui che così considera il<br />

mistero <strong>della</strong> Trinità, è di non prendere abbastanza sul serio, dal<br />

punto di vista vitale, la distinzione reale delle tre persone in Dio,<br />

e, di fronte a Dio, di rifugiarsi in una psicologia da filosofo, o<br />

comunque da giudeo, tanto che Padre, Figliolo e Spirito Santo,<br />

specialmente. Padre e Spirito Santo 3 , siano nella psicologia religiosa<br />

realtà assai poco vive.<br />

In Occidente, dopo S. Agostino, prevalse questo modo di avvicinare<br />

il mistero trinitario 4 . Questo incise fortemente, coi suoi<br />

2 La teoria spiegativa, detta psicologica, <strong>della</strong> Trinità, inaugurata da S. Agostino<br />

piuttosto come descrizione psicologica intuitiva, trasposta da S. Anselmo<br />

sopra un piano metafisico e perfezionata da S. Tommaso, è appunto un tentativo,<br />

per fare intuire in qualche modo come ciò possa avvenire in questa visuale<br />

in cui si parte dall'unità <strong>della</strong> natura.<br />

3 Perché riguardo al Figlio se ne potrà conservare sempre una viva psicologia<br />

religiosa considerando il Figlio incarnato" Cristo; ma la coscienza del Padre<br />

e dello Spirito Santo, come persone distinte) sarà invece molto attenuata.<br />

Praticamente, nella psicologia religiosa, dominerà,Dio — il Dio dei filosofi, e,<br />

se mai, dell'Antico Testamento — e Cristo. In teologia si avrà un De Deo uno —<br />

molto, anzi, checché se ne dica, troppo, somigliante a una teodicea filosofica<br />

illustrata con testi <strong>della</strong> Scrittura e dei Padri — e una cristologia: mentre l'importanza<br />

del trattato <strong>della</strong> Trinità verrà necessariamente molto obnubilata.<br />

4 Cosa specialmente accentuata in S. Anselmo, il quale ebbe grande influsso<br />

sui teologi posteriori nel modo di considerare l'unità e la Trinità in Dio. S. Tommaso<br />

(Vedi A. MALET, Personne et amour dans la théologie trinitaire de S. Thomas<br />

d'A., Paris 1956), determinando il concetto ontologico <strong>della</strong> persona in Dio<br />

come relazione sussistente e distinguendo nella questione delle processioni il<br />

principio che produce (principium quod: la persona) e il principio mediante il<br />

quale produce (principium quo: la natura comune) ha potuto accentuare l'aspetto<br />

« personalista » nella tradizione agostiniana e anselmiana. Ma quelle distinzioni<br />

riguardavano l'aspetto metafisico intratrinitario <strong>della</strong> vita divina e non<br />

cambiarono la psicologia generale nel modo di considerare la Trinità in occidente<br />

ove la questione rimase come da « uno » arrivare a « tre » e il mistero<br />

si concentrò sul « tre ». Vedi C. VAGAGGINI, La hantise des rationes necessariae<br />

de St. Anselme dans la théologie des processions de S. Thomas, in: Spicilegium<br />

Beccense I 1959 pp. 103-39.


DALL'UNITÀ ALLA TRINITÀ 199<br />

vantaggi e i suoi svantaggi, non solo sulla maniera in cui, tra noi, ci<br />

si sforzò di spiegare in teologia la dottrina trinitaria e si prospettò<br />

l'intero problema di Dio, ma anche sul modo in cui la Trinità fu<br />

presentata nei catechismi e nella predicazione.<br />

È comunque certo che questo modo di considerare la Trinità,<br />

per quanto, lo ripetiamo, perfettamente legittimo dal punto di vista<br />

<strong>teologico</strong> — anzi, da questo punto di vista avente, come si è detto,<br />

i suoi reali vantaggi, quello anzitutto di tagliar corto sin dal principio<br />

al pericolo ariano — e per quanto ortodosso dal punto di<br />

vista <strong>della</strong> fede, non è il punto di vista sotto il quale la Trinità<br />

viene anzitutto presentata nella Scrittura e, di conseguenza, come<br />

al solito, nella <strong>liturgia</strong>. Esso quindi non prepara a penetrare la profondità<br />

delle reali dimensioni trinitarie <strong>della</strong> visione cristiana del<br />

mondo e <strong>della</strong> vita nel Nuovo Testamento e nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Vi è, infatti, un,, altro modo possibile di formulare lo stesso<br />

mistero <strong>della</strong> Trinità, partendo mentalmente non già dall'unità<br />

<strong>della</strong> natura, per aggiungere poi in un secondo momento psicologico<br />

la trinità delle persone realmente distinte, ma seguendo il<br />

processo inverso, partendo, cioè, dalla trinità delle persone realmente<br />

distinte, Padre, Figliolo, Spirito Santo, e aggiungendo poi,<br />

in un secondo momento psicologico, che queste tre persone realmente<br />

distinte sussistono in una natura numericamente una. In<br />

questo modo di considerare la Trinità, è la distinzione delle tre<br />

persone che è al primo piano <strong>della</strong> coscienza del credente, mentre<br />

l'unità <strong>della</strong> natura è relegata, per così dire, al secondo piano, quasi<br />

come correttivo dell'affermazione <strong>della</strong> distinzione reale delle tre<br />

persone. Qui il problema dinanzi al quale viene a trovarsi il ragionamento<br />

<strong>teologico</strong>, sarà: come, nella distinzione reale delle tre<br />

persone, salvare l'unità numerica <strong>della</strong> loro natura; come ridurre<br />

la trinità all'unità 5 . <strong>Il</strong> pericolo specifico da cui dovrà attentamente<br />

guardarsi colui che così considera la Trinità, sarà d'insistere talmente<br />

sulla distinzione reale delle tre persone Padre, Figliolo, Spirito<br />

Santo, da lasciare troppo nell'ombra <strong>della</strong> sua coscienza l'unità<br />

reale <strong>della</strong> loro natura e da dimenticare troppo la loro assoluta<br />

uguaglianza nell'eternità, potenza, scienza, sapienza, ecc. Chi così<br />

considera la Trinità, avrà fortissima e vivissima la coscienza trinitaria;<br />

il suo Dio non sarà semplicemente il Dio dei filosofi o dell'Antico<br />

Testamento, bensì il Dio specificamente cristiano: Padre,<br />

Figliolo e Spirito Santo, ma dovrà ben guardarsi dal pericolo ariano<br />

o subordinaziano 6 .<br />

5 I Padri greci e quelli latini prima di S. Agostino, che consideravano appunto<br />

la Trinità in questa seconda maniera, tentavano di arrivarci affermando<br />

fortemente, dopo la distinzione reale delle persone, la loro inseparabilità e unità<br />

di eternità, potenza, sapienza, azione, ecc., aiutandosi pure col ricorso alle metafore<br />

del sole, del suo raggio e del suo calore; <strong>della</strong> sorgente, del ruscello che ne<br />

scaturisce e del lago che se ne forma, ecc.<br />

e Effettivamente, negli apologeti del secolo II e nei dottori dei secoli II e III,<br />

come Tertulliano, Ippolito, Novaziano, Origene e la sua scuola, l'errore <strong>della</strong><br />

spiegazione subordinaziana <strong>della</strong> Trinità — che fu in essi errore nella spiegazio-


200 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

Come si vede, ognuno dei due modi ha i suoi vantaggi e i suoi<br />

pericoli. E, poiché bisogna pur scegliere o l'uno o l'altro, vuol dire<br />

che la salvezza non si potrà trovare che in questo : scegliere bensì<br />

l'uno dei due modi, ma poi aver costante vigilanza di affermare<br />

con forza il termine antitetico lasciato dapprima nell'ombra e di<br />

tenerlo vivo nella coscienza religiosa. Questa situazione è inevitabile,<br />

appunto perché la Trinità è un mistero dai due termini anti-.<br />

tetici, per cui, qualsiasi punto di vista si scelga nel considerarla:,<br />

si arriva sempre e necessariamente al mistero. Ma questo non significa<br />

che scegliere l'uno o l'altro punto di vista sia semplicemente<br />

indifferente e senza conseguenze sul modo in cui vivremo lo stesso<br />

mistero.<br />

Comunque, sta il fatto che la coscienza trinitaria è psicologicamente<br />

più vivida in chi sceglie il secondo modo, partendo dalla<br />

distinzione delle persone e mettendo questa al primo piano psicologico<br />

dell'affermazione. Sta pure il fatto che nella Scrittura, nei<br />

Padri greci e nei latini prima di S. Agostino e nelle liturgie, nella<br />

<strong>liturgia</strong> romana in specie, prevale di gran lunga il secondo modo<br />

di considerare la Trinità, il modo personalistico, quello in cui la<br />

distinzione delle persone è al primo piano. Ne segue che per capire<br />

la struttura trinitaria <strong>della</strong> visione del mondo secondo il Nuovo<br />

Testamento, secondo i Padri greci tutti, o press'a poco, secondo<br />

i Padri latini antichi e secondo la <strong>liturgia</strong>, bisogna partire da questo<br />

secondo modo e non dal primo. <strong>Il</strong> secondo modo è, per così<br />

dire, più primigenio e irenico, perché è quello in cui fu dapprima<br />

presentato il messaggio trinitario alla semplice fede dei credenti<br />

e in cui è tuttora prevalentemente presentato a questa stessa semplice<br />

fede, e praticamente vissuto, nella <strong>liturgia</strong>. <strong>Il</strong> primo modo,<br />

è, storicamente, un modo derivato e prevalentemente apologetico<br />

che cominciò a farsi strada in vista <strong>della</strong> difesa apologetica <strong>della</strong><br />

fede contro l'obiezione razionalistica ariana e si consolidò in questa<br />

prospettiva.<br />

Punto di vista primariamente entitàtivo intratrinitario<br />

e punto di vista primariamente extratrinitario dell'intervento<br />

delle Persone nel mondo<br />

Ma non basta; oltre a questo primo fatto di considerare la<br />

Trinità partendo dalla distinzione delle persone, fatto semplicemente<br />

comune tanto alla Scrittura che alla <strong>liturgia</strong>, v'è un secondo<br />

fatto nella Scrittura stessa, che costituisce il punto di partenza<br />

ne teologica <strong>della</strong> fede, e non un errore nella fede trinitaria stessa, nella quale<br />

erano invece tutti perfettamente ortodossi —, prese occasione da questo preciso<br />

punto di vista. L'abitudine di considerare in recto nella Trinità la distinzione<br />

reale delle persone fece loro accentuare troppo questa distinzione reale<br />

a discapito dell'unità <strong>della</strong> natura. Gli ariani poi trasformarono questo errore<br />

in eresia.


TRINITÀ AD EXTRA 201<br />

per capire un altro aspetto del modo in cui la <strong>liturgia</strong> considera<br />

la Trinità, anche se in questo secondo fatto la <strong>liturgia</strong>, nel suo<br />

svolgersi storico, non si è accontentata di attenersi semplicemente<br />

alla Scrittura. Questo.secondo fatto può formularsi così: la Scrittura,<br />

nel considerare la Trinità, la considera anzitutto non già con la<br />

preoccupazione primaria di sapere cos'è la Trinità in se stessa<br />

dal punto di vista ontologico, e com'è la sua struttura interna<br />

metafisica intratrinitaria, ma piuttosto con la preoccupazione primaria<br />

di conoscere quali sono le sue relazioni col mondo, che significato<br />

hanno praticamente per la storia del mondo e la nostra storia<br />

personale il Padre, il Figliolo e lo Spirito Santo.<br />

Tra qufeste due preoccupazioni c'è, naturalmente, una sfumatura<br />

imppftàntissima. È véro: ci sono dei connessi intimi tra la<br />

natura interna di una cosa da una parte, ossia, quello che essa<br />

significa in se stessa, la struttura costitutiva ontologica intrinseca<br />

di questa cosa considerata in se stessa indipendentemente dai suoi<br />

eventuali rapporti con altre cose, e, dall'altra parte, i rapporti di<br />

questa stessa cosa con altre cose da sé distinte, la sua importanza<br />

per altri, quello che. essa praticamente significa per altri. Pur tuttavia<br />

c'è una grande differenza tra il preoccuparsi anzitutto e in<br />

prima linea di conoscere quello che una cosa è strutturalmente in<br />

se- stessa e il preoccuparsi invece in prima linea di conoscere<br />

quello che una cosa è e significa praticamente per le altre cose,<br />

per esempio per noi stessi.<br />

Tra le scienze, si sa, la metafisica si mette dal primo punto<br />

di vista, la storia invece e tante scienze sperimentali che si preoccupano<br />

quasi unicamente di stabilire rapporti quantitativi, si mettono<br />

invece dal secondo punto di vista. Chi si preoccupa di conoscere<br />

anzitutto i rapporti di una cosa con le altre e la sua importanza<br />

pratica per esse, può perfino ignorare, talvolta senza notevole<br />

scapito per lo scopo che persegue, la costituzione intrinseca ontologica<br />

<strong>della</strong> prima cosa in se stessa, o, se mai, accontentarsi di<br />

conoscerla molto imperfettamente. Così non è necessario essere<br />

grande filosofo e conoscere molto bene la costituzione intrinseca<br />

filosofica dell'uomo, per fare una buona storia, poniamo di Cesare;<br />

basta, se mai, avere una certa intuizione delle reazioni psicologiche<br />

di Cesare di fronte alle circostanze <strong>della</strong> vita. Né è necessario<br />

conoscere la definizione dell'elettricità nella sua struttura metafisica<br />

per essere anche un egregio ingegnere elettricista.<br />

Orbene" la Scrittura nella Trinità, non solo considera sempre<br />

in recto le persone distinte Padre, Figliolo, Spirito Santo, ma inoltre<br />

considera queste stesse persone non con la preoccupazione primaria<br />

di farci sapere cosa esse sono ontologicamente in se stesse,<br />

e nemmeno l'una rispetto all'altra nella loro vita intratrinitaria,<br />

ma molto più con la preoccupazione di farci vedere cosa esse significano<br />

praticamente per noi; qual è la loro importanza reale e come<br />

la loro parte specifica nella storia dei rapporti di Dio col mondo<br />

e dei nostri rapporti anche personali con Dio. Non è l'aspetto


202 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

intratrinitario delle persone divine che è al primo piano delle preoccupazioni<br />

trinitarie <strong>della</strong> Scrittura, ma l'aspetto extratrinitario, i<br />

rapporti delle persone divine ad extra; si potrebbe dire i rapporti<br />

delle persone divine con la storia sacra, mistero di Cristo, mistero<br />

<strong>della</strong> Chiesa, secondo il concetto chiarito a suo luogo.<br />

Questo non vuol dire, naturalmente, che affermazioni d'ordine<br />

metafisico intratrinitario riguardo alle persone <strong>della</strong> Trinità non<br />

se ne trovino affatto nella Scrittura 7 ; ancora meno che un certo<br />

numero di tali affermazioni non possano dedursi legittimamente<br />

da quello che afferma esplicitamente e direttamente la Scrittura 8 .<br />

Ma vuol dire in primo luogo che le affermazioni di ordine metafisico<br />

intratrinitario intorno alle persone <strong>della</strong> Trinità, se ci sono<br />

nella Scrittura, sono relativamente rare e sporadiche, e non sono<br />

al primo piano psicologico del suo interesse, sebbene possano<br />

essere anche importantissime in se stesse e per la teologia. Vuol<br />

dire, in secondo luogo, che la deduzione di tali concetti, fatta da<br />

quanto afferma direttamente la Scrittura, sebbene pienamente<br />

legittima e anche, se si vuole, importantissima per la teologia, non<br />

è fatta però dalla Scrittura stessa. Altre possono essere le preoccupazioni<br />

del ragionamento <strong>teologico</strong> e altre le preoccupazioni <strong>della</strong><br />

Scrittura e qui si vuol solo affermare che per intendere la Scrittura<br />

la prima cosa che si ha da fare è di mettersi anzitutto nella visuale<br />

delle preoccupazioni <strong>della</strong> Scrittura stessa.<br />

La formula riassuntiva « a », « per », « in », « ad »<br />

nel Nuovo Testamento<br />

Volendo ancora precisare, è facile a un attento lettore del<br />

Nuovo Testamento, in specie di S. Paolo e di S. Giovanni, accorgersi<br />

che quello che ho detto potersi chiamare la parte .quasi<br />

specifica delle singole persone <strong>della</strong> Trinità nella storia ^acra dei<br />

rapporti di Dio col mondo e dei nostri rapporti con. Dio. è formulato<br />

secondo un certo schema che pur non essendo rigido né<br />

ovunque assoluto, è tuttavia prevalente ogni volta che si tratta di<br />

quella storia sacra in rapporto alle persone divine. Questo schema,<br />

espresso ora interamente e ora solo in parte, e in parte sottinteso,<br />

si formula così: ogni bene viene a noi dal Padre, per mezzo del<br />

suo Figlio incarnato; Gesù Cristo, nella presenza in noi dello Spi-<br />

7 Per esempio, la preesistenza del Figlio, la sua vera divinità, la sua natura<br />

di Figlio prima dell'incarnazione.<br />

8 La tradizione teologica ha sempre e giustamente dedotto una serie importantissima<br />

di tali affermazioni presupponendo o anche affermando esplicitamente<br />

il principio che dal modo in cui le singole persone <strong>della</strong> Trinità appaiono<br />

ad extra e, per così dire, dalla parte specifica che ognuna, secondo la Scrittura,<br />

sembra avere nella storia del mondo e <strong>della</strong> salvezza, si può legittimamente<br />

dedurre le relazioni che queste stesse persone hanno l'una verso l'altra nella<br />

vita intratrinitaria, salvo sempre il monoteismo e l'unità <strong>della</strong> natura.


A, PER, IN, AD 203<br />

rito Santo, e così nella presenza dello Spirito Santo, per mezzo del<br />

Figlio incarnato, Gesù Cristo, ogni cosa ritorna al Padre. A Patre,<br />

per Filium eius, lesum Christum, in Spiritu Sancto, ad Patrem,<br />

ecco l'aspetto primordiale e predominante sotto il quale il Nuovo<br />

Testamento parla <strong>della</strong> Trinità.<br />

<strong>Il</strong> mistero trinitario vi è presentato anzitutto a partire dalla<br />

distinzione reale delle persone, e queste stesse persone vi sono<br />

considerate anzitutto nei loro rapporti col mondo, nel movimento<br />

discendente da Dio al mondo, per cui ogni essere e ogni bene deriva<br />

da Dio, e nel movimento ascendente di ritorno delle creature a Dio.<br />

In questa grande ' prospettiva <strong>della</strong> storia sacra déll'exitus a Deo<br />

e del reditus ad Deum, il >,Padre. appare anzitutto ut a quo e ut ad<br />

quem, il Figlio' ut per quem e lo Spirito Santo ut in quo.<br />

E, si noti ,bene, il Figlio, in questo modo di considerare, è anzitutto<br />

e in prini'a linea il Figlio incarnato, Gesù Cristo, visto nell'incarnazione<br />

stessa e nella sua opera nel mondo, o, comunque, in<br />

rapporto all'incarnazione e all'opera redentrice 9 . Si può parlare<br />

così di visuale cristologico-trinitaria che nella Scrittura domina la<br />

visione delle cose e <strong>della</strong> storia.<br />

Sarebbe troppo lungo analizzare qui, sia pure una parte dei<br />

testi del Nuovo Testamento che documentano queste affermazioni.<br />

Per ritrovare espresso lo schema completo si legga, per esempio,<br />

da questo punto di vista il principio dell'epistola agli efesini : « Benedetto<br />

Iddio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale ci ha<br />

benedetti con ogni benedizione spirituale, celeste, in Cristo... per<br />

amore avendoci predestinati ad essere suoi figli adottivi per mezzo<br />

di Gesù Cristo, secondo la benignità del suo volere, si che ciò torni<br />

a lode <strong>della</strong> gloriosa manifestazione <strong>della</strong> grazia sua... si che noi<br />

riusciamo a lode <strong>della</strong> sua gloria... nel quale (Cristo) anche, voi...<br />

avete riposto fede, e avete ricevuto l'impronta dello Spirito<br />

Santo, il quale è caparra <strong>della</strong> nostra eredità... a lode <strong>della</strong> sua<br />

gloria» (1,3-14). «Iddio ricco di misericordia, per il grande amore<br />

che ci portava, ci richiamò a vita in Cristo... per lui noi abbiamo<br />

accesso entrambi (giudei e gentili) in unico Spirito al Padre. Perciò...<br />

siete concittadini dei santi e <strong>della</strong> famiglia di Dio, edifizio<br />

eretto sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendone pietra<br />

angolare lo stesso Cristo Gesù; su cui tutto l'edifizio ben costruito<br />

s'innalza a tempio santo nel Signore; e voi pure siete parte di questo<br />

edificio, che ha da essere abitacolo dì Dio nello Spirito » (2,5.4.<br />

18-22). Si leggano ancora i passi seguenti : « Dio, mandando suo<br />

Figlio in carne simile a quella del peccato, condannò il peccato nella<br />

carne... voi non siete nella carne, si nello Spirito, se lo Spirito di<br />

Dio abita in voi... Quanti son guidati dallo Spirito di Dio, questi<br />

son figli di Dio. Non avete mica ricevuto spirito di servitù, ma Spirito<br />

di adozione a figliuoli, in cui gridiamo: Abba, Padre. Lo Spirito<br />

stesso attesta allo spirito nostro che siamo figli di Dio. E se figli<br />

9 È certo che questo vale anche per il concetto di Verbo in S. Giovanni.<br />

Vedi J. DUPONT, Essais sur la christologie de S. Jean, Bruges 1951 pp. 9-58.


204 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

anche eredi, eredi di Dio, coeredi di Cristo » (Rm 8,3-17). « Quando<br />

venne la pienezza dèi tempi, Dio mandò suo Figlio nato di donna,<br />

nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge e<br />

far che noi ricevessimo l'adozione di figli. E perché siete figli mandò<br />

Dio lo Spirito del suo Figlio nei vostri cuori il quale grida:<br />

Abba, Padre » (Gal 4,4-6). « O non sapete che il vostro corpo è tempio<br />

dello Spirito Santo che è in voi, che avete da Dio? E non siete di<br />

voi stessi, perché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate<br />

dunque Iddio nel vostro corpo » (1 Cor 6,19-20).<br />

Non meno spesso si ritrova lo schema coi soli tre termini<br />

a, per, in (vedi per es. Ef 4,4-7; Rm 8,3-4; 15,15 s; 1 Cor 12,4-6;<br />

2 Cor 1,21 s; 13,13). Più frequentemente ancora, naturalmente, la formula,<br />

a, per, in, ad si ritrova in due soli dei suoi membri o anche<br />

in uno, quando, per esempio, in un contesto in cui si parla <strong>della</strong> sola<br />

prima persona sia col nome di Padre sia col nome di Dio — secondo<br />

la nota tendenza del Nuovo Testamento di riservare il nome<br />

Dio alla prima persona 10 — egli viene presentato come l'origine<br />

fontale o come il fine ultimo di tutta l'economia ad extra 11 ; similmente<br />

del Figlio incarnato in quanto alla formula per o all'idea ivi<br />

contenuta e dello Spirito Santo in quanto, all'idea espressa dall'in.<br />

Nei passi citati S. Paolo scrive queste formule per incidenza e<br />

senza nessuna spiegazione, ciò che dimostra quanto^chiara e comune<br />

tra i fedeli primitivi, già prima che fossero scritti i vangeli, fosse<br />

la visuale cristologico-trinitaria. È questo un fatto confermatoN dalla<br />

catechesi primitiva come è riferita nei discorsi degli atti degli Apostoli<br />

(vedi per es., At 2,32 s; 5,30-32; 15,7-11).<br />

Naturalmente, lo ripetiamo, questo modo di vedere le cose<br />

pone alla riflessione teologica ulteriore una serie di questioni punto<br />

facili. Sarebbe ingenuo credere che basti porsi risolutamente nell'angolo<br />

visuale del Nuovo Testamento, perché dinanzi al nostro<br />

ragionamento discorsivo si dileguino le difficoltà del mistero.<br />

Tanto per accennare a queste difficoltà, è vero che non pare<br />

affatto necessario, teologicamente parlando, spiegare la formula<br />

a, per, in, ad, riducendola puramente e semplicemente a* quello che<br />

in teologia trinitaria si chiama un'appropriazione, come molti teologi<br />

V1 credono di dover fare, troppo superficialmente ci sembra.<br />

Ci si può accontentare di interpretare là formula in <strong>senso</strong> puramente<br />

appropriativo solo per quel tanto che in esso si esprime<br />

di causalità efficiente delle persone nel mondo. Si può invece conservarle<br />

un valore largamente personalistico per quanto riguarda<br />

in specie le relazioni — sempre reali da parte <strong>della</strong> creatura, ma<br />

10 Vedi, per esempio, Col 3,16-17; 1 Tm 2,5 da paragonare con 1 Cor 8,4-6;<br />

Rm 1,8-10; 8,14 s; 8,35 da paragonare con 1 Gv 2,1 e con Eb 7,25; Gal 4,6; 1 Cor 1,3;<br />

Col 1.3; ÌPt 1,3.<br />

11 Vedi, per esempio, Rm 3,21-26; 5,8-11; 8,26-30; 2 Cor 5,18-19; Gal 4,4-7;<br />

Ef 1,3-14; 2,4-10; Tt 2,11-14.<br />

12 Per esempio, P. GALTIER, Le S. Esprit en nous d'après les Pères grecs,<br />

Roma 1946; L'habitation en nous des trois personnes divines, 2* ed. Roma 1950.


TRINITÀ E VITA 205<br />

di sola ragione da parte delle persone divine — di causalità formale,<br />

sia intrinseca (per la sola seconda persona riguardo alla natura<br />

umana da essa assunta nell'incarnazione) sia estrinseca o<br />

esemplare. In questa linea <strong>della</strong> causalità esemplare o assimilazione<br />

si può credere che nella formula a, per, in, ad, venga espressa la<br />

relazione speciale che le creature hanno anche a quello che le singole<br />

persone <strong>della</strong> Trinità hanno di proprio rispetto alle altre, ossia<br />

ai propria delle singole persone, come si dice in teologia. Pur tuttavia<br />

è certo che, appena si tenta di determinare maggiormente la natura<br />

intima di quel proprio di ogni singola persona che nella predetta formula<br />

viene espresso con le particelle a, per, in, ad, si arriva necessariamente<br />

al mistero.<br />

Ma questa necessità non toglie nulla al fatto che è veramente e<br />

anzitutto nella visuale dello schema a, per, in, ad che il Nuovo Testamento<br />

istruisce i fedeli intorno alla realtà trinitaria; che anzi è<br />

nella visuale di questo schema che esso concepisce concretamente la<br />

vita trinitaria dei fedeli e li esorta a viverla. È per questo che il<br />

Nuovo Testamento ci ricorda incessantemente che ogni bene di cui<br />

siamo ricolmi deriva dalla pura bontà del Padre e che Gesù Cristo,<br />

il Figlio di Dio incarnato, è il grande ed indispensabile mediatore<br />

senza il quale nessuno riceve alcunché dal Padre o può comunque<br />

avvicinare il Padre, mentre senza lo Spirito Santo, meritatoci da<br />

Cristo e mandatosi, dal Padre, presente ed abitante in noi, personalmente<br />

e coi suoi doni~ nessuno sarebbe unito a Cristo o potrebbe comunque<br />

raggiungere il suo fine ultimo che è, per mezzo di Cristo, di<br />

ritornare al Padre.<br />

Per il Nuovo'' Testamento, questa realtà, presentata sotto questo<br />

aspetto preciso, è qualcosa che incide profondamente nella vita concreta<br />

religiosa dei fedeli. È questa grande prospettiva cristologicotrinitaria<br />

a Patre, per Filium eius, Iesum Christum, in Spiritu Sancto,<br />

ad Patrem che anima la loro fede, speranza e carità, come si può<br />

facilmente vedere rileggendo, da questo punto di vista, il capitolo<br />

ottavo dell'epistola ai romani. Questa visuale è ancora la sorgente<br />

inesauribile <strong>della</strong> loro adorazione, ammirazione, gratitudine a Dio,<br />

come appare nei primi tre capitoli dell'epistola agli efesini — specialmente<br />

1,3-14; 2,11-21; 3 per intero —. È ancora essa che determina<br />

il loro modo di pregare. Infatti, la teoria esplicita e la prassi di<br />

S. Paolo è che la preghiera dei cristiani, specialmente quella di ringraziamento,<br />

si fa al Padre per mezzo del suo Figlio, Gesù Cristo,<br />

con la consapevolezza che essa non si può fare senza la presenza attiva<br />

in noi dello Spirito Santo 13 . Ed è sempre dalla coscienza viva che<br />

tutto viene dal Padre, per mezzo del suo Figlio, Gesù Cristo, nella<br />

presenza dello Spirito Santo e così tutto ritorna e deve ritornare al<br />

Padre, che il cristiano prende i motivi specifici più forti e profondi<br />

che determinano la sua azione morale nelle diverse circostanze <strong>della</strong><br />

vita e nella lotta per il bene: che si tratti dell'obbligo di vivere se-<br />

i3 Vedi per es., Col 3,17; Ef 5,18 ss; 6,18; Rm 6,25-27; 7,25; 1 Cor 1,4; 15,57;<br />

Ef 1,3-14; 5,20; 1 Tm 1,2; Rm 8,26 s.


206 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

condo le esigenze <strong>della</strong> vita cristiana in genere (vedi per es., Rm 8,1-<br />

18), o in specie, di essere benigni e misericordiosi (vedi per es.,<br />

Ef 4,30-5,2), solleciti a conservare l'unità tra i fratelli (Ef 4,1-16), o<br />

più specialmente a evitare l'adulterio e l'impudicizia.<br />

Vale la pena, come esempio, di trascrivere integralmente il ragionamento<br />

di S. Paolo su quest'ultimo punto:, «Né effeminati, né<br />

pederasti, né ladri, né avari, né ubriachi, né maldicenti, né rapaci<br />

erediteranno il regno di Dio (—ad Patrem). E tale era qualcuno di<br />

voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati nel nome del Signore<br />

Gesù Cristo (—per Christum) e nello Spirito del nostro Dio (—in<br />

Spirita)... <strong>Il</strong> corpo non è per la fornicazione, bensì per il Signore, e<br />

il Signore per il corpo; e Dio, come risuscitò il Signore, risusciterà<br />

anche noi per il suo potere. Non sapete che i nostri corpi sono<br />

membra di Cristo? Or dunque le membra di Cristo le farò membra<br />

d'una meretrice? non sia mai!... O non sapete che il corpo vostro è<br />

tempio del Santo Spirito che è in voi, (—In Spirita) che avete da<br />

Dio, (—a Patre) e non siete di voi stessi perché siete stati comprati<br />

a caro prezzo (—per Christum). Glorificate dunque Iddio (—ad Patrem)<br />

nel vostro corpo » (1 Cor 6,10-20).<br />

Questi semplici cenni possono bastare, credo, per farci vedere<br />

che, sebbene la visuale dei rapporti <strong>della</strong> creatura con Dio nello<br />

schema a, per, in, ad, costituisca, in fondo, un gran mistero, ciò non<br />

impedisce affatto, nella mente del Nuovo Testamento, che la coscienza<br />

di questi rapporti in questa prospettiva possa dare alla vita<br />

cristiana di ogni giorno uno slancio e una profondità incomparabili.<br />

La formula « a », « per\ « in », « ad » nella tradizione antica<br />

È per questo che la stessa grande prospettiva cristologico-trinitaria<br />

<strong>della</strong> storia sacra e <strong>della</strong> salvezza segnò tanto profondamente<br />

la coscienza religiosa delle prime generazioni cristiane. Nel 96 così<br />

Clemente romano descriveva ai Corinti la fondazione <strong>della</strong> Chiesa<br />

nel mondo: « Gli Apostoli furono mandati a portare.la buona novella<br />

dal Signore Gesù Cristo (— per Christum); Gesù Cristo fu mandato<br />

da Dio (— a Patre). <strong>Il</strong> Cristo viene dunque da Dio e gli Apostoli da<br />

Cristo. Essi procedono dunque ordinatamente dalla volontà di Dio.<br />

Ricevuto quindi il loro mandato, resi sicuri dalla risurrezione del<br />

Signore nostro Gesù Cristo e confermati nella parola di Dio, con la<br />

fiducia nello Spirito Santo (— in Spiritu), andarono ad annunziare<br />

la buona novella e l'avvicinarsi del regno di Dio (— ad Patrem). Predicando<br />

per le campagne e per le città, costituirono le loro primizie,<br />

che provavano nello Spirito, a vescovi e a diaconi di futuri credenti<br />

» 14 . Riecheggiando i temi paolini, lo stesso Clemente romano poteva<br />

esortare i Corinti all'unità con queste parole : « Perché vi sono tra<br />

" 1 Cor 42.


TRINITÀ E PIETÀ ANTICA 207<br />

voi contese, ire, dissensi, scismi e guerra? Non abbiamo noi un unico<br />

Dio, un unico Cristo, un unico Spirito di grazia diffuso su di noi,<br />

un'unica vocazione in Cristo? » 15 .<br />

S. Ignazio antiocheno, nel 107, poteva riassumere il <strong>senso</strong> <strong>della</strong><br />

vita cristiana scrivendo agli efesini : « Siete le pietre del tempio del<br />

Padre, preparate per essere costruite in edifìcio a Dio Padre (— ad<br />

Patrem) innalzate fino alla sommità per mezzo <strong>della</strong> macchina di<br />

Gesù Cristo, che è la croce (—per Christum) cori il cavo dello Spirito<br />

Santo (— in Spiritu); la vostra fede poi è la leva che vi innalza,<br />

e la carità è la strada che vi conduce^ a Dio » (— ad Patrem) ie . Certo,<br />

per Ignazio, non si trattava di una/semplice formula priva di forza<br />

vitale, poiché nell'ardore del martirio, non concepiva il significato<br />

profondo e l'amabilità, <strong>della</strong> sua imminente immolazione altrimenti<br />

che nella solita prospettiva cristoìogico-trinitaria per cui tutto viene<br />

dal Padre, per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio, nello Spirito Santo<br />

e ritorna al Padre. Così egli scriveva ai romani : « Dopo molte preghiere<br />

a Dio ho ottenuto di vedere i vostri santi volti; anzi ho ricevuto<br />

più di quello che avevo domandato: infatti spero di salutarvi<br />

incatenato per Gesù Cristo, se pure la volontà di Dio mi stimerà<br />

degno di giungere alla meta. L'inizio è buono: possa io ottenere la<br />

grazia (—a Patre) di raggiungere senza ostacoli la mia eredità... Lasciate<br />

che io imiti la passione del mio Dio (— per Christum)... Le<br />

mie brame terrene sono crocifisse; non è più in me fiamma alcuna<br />

per la materia. L'acqua viva. (— in Spiritu; vedi Gv 7,38 s) mormora<br />

dentro di me e dice: "Vieni al Padre" » (—ad Patrem) 1 '.<br />

Parimenti, non si legge senza commozione, per il <strong>senso</strong> cristologico-trinitario<br />

che la pervade, la preghiera che, nel 155, S. Policarpo<br />

fece dinanzi al rogo del suo martirio, nella quale riecheggia<br />

certamente qualcosa <strong>della</strong> grande « eucaristia » che il vescovo era<br />

consueto fare nella messa dinanzi all'assemblea dei fedeli : « Signore,<br />

Dio onnipotente, Padre di Gesù Cristo, tuo Figlio diletto e benedetto,<br />

per mezzo del quale noi abbiamo ricevuto la conoscenza di te... Io ti<br />

benedico perché mi hai stimato degno di questo giorno e di quest'ora,<br />

e di aver parte nel numero dei martiri al calice del tuo Cristo,<br />

in vista <strong>della</strong> resurrezione di vita eterna dell'anima e del corpo, nell'incorruttibilità<br />

dello Spirito Santo... Per questo e per tutti gli altri<br />

benefici ti rendo lode e benedizione e gloria, per mezzo dell'eterno<br />

e celeste pontefice Gesù Cristo, Figlio tuo diletto, per il quale e con il<br />

quale e per lo Spirito Santo, a Te gloria sia ora e nei secoli futuri.<br />

Amen » I8 .<br />

Tra il 180 e il 199 S. Ireneo così formulava la legge di ogni ritorno<br />

a Dio : « È questa l'ordinazione e la disposizione per coloro che si<br />

salvano...; essi avanzano per queste tappe: per lo Spirito Santo arri-<br />

" Ibid. 46,5 s.<br />

le Ef 9,1.<br />

17 Rm 1,1 s; 6,3; 7,2.<br />

« Mart. Polyc. 14.<br />

'» Haer. V 36,2.


208 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

vano al Figlio e per il Figlio salgono al Padre » 19 . Da questi testi —<br />

e si potrebbero moltiplicare — è facile rendersi conto quanto la<br />

coscienza cristologico-trinitaria nella visuale scritturistica dello<br />

schema a, per, in, ad operasse efficacemente nella psicologia religiosa<br />

delle prime generazioni cristiane.<br />

Nei secoli IV e V questo punto di vista non venne dimenticato,<br />

anche se, per la necessità <strong>della</strong> polemica antiariana, i Padri ora con<br />

quella stessa formula pensano più esplicitamente alla vita intratrinitaria<br />

delle singole persone e più che a Cristo pensano al Verbo.<br />

Ecco, per esempio, come S. Atanasio e S. Gregorio Nisseno formulano<br />

la legge trinitaria degli interventi di Dio nel mondo in modo generalissimo<br />

ed assoluto: « <strong>Il</strong> Padre fa tutto per mezzo del Verbo nello<br />

Spirito Santo » -°. « Qualsiasi operazione che da Dio arriva alla creatura...<br />

ha origine dal Padre, si continua per il Figlio e si compie nello<br />

Spirito Santo » 21 .<br />

Nella lotta che la Chiesa ebbe allora a sostenere contro coloro<br />

che negavano la divinità dello Spirito Santo, è ancora alla solita prospettiva<br />

scritturistica che i Padri fecero ricorso per difendere la fede.<br />

Lo Spirito Santo è veramente Dio, essi arguivano; infatti, è perché<br />

lo Spirito Santo è in noi che siamo resi conformi al Verbo e per<br />

mezzo del Verbo al Padre, nella quale conformità consiste appunto<br />

la nostra deificazione. Ma nessuna creatura può farci mai partecipi<br />

<strong>della</strong> natura divina. « Lo Spirito Santo è l'unguento e il sigillo col<br />

quale il Verbo unge e segna tutto... Così segnati, giustamente diventiamo<br />

partecipi <strong>della</strong> divina natura come dice Pietro, ' e così la<br />

creatura diventa partecipe del Verbo nello Spirito e per lo Spirito<br />

siamo partecipi di Dio... ogni volta Che si dice che siamo partecipi<br />

di Cristo e partecipi di Dio si dà ad intendere che quella<br />

unzione e quel sigillo che, è in noi non è di natura creata,<br />

ma è del Figlio, il quale per lo Spirito ehe-é-hr tui ci congiunge<br />

al Padre » 22 . Questo ragionamento è comune tra i Padri di quell'epoca;<br />

non è necessario insistere. Basti solo osservare quanto in quei<br />

secoli quel modo scritturistico di considerare le cose fosse profondamente<br />

radicato e connaturale nella mente di tutti, poiché i<br />

Padri potevano tranquillamente partire da esso come da presupposto<br />

a tutti noto e da tutti pacificamente ammesso, per redarguire<br />

gli errori degli eretici.<br />

Naturalmente, insistiamo, quando si dice che per la prospettiva<br />

<strong>della</strong> storia sacra e <strong>della</strong> salvezza nella visuale a, per, in, ad, incide<br />

così profondamente nella visione cristiana del mondo e <strong>della</strong> vita<br />

nella Scrittura e nella tradizione più antica, non si vuol dire che nel<br />

Nuovo Testamento e in quella tradizione, quando si parla dei rapporti<br />

tra Dio e l'uomo, dei benefìci di Dio, <strong>della</strong> preghiera, ecc. sempre<br />

e ovunque appaia quello schema nella sua integrità. Sarebbe<br />

facile addurre testi nei quali l'autore sembra fermarsi a Dio in ge-<br />

20 ATANASIO, Ad Serap. I 28.<br />

21 GREGORIO NISS., Quod non sint tres dii.<br />

22 ATANASIO, Ad Serap. I 23.


TRINITÀ E LITURGIA 209<br />

nere, oppure a Dio Padre e a Cristo, o ancora a Cristo solo, o al Padre<br />

solo, o allo Spirito solo. Si vuol solo dire che quando questi autori<br />

vogliono considerare la sintesi completa dei rapporti tra Dio e<br />

l'uomo nella storia sacra secondo la visione specificamente cristiana<br />

del mondo e <strong>della</strong> vita, questa sintesi si concretizza sempre per loro<br />

nel modo predetto. Cristo, lo Spirito, il Padre, considerati separatamente,<br />

non sono per loro che elementi di quella sintesi completa<br />

che è sempre almeno sottintesa e nella subcoscienza, come lo prova<br />

il fatto che essi la esplicitano quando intendono proporre tutto il ciclo<br />

dell'exitus delle creature a Deo e del reditus ad Deum 23 .<br />

2. LA PROSPETTIVA GENERALE CRISTOLOGICO-TRINITARIA<br />

. ' ^NELLA LITURGIA<br />

<strong>Il</strong> lungo paragrafo precedente costituisce la premessa indispensabile<br />

a chi vuol capire come la <strong>liturgia</strong> sia tutta compenetrata dalla<br />

visione cristologico-trinitaria del mondo. Infatti, qui, come in tanti<br />

altri punti, la <strong>liturgia</strong> non fa altro che mettere in opera, nel suo modo<br />

specifico, la Scrittura e la tradizione più antica.<br />

Primo punto da osservare è che il Dio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> non è semplicemente<br />

né il Dio <strong>della</strong> sinagoga, né il Dio dei filosofi, ma il Dio<br />

specificamente cristiano, il Dio Trinità. Non già che nella <strong>liturgia</strong><br />

23 Si noti pure che questo modo <strong>della</strong> tradizione più antica di presentare<br />

la Trinità, quando si limita a considerare le persone divine nei loro rapporti<br />

extratrinitari e ad esprimerli con le particelle \, PER, IN, AD, non costituisce ancora<br />

una certa teoria teologica particolare per spiegare la fede trinitaria, ma è solo<br />

l'enunziato di questa semplice fede come è fatto dalla Scrittura, né più né meno.<br />

Quella che il P. de Régnon ha chiamato la teoria spiegativa « greca » <strong>della</strong> fede<br />

trinitaria per opposizione alla « latina », comincia precisamente quando, andando<br />

al di là delle semplici affermazioni <strong>della</strong> Scrittura e <strong>della</strong> fede, e fondandosi<br />

sopra il principio — del resto giustissimo — che dalle manifestazioni extratrinitarie<br />

delle singole persone si può concludere alle loro relazioni intratrinitarie,<br />

si traspone lo schema scritturistico extratrinitario a, per, in, ad, alla vita intratrinitaria<br />

e ci si sforza di spiegare, per quanto è possibile, questa vita intratrinitaria<br />

su questo stesso schema. E in questa linea che si svolge, all'interno<br />

stesso <strong>della</strong> teoria « greca », la teoria spiegativa detta « economica » — perché<br />

appunto dall'« economia », o modo di comportarsi delle persone ad extra, conclude<br />

al loro modo di essere ad intra — dei dottori del secolo terzo, come Tertulliano,<br />

Ippolito, Novaziano e, in fondo, Origene e la sua scuola. I quali, del<br />

resto, non riuscirono, teologicamente parlando, a superare in modo soddisfacente<br />

il subordinazianismo. Comunque, ed è questo che preme qui rilevare, quando<br />

la <strong>liturgia</strong> parla <strong>della</strong> visuale a, per, in, ad, limitandosi a considerare in essa<br />

le relazioni extratrinitarie (ed è, per quanto mi consta, quasi sempre il caso<br />

nella <strong>liturgia</strong> romana, mentre le composizioni liturgiche orientali, specialmente<br />

posteriori, talvolta, trasferiscono lo schema alla vita intratrinitaria), essa non<br />

dipende affatto, in questo, dalla teoria spiegativa « greca » e tanto meno « economica<br />

» <strong>della</strong> fede trinitaria, ma non fa altro che ripetere la visuale scritturistica.<br />

<strong>Il</strong> non avere osservato questo, toglie molto, mi pare, alle osservazioni del<br />

P. M. CAPPUYNS, in questo campo (Liturgie et théologie, in: Le vrai visage de la<br />

liturgie, Cours et conférences des semaines liturgiques, Louvain 1938 pp. 194-209).


210 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

sia assente la considerazione dell'unità <strong>della</strong> natura divina nel <strong>senso</strong><br />

del più integro monoteismo; che questa, anzi, è ovunque presente<br />

in specie nell'affermazione dell'unità assieme alla trinità e mediante<br />

l'uso che la <strong>liturgia</strong> fa dei testi dell'Antico Testamento che parlano<br />

di Dio. Quest'uso, in specie, fa si che nella <strong>liturgia</strong> non venga perduta<br />

nessuna delle ricchezze incomparabili del concetto di Dio dell'Antico<br />

Testamento come del Dio trascendente, creatore, Signore, giudice,<br />

sommo ed infallibile direttore <strong>della</strong> storia del mondo e degli<br />

individui.<br />

Ma la <strong>liturgia</strong> non permette mai che si dimentichi, sia pure praticamente,<br />

che quello stesso Dio che si rivelò nell'Antico Testamento<br />

nell'unità <strong>della</strong> sua natura è, in realtà, un Dio nella cui unità numerica<br />

di natura sussistono tre persone realmente distinte. <strong>Il</strong> contesto,<br />

o remoto o prossimo, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> traspone sempre i testi dell'Antico<br />

Testamento che parlano di Dio in un <strong>senso</strong> trinitario cristiano. Nella<br />

<strong>liturgia</strong> romana, per esempio, almeno sin dal secolo IV, i salmi sono<br />

esplicitamente e immediatamente cristianizzati mediante la dossologia<br />

del Gloria Patri. Ma anche quando non vi era quest'uso il contesto<br />

liturgico con la sua visione trinitaria espressa in formule ternarie<br />

o anche binarie, come si vedrà sotto, otteneva sempre lo stesso<br />

effetto. In questo <strong>senso</strong> preciso si può dire che il culto del Dio uno<br />

non esiste nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Secondo punto da premettere: del modo scritturistico di considerare<br />

la Trinità, la <strong>liturgia</strong>, come la tradizione patristica più<br />

antica, adotta semplicemente la visuale che consiste nel mettere al<br />

primo piano dell'attenzione e <strong>della</strong> coscienza la distinzione reale<br />

delle persone e ad affermare la loro unità di natura solo in un secondo<br />

momento psicologico. /<br />

Riguardo poi al fatto che la Scrittura, in materia trinitaria, considera<br />

quelle stesse persone in prima linea nei loro rapporti extratrinitari<br />

<strong>della</strong> storia sacra e <strong>della</strong> salvezza secondo lo schema a, per,<br />

in, ad, la <strong>liturgia</strong>, nel suo svolgersi storico, si è comportata con sfumature<br />

diverse. Nei testi di origine più antica, attenendosi più da<br />

vicino alla Scrittura stessa, dà enorme prevalenza alla considerazione<br />

delle persone divine nei loro rapporti extratrinitari <strong>della</strong> storia sacra<br />

e <strong>della</strong> salvezza secondo lo schema a, per, in, ad. In questi testi domina<br />

quindi nettamente la visuale cristologico-trinitaria. Si può dire<br />

che questa visuale costituisca ancora lo sfondo generale <strong>della</strong> visione<br />

del mondo nella <strong>liturgia</strong>, specialmente in quella romana.<br />

Ma, in questa materia, le liti antiariane occasionarono nelle liturgie<br />

un certo spostamento di accento. A partire da quel momento<br />

cioè, le liturgie, pur conservando sempre come sfondo la considerazione<br />

extratrinitaria delle persone secondo lo schema a, per, in, ad, e<br />

quindi la visuale cristologico-trinitaria, si preoccupano di moltiplicare<br />

notevolmente l'affermazione, fatta in un secondo tempo psicologico,<br />

<strong>della</strong> uguaglianza intratrinitaria delle persone stesse, uguaglianza<br />

negata appunto dall'eresia ariana. Così, l'attenzione, dal piano<br />

delle relazioni extratrinitarie delle persone secondo lo schema a, per,<br />

in, ad, viene ad essere concentrata, assai più di quanto avveniva


TRINITÀ NELLE LITURGIE 211<br />

direttamente nella Scrittura, sul piano ontologico e intratrinitario<br />

dell'unità numerica <strong>della</strong> sostanza divina e dell'uguaglianza delle<br />

persone.<br />

In questo modo, al fondo liturgico antico <strong>della</strong> visuale cristologicotrinitaria<br />

in cui si tratta direttamente del Padre, di Cristo, dello Spirito<br />

Santo nei loro rapporti con la storia sacra, venne a giustapporsi,<br />

e talvolta a sovrapporsi, tutta una serie di affermazioni che considerano<br />

le persone delia Trinità in se stesse nell'unità ed uguaglianza<br />

<strong>della</strong> natura divina in una visione più direttamente e puramente trinitaria.<br />

Dopo aver affermato come per il passato, con modi e sfumature<br />

diverse, che ogni bene ci viene dal Padre per mezzo di Cristo,<br />

suo Figlio incarnato e nostro redentore e capo, nella presenza in noi<br />

dello Spirito Santo e che così tutto ritorna al Padre, le liturgie ora<br />

aggiunsero subito, in modo più o meno esplicito, che il Padre, il<br />

Figlio, considerato indipendentemente dalla sua incarnazione, e lo<br />

Spirito Santo, visti nella vita intratrinitaria, sono un'unica ed uguale<br />

deità. Si potrebbe dunque dire che la formula completa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

a partire dalla lite ariana, diventa : a Patre,per Christum Filìum eius,<br />

in Spiritu ad Patrem, beata Trinitas uniis Deus.<br />

È vero però che questa preoccupazione antiariana appare, tutto<br />

sommato, assai meno forte nella <strong>liturgia</strong> romana che nelle altre liturgie,<br />

specialmente in quelle orientali, nonché nella <strong>liturgia</strong> spagnola<br />

e gallicana, nelle quali la polemica antiariana ha inciso assai<br />

più profondamente. Nella <strong>liturgia</strong> romana, questa preoccupazione<br />

appare praticamente: in alcune conclusioni sviluppate delle orazioni<br />

liturgiche e nelle dossologie, come si spiegherà meglio sotto; nei simboli<br />

niceno-costantinopolitano e atanasiano; nel prefazio che attualmente<br />

si canta ogni domenica ordinaria e nella festa <strong>della</strong> Trinità e<br />

che figura già nel Gelasiano verso la metà del sec. IX 24 ; specialmente<br />

nella festa, ufficio e messa <strong>della</strong> SS. Trinità che sono però d'origine<br />

medievale franca — opera, essenzialmente, di Alcuino, morto nell'804,<br />

e di Stefano, vescovo di Liegi dal 903 al 920 — e contro la cui accettazione<br />

Roma oppose lunga resistenza. Anche alcune preghiere nella<br />

<strong>liturgia</strong> romana odierna, che s'indirizzano direttamente alla SS. Trinità,<br />

sono d'origine franca, come il Suscipe Sancta Trinitas e il Placeat<br />

Ubi Sancta Trinitas <strong>della</strong> messa che appaiono nei messali nei<br />

secoli IX-XI.<br />

In quanto alle speculazioni teologiche trinitarie propriamente<br />

dette, sia che si tratti di quella che il P. de Régnon ha chiamato la<br />

teoria greca <strong>della</strong> Trinità, sia che si consideri quella che lo stesso ha<br />

chiamato la teoria latina nella sua forma agostiniana o, a fortiori,<br />

nelle sue forme scolastiche, nella <strong>liturgia</strong> romana le loro tracce sono<br />

praticamente inesistenti - 5 .<br />

24 Mohlberg n. 680 p. 105. Vedi pure J. JUNGMANN, Die Abwehr des gertnanischen<br />

Arianismus und der Umbruch der religiose». Kultur ini friihen Mittelalter,<br />

ristampato nella raccolta: Liturgisches Erbe und pastorale Gegenwart,<br />

Innsbruck 1960 pp. 3-86 specialmente pp. 30-52.<br />

25 Per quanto riguarda la <strong>liturgia</strong> romana, si noterà, infatti, che la pole-


212 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

Per convincersi di tutto questo basta passare in rassegna, attenendosi<br />

anzitutto alla <strong>liturgia</strong> romana, le orazioni, le dossologie, i<br />

cicli liturgici, i sacramentali, i sacramenti — riallacciando al battesimo<br />

lo studio delle professioni di fede e dei simboli — e la messa.<br />

Le orazioni<br />

In breve: nell'inizio e nel corpo delle orazioni liturgiche predomina<br />

nettamente la struttura cristologico-trinitaria, secondo la consueta<br />

visuale dello schema a, per, in, ad più o meno integralmente<br />

espresso e riferito direttamente ai rapporti delle persone con la storia<br />

sacra. Questo vale pure per la conclusione delle orazioni, nelle orazioni<br />

più antiche. Solo a partire dalla polemica antiariana si moltiplicano<br />

le conclusioni ove si afferma l'uguaglianza delle persone in<br />

una visuale più direttamente intratrinitaria. E solo a partire dal<br />

medio evo, e specialmente in epoca più recente ancora, si sono infiltrate<br />

nella <strong>liturgia</strong> romana alcune orazioni, poche in verità, di<br />

tipo completamente diverso.<br />

La regola generale ben nota <strong>della</strong> tradizione antica è che l'orazione<br />

liturgica sia diretta al Padre, per mezzo di Gesù Cristo, sommo<br />

nostro mediatore. La forza di questa regola nell'antichità era tale<br />

che il concilio di Ippona del 393, a cui assisteva Agostino, allora semplice<br />

sacerdote, nonostante il pericolo dell'arianesimo che da questo<br />

poteva prendere pretesto per attaccare la fede cattolica 26 , la formulò<br />

in modo universale ed assoluto : « Cum altari assistìtur, semper ad<br />

Patrem dirigatur oratìo » 27 . Questa regola si fonda, oltre che sulla<br />

tradizione antica, sulle esortazioni esplicite di S. Paolo, il quale<br />

scriveva : « La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente, in ogni<br />

sapienza, ammaestrandovi ed esortandovi a vicenda, fra salmi, inni<br />

e cantici spirituali, dolcemente a Dio cantando nei vostri cuori; e<br />

qualunque cosa facciate o con parole o con opere tutto fate nel<br />

nome del Signore Gesù; rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di<br />

lui» (Col 3,16 s). « Siate Tipieni- dello Spirito Santo, trattenendovi<br />

con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmodiando in cuor<br />

vostro al Signore, rendendo sempre grazie per tutto nel nome del<br />

Signore nostro Gesù Cristo a Dio Padre » (Ef 5,18 s). In S. Paolo la<br />

prassi risponde alla teoria 28 .<br />

Di qui si comprende lo schema antico dell'orazione liturgica.<br />

mica antiariana non vi è fatta a base di ragionamenti apologetici, ma affermando<br />

semplicemente la retta fede dell'unità <strong>della</strong> natura delle persone e <strong>della</strong> loro<br />

uguaglianza.<br />

*° Che gli ariani del secolo IV-V arguissero da queste frasi liturgiche cattoliche<br />

contro i cattolici stessi, lo dimostra il frammento di un autore ariano di<br />

quest'epoca edito da G. Mercati in Studi e Testi 7 (Roma 1902) 47-56. Vedine anche<br />

il testo in Sacramentarium Veronense ed. Mohlberg pp. 201-202.<br />

^ Mansi IH 884.<br />

28 1Vedi per es., Rm 1,8-10; 8,34 e in genere l'inizio delle epistole come<br />

Ef 1,3 ss; \Cor 1,4 9; 2 Cor 1,3-6; Gal 1,2-5; Coi 1,3 ss; 1 Ts 1,2 ss.


TRINITÀ NELLE ORAZIONI 213<br />

L'orante s'indirizza innanzitutto al Padre, che spessissimo, sin dalle<br />

prime parole, interpella direttamente come Padre, Dio, Signore, Signore<br />

Iddio, ecc. e di cui commemora, in modo più o meno ampio<br />

e insistente, alcuni attributi e alcune operazioni verso di noi, come:<br />

onnipotente, eterno, creatore, che mandasti a noi il tuo Figlio,<br />

che nell'Antico Testamento operasti tali prodigi o disponesti tali<br />

ordinamenti, che in questo santo operasti tale virtù, che ci concedi<br />

questo beneficio, ci permetti tale azione. È dunque, sin dal principio,<br />

uno squarcio di storia sacra vista dalla parte del Padre ut a quo<br />

omnia.<br />

Occorre notare, a questo proposito,^crTe~eolui a cui è indirizzata<br />

l'azione liturgica è veramente il Padre, prima perdona <strong>della</strong> Trinità,<br />

e non solo Dio, in comune. Questo si verifica non soltanto quando<br />

è interpellato col nome di Padre e nel contesto si parla delle sue<br />

relazioni specialmente intratrinitarie col Figlio {hyós, filius) e con<br />

lo Spirito, ma anche quando è semplicemente interpellato col nome<br />

di Dio o Signore {Dèspota), Padre nostro, con attributi o operazioni<br />

per sé comuni alle tre Persone, come onnipotente, creatore, giudice<br />

e si fa menzione di Cristo come suo pais, puer, servo, titolo specificamente<br />

messianico, anche se poi non si fa nessuna menzione dello<br />

Spirito Santo. <strong>Il</strong> motivo di ciò è che in questo la <strong>liturgia</strong> non fa che<br />

conformarsi al primitivo uso cristiano come appare consegnato nella<br />

Scrittura.<br />

È noto, infatti, che nel Nuovo Testamento, sebbene non solo<br />

il Padre, ma nonostante il rigido monoteismo, anche il Figlio, Gesù<br />

Cristo, sia ritenuto veramente e propriamente Dio, e lo stesso valga<br />

dello Spirito Santo 29 , pur tuttavia vi è forte tendenza: 1. a riservare<br />

il nome di Dio al solo Padre 30 ; 2. a considerare anche come « Padre<br />

nostro » non già semplicemente Dio, ma il « Padre », la prima persona<br />

<strong>della</strong> Trinità il cui « Figlio » — hyós — è Gesù Cristo e di cui anche<br />

noi siamo i figli adottivi 31 ; 3. a considerare come detto del Padre,<br />

prima persona <strong>della</strong> Trinità, quello che l'Antico Testamento diceva<br />

semplicemente di Dio 32 .<br />

È pure cosa notissima che gli schemi delle dossologie cristiane<br />

nel Nuovo Testamento, in specie in S. Paolo, nonché quello delle<br />

preghiere, specialmente <strong>della</strong> grande « eucaristia » <strong>della</strong> messa, derivano<br />

da schemi giudaici che s'indirizzano a « Dio » di cui enumerano gli<br />

=9 Vedi per es., Mt 11,27; 28,18 s; Gv 1,14; 20,28; firn 9,5; Tt 2,13; FI 2,5 ss;<br />

Col 1,19; 2,9. Per lo Spirito Santo bisogna ricorrre alle operazioni propriamente<br />

divine in noi che le sono attribuite; vedi specialmente Rm 8,1-39; 1 Cor 2,7-16;<br />

12,1-11.<br />

30 Vedi per es., Col 3,16 s; 1 Tm 2,5 da paragonare con 1 Cor 8,4-6; Rm 1,8-10;<br />

8,5-35 da paragonare con 1 Gv 2,1 e con Eb 7,25; Gal 4,6; 1 Cor 1,3; Col 1,3; 1 Pt 1,3.<br />

31 In tanti testi di S. Paolo l'identificazione reale del Padre nostro con la<br />

prima persona <strong>della</strong> Trinità, Padre del nostro Signore Gesù Cristo che è suo<br />

Figlio — hyós —, è talmente insistente, che si deve supporta anche là dove non<br />

è esplicitata. Vedi per es., Rm 1,1-9; 1 Cor 1,3-9; 2 Cor 1,2 s; Gal 1,1-16; 2,19-21; 4,4-7;<br />

Ef 1,1-3; Col 1,2 s; 1 Ts 1,1-10. Vedi anche 1 Gv 1,12-14.<br />

a 2 Vedi per es., Eb 1,7.


214 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

attributi e le operazioni, per esempio, onnipotenza, creazione, giudizio,<br />

provvidenza, paternità verso Israele. È altrettanto noto, però, che<br />

il Nuovo Testamento e la primitiva tradizione cristiana cristianizzano<br />

questi schemi per il fatto che nel contesto intendono più o meno<br />

esplicitamente quel « Dio » del Padre, non solo Padre nostro ma<br />

anche prima persona <strong>della</strong> Trinità, perché si fa sempre menzione del<br />

suo « Figlio » e <strong>della</strong> sua manifestazione in Lui.<br />

Questa cristianizzazione è reale anche se quel Figlio è semplicemente<br />

servo (pais, puer), Cristo, il Messia. Nel Nuovo Testamento,<br />

infatti, la rivelazione <strong>della</strong> pluralità delle persone in Dio non avvenne<br />

dapprima per via astratta, ma concreta. Quando cioè agli apostoli<br />

fu dato d'intendere che quell'uomo, il messia, il servo di Jahweh,<br />

Gesù, era figlio di Dio a un titolo specialissimo e che quindi « Dio »,<br />

il Dio dell'Antico Testamento, era bensì padre nostro, ma era ancor<br />

più, a un titolo specialissimo, « Padre » di Cristo. Nessuna meraviglia<br />

quindi che i testi arcaici che parlano del Padre e del Figlio siano<br />

ancora fortemente nella visuale del Dio dell'Antico Testamento e del<br />

suo servo il messia; è infatti in questa prospettiva e come a partire<br />

da essa che agli apostoli venne pedagogicamente e con sempre maggiore<br />

chiarezza rivelata l'esistenza di una pluralità di persone in<br />

Dio. Come fu a partire dall'esperienza concreta dello Spirito che<br />

capirono sempre meglio l'esistenza di una terza persona in Dio. Per<br />

questi motivi, preghiere che, al primo aspetto, sembrerebbero indirizzate<br />

semplicemente a Dio in genere o anche al Padre nostro,<br />

sono in realtà indirizzate dai cristiani a quello che conoscevano come<br />

Padre di Gesù Cristo, alla prima persona <strong>della</strong> Trinità, secondo la<br />

ben nota esortazione di S. Paolo. La cosa per il contesto nettamente<br />

trinitario è manifesta per At 4, 24-31; la preghiera dei cristiani dopo<br />

il ritorno degli apostoli dalla prigione; e per Clemente 1 Cor 58-61 introdotta<br />

in un contesto chiaramente trinitario (vedi anche 46,6).<br />

Crediamo che anche Didaché 9,2-4; 10,2-5, nonostante che sia indirizzata<br />

al « Padre nostro », al « Padre santo », in realtà non faccia<br />

altro che mettere in pratica l'ammonimento di S. Paolo : « ...rendendo<br />

sempre grazie nel nome del Signor nostro Gesù Cristo a Dio Padre ».<br />

Con più forte ragione, per i motivi sopraddetti e per l'antica rigida<br />

regola ecclesiastica richiamata dal concilio di Ippona del 393, non si<br />

deve dubitare che il Deus, a cui, senza ulteriori indicazioni trinitarie,<br />

s'indirizzano molte orazioni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> romana sia antica — come<br />

nel Leoniano la quasi totalità e molte ancora del Gelasiano — che<br />

moderna, con la semplice conclusione: per Christum Dominum nostrum,<br />

sia realmente il Padre, la prima persona <strong>della</strong> Trinità.<br />

<strong>Il</strong> corpo poi dell'orazione antica è costituito dall'espressione dell'adorazione,<br />

del ringraziamento, del pentimento, <strong>della</strong> domanda di<br />

protezione e di nuove grazie. Più frequenti sono il ringraziamento e<br />

la domanda. Questa adorazione, ringraziamento, pentimento, domanda,<br />

vengono^ poi facilmente motivati in modo più o meno ampio :<br />

l'orante .manifesta perché vuole adorare, ringraziare, pentirsi, domandare.<br />

Qui, spessissimo, ricorre nuovamente qualche squarcio di


TRINITÀ NELLE ORAZIONI 215<br />

storia sacra: si ringrazia il Padre per i benefici Che ci ha fatti, spessissimo<br />

con la menzione esplicita che ce Ti ha fatti per mezzo di<br />

Gesù Cristo o mandandoci lo Spirito; si prende anche occasione dai<br />

benefici presenti, per esempio quello di partecipare ai misteri <strong>della</strong><br />

messa, di celebrare una festa; si domandano nuove grazie temporali<br />

e spirituali : per la Chiesa : affinché possa adempire efficacemente<br />

la sua missione; per tutto il popolo cristiano : affinché possa raggiungere<br />

felicemente il suo fine che è il ritorno al Padre nella vita eterna;<br />

per un individuo determinato: affinché Dio gli conceda le grazie<br />

del sacramento che riceve — e qui spesso entra la menzione dello<br />

Spirito Santo, che si prega il Padre di concedere all'interessato —<br />

o del sacramentale che gli viene impartito. In tutto questo predomina<br />

sempre la visuale cristologico-trinitaria con la considerazione<br />

delle persone ad extra nello schema a, per, in, ad.<br />

L'orazione ha poi una conclusione. Come fu giustamente rilevato<br />

dal P. Jungmann 33 , le cui conclusioni a questo punto del nostro<br />

studio possono servirci spesso di base, è nello sviluppo storico <strong>della</strong><br />

conclusione delle orazioni (e delle dossologie) che, per il periodo antico,<br />

si manifesta, nelle liturgie specialmente, quel progressivo accentuarsi<br />

dell'affermazione dell'uguaglianza delle persone <strong>della</strong> Trinità<br />

in funzione antiariana cui sopra abbiamo accennato.<br />

La conclusione delle orazioni nella tradizione orientale contiene<br />

quasi sempre anche una dossologia; non così nella <strong>liturgia</strong> latina<br />

romana. In tutti e due i casi la conclusione contiene sempre la menzione<br />

di Cristo mediatore 34 . La più semplice di queste conclusioni è<br />

il romano : « Per Christum Dominarti nostrum » che nel Leoniano è<br />

la conclusione esclusiva delle collette, segrete e dei postcommunio<br />

e si conserva ancora largamente nella <strong>liturgia</strong> romana odierna. <strong>Il</strong><br />

<strong>senso</strong> è chiaro: Padre, ti ringraziamo, adoriamo, chiediamo per<br />

Cristo nostro Signore, cioè riferendoci a Lui, in unione con Lui, a<br />

nome suo, attraverso la sua intercessione, quale nostro capo. È la<br />

semplice messa in opera dell'ammonimento di S. Paolo, spesso ricordato,<br />

e <strong>della</strong> dottrina del Nuovo Testamento di Cristo nostro intercessore<br />

presso il Padre (1 Gv2,l; Rm 8,34; Eb 7,25; Gv 14,16; 16,23).<br />

Una magnifica esplicitazione del significato di quel Per Christum<br />

Dominum nostrum, si ha nella conclusione <strong>della</strong> grande preghiera<br />

di S. Clemente romano nell'epistola ai Corinti, preghiera mo<strong>della</strong>ta<br />

sul tipo <strong>della</strong> preghiera liturgica, e che così finisce :<br />

« A Te, che solo hai potere d'operar questi beni<br />

e altri più grandi per noi,<br />

rendiamo grazie, per mezzo del gran Sacerdote<br />

e patrono delle anime nostre, Gesù Cristo<br />

per il quale a Te sia gloria e magnificenza<br />

33 Die Stellung Christi im liturgischen Gebet, Munster i.W. 1925, (2* ed.<br />

1962), opera che, nel campo che qui c'interessa, ha largamente dissodato il terreno.<br />

34 Nelle preghiere riportate dalla Didaché (9 e 10), ed è, per quanto mi<br />

consta, il solo caso, la menzione di Cristo mediatore non è proprio nella conclusione<br />

<strong>della</strong> preghiera, ma immediatamente avanti.


216 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

e ora<br />

e di generazione in generazione<br />

e nei secoli dei secoli. Amen » 33 .<br />

La stessa formula si ripete al capitolo 64, e, sostanzialmente nel<br />

Martyrium Polycarpi 3 *. Lo stesso Clemente romano ne illustra il<br />

<strong>senso</strong> quando spiega cosa significa per noi la mediazione di Cristo:<br />

« Questa è la via, o carissimi, nella quale noi troviamo la nostra<br />

salvezza, Gesù Cristo, il sommo sacerdote delle nostre oblazioni,<br />

il patrono e l'aiuto <strong>della</strong> nostra debolezza. Per mezzo suo noi fissiamo<br />

lo sguardo nella sublimità dei cieli; per mezzo suo noi vediamo<br />

come in uno specchio (cfr. 2 Cor 3,18) l'immacolata e sublime<br />

sembianza di Dio; per mezzo suo gli occhi del nostro cuore si sono<br />

aperti; per mezzo suo la nostra mente prima ottusa e ottenebrata,<br />

si riapre come fiore alla luce; per mezzo suo il Signore volle farci<br />

gustare la scienza immortale » ".<br />

La conclusione: per Cristo nostro Signore, o meglio ancora,<br />

per Cristo nostro gran sacerdote, apre dunque la prospettiva sull'idea<br />

che l'orazione liturgica non è possibile, non ha <strong>senso</strong> e valore,<br />

che come unione dell'orazione <strong>della</strong> Chiesa all'orazione di Cristo<br />

ora glorioso presso il Padre, nostro capo e intercessore presso di<br />

Lui; come orazione di Cristo, attivo e presente nella Chiesa. Non<br />

possiamo presentarci al Padre che nascosti in Cristo. In seguito<br />

dovremo ritornare su queste idee.<br />

Comunque, si vede, sin d'ora, come le orazioni che hanno<br />

questa conclusione, anche senza la menzione dello Spirito Santo,<br />

siano però sempre nella linea cristologico-trinitaria <strong>della</strong> considerazione<br />

delle persone ad extra secondo lo schema a, per, in, ad.<br />

Esse sono tutte imperniate sulla considerazione del Padre come<br />

origine a quo e termine ad quem dell'economia ad extra e del<br />

Figlio incarnato e ora glorioso presso il Padre ut per quem <strong>della</strong><br />

stessa economia.<br />

Un ulteriore sviluppo <strong>della</strong> conclusione delle orazioni liturgiche<br />

si ha con l'aggiunta dello Spirito Santo alla menzione di Cristo<br />

mediatore. I testi di lingua greca possono essere studiati, da questo<br />

punto di vista, insieme con le dossologie, perché nella tradizione<br />

greca le orazioni si concludevano con una dossologia che solo in<br />

un secondo tempo menzionò lo Spirito Santo.<br />

Nella conclusione delle orazioni romane latine la menzione<br />

dello Spirito Santo fu introdotta mediante un ampliamento dell'antica<br />

semplice chiusa: Per Christum Dominum nostrum. Questo am-<br />

" 1 Cor 61,3.<br />

s « 14,3. JUNGMANN, Die Stellung... p. 127 s, segnala la stessa formula nel frammento<br />

di una preghiera, probabilmente liturgica, di un papiro del secolo secondo-terzo,<br />

e nota la stessa idea in TERTULLIANO (Adv. Marc. IV 9). Vedi anche<br />

CLEMENTE ALESSANDRINO (Strom, II 9 n. 45,6; II 22 n. 134,2. Protrep. XII ed. Stahlin<br />

p. 84). Tutti segni che nel secolo secondo-terzo la formula doveva essere assai<br />

comune.<br />

« 1 Cor 36.


TRINITÀ NELLE ORAZIONI 217<br />

pliamento dette origine alla formula più evoluta di tutte: Per<br />

Dominum nostrum lesum Christum (filium tuum), qui tecum vivit<br />

et regnat in unitate Spiritus Sancti (Deus) per omnia saecula saeculorum.<br />

Si discute del <strong>senso</strong> preciso <strong>della</strong> clausola: in unitate<br />

Spiritus Sancti, la quale, come si sa, ritorna nella dossologia conclusiva<br />

del canone romano. Sebbene non tutto sia ancora chiarito 38 ,<br />

per le orazioni la spiegazione più probabile sembra si debba ricercare<br />

nella linea proposta dal P. Botte: l'ampliamento <strong>della</strong> vecchia<br />

conclusione in quella più lunga fu cagionato dalla preoccupazione<br />

<strong>della</strong> polemica antiariana. Abbiamo visto come le orazioni liturgiche<br />

nell'antichissima loro struttura non solo consideravano le<br />

persone divine nella visuale predominante <strong>della</strong> loro reale distinzione,<br />

ma ciò facevano altresì vedendole anzitutto nei loro rapporti<br />

ad extra secondo lo schema a, per, in, ad. E in questo stesso si fermavano<br />

massimamente al solo Padre e al Figlio incarnato sempre<br />

menzionati, mentre lo Spirito Santo non lo era sempre.<br />

In polemica contro l'eresia ariana, senza mutar nulla all'antica<br />

tradizione riguardo al principio e al corpo dell'orazione, se ne ampliò<br />

la conclusione nominandovi le tre persone, trasportando l'attenzione<br />

dal piano direttamente extratrinitario a quello <strong>della</strong> vita<br />

e del regno intratrinitario e dal piano in cui predomina la loro<br />

distinzione a quello in cui predomina la loro unità e uguaglianza.<br />

Così, dopo le parole tradizionali: per Christum Dominum nostrum<br />

(o per Dominum nostrum lesum Christum) si aggiunse una formula<br />

che esprimesse l'idea che Cristo, il Figlio del Padre, vive (vive<br />

e regna) eternamente assieme al Padre e allo Spirito Santo. Le<br />

formule per esprimere ciò furono varie nei particolari. Comunque,<br />

sembra certo che l'espressione: cum Spiritu Sancto, precedesse<br />

quella di: in unitate Spiritus Sancti e che — verso il 420-430 — da<br />

quella si passasse a questa, ciò che nella seconda metà del secolo<br />

V fu accettato rapidamente e un po' ovunque in Occidente, eccettuato<br />

in Spagna.<br />

Da tutto questo, nonostante la difficoltà di questa clausola in<br />

unitate Spiritus Sancti il cui <strong>senso</strong> non era più percepito sin dal<br />

principio del secolo VI, sembra che il significato dell'intera formula<br />

ampliata sia : « Per il Signore nostro Gesù Cristo, tuo Figliolo, il<br />

quale con te vive e regna nell'unità <strong>della</strong> natura divina che avete<br />

assieme allo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli ». In specie<br />

il riawicinamento con certe conclusioni che ricorrono in Arnobio<br />

il giovane, vissuto a Roma e morto verso il 450, indirizzano l'interpretazione<br />

in questo <strong>senso</strong> 39 .<br />

38 Vedi la discussione in JUNGMANN, Die Stellung... p. 179 ss (2 S ed. p. XVI*-<br />

XVII*); Missarum sollemnia ed. ital. Marietti 1954 II 203 s; B. BOTTE, L'ordinaire<br />

de la messe, Paris-Louvain 1953 p. 133 ss.<br />

39 Rilevate dal Botte Le. p. 136 : « Per ipsum Dominum nostrum lesum<br />

Christum, qui regnat in unitate Patris et Spiritus Sancti in saecula saeculorum ».<br />

« Qui regnat cum Patre et Spiritu Sancto, in unitate deitatis ». Niente, comunque,<br />

autorizza a vedere nella clausola la teoria specificamente agostiniana che<br />

nella Trinità lo Spirito Santo è l'unità tra il Padre e il Figlio.


218 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

Comunque, questa maggiore accentuazione del punto di vista<br />

antiariano nelle conclusioni di un certo numero di orazioni liturgiche<br />

romane non tolse a queste il carattere predominante di<br />

essere concepite sullo sfondo <strong>della</strong> visuale cristologico-trinitaria<br />

<strong>della</strong> storia sacra secondo lo schema a, per, in, ad; solo che la<br />

nuova conclusione, alla visuale cristologico-trinitaria antica aggiungeva<br />

anche una visuale più direttamente e semplicemente<br />

trinitaria.<br />

Così il predetto carattere cristologico-trinitario delle orazioni<br />

si mantenne nell'antichità finché si osservò l'antica regola che<br />

le orazioni liturgiche fossero indirizzate al Padre per mezzo di<br />

Gesù Cristo. Necessariamente, invece, dovevano prendere un altro<br />

carattere quelle orazioni che, abbandonando quella regola, furono<br />

indirizzate direttamente a Cristo o al Figlio 40 . A queste l'antica<br />

conclusione non si adattava più. La nuova conclusione fu: Qui<br />

vivis et regnas... Essa comincia già ad apparire nelle recensioni<br />

posteriori del sacramentario gregoriano in una serie di orazioni<br />

di messe dell'avvento indirizzate al Domine o al Deus, che veniva<br />

così inteso non già del Padre, ma del Figlio. Nel medioevo furono<br />

anche composte una serie di nuove orazioni indirizzate chiaramente<br />

al Figlio: ed anzi, a partire dal secolo XV, alcune di queste<br />

cominciarono col: Domine Jesu Christe...<br />

Ancor più si discostarono dalla tradizione antica quelle orazioni<br />

medievali che s'indirizzarono direttamente alla Trinità. Comunque,<br />

sono relativamente poche. Jungmann 4I su un totale di<br />

circa un migliaio di collette, secrete e postcommunio che si<br />

trovano nel messale romano odierno, ne conta solo 64 del nuovo<br />

tipo, e ancora, di queste, 17 sono semplicemente antiche orazioni<br />

del tipo consueto indirizzate come al solito al Padre, ma che in<br />

un secondo tempo furono capite come indirizzate al Figlio.<br />

Le dossologie<br />

Le dossologie 42 nella <strong>liturgia</strong> dipendono da quelle del Nuovo<br />

Testamento e queste a loro volta hanno stretti legami con le dossologie<br />

dell'Antico Testamento e <strong>della</strong> tradizione giudaica posteriore.<br />

Nel Nuovo Testamento una serie di dossologie sono indirizzate<br />

al solo Padre (Dio, Dio e Padre nostro: Rm 11,36; Gal 1,5;<br />

FU 4,20; \Tm 1,17; 6,16; \Pt 5,11; Ap 4,9-11; 7,12); tre sono indirizzate<br />

al Padre per Cristo (Rm 16,27; ÌPt 4,11; Gd 25); quattro<br />

40 Nei testi liturgici di lingua greca i primi esempi si riscontrano nella<br />

<strong>liturgia</strong> delle Costituzioni Apostoliche (VII 43; Vili 7), compilazione <strong>della</strong> fine<br />

del secolo quarto o del principio del quinto, come si crede.<br />

•» Die Stellung... p. 103.<br />

« 2 Vedi ora A. STUIBER, Doxologie in: Reallex. f. Antike u. Christ. IV (1959)<br />

210-26.


TRINITÀ NELLE DOSSOLOGIE 219<br />

sono certamente indirizzate a Cristo solo (2 Tm 4,18; Eb 13,21;<br />

2Pt 3,18; Ap 1,6); una lo è probabilmente (Rm 9,5); una è indirizzata<br />

a Dio e a Cristo (Ap 7,10) e una è indirizzata al Padre nella<br />

Chiesa e in Cristo (£/ 3,21). L'occasione prossima di queste dossologie<br />

è la considerazione degli attributi di Dio (1 Tm 6,16), delle<br />

sue operazioni nella creazione (per es., Ap 4,11) e specialmente<br />

nella storia sacra <strong>della</strong> salvezza e <strong>della</strong> redenzione.<br />

E da questo sfondo che nascono le dossologie <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Esse furono sempre particolarmente abbondanti nella tradizione<br />

greca che era solita chiudere con una dossologia non solo la grande<br />

« eucaristia » <strong>della</strong> messa, ma qualsiasi preghiera liturgica, secondo<br />

il frequentissimo uso giudaico. Essa creò pure assai presto<br />

dossologie separate come pezzi a sé stanti. La tradizione romana<br />

latina non seguì l'uso di terminare ogni preghiera liturgica con la<br />

dossologia, ma ritenne quello universale di terminare con essa<br />

il canone <strong>della</strong> messa, adottò un certo numero di dossologie separate<br />

create dalla tradizione greca — specialmente il Gloria Patri,<br />

il Gloria in excelsis, il Te decet laus — alle quali aggiunse anche<br />

il Te Deum, d'origine occidentale, e terminò i suoi inni con dossologie<br />

proprie.<br />

Orbene, anche le dossologie sono costruite nella prospettiva<br />

cristologico-trinitaria, ma con sfumature diverse. Sono poche nei<br />

testi liturgici rimastici le tracce di dossologie indirizzate al solo<br />

Padre 43 . Tutte le altre sono o binarie (nominano Padre-Dio-Signore;<br />

Cristo-Figlio) o ternarie (Padre; Cristo-Figlio; Spirito Santo).<br />

Naturalmente, anche nelle dossologie, anzi in modo speciale<br />

nelle dossologie, si è riflettuta la polemica antiariana. Già anticamente,<br />

assai prima di questa polemica, si ebbero dossologie nelle<br />

quali le persone erano nominate con la semplice particella coordinativa:<br />

e... e. Così per esempio nell'antico inno vespertino del<br />

secolo II-III : « Luce gioiosa <strong>della</strong> santa gloria del Padre immortale,<br />

celeste, santo, beato. Gesù Cristo! Arrivati al tramonto del<br />

sole, contemplando la luce serale, lodiamo il Padre e il Figlio e<br />

lo Spirito Santo ». S. Basilio, che nel capitolo 29 dell'opera sullo<br />

Spirito Santo, ricorda questo fatto agli ariani, cita anche una<br />

serie di autori antichi che usarono simili dossologie, tra i quali:<br />

Dionisio Alessandrino, Giulio Africano, Gregorio Taumaturgo.<br />

Questo tipo di dossologia, in cui l'uguaglianza delle persone<br />

è messa assai in rilievo poiché vengono semplicemente coordinate<br />

e considerate in modo assoluto sul piano intratrinitario come<br />

unico oggetto <strong>della</strong> gloria che loro rendiamo, sembra derivare<br />

dalla formula battesimale (Mt 28,19). Ma anticamente era assai<br />

raro. A partire dalla lite ariana i cattolici lo moltiplicarono. Sappiamo<br />

che ad Antiochia nel 350 essi cantavano la formula : « Gloria<br />

al Padre e al Figliolo e allo Spirito Santo, ora e sempre e nei<br />

secoli dei secoli : Amen » in <strong>senso</strong> nettamente antiariano. Questa<br />

43 Didaché 9; 10; fine dell'orazione dei fedeli nel papiro di Der Balyzeh II 10.


220 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

formula fece fortuna. S. Basilio verso lo stesso tempo introdusse<br />

pure, sempre con intenzione antiariana, una nuova formula dello<br />

stesso tipo: «Gloria a Dio e Padre... con (metà) il Figlio e con<br />

(syn) lo Spirito Santo ». In tutto l'Oriente nel secolo quarto e<br />

quinto queste formule coordinate si moltiplicarono. Le più frequenti<br />

furono : « ...col quale (meth'ou) sei benedetto assieme allo<br />

Spirito Santo »; « Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo<br />

e ora e sempre e nei secoli dei secoli »; « A Te si deve lode, a<br />

Te si deve inno, a Te si deve gloria, Padre e Figlio e Spirito<br />

Santo ».<br />

Invece, prima <strong>della</strong> lite ariana, il tipo di dossologia molto più<br />

frequente era quello in cui le persone erano nominate con le particelle<br />

relative: per... in. Si trovano tracce di dossologie antiche<br />

binarie in cui si dava gloria al Padre per Cristo-Figlio senza nominare<br />

lo Spirito Santo 44 .<br />

Altra formula, ternaria questa, rendeva gloria al Padre per<br />

mezzo (dia) del Figlio e per mezzo dello Spirito Santo. Così Giustino<br />

dice in modo generale : « Noi... per tutto quello di cui ci<br />

nutriamo benediciamo il fattore di tutte le cose per mezzo (dia)<br />

del suo Figlio Gesù Cristo e per mezzo (kai dia) dello Spirito<br />

Santo »; e a proposito direttamente <strong>della</strong> grande « eucaristia »<br />

<strong>della</strong> messa: « Dopo di che è portato al preposto dei fratelli del<br />

pane e una coppa di vino misto con acqua, e questi, prendendoli,<br />

rende lode e gloria al Padre di tutte le cose per mezzo (dia) del<br />

nome del Figlio e dello Spirito Santo » " 5 . Anche Clemente Alessandrino<br />

scrive : « A cui — Padre — per mezzo del suo servo<br />

— pais — Gesù Cristo, Signore dei vivi e dei morti, e per mezzo<br />

dello Spirito Santo sia gloria »" 6 .<br />

14 Didaché 9,4; CLEMENTE ROMANO, 1 Cor 58,2; 61,3; 64; frammento dell'anafora<br />

di S. Marco (ed. Quasten, Monumenta eucaristica et liturgica vetustissima I<br />

p. 49); preghiera per la benedizione dei frutti nella Tradizione di Ippolito secondo<br />

l'edizione critica di Botte p. 76. È discusso quale sia stata la forma primitiva<br />

del Gloria in excelsis Deo (Vedi per es., JUNGMANN, Die Stellung... p. 144 ss;<br />

B. CAPELLE, Le texte du Gloria in excelsis, in: Rev. d'hist. éccl. 44 (1949) 439-57).<br />

<strong>Il</strong> testo delle Costituzioni apostoliche Vili 47 è certamente ritoccato dal punto<br />

di vista ariano, per cui la recensione del codice alessandrino è sostanzialmente<br />

più autentica (Capelle). È tuttavia probabile che anche in questa recensione la<br />

menzione dello Spirito Santo (et sancte Spiritus inserito in mezzo ad acclamazioni<br />

a Cristo e senza nessun sviluppo) sia posteriore e antiariana.<br />

45 Apol. I 67; 65.<br />

46 Quis dives salvetur 42,20. L'autenticità <strong>della</strong> dossologia del Martyrium<br />

Polycarpi 14 nella sua forma attuale è assai dubbia (Vedi per es., J. A. ROBINSON,<br />

The apostolic anaphora an the prayer of S. Polycarp, in: Journ. of theol. studies,<br />

1920 pp. 97-105; J. W. TYRER, The prayer of S. Polycarp and its concluding doxotogy,<br />

ibid. 1922 pp. 390-92). Essa combina l'antichissima formula binaria: al Padre<br />

per Cristo, suo servo... con una formula ternaria del tipo conosciuto : « Dio...<br />

ti glorifico per mezzo dell'eterno e celeste pontefice Gesù Cristo, tuo diletto<br />

servo — pais — per mezzo del quale a Te, con Lui e lo Spirito Santo (syn<br />

auto kai), gloria, ora e nei secoli futuri. Amen ». A questo gruppo intermedio<br />

tra il tipo di dossologia con le sole particelle relative, e quello con sole particelle<br />

coordinative, appartiene anche la formula che si ebbe assai frequente dopo


TRINITÀ NELLE DOSSOLOGIE 221<br />

Ma, in oriente, prima <strong>della</strong> lite ariana, la formula ordinaria<br />

<strong>della</strong> dossologia fu quella che nella gloria al Padre associava Cristo<br />

— il Figlio — e lo Spirito Santo con le particelle : per... in. Così<br />

Origene raccomanda esplicitamente che la preghiera venga conclusa<br />

« lodando il Padre di ogni cosa per mezzo di Gesù Cristo<br />

nello Spirito Santo » 4T . La conclusione ordinaria delle orazioni nel<br />

Sacramentario di Serapione è : « Ti ringraziamo, ti chiediamo...<br />

per mezzo di Cristo (del tuo Cristo, di Cristo nostra speranza, ecc.,<br />

solo talvolta: dell'unigenito tuo Gesù Cristo) nello Spirito Santo,<br />

per mezzo del quale a Te gloria e impero e ora e in tutti i secoli<br />

dei secoli. Amen ». Nelle orazioni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> del libro Vili<br />

delle Costituzióni Apostoliche la conclusione, con alcune varianti<br />

è : «... per Cristo Dio e salvatore nostro, per mezzo del quale<br />

a Te gloria e venerazione nello Spirito Santo, ora e sempre e nei<br />

secoli dei secoli. Amen ». <strong>Il</strong> testo più antico del Te decet laus<br />

che si trova nelle Costituzioni Apostoliche 48 è : « A Te si deve la<br />

lode, a Te si deve l'inno, a Te si deve gloria Dio e Padre per mezzo<br />

del Figlio nello Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen » 49 .<br />

11 <strong>senso</strong> di questa formula è chiaro per chi si riferisce allo<br />

schema cristologico-trinitario <strong>della</strong> Scrittura a, per, in, ad, che<br />

considera le persone anzitutto nei loro rapporti extratrinitari <strong>della</strong><br />

storia sacra e <strong>della</strong> salvezza: Padre, ti ringraziamo, ti chiediamo,<br />

ti glorifichiamo per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio incarnato,<br />

nostro pontefice, capo e mediatore, e ciò facciamo in virtù<br />

dello Spirito Santo presente in noi che ce ne dà la forza; a Te,<br />

Padre, è da noi data gloria, per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio<br />

incarnato, nostro pontefice, capo e mediatore, e in virtù dello<br />

Spirito Santo presente in noi che ce ne dà la forza. La dossologia:<br />

per... in, meglio di qualsiasi altra corrispondeva dunque alla visuale<br />

cristologico-trinitaria completa del Nuovo Testamento nonché<br />

alla dottrina e alle raccomandazioni esplicite di S. Paolo intorno<br />

al modo in cui doveva farsi la preghiera cristiana 50 .<br />

le liti ariane:... per mezzo del quale e con il quale (di' ou kai meth'ou). £ per<br />

questo che il testo attuale <strong>della</strong> dossologia di Policarpo è sospetto. Nello stesso<br />

Martyrium Polycarpi la formula binaria è conservata in 19 e 20 certamente<br />

antichi; mentre una formula ternaria si ha nel 22 certamente posteriore, come<br />

anche nell'antica versione latina.<br />

47 De Orat. 33.<br />

« VII 48,3.<br />

49 Poiché la formula a, per, in è antica, non mi pare che basti osservare<br />

che la dossologia nelle Costituzioni è del tipo a, per, in, per sospettare, in casu,<br />

come taluni fanno, un rimaneggiamento ariano del testo anche se è certa la<br />

tendenza ariana dell'autore.<br />

50 Ha una notevole particolarità la dossologia finale dell'anafora di Ippolito:<br />

« ... laudarites per puerum tuum Christum Jesum, per quem libi gloria et virtus<br />

Patri et Filio citm Spirita Sancto, in sancta ecclesia et mine et in saecula saeculorum<br />

». Particolare è la menzione <strong>della</strong> Chiesa. JUNGMANN, Die Steltung... 132 s<br />

cita diverse tracce liturgiche che fanno ritenere la menzione <strong>della</strong> Chiesa nelle<br />

dossologie non essere stata tanto rara anticamente. Vedi pure J. M. HANSSENS, La<br />

liturgie d'Hippolyte, Roma 1959 pp. 343-70. Vedi già S. Paolo : «... A lui gloria<br />

nella Chiesa e nel Cristo Gesù in tutte le generazioni del secolo dei secoli.


222 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

Che questa dossologia, immediatamente prima delle liti angariane,<br />

fosse effettivamente la più comune in oriente, lo dimostra<br />

la lotta che si accese intorno ad essa tra ariani e cattolici come<br />

ce la fa intrawedere l'opera di S. Basilio sullo Spirito Santo,scritta<br />

nel 375. La dossologia: per... in, appunto perché non faceva<br />

altro che ripetere la visuale cristologico-trinitaria propria <strong>della</strong><br />

Scrittura mettendo al primo piano dell'attenzione la distinzione<br />

reale delle persone divine e considerandole anzitutto nei loro<br />

rapporti con la storia sacra nello schema a, per, in, ad, aveva insito<br />

in sé il pericolo, come è stato spiegato sopra, che il fedele non<br />

si ricordasse abbastanza dell'unità di natura e dell'uguaglianza<br />

delle persone divine considerate al piano intratrinitario. Questo<br />

pericolo non urgeva fintanto che la fede in questa unità e uguaglianza<br />

fu cosa pacificamente accettata e non discussa, anche se<br />

non spiegata. Ma divenne imminente quando cominciò a infierire<br />

la propaganda ariana che la negava direttamente.<br />

Gli ariani intesero la dossologia tradizionale come se le particelle<br />

per... in, includessero necessariamente una subordinazione<br />

essenziale di sostanza del Figlio e dello Spirito Santo rispetto al<br />

Padre. I cattolici spiegarono che nelle particelle: a... per... in,<br />

si trattava anzitutto di una considerazione delle persone divine<br />

nei rapporti coL mondo; con esse si voleva solo dire che ogni bene<br />

ci viene dal Padre, per mezzo del Figlio incarnato mediatore, nella<br />

presenza dello Spirito Santo, senza negare affatto l'unità di natura<br />

di queste persone altrove chiaramente espressa 51 . Ma poiché il<br />

pericolo ariano era allora cosa troppo urgente, nel corso dei<br />

secoli IV. e V, si pensò fosse meglio in pratica abbandonare la<br />

vecchia formula dossologica e sostituirla con quelle in cui la posizione<br />

cattolica antiariana era direttamente espressa. Furono dunque<br />

le circostanze occasionali <strong>della</strong> polemica e <strong>della</strong> difesa apologetica,<br />

a partire dal secolo quarto, a far relegare un po' nell'ombra<br />

nelle dossologie delle liturgie orientali la prospettiva scritturistica<br />

cristologico-trinitaria a, per, in, ad.<br />

Per capire lo stato <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> romana odierna intorno alle<br />

dossologie bisogna tener conto di tutto questo. La <strong>liturgia</strong> romana<br />

latina antica, in questo campo, accetta il tipo, e spesso anche<br />

presso a poco lo stesso testo, delle dossologie greche di carattere<br />

direttamente antiariano o anche di carattere più antico, ma modi-<br />

Amen » (Ef 3,21). Così si sottolinea che la Chiesa, in quanto corpo di Cristo ed<br />

esclusivo luogo dello Spirito in questo mondo (Dove è la Chiesa, infatti, diceva<br />

Ireneo, là è lo Spirito di Dio, e dove è lo Spirito di Dio, là è la Chiesa e ogni<br />

grazia, Haer, 3,24,1) è il solo luogo dove si glorifica Dio Padre sulla terra. « Non<br />

saremo altrimenti resi perfetti, dice S. Cirillo Alessandrino, che in quanto saremo<br />

accetti a Dio il Padre, nella Chiesa, Cristo offrendoci, in quanto sacerdote »<br />

(De adoratione et cultu in spirita et ventate XVI PG 68, 1016 A). È certo che era<br />

molto cara a Ippolito quest'idea che associa la menzione <strong>della</strong> Chiesa a quella<br />

dello Spirito nella gloria che diamo al Padre per mezzo di Cristo; lo provano le<br />

dossologie <strong>della</strong> Tradizione (n. 6, ed. Botte p. 19: il principio generale) e le<br />

altre sue opere.<br />

51 Vedi S. BASILIO, De Spirita Sancto 4-8.


TRINITÀ NELLE DOSSOLOGIE 223<br />

ficato poi in <strong>senso</strong> antiariano. Così fu, in specie del Gloria Patri<br />

con l'aggiunta al testo greco <strong>della</strong> clausola sicut erat in principio 32<br />

che ne accentua ancora il <strong>senso</strong> polemico antiariano. Così anche<br />

il Te decet laus con le particelle coordinative, che S. Benedetto<br />

già prescriveva nella <strong>liturgia</strong> ai suoi monaci •'•-. Così pure il Gloria<br />

in excelsis Deo, nella recensione alessandrina con la chiara e diretta<br />

affermazione <strong>della</strong> divinità di Cristo e la menzione esplicita<br />

dello Spirito Santo. <strong>Il</strong> Te Deum, invece, è d'origine occidentale;<br />

ma sul suo autore e sullo sviluppo del suo testo regnano grandi<br />

oscurità. <strong>Il</strong> testo attuale è certamente il frutto di ritocchi e aggiunte<br />

successive; un centone, più che un pezzo originale. La<br />

prima parte, molto sviluppata, riguarda il Padre; la seconda,<br />

ugualmente molto sviluppata, Cristo, il Figlio; lo Spirito Santo<br />

è inserito in una dossologia minore incuneata tra la prima e la<br />

seconda parte e ove sono nominate le tre persone: Patrem immensae<br />

maiestatis; venerandum tuum verum et unicum Filium,<br />

sanctum quoque paraclitum Spiritum. Si ha l'impressione che<br />

questa dossologia direttamente trinitaria sia un'aggiunta antiariana<br />

al testo primitivo.<br />

Anche la grande dossologia finale del canone romano va spiegata<br />

tenendo presente il predetto quadro storico. « Per Cristo<br />

nostro Signore, per il quale tutte queste cose tu le crei sempre<br />

buone, le santifichi, vivifichi, benedici e somministri a noi: per<br />

Lui e con Lui, viene a Te, Dio Padre onnipotente, nell'unità dello<br />

Spirito Santo ogni onore e gloria ». Negli accenni al Padre e al Figlio<br />

la dossologia è di carattere nettamente antico: il Padre vi è considerato<br />

come origine di ogni bene, perché è Lui che tutte queste cose<br />

crea, santifica, benedice e le dà a noi; e come fine di ogni cosa,<br />

a Lui va tutto l'onore; Cristo, nostro Signore, vi è considerato<br />

come il grande mediatore, per mezzo del quale il Padre fa tutto:<br />

crea, santifica, vivifica, benedice ogni bene e lo dà agli uomini,<br />

e per mezzo del quale, assieme al quale e in unione col quale,<br />

come nostro capo — è dunque il concetto di Cristo sommo sacerdote<br />

— noi rendiamo ogni gloria al Padre. Padre e Figlio, sono<br />

considerati anzitutto come distinti; nei loro rapporti alle creature<br />

secondo lo schema a, per, ad, <strong>della</strong> storia sacra e <strong>della</strong> salvezza.<br />

Come spiegare la clausola « nell'unità dello Spirito Santo »? Secondo<br />

una osservazione dello Jungmann 53 non vi sarebbe motivo per spiegarla<br />

altrimenti che « nell'unità che opera tra i credenti la presenza<br />

dello Spirito Santo ». Infatti, osserva, nel canone la clausola è legata<br />

al Per Ipsum che è certamente anteriore alla polemica antiariana.<br />

Le dossologie occidentali d'origine medievale — numerose<br />

specialmente nella conclusione degli inni — furono tutte trinitarie<br />

52 Regula 11. Per la storia del Gloria Patri in occidente vedi H. LKCLERCO, in:<br />

Dict. d'arch. chrét. et lìturg. V 1542-28; P. SIFFRIN, in: Encicl. catt. VI (1951) 869s.<br />

53 Die Stellung Christi... 2' ed. p. XVII*, con riferimento a testi di Agostino,<br />

Crisostomo, Basilio per documentare che ancora nei secoli 4-5 l'idea era frequente.


224 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

nella visuale direttamente antiariana. Anzi, specialmente in Spagna<br />

e in Gallia, questa visuale diventò tanto esclusiva che nacquero<br />

allora quelle composizioni dossologiche che s'indirizzano direttamente<br />

alla Trinità come tale, come si può vedere in specie nell'ufficio<br />

odierno <strong>della</strong> sua festa. Ma queste ultime rimangono, tutto<br />

sommato, in numero assai ristretto nella <strong>liturgia</strong> romana odierna,<br />

nelle cui dossologie predomina nettamente il tipo trinitario antiariano<br />

più antico.<br />

<strong>Il</strong> sacrificio <strong>della</strong> messa<br />

Che il sacrificio <strong>della</strong> messa, come appare nella <strong>liturgia</strong>, sia<br />

strutturato essenzialmente sulla visuale cristologico-trinitaria, secondo<br />

lo schema a, per, in ad, e nel <strong>senso</strong> anzitutto extratrinitario<br />

come tante volte si è detto, si può vedere dalla forma essenziale<br />

<strong>della</strong> sua parte centrale, ossia dell'anafora o canone.<br />

Sia infatti, che si considerino i documenti più antichi <strong>della</strong><br />

grande preghiera « eucaristica », sia che si osservino quelle anafore<br />

tuttora in uso, è evidente che la loro struttura fu sempre ed è<br />

ancora essenzialmente in tutte — anche nel canone romano, sebbene<br />

in modo meno perfetto e meno evidentemente riconoscibile<br />

— la ben nota struttura cristologico-trinitaria nello schema<br />

a, per, in, ad. <strong>Il</strong> Padre vi appare come principio a quo e il termine<br />

ad quem dell'azione « eucaristica »; il Figlio incarnato, Cristo, vi<br />

appare come il gran sacerdote, Colui per mezzo del quale noi facciamo<br />

questa stessa azione; lo Spirito Santo vi appare ut in quo,<br />

ossia colui nella presenza del quale questa stessa azione si compie<br />

hic et nunc M . Essenzialmente è sempre la visione <strong>della</strong> storia sacra<br />

in rapporto alle persone divine. Anche qui, solo a partire dalla<br />

polemica antiariana si accentuò maggiormente l'affermazione dell'unità<br />

e uguaglianza delle stesse persone e <strong>della</strong> visuale intratrinitaria.<br />

<strong>Il</strong> testo più antico che abbiamo dell'anafora intera è quello di<br />

Ippolito. Vale la pena di trascriverlo qui per intero, tanto è chiara<br />

la sua testimonianza nella questione che c'interessa 55 .<br />

« Ti ringraziamo, o Dio, per mezzo del diletto tuo servo Gesù Cristo, che,<br />

negli ultimi tempi. Tu hai mandato a noi qual Salvatore e Redentore e messaggero<br />

<strong>della</strong> tua volontà; il quale è il tuo Verbo inseparabile, per mezzo di cui Tu<br />

54 L'idea che il sacrificio si compie in Spiritu è biblica. S. Paolo la suppone<br />

in Rm 15,15 s. Vedi anche Eb 9,14, certo nella lezione pneumatos hagiou; ma anche,<br />

come si deve ritenere probabile, nella lezione pneumatos aioniou perché<br />

nell'epistola agli Ebrei « aìonios non significa solo senza fine, d'una durata infinita,<br />

ma anche : che ha poteri e virtù divine » (C. SPICQ, L'épltre aux hébreux I<br />

Paris 1952 p. 296 nota 1), sebbene poi lo stesso Spicq Le. II 258 s nel pneumatos<br />

aioniou veda la natura divina di Gesù. Vedi anche S. BASILIO, De Spir. S. 26<br />

PG 32, 184 s.<br />

s» Vedi B. BOTTE, La tradition apostolique de Saint Hippolyte, Munster i. W.<br />

1963 pp. 12-17.


TRINITÀ NELLA MESSA 225<br />

creasti tutto e che Tu ti compiacesti di mandare dal cielo nell'utero <strong>della</strong> Vergine;<br />

e che, concepito nel seno, s'incarnò e si manifestò tuo Figlio nato dallo<br />

Spirito Santo e dalla Vergine. Compiendo la Tua volontà ed acquistandoti un popolo<br />

santo, Egli stese le mani mentre soffriva per liberare dalle sofferenze coloro<br />

che hanno creduto in Te. Allorché fu consegnato per tradimento alla volontaria<br />

passione, per abolire la morte e rompere i lacci del diavolo e conculcare<br />

l'inferno e illuminare i giusti e stabilire l'ordinamento e manifestare la risurrezione,<br />

prendendo il pane e facendo eucaristia a Te disse: prendete, mangiate:<br />

questo è il mio corpo che è spezzato per voi; similmente il calice dicendo : questo<br />

è il mio sangue, che è versato per voi. Quando fate questo fatelo in mia anamnesis.<br />

Facendo dunque Yanamnesis <strong>della</strong> sua morte e risurrezione, ti offriamo questo<br />

pane e questo calice facendo eucaristia a Te, perché ci hai ritenuti degni<br />

di stare davanti a Te e ministrarti come sacerdoti. E Ti Preghiamo di mandare<br />

il tuo Spirito Santo nell'oblazione <strong>della</strong> Santa Chiesa. Unendoli, dà a tutti quelli<br />

che partecipano di queste sante cose di essere ripieni dello Spirito Santo per la<br />

consolidazione <strong>della</strong> (loro) fede nella verità affinché Ti lodiamo e glorifichiamo<br />

per mezzo del servo tuo Gesù Cristo, per il quale a Te gloria e onore con lo<br />

Spirito Santo nella tua santa Chiesa, ora e nei secoli dei secoli. Amen.<br />

Questa anafora in alcuni punti offre difficoltà testuali, in specie<br />

riguardo alle parole <strong>della</strong> cosiddetta epiclesi per la venuta dello<br />

Spirito Santo. Ma, ormai, i critici (e lo stesso Botte) ammettono<br />

la loro autenticità. Comunque, senza star a rilevare le particolarità<br />

proprie di tale documento, la sua struttura cristologico-trinitaria,<br />

secondo il solito schema a, per, in, ad, è manifesta. L'azione che<br />

si compie in questa grande preghiera, l'eucaristia, è concepita<br />

come anamnesis ossia un'azione che porta dinanzi a Dio in modo<br />

reale un evento che ebbe luogo nel passato ma in maniera tale che<br />

le sue conseguenze hanno effetto nel presente 56 . Qui Yanamnesis<br />

è quella <strong>della</strong> morte e risurrezione del Signore che libera dal diavolo,<br />

dall'inferno e dalla morte e illumina i giusti in vista <strong>della</strong><br />

risurrezione. Tale anamnesis, secondo l'ordinamento stabilito dal<br />

Signore stesso, si fa con la ripetizione dell'eucaristia al Padre fatta<br />

da Gesù nell'ultima cena, comprendente la preghiera di ringraziamento<br />

a Dio per la redenzione, con l'offerta del pane e del calice, e<br />

la domanda <strong>della</strong> venuta dello Spirito o, comunque, la domanda<br />

di essere ripieni dello Spirito Santo come effetto spirituale <strong>della</strong><br />

partecipazione ai doni santi.<br />

In tutto questo: la preghiera è indirizzata al Padre, termine<br />

ad quem <strong>della</strong> preghiera e <strong>della</strong> lode, come prima origine a quo di<br />

tutti i benefici, tanto di quelli passati <strong>della</strong> redenzione, quanto<br />

di quelli presenti, in quanto ci ritiene degni di stare davanti a Lui<br />

e di compiere questo ministero sacerdotale. Termine pure e origine<br />

dei benefici che ora domandiamo: mandare, cioè, lo Spirito Santo<br />

sull'oblazione e sui fedeli che partecipano ai santi doni.<br />

<strong>Il</strong> grande mediatore è sempre Cristo. È per mezzo suo che noi<br />

ringraziamo e lodiamo il Padre e diamo a Lui gloria perché è<br />

per mezzo suo che il Padre ci ha redenti; e nella presente azione<br />

58 Vedi G. Dix, The treatise of the Apostolic Tradition of St. Hippolytes of<br />

Rome, London 1937.<br />

8 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


226 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

« eucaristica » non facciamo altro che fare Yana.mne.sis <strong>della</strong> sua<br />

morte e risurrezione, ripetendo quello che Egli fece all'ultima cena<br />

e secondo il suo comandamento.<br />

Lo Spirito Santo vi appare come Colui nella cui presenza e<br />

con la cui presenza si compie l'oblazione <strong>della</strong> Santa Chiesa; o almeno<br />

come Colui che i credenti ricevono nella loro partecipazione<br />

ai santi doni e con la presenza del quale possono lodare e glorificare<br />

il Padre per mezzo di Cristo. Che la menzione dello Spirito Santo<br />

nell'anafora, a parte la questione <strong>della</strong> sua concretizzazione in una<br />

epiclesi consacratoria, sia cosa antichissima, lo dimostra anche l'allusione<br />

che vi fa Giustino ".<br />

Questo schema fondamentale dell'anafora, con alcune varianti<br />

e ampliamenti più o meno considerevoli — in specie con una menzione<br />

molto più vasta dell'opera creatrice del Padre, <strong>della</strong> storia<br />

dell'Antico Testamento e l'inserzione del sanctus — costituisce l'ossatura<br />

a cui si sono attenute, salve le particolarità di ognuna, le<br />

anafore orientali sviluppatesi nella <strong>liturgia</strong>: segno inequivocabile<br />

<strong>della</strong> tradizionalità essenziale dello schema cristologico-trinitario<br />

proposto da Ippolito. Si può vedere il pieno sviluppo di questo<br />

schema in un tipo egiziano nell'anafora di Serapione (IV secolo),<br />

in un tipo siro nella <strong>liturgia</strong> delle Costituzioni Apostoliche al libro<br />

Vili (fine del IV secolo) e in un tipo bizantino nell'anafora di<br />

S. Basilio (probabilmente anch'essa <strong>della</strong> seconda metà del IV secolo)<br />

che abbiamo riprodotta in un capitolo precedente. Naturalmente,<br />

anche nella visuale cristologico-trinitaria di parecchie tra<br />

le anafore orientali la lite ariana ha lasciato le sue tracce più o<br />

meno notevoli, nel <strong>senso</strong> di una maggiore accentuazione dell'unità<br />

ed uguaglianza intratrinitaria delle persone. Notevole da questo<br />

punto di vista, per esempio, l'anafora di S. Giovanni Crisostomo.<br />

Anzi, tracce, talvolta notevoli, di speculazioni teologiche sulla Trinità,<br />

in specie intorno al Verbo, si sono infiltrate qua e là. Ma lo<br />

sfondo <strong>della</strong> visuale antica rimane prevalente.<br />

È innegabile che il canone romano nello stato attuale, venendo<br />

meno alla lineare logicità e semplicità dello schema antico delle<br />

anafore e avendo piuttosto l'apparenza di un centone di preghiere<br />

in rapporto all'azione eucaristica, ma la cui connessione, a prima<br />

vista, è difficilmente intelligibile, si presenta con netto svantaggio<br />

sulle anafore orientali in rapporto alla visuale generale cristologicotrinitaria.<br />

È il solito problema del canone romano che si riflette<br />

anche qui. Pur tuttavia, un occhio attento può arrivare a scorgere<br />

57 Apologia I 65; 67. « <strong>Il</strong> preposto dei fratelli... innalza lode e gloria al Padre<br />

dell'universo per il nome del Figlio e dello Spirito Santo »; « Per tutte le cose<br />

di cui ci nutriamo benediciamo il creatore dell'universo per mezzo del suo figlio<br />

Gesù Cristo e per mezzo dello Spirito Santo ». Ci sono, invece, seri argomenti<br />

che fanno sospettare che la menzione dello Spirito Santo nelle anafore non si<br />

sia concretizzata in una epiclesi propriamente consacratoria che assai più tardi,<br />

forse alla fine del secolo III e verso il principio del secolo IV (cfr. Dix, The<br />

Shape... p. 277 ss). Però fu sempre persuasione generale che nell'eucaristia i fedeli<br />

ricevono lo Spirito Santo (cfr. Dix, Ibid. p. 266 s).


TRINITÀ NELLA MESSA 227<br />

anche in esso la tradizionale visuale cristologico-trinitaria senza<br />

eccessive difficoltà. Si ponga mente ai testi seguenti:<br />

« <strong>Il</strong> Signore sia con voi... Ringraziamo il Signore Iddio nostro...<br />

È cosa davvero degna e giusta, doverosa e salutare che noi sempre e in ogni<br />

luogo Ti rendiamo grazie, Signore, santo Padre, onnipotente eterno Iddio, per<br />

mezzo di Cristo nostro Signore... (/ diversi prefazi mettono in luce ora l'uno ora<br />

l'altro degli aspetti dell'opera redentiva del Padre per mezzo di Cristo...). Per<br />

mezzo del quale la Tua maestà lodano gli angeli...<br />

Te, dunque, clementissimo Padre, per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figliolo,<br />

nostro Signore, noi umilmente preghiamo e Ti chiediamo di aver grati e benedire<br />

questi doni, queste offerte, questi santi ed illibati sacrifici... Questa<br />

oblazione, tu, o Dio, te ne preghiamo, degnati di pienamente benedirla,<br />

accettarla a merito, ratificarla in ostia spirituale e degna di piacerti che<br />

diventi per noi il corpo e il sangue del tuo dilettissimo Figliolo, Signor nostro<br />

Gesù Cristo.<br />

<strong>Il</strong> quale, nella vigilia <strong>della</strong> sua passione, preso il pane... Similmente... preso...<br />

questo prezioso calice... Ogni qualvolta farete questo, è a memoria di me che<br />

lo farete.<br />

Perciò, facendo la memoria, o Signore, anche noi, tuoi servi, come altresì<br />

il tuo popolo santo, <strong>della</strong> beata passione del medesimo Cristo, Figlio tuo, Signore<br />

nostro, come anche <strong>della</strong> sua risurrezione dagl'inferi, e <strong>della</strong> sua ascensione<br />

nella gloria, offriamo alla tua gloriosa Maestà, dai tuoi doni che ci hai dati, la<br />

Vittima pura, la Vittima santa, la Vittima senza macchia, il Pane sacro <strong>della</strong><br />

vita eterna e il calice <strong>della</strong> salvezza imperitura. Ad essi, benevolo, degnati di<br />

guardare con favore e di gradirli come ti degnasti di gradire i doni del tuo<br />

servo Abele il giusto... Supplichevoli ti preghiamo, onnipotente Iddio, falli portare<br />

per le mani del tuo santo Angelo sul tuo celeste altare al cospetto <strong>della</strong><br />

tua divina Maestà, affinché, quanti, partecipando a quest'altare, riceveremo il<br />

sacrosanto corpo e sangue del tuo Figliolo veniamo ricolmi di ogni benedizione<br />

e grazia dal cielo, per lo stesso Cristo Signore nostro. Amen...<br />

Per il quale tutte queste cose tu crei sempre buone, santifichi, vivifichi, benedici<br />

e doni a noi; per Lui e con Lui e in Lui viene a Te, Dio Padre onnipotente,<br />

nell'unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria in tutti i secoli dei secoli.<br />

Amen ».<br />

È evidente che, rispetto al Padre e a Cristo, la prospettiva cristologico-trinitaria<br />

secondo lo schema a, per, ad, nella visuale <strong>della</strong><br />

storia sacra non è minore qui che nell'anafora di Ippolito o nelle<br />

anafore orientali. Solo che nel testo attuale, lo Spirito è menzionato<br />

unicamente nella dossologia finale con la formula « nell'unità dello<br />

Spirito Santo ». Se, come sopra accennato, si interpreta questa clausola<br />

nel <strong>senso</strong> : « nell'unità che crea tra noi la presenza dello Spirito<br />

Santo », lo schema cristologico-trinitario appare rietto, anche se sia<br />

necessario ammettere che, rispetto ad altre anafore, non è molto appariscente.<br />

Così nel testo attuale. Ma è questa, storicamente parlando,<br />

la sola menzione nel canone romano, <strong>della</strong> parte, per così dire<br />

propria, dello Spirito Santo nel compimento dell'azione eucaristica?<br />

La cosa è connessa con la questione dell'esistenza o meno di<br />

una epiclesi per la venuta dello Spirito Santo nell'antico canone<br />

romano. Come si sa, la questione è discussa tra i liturgisti 58 . A<br />

58 In <strong>senso</strong> reticente, e piuttosto negativo, JuNeMANN, Missarum sollemnia<br />

ed. ital. II pp. 149-51; in <strong>senso</strong> positivo vedi per es., S. SALAVILLE in: Dict. de théol.<br />

catti. V (1939) 218 ss; RIGHETTI, IH p. 320 ss.


228 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

me pare che chi nega il fatto dell'esistenza di tale epiclesi nell'antico<br />

canone romano, oltre a tante difficoltà minori a cui va incontro,<br />

non può spiegare in modo soddisfacente la testimonianza perentoria<br />

di Gelasio Papa (492-96). Questo Papa, per dimostrare la<br />

necessità che nessun sacerdote si accinga all'azione eucaristica se<br />

non con coscienza pura, dice : « Come lo Spirito celeste, invocato<br />

per consacrare il divino mistero, verrà Egli se il sacerdote, che<br />

prega affinché venga, è reprobo a Dio perché pieno di azioni criminose?»<br />

59 .<br />

Lo Jungmann, il quale sottoscrive la tesi che da questo testo<br />

non si può ricavare con certezza l'esistenza nell'antico canone romano<br />

di un'epiclesi consacratoria allo Spirito Santo, concede tuttavia<br />

che « Gelasio... poteva considerare che l'invocazione dello<br />

Spirito Santo fosse compresa nel canone con le domande di benedizione,<br />

senza nominare esplicitamente la terza persona » 90 . Sarà<br />

difficile ammettere che tale spiegazione renda conto <strong>della</strong> forza<br />

del testo (...Quomodo ad divini mysterii consecrationem coelestis<br />

Spiritus invocatus adveniet...); tanto più se si pensa alla generalità<br />

dell'epiclesi nelle liturgie alla stessa epoca. Ma, anche se la spiegazione<br />

dello Jungmann fosse vera, dimostrerebbe che a Roma, in<br />

ogni ipotesi, non si concepiva la grande preghiera e azione eucaristica<br />

senza pensare alla parte, per così dire, propria che in essa<br />

compete allo Spirito Santo e che in questo <strong>senso</strong>, allora, si sarebbe<br />

interpretata, poniamo, la preghiera Quam oblationem o Supplices<br />

te rogamus. Anche il Righetti, nel suo tentativo di ricostruzione<br />

del canone romano antico 61 vi inserisce due volte la menzione dello<br />

Spirito Santo, al posto ove ora è il Quatti oblationem e a quello ove<br />

ora è il Supplices.<br />

Non è necessario, per illustrare ulteriormente il nostro tema<br />

<strong>della</strong> struttura cristologico-trinitaria delle anafore, fermarsi a lungo<br />

alla <strong>liturgia</strong> gallicana e mozarabica. Basta ricordare in proposito<br />

due fatti: il primo è che queste liturgie, per quanto riguarda la<br />

struttura fondamentale dell'anafora sono essenzialmente simili alla<br />

<strong>liturgia</strong> romana, salvo notevoli particolarità. Tra queste particolarità<br />

vi è, in specie, un'adattabilità più grande delle singole parti<br />

dell'anafora alle diverse feste e circostanze, e quindi una grande<br />

mutabilità per ogni messa, simile alla variabilità dei diversi prefazi<br />

nella messa romana, per esempio ancora ai tempi del Leoniano. <strong>Il</strong><br />

secondo fatto è che la <strong>liturgia</strong> gallicana e mozarabica antica aveva<br />

regolarmente l'epiclesi allo Spirito Santo e ciò, come pare, anzitutto<br />

in una di queste preghiere mutabili, detta: Post mysterium, Post<br />

secreta, Post pridie, anche se la forma precisa dell'epiclesi nella<br />

<strong>liturgia</strong> mozarabica si modellò dagli esempi orientali. Salaville afferma<br />

che solo a partire dal secolo VI e in epoca difficilmente deter-<br />

59<br />

Lettera al vescovo Elpidio di Volterra, THIEL, Epistole... I 484. Vedi altri<br />

testi in Righetti 1. e.<br />

60<br />

Missarum sollemnia, ed. ital. II p. 151 nota 37.<br />

« HI p. 386 s.


TRINITÀ NEL BATTESIMO 229<br />

minatole, l'epiclesi in parecchie messe di queste liturgie fu spostata,<br />

attenuata, talvolta anche soppressa; nel Liber mozarabicus sacramentorum<br />

edito dal Férotin essa sussiste ancora moltissime volte 62 .<br />

Nella storia del canone <strong>della</strong> messa ambrosiana, quasi in tutto<br />

simile, come si sa, a quello romano, è più difficile dimostrare positivamente<br />

una menzione <strong>della</strong> parte dello Spirito Santo nell'azione<br />

eucaristica 63 . Nel testo odierno lo Spirito Santo è menzionato solo<br />

nella dossologia finale con la clausola: in untiate Spiritus Sancti,<br />

come nel canone romano. Ma è certo che S. Ambrogio conosceva<br />

un'invocazione dello Spirito Santo nella messa; dice infatti : « Come<br />

si può dunque dire che lo Spirito Santo non possiede interamente<br />

la natura di Dio, Lui che, assieme al Padre e al Figlio, è<br />

nominato dai sacerdoti nel battesimo, ed è invocato nelle oblazioni,<br />

è celebrato assieme al Padre e al Figlio dai serafini nei cieli,<br />

assieme al Padre e al Figlio abita nei santi, è infuso nei giusti ed<br />

ispirato nei profeti? » 64 .<br />

I sacramenti<br />

<strong>Il</strong> <strong>senso</strong> cristologico-trinitario dei sacramenti nella <strong>liturgia</strong> è<br />

fortissimo.<br />

<strong>Il</strong> Battesimo; la professione di fede battesimale; la regola <strong>della</strong><br />

fede; i simboli <strong>della</strong> fede. — Per lo scopo che qui perseguiamo, assieme<br />

al battesimo possiamo esaminare anche la, professione di<br />

fede battesimale, la regola <strong>della</strong> fede, i simboli <strong>della</strong> fede, perché nella<br />

prassi liturgica questi elementi sono intimamente connessi.<br />

Tra i documenti che ci fanno conoscere il <strong>senso</strong> cristologicotrinitario<br />

secondo lo schema a, per, in, ad, che l'antica Chiesa dava<br />

al battesimo, è notevole e perentorio quello di Ireneo nella sua<br />

Dimostrazione <strong>della</strong> predicazione apostolica (del 200 circa):<br />

« Ecco quello che ci attesta la fede, secondo ciò che gli anziani, i discepoli<br />

degli apostoli, ci hanno trasmesso. Anzitutto ci obbliga a ricordarci che noi<br />

abbiamo ricevuto il battesimo per la remissione dei peccati nel nome di Dio<br />

il Padre, e nel nome di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, e nello Spirito Santo di<br />

Dio... Perciò il battesimo che ci rigenera ci è conferito attraverso questi tre<br />

articoli 65 e ci garantisce la rinascita in Dio il Padre, per mezzo del suo Figlio,<br />

per lo Spirito Santo. Perché coloro che ricevono lo Spirito di Dio, sono condotti<br />

al Verbo, cioè al Figlio; ma il Figlio li riceve e li presenta al Padre e il<br />

Padre conferisce loro l'incorruttibilità. Così, senza lo Spirito non si può vedere<br />

il Verbo di Dio, e senza il Figlio non ci si può avvicinare al Padre; perché il<br />

62 Vedi per es., S. SALAVILLE, Épiclèse, in: Dict. de théol. catti. V (1939) 216 ss;<br />

S. PORTIER, The mozarabic Post pridie, in: lourn. of theol. studies 1943 p. 182ss.<br />

p. 182 ss.<br />

63 Vedi S. SALAVILLE 1. e. 218 e BORELLA, in RIGHETTI... <strong>Il</strong>i 557 s.<br />

61 De Spirit. S. 3,16,22. Vedi pure GAUDENZIO DI BRESCIA (m. 410) Tractatus 2,15<br />

85 Nel contesto precedente Ireneo parla dei tre articoli del Credo: il primo<br />

in Dio Padre, il secondo in Gesù Cristo, il terzo nello Spirito Santo.


230 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

Figlio è la conoscenza del Padre, ma la conoscenza del Figlio si fa attraverso<br />

lo Spirito. Però è il Figlio, che, secondo il beneplacito del Padre, distribuisce in<br />

dono lo Spirito, come il Padre lo vuole e a quelli che Egli vuole » 66 .<br />

Non si potrebbe dire in modo più chiaro e profondo quanto<br />

l'antica Chiesa vedesse il battesimo sullo sfondo cristologico-trinitario<br />

secondo lo schema a, per, in, ad.<br />

È certo pure che l'origine del simbolo di fede, checché ne sia<br />

delle molte e difficili questioni particolari che si pongono in questa<br />

materia, è intimamente connessa con la prassi battesimale. Infatti,<br />

in connessione col battesimo, si esigeva dal catecumeno una solenne<br />

professione <strong>della</strong> fede intorno alla quale, nella cerimonia<br />

stessa del conferimento del sacramento, veniva ufficialmente e solennemente<br />

interrogato. Questa professione battesimale <strong>della</strong> fede<br />

o è da identificarsi con lo stesso simbolo al suo inizio, o almeno<br />

con qualcosa di molto simile, connesso, inoltre, con quella che nell'antichità<br />

si chiamava la regola di fede: breve formula in cui erano<br />

condensati gli articoli essenziali <strong>della</strong> fede cristiana. Ora, quella<br />

professione battesimale, <strong>della</strong> fede, era essenzialmente di significato<br />

cristologico-trinitario nel solito schema a, per, in, ad. E siccome<br />

quella professione, nella stessa prassi liturgica, era intimamente<br />

connessa con l'atto stesso del conferimento del battesimo,<br />

questo, naturalmente, ne prendeva un vivido colore cristologicotrinitario.<br />

La cosa è presentata in modo quanto mai concreto dalla<br />

cerimonia dell'atto battesimale descritta dalla Tradizione Apostolica<br />

di Ippolito:<br />

« E quando egli (colui che deve essere battezzato) è sceso nell'acqua, chi<br />

battezza ponga la mano sopra di lui e dica: « Credi tu in Dio, il padre onnipotente?<br />

». E colui che sta per essere battezzato dica : « Credo ». Quindi lo battezzi<br />

la prima volta, tenendo la mano sul suo capo.<br />

Poi dica : « Credi tu nel Cristo Gesù, il Figlio di Dio, nato dallo Spirito Santo<br />

e dalla vergine Maria, e crocifisso sotto Ponzio Pilato, che morì (e fu sepolto)<br />

e il terzo giorno risuscitò vivo dai morti, e salì ai cieli e siede alla destra del<br />

Padre e deve venire a giudicare i vivi e i morti? ». E quando ha risposto : « Credo<br />

», lo battezzi per la seconda volta.<br />

Poi dica ancora : « Credi allo Spirito Santo nella santa Chiesa 67 per la risurrezione<br />

<strong>della</strong> carne? ». Colui che è battezzato dica : « Credo » e lo battezzi la<br />

terza volta » 98 .<br />

Non occorre insistere sulla struttura cristologico-trinitaria di<br />

questa professione battesimale <strong>della</strong> fede e quindi del <strong>senso</strong> cristologico-trinitario<br />

del battesimo conferito secondo questo rito.<br />

66 Demonstr. 3; 7.<br />

67 Per la lezione... nella santa Chiesa... vedi P. NAUTIN, Je crois au St. Esprit<br />

dans la Sainte Église pour la résurrection de la chair, Paris 1947 pp. 13-27. È certo<br />

anche che il papiro di Der Balizeh, nella professione di fede battesimale, al<br />

terzo articolo del credo, ha: ...credo... e nello Spirito Santo e nella risurrezione<br />

<strong>della</strong> carne nella santa chiesa cattolica. Vedi C. H. ROBERTS E B. CAPELLE, An early<br />

euchologium... Louvain 1949 p. 32 s; 60 s.<br />

«8 Vedi ed. BOTTE pp. 49-51. Lo stesso rito è ancora supposto da S. AMBROGIO,<br />

De sacr. II, 6,16; 7,20,22; VI 2,5-8.


TRINITÀ NEL BATTESIMO 231<br />

In specie lo Spirito Santo è considerato in relazione alla sua presenza<br />

e alla sua opera nella Chiesa, che è la stessa attuazione <strong>della</strong><br />

redenzione, col suo ultimo epilogo : la risurrezione <strong>della</strong> carne •".<br />

Questa triplice interrogazione secondo le tre parti del simbolo,<br />

seguita dalla triplice risposta del battezzando e dalla triplice immersione<br />

fatta senza altra formula — non ve ne è traccia nei testi<br />

— fu nell'antichità cristiana l'unica forma del battesimo 70 . Essa è<br />

anche attestata da Ireneo, da Ambrogio, ed è ancora quella del rito<br />

romano nel Gelasiano antico ". Anche in Oriente non si conoscono<br />

tracce di un uso diverso fino alla metà del secolo IV circa. A partire<br />

dal 341-60, o al massimo dal 390 circa, ivi appare la formula:<br />

il tale è battezzato nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito<br />

Santo. I canoni d'Ippolito, che alcuni fanno risalire al 341-60, ad<br />

ognuna delle tre immersioni che seguivano la triplice interrogazione,<br />

secondo l'uso antico, fa seguire la formula: Ego te baptizo in<br />

nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti qui cequalis est ". E chiara<br />

l'intenzione polemica antiariana e il fatto che questa formula è il<br />

risultato di un amalgama poco felice. L'antica forma del battesimo<br />

che considerava le tre persone <strong>della</strong> Trinità nei loro rapporti con<br />

il mondo secondo lo schema a, per, in, ad poteva essere interpretata<br />

abusivamente in <strong>senso</strong> subordinaziano o ariano. Già S. Ambrogio<br />

si preoccupava di scartare tale interpretazione. La nuova<br />

formula, che tagliava corto a quel pericolo, penetrò in occidente<br />

nel secolo VIII ".<br />

Nel contesto <strong>della</strong> forma antica del battesimo sarà facile riconoscere<br />

la struttura cristologico-trinitaria dell'antico simbolo romano,<br />

il simbolo cosiddetto degli Apostoli, sia nella sua forma più<br />

antica 74 che in quella più recente e ora abituale. <strong>Il</strong> simbolo è diviso<br />

in tre parti che trattano rispettivamente del Padre, di Cristo, il<br />

Figlio di Dio incarnato, nostro Signore, e dello Spirito Santo. Ognuna<br />

delle tre persone è considerata nei suoi rapporti con la storia sacra<br />

e la salvezza secondo la parte propria, o quasi propria, di ognuna,<br />

«• La speciale connessione tra Spirito e Chiesa nell'opera <strong>della</strong> salvezza risulta<br />

in tutte le formule del simbolo anche dal fatto che la menzione <strong>della</strong> Chiesa<br />

segue — quasi sempre immediatamente — quella dello Spirito.<br />

*• Vedi A. STENZEL, II- battesimo, Ed. Paoline, Alba, 1962 pp. 129-45.<br />

71 IRENEO, Demonstr. 7. F. SAGNTARD (La gnose valentinienne et le témoignage de<br />

St. Irénée, Paris 1947 pp. 229-39), riferendosi a ciò che dice lo stesso Ireneo<br />

(Haer, I 21,3) dell'uso di alcuni gnostici di battezzare pronunziando la seguente<br />

formula: Nel nome del Padre incognito, <strong>della</strong> Verità, Madre di tutti, di colui<br />

che scese in Gesù; nel nome dell'unione, <strong>della</strong> redenzione e dell'unità di tutte le<br />

potenze, pensa che ciò suppone un uso ortodosso di battezzare pronunziando<br />

una formula: In nome ecc. Ma ciò non si dimostra. Vedi pure AMBROGIO, De sacr.<br />

II 7,20; GELASIANO ed. Mohlberg n. 449 p. 74. Per l'oriente prima del s. IV vedi<br />

A. STENZEL I. e.<br />

72 Vedi testo in L. DUCHESNE, Les origines du eulte chrétien, 4 ed. Paris 1908<br />

p. 540. Per l'età di questi canoni, vedi B. BOTTE, L'origine des canons d'Hippolyte,<br />

in: Mélanges Andrieu, Strasbourg 1956 pp. 53-63. Per l'apparizione in oriente <strong>della</strong><br />

formula: N. è battezzato nel nome del Padre ecc., vedi A. STENZEL 1. e. 138-42.<br />

" S. AMBROGIO, De sacr. VI 2,5-8. RIGHETTI IV p. 68 s.<br />

'* Vedi Dz 11; 11 (2; 2 a).


232 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

che viene subito spiegata dopo i singoli nomi: per il Padre: la<br />

creazione; per Cristo, il Figlio incarnato, la sua incarnazione, vita<br />

e morte redentrice sulla terra, il suo stato ora glorioso presso il<br />

Padre e la sua futura parusia; per lo Spirito: la Chiesa coi suoi<br />

mezzi di santificazione in vista <strong>della</strong> risurrezione <strong>della</strong> carne e<br />

dell'ultimo compimento di tutto il processo déll'exitus e del reditus<br />

nella vita eterna. Già Ireneo commentava la regola di fede in un<br />

<strong>senso</strong> sostanzialmente identico .<br />

Questa struttura cristologico-trinitaria rimane essenzialmente<br />

immutata anche nei simboli posteriori, come nel simbolo niceno 7e<br />

e in quello detto niceno-costantinopolitano, che si dice ora nella<br />

messa, i quali non fanno altro che amplificare in certi punti, in<br />

vista <strong>della</strong> polemica antiariana, l'antica struttura dei simboli per<br />

difendere la divinità del Figlio e dello Spirito Santo. Solo il Simbolo<br />

detto Quicumque o di S. Atanasio (del V secolo), che nella <strong>liturgia</strong><br />

romana oggi si recita solo all'ora di prima nella festa <strong>della</strong> SS. Trinità,<br />

è di tutt'altra fattura, concepito in vista di affermare polemicamente<br />

la fede cattolica contro le eresie trinitarie e cristologiche ".<br />

Anche l'odierna prassi battesimale romana, anzitutto nel battesimo<br />

degli adulti, accanto a un buon numero di testi che hanno<br />

il punto di vista trinitario ontologico con <strong>senso</strong> polemico antiariano<br />

(per es., la forma attuale ego te baptizo; l'orazione Omnipotens nel<br />

rituale per il battesimo degli adulti n. 3; il n. 5: Si vis), conserva<br />

ancora moltissimo dell'antico punto di vista cristologico-trinitario<br />

(per es., n. 7: l'interrogazione del catecumeno intorno al simbolo;<br />

n. 8: il piccolo esorcismo; le preghiere generalmente indirizzate al<br />

Padre; la parte dello Spirito, per es., n. 14; gli esorcismi: per es.,<br />

n. 13; 19; 33; 37; l'interrogazione sulla fede n. 38).<br />

La confermazione. — <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> cristologico-trinitario <strong>della</strong> confermazione<br />

proviene essenzialmente dalla sua intima connessione<br />

col battesimo per cui fu sempre considerata come un rito sacramentale<br />

per dare una speciale infusione dello Spirito Santo allo<br />

scopo di portare a perfezione e come fortificare e sugellare l'opera<br />

di Dio nel neobattezzato. Da qui il suo nome di sigillo, segnacolo,<br />

consegnazione, confermazione. È quindi sottinteso il concetto che<br />

è per mezzo di una presenza speciale dello Spirito Santo che il<br />

fedele raggiunge il suo compimento, la sua perfezione e come la<br />

sua statura d'adulto nell'essere cristiano. È dunque il sacramento<br />

che inculca in modo particolare la parte quasi speciale dello Spirito<br />

Santo nella vita cristiana come l'ultimo sigillo dei doni di Dio, nel<br />

quale si compie ogni cristiana perfezione; è la messa in opera<br />

liturgica del concetto biblico che considera lo Spirito ut in quo.<br />

È per questo che S. Ambrogio, ripetendo il concetto di tutta<br />

75 Demonstr. 6.<br />

Dz 125 (54).<br />

" Ibid. 75-76 (39-40).


TRINITÀ NELLA CONFERMAZIONE 233<br />

l'antica tradizione, dice: «Viene poi il segnacolo (signaculum)<br />

spirituale, di cui avete inteso leggere oggi, perché dopo il fonte rimane<br />

ancora da ricevere il perfezionamento {post fontem sùperest<br />

ut perfectio fiat) quando, all'invocazione del sacerdote, viene infuso<br />

Io Spirito Santo » 79 . S. Cipriano aveva già detto essere regola che<br />

« coloro che sono battezzati nella Chiesa siano presentati ai vescovi<br />

<strong>della</strong> Chiesa e così, per la nostra orazione e imposizione delle mani<br />

ricevano Io Spirito Santo e siano perfezionati col segnacolo del<br />

Signore : signaculo Dominico consummentur » 80 . Ed è, in fondo,<br />

il concetto già espresso da S. Paolo : « Quante promesse di Dio ci<br />

sono, in Lui (Cristo) hanno il loro: Sì; per questo appunto, per<br />

mezzo di Lui diciamo il nostro « Amen », alla gloria di Dio. Ma chi<br />

ci rende saldi verso Cristo insieme con voi e ci ha unti, è Dio, il quale<br />

anche impresse su di noi il sigillo e ci diede la caparra dello Spirito<br />

nei nostri cuori » (2 Cor 1,20-22). L'unzione di cui parla qui S. Paolo<br />

è quasi certamente il battesimo a cui Dio ci ha chiamati e nel quale<br />

ci ha fondati e stabiliti saldi in Cristo; per sommo di garanzia e<br />

di sicurezza, come un sigillo che si appone ad un involucro che<br />

contiene cose preziose, a questo primo dono Dio ha aggiunto il dono<br />

dello Spirito (quasi certamente la confermazione), che è la caparra<br />

del dono totale che ci darà un'altra vita. Lo Spirito, naturalmente,<br />

per S. Paolo, è lo Spirito di Cristo : « Che siete figli (è chiaro dal<br />

fatto) che inviò Dio lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori che<br />

grida: Abba, Padre » (Gal 4,6, cfr. anche Rm 8,5-18, testo parallelo e<br />

spiegativo). È facile in questi testi riconoscere la visuale cristologico<br />

trinitaria nello schema a, per, in, ad. È questa teologia paolina che<br />

è alla base <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> confermazione. S. Ambrogio poteva<br />

rilevarne il significato cristologico-trinitario ai neofiti : « Ricordati<br />

dunque che hai ricevuto il segnacolo spirituale, lo Spirito di sapienza<br />

e d'intelligenza... Custodisci quel che hai ricevuto. Dio Padre ti ha<br />

segnato, Cristo ti ha confermato dando nel tuo cuore il pegno dello<br />

Spirito, come l'hai ascoltato nella lettura dell'apostolo » 81 .<br />

Le formule liturgiche dell'amministrazione <strong>della</strong> confermazione<br />

variarono nel corso dei secoli. Nell'antica <strong>liturgia</strong> romana latina,<br />

la formula, riferita dal Gelasiano antico S2 e accennata da S. Ambrogio<br />

83 , è essenzialmente l'orazione epicletica che, nella <strong>liturgia</strong> attuale<br />

romana, è la prima del rito : « Onnipotente sempiterno Iddio,<br />

che ti sei degnato di rigenerare questi tuoi servi per mezzo dell'acqua<br />

e dello Spirito Santo e che hai loro concesso la remissione di tutti<br />

i peccati, manda loro dai cieli il tuo settiforme Spirito Santo Paraclito.<br />

Spirito di sapienza... Riempili dello Spirito del tuo timore e,<br />

nella sua benevolenza, segnali col segno <strong>della</strong> croce di Cristo per<br />

Vedi RIGHETTI, IV p. 89 s.<br />

'» De sacr. <strong>Il</strong>i 2,8.<br />

so Ep. 73,9,2.<br />

si De myst. VII 42.<br />

82 ed. Mohlberg n. 451 p. 74.<br />

83 De myst. VII 42; De sacr. II 2,8 e, per la prima parte <strong>della</strong> formula: De<br />

sacr. II 7,24 in relazione all'unzione postbattesimale.


234 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

la vita eterna 84 . Per lo stesso Signore... ». Nella formula attuale <strong>della</strong><br />

cresima, che appare a partire dal secolo XIII, « io ti segno col segno<br />

<strong>della</strong> croce... » l'aspetto cristologico-trinitario è andato assai perduto;<br />

però le parole « nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito<br />

Santo », che si aggiungono alla fine <strong>della</strong> formu/a — appaiono<br />

verso la fine del sec. Vili e molti teologi ritengono che non appartengano<br />

essenzialmente alla forma stessa — accentuano l'aspetto<br />

ontologico-trinitario, come al solito.<br />

La penitenza. — Nella forma attuale in cui, nella <strong>liturgia</strong> romana,<br />

si svolge il rito <strong>della</strong> penitenza, difficilmente si può ancora vedere<br />

qualche traccia <strong>della</strong> concezione cristologico-trinitaria di questo<br />

sacramento. Eppure nei riti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> antica questo <strong>senso</strong> era<br />

quanto mai evidente. Infatti la <strong>liturgia</strong> antica metteva fortemente<br />

in rilievo il fatto che la riconciliazione del penitente si faceva essenzialmente<br />

mediante l'imposizione delle mani e l'implorazione <strong>della</strong><br />

venuta dello Spirito Santo, secondo il concetto biblico che connette<br />

intimamente la remissione dei peccati e la presenza dello Spirito<br />

Santo (cfr. Gv 20,23). <strong>Il</strong> concetto antico fu che il peccato caccia lo<br />

Spirito Santo dall'anima e la riconciliazione del peccatore si fa<br />

mediante il ritorno dello Spirito nella stessa. È per questa venuta<br />

dello Spirito che, nel rito <strong>della</strong> riconciliazione, s'imponevano le mani<br />

e si pregava.<br />

I Padri, non di rado, vi fanno allusione. S. Girolamo dice : « <strong>Il</strong><br />

sacerdote infatti offre la sua oblazione per il penitente, impone la<br />

mano sopra di lui che è in atteggiamento sottomesso, invoca il<br />

ritorno dello Spirito Santo, e così riammette all'altare colui che<br />

era stato consegnato a Satana per la morte <strong>della</strong> carne affinchè lo<br />

spirito fosse salvo » 85 . S. Ambrogio, pur con un'allusione meno<br />

chiara al rito liturgico e con un rilievo maggiore all'invocazione<br />

delle tre persone <strong>della</strong> Trinità in una visuale ontologica antiariana,<br />

insinua egli pure in modo assai chiaro una parte quasi più speciale<br />

dello Spirito Santo nella remissione dei peccati per il ministero dei<br />

sacerdoti : « Ecco dunque che è per lo Spirito Santo che i peccati<br />

sono perdonati. Gli uomini nella remissione dei peccati non sono<br />

che suoi strumenti e non esercitano alcun potere di diritto proprio.<br />

Infatti non rimettono i peccati nel proprio nome, ma nel nome del<br />

Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo » 8B . <strong>Il</strong> testo di Girolamo<br />

dimostra in modo perentorio nell'antica <strong>liturgia</strong> un'invocazione<br />

epicletica dello Spirito Santo assieme all'imposizione delle mani<br />

nella riconciliazione pubblica dei penitenti. Questo concetto imposta<br />

subito tale riconciliazione nella visuale cristologico-trinitaria.<br />

Questa visuale, per quanto mi consta, non si ritrova quasi più<br />

nelle formule posteriori <strong>della</strong> penitenza sia pubblica che privata.<br />

Nel rito attuale dell'amministrazione di questo sacramento l'unico<br />

s* Quest'ultima clausola è un'aggiunta del secolo X.<br />

8* Dial. Adv. Lucif. 5.<br />

«« De Spir. S. 3,18,137.


TRINITÀ NELL'ORDINE 235<br />

vestigio, appena riconoscibile, è la rubrica e la prassi che il sacerdote<br />

nell'atto di dare l'assoluzione deve stendere leggermente la<br />

mano verso il penitente, unica traccia dell'antica imposizione delle<br />

mani e dell'invocazione epicletica allo Spirito Santo.<br />

L'ordine. — La <strong>liturgia</strong> manifesta di concepire l'ordine sullo<br />

sfondo cristologico-trinitario anzitutto nei prefazi consacratori dei<br />

diaconi, dei sacerdoti e dei vescovi. Si tratta, infatti, di una vera e<br />

propria epiclesi per la venuta dello Spirito Santo, accompagnata<br />

dalla solita imposizione delle mani.<br />

Nella tradizione romana, da Ippolito al rito odierno, questa<br />

epiclesi consacratoria dei diaconi, dei sacerdoti e dei vescovi è rimasta<br />

nonostante i mutamenti. La sua forma più netta, dal punto<br />

di vista che ci preoccupa, rimane però il testo stesso <strong>della</strong> Tradizione,<br />

poiché i leggeri rimaneggiamenti posteriori hanno un po'<br />

attenuato il carattere cristologico-trinitario nel prefazio consacratorio<br />

dei sacerdoti e dei vescovi.<br />

Ecco il testò <strong>della</strong> Traditio per la consacrazione dei vescovi:<br />

« 0 Dio, Padre del nostro Signor Gesù Cristo... Tu che hai stabilito gli ordinamenti<br />

nella tua Chiesa per il « Verbo <strong>della</strong> tua grazia » (cfr. At 20,32)...<br />

Effondi ora quella Virtù che viene da te, quella dello "Spirito sovrano" che<br />

tu desti al diletto tuo Figlio Gesù Cristo e che Egli dette ai Santi Apostoli i quali<br />

stabilirono la Chiesa nelle singole regioni come tuo tempio, a gloria e lode perpetua<br />

del tuo nome... Conoscitore dei cuori, concedi al tuo servo che hai scelto<br />

all'episcopato... che, per lo Spirito del sommo sacerdozio, egli abbia potere di rimettere<br />

i peccati secondo il tuo precetto, di « assegnare le sorti ». (Cfr. At 1,26)<br />

secondo il tuo comandamento, di "sciogliere ogni vincolo" (Cfr. Is 58,6; Mt 10,1)<br />

secondo il potere che tu desti agli Apostoli, di piacerti nella mansuetudine e in<br />

cuore puro, mentre ti offrirà il sacrificio in odore soave, per il tuo servo Gesù<br />

Cristo, per il quale a te gloria, potenza, onore con lo Spirito Santo ora e in tutti<br />

i secoli. Amen » 8T .<br />

In tutto simile a questa è, dal punto di vista cristologico-trinitario,<br />

la formula <strong>della</strong> consacrazione dei sacerdoti e dei'diaconi 88 .<br />

Questa struttura si ritrova in tutta l'antichità, come si può vedere<br />

nel Sacramentario di Serapione 89 e nelle Costituzioni Apostoliche<br />

90 . Ecco, per esempio, come appare lo schema a, per, in, ad, nel<br />

Sacramentario di Serapione a proposito <strong>della</strong> consacrazione dei<br />

sacerdoti :<br />

« Signore, Padre del tuo Unigenito, preghiamo che lo Spirito di verità venga<br />

sopra quest'uomo... affinché possa reggere il tuo popolo e dispensare la tua<br />

divina parola e riconciliare il tuo popolo a te, Dio increato... tu che dallo spirito<br />

di Mosè concedesti lo Spirito Santo a coloro che erano stati eletti, dà anche<br />

à questo lo Spirito Santo dallo Spirito dell'Unigenito in dono di sapienza, di<br />

conoscenza e di retta fede, affinché possa servirti in pura coscienza per l'Unigenito<br />

tuo Gesù Cristo, per mezzo del quale sia a Te gloria e impero nello<br />

Spirito Santo ora e in tutti i secoli dei secoli. Amen » 91 .<br />

« 7 Traditio 3, Ed. Botte pp. 6-11.<br />

88 capitoli 8 e 9, ibid. pp. 20-27.<br />

8 » 12-14.<br />

»° Vili 5,3-7; 16,3-5; 18.<br />

»i 13.


236 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

Unzione dei malati. — Nel rito dell'amministrazione del sacramento<br />

<strong>della</strong> sacra unzione lo schema cristologico-trinitario<br />

appare raramente, per quanto mi consta, nella forma stessa del<br />

sacramento, che, come si sa, cambiò spesso nel corso dei secoli<br />

92 . Appare invece molto manifesto nelle orazioni epicletiche per<br />

la benedizione dell'olio degli infermi sia nel rito romano attuale che<br />

nel Gelasiano 93 .<br />

Nel sacramento del matrimonio non mi consta la prospettiva<br />

cristologico-trinitaria.<br />

I sacramentali<br />

Per la questione che qui c'interessa, non occorre fermarsi molto<br />

sui sacramentali. In essi, in genere, si trova una situazione assai<br />

simile a quella dei sacramenti: molte tra le più antiche e importanti<br />

formule dei sacramentali hanno tuttora una spiccatissima<br />

struttura cristologico-trinitaria a forma epicletica. Notevoli da<br />

questo punto di vista: la benedizione del fonte battesimale e dell'acqua<br />

battesimale tanto nei riti orientali che nel rito romano in<br />

cui la struttura cristologico-trinitaria appare anzitutto nel grande<br />

prefazio che si trova già nel Gelasiano 94 ; la benedizione dell'olio<br />

degli infermi la cui orazione epicletica si trova essa pure già nello<br />

stesso sacramentario 95 ; la consacrazione del myron presso i greci;<br />

la consacrazione di un altare o di una chiesa; la consacrazione delle<br />

vergini; la commendatio animae nella quale è notevole il principio<br />

dell'orazione Proficiscere : « Dipartiti, o anima cristiana, da questo<br />

mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti creò, nel nome<br />

di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che patì per te, nel nome dello<br />

Spirito Santo che in te è stato effuso ».<br />

Anche quando, nel medioevo, si stabilì l'uso di dare ogni benedizione<br />

o di cominciare ogni azione sacra principale facendo il<br />

segno <strong>della</strong> croce, su se stessi o sugli oggetti da benedire, e recitando<br />

la formula : « In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti »,<br />

l'aspetto cristologico-trinitario, sebbene un po' affievolito di fronte<br />

a quello più puramente trinitario, non andò completamente perduto.<br />

Infatti tali benedizioni, fatte col segno <strong>della</strong> croce e l'invocazione<br />

<strong>della</strong> Trinità, significano: cominciamo l'azione sacra nella<br />

forza che, per mezzo <strong>della</strong> croce del Signore, ci viene dal Padre, dal<br />

Figliolo e dallo Spirito Santo, tre persone distinte in un'unica<br />

natura. Oppure: benediciamo, consacriamo questo oggetto per<br />

mezzo del potere che, per la croce del Signore, abbiamo dal Padre,<br />

dal Figliolo e dallo Spirito Santo, tre persone distinte in un'unica<br />

natura.<br />

92 Vedi RIGHETTI IV p. 243.<br />

sa Ed. Mohlberg n. 382 p. 61.<br />

« Ibid. n. 445-48 pp. 72-74.<br />

9 5 Ibid. n. 382 p. 61.


TRINITÀ NEI CICLI LITURGICI 237<br />

I cicli liturgici<br />

Lo stesso stato di cose che abbiamo incontrato fin qui per cui<br />

il fondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è impostato direttamente sulla visuale cristologico-trinitaria,<br />

ma che una sovrastruttura posteriore vi accentua<br />

notevolmente, o, in alcune sezioni particolari, vi fa anche prevalere,<br />

l'affermazione diretta dell'unità di natura delle persone in <strong>senso</strong><br />

ontologico e antiariano, si ritrova anche nelle feste e nei cicli liturgici.<br />

Limitiamoci a un rapido sguardo sulla <strong>liturgia</strong> romana nel suo<br />

stato attuale.<br />

<strong>Il</strong> ciclo di feste più antico è quello di Pasqua che va ora dalla<br />

settuagesima alla Pentecoste. Storicamente esso raggiunse la sua<br />

formazione sostanzialmente completa verso il VII secolo. Abbiamo<br />

spesso rilevato che l'oggetto di questo periodo festivo è tutta la<br />

storia sacra, mistero di Cristo, mistero <strong>della</strong> Chiesa, ma sotto<br />

l'aspetto di redenzione: redenzione resa necessaria, preparata, prefigurata,<br />

iniziata nell'Antico Testamento; redenzione realizzata, in<br />

radice, storicamente per la venuta, vita, passione, morte, risurrezione,<br />

ascensione di Cristo; redenzione applicata nel mondo dopo<br />

l'ascensione dallo Spirito meritato da Cristo, da Lui mandato da<br />

presso il Padre, animatore <strong>della</strong> Chiesa e vivificatore spirituale degli<br />

individui attraverso i sacramenti e la vita morale ascetica e mistica.<br />

Ora, dal punto di vista di Dio, tutta questa prospettiva è dominata<br />

nella <strong>liturgia</strong> dalla visuale cristologico-trinitaria nello schema<br />

abituale a, per, in, ad. Infatti, liturgicamente, tutto questo ciclo<br />

si divide nettamente in tre parti: la prima va dalla settuagesima<br />

alla domenica di passione esclusivamente.<br />

Nella <strong>liturgia</strong> romana attuale questa prima parte mette in<br />

rilievo i presupposti e la necessità <strong>della</strong> redenzione e la sua preparazione<br />

e prefigurazione nell'Antico Testamento fino a Mosè. Perciò<br />

in questo periodo, anzitutto nel breviario, si narra la storia dell'umanità<br />

dalla creazione fino a Mosè. Ma si mette pure in rilievo l'attualizzazione<br />

<strong>della</strong> redenzione per i singoli fedeli mediante la vita morale<br />

ed ascetica di ognuno: i fedeli battezzati in stato di grazia si<br />

preparano a ricevere un sempre maggiore aumento <strong>della</strong> redenzione<br />

mediante la vita ascetica e liturgica; i fedeli peccatori si preparano<br />

alla riconciliazione nella penitenza; i catecumeni si preparano all'ingresso<br />

nella Chiesa mediante i sacramenti dell'iniziazione cristiana.<br />

Ora, in questa prima parte, è il Padre che è nettamente al<br />

primo piano dell'attenzione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Egli vi appare, come al<br />

solito, ut a quo e ut ad quem. Come Colui che creò il mondo e<br />

l'uomo, elevò Adamo e lo costituì capo religioso dell'umanità. E Lui<br />

che Adamo offese per il peccato e che noi in Adamo abbiamo offeso<br />

dandoci a Satana e meritando la sua ira e le miserie di cui ci ha<br />

colpiti. È Lui che, ciò nonostante, promise il Redentore e preparò<br />

la redenzione nell'Antico Testamento. E al Padre che noi dobbiamo


238 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

tornare ed è a Lui che dobbiamo soddisfare per la penitenza, il<br />

digiuno, le orazioni, le opere buone e le elemosine.<br />

Cristo, il Figlio, appare solo al secondo piano, specialmente nelle<br />

epistole e nei vangeli delle Messe, anzitutto come il maestro che,<br />

con la dottrina e l'esempio, c'insegna i precetti di vita morale,<br />

<strong>della</strong> penitenza, <strong>della</strong> preghiera e delle buone opere.<br />

Con la seconda parte del ciclo, dalla domenica <strong>della</strong> passione<br />

all'Ascensione, la prospettiva muta. Passa al primo piano la realizzazione<br />

<strong>della</strong> redenzione portataci da Cristo anzitutto nei suoi<br />

mysteria paschalìa: passione, morte, risurrezione e ascensione. Si<br />

propongono in primo luogo: la prefigurazione <strong>della</strong> passione in<br />

Geremia; gli eventi storici <strong>della</strong> passione, morte, risurrezione e<br />

ascensione di Cristo, il Redentore; l'applicazione attuale del frutto<br />

<strong>della</strong> redenzione ai fedeli, perché in questo periodo i catecumeni<br />

sono iniziati alla vita cristiana, i penitenti sono riconciliati, gli altri<br />

fedeli sono perfezionati.<br />

Ora, in tutto questo è Cristo, il Figlio incarnato, nostro Redentore<br />

e capo nella sua passione e nella sua gloria, che è al primo<br />

piano dell'attenzione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Ma il Padre vi è dappertutto<br />

presente, come Colui da cui ha origine, in ultima analisi, questa<br />

storia sacra di Cristo paziente e glorificato, storia che Egli ha così<br />

voluta e che dirige infallibilmente al fine <strong>della</strong> sua gloria. Egli ha<br />

prestabilito l'ora di Gesù; il sacrificio di Gesù è un sacrifìcio che<br />

Egli fa di se stesso al Padre per soddisfare per noi e riconciliarci<br />

con Lui; è il Padre che ha consegnato il proprio Figlio Gesù alla<br />

passione per la traboccante carità con cui ci ha amati. È Lui ancora<br />

che lo aiuta in questa passione: infatti in questo periodo tutta<br />

la <strong>liturgia</strong> è piena delle preghiere che Gesù indirizza al Padre.<br />

E il Padre che lo risuscita; e, nelle messe <strong>della</strong> settimana di Pasqua,<br />

è sempre Lui che appare come l'inizio e il fine di tutto il mistero<br />

pasquale <strong>della</strong> rigenerazione degli uomini a nuova vita mediante il<br />

battesimo. Nel periodo dell'Ascensione è ancora il Padre che appare<br />

il fine del tutto: perché è il Padre che nell'ascensione glorifica in<br />

modo definitivo il Figlio e lo fa sedere alla sua destra nella gloria,<br />

mentre Cristo, lassù, non fa altro che interpellare per noi presso il<br />

Padre; Lo prega di mandarci lo Spirito e prepara per noi un posto<br />

vicino a Lui.<br />

Nell'ultima fase del ciclo, dall'Ascensione alla Pentecoste, è<br />

finalmente lo Spirito che balza al primo piano dell'attenzione. Qui<br />

si svolge liturgicamente il concetto come tutta l'opera <strong>della</strong> realizzazione<br />

<strong>della</strong> redenzione di Cristo nei singoli uomini, dal momento<br />

che Cristo è salito alla destra del Padre nella gloria, si faccia in<br />

Spirita, con la presenza e l'opera dello Spirito che anima la Chiesa<br />

e vivifica i suoi mezzi di santificazione, di dottrina e di governo.<br />

Cristo, in questo periodo, appare anzitutto come Colui che ci ha<br />

meritato lo Spirito e ci vivifica dandoci lo Spirito. <strong>Il</strong> Padre è colui<br />

che, all'intercessione di Cristo, ci manda lo Spirito e a cui lo Spirito<br />

ha per missione di condurci.<br />

Non è il caso di entrare nei particolari per illustrare liturgica-


FESTA DELLA TRINITÀ 239<br />

mente questi concetti e dimostrare che essi, effettivamente, costituiscono<br />

l'ossatura ideologica di tutto il ciclo dalla settuagesima alla<br />

Pentecoste. È opportuno invece rilevare ancora una volta come la<br />

<strong>liturgia</strong>, nel suo stesso ciclo principale, guardi le persone <strong>della</strong> Trinità<br />

anzitutto nella visuale <strong>della</strong> loro reale distinzione e considerandole<br />

nei rapporti propri, o quasi propri, di ognuna con la storia<br />

sacra <strong>della</strong> nostra salvezza. E in rapporto agli avvenimenti di<br />

questa storia sacra <strong>della</strong> nostra salvezza che la <strong>liturgia</strong> nelle sue<br />

feste considera il Padre, Cristo, il Figlio incarnato nostro Redentore<br />

e capo, e lo Spirito Santo.<br />

<strong>Il</strong> ciclo liturgico dalla settuagesima alla Pentecoste, storicamente<br />

parlando, è cresciuto gradatamente ed ha avuto bisogno di<br />

lunghi secoli per trovare il suo assetto attuale. Ma si può vedere<br />

come nella sua formazione la Chiesa sia stata guidata da un'intuizione<br />

unitaria e come da un istinto fondamentale semplicissimo:<br />

mettere liturgicamente in opera il pensiero che S. Paolo ha espresso<br />

in modo sintetico pressappoco completo nell'epistola che si legge il<br />

Sabato delle quattro tempora di Pentecoste (Rm 5,15), alla fine, e<br />

come a conclusione, di tutto il ciclo : « Giustificati dunque per la<br />

fede, pace si abbia con Dio per il Signore nostro Gesù Cristo, per il<br />

quale, per la fede, abbiamo avuto adito a questa grazia in cui stiamo<br />

e ci gloriamo nella speranza <strong>della</strong> gloria (dei figli) di Dio... E la<br />

speranza non porta a confusione perché la carità di Dio si è riversata<br />

nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato ». Anche<br />

nella creazione delle feste è dunque la prospettiva a, per, in, ad, che<br />

sin dal principio diresse lo spirito più profondo e come l'istinto<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 98 .<br />

E qui si ha la chiave per capire per quale motivo nell'antica<br />

<strong>liturgia</strong> non solo non ci fu una festa del Padre considerato nella sua<br />

vita intratrinitaria 9T , come non ci fu una festa del Figlio o Verbo<br />

o una festa dello Spirito Santo considerati ognuno nella stessa vita<br />

intratrinitaria indipendentemente dai loro interventi nella storia<br />

sacra <strong>della</strong> nostra salvezza, ma non ci fu nemmeno una festa <strong>della</strong><br />

Trinità come tale, considerata direttamente e anzitutto nell'unità<br />

<strong>della</strong> natura divina. Questa festa comincia ad apparire sul suolo<br />

gallico nel secolo Vili e si afferma nella stessa regione nel corso<br />

96 Anche il secondo grande ciclo del temporale nella <strong>liturgia</strong> romana, quello<br />

che va dall'avvento all'epifania, è costruito sulla visuale cristologico-trinitaria,<br />

ma, in esso, la parte dello Spirito è messa meno in rilievo. <strong>Il</strong> concetto di questo<br />

ciclo è, di nuovo, come si sa, tutta la storia sacra, mistero di Cristo, ma sotto<br />

l'aspetto di venuta manifestativa del Signore: venuta preparata e annunziata nell'Antico<br />

Testamento, realizzata storicamente nella nascita e vita di Gesù, e sacramentalmente<br />

e misticamente ogni giorno in ogni anima, e sperata nella parusia<br />

del Signore. In questo processo la <strong>liturgia</strong> romana mette in rilievo anzitutto la<br />

parte del Padre e del Figlio incarnato.<br />

97 Più d'una volta anche in tempi recenti c'è stato chi ha tentato di far introdurre<br />

nei cicli liturgici una festa del Padre. Ma Roma l'ha sempre negata.<br />

Vedi BENEDETTO XIV, De servorum Dei beatificatione II parte, lib. 4, cap. 31; M.<br />

CAILLAT, La dévotion à Dieu le Pére: une discussion au XVII' s., in: Rev. d'asc.<br />

et de myst. 20 (1939) 3549; 136-157.


240 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

del secolo X. La sua introduzione corrisponde, nel campo delle<br />

feste liturgiche, a quel fenomeno, riscontrato in tutte le altre parti<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, che fa vedere come, in reazione all'eresia ariana, si<br />

sia sviluppato nella Chiesa il bisogno psicologico di aggiungere<br />

esplicitamente all'antica prospettiva cristologico-trinitaria dello schema<br />

a, per, in, ad, l'affermazione diretta dell'unità <strong>della</strong> natura<br />

divina nella Trinità beata considerata direttamente in sé stessa<br />

nella visuale trascendente il tempo e la storia.<br />

Fu questo un effetto <strong>della</strong> mancanza di spirito liturgico? A<br />

me non pare. Come non mi pare sia stata mancanza di spirito liturgico<br />

l'aver sviluppato nelle conclusioni delle orazioni e nelle<br />

dossologie, accanto all'antico strato cristologico-trinitario, una visuale<br />

più recente in cui si affermò più direttamente l'aspetto ontologico-trinitario<br />

dell'unità <strong>della</strong> natura divina fra le tre persone.<br />

Che anzi, come dicevamo al principio di questo capitolo, poiché il<br />

mistero <strong>della</strong> Trinità comporta due termini antitetici, ogni modo<br />

di formularlo ha necessariamente i suoi inconvenienti e i suoi pericoli<br />

dal punto di vista dell'efficacia psicologica. Per cui, tutto sommato,<br />

sembra non vi sia che una via sicura: subito dopo aver<br />

affermato in modo ben vivo e concreto la distinzione reale delle<br />

persone, aver cura di rilevare, in modo abbastanza preciso perché<br />

il credente non lo dimentichi, l'unità di natura delle stesse.<br />

È quanto ha fatto la <strong>liturgia</strong>, come nella conclusione delle<br />

orazioni e nelle dossologie, così anche nelle feste liturgiche. È per<br />

questo che ha istituito alla fine del ciclo Settuagesima-Pentecoste<br />

una festa in cui, come per ricapitolare e completare in modo psicologicamente<br />

efficace tutta la visione cristiana del mondo e <strong>della</strong><br />

storia sacra che si è svolta in questo periodo secondo l'antico<br />

schema a, per, in, ad, si concentra esplicitamente l'attenzione e<br />

l'affetto del credente sull'unità <strong>della</strong> Trinità considerata in se stessa.<br />

Creando questa festa la <strong>liturgia</strong> non fece altro che ubbidire a<br />

quella preoccupazione, ormai inevitabile dopo l'eresia ariana, di<br />

presentare al popolo cristiano in modo equilibrato la visione dei<br />

suoi rapporti con Dio. Preoccupazione che S. Ambrogio così esprimeva<br />

: « In tutto quello che abbiamo fatto abbiamo rispettato il<br />

mistero <strong>della</strong> Trinità. Ovunque il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo;<br />

un'operazione, un'azione santifìcatrice, sebbene ci sia, come pare,<br />

alcunché di speciale per ognuno... Tu hai altrove di speciale che è<br />

Dio che ti ha chiamato; mentre nel battesimo in modo speciale sei<br />

stato crocifisso con Cristo, e quindi quando hai ricevuto in un modo<br />

speciale il segnacolo spirituale; vedi che c'è distinzione di persone,<br />

ma che tutto il mistero <strong>della</strong> Trinità è connesso » 98 .<br />

La <strong>liturgia</strong> mozarabica, in un <strong>senso</strong> analogo, così prega il giorno<br />

di Pentecoste:<br />

« Preghiamo instancabilmente la tua onnipotenza, o Dio, santo Padre onnipotente,<br />

che tu ci riempia del dono del tuo Unigenito... e del suo Spirito Santo:<br />

ss De sacr. VI 2,5.8.


TRINITÀ E SPIRITUALITÀ 241<br />

affinché, coloro che tu creasti e poi riscattasti per mezzo del Figlio, tu ti degni<br />

di condurli a perfezione per mezzo dello Spirito Santo. Non già che l'operazione<br />

<strong>della</strong> tua Trinità sia separata o dissimile, ma perché appaia evidente l'inconfusa<br />

uguaglianza delle persone distinte nell'unica deità » ".<br />

Roma, nonostante le insistenti sollecitazioni che cominciarono<br />

sin dal secolo Vili, per ben sei secoli si oppose all'accettazione di<br />

questa festa nella sua <strong>liturgia</strong>. È perché l'istinto tradizionale fu<br />

sempre fortissimo a Roma nonché l'antico intuito che una festa<br />

liturgica non ha per oggetto semplicemente un'idea astratta, ma<br />

un evento storico <strong>della</strong> nostra salvezza, o, se mai, un'idea sì, ma<br />

concretizzata in uno o più eventi storici <strong>della</strong> storia sacra <strong>della</strong><br />

nostra salvezza. Si comprendono quindi le sue esitazioni, in tempi<br />

non recenti, quando si trattava di fare delle eccezioni a questa<br />

regola fondamentale <strong>della</strong> tradizione. Moltiplicando infatti simili<br />

eccezioni si va incontro al grave inconveniente di proporre schemi<br />

astratti, e quindi non permanentemente efficaci, alla pietà del<br />

popolo cristiano. Specialmente, si fa che questo popolo dimentichi<br />

la grande prospettiva biblica e liturgica <strong>della</strong> storia sacra, 6he è<br />

tutt'uno con il mistero di Cristo, con il mistero <strong>della</strong> Chiesa, con<br />

il mistero per cui tutto viene dal Padre, per mezzo di Cristo, nostro<br />

sommo sacerdote, nello Spirito Santo, e così, per mezzo di Cristo,<br />

nello Spirito Santo, tutto ritorna al Padre: mistero che costituisce<br />

la visuale connaturale fuori <strong>della</strong> quale, come si è potuto vedere, non<br />

si comprende la bibbia e non si vive la <strong>liturgia</strong>.<br />

Cosa può significare, nella dottrina e nella vita spirituale pratica,<br />

la scoperta e la gelosa salvaguardia di questo mistero in questa<br />

prospettiva, ce ne dà un esempio S. Cirillo Alessandrino dopo tanti<br />

altri prima di lui. <strong>Il</strong> migliore conoscitore odierno <strong>della</strong> sua dottrina<br />

spirituale ha potuto scrivere: « <strong>Il</strong> destino del cristiano è di diventare,<br />

nell'unzione e per mezzo dell'unzione dello Spirito Santo,<br />

conforme all'immagine del Figlio, unico mediatore, il quale ci riconduce<br />

al Padre; tale è il motivo dominante <strong>della</strong> dottrina spirituale<br />

di S. Cirillo. <strong>Il</strong> suo insegnamento ascetico e la sua mistica<br />

ci appaiono, ripetiamolo, essenzialmente trinitari. <strong>Il</strong> Padre manda<br />

il suo Cristo; assieme al Cristo e per mezzo di Lui, Egli manda lo<br />

Spirito Santo; ed è nello Spirito Santo, per mezzo del Figlio che<br />

si compie il nostro ritorno ascensionale al Padre » 10 °. Cirillo stesso<br />

così si esprimeva : « Santificare, come al consueto (nella Scrittura), ha<br />

il significato di consacrare ed offrire, e per questo diciamo che<br />

il Figlio santificò se stesso per noi (Cfr. Gv 17,19). Infatti, si offrì<br />

quale sacrificio e santa vittima a Dio e Padre, riconciliando a Lui<br />

il mondo e ristabilendo in amicizia ciò che ne era decaduto, cioè, il<br />

genere umano. "Egli, infatti, è la nostra pace", come sta scritto.<br />

<strong>Il</strong> nostro ritorno a Dio che si fa per Cristo Salvatore, avviene solo<br />

»» Liber moz. sacr. ed. Férotin n. 785.<br />

"o H. DU MANOIR, Cyrille d'Alex., in: Dict. de spiritualité II 2 col. 2682. Lo<br />

stesso P. du Manoir spiega lungamente questa conclusione nella sua opera:<br />

Dogme et spiritualité chez S. Cyrille d'Alex. Paris 1944.


242 CAP. VII - MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO<br />

attraverso la partecipazione e la santificazione dello Spirito Santo.<br />

Colui che ci congiunge e, per così dire, ci unisce, con Dio, è lo Spirito,<br />

ricevendo il quale, siamo partecipi e consorti <strong>della</strong> divina natura;<br />

noi lo riceviamo per mezzo del Figlio, e nel Figlio riceviamo il<br />

Padre » W1 . La <strong>liturgia</strong>, se sappiamo intenderla e viverla, più e meglio<br />

di qualsiasi altro mezzo, può farci penetrare e mantenerci in queste<br />

meravigliose realtà.<br />

Jt" In lo. VI 10 PG 74344 D s


CAPITOLO Vili<br />

IL KYRIOS, IL MISTERO PASQUALE, L'UNICO LITURGO<br />

E L'UNICA LITURGIA<br />

La visuale: dal Padre, per Cristo, nello Spirito Santo, al Padre,<br />

ci dà il ciclo completo <strong>della</strong> discesa di Dio tra gli uomini e del ritorno<br />

degli uomini a Dio. Ma, anche dopo quanto abbiamo detto nel precedente<br />

capitolo, è necessario precisare maggiormente la figura e<br />

la parte propria che nella <strong>liturgia</strong> spetta in questo ciclo a Cristo,<br />

per il quale, nello Spirito, tutto viene dal Padre e torna al Padre.<br />

Cosa significa esattamente il Per Christum Dominum nostrum<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>?<br />

1. IL KYRIOS<br />

Anzitutto il Cristo del Per Christum Dominum nostrum è il<br />

Kyrios. Questo appunto vuol significare il Dominum apposto a<br />

Christum. Ma cosa vuol dire Kyrios, e perché usare qui nuovamente<br />

la parola greca che in latino si traduce appunto per Dominus e in<br />

italiano per Signore? Perché per noi oggi la parola Signore è molto<br />

lontana dal rievocare l'enorme contenuto di significato che aveva<br />

per i primi cristiani la parola Kyrios 1 . E noi abbiamo urgente bisogno<br />

di ritrovare proprio quel contenuto. Perché? Nell'unica persona<br />

del Cristo Gesù c'è Dio e c'è l'uomo. Nell'uomo si può considerare<br />

l'uomo storico che nacque, visse, patì e morì in Palestina,<br />

e il risorto, ormai nella gloria alla destra del Padre e presente ed<br />

1 Vedi: F. X. DUHRWELL, La résurrection de Jesus mystère de salut, ed. Le<br />

Puy-Paris 1963. V. TAYLOR, The names of Jesus, London 1954. O. CULLMANN, Christologie<br />

du Nouveau Testament, Paris-Neuchàtel 1958. D. M. STANLEY, Christ's résurrection<br />

in Pauline soteriology, Roma 1961. L. SABOURIN, Les noms et les titres<br />

de Jesus, Desclée de Brouwer 1963.


244 CAP. Vili - IL KYRIOS<br />

operante invisibilmente nella sua Chiesa. Nessuna pietà cattolica<br />

può dimenticare uno qualsiasi di questi aspetti, ed è facile dimostrare<br />

che, nel corso <strong>della</strong> sua storia, la pietà ortodossa non ne ha<br />

dimenticato nessuno.<br />

Tuttavia, a causa dell'inesauribile ricchezza oggettiva del mistero<br />

di Cristo, nel quale sono tutti i tesori dell'umanità e <strong>della</strong><br />

divinità, nonché a causa <strong>della</strong> limitatezza dell'umana psicologia, dei<br />

diversi bisogni delle anime, in rispondenza a grazie diverse, a temperamenti<br />

diversi, a epoche e culture diverse: nell'immagine di<br />

Gesù si può mettere l'accento ora sopra uno e ora sopra l'altro di<br />

questi aspetti. I tratti <strong>della</strong> sua unica figura potranno così, psicologicamente,<br />

essere coordinati o a partire dalla divinità o a partire<br />

dalla sua umanità. In questo secondo caso, nella sintesi che se ne<br />

forma il credente, si potrà partire dall'uomo storico come era in<br />

Palestina, oppure dal risorto, ormai nello stato di gloria, nel plenario<br />

esercizio <strong>della</strong> sua signorìa sui vivi e sui morti, sul cosmo<br />

intero: in una parola, dal Kyrios, dal Gesù Signore. Ognuno di<br />

questi tre tipi principali dell'immagine di Gesù potrà poi realizzarsi<br />

con sfumature diverse, talvolta anche notevoli, per influsso, più o<br />

meno accentuato di uno dei due altri.<br />

Non si tratta solo di astratte possibilità. È un fatto che nella<br />

storia <strong>della</strong> spiritualità, proprio in relazione alle predette osservazioni,<br />

si può parlare di diverse immagini di Gesù. È vero, recenti<br />

studi di dettaglio, in specie intorno alla spiritualità patristica 2 , ci<br />

invitano a ben guardarci da ogni semplicistica rigida schematizzazione<br />

di una realtà non di rado complessa. Ma rimane il fatto che<br />

nell'attenzione e nell'affetto del Nuovo Testamento e dell'età patristica<br />

nel suo insieme fino al quarto secolo, predomina nettamente<br />

l'uomo ormai glorioso, il Kyrios, e che è a partire dal centro<br />

visuale <strong>della</strong> Pasqua che si scopre vitalmente e si vive praticamente<br />

tanto Gesù come Dio quanto gli episodi e i sentimenti <strong>della</strong> sua<br />

vita terrena in Palestina, dalla nascita alla passione e morte.<br />

A partire dal quarto secolo, per reazione all'arianesimo, si verifica<br />

sì, specialmente in Oriente, un parallelo accentuarsi <strong>della</strong><br />

considerazione diretta di Gesù come Dio nell'unità di natura col<br />

Padre e con lo Spirito Santo; ma tutto sommato, l'immagine del<br />

risorto, del Kyrios, è ancora quella che rimane al primo piano.<br />

Nella spiritualità occidentale questo continua, grosso modo, fino<br />

al secolo XII.<br />

A quest'epoca, in occidente, il cambiamento d'accento, sensibile<br />

sin dal secolo XI, mentre conserva una fortissima coscienza diretta<br />

di Gesù come Dio, porta sempre più al centro l'uomo storico Gesù<br />

prima <strong>della</strong> sua resurrezione, gli episodi e i sentimenti <strong>della</strong> sua<br />

vita terrena, specialmente la sua natività e la sua passione..<br />

L'uomo ormai nel suo stato di gloria, il Kyrios, l'importanza<br />

che ha per Lui stesso, per la nostra storia individuale e sociale, per<br />

2 Vedi M. BALSAVICH, The Witness of St. Gregory the great to the place of<br />

Christ in prayer, Roma 1959 pp. 17-24, con bibliografia pp. 9-16.


MISTERO PASQUALE 245<br />

tutto il creato, Pasqua e la sua risurrezione, sono realtà, mai bensì<br />

dimenticate, ma facilmente relegate sullo sfondo <strong>della</strong> psicologia.<br />

La vita spirituale dei fedeli trova nutrimento nella considerazione<br />

degli episodi e dei sentimenti <strong>della</strong> vita terrena di Gesù in Palestina,<br />

senza tuttavia sentire il bisogno di completarla ogni volta<br />

con una presa di coscienza esplicita del fatto che, ormai, non c'è<br />

che un Gesù, il Kyrios nella gloria, nostro sommo sacerdote presso<br />

il Psdre, e che a questo suo stato di Signore glorioso tendevano<br />

con tutto il loro peso, gli episodi e i sentimenti <strong>della</strong> sua vita terrena<br />

i quali solo da esso prendono il loro pieno significato.<br />

I crocifissi rappresentanti l'uomo dei dolori straziato sulla<br />

croce, i presepi, la via crucis senza stazione <strong>della</strong> risurrezione, gli<br />

Ecce Homo; i fenomeni delle stimmate, le visioni di Gesù Bambino,<br />

la devozione alle membra e alle sante piaghe, quella al Sacro Cuore<br />

nella forma di S. Margherita Maria, sono, tra tante altre, espressioni<br />

tipiche di questa sensibilità religiosa. In questo <strong>senso</strong> si può parlare,<br />

in specie, di una devozione alla passione di Gesù quasi distaccata<br />

— nell'attenzione che le danno i fedeli — dalla sua risurrezione. È<br />

tuttora la sensibilità <strong>della</strong> pietà moderna in genere.<br />

Sensibilità di cui, beninteso, non si tratta in nessun modo di<br />

contestare la legittimità né i frutti molto salutari. Qui si vuole solo<br />

dire che non è l'unica possibile, né è, di fatto, quella che predomina<br />

nel Nuovo Testamento e nell'età patristica. Né è (a parte poche<br />

composizioni d'origine medievale e moderna) quella <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>;<br />

la quale, in questo, come in tanti altri punti, segue semplicemente<br />

la visuale biblica e patristica incentrando la sua attenzione sul<br />

Kyrios, e, a partire da esso, risalendo alla divinità di Gesù e alla<br />

sua vita storica. Si vuol dunque semplicemente rilevare che, per<br />

penetrare e vivere plenariamente la figura di Gesù nella <strong>liturgia</strong><br />

bisogna partire dal Kyrios 3 .<br />

2. IL MISTERO PASQUALE E LA SUA CENTRALITÀ<br />

NELL'ECONOMIA DELLA SALVEZZA<br />

E a partire dal Kyrios che si comprende il mistero pasquale<br />

in tutta la sua estensione e semplicità, come punto riassuntivo dell'economia<br />

<strong>della</strong> salvezza in Cristo tanto nella bibbia che nella tradizione<br />

patristica e nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Cos'è in questo <strong>senso</strong> il mistero pasquale? Una realtà molto<br />

complessa e molto semplice e unitaria nello stesso tempo, che trascende<br />

immensamente il semplice e nudo fatto <strong>della</strong> risurrezione di<br />

3 Fatto ormai largamente documentato. Vedi C. VAGAGGINI, Liturgia e pensiero<br />

<strong>teologico</strong> recente, nell'opuscolo omonimo, Roma, S. Anselmo (1961) 51-53 con bibliografia.<br />

Aggiungi: M. SHEPHERO, The pascal liturgy and the Apocalypse, London<br />

1960. J. GAILLARD, Le mystère pascal dans le renouveau liturgique. Essai de<br />

bilan, in: La maison Dieu 67 (1961) 31-87.


246 CAP. Vili - IL KYRIOS<br />

Gesù, sia pure come argomento apologetico <strong>della</strong> sua missione<br />

divina. ,<br />

<strong>Il</strong> mistero pasquale \è il fatto che Gesù è non solo il Figlio<br />

di Dio incarnato, ma incarnato e vissuto nella forma servi, e, inoltre,<br />

morto e risuscitato, il Kyrios. È più precisamente il fatto che Egli,<br />

come Kyrios, è ora seduto alla destra del Padre in esercizio continuo<br />

e glorioso, sempre quale uomo, <strong>della</strong> sua mediazione di sommo<br />

sacerdote; e che, per mezzo <strong>della</strong> sua umanità, compreso il.suo<br />

, corpo glorioso,, ci comunica la vita divina di cui essa è non solo<br />

ripiena, ma anche splendente ed unica dispensatrice, per far passare,<br />

o passare sempre più, in primo luogo nella <strong>liturgia</strong>, noi, e, in<br />

qualche modo, il mondo tutto, dalla morte spirituale e fisica, alla<br />

vita totale in Dio. Termine ultimo di questo processo da Lui operato<br />

è : assimilarci, anima e corpo, a se stesso morto e risorto, affinché,<br />

avendo partecipato, in quanto è possibile, la sua stessa forma<br />

d'essere e d'agire ad ogni aderente di cuore a Lui, e avendo instaurato<br />

un cielo nuovo e una terra nuova, Egli possa tutto offrire<br />

insieme a se stesso, al Padre, e Dio, finalmente, sia tutto in tutti.<br />

È questo, nella totalità e nella inscindibilità dei suoi elementi,<br />

il mistero pasquale come lo comprende non solo la <strong>liturgia</strong>, ma<br />

anche la tradizione antica e la stessa Scrittura 4 .<br />

Questo mistero così compreso in tutta la sua estensione è la<br />

grande novità del Nuovo Testamento, il grande annunzio di gioia<br />

all'umanità. Di questo gli apostoli sono i testi (Le 24,28). Questo è<br />

il grande mistero in cui si concretizza praticamente il mistero <strong>della</strong><br />

storia (Vedi Ap 5; 21; £6 10,12-21; 12,18-24), il mistero di Cristo (Vedi<br />

irm3,16; FU 2,5-11; Col 1,15-20), in specie il mistero del suo sacerdozio<br />

(Vedi Eb 9; 10,12-20; 12,18-24), nonché il mistero <strong>della</strong> Chiesa<br />

(Vedi Ef 1,33,20; 1 Pt 1,3-2,10), e conseguentemente il mistero <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> (Rm 6; Gv 6).<br />

Perciò questo mistero di vita-morte, in Gesù, in noi stessi, nel<br />

mondo tutto, è di gran lunga l'oggetto primario <strong>della</strong> catechesi apostolica,<br />

come punto di vista concreto e sintetico che meglio compendia<br />

i vari aspetti dell'euaggélion 5 . Esso appare ovunque sia in<br />

scorci panoramici più o meno completi, sia in uno o in un altro<br />

dei suoi tratti particolari.<br />

Eccone alcuni esempi: 1) Morte-vita in Cristo stesso: FU 2,6-11;<br />

Col 1,15-20; 1 Tm 3,16. - 2) Morte-vita di Gesù che deve diventare la<br />

* Vedi O. CASEL, Art und Sinn der àltesten christlichen Ostfeier, in : Jahrbuch<br />

fiir Liturgiew. 14 (1934) 1-78. S. CZERWIK, Homilia paschalis apud patres usque<br />

ad saeculum quintum, Roma 1961, cori bibliografia pp. 7-11. C. VAGAGGINI, Fulget<br />

Crucis mysterium, in: Pont. ìnstit. Regina Mundi n. 12 (1960), 3-14. ID. Pasqua<br />

la festa cristiana, in: L'Osservatore Romano, 22 aprile 1962 p. 3. B. FISCHER, Der<br />

verherrlichte Mensch Christus und die Liturgie, in: Lit. Jahrbuch 8 (1958) 205-17.<br />

Per la Scrittura vedi le opere citate sopra nota 1.<br />

5 Vedi O. CULLMANN, Le prime confessioni di fede cristiana, trad. it., Roma<br />

1949. J. SCHMITT, Jesus réssuscité dans la prédication apostolique, Paris 1949.<br />

H. SCHURMANN, Aufbau und Struktur der neutéstamentlichen Verkiindigung, Paderborn<br />

1949. L'opera di Stanley citata sopra, nota I.


LA FIGURA DI GESÙ 247<br />

nostra forma d'essere e d'agire: a) In genere: 2Cor 5,12-21. b) In<br />

specie nel battesimo : Rm 6; Col 2,8-15. e) Nell'eucaristia : pensiero<br />

sviluppato in modo speciale da Gv6; vedi anche le narrazioni <strong>della</strong><br />

istituzione dell'eucaristia e 1 Cor 11,23-24. d) Nella vita morale:<br />

Rm 4,24-8,39; 14,9; FU 1,27-2,11; 3,7-24; Col 2,6-4,6; 1 Pt 1,1-2; 3,13-4,19.<br />

e) Nell'apostolato: 2Cor4,7-5,5. /) Finalmente, nell'escatologia: 2Cor<br />

5,1-15.-3) Morte-vita di Gesù in tutto il cosmo: Rm 8,9-23; 2Pt 3,13;<br />

Ap 21,1-8; 2,28.<br />

Va rilevato in modo speciale che l'elemento morale nella dottrina<br />

di Gesù, nella predicazione degli Apostoli e nella proposizione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, non può in nessun modo essere separato e come avulso<br />

da questo quadro del mistero pasquale senza essere svuotato a una<br />

forma di moralismo puramente etico e naturale e quindi completamente<br />

snaturato. Quel quadro <strong>della</strong> storia sacra, da cui, come<br />

sopra" si è dimostrato, deriva la natura specifica <strong>della</strong> morale cristiana,<br />

il motivo prossimo proprio dell'agire cristiano, è, nel Nuovo<br />

Testamento, Gesù morto e risorto e che ci comunica ora la vita<br />

divina di cui è pieno: visuale pasquale. E facile rendersene conto<br />

dai passi sopra citati.<br />

La figura integra, totale, di Gesù del Nuovo Testamento, è<br />

quella di Gesù del mistero pasquale: Figlio di Dio incarnato, nato<br />

e vissuto in forma servi, morto e risorto e ora nella gloria in atto<br />

continuo di comunicare al mondo la vita divina di cui è pieno e<br />

unico dispensatore. Fermarsi al Gesù morto — peggio ancora al maestro,<br />

sia pur dolcissimo ed amabilissimo, che percorreva la Galilea<br />

e la Giudea, o al solo maestro del sermone sulla montagna, o a Gesù<br />

Bambino — senza avere ogni volta la netta coscienza che ora non<br />

c'è che un Gesù, il Kyrios morto e risorto che trasmette a noi la<br />

sua vita divina, principalmente nei sacramenti, significa correre il<br />

pericolo, tutt'altro che irreale, di vedere in Gesù soltanto l'umanissimo<br />

e profondo maestro, il cui valore sta soltanto nell'esempio<br />

che dette e nell'etica che insegnò.<br />

È vero che è proprio questo il solo Gesù che piace all'odierno<br />

naturalismo. Ma non è forse perché è solo questo il Gesù che noi<br />

troppo spesso presentiamo al mondo? E non è forse questo il motivo<br />

profondo per cui quel mondo che ammette questo Gesù non e affatto<br />

disposto ad ammettere la sua presenza e la sua azione trasformatrice<br />

nella Chiesa e non sa che fare dei sacramenti e <strong>della</strong> risurrezione<br />

dei corpi?<br />

Comunque, non è il Gesù di S. Paplo, né di S. Giovanni, né<br />

delle epistole cattoliche. In realtà non è nemmeno il Gesù dei<br />

sinottici, perché è noto che essi ne tratteggiano la figura, i gesti<br />

e la parola con la netta coscienza <strong>della</strong> sua risurrezione già avvenuta<br />

e da essi sperimentata. Con più forte ragione non è il Gesù<br />

che fu oggetto <strong>della</strong> fede dei primi cristiani e sconvolse il mondo<br />

antico 7 .<br />

o p. 20 ss.<br />

7 Vedi le opere citate sopra, note 1 e 5.


248 CAP. Vili - IL KYRIOS<br />

3. PERCHÉ CI È OGGI DIFFICILE COMPRENDERE<br />

LA CENTRALITÀ DEL MISTERO PASQUALE<br />

Tante abitudini mentali, nella teologia, nella spiritualità, nella<br />

prassi pastorale, ci impediscono oggi, sfortunatamente, di percepire<br />

a fondo la centralità del mistero pasquale nella vita cristiana,<br />

pur così lampante nella Scrittura, nella tradizione, nella <strong>liturgia</strong>.<br />

• Mentalità storicista positivista, che ci fa considerare la risurrezione<br />

di Cristo separatamente dalla sua passione, la sua passione<br />

e morte separatamente dalla sua risurrezione, e l'una e l'altra separatamente<br />

dai sacramenti.<br />

Mentalità prevalentemente giuridica che ci fa considerare la<br />

salvezza quasi esclusivamente in categorie di riscatto, soddisfazione,<br />

merito: per cui la risurrezione di Cristo, nell'insieme <strong>della</strong><br />

nostra salvezza, è ridotta ad un argomento apologetico che prova<br />

la sua missione divina.<br />

Mentalità di spiritualismo astratto e disincarnato che incoscientemente<br />

tende a identificare l'uomo con l'anima. Così non<br />

si comprende più il posto e il valore del corpo nella nostra salvezza,<br />

e perciò il posto e il valore dell'incarnazione, <strong>della</strong> risurrezione<br />

gloriosa del corpo, di Cristo e dei nostri corpi né i sacramenti,<br />

né il dogma di un cielo, nuovo e di una terra nuova 8 .<br />

In modo speciale: mentalità teologica generale impregnata<br />

di concettualismo astratto. Da questo deriva che nel giudicare teologicamente<br />

del valore delle cose, delle persone, degli avvenimenti,<br />

ci limitiamo alla considerazione astratta delle essenze e se mai<br />

delle proprietà necessarie sempre connesse con queste; e tutto il<br />

resto lo releghiamo tra « gli accidenti non necessari ». Così non<br />

abbiamo più occhi per l'aspetto storico e concreto delle cose. In<br />

questa prospettiva, molti non vedono più l'importanza capitale per<br />

Cristo e per il mondo <strong>della</strong> sua risurrezione dai morti.<br />

Disse un tale, buon teologo « tomista » : perché insistere tanto<br />

sulla risurrezione di Cristo? <strong>Il</strong> grande avvenimento <strong>della</strong> storia non<br />

è la risurrezione, ma se mai, l'incarnazione del Figlio di Dio.<br />

Dopo l'incarnazione, la risurrezione è un semplice episodio. Perciò,<br />

concludeva senz'altro, la grande festa non è Pasqua, ma l'annunziazione.<br />

Affermazioni piene di ambiguità, ma caratteristiche di una mentalità<br />

diffusa, molto inadatta per immedesimarsi il mondo <strong>della</strong><br />

Scrittura e quindi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Cni non sente l'ambiguità nell'affermazione,<br />

poniamo: che in Giovan Battista Montini, il grande<br />

8 Vedi C. VAGAGGINI, Riflessioni sul <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong> del mistero pasquale, in:<br />

Riv. di pastorale liturgica 2 (1964) pp. 102-112.


LA PRESENZA DI CRISTO 249<br />

avvenimento è la sua nascita da uomo, mentre la sua elezione<br />

a Papa, il fatto che è ora Paolo VI, è un semplice episodio?<br />

Certamente, rispetto all'essenza d'uomo, il fatto di essere Papa<br />

è un « accidens non necessarium ». Metafisicamente parlando, è<br />

più importante e fondamentale essere uomo che essere Papa. E<br />

tuttavia, nella storia di questa persona e nella storia del mondo,<br />

dunque, concretamente parlando, il fatto decisivo e capitale non<br />

è che Giovan Battista Montini sia uomo, ma che sia uomo Papa.<br />

Anche S. Tommaso, dopo Aristotele, distingue, se non mi sbaglio,<br />

una doppia perfezione : « La prima riguarda l'essere <strong>della</strong> cosa,<br />

la seconda la sua operazione; e questa seconda perfezione è più<br />

grande <strong>della</strong> prima. Perciò, semplicemente parlando, si dice perfetto<br />

ciò che raggiunge la perfezione nel suo operare, che è la<br />

seconda perfezione » 9 . Questo dimostra che molti nostri guai vengono<br />

non già dalla teologia metafisica (necessaria e benefica sotto<br />

tanti aspetti), ma dalla mentalità di certi epigoni <strong>della</strong> teologia<br />

metafisica che hanno perduto il <strong>senso</strong> del concreto e <strong>della</strong> storia,<br />

e quindi <strong>della</strong> storia sacra, e con ciò <strong>della</strong> bibbia e <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>;<br />

con le conseguenze facilmente intelligibili per la pastorale.<br />

4. IL SACERDOZIO CELESTE DI CRISTO<br />

Solo sullo sfondo del Kyrios e del mistero pasquale si può<br />

riacquistare un concetto integrale del sacerdozio attuale di Cristo<br />

e del suo vivo significato per la vita del mondo, comprendere<br />

la sconvolgente figura di « Gesù Cristo, il sommo sacerdote delle<br />

nostre oblazioni, il patrono e l'aiuto <strong>della</strong> nostra debolezza », secondo<br />

un'espressione di Clemente romano.<br />

La presenza di Cristo nella <strong>liturgia</strong>. — Per determinare la natura<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, il concilio vaticano II, prende lo spunto, molto<br />

giustamente, non solo da Cristo stesso e dalla Chiesa come continuatrice<br />

dell'opera di Cristo, ma più precisamente dalla specialissima<br />

presenza di Cristo, ora in gloria presso il Padre, nella<br />

Chiesa e particolarmente nelle azioni liturgiche xo . '<br />

Infatti, nella nostra <strong>liturgia</strong> la parte di Cristo è cosa talmente<br />

reale, viva, presente e preponderante che, in fondo, non v'è nel<br />

mondo che un unico liturgo: Cristo, e-.un'unica <strong>liturgia</strong>: quella<br />

di Cristo.<br />

Quando si tratta dell'azione e <strong>della</strong> presenza di Cristo nella<br />

9 Super ep. ad Gal. expos. cap. V lect. 6. Vedi pure Summa I q 73 a 1 e:<br />

« Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta...<br />

Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est operatio, sicut finis citharistae<br />

est citharizare; vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut<br />

finis aedificatoris est domus quam aedificatio facit ».<br />

10 CL art. 7.


250 CAP. Vili - IL KYRIOS<br />

sua Chiesa, in specie nella <strong>liturgia</strong>, il pericolo è questo: che, più<br />

0 meno coscientemente, noi la concepiamo come una cosa avvenuta<br />

una volta per sempre nella vita terrena di Gesù dall'incarnazione<br />

alla morte in croce, e che ora non è più presente se non nel campo<br />

puramente psicologico <strong>della</strong> conoscenza e degli affetti. Di nuovo<br />

il pericolo del panpsicologismo e del panmoralismo. Si è tentati,<br />

in fondo, di concepire Gesù soltanto come un gran maestro che<br />

ci ha dato una mirabile dottrina morale per andare a Dio; come<br />

un mirabile modello da imitare; forse si arriva fino a non dimenticare<br />

che Gesù è Colui che accettò di espiare volontariamente<br />

per noi, sulla croce, e così, una volta per sempre ci dette la possibilità<br />

di ottenere nuovamente da Dio le grazie necessarie per raggiungere<br />

la gloria ove ci aspetta.<br />

Ma, se il significato di Cristo per la nostra vita si limitasse a<br />

questi soli aspetti, Egli, in fondo, non sarebbe altro che un gran<br />

santo e solo per questo, maestro e modello. La sua presenza e<br />

azione attuale tra noi, nella Chiesa, non sarebbe d'ordine diverso<br />

dalla presenza e azione di un gran filosofo tra i suoi discepoli, o<br />

d'un gran santo tra i suoi devoti, poniamo di un gran fondatore<br />

tra i membri del suo ordine. Ora Cristo, la sua azione, la sua presenza,<br />

è per la Chiesa qualcosa d'immensamente più profondo. È<br />

d'un altro ordine. L'azione e la presenza di antichi maestri o santi<br />

tra i loro discepoli è d'ordine soltanto psicologico, morale. L'azione<br />

e la presenza di Cristo nella Chiesa è anzitutto d'ordine fisico,<br />

e quindi, come conseguenza, d'ordine anche morale.<br />

Per capire la profondità di questa azione e presenza di Cristo<br />

nella sua Chiesa, in modo speciale nella <strong>liturgia</strong>, bisogna rifarsi<br />

alla grande sintesi <strong>della</strong> storia e <strong>della</strong> vita cristiana proposta nell'epistola<br />

agli ebrei ". ,<br />

<strong>Il</strong> sacerdozio celeste di Cristo. — L'autore di questa epistola,<br />

pensando al significato ultimo di tutta la storia e di tutta la vita,<br />

non solo le inquadra, come fanno tutti gli autori del Nuovo Testamento,<br />

nel grande panorama circolare per cui tutte le cose vengono<br />

dal Padre, per Cristo, nello Spirito e così ritornano al Padre, — panorama<br />

che egli suppone, anche se non insiste molto sulla persona<br />

dello Spirito 12 — ma, inoltre,, le considera principalmente sotto<br />

l'aspetto di santificazione e di culto. Sono effettivamente la storia sacra<br />

e la vita cristiana considerate come <strong>liturgia</strong> che l'autore ci presenta.<br />

L'epistola agli ebrei è un'esortazione ed incoraggiamento destinato<br />

direttamente a un gruppo di sacerdoti e leviti ebrei convertiti<br />

a Cristo e che, in mezzo alle difficoltà <strong>della</strong> persecuzione,<br />

erano tentati di rimpiangere l'efficacia santificativa e lo splendore<br />

11<br />

Vedi C. SPICQ, L'épitre aux hébreux, 2 voli., Paris 1953-54, specialmente<br />

1 p. 286-329.<br />

12<br />

Vedi ibid. I 147 s. Del Padre l'autore parla spessissimo col nome di Dio<br />

.— vedi ibid. Indici II 446 s. v. Dieu. Per lo Spirito Santo vedi ibid. 446 s. v.<br />

Esprit Saint.


SACERDOZIO CELESTE 251<br />

cultico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> giudaica del tempio, di fronte a quello che<br />

poteva loro sembrare lo scarno spiritualismo <strong>della</strong> nuova religione.<br />

È per questo che l'autore è tutto proteso a dimostrare ed illustrare<br />

l'immensa trascendenza <strong>della</strong> vita cristiana come santificazione e<br />

come culto sulla <strong>liturgia</strong> dell'Antico Testamento 13 .<br />

Per fare ciò presuppone che tutta la vita dei fedeli dinanzi a<br />

Dio su questa terra, in fondo, non sia altro che una immensa processione<br />

liturgica di peregrinanti verso il santuario dove abita<br />

Dio, per essere ammessi in sua presenza, per vederlo, lodarlo, e<br />

offrire a Lui i sacrifici. Quindi i ben noti temi fondamentali dell'epistola:<br />

il popolo di Dio peregrinante; il popolo di Dio comunità<br />

cultuale; Cristo, il Figlio di Dio, sommo sacerdote redentore (a<br />

causa del peccato che è preceduto), santificatore, capo e guida di<br />

questa comunità peregrinante e cultuale; la vita morale dei cristiani<br />

come presupposto e conseguenza <strong>della</strong> loro partecipazione<br />

all'azione santificatrice e cultuale di Cristo loro capo; le santificazioni<br />

e il culto dell'Antico Testamento come figure e ombre <strong>della</strong><br />

santificazione e del culto di Cristo e in Cristo; l'attualità presenziale,<br />

ormai senza fine, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> celeste di Cristo glorioso alla destra<br />

del Padre nell'assemblea liturgica e festante (panegyris) degli angeli<br />

e dei giusti che hanno già raggiunto il loro fine, assemblea<br />

a cui i cristiani già quaggiù, pur nella peregrinazione e nella fede,<br />

prendono realmente parte.<br />

Centro di tutta questa prospettiva è il concetto del sacerdozio<br />

di Cristo, Figlio di Dio. Sacerdozio vero, perfetto, eterno, di cui<br />

tutti gli altri non erano che ombre e figure. Sacerdozio cominciato<br />

nell'incarnazione, attuato in tutta la vita terrestre di Cristo, principalmente<br />

sul Golgota; giunto all'ultima ed eterna fase di perfezione<br />

e di efficacia nel cielo, alla destra del Padre, e riflettentesi continuamente<br />

ed efficacemente su questa terra per coloro che aderiscono<br />

a Lui nella fede e nella vita cristiana. È questo il punto<br />

capitale e riassuntivo (kephàlaion, Eb 8,1) di tutta questa dottrina<br />

superiore (cfr. Eb 5,11) che l'autore vuole spiegare ai suoi corrispondenti<br />

: « Che noi abbiamo un tale sommo sacerdote che si<br />

è assiso alla destra del trono <strong>della</strong> Maestà nei cieli, quale liturgo<br />

del santuario e del tabernacolo vero, che ha eretto il Signore, non<br />

un uomo » {Eb 8,1 s). Un sacerdote, il quale « perché rimane in<br />

eterno, ha un sacerdozio non transitorio, e perciò perfettamente<br />

può salvare coloro che per Lui s'accostano a Dio, essendo Egli<br />

sempre vivo per intercedere a loro favore. Tale sommo sacerdote<br />

occorreva, infatti, a noi: santo, innocente, incontaminato, segregato<br />

dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli; il quale non ha, ogni<br />

giorno, bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima<br />

per i propri peccati, poi per quelli del popolo; questo, Egli fece<br />

una voltai per sempre, quando offrì se stesso » (Eb 7,24 ss).<br />

13 Tutta la terminologia base e caratteristica dell'epistola è specificatamente<br />

liturgica: accostarsi, avvicinarsi, presentarsi, offrire, santificare, espiare, purificare,<br />

altare, sacerdote ecc.


252 CAP. Vili - IL KYRIOS<br />

Tutta questa prospettiva del sacerdozio celeste di Gesù e <strong>della</strong> sua<br />

<strong>liturgia</strong> è fortemente incentrata, nell'epistola, nel mistero pasquale.<br />

Uno dei suoi temi principali è appunto l'affermazione che è<br />

attraverso la propria morte e nel proprio sangue, che Gesù, diventato<br />

mediatore e gran sacerdote <strong>della</strong> nuova alleanza, è entrato nel<br />

santuario celeste e si è assiso alla destra del Padre, sempre pronto<br />

a intercedere per noi.<br />

È il tema diretto di tutto il capitolo 9, con i versetti centrali<br />

11-15: «Cristo invece, sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso<br />

il tabernacolo più eccellente e più perfetto, non manufatto, cioè<br />

di questa creazione, né per virtù di sangue di capri e di vitelli,<br />

ma per virtù del proprio sangue, entrò una volta per sempre nel<br />

santuario, avendo ottenuto una redenzione eterna... Quanto più il<br />

sangue di Cristo, il quale per virtù di spirito eterno, offrì se stesso<br />

immacolato a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte<br />

per servire a Dio vivente! E per questo è mediatore di una nuova<br />

alleanza... ».<br />

Inoltre, l'autore dell'epistola agli Ebrei spiega anche esplicitamente<br />

perché Dio ha molto sapientemente voluto che il sacerdozio<br />

di Cristo fosse quello di un mediatore Figlio di Dio incarnato<br />

morto e risorto: 2,10-18, con i tre versetti conclusivi: « Che, certo,<br />

non agli angeli egli viene in aiuto, ma viene in aiuto alla stirpe<br />

d'Abramo. Perciò doveva essere assimilato in tutto ai fratelli, per<br />

divenire pontefice misericordioso e fedele nelle cose che riguardano<br />

Dio, al fine di espiare i peccati del popolo. Appunto perché,<br />

egli stesso ha patito nel venir messo alla prova, è in grado di soccorrere<br />

coloro che vengono provati ».<br />

<strong>Il</strong> sommo sacerdote dell'epistola agli ebrei è nettamente il<br />

Kyrios morto e risorto in esercizio glorioso e compatiscente <strong>della</strong><br />

sua mediazione universale in atto di condurre gli uomini a Dio,<br />

anche se, nell'epistola il rapporto tra questa mediazione e i sacramenti<br />

non è molto sviluppato. , y i<br />

<<br />

Sacerdozio di Cristo e vita cristiana. — Che <strong>senso</strong> prende l'adesione<br />

alla fede e alla vita cristiana in questa prospettiva? L'autore<br />

dell'epistola lo dice in un testo che riassume pressappoco tutti i<br />

grandi temi ai quali ora si accennava. Egli dice ai cristiani che non<br />

si sono « accostati » (sempre termine liturgico), al monte Sinai a<br />

cui si accostarono gli Ebrei al momento del patto, nel noto scenario<br />

di maestà e di terrore, ma « vi siete, invece, accostati al monte<br />

Sinai e alla città di Dio vivente, Gerusalemme celeste, a miriadi<br />

di angeli, ceto liturgico festoso (panégyrei) e assemblea (ekklesia)<br />

dei primogeniti iscritti nei cieli, e al giudice Dio di tutti, e agli<br />

spiriti dei giusti giunti a perfezione, e al mediatore <strong>della</strong> nuova<br />

alleanza Gesù, e al sangue dell'aspersione che parla meglio di<br />

quello di Abele » (Eb 12,22 ss).<br />

Si vede, dal punto di vista che c'interessa, come si possa effettivamente<br />

ritrovare in questo testo e in quelli poco prima citati i


LITURGIA TERRESTRE 253<br />

grandi temi ora enunziati. La vita cristiana è una processione liturgica<br />

di peregrinanti il cui scopo è, arrivando al termine dove è la<br />

perfezione (teléiosis), di avvicinarci, nel santuario, a Dio, di comparire<br />

dinanzi a Lui. <strong>Il</strong> santuario, in fin dei conti, è il santuario<br />

del cielo, dove intorno a Dio sono riuniti in assemblea festosa<br />

(panégyrei) le miriadi degli angeli e gli uomini giusti, già arrivati<br />

alla perfezione a cui erano stati chiamati da Dio, perché arrivati<br />

al termine del loro cammino (teteleioménon). I cristiani, abbracciando<br />

la nuova fede e la nuova vita, hanno già raggiunto in qualche<br />

modo il termine <strong>della</strong> loro peregrinazione liturgica, si sono anch'essi<br />

accostati in atto liturgico a quella santa Gerusalemme e al santuario<br />

del Cielo in un modo realissimo, sebbene non ancora perfetto.<br />

Questo è statp ed è loro possibile grazie al sommo sacerdote,<br />

mediatore <strong>della</strong> nuova alleanza, Gesù. <strong>Il</strong> quale, aspergendoli col<br />

suo sangue, e cqsì. purificandoli dai peccati, li ha introdotti, già<br />

ora realmente, rìèl' santuario <strong>della</strong> santa Sion; li ha uniti realmente<br />

sin d'ora all'assemblea liturgica degli angeli e dei giusti nella quale<br />

Egli è il sommo ed eterno sacerdote alla destra del Padre, liturgo<br />

del santuario e del tabernacolo vero, sempre vivo per intercedere<br />

a favore dei suoi. <strong>Il</strong> culto, le santificazioni, la <strong>liturgia</strong> intera e il<br />

sacerdozio dell'Antico Testamento non erano che ombra e figura<br />

(Eb 8,5; 10,1) di questo vero sacerdozio, di questo vero culto e di<br />

questa vera santificazione di cui Cristo è il liturgo e di cui i cristiani<br />

ora sono realmente partecipi. Così, l'antica economia sacerdotale,<br />

santificativa e cultica dell'Antico Testamento è ormai abolita<br />

e non sussiste più che l'economia sacerdotale, santificativa e<br />

cultica di Cristo alla quale hanno già parte reale i cristiani. Di qui<br />

si vede quanto la sorte di questi trascenda immensamente quella<br />

degli ebrei.<br />

Tutto si riassume dunque in questa costatazione: Cristo, unico<br />

e perfetto sacerdote, dopo aver compiuto la sua <strong>liturgia</strong> di santificazione<br />

e di lode al Padre sulla terra, principalmente sul Golgota,<br />

ora, sempre vivo e glorioso alla destra del Padre, quale unico<br />

liturgo, nell'unico santuario, ivi continua in atto d'intercessione<br />

l'unica <strong>liturgia</strong> di santificazione e di lode che iniziò quaggiù e ad<br />

essa attrae e ammette realmente anche i suoi fedeli ancora peregrinanti,<br />

mentre dà loro la ferma speranza di arrivare, mediante<br />

la perseveranza e la buona vita, al termine perfetto nel santuario<br />

celeste.<br />

5. LITURGIA CELESTE E LITURGIA TERRESTRE<br />

In questa prospettiva generale qual è la parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

propriamente detta che i cristiani compiono guaggiù? L'autore<br />

dell'epistola, tutto occupato nella visione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> celeste, non<br />

sviluppa la relazione che ha con essa la <strong>liturgia</strong> terrestre dei cri-


254 CAP. Vili - IL KYHIOS<br />

stiani. Vi fa però probabilmente diverse allusioni. Così, come ritengono<br />

parecchi interpreti, nel seguente testo : « Poiché dunque, fratelli,<br />

abbiamo lieta fiducia d'entrare nel santuario, in virtù del<br />

sangue di Gesù, ingresso che Egli ha inaugurato per noi, via nuova<br />

e vivente attraverso il velo, cioè la sua carne, e abbiamo un gran<br />

sacerdote a capo <strong>della</strong> casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero,<br />

in pienezza di fede, aspersi e purificati i cuori da cattiva coscienza<br />

e lavato il corpo con acqua monda. Teniamo fermamente l'incrollabile<br />

confessione <strong>della</strong> speranza — che fedele è Colui che ha promesso<br />

— e osserviamoci gli uni gli altri a stimolo di carità e di<br />

buone opere, non disertando la nostra propria assemblea, com'è<br />

costume di alcuni; ma piuttosto esortiamoci reciprocamente; è<br />

ciò tanto più quanto più vedete che si avvicina il giorno » (Eb<br />

10,19ss).<br />

Parecchi commentatori nell'assemblea (episynagogé) che l'autore<br />

esorta i cristiani a non disertare, vedono l'assemblea liturgica.<br />

Se ciò corrisponde all'intenzione dell'autore, si potrebbe forse dire<br />

che per lui l'assemblea liturgica è il luogo naturale dove i cristiani,<br />

aspersi e purificati i cuori da cattiva coscienza e lavati i corpi con<br />

l'acqua monda del battesimo, si accostano già ora a Dio sotto<br />

l'egida del gran sacerdote Gesù, che ci ha ottenuto tanto beneficio<br />

col suo sangue, mentre in virtù dello stesso sangue, ci dà la ferma<br />

fiducia di poter entrare un giorno nel santuario celeste, termine<br />

ultimo del nostro pellegrinaggio, dove Egli ci ha preceduti; purché,<br />

intanto, conserviamo intatta la nostra fede, la nostra speranza e<br />

le traduciamo in buone opere. Diversi commentatori credono pure<br />

che l'autore dell'epistola faccia qualche allusione all'eucaristia<br />

(Eb 13,10; 6,4).<br />

Ma anche se l'epistola agli ebrei non indica nettamente quale<br />

sia la relazione tra la <strong>liturgia</strong> celeste e la <strong>liturgia</strong> terrestre dei<br />

cristiani, tuttavia ha posto i princìpi fondamentali in base ai quali<br />

è possibile determinare questa relazione, come lo ha fatto la tradizione<br />

patristica e liturgica posteriore. <strong>Il</strong> principio fondamentale<br />

è quello sopra spiegato e così fortemente inculcato dall'epistola<br />

dell'unico liturgo, Cristo, e dell'unica <strong>liturgia</strong>, quella di Cristo, ora<br />

glorioso alla destra del Padre. Principio complementare, subiacente<br />

o anche espresso, è l'idea che il vero e definitivo mondo è quello<br />

celeste; il mondo di quaggiù ne è solo l'ombra, la figura, l'imitazione<br />

14 . È vero che l'autore sviluppa questa visuale esemplarista<br />

anzitutto per illustrare i rapporti che intercorrono tra il culto<br />

mosaico e il culto celeste di Cristo. In questa materia non si stanca<br />

di ripetere che il culto mosaico era la pallida ombra, la figura, la<br />

debole imitazione del futuro culto perfetto, quello di Cristo (Eb<br />

10,1; 8,2-5; 9,11-24). Non mi pare che si possa dimostrare che l'autore<br />

in questa visuale, in cui pensa certamente anzitutto al culto<br />

14 Su questo principio vedi SPICQ 1. e. I 72-76. L'autore dell'epistola, in questa<br />

materia, prende lo spunto dalla tradizione platonico-alessandrina intorno all'esemplarismo.


UNICO LITURGO 255<br />

celeste di Cristo, abbia in mente anche il culto cristiano su questa<br />

terra.<br />

Comunque, era inevitabile che in questa prospettiva i cristiani<br />

si ponessero chiaramente la questione del <strong>senso</strong> del culto cristiano<br />

terrestre rispetto al culto celeste e al culto dell'Antico Testamento.<br />

La risposta era altrettanto inevitabile, stando ai princìpi dell'epistola:<br />

se la <strong>liturgia</strong> dell'Antico Testamento non era che l'ombra<br />

e la figura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> celeste di Cristo, anche la <strong>liturgia</strong> terrestre<br />

dei cristiani è l'ombra e la figura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> celeste di Cristo.<br />

Con una grande differenza però: che il concetto di figura e ombra<br />

applicato alla <strong>liturgia</strong> terrestre dei cristiani rispetto alla <strong>liturgia</strong><br />

celeste, ha un <strong>senso</strong> immensamente più profondo e reale, anzi<br />

realista, di quello che ha quando viene applicato alla <strong>liturgia</strong> dell'Antico<br />

Testamento rispetto alla stessa <strong>liturgia</strong> celeste.<br />

<strong>Il</strong> motivo profondo è che, tra i cristiani, anche su questa terra,<br />

non vi è che una santificazione, che è quella operata continuamente<br />

in essi da Cristo; e non vi è che un culto, che è quello offerto<br />

ininterrottamente per essi e con essi da Cristo, e quindi non vi<br />

è che un liturgo: Cristo stesso. Se la <strong>liturgia</strong> terrestre è vera<br />

santificazione e vero culto, ciò non può essere che in quanto in<br />

essa si attua in un modo diverso la stessa santificazione e lo stesso<br />

culto di Cristo ora glorioso in cielo; in quanto nei riti <strong>della</strong> terra<br />

si ripete, anzi si manifesta, come sdoppiandosi, quello che Cristo<br />

stesso fa in cielo. La <strong>liturgia</strong> terrestre dei cristiani non può essere<br />

che l'epifania, sotto il velo dei riti e dei simboli, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

celeste di Cristo; la sua manifestazione sulla terra sotto un involucro<br />

terrestre. La <strong>liturgia</strong> terrestre e la <strong>liturgia</strong> celeste sono una<br />

stessa realtà e non differiscono che nel modo di manifestazione<br />

e di pienezza, come, nel concetto antico, l'immagine e la realtà<br />

che essa manifesta.<br />

Queste idee, facilmente sviluppate dai princìpi dell'epistola<br />

agli ebrei, sono state largamente valorizzate dalla tradizione patristica<br />

e liturgica. Questa tradizione fu molto sollecita d'inculcare<br />

che nella nostra <strong>liturgia</strong> terrestre è sempre e dappertutto Cristo<br />

stesso che opera sotto il velo dèi riti e per lo strumento dei ministri<br />

umani; di modo che, sempre e dappertutto, Cristo è il ministro<br />

principale di tutta l'azione liturgica sotto tutte le sue forme: messa,<br />

sacramenti e sacramentali, lode divina ".<br />

Sul concetto che è Cristo stesso che offre, quale ministro principale,<br />

il sacrificio dell'eucaristia, Dix ie può attestare : « Credo che,<br />

ad eccezione delle tre serie delle omelie di Origene, ho letto ogni<br />

frase degli autori cristiani superstiti del periodo preniceno, per la<br />

più parte probabilmente otto, dodici volte, o anche più. È difficile<br />

provare un asserto negativo da una massa di materiali così vasti<br />

e disparati, ma per alcuni anni ho posto particolare attenzione a<br />

15 Cenni su questa materia in PH. OPPENHEIM, Notiones <strong>liturgia</strong>e fundamentales,<br />

Marietti 1941 pp. 109-32 con bibliografia a p. 109 ».<br />

16 The shape of the liturgy, London, ristampa del 1954, p. 253 s.


256 CAP. Vili - IL KYRIOS<br />

questo punto. Credo poter affermare come un fatto (con due apparenti<br />

eccezioni che tratterò in nota) che non c'è autore preniceno,<br />

orientale od occidentale, la cui dottrina eucaristica sia pienamente<br />

affermata, che non consideri l'offerta e la consacrazione dell'eucaristia,<br />

come l'azione attuale di nostro Signore stesso, la seconda<br />

persona <strong>della</strong> Trinità. E nella stragrande maggioranza degli autori<br />

è chiaro che tutto il loro modo di concepire la cosa s'incentra<br />

intorno alla figura del sommo sacerdote all'altare celeste 17 . E questo<br />

certamente il concetto delle - antiche preghiere liturgiche... L'importante<br />

è di notare, dal nostro immediato punto di vista, che<br />

quando la Chiesa prenicena pensava e parlava dell'eucaristia come<br />

di un'azione, come di qualcosa che "è fatto", la concepiva in primo<br />

luogo come un'azione di Cristo stesso, continuamente offerente,<br />

attraverso e nel suo corpo che è la Chiesa, la sua "carne per la vita<br />

del mondo". È il perpetuamente nel tempo, per via di anamnesi,<br />

del suo atto redentore eternamente accetto e completo ». La Chiesa<br />

ha sempre creduto che la messa non è altro che un certo modo<br />

per cui si rende presente sulla terra quello che apparì a Giovanni<br />

nell'apocalisse quando vide « tra il trono, i quattro animali e i<br />

vecchi, un agnello, in piedi, come sgozzato » (5,6), agnello che non<br />

è altro che quel « sommo sacerdote che si è assiso alla destra del<br />

trono <strong>della</strong> Maestà nei cieli, quale liturgo del santuario e del<br />

tabernacolo vero » (Eb 8,1 s), il nostro « paraclito presso il Padre»<br />

(1 Gv 2,1), « sempre vivo per intercedere » (Eb 7,25) per noi.<br />

Questo concetto <strong>della</strong> messa come azione di Cristo stesso ora<br />

glorioso alla destra del Padre, che opera sotto il velo dei riti e<br />

attraverso i ministri umani, è continuato, sempre nella tradizione<br />

patristica e liturgica, anche dopo Nicea. Questo è vero anche se,<br />

sotto un certo aspetto, sia stato talvolta come un po' affievolito dal<br />

forte accentuarsi in Oriente, a partire dal secolo quarto, <strong>della</strong> parte<br />

dello Spirito Santo nel compimento del sacrificio eucaristico 1S .<br />

Accentuando la parte dello Spirito Santo, potè succedere, per esempio,<br />

a S. Cirillo di Gerusalemme, di parlare di Cristo come se fosse<br />

passivo al momento essenziale del compimento del sacrificio 19 .<br />

Ma anche in quelle liturgie dove si calcò, mediante l'epiclesi consacratoria,<br />

l'idea <strong>della</strong> parte dello Spirito nella messa, si conservò<br />

sempre anche l'altro concetto che Cristo opera attivamente nel<br />

momento essenziale del sacrificio. Questo anche se non si spiegava<br />

come l'uno e l'altro potessero conciliarsi. Così la <strong>liturgia</strong> bizantina<br />

di S. Basilio (e di S. Giovanni Crisostomo), pur avendo chiaramente<br />

la preghiera per la venuta dello Spirito Santo, nella formula<br />

del cheroubikón dice indirizzandosi a Cristo: «Nessuno è degno...<br />

di avvicinarsi, accostarsi o ministrare a Te, Re <strong>della</strong> gloria. Mini-<br />

17 Dix cita tra gli autori: Clemente Romano, Giustino, Ireneo, Tertulliano,<br />

Clemente Ales., Origene, Cipriano, e forse Policarpo. Poi aggiunge: « Non occorre<br />

moltiplicare le citazioni ».<br />

i8 Vedi Dix 1. e. 276-302.<br />

'? 'bid. 278 ss.


UNICO LITURGO 257<br />

strarti è cosa grande e terribile per le stesse virtù celesti. Ma, per<br />

il tuo ineffabile ed incommensurabile amore agli uomini, senza<br />

nessun cambiamento, sei diventato uomo, ti sei fatto nostro sommo<br />

sacerdote e ci hai dato il sacro rito liturgico di questo sacrificio<br />

incruento... Te ne supplico... dammi la forza... di stare a questa<br />

sacra mensa e di compiere l'azione sacra del tuo santo corpo e del<br />

tuo prezioso sangue... Fammi degno, me il tuo umile servo, peccatore<br />

e indegno, di offrirti questi doni. Tu sei, infatti, l'offerente e<br />

l'offerto, il santificante e il santificato (il testo più recente dice :<br />

il ricevente e il distribuito), Cristo, Dio nostro ».<br />

Lo stesso Dix, che tanto inculca la diversità dei due concetti,<br />

ammette tuttavia che, pur insistendo sulla parte dello Spirito Santo<br />

nel momento decisivo <strong>della</strong> messa, le liturgie orientali, anche<br />

dopo il secolo IV, mantengono, « per felice illogicità », il concetto<br />

antico universale che l'eucaristia terrestre è l'atto di Cristo stesso,<br />

il sommo sacerdote dell'altare celeste; che Lui stesso offre, Lui<br />

stesso prega, Lui stesso consacra il proprio sacrifìcio 20 .<br />

Del resto, dal punto di vista puramente <strong>teologico</strong> teoretico, e<br />

a parte la questione del momento preciso in cui avviene la consacrazione<br />

degli elementi eucaristici, aggiungiamo di non vedere<br />

tutta quella contraddizione che il Dix scorge tra il concetto che<br />

detta consacrazione è fatta dallo Spirito Santo e il concetto che è<br />

fatta da Cristo. Basta riferirsi al pensiero biblico che tutto quello<br />

che nel mondo fa Cristo, ora glorioso alla destra del Padre, Egli lo<br />

fa per mezzo dello Spirito Santo, che Egli stesso manda dal Padre;<br />

di modo che l'azione di Cristo e l'azione dello Spirito Santo non<br />

sono due azioni diverse, ma una unica azione di Cristo nello Spirito<br />

Santo o per mezzo dello Spirito Santo. Teoricamente parlando, si<br />

può dunque mettere benissimo in rilievo quella che è come la parte<br />

dello Spirito Santo nella Messa senza per questo abbandonare l'idea<br />

che Cristo, nostro sommo sacerdote, ora in cielo alla destra del<br />

Padre, è il ministro principale del sacrificio eucaristico.<br />

Comunque, è evidente l'antichità e l'universalità del concetto<br />

che è veramente Cristo stesso che nella messa offre il suo sacrificio.<br />

<strong>Il</strong> concilio di Trento non fece che riaffermare quest'idea quando<br />

disse che nel sacrificio <strong>della</strong> messa : « È l'unica e stessa vittima che<br />

per il ministero dei sacerdoti, offre ora se stesso e che si offrì un<br />

giorno sulla croce » 21 .<br />

È noto che la questione di determinare più precisamente il<br />

modo in cui Cristo, ora glorioso alla destra del Padre, offre realmente,<br />

quale ministro principale, ogni sacrificio che si compie<br />

sulla terra, dà luogo, tra i teologi, ad opinioni alquanto diverse, nelle<br />

quali però non è opportuno entrare 22 .<br />

20 Ibid. 292.<br />

21 Dz- 1743 (940). Si sa che questo concetto fornì, nella storia dell'arte, il tema<br />

iconografico di Cristo che offre lui stesso la propria messa. Vedi, per es., G.<br />

MILLET, Monwnents de l'Athos, I Paris 1927, tavole 64, 1 e 2; 118, 2; 168; 218, 2;<br />

219, 3; 256; 257; 261; 262 1 e 2.<br />

22 Vedi sopra p. 159 s. Cfr. anche A. COELHO, Corso di liturgìa romana, trad.<br />

9-11 <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


258 CAP. Vili - IL KYRIOS<br />

Non occorre nemmeno insistere sul concetto generale che nei<br />

diversi sacramenti Cristo stesso è sempre il ministro principale. Si<br />

sa che questa dottrina fu esplicitata per l'essenziale da S. Agostino,<br />

in rapporto alla controversia <strong>della</strong> validità del battesimo conferito<br />

dai donatisti, in occasione <strong>della</strong> quale egli scrisse le famose parole:<br />

« Pietro battezzi, ma è Lui (Cristo) che battezza, Paolo battezzi, ma<br />

è Lui che battezza, Giuda battezzi, ma è Lui che battezza » 23 . La<br />

dottrina dell'efficacia dei sacramenti ex opere operato è tutta fondata<br />

sopra questo presupposto.<br />

E in genere, a questo proposito, è da ricordare la dottrina di<br />

S. Tommaso, di cui si è parlato in un precedente capitolo, che ogni<br />

santificazione che Dio opera negli uomini, si fa ora attraverso l'umanità<br />

di Cristo, come strumento fisico <strong>della</strong> sua divinità.<br />

Anche nei sacramentali e nei riti liturgici d'istituzione ecclesiastica,<br />

come nella stessa lode divina, è sempre Cristo l'attore<br />

principale. Come è stato spiegato in un precedente capitolo, ciò<br />

avviene in un modo e grado alquanto diversi dai sacramenti che<br />

operano ex opere operato, ma in un modo sempre superiore a quello<br />

che avviene nella preghiera privata di un cristiano o in una preghiera<br />

comune, ma non liturgica. Da qui, appunto, il concetto dell'efficacia<br />

<strong>della</strong> lode divina e dei riti liturgici d'istituzione ecclesiastica<br />

ex opere operantis Ecclesiae intermedio tra quello dell'opus<br />

operatum e dell'opus operantis individui. L'efficacia ex opere operantis<br />

Ecclesiae speciale dei riti istituiti dalla Chiesa e <strong>della</strong> lode<br />

divina, proviene appunto dal fatto che questi riti e questa preghiera<br />

sono in modo speciale azioni di Cristo, più di quanto non avvenga<br />

in una preghiera semplicemente privata o comunque non ufficiale<br />

di uno o più cristiani.<br />

Se il fondamento dell'efficacia di ogni preghiera cristiana, anche<br />

privata, è sempre l'unione del cristiano con Cristo come del<br />

membro col capo, per cui in ogni preghiera è sempre la Chiesa e<br />

Cristo che pregano, bisognerà dire che ciò avviene in un grado e<br />

con una qualità superiore quando questa preghiera è la preghiera<br />

liturgica. Con maggiori ragioni e in un modo tutto eminente si dovrà<br />

applicare a questa preghiera (anzi a tutti i riti liturgici istituiti dalla<br />

Chiesa, poiché, come sappiamo, essi operano essenzialmente a modo<br />

di preghiera) quello che S. Agostino dice <strong>della</strong> preghiera del cristiano<br />

in genere : « Dio non poteva concedere agli uomini dono<br />

maggiore di quello per cui dette loro per Capo il Verbo, per mezzo<br />

del quale fece tutte le cose e li fece suoi membri, in modo che<br />

Egli è Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, Dio uno col Padre, e uomo<br />

uno con gli uomini; e quando noi parliamo a Dio nell'orazione non<br />

separiamo il Figlio da Dio, e quando prega il corpo del Figlio non<br />

separa da sé il suo Capo; ed Egli è il medesimo Signore nostro,<br />

Gesù Cristo Figlio di Dio, Salvatore del suo corpo, che prega per noi<br />

it. di F. Maberini, Marietti I 1935 p. 175 ss. CH. JOURNET, La messe présence du<br />

sacrifice de la Croix, Paris 1957 pp. 80-128.<br />

28 In lo tract, VI 7. Vedi anche CL art. 7.


UNICO LITURGO 259<br />

e prega in noi ed è pregato da noi. Prega per noi quale nostro sacerdote;<br />

prega in noi quale nostro Capo; è pregato da noi come<br />

nostro Dio. Riconosciamo dunque in Lui la nostra voce e in noi<br />

la sua voce... Volle far sue anche le parole del salmo, quando pendeva<br />

dalla croce e diceva: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?<br />

È dunque pregato nella forma di Dio, prega nella forma di<br />

servo; là Creatore, qui creato. Assunse senza mutamento la creatura<br />

che doveva mutare e ci fece assieme con se stesso un uomo unico :<br />

Capo e corpo, Noi dunque preghiamo Lui, per Lui e in Lui; diciamo<br />

con Lui e Lui dice con noi; noi diciamo in Lui e Lui dice<br />

in noi l'orazione di questo salmo... Nessuno, dunque, quando sente<br />

queste parole dica: non è Cristo che le dice: o dica invece: non<br />

sono io che le dico; che anzi, se si riconosce parte nel corpo di<br />

Cristo, deve dire e l'uno e l'altro: Cristo le dice, e: io le dico. Non<br />

dir nulla senza di Lui ed Egli non dice nulla senza di te » 2i .<br />

La grande idea è dunque che la preghiera <strong>della</strong> Chiesa è la preghiera<br />

di Cristo e la preghiera di Cristo è la preghiera <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Cristo e la Chiesa, dice altrove lo stesso S. Agostino, perché sono<br />

sposo e sposa, sono due come in una sola carne : « Di due diventano<br />

dunque come una sola persona, capo e corpo, sposo e sposa-<br />

Se sono due in una sola carne, perché non due in una sola voce?<br />

Parli dunque Cristo, perché in Cristo parla la Chiesa e nella Chiesa<br />

parla Cristo; il corpo nel capo e il capo nel corpo » ".<br />

Non a torto quindi il concilio Vaticano II, sulle orme di Agostino<br />

e <strong>della</strong> Mediator Dei 28 , afferma che l'ufficio divino è in modo eminente<br />

la preghiera di Cristo stesso : « <strong>Il</strong> Sommo Sacerdote <strong>della</strong> nuova ed<br />

eterna alleanza, Cristo Gesù, prendendo la natura umana, ha introdotto<br />

in questo esilio terrestre quell'inno che viene eternamente cantato<br />

nelle sedi celesti. Egli unisce a sé tutta l'umanità e se l'associa<br />

nell'elevare questo canto di lode. Quest'ufficio sacerdotale Cristo lo<br />

continua per mezzo <strong>della</strong> sua Chiesa, che loda il Signore incessantemente<br />

e intercede per la salvezza del mondo non solo con la celebrazione<br />

dell'eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente con<br />

l'ufficio divino » ".<br />

In qualsiasi parte si consideri dunque la <strong>liturgia</strong>, è sempre e<br />

dappertutto Cristo che è al primo piano: è Cristo che offre il sacrificio<br />

<strong>della</strong> messa; Cristo che santifica e distribuisce le grazie nei<br />

sacramenti; Cristo che prega e loda il Padre nei sacramentali, nella<br />

preghiera e nella lode divina. La Chiesa, i suoi ministri, i suoi fedeli,<br />

sono lì strumenti di Cristo. Nella <strong>liturgia</strong> Dio non vede gli uomini che<br />

agiscono, ma vede solo Cristo che agisce per gli uomini e associa<br />

gli uomini a sé.<br />

Se a questo si aggiunge l'espressa dottrina del Nuovo Testamento,<br />

in specie di S. Paolo e dell'epistola agli ebrei, che Cristo è<br />

2 « Enar. in Ps. 85,1.<br />

25 Enar. in Ps. 30,4.<br />

2 « n. 142.<br />

" CL art. 83.


260 CAP. Vili - IL KYRIOS<br />

capo anche degli angeli 28 , nonché il pensiero <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> romana<br />

che afferma che è attraverso Cristo che gli angeli stessi lodano<br />

Dio 29 , si comprende appieno come Cristo è l'unico « liturgo dei<br />

luoghi santi e del tabernacolo vero, che fissò il Signore e non un<br />

uomo » (Eb 8,2) nei cieli; e come è nello stesso tempo l'unico grande<br />

liturgo <strong>della</strong> nostra <strong>liturgia</strong> terrestre che, sotto il velo dei segni,<br />

quale involucro sensibile umano, rende presente e attualizza tra<br />

noi quella stessa <strong>liturgia</strong> celeste che Egli compie presso il Padre.<br />

Sempre e dappertutto si riviene al grande concetto così vivo nell'antica<br />

Chiesa e che Tertulliano magnificamente espresse quando chiamò<br />

Cristo il « catholicus Patris sacerdos » 30 , l'universale ed unico<br />

sacerdote del Padre.<br />

6. CONSEGUENZE PER LA NATURA DELLA LITURGIA<br />

Da quanto si è spiegato fin qui in questo capitolo risulta che<br />

la <strong>liturgia</strong>, sotto il velo dei segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione<br />

e del culto <strong>della</strong> Chiesa, è, nella sua più intima natura, un<br />

esercizio del sacerdozio di Cristo morto e risorto, del Kyrios Signore,<br />

che in essa e per essa trasmette la sua vita divina al mondo e lo<br />

riconduce a Dio.<br />

La <strong>liturgia</strong> atto di Cristo Signore Sacerdote. — La santificazione<br />

<strong>della</strong> Chiesa nella <strong>liturgia</strong> non è dunque altro che la cristificazione<br />

o la pasqualizzazione del mondo operata da Cristo Signore mediatore<br />

e sacerdote in assimilazione progressiva a se stesso.<br />

<strong>Il</strong> culto poi che la Chiesa nella <strong>liturgia</strong> rende a Dio non può<br />

essere che l'atto in cui Cristo Signore, sommo sacerdote, unisce a<br />

sé la Chiesa assumendola nel culto ch'Egli rende a Dio, e la Chiesa<br />

liberamente lasciandosi assumere in questo processo rende il culto<br />

al suo Capo e sposo e si unisce al culto che Egli rende a Dio.<br />

La nostra <strong>liturgia</strong> terrestre vista dalla parte di Cristo, è dunque,<br />

sotto il velo dei segni sensibili, una continua epifania del sacerdozio<br />

di Cristo ora glorioso presso il Padre, epifania che egli stesso realizza<br />

tra noi associando la Chiesa a questo suo sacerdozio sempre<br />

in atto. Vista dalla parte <strong>della</strong> Chiesa, la <strong>liturgia</strong> non è altro che<br />

una partecipazione degli uomini all'atto sacerdotale di Cristo sempre<br />

effettivo presso il Padre, che continua, nella gloria, l'azione sacerdotale<br />

che Egli incominciò sulla terra sin dal primo istante dell'incarnazione.<br />

Si vede come queste affermazioni suppongano nella realtà li-<br />

28 Vedi per es., Col 1,15-20 e Eb 1,5-2,18. Che Cristo sia capo degli angeli è<br />

certo, a parte la Questione di sapere se lo è anche in questo <strong>senso</strong> che la grazia<br />

degli angeli sia la grazia di Cristo.<br />

- 8 Per quem maiestatem tuam laudani angeli.<br />

3» Adv. Marc. 4,9.


LITURGIA AZIONE DI CRISTO 261<br />

turgica una presenza attuale di Cristo che trascende immensamente<br />

la semplice sfera psicologica e si basa sull'unione ipostatica, sulla<br />

dottrina del corpo mistico e <strong>della</strong> grada capitis. Nella <strong>liturgia</strong> Cristo<br />

è presente come una realtà fisica: nella sua persona (eucaristia,<br />

sacrificio) o almeno nella sua virtù santifìcatrice realmente e fisicamente<br />

operante (negli altri sacramenti, sacramentali, lode divina).<br />

Insomma, per capire la <strong>liturgia</strong> è indispensabile aver scoperto questa<br />

verità : che Cristo vi è presente hic et nunc, non come un'idea astratta,<br />

ma come una persona viva e come una forza viva emanante da<br />

una persona viva: « E perciò perfettamente può salvare coloro che<br />

per Lui s'accostano a Dio, essendo sempre vivo per intercedere a<br />

loro favore» (Eb 7,25), anzi per agire in essi, per mezzo di essi e<br />

assieme con essi.<br />

Così, nella realtà liturgica, l'azione attuale sacerdotale di Cristo,<br />

che cominciò coll'incarnazione, si compì sul Golgota e si prolunga<br />

presso il Padre, diventa una realtà che c'investe realmente e presenzialmente.<br />

<strong>Il</strong> tempo vi è superato e come sospeso: Cristo, il suo<br />

sacrificio, la sua virtù santifìcatrice, la sua preghiera, la sua azione<br />

mediatrice presso il Padre, sono lì presenti, realmente, fisicamente<br />

sotto il velo dei segni sensibili. Tutti gli uomini nel succedersi dei<br />

secoli, individualmente, uno per uno, partecipando alla realtà liturgica,<br />

possono diventare contemporanei di Cristo in un modo che<br />

Kirkegaard, protestante come era e tutto immerso nello psicologismo,<br />

non potè minimamente sospettare. Non è l'uomo che scavalcando<br />

il tempo e Io spazio si riporta ai tempi di Cristo, ma è Cristo,<br />

sempre vivo e presente, che attira a sé ogni uomo nell'orbita <strong>della</strong><br />

sua azione sacerdotale, sacrificale, mediatrice che trascende ormai<br />

ogni spazio e ogni tempo.<br />

A questa luce dovrebbero apparire espressioni molto sobrie di<br />

una realtà ben assodata una serie di affermazioni intorno alla natura<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che, invece, sono prese spesso per esagerazioni più<br />

o meno poetiche di liturgisti lontani, si pensa, dalle realtà di questo<br />

mondo e dalle necessità dell'apostolato moderno. Così, per esempio,<br />

quando si dice che la <strong>liturgia</strong>, sotto il velo dei segni sensibili, è<br />

l'attuazione e il prolungamento temporale e spaziale <strong>della</strong> stessa<br />

azione sacerdotale e mediatrice di Cristo, che Egli iniziò sulla terra<br />

e continua ora sempre presso il Padre : attuazione che si fa da Cristo<br />

nella Chiesa per mezzo di essa e a favore di essa.<br />

Si osserverà quanto questa nozione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, invece di essere<br />

un'esagerazione, non faccia che ripetere con altre parole il<br />

pensiero dei recenti documenti ufficiali del magistero ecclesiastico.<br />

<strong>Il</strong> concilio vaticano II così si esprime: « Per realizzare un'opera così<br />

grande (<strong>della</strong> santificazione dell'uomo e del degno culto reso a Dio),<br />

Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle<br />

azioni liturgiche. È presente nel Sacrifìcio <strong>della</strong> messa sia nella<br />

persona del ministro: "Egli che offertosi una volta sulla croce, offre<br />

ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti" 31 , sia soprattutto sotto<br />

« Conc. trident., Sess. XXII cap. 2 Dz 1743 (940).


262 CAP. Vili - IL KYRIOS<br />

le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei Sacramenti,<br />

di modo che quando uno battezza è Cristo che battezza 32 . È presente<br />

nella sua parola, giacché è Egli che parla nella Chiesa quando<br />

si legge la Sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa<br />

prega e loda. Lui che ha promesso (Mt 8,20): "Dove sono due o tre<br />

riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro". In quest'opera cosi<br />

grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini<br />

vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, Sua Sposa<br />

amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di Lui rende<br />

il culto all'eterno Padre. Giustamente perciò la <strong>liturgia</strong> è ritenuta<br />

l'esercizio del sacerdozio di Cristo, nel quale per mezzo dei segni<br />

sensibili viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata,<br />

la santificazione dell'uomo, e viene esercitato dal corpo mistico di<br />

Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico<br />

integrale. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di<br />

Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per<br />

eccellenza, e nessun'altra azione <strong>della</strong> Chiesa, allo stesso titolo e<br />

allo stesso grado, ne uguaglia l'efficacia » 33 .<br />

Molto giustamente il P. Roguet commentando simili affermazioni<br />

<strong>della</strong> Mediator Dei 3 * osserva : « La Chiesa non succede a<br />

Cristo; non lo sostituisce. <strong>Il</strong> culto ch'essa rende a Dio, i sacramenti<br />

ch'essa amministra, non furono solo istituiti da Cristo. Cristo vi<br />

è sempre presente, per mezzo <strong>della</strong> sua assistenza alla Chiesa, per<br />

la sua presenza nella comunità, per la sua efficacia santificante. Di<br />

qui viene la grandezza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, opera <strong>della</strong> Chiesa e opera<br />

di Cristo nello stesso tempo. La <strong>liturgia</strong> è dunque qualcosa di ben<br />

altro che un cerimoniale o un memoriale » M .<br />

Ancora: la <strong>liturgia</strong>, sotto il velo dei segni sensibili, è semplicemente<br />

la continuazione e l'applicazione ai singoli individui, nel<br />

succedersi dei tempi e dei luoghi, dell'azione redentiva di Cristo.<br />

Anche qui non si tema un gioco di prestigio intento a far apparire<br />

la <strong>liturgia</strong> sotto una luce favorevole. Questo insegnamento è stato<br />

recentemente e autorevolmente ribadito dal concilio vaticano II:<br />

« La <strong>liturgia</strong>... mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio<br />

dell'eucaristia, "si attua l'opera <strong>della</strong> nostra salvezza"... » 39 . L'enciclica<br />

Mediator Dei più esplicitamente ancora dice : « Nelle celebrazioni<br />

liturgiche, si dice, e in modo speciale nell'augusto sacrificio<br />

dell'altare, l'opera <strong>della</strong> nostra redenzione è veramente continuata<br />

e il suo frutto ci viene applicato. Cristo, nei sacramenti e nel suo<br />

sacrificio, ogni giorno opera la nostra salvezza; per essi continuamente<br />

Egli purifica e consacra a Dio il genere umano » 37 . In queste<br />

32 S. AGOSTINO, In Jo. tract. VI 1,7.<br />

33 CL art. 7.<br />

34 n. 20. Vedi anche n. 22 : « <strong>Il</strong> sacerdozio di Gesù Cristo è sempre in atto<br />

nella successione dei tempi, non essendo altro la <strong>liturgia</strong> che l'esercizio di questo<br />

sacerdozio ».<br />

35 ed. <strong>della</strong> Mediator Dei, p. 10.<br />

33 CL art. 2.<br />

37 n. 29.


LITURGIA E MISTERO PASQUALE 263<br />

frasi si riconoscono facilmente i pensieri che la <strong>liturgia</strong> stessa<br />

esprime più d'una volta. Così dice, per esempio, la segreta <strong>della</strong><br />

nona Domenica dopo Pentecoste citata dal concilio e dalla stessa<br />

enciclica 38 : « Concedi a noi, o Signore, te ne preghiamo, di prendere<br />

parte degnamente a questi misteri che ripetutamente celebriamo:<br />

perché ogni volta che si celebra commemorandolo questo<br />

sacrifìcio, si compie l'opera <strong>della</strong> nostra redenzione » 39 .<br />

La celebrazione efficace del mistero pasquale oggetto universale<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. — <strong>Il</strong> mistero pasquale è il mistero cristiano tutto<br />

intero visto nel suo centro ordinatore e catalizzatore a cui tutto<br />

tende e da cui tutto deriva: il passaggio dalla morte alla vita di<br />

Cristo e la sua comunicazione al mondo. Questa comunicazione si<br />

fa anzitutto nella celebrazione efficace dei sacri riti.<br />

Così il mistero pasquale è nello stesso tempo qualcosa di presente,<br />

di passato e di futuro, perché è qualcosa di storico e di<br />

metastorico ora sempre in atto e che si compirà nel futuro. È<br />

nello stesso tempo un evento, un rito, una festa. Indica un evento<br />

storico unico passato, il suo valore soteriologico trascendente lo<br />

spazio e il tempo, e l'inveramento di questo valore in una celebrazione<br />

rituale efficace, sotto il velo dei segni sacri, per chi vi prende<br />

parte nelle debite disposizioni.<br />

Celebrare nel predetto modo il mistero pasquale: la <strong>liturgia</strong><br />

non ha altro scopo, né altro oggetto 40 . Perciò, ogni passaggio, ogni<br />

più intenso passaggio, dalla morte alla vita divina per mezzo dei<br />

sacri riti, è celebrazione del mistero pasquale.<br />

Per questo in ogni sacramento e in ogni sacramentale è celebrato<br />

e vissuto : « il mistero pasquale <strong>della</strong> passione, morte e<br />

risurrezione di Cristo » nonché la loro partecipazione soteriologica<br />

a chi vi prende parte nelle debite disposizioni, « dal quale mistero<br />

tutti i sacramenti e i sacramentali derivano la loro virtù » 41 .<br />

A titolo speciale, celebrazione del mistero pasquale è il battesimo,<br />

perché in esso si fa il primo e fondamentale passaggio dell'uomo<br />

dalla morte alla vita divina e la sua prima assimilazione<br />

fondamentale a Cristo morto e risorto (Rm 6,3-11). La penitenza è<br />

come un nuovo battesimo per il battezzato che è ricaduto nella<br />

morte; e l'unzione degli infermi un'estensione <strong>della</strong> penitenza.<br />

Celebrazione del mistero pasquale è, a titolo eminente, la celebrazione<br />

del mistero eucaristico, al quale sono diretti tutti gli<br />

altri sacramenti e senza riferimento al quale (almeno in voto implicito)<br />

nessun sacramento conferisce la grazia 42 . Perciò il mistero<br />

« n. 78.<br />

39 Quoties huius hostìae commemoratici celebratur, opus nostrae redemptionis<br />

exercetur.<br />

40 Vedi Istruzione del 26 sett. 1964 n. 7 e le opere citate sopra, nelle note 3 e 4.<br />

4 » CL art. 61.<br />

42 Vedi S. TOMMASO, Summa III q 79 a 1 ad 1; q 80 a 11 e. In 4 d. 8 q 1 ad 1.


264 CAP. V<strong>Il</strong>I - IL KYRIOS<br />

eucaristico è « la fonte di tutte le grazie » 43 e, dunque, di ogni<br />

morte al peccato e di ogni vita divina in noi: la celebrazione efficace<br />

<strong>della</strong> pasqua per eccellenza. Ogni messa è festa, anzi pasqua.<br />

Come non c'è pasqua senza messa così non c'è festa senza messa.<br />

Perciò ogni celebrazione del mistero eucaristico è anàmnesis,<br />

cioè rito-memoriale-efficace per chi vi prende parte con la debita<br />

disposizione, non solo <strong>della</strong> morte, ma anche <strong>della</strong> risurrezione del<br />

Signore (e questo è appunto il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> anàmnesis in ogni messa).<br />

« Quando insieme ci nutriamo (del corpo e del sangue di Cristo)<br />

celebriamo veramente la sua pasqua » dice Sant'Atanasio 44 . « <strong>Il</strong><br />

mistero di pasqua, dice S. Giovanni Crisostomo, non ha niente di<br />

più di quello che adesso si celebra (nella messa). Esso è uno e lo<br />

stesso. La stessa è la grazia dello Spirito. È sempre pasqua » 45 .<br />

La festa ebdomadaria di pasqua (la domenica) e quella annuale,<br />

non è che la celebrazione con particolare solennità ed efficacia<br />

psicologica <strong>della</strong> stessa pasqua che si vive intera in ogni<br />

messa. Pasqua è la festa cristiana 46 . Le altre non fanno che rilevarne<br />

in modo speciale qualche aspetto.<br />

Si vede così tutta la realtà che implica il Per Christum Dominimi<br />

nostrum <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Realtà del Kyrios morto e risorto,<br />

unico sacerdote, unico mediatóre, unico liturgo che compie continuamente<br />

l'unica <strong>liturgia</strong>, quella pasquale, esistente al mondo<br />

per strappare questo mondo alla morte e comunicargli la vita<br />

divina di cui Egli è pieno: Per ipsum cum ipso et in ipso.<br />

Stando così le cose niente di straordinario che la realtà di<br />

mistero pasquale in Cristo stesso e in noi sia fortemente accentuata<br />

nella Costituzione sulla <strong>liturgia</strong> del concilio vaticano II 47 . Urge<br />

riacquistare con l'antica Chiesa il <strong>senso</strong> sintetico, sacrale, misterico,<br />

pasquale, degli eventi <strong>della</strong> salvezza e <strong>della</strong> loro « celebrazione<br />

» in noi, sapendoli tutti vedere e vivere nel loro centro concreto<br />

ed universale: Cristo morto e risuscitato.<br />

43 CATECHISMO DEL CONCILIO DI TRENTO, ed. romana 1922 p. 170 n. 228 : « Quoniam<br />

immensae eius (cioè dell'eucaristia) utilitates et fructus nulla oratione explicari<br />

possunt, unus aut alter locus a pastoribus tractandus erit, ut ostendant quanta<br />

in sacrosanctis illis mysteriis honorum omnium copia et affluentia inclusa sint.<br />

Hoc vero aliqua ex parte ita assequentur, si omnium sacramentorum vi atque<br />

natura patefacta, Eucharistiam fonti, cetera rivulis comparaverint; vere enim ac<br />

necessario fons omnium gratiarum dicenda est, cum fontem ipsum caelestium<br />

charismatum et donorum auctorem, Christum Dominum, admirabili modo in<br />

se contineat a quo tamquam a fonte ad alia sacramenta, quidquid boni et perfectionis<br />

habent derivatur ». Vedi anche LEONE XIII, Encicl. Mirae caritatis,<br />

ASS 34 (1901-1902) 642: « Indedemque (cioè dall'eucaristia) haurit habetque Ecclesia<br />

omnem virtutem suam et gloriam, omnia divinorum charismatum ornamenta,<br />

bona omnia ». Vedi pur Mediator Dei, AAS 39 (1947) 548. Giustamente,<br />

nella segreta <strong>della</strong> festa di S. Ignazio di Loyola, il messale romano dice: « Sacrosanta<br />

mysteria in quibus omnis sanctitatis fontem constituisti ».<br />

44 Ep. pasch. 4,5.<br />

15 In I Tm Hom. 5,3.<br />

46 Vedi in C. VAGAGGINI l'articolo citato sopra, alla nota 4.<br />

47 Vedi P. MASSI, 77 Kerygma pasquale nella costituzione del Vaticano II sulla<br />

<strong>liturgia</strong>, Ascoli Piceno 1964.


CAPITOLO IX<br />

LA LITURGIA<br />

E LA LEGGE DELLA SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

« In quest'opera così grande (<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>), dice il concilio vaticano<br />

II, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli<br />

uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa,<br />

sua Sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo<br />

di lui rende il culto all'eterno Padre... Perciò ogni celebrazione<br />

liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e <strong>della</strong> Chiesa... » 1 .<br />

Pertanto lo stesso concilio può affermare : « Le azioni liturgiche<br />

non sono azioni private, ma celebrazioni <strong>della</strong> Chiesa, che è<br />

"sacramento di unità", cioè popolo santo radunato e ordinato sotto<br />

la guida dei vescovi 2 . Perciò tali azioni appartengono all'intero<br />

Corpo <strong>della</strong> Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli membri<br />

poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli<br />

stati, degli uffici e dell'attuale partecipazione » .<br />

Non si poteva affermare più efficacemente la natura essenzialmente<br />

comunitaria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Comprendere questa natura è<br />

capitale per penetrare e vivere e far vivere la <strong>liturgia</strong>. Ma per questo<br />

bisogna rifarsi a una legge generale nell'economia <strong>della</strong> salvezza<br />

effettivamente voluta da Dio: la legge <strong>della</strong> salvezza in comunità.<br />

Con questa legge si entra nel vivo di una delle questioni più<br />

spinose che la <strong>liturgia</strong> pone allo spirito moderno: le relazioni tra<br />

individuo e società, tra individualismo e societarismo, nel campo<br />

più gelosamente intimo <strong>della</strong> nostra pietà, dei nostri rapporti personali<br />

con Dio.<br />

Lo spirito moderno, come si è andato sviluppando a partire<br />

dal tardo medioevo e dal rinascimento, tende ad accentuare fortemente<br />

l'aspetto strettamente individuale e personale delle nostre<br />

relazioni con Dio. Esso paventa ogni fattore che pretenda intervenire<br />

per determinare i rapporti tra l'individuo e Dio. Che quésto<br />

i CL art. 7.<br />

2 Ibid. art. 26.


266 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

fattore si chiami uomo, cose sensibili o semplicemente comunità,<br />

società, o tradizione, la mente moderna è istintivamente portata a<br />

considerarlo come intruso. Solo così, le pare, si può salvaguardare<br />

la spontaneità, la sincerità, la vitalità, ecc. dell'atteggiamento religioso,<br />

contro l'esteriorità ritualista, il meccanismo privo di vita,<br />

il vuoto conformismo alle abitudini sociali.<br />

Ora, chi dice <strong>liturgia</strong> dice non solo cose anche esterne e sensibili,<br />

ma dice pure cerimonie ufficiali, presiedute da autorità ufficiali,<br />

che agiscono in nome <strong>della</strong> società come tale, ove si invitano<br />

i fedeli a conformare i loro stessi sentimenti religiosi a pensieri<br />

e stati d'animo che sono supposti essere quelli di tutta la<br />

comunità, espressi in forme tramandate da lontane generazioni.<br />

Ce n'è più che abbastanza per far sorgere in una mente moderna<br />

lo spettro del collettivismo, del giuridismo, dell'astrattismo, del<br />

conformismo, introdotto nello stesso santuario <strong>della</strong> coscienza<br />

religiosa.<br />

Per risolvere questo problema è necessario dimostrare come<br />

l'aspetto comunitario, ufficiale, tradizionale del mondo liturgico non<br />

solo non nuoce alle legittime esigenze dell'individuo nel ~


SENSO COMUNITARIO PROTESTANTE 267<br />

mente d'un ordine molto più profondo, che coi teologi diciamo<br />

fisico sebbene soprannaturale 3 , e solo conseguentemente d'ordine<br />

psicologico. Spieghiamoci. Per il protestante la santificazione dell'uomo<br />

non dice nell'uomo stesso un effetto realmente e fisicamente<br />

trasformatore, non dice partecipazione fisica alla natura<br />

divina elevante e trasformante fisicamente l'uomo a un ordine<br />

d'essere e d'agire divino, ma dice soltanto un effetto d'ordine psicologico:<br />

il sentimento di fiducia nella misericordia di Dio. Per<br />

il protestante i sacramenti non sono veri e propri strumenti <strong>della</strong><br />

grazia, che, presupposte le debite disposizioni anche psicologiche<br />

del ricevente, producono realmente in esso quello che significano,<br />

ma sono solo simboli destinati ad eccitare nel credente il predetto<br />

sentimento di fiducia nella misericordia di Dio. Un sacramento<br />

così, in fondo, si esaurisce tutto in una predica di natura particolare.<br />

In specie, per molti protestanti, l'eucaristia non contiene realmente<br />

e fisicamente Cristo; la messa non è in se stessa realmente<br />

e fisicamente un sacrificio, la continuazione incruenta del sacrificio<br />

del Golgota, ma solo un memoriale, un ricordo, con lo scopo<br />

di eccitare i buoni sentimenti dei fedeli. Conseguentemente, il<br />

sacerdozio, per il protestante, non è una partecipazione reale e<br />

fisica al sacerdozio di Cristo che rende atti realmente e fisicamente<br />

ad essere nelle mani di Cristo strumenti per mezzo dei quali<br />

Egli attua realmente in sacramento il suo sacrifìcio e santifica<br />

realmente e fisicamente i fedeli. <strong>Il</strong> sacerdozio, per i protestanti, è<br />

una deputazione che un gruppo di uomini dà ad un altro uomo<br />

affinché li istruisca ed ecciti nei sentimenti di pietà. <strong>Il</strong> ministro<br />

del culto nel protestantesimo è semplicemente un delegato e rappresentante<br />

<strong>della</strong> comunità e non già di Cristo. Finalmente, la<br />

comunità protestante non è sacerdotale nel <strong>senso</strong> che il sacerdozio<br />

non la costituisce come elemento essenziale e determinante. La<br />

comunità protestante è semplicemente la somma dei fedeli aventi<br />

la fede-fiducia. Fuori di questa somma non è necessario alcun elemento<br />

fisico divino per costituirla.<br />

Tutto quindi, in questa visuale, si limita al piano strettamente<br />

psicologico. Ed è per questo che l'assemblea cultica protestante<br />

non trascende questo piano. <strong>Il</strong> culto qui si riduce essenzialmente<br />

ad uria predica, e il carattere comunitario <strong>della</strong> religione protestante<br />

sta tutto nel carattere sociale di una predica. Non a caso<br />

in un tempio protestante il posto principale è occupato da un pulpito.<br />

Nella logica di questa posizione, gli atti cultici e l'assemblea<br />

cultica non sono fisicamente necessari per la trasmissione <strong>della</strong><br />

vita divina. Nei rapporti tra Dio e l'uomo essi, in fin dei conti,<br />

hanno solo un'utilità psicologica di cui il credente, se scopre<br />

mezzi per lui più efficaci, può logicamente fare a meno. In una<br />

parola, la comunità nel protestantesimo non è per l'individuo intermediaria<br />

di vita divina se non nel <strong>senso</strong> che essa è un mezzo<br />

3 « Fisico » in teologia in simile contesto si oppone a : puramente morale, e<br />

non significa affatto: materiale o sensibile.


268 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

utile per eccitare in lui conoscenze rette e buoni sentimenti, specialmente<br />

il sentimento di fede-fiducia.<br />

È facile intuire come, nella visione cattolica del mondo, il<br />

carattere comunitario <strong>della</strong> vita religiosa sia immensamente più<br />

profondo. Esso è d'ordine fisico già prima d'essere d'ordine psicologico,<br />

e perciò qui l'individuo, nelle sue relazioni con Dio, dipende<br />

in modo molto più sostanziale dalla comunità. Infatti qui,<br />

quando si dice che Dio santifica l'uomo, si vuol dire che lo trasforma<br />

realmente e fisicamente nel suo essere, partecipandogli il<br />

proprio modo divino d'essere e d'agire. Questa trasformazione<br />

reale poi non avviene senza i sacramenti, in re o in voto. Questi<br />

sono strumenti e canali reali <strong>della</strong> grazia e producono realmente<br />

ciò che significano. Tutti i sacramenti sono ordinati al sacrificio.<br />

<strong>Il</strong> Sacrificio stesso non avviene senza il sacerdozio sacramentale<br />

gerarchico. Questo poi è partecipazione reale e fisica al sacerdozio<br />

di Cristo, che abilita realmente e fisicamente a essere suo strumento<br />

per mezzo del quale Egli attua per noi realmente ma incruentemente,<br />

il Suo sacrificio e santifica gli uomini realmente e<br />

fisicamente. <strong>Il</strong> sacerdozio gerarchico è causa costituente formalmente<br />

un gruppo d'individui in comunità, in Chiesa.<br />

Secondo la dottrina cattolica, infatti> non esiste Chiesa senza<br />

sacerdozio sacramentale e gerarchico includente sempre il Papa.<br />

Per cui la Chiesa, non è semplicemente la somma dei credenti in<br />

Cristo, ma questa somma più un elemento fisico divino nuovo: il<br />

sacerdozio sacramentale gerarchico, includente sempre il Papa.<br />

I credenti non sono comunità, Chiesa, che in quanto sono uniti a<br />

questo sacerdozio sacramentale e gerarchico, in quanto s'inseriscono<br />

sotto di esso. Nella dottrina cattolica il sacerdote non è il<br />

semplice delegato del popolo e nemmeno in prima linea il suo<br />

rappresentante, ma è anzitutto ed essenzialmente il delegato e<br />

sostituto di Cristo, Capo del suo corpo mistico, che Cristo abilita<br />

a ciò fare per mezzo di una qualità speciale d'ordine non solo<br />

morale o puramente giuridico, ma fisico soprannaturale: il carattere<br />

e la grazia sacerdotale trasmessa per il sacramento dell'ordine.<br />

Solo perché il sacerdote è nel predetto modo delegato di<br />

Cristo, capo del corpo mistico, egli è, derivatamente, anche rappresentante,<br />

e come delegato, dèi fedeli. È la dottrina ricordata esplicitamente<br />

anche dall'enciclica Mediator Dei : « Pensiamo dover ricordare<br />

che il sacerdote fa le veci del popolo unicamente perché<br />

rappresenta la persona del Signore nostro Gesù Cristo, quale Capo<br />

di tutti i suoi membri che si offre per loro. Perciò il sacerdote si<br />

avvicina all'altare inferiore a Cristo, ma superiore al popolo » 4 .<br />

È per questo che, nella dottrina cattolica, la necessità per<br />

l'individuo d'inserirsi realmente (se non visibilmente, almeno invisibilmente)<br />

nella comunità-Chiesa cattolica concreta e visibile<br />

sotto la gerarchia autentica, di essere in contatto reale, almeno<br />

i n. 83.


I PIANI DI DIO 269<br />

invisibile, con essa, non proviene da una semplice utilità d'ordine<br />

psicologico, per raggiungere più facilmente un fine psicologico, ma<br />

è una necessità d'ordine fisico: senza questa inserzione, il singolo<br />

è fisicamente incapace di partecipare alla vita divina. Come senza<br />

un apparecchio l'uomo è fisicamente incapace di innalzarsi alto<br />

nell'aria, così, nella dottrina cattolica, la vita religiosa del singolo<br />

è radicalmente e fisicametne dipendente dalla comunità-Chiesa<br />

come tale sotto la legittima gerarchia. Siamo molto lontani dalla<br />

posizione protestante. Per giustificare una dipendenza così profonda<br />

<strong>della</strong> vita religiosa del singolo dalla comunità gerarchicamente<br />

strutturata, non basta ricorrere alla natura sociale generica<br />

dell'uomo.<br />

2. STORIA SACRA E SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

SECONDO LA RIVELAZIONE<br />

Bisogna invece rifarsi a un altro capo di dottrina e rammentarsi<br />

che le relazioni tra Dio e l'uomo sono impostate sulla legge<br />

dell'oggettività: la via per cui Egli scende all'uomo e l'uomo va a<br />

Lui è stata determinata in molti suoi particolari all'uomo dalla<br />

libera volontà di Dio. All'uomo non rimane che uniformarsi a<br />

questa libera volontà e sottomettersi ad essa come a dato di fatto.<br />

La libera volontà di Dio noi la conosciamo per la rivelazione. È<br />

questa, e unicamente questa, che ci fa conoscere fino a qual punto<br />

Egli ha voluto legare la vita religiosa dell'individuo alla sua inserzione<br />

e sottomissione a una determinata società; e se di questa sua<br />

determinazione Dio ha anche voluto farci conoscere qualche motivo,<br />

per conoscerlo è ugualmente alla rivelazione che dobbiamo<br />

rivolgerci.<br />

E infatti, la rivelazione ci fa conoscere un aspetto importantissimo<br />

degli scopi e dei piani avuti di mira da Dio nelle sue relazioni<br />

con gli uomini. Ed è questo: nel comunicare la sua vita<br />

divina al mondo, Egli non ha voluto soltanto attrarre a sé un certo<br />

numero d'individui, considerati separatamente gli uni dagli altri<br />

come tanti atomi, ma ha avuto la mira di fondare una città, una società<br />

organica divina, un popolo di Dio, un regno di Dio; di modo<br />

che i singoli individui, nel piano soprannaturale, non possono né<br />

esistere nel modo da Lui voluto — dunque, soprannaturalmente,<br />

non possono esistere affatto.— né, comunque, svilupparsi, che in<br />

stretta connessione e dipendenza, anche fisica, da questa comunità,<br />

da questo popolo, come Egli l'ha effettivamente inteso. È la legge<br />

<strong>della</strong> salvezza in comunità.<br />

Immediata conseguenza di questa legge è che, nel campo soprannaturale,<br />

il conflitto tra il bene <strong>della</strong> società e il bene dell'individuo<br />

è semplicemente impossibile, perché questi due beni coin-


270 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

cidono formalmente e, per libera volontà di Dio, non formano che<br />

un solo unico bene soprannaturale dell'individuo e <strong>della</strong> società,<br />

meglio ancora: dell'individuo nella società.<br />

Per provare la realtà di questa legge <strong>della</strong> salvezza in comunità<br />

bisognerebbe spiegare il concetto <strong>teologico</strong> di popolo di<br />

Dio, di patto, di regno di Dio, nell'Antico e nel Nuovo Testamento.<br />

Equivarrebbe a spiegare tutta la teologia <strong>della</strong> storia nella<br />

rivelazione cristiana. Basterà richiamare brevemente i grandi<br />

tratti, rilevando qua e là alcuni punti che possono essere di maggiore<br />

interesse al nostro scopo.<br />

<strong>Il</strong> concetto di popolo di Dio e di regno di Dio è già presente<br />

nelle prime pagine del Genesi là ove si fa vedere come tutta la<br />

creazione materiale, nella intenzione di Dio, è stata ordinata alla<br />

creazione dell'uomo, e la creazione dell'uomo è stata ordinata allo<br />

stabilimento e sviluppo di quelle relazioni amichevoli tra Dio e<br />

gli uomini, fatte di grazia e di doni preternaturali, di cui godettero<br />

i protoparenti prima del peccato. Per l'autore sacro, quello<br />

stato iniziale era il punto di partenza ideale da cui l'umanità<br />

avrebbe dovuto svilupparsi. Per lui, quello stato ideale avrebbe<br />

dovuto trasmettersi da Adamo ai suoi discendenti, e se, di fatto, ciò,<br />

non è avvenuto, la causa ne è stata il peccato dei protoparenti<br />

stessi. Così, sin dalle prime pagine, la bibbia prospetta come stato<br />

di fatto voluto da Dio la solidarietà religiosa nel bene e nel male<br />

di tutti gli individui umani con Adamo. Per la bibbia, religiosamente<br />

parlando, tra Dio e ogni individuo umano c'è di mezzo<br />

Adamo, e questi appare così non solo fonte fìsica, ma anche capo<br />

religioso di tutti gli individui, liberamente costituiti da Dio assieme<br />

con lui in una solidarietà e società particolare sotto la regale<br />

potenza di Dio stesso. La dottrina cristiana del peccato originale,<br />

e quindi <strong>della</strong> redenzione, non ha <strong>senso</strong> se non si suppone come<br />

liberamente voluta da Dio per tutti gli uomini la legge <strong>della</strong> salvezza<br />

societaria in solidarietà con un determinato individuo quale<br />

capo di questa società.<br />

Tale legge appare ancora più decisamente applicata nella concezione<br />

<strong>della</strong> società religiosa d'Israele come fu concretamente<br />

voluta da Dio. È cosa rilevata da tutti gli studiosi dell'Antico Testamento<br />

la natura profondamente societaria, comunitaria, collettiva<br />

<strong>della</strong> religione d'Israele 3 . Nel concetto dell'Antico Testamento<br />

l'azione di Dio verso Israele è diretta essenzialmente da<br />

questa idea: Dio vuol non solo occuparsi d'individui, ma formarsi<br />

un popolo, una teocrazia. A questo popolo come tale è affidata<br />

la missione straordinaria di essere lo strumento <strong>della</strong> instaurazione<br />

del regno di Dio nel mondo, secondo i piani da Dio stesso<br />

voluti: salvaguardia <strong>della</strong> fede monoteista, preparazione dell'ambiente<br />

dove dovrà apparire il Messia; fornire le prime reclute del<br />

» Vedi, per es., W. EICHRODT, Theologie des alteri Testaments, voi. <strong>Il</strong>i 2 ed.<br />

Berlin 1948 p. 1 ss.


SOLIDARIETÀ NELLA SCRITTURA 271<br />

regno messianico; essere come il punto di partenza da cui questo<br />

regno andrà alla conquista del mondo.<br />

In Israele l'individuo non può partecipare ai beni messianici,<br />

in parte già presenti e in massima parte futuri, se non come membro<br />

del popolo eletto. Fuori di questa inserzione nel popolo per il<br />

sangue, per la fede, per la circoncisione, per l'osservanza <strong>della</strong><br />

legge, per la pratica del culto, l'individuo è completamente tagliato<br />

fuori dalla corrente di vita che Dio impartisce. Questa è, in<br />

sostanza, la concezione dell'Antico Testamento, anche se è altrettanto<br />

vero che i profeti, in specie a partire da Geremia e , hanno<br />

reagito contro l'esagerazione grossolana, che troppi in Israele<br />

erano tentati di fare di questo concetto di religione e di morale<br />

comunitaria, rivendicando i giusti diritti e doveri dell'individuo nei<br />

suoi rapporti con Dio.<br />

Questa rivendicazione profetica, infatti, non mirava a sciogliere<br />

l'individuo dal concetto di salvezza in comunità, ma a ricordare<br />

che questa realtà comunitaria non dispensa l'individuo dalle<br />

responsabilità morali di una religione intima e sentita. Così il forte<br />

concetto <strong>della</strong> salvezza in comunità in Israele non voleva dire,<br />

come si è talvolta preteso, che in Israele l'individualità religiosa<br />

del singolo fosse completamente schiacciata dai legami collettivi;<br />

voleva soltanto dire che, in Israele, non si concepiva lo sviluppo<br />

<strong>della</strong> personalità individuale religiosa se non nell'ambito del quadro<br />

collettivo. Nell'Antico Testamento non vi è traccia dell'individualismo<br />

religioso inteso nel <strong>senso</strong> di vita religiosa dell'individuo<br />

che nasce, si sviluppa, raggiunge il suo fine, senza alcun riguardo<br />

al legame religioso col popolo teocratico come tale. Religiosamente,<br />

è il popolo che porta l'individuo, e l'individuo non vale che nel<br />

popolo e attraverso il popolo.<br />

Nell'Antico Testamento denominazione caratteristica di questo<br />

popolo teocratico, oltre a « popolo di Dio », è : chiesa di Dio,<br />

Qhal Jahweh, Ekklesia tou Theou, Ecclesia Dei (Dt 4,8-13; 23,1-9).<br />

Essa significa: assemblea di Dio, adunanza di Dio, e vuol indicare<br />

che Israele è un popolo religioso che per libera ed amorosa volontà<br />

di Dio è stato eletto, chiamato, separato da tutti gli altri,<br />

adunato in comunità, principalmente cultuale, e consacrato a Dio<br />

in vista di una missione speciale T . Significato simile hanno nell'Antico<br />

Testamento le altre denominazioni caratteristiche di<br />

Israele come comunità religiosa: possessione di Dio, sua eredità,<br />

gente santa, diletta da Dio, popolo sacerdotale, oggetto delle promesse<br />

di Dio 8 .<br />

6 Vedi, per es., F. SPADAFORA, Collettivismo e individualismo nel Vecchio Testamento,<br />

Roma 1953. A. GELIN, Les idées maltresses de l'Ancien Testament,<br />

4 ed. Paris 1952 p. 49 ss, trad. italiana. Ed. Paoline, Roma, 1952.<br />

T Vedi, per es., K. L. SCHMIDT, Ekklesia, in: Theologisches Worterbuch zum<br />

neuen Testament III (1938) 502-39. A. MÉDEBIELLE, Église, in: Dict. de la Bible,<br />

Suppl. II (1934) 488-90. M. C. MATURA, Le Qahal et son contexte cultuel, in : L'Église<br />

et la Bible, Desclée 1962 pp. 9-18.<br />

s Vedi, per es., R. MEYER - H. STRATHMANN, Laos, ibid., IV (1942) 29-57.


272 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

L'Antico Testamento annunzia anche chiaramente in qual<br />

modo questo popolo di Dio, alla fine dei tempi, quando verrà il<br />

Messia, raggiungerà il fine <strong>della</strong> sua missione messianica. I profeti<br />

annunziano che la stragrande maggioranza degli individui che compongono<br />

il popolo, quando verrà il Messia, non capirà la solennità<br />

del momento, disubbidirà a Dio, sarà infedele. Solo un piccolo gruppo<br />

rimarrà fedele : « i resti d'Israele », « il seme » rimanente d'Israele.<br />

Essi formeranno intorno al Messia un nuovo popolo religioso, continuazione,<br />

erede spirituale e compimento del vecchio infedele Israele,<br />

quel popolo messianico stesso che Israele aveva missione di<br />

preparare 9 .<br />

Viene il Messia e realizza gli intenti di Dio. Orbene, è chiarissimo<br />

nel Nuovo Testamento il concetto che questi intenti, realizzati<br />

dal Messia Cristo Gesù, non sono altri che quelli che Dio aveva<br />

sempre avuti sin dalla creazione dell'uomo: non solo la salvazione<br />

di individui, ma la creazione di un popolo, di una società fortemente<br />

comunitaria che fosse agli individui inderogabile mezzo e<br />

istituto di salvezza. <strong>Il</strong> Messia è il novello Adamo che, per vie nuove<br />

ristabilisce, a un grado anzi immensamente superiore, la situazione<br />

religiosa dell'umanità rovinata dal primo Adamo, ed appare così, in<br />

modo più meraviglioso ancora del primo Adamo, capo dell'umanità<br />

novella, quella redenta 10 . Così tutti gli uomini nella redenzione sono<br />

solidali con Cristo; nessun individuo può d'ora innanzi vivere la vita<br />

divina senza essere unito misteriosamente, ma realmente, a Cristo.<br />

Questa unità indispensabile per avere la vita divina, è immensamente<br />

più profonda e reale di un'unione puramente morale. Essa<br />

però non è fisica se per unità fìsica s'intende per esempio l'unità<br />

che c'è tra la mia mano e il mio corpo, perché l'individualità personale<br />

tra Cristo e il redento rimane sempre distinta. È l'unità che<br />

si dice generalmente « mistica », non per negare che sia d'ordine<br />

fisico, ma per affermare che è d'ordine fisico misterioso, soprannaturale<br />

e che lascia integra la distinzione individuale. È assurdo, nell'economia<br />

cristiana, che l'individuo possa religiosamente nascere, svilupparsi,<br />

perfezionarsi, senza questa unione fisico-mistica con Cristo<br />

e la sua completa sottomissione a Lui come a dato oggettivo di fatto<br />

voluto da Dio.<br />

Ma questa stessa unione nessuno la raggiunge se non si inserisce<br />

nella comunità fondata da Cristo, come suo corpo, suo popolo,<br />

sua Chiesa. Questa Chiesa di Cristo è semplicemente quel popolo<br />

la cui realizzazione è sempre stata, secondo i Sacri Libri, l'intento<br />

perseguito da Dio attraverso la storia: la mia ekklesia, dice Cristo ",<br />

Yekklesia di Dio nel Cristo Gesù, dice S. Paolo 12 ; il nuovo Israele,<br />

l'Israele di Dio, gli eredi delle promesse, i veri figli di Abramo 13 ; il<br />

9<br />

Vedi, per es., S. GAROFALO, La nozione profetica del resto d'Israele, Roma<br />

1942.<br />

10<br />

Vedi, S. Paolo, Rm 5,12-17.<br />

11<br />

Mt 16,18.<br />

la<br />

Vedi 1 Ts 1,1; 2 Ts 1,1.<br />

,3<br />

Vedi, per es., Rm 9-11; Gal 3,29; 6,16; 1 Cor 10,18.


NUOVO TESTAMENTO 273<br />

popolo santo, eletto, diletto da Dio 14 ; tutte denominazioni che, trasferite<br />

alla Chiesa cristiana dalla società religiosa dell'Antico Testamento,<br />

segnano la "stretta unità tra le due comunità e il carattere<br />

societario <strong>della</strong> nuova economia non meno <strong>della</strong> vecchia. È così<br />

che San Pietro può dire, indirizzandosi ai cristiani novelli : « Voi<br />

siete stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo d'acquisto,<br />

affinché proclamiate le virtù di colui che dalle tenebre vi ha chiamati<br />

alla sua meravigliosa luce; voi che un tempo non eravate un<br />

popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi che prima non foste partecipi<br />

<strong>della</strong> misericordia, ora invece partecipate <strong>della</strong> misericordia »<br />

(1 Pt 2,9 s). E S. Paolo insiste talmente sull'aspetto sociale, comunitario,<br />

organico <strong>della</strong> Chiesa cristiana che la paragona a un corpo<br />

vivo, in cui i diversi membri non solo cooperano al bene comune,<br />

ma non possono in nessun modo sussistere senza il loro inserimento<br />

vitale nel corpo. Ed è questo corpo, questa unità totale, e non solo<br />

un aggregato d'individui, che secondo S. Paolo, Cristo ha inteso<br />

formarsi : « Egli, il capo <strong>della</strong> Chiesa, Salvatore del corpo... (che)<br />

amò la Chiesa e diede se stesso per lei, per santificarla, purificandola<br />

col lavacro dell'acqua mediante la parola <strong>della</strong> vita, per far comparire<br />

Egli stesso davanti a sé gloriosa la Chiesa, affinché sia senza<br />

macchia, senza ruga o cosa siffatta, ma anzi santa e immacolata »<br />

(Ef 5,23 ss).<br />

Nella primitiva comunità cristiana, come appare dagli Atti degli<br />

Apostoli, questo <strong>senso</strong> comunitario ecclesiale, e quindi sacramentale<br />

e liturgico, <strong>della</strong> nuova religione appare con forza e freschezza<br />

meravigliosa. Si noti la risposta di S. Pietro il giorno <strong>della</strong> pentecoste<br />

ai primi convertiti che chiedevano agli apostoli : « Fratelli cosa<br />

dobbiamo fare? », e come viene descritta da S. Luca la vita di questo<br />

primo gruppo di cristiani : « E Pietro disse loro : pentitevi e ciascun<br />

di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, a remissione dei<br />

vostri peccati; poi riceverete il dono dello Spirito Santo... Quelli<br />

dunque che ben accolsero la sua parola furono battezzati; e in quel<br />

giorno il numero dei fedeli aumentò di circa tremila. Ed erano perseveranti<br />

nell'insegnamento degli Apostoli, nella comunione fraterna,<br />

nello spezzare il pane e nelle preghiere... E tutti i giorni, di un<br />

sol volere, erano assidui al tempio; e nelle loro case spezzavano il<br />

pane » {At 2,38ss). Fu quindi chiarissimo, sin dal primo giorno, che<br />

nella nuova economia instaurata da Cristo, tra l'individuo e Dio c'è<br />

di mezzo la comunità e quindi la gerarchia, i sacramenti, la preghiera<br />

comune, la <strong>liturgia</strong>, e che sono queste, per ogni individuo, le forme<br />

indispensabili entro le quali deve pur entrare se vuole trovare la<br />

salvezza.<br />

Così, passando dall'Antico al Nuovo Testamento, i piani di Dio<br />

verso l'umanità non sono cambiati, ma compiuti, sebbene in modo<br />

immensamente più meraviglioso di quanto potevano aspettare gli<br />

" Vedi, per es., Rom 8,27; 8,33; 1 Cor 6,1 s; FU 4,21; Col 3,12. Per la teologia del<br />

popolo di Dio nel NT. vedi, per es., L. CERFAUX, La théologie de VÉglise suivant<br />

S. Paul, 2' ed. Paris 1948. Conc. Vat. II, Const. De Eccles. cap. MI.


274 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

antichi israeliti. Quello che Dio intende è la formazione di un popolo<br />

intorno al Messia e non già soltanto la salvezza di singoli individui.<br />

Gli individui sono chiamati ad inserirsi in questo popolo il cui capo<br />

è Cristo. Non vi sarà per essi altra via di salvezza, sviluppo e perfezione<br />

che in seno a questo popolo, in armonia con questa collettività;<br />

se vivono, in una parola, <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Né questo intento di Dio di formarsi un popolo ha fine su<br />

questa terra. Esso ha i suoi riflessi nella gloria, come è descritta<br />

nell'Apocalisse. <strong>Il</strong> cielo non sono solo tanti individui salvati, ma è<br />

il trionfo di un popolo, l'eterna <strong>liturgia</strong> trionfale di una città, la<br />

Gerusalemme celeste, costituita da miriadi di Angeli e dai fedeli<br />

dell'Agnello che celebrano assieme la <strong>liturgia</strong> cosmica che non<br />

avrà fine e cantano : « Ci hai redenti, o Signore Dio, nel tuo sangue<br />

da ogni tribù e lingua e popolo e nazione e ci hai fatti un regno<br />

al nostro Dio » (Festa di Ognissanti, antifona ai vespri. Vedi Ap 4,9-14).<br />

3. CHIESA E LITURGIA<br />

NELLA LEGGE DELLA SALVEZZA<br />

Intanto i singoli individui su questa terra, perché possano essere<br />

annoverati un giorno nel libro dei vivi recensiti nella città <strong>della</strong><br />

Gerusalemme celeste, non possono far altro che inserirsi nella Chiesa<br />

come popolo di Dio e società quale l'ha voluta Dio stesso, determinata<br />

essenzialmente come tale dal sacerdozio gerarchico, depositario<br />

del sacrificio, ministro dei sacramenti senza i quali nessuno<br />

viene alla vita che è la vera vita, senza i quali nessuno è inserito nel<br />

corpo mistico di Cristo.<br />

Dalla legge generale <strong>della</strong> salvezza in comunità, si comprende<br />

l'ultimo <strong>senso</strong> del fatto che solo tale sacerdozio sacramentale e gerarchico,<br />

agente in virtù del suo mandato, ha il potere, nell'azione<br />

liturgica, di trasformare un'assemblea d'uomini in qualcosa di immensamente<br />

più sublime di un aggregato di parecchi individui, sia<br />

pur credenti, nell'attuazione sacrale (sacrificale, sacramentale, eucologica)<br />

del corpo mistico di Cristo, di quel popolo di Dio voluto<br />

e inteso da Dio stesso in tutta la sua economia verso gli uomini;<br />

nella ekklesia che in quell'atto si riunisce come tale, intorno a Cristo<br />

realmente presente in persona, o in virtù, sotto il velo dei segni<br />

sensibili dei suoi ministri e dei riti liturgici. Nell'azione liturgica i<br />

singoli individui partecipanti sono attualizzati, o sempre più attualizzati,<br />

come membri di questa realtà d'ordine superiore divino che<br />

è il corpo <strong>della</strong> Chiesa unito al suo capo e principio vitale, Cristo.<br />

È per questo che si dice, come abbiamo spiegato in un precedente<br />

capitolo, che nella realtà liturgica è sempre la Chiesa come<br />

tale che agisce e gli individui agiscono solo in quanto suoi ministri<br />

e membri, o solo suoi membri, cioè in quanto inseriti nella realtà


SOCIETÀ E INDIVIDUO 275<br />

ecclesiale, come Chiesa, come famiglia, come popolo di Dio. Ed<br />

è per questo che l'efficacia divina dell'azione liturgica sorpassa immensamente<br />

il potere proprio inerente personalmente agli individui<br />

che la compiono o la ricevono.<br />

Si vede ancora una volta come, sebbene nel campo puramente<br />

filosofico vi sia diversità di pareri sulla questione di sapere se una<br />

società è realmente qualcosa di più che la semplice somma degli<br />

individui o è, invece, come tale, una semplice finzione giuridica,<br />

nel campo <strong>della</strong> vita soprannaturale non vi può essere nessun<br />

dubbio che la Chiesa come tale non può in nessun modo essere<br />

ridotta a una semplice finzione giuridica ma è qualcosa di reale,<br />

che sorpassa la somma degli individui. La Chiesa è il corpo mistico<br />

di Cristo, la cui caratteristica è appunto di trascendere immensamente<br />

un'unione puramente morale fatta di affetti e <strong>della</strong> tendenza<br />

di parecchi individui a un fine comune estrinseco. Essa è invece<br />

una realtà d'ordine misterioso ma realissimo che, nel quadro <strong>della</strong><br />

struttura gerarchica e attraverso i suoi poteri speciali, unisce realmente<br />

i fedeli con Cristo e i singoli fedeli tra loro, pur lasciando<br />

intatta la distinzione dell'individualità personale. Realtà misteriose<br />

ma innegabili dal punto di vista cattolico, ammesse le quali, il<br />

concetto di opus operantis Ecclesiae, come è stato spiegato, diventa<br />

logico.<br />

In conclusione: poiché la Chiesa è l'unico istituto di salvezza,<br />

con un carattere societario e comunitario ben definito, dal punto<br />

di vista cattolico, è assurdo pensare che proprio l'aspetto sociale,<br />

comunitario, ufficiale del mondo liturgico sia d'impedimento a una<br />

verace pietà fortemente sentita e al libero sviluppo <strong>della</strong> personalità<br />

individuale soprannaturale come la vuole Dio in ogni uomo.<br />

Infatti, quello che Dio chiede all'individuo (e di ciò siamo sicuri<br />

per mezzo <strong>della</strong> rivelazione propostaci dalla Chiesa) non è semplicemente<br />

di mettersi in intensa vibrazione religiosa nel modo che<br />

a lui parrà migliore; ma di vibrare intensamente, con risposta sentita<br />

e personale, in sintonia con determinate ed oggettivissime realtà<br />

imposte da Dio come precisa norma di ogni soggetto e che sono:<br />

Cristo vissuto nel sacrificio, nei sacramenti e sacramentali, nella<br />

Chiesa, cioè la realtà liturgica con tutto il suo carattere oggettivo<br />

sociale ed ufficiale.<br />

Per conseguenza, la via per salvaguardare la spontaneità, la<br />

sincerità, la vitalità dell'atteggiamento religioso voluto da Dio ed<br />

evitare il nemico mortale del meccanicismo e del ritualismo senza<br />

vita, non può consistere nella fuga <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> o nel ridurla al<br />

minimo indispensabile per rimanere nell'ortodossia cattolica.<br />

L'unica via sta invece nel penetrare e vivere la realtà liturgica in<br />

modo così intenso che tutti i pensieri, sentimenti e tutta la vita<br />

dell'individuo siano imbevuti e trasformati da questa realtà.<br />

Si richiede, in altre parole, ohe il cristiano, in corrispondenza<br />

al suo essere soprannaturale "essenzialmente comunitario, si crei<br />

una psicologia religiosa comunitaria, per sintonizzarsi appunto con<br />

i


276 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

la realtà oggettiva del suo essere, e non vivere nella sua sensibilità<br />

religiosa in disarmonia col suo essere religioso. Senza questa sintonia<br />

del sentire con l'essere religioso comunitario, ecclesiale, sacramentale,<br />

il cattolico non si sentirà mai pienamente a suo agio<br />

nel mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Sarà anzi tentatoci evitarlo il più possibile.<br />

Al contrario, se arriverà a plasmare la sua sensibilità religiosa<br />

secondo la tonalità comunitaria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, vivr£ pienamente<br />

ogni giorno il dogma del corpo mistico di Cristo; senza correre il<br />

pericolo, tutt'altro che immaginario, di ridurre questa realtà a una<br />

relazione disincarnata, d'ordine puramente psicologico e individuale,<br />

anzi individualistico, tra Cristo e il credente, anzi tutti i credenti<br />

tra loro, indipendentemente e al di fuori <strong>della</strong> realtà ecclesiale<br />

concretamente voluta da Dio.<br />

Siamo dunque riportati, in ultima analisi, alla grande legge<br />

dell'oggettività: la via per andare a Dio ci è imposta da Dio stesso<br />

e fu liberamente da Lui determinata nei suoi particolari. Ora, questa<br />

via è non solo cristologico-trinitaria, ma societaria, ecclesiale, gerarchica<br />

e quindi liturgica. È per questo che nell'ordine effettivamente<br />

voluto da Dio, l'individuo, fuori <strong>della</strong> comunità ecclesiale<br />

liturgica non può né nascere, né vivere, né svilupparsi, né raggiungere<br />

il suo fine. Rendersi conto di questa realtà e sintonizzarvi la<br />

propria psicologia e la propria sensibilità è la via indispensabile<br />

per vivere la <strong>liturgia</strong>.<br />

4. L'ESPRESSIONE RITUALE DELLA NATURA COMUNITARIA<br />

DELLA LITURGIA; STORIA E ATTUALITÀ<br />

La profonda natura teologicamente sempre comunitaria di<br />

ogni azione liturgica — anche quando, per caso, è fatta da un singolo<br />

individuo senza la presenza di altri, come nella recita del<br />

breviario fatta da solo — tende naturalmente a manifestarsi anche<br />

nell'espressione rituale e in qualche modo l'esige, come l'essenza<br />

esige la sua connaturale perfezione.<br />

<strong>Il</strong> frutto più perfetto di questa tendenza è l'assemblea liturgica<br />

15 , come espressione concreta <strong>della</strong> comunità ecclesiale 18 nel-<br />

15 Per una ampia spiegazione biblico-liturgica dell'assemblea vedi P. MASSI,<br />

L'assemblea del popolo di Dio, Ascoli Piceno 1962. Vedi anche A. M. MARTIMORT,<br />

L'assemblée liturgique, mystère du Christ, in: La maison Dieu n. 40 (1954) 5-29.<br />

ID.. La Chiesa in preghiera, trad. it., Desclée 1963 pp. 91-122.<br />

16 I sacramenti, e in modo speciale l'eucaristia, sono bensì fatti dalla Chiesa,<br />

ma è anche vero, sotto un altro aspetto, che fanno la Chiesa. Per la funzione<br />

speciale dell'eucaristia sotto questo aspetto vedi, per es. N. AFANASSIEF, Le sacrement<br />

de l'assemblée, in: Inter. Kirche Zeitschr. 46 (1957) 382-96. ID., L'Église qui<br />

prèside dans l'amour, in : La primauté de Pierre dans l'Église orthodoxe, Neuchàtel<br />

1960 pp. 8-14. S. STROTTMANN, Sur le sacrifice eucharistique fondement du rassemblement<br />

des croyants, in: Irénikon, 33 (1961), 41-55. J. LÉCUYER, Le sacrifice<br />

de la nouvetle alliance, Le Puy 1962 pp. 199-226.


MESSA AZIONE COMUNITARIA 277<br />

l'atto stesso che al sommo grado la costituisce e la manifesta 17 .<br />

Assemblea qui dice convocazione, radunamento e celebrazione<br />

efficace, in Cristo Signore morto e risorto, del popolo di Dio, come<br />

organismo vivo dai vari membri gerarchicamente strutturati; i quali<br />

agiscono tutti come attori, come parte di un tutto, ma ognuno al<br />

suo posto, nel suo tempo e nella sua funzione 18 , senza usurpare<br />

ciò che spetta ad altri, ma anche senza isolarsi dagli altri né materialmente,<br />

né spiritualmente.<br />

Le leggi <strong>della</strong> celebrazione liturgica 19 derivano dall'assemblea<br />

liturgica così concepita 20 . La storia del <strong>senso</strong> comunitario nella<br />

espressione rituale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è la storia dell'osservanza o meno<br />

delle leggi dell'assemblea nei suoi singoli riti.<br />

Infatti, nel corso dei secoli è percepibile in questa espressione<br />

rituale specialmente nella <strong>liturgia</strong> romana — ma non solo in questa<br />

— un oscuramento, o anche una diminuzione, di quel carattere<br />

comunitario. Ciò avvenne sia per la soppressione di riti antichi che<br />

accentuavano il carattere comunitario <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>; sia per la riserva<br />

di alcuni di questi riti e preghiere al solo clero, mentre primitivamente<br />

spettavano a tutta la comunità, sia, finalmente, per l'infiltrazione<br />

di elementi d'ordine privato che mal si confanno al carattere<br />

comunitario primitivo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Nella messa<br />

In specie, la natura comunitaria <strong>della</strong> struttura liturgica essenziale<br />

<strong>della</strong> messa, nonché la storia degli oscuramenti che ha subito<br />

a partire dal quarto e quinto secolo, ma specialmente nel medioevo<br />

occidentale, è stata sostanzialmente narrata nelle due opere, ormai<br />

classiche in materia, del Dix 21 e dello Jungmann 22 .<br />

Ivi si può vedere come la messa, per la sua stessa natura e<br />

17 L'idea che le celebrazioni liturgiche, nella loro connaturale perfezione comunitaria<br />

anche rituale, e in modo speciale le celebrazioni del mistero eucaristico,<br />

sono la principale manifestazione <strong>della</strong> Chiesa, è stata fortemente accentuata<br />

dal Concilio Vaticano II : « Tutti devono dare la più grande importanza<br />

alla vita liturgica <strong>della</strong> diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente<br />

nella Chiesa cattedrale: convinti che la principale manifestazione <strong>della</strong> Chiesa<br />

si ha nella partecipazione piena è attiva di tutto il popolo santo di Dio alle<br />

medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima<br />

preghiera, al medesimo aitare cui presiede il vescovo circondato dai suoi<br />

sacerdoti e ministri ». CL art. 41. Nello stesso <strong>senso</strong> parla l'articolo 2 in cui la<br />

<strong>liturgia</strong> è descritta come l'epifania per eccellenza <strong>della</strong> Chiesa.<br />

i8 Vedi A. G. MARTIMORT, La Chiesa in preghiera, trad. it. Desclée 1963<br />

pp. 104-112.<br />

19 Vedi J. A. JUNGMANN, La celebrazione liturgica, trad. it., Milano 1958.<br />

20 Le norme stesse <strong>della</strong> riforma liturgica così chiaramente delineate dal<br />

Concilio Vaticano II (CL art. 26-40) sono fondate sul concetto che la celebrazione<br />

liturgica è atto dell'assemblea. Vedi, in specie, gli articoli 27, 28, 30, 31, 32,<br />

33, 34, 36.<br />

21 The shape of the liturgy.<br />

22 Missarum sollemnia.


278 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

struttura rituale antica, appaia essenzialmente come un'azione<br />

di tutta lo comunità ecclesiale, massimamente quella hic et nunc<br />

presente. Si tratta, è vero, dell'azione di una comunità differenziata<br />

e gerarchicamente ordinata nei singoli suoi membri e nei singoli<br />

suoi ordini, aventi ognuno la sua parte specifica, senza confusione<br />

e senza livellamenti. Ma tuttavia, è sempre un'azione unitaria di<br />

una comunità i cui membri operano tutti attivamente ad un unico<br />

dramma che interessa tutti e in cui tutti, ognuno a suo modo, hanno<br />

parte attiva. Perciò anticamente non si concepiva che alcuni membri<br />

o alcuni ordini <strong>della</strong> comunità presenti alla messa, fossero lì<br />

solo come spettatori o semplici uditori; tanto meno che stessero<br />

lì occupati in pensieri e preghiere private non riferentisi affatto,<br />

o riferentisi solo lontananlente, all'azione che si svolgeva come<br />

azione di tutti.<br />

È noto come, prima del quarto secolo, questa struttura rituale<br />

<strong>della</strong> messa che esprime la sua natura intrinseca come atto di<br />

tutta la comunità, si manifestasse nei tratti più diversi. Le preghiere,<br />

per esempio, sono dette ad alta voce, udibili da tutti i presenti.<br />

Non esistono preghiere segrete né per il sacerdote, né per altri.<br />

Non c'è sovrapposizione di preghiere, di canti e di altri riti, come<br />

avviene quando il sacerdote dice una preghiera o una formula mentre<br />

il coro canta qualcosa d'altro, o quando il coro canta qualcosa<br />

che non ha rapporto immediato con quello che fa il sacerdote.<br />

Le parti cantate o lette per tutti sono cantate o ascoltate da<br />

tutti, compreso il sacerdote. Questi non legge per sé le parti cantate<br />

da tutti o lette per tutti dal diacono o dal lettore.<br />

Le preghiere stesse sono sempre preghiere per tutti i presenti,<br />

dette a nome di tutti o per tutti i fratelli o tutti gli uomini o categorie<br />

d'uomini. Non vi sono preghiere in cui il sacerdote prega a<br />

nome proprio- o solo direttamente per sé, sia pure in rapporto<br />

all'atto sacrificale che sta compiendo.<br />

La lingua <strong>della</strong> messa è compresa o supposta compresa dagli<br />

assistenti. Quando questa supposizione non si potè più fare, non<br />

si tardò molto a cambiare la lingua, come si fece a Roma, pare, nel<br />

corso del secolo quarto. La messa non è la preghiera del solo sacerdote<br />

che la comprende, ma di tutta la comunità che assiste, perciò appariva<br />

ovvio che doveva essere nella lingua da essa intesa. Se nell'antichità<br />

cristiana, per un certo tempo e in certi posti, si continuò<br />

a celebrare la messa in una lingua non capita dal popolo, l'unico<br />

motivo fu perché in questi casi la lingua del popolo non era ancora<br />

lingua letteraria e che in essa, in specie, difettavano ancora le traduzioni<br />

dei libri sacri.<br />

<strong>Il</strong> vescovo, o chi ne fa le veci, prima <strong>della</strong> preghiera da fare<br />

a nome di tutti, interpella tutti: il Signore sia con voi; ringraziamo<br />

Dio; preghiamo; la pace sia con voi, o con formula simile. Alla<br />

fine <strong>della</strong> preghiera detta a nome di tutto il popolo, tutto il popolo<br />

la fa sua e la ratifica esplicitamente con l'Amen. Questo si osserva<br />

anche meglio nella grande preghiera eucaristica <strong>della</strong> messa, Tana-


MESSA AZIONE COMUNITARIA 279<br />

fora: solo il vescovo, o il presbitero che ne fa le veci, ha, tra tutti,<br />

il diritto di dirla. Solo egli consacra le oblate dicendo questa grande<br />

eucaristia. In essa egli ripete quello che fece Cristo, in sua vece<br />

e come suo rappresentante. Eppure anche in essa non è separato<br />

dal popolo che appunto per questo risponde l'Amen finale. Anche<br />

nella comunione colui che riceve il corpo e il sangue di Cristo dal<br />

Vescovo o dai diaconi, alla formula relativa, da questi recitata,<br />

risponde: Amen.<br />

<strong>Il</strong> popolo è intorno all'altare; il quale non è relegato in una<br />

parte lontana <strong>della</strong> chiesa lungi dagli assistenti che possono vedere<br />

solo da lontano, e malamente, quello che sopra vi si fa. Tanto meno<br />

l'altare viene nascosto al popolo.<br />

Non si concepisce l'assistenza alla messa senza la comunione.<br />

Chi assiste, comunica, perché la comunione è, essenzialmente, e<br />

nel <strong>senso</strong> più profondo, il rito di partecipazione al convivio sacrificale.<br />

Infatti, ha qualcosa di strano il modo di « partecipare » a<br />

una cena comune sacrificale alla quale si è invitati, o a un sacrifìcio<br />

conviviale, come è appunto la messa, se si viene solo a vedere gli<br />

altri mangiare. Agli assenti impediti di assistere si porta la comunione,<br />

appunto perché possano partecipare al sacrificio compiuto 23 .<br />

Nel corsa del terzo secolo appare il rito dell'offertorio di tutto<br />

il popolo: il popolo offre al sacerdote la materia del sacrificio che<br />

questi consacrerà. Si accentua così fortemente il carattere comunitario<br />

dell'azione eucaristica: tutti offrono e tutti comunicano<br />

sebbene solo il sacerdote consacri. Tale prassi si mantenne in<br />

occidente fino al secolo XI e anche dopo M .<br />

Altra magnifica espressione del carattere comunitario <strong>della</strong><br />

messa è l'uso romano (e anche di altri vescovi) del fermentum per<br />

cui il Papa, nei giorni festivi, in segno di comunione, mandava ai<br />

sacerdoti parroci di Roma e ai vescovi suburbicari, una particella<br />

del pane da lui consacrato nella messa solenne, particella che poi,<br />

quei parroci e vescovi, versavano nel calice del sacrificio da loro<br />

stessi celebrato. A Roma l'uso si mantenne fino al secolo IX 25 .<br />

Chi non fa parte <strong>della</strong> comunità ecclesiale non può assistere<br />

alla messa. La messa è l'atto per eccellenza Sed esclusivo <strong>della</strong><br />

comunità ecclesiale.<br />

Azione essenzialmente comunitaria, la messa rimane sempre<br />

un'azione differenziata nella quale ognuno aveva la sua funzione<br />

specifica. Azione di tutti, ma in modo diverso. Clemente romano<br />

ebbe a reagire in questo <strong>senso</strong> contro disordini <strong>della</strong> comunità di<br />

Corinto : « Dobbiamo fare con ordine tutto ciò che il Signore ci<br />

prescrisse di compiere nei tempi stabiliti. Egli ci prescrisse di<br />

compiere le offerte e i servizi sacri (leitourgias); e non già a caso<br />

e senz'ordine, ma nei tempi e nelle ore determinate. Ed Egli stesso,<br />

con la sua sovrana volontà, determinò dove e da chi vuole che<br />

23 Vedi GIUSTINO, Apol. I 65.<br />

2« Vedi RIGHETTI, IH 248 ss.<br />

» Vedi Ibid. p. 404 s.


280 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

siano compiuti, affinché, essendo ogni cosa fatta santamente secondo<br />

il suo beneplacito, sia gradita alla sua volontà. Coloro pertanto<br />

che fanno le loro opere ai tempi fissati, sono bene accetti e beati.<br />

Al sommo sacerdote, infatti, sono stati conferiti particolari uffici<br />

liturgici; ai sacerdoti è stato assegnato un posto speciale e ai leviti<br />

incombono particolari servizi; il laico è tenuto ai precetti del laico.<br />

Ciascuno di voi, o fratelli, nel proprio posto, cerchi di piacere a<br />

Dio con retta coscienza e gravità, senza trasgredire la regola stabilita<br />

per il suo ufficio (leitourgias) » 29 . Si osserverà quanto questo<br />

testo è lontano dalla mentalità protestante livellatrice dei poteri<br />

nell'azione liturgica.<br />

La più completa espressione <strong>della</strong> messa come azione unitaria<br />

<strong>della</strong> comunità ecclesiale pur nell'ordine e nella differenziazione<br />

voluti da Cristo, fu l'uso antico, ma che non potè mantenersi a<br />

lungo per le necessità pratiche in seguito all'accrescimento numerico<br />

dei fedeli, che in ogni comunità locale, anche i giorni domenicali,<br />

non vi fosse che una sola messa, presieduta dal vescovo<br />

circondato dal suo presbiterio, dai suoi diaconi ed altri chierici e<br />

da tutto il popolo.<br />

L'assertore più eloquente e magnifico di questo ideale antico<br />

è S. Ignazio antiocheno : « Seguite tutti il vescovo, come Gesù<br />

Cristo segue il Padre, e il collegio dei presbiteri come gli apostoli;<br />

quanto ai diaconi, venerateli come la legge di Dio. Nessuno faccia<br />

senza il vescovo alcuna di quelle cose che riguardano la Chiesa.<br />

Sia ritenuta valida quell'eucaristia che si celebra dal vescovo o da<br />

chi ne ha ricevuto l'autorità da lui. Dove appare il vescovo, ivi sia<br />

la comunità, come dov'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa Cattolica. Senza<br />

il vescovo non è lecito né battezzare né celebrare l'agape; ma quello<br />

che egli ha approvato è gradito a Dio. In questa maniera tutto ciò<br />

che si farà sarà sicuro e valido » 27 . « Come il Signore nulla mai<br />

fece, né di per se stesso né per mezzo dei suoi Apostoli, senza<br />

il Padre, perché è una cosa sola con Lui, così anche voi non dovete<br />

far nulla senza il vescovo e i presbiteri. Invano tenterete di far<br />

apparire lodevole qualche cosa che voi avete fatto in particolare<br />

di vostra testa; solo ciò che fate in comune è lodevole. Un'unica<br />

preghiera, un'unica supplica, un unico spirito, un'unica speranza,<br />

animata dalla carità, nella gioia senza macchia: questo è Gesù<br />

Cristo, del quale nulla vi è di più eccellente. Accorrete tutti insieme<br />

ad un unico tempio, ad un unico altare, cioè a Gesù Cristo, che è<br />

uno e che, procedendo dal Padre uno, è rimasto unito a Lui, e a<br />

Lui è ritornato » 28 . « Procurate dunque di partecipare ad una sola<br />

eucaristia; poiché una è la carne del Signore nostro Gesù Cristo,<br />

uno è il calice che ci unisce nel sangue di Lui, uno è l'altare, come<br />

uno è il vescovo, circondato dal collegio dei presbiteri e dai dia-<br />

2" 1 Cor 40; 41,1.<br />

27 Smyrn. 8.<br />

2s Magnes. 7.


MESSA AZIONE COMUNITARIA 281<br />

coni, miei compagni di ministero. In questa maniera tutto ciò<br />

che voi farete sarà fatto secondo la volontà di Dio » 28 .<br />

Si vede nuovamente quanto l'antica Chiesa era lontana dal<br />

presupposto fondamentale di ogni protestantesimo logico: quello<br />

dell'autosufficienza essenziale di ogni individuo rispetto a tutti gli<br />

altri individui nei suoi rapporti con Dio. Nell'antica Chiesa era<br />

fortissima la coscienza che l'individuo, fuori dell'ekklesia gerarchicamente<br />

strutturata, dal punto di vista soprannaturale, non è<br />

assolutamente nulla. Come era ugualmente fortissima la coscienza<br />

che il massimo segno rituale espressivo ed efficace di questa<br />

ekklesia non è altro che la partecipazione di tutto il popolo ad<br />

un'unica eucarestia, un'unica preghiera, un'unica supplica, in un unico<br />

spirito, in un'unica speranza e carità intorno ad un unico altare<br />

dove presiede in persona il vescovo, capo di ogni comunità locale,<br />

circondato dal collegio dei presbiteri e dai diaconi. Qui tutti i fedeli<br />

vengono uniti tra loro perché partecipano a un solo pane e a un<br />

solo calice che li unisce nell'unica carne e nell'unico sangue del<br />

Signore Gesù.<br />

In questa visuale si apprezza cosa significhi la celebrazione (tanto<br />

più la concelebrazione), di tutta la comunità ecclesiale intorno<br />

al proprio vescovo e, per analogia, la celebrazione liturgica compiuta<br />

dalla comunità ecclesiale minore, la parrocchia, intorno al proprio<br />

parroco, delegato e rappresentante del vescovo, e la celebrazione,<br />

o concelebrazione, liturgica <strong>della</strong> comunità ecclesiale universale,<br />

almeno nei suoi rappresentanti, compiuta intorno al Papa, come<br />

si può vedere in alcune occasioni a S. Pietro in Roma. Si comprende<br />

pure come il vescovo sia anzitutto il liturgo per eccellenza di una<br />

comunità locale e perché si deve augurare che oggi tutti, gerarchi<br />

e fedeli, riacquistino qualcosa di questo antico <strong>senso</strong> dell'ekklesia<br />

.nella sua espressione comunitaria liturgica per ravvivare jl <strong>senso</strong><br />

comunitario e sacrale <strong>della</strong> Chiesa. Non è dunque senza ragione che<br />

il concilio vaticano II ha ribadito con forza queste idee 30 e ha<br />

restaurato la concelebrazione.<br />

Sfortunatamente, non si può negare — Dix e Jungmann l'hanno<br />

ormai documentato nei particolari essenziali — che dappertutto,<br />

a partire dal quarto secolo, ma specialmente nel medioevo<br />

in occidente, quel <strong>senso</strong> <strong>della</strong> messa come azione di tutta la comunità<br />

strutturata e gerarchicamente differenziata, subì nella sua<br />

espressione liturgica, e quindi anche nella psicologia dei fedeli,<br />

notevoli diminuzioni o anche oscuramenti. Nacquero così quelle<br />

anomalie e quei contrasti tra là natura profondamente comunitaria<br />

<strong>della</strong> realtà liturgica che si compie nella messa e la sua<br />

espressione rituale e rubricista, che si possono osservare, in parte,<br />

anche nella messa nel suo stato attuale.<br />

29 Philadel. 4.<br />

30 CL art. 41 citato sopra (nota 17) ove riecheggia lo spirito dei testi sopra<br />

citati d'Ignazio. Per la concelebrazione vedi l'art. 57 e il Decreto di promulgazione<br />

del nuovo rito.


282 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

In oriente, per esempio, già a partire dal quarto secolo, come<br />

nel sacramentario di Serapione, appaiono una serie di preghiere<br />

da dirsi nella messa dal solo sacerdote, oltre, naturalmente, la<br />

grande preghiera eucaristica sempre riservata a lui. Aumenta così<br />

la parte riservata al solo clero. Nel quarto-quinto secolo già sparisce<br />

l'offertorio del popolo. Sempre in oriente, davanti all'altare<br />

si sviluppò l'iconostasi che finì per nasconderlo quasi completamente<br />

agli occhi del popolo, specialmente nel momento più solenne<br />

dell'anafora, quando si chiusero anche i veli <strong>della</strong> porta<br />

centrale. S'introdusse poi l'uso che il sacerdote dicesse segretamente<br />

a voce bassa, mentre il diacono e il popolo cantavano le<br />

litanie o altri canti, le preghiere per tutti, alzando solo la voce<br />

per la conclusione finale (ecfónesi) affinché il popolo potesse rispondere<br />

l'Amen. Soprattutto, anche in oriente, s'introdusse l'uso <strong>della</strong><br />

recita segreta dell'anafora da parte del sacerdote, eccettuate alcune<br />

ecfónesi.<br />

Ma, tutto sommato, pare innegabile che la diminuzione del<br />

<strong>senso</strong> comunitario <strong>della</strong> messa fu ed è più notevole in occidente<br />

che in oriente. I tratti principali da notare in questo <strong>senso</strong> per<br />

l'occidente sono: la lingua liturgica non più capita dal popolo;<br />

lo sviluppo <strong>della</strong> messa bassa e la sua enorme moltiplicazione in<br />

messe anche solitarie di semplice devozione privata in alcuni periodi<br />

del medioevo; il fatto che, nelle stesse messe basse, vi sia<br />

stato un inserviente il quale, tra le altre cose, non solo, quando<br />

non vi era altra assistenza, poteva e doveva rispondere al sacerdote<br />

anche in quelle parti che per loro natura spetterebbero a tutto il<br />

popolo — cosa normalissima questa — ma che, inoltre, solo tra<br />

tutti, abbia avuto il diritto di dare quelle risposte, anche quando<br />

vi erano altri partecipanti, sia pure in gran numero: così la legge<br />

proibiva a questi di esercitare il loro diritto connaturale di partecipazione<br />

attiva al sacrificio; l'introduzione nella messa stessa<br />

non solo di preghiere segrete dette privatamente dal solo sacerdote,<br />

ma anche di preghiere di carattere accentuatamente privato, in<br />

cui il sacerdote prega per sé e nel proprio nome 31 ; il canone detto<br />

31 Queste preghiere d'origine medievale gallicana, si sono praticamente concentrate<br />

nella messa all'entrata, all'offertorio, alla comunione. Per l'entrata : ludica<br />

me Deus; Introito ad altare Dei; Adjutorium nostrum; Confiteor; Misereatur;<br />

Indulgentiam; Deus tu conversus; Ostende nobis; Domine exaudi orationem<br />

meam; Aufer a nobis; Oramus te, Domine. Per l'offertorio: Suscipe Sancte Pater;<br />

Deus qui humanae substantiae; Offerimus tibi; In spirita humilitatìs; Veni Sanctificator;<br />

Incensum istud; Lavabo inter innocentes; Suscipe Sancta Trinitas; Orate<br />

fratres; Suscipiat. Per la comunione: Domine Jesu Christe, qui dixisti; Domine<br />

Jesu Christe, Fili dei vivi; Perceptio corporis tui; Panem coelestem accipiam;<br />

Domine non sum dignus; Corpus Domini nostri Jesu Christi; Quid retribuam Domino;<br />

Sanguis Domini nostri Jesu Christi; Quod ore sumpsimus; Corpus tuum,<br />

Domine. Queste preghiere sono quasi tutte al singolare; anche quelle dette al<br />

plurale si riferiscono anzitutto al sacerdote stesso. Sono, in buona parte, le cosiddette<br />

apologie « perché esse si presentano come una specie di confessione o<br />

d'accusa che il sacerdote fa davanti a Dio per scusarsi dell'ardimento di celebrare<br />

così alti misteri, e quindi, come una protesta d'indegnità a motivo dei


MESSA AZIONE COMUNITARIA 283<br />

a voce bassa; nelle messe cantate, non solo il permesso, ma l'obbligo,<br />

fatto al sacerdote, di recitare privatamente, a bassa voce,<br />

anche le parti cantate da tutto il popolo o lette per tutti dal diacono,<br />

dal suddiacono o dal lettore; la soppressione, come in oriente, dell'offertorio<br />

del popolo, nonché la diminuzione, e, in certi periodi,<br />

quasi l'assenza totale <strong>della</strong> comunione del popolo, anche questo<br />

come in oriente; la comunione data fuori <strong>della</strong> messa, anche a chi<br />

assiste alla messa; la schola cantorum che eseguisce le parti cantate<br />

che avrebbero dovuto essere cantate dal popolo, mentre questo<br />

non le cantava più, né poteva più cantarle per la loro notevole<br />

difficoltà, già nel canto gregoriano, specialmente a partire dal secolo<br />

XI-XII, ma ancor più nelle messe polifoniche; l'abitudine generalizzatasi<br />

nel popolo di recitare durante la messa altre preghiere<br />

private senza rapporto, o solo con rapporto remoto, con la messa<br />

a cui assisteva; la proibizione che durò per molto tempo di tradurre<br />

il messale e specialmente la messa in lingua volgare. I laici<br />

furono ridotti così solo ad « assistere » alla messa e a guardare<br />

come muti spettatori 32 .<br />

Non occorre insistere maggiormente. È evidente che, sebbene<br />

parecchi usi o abusi medievali contro il carattere comunitario <strong>della</strong><br />

messa fossero stati eliminati o diminuiti dalla riforma di Pio V e<br />

dalle riforme successive, tuttavia un buon, numero dei fatti sopra<br />

elencati restava e resta in parte. Primi tra tutti: la lingua litùrgica<br />

non compresa dal popolo; il canto liturgico, canto di specialisti e non<br />

canto popolare; la recita del canone a bassa voce non udita dal<br />

popolo.<br />

Da questi fatti, in buona parte, sorge il massimo problema<br />

liturgico recente: come ricondurre il popolo alla partecipazione<br />

plenaria attiva alla messa come azione di tutta la comunità ecclesiale<br />

gerarchicamente strutturata e differenziata.<br />

Ecco perché tutti coloro che hanno compreso l'incomparabile<br />

forza teologica, spirituale e pastorale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, non possono<br />

non rallegrarsi del fatto che il concilio vaticano II abbia affrontato<br />

propri peccati, che, genericamente, o specificamente, vengono indicati... Le apologie,<br />

essendo l'espressione dei sentimenti personali, che, giustamente del resto, in<br />

certi momenti <strong>della</strong> messa animano il sacerdote, vengono espresse al singolare,<br />

sono recitate da lui a voce bassa, a fronte inclinata e a mani giunte, senza che<br />

l'assemblea vi attenda; si indirizzano a Cristo o alla SS. Trinità, non hanno uno<br />

scopo a sé stante, ma il più delle volte mirano a commentare, con una formula,<br />

un gesto od una cerimonia liturgica, o ad occupare piamente il sacerdote<br />

durante il canto <strong>della</strong> Schola; elementi tutti che contrastano nettamente con le<br />

consuetudini liturgiche <strong>della</strong> Chiesa antica... Ancora oggidì le apologie mantengono<br />

ufficialmente il loro carattere privato. Nel tempo che il celebrante recita,<br />

coi ministri, le preghiere, appiè dell'altare, la Schola ne prescinde affatto, e canta<br />

il salmo dell'introito. Fa altrettanto durante le apologie dell'offertorio; eseguisce<br />

il proprio canto che è da esse indipendente, mentre l'assistenza sta seduta, muta<br />

spettatrice <strong>della</strong> scena liturgica » (RIGHETTI, III 144 s). E lo stesso avviene al momento<br />

<strong>della</strong> comunione.<br />

32 Per maggiori particolari storici su tutto questo si legga l'eccellente quadro<br />

tracciato dallo JUNCMANN, Missarum sollemnia ed. it. I specialmente da p. 65<br />

a p. 136.


284 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

questi gravi problemi con quella decisione e magnifica audacia<br />

apostolica che derivano dalla visione profondamente soprannaturale<br />

delle cose ed abbia posto con coraggio i fondamenti dai quali<br />

si può ragionevolmente prevedere che la loro soluzione effettiva<br />

non andrà più molto a lungo 33 .<br />

Negli altri sacramenti<br />

Qualcosa di simile a quello che è stato detto intorno alla messa<br />

in rapporto all'espressione rituale <strong>della</strong> sua natura comunitaria,<br />

potrebbe dirsi intorno ai sacramenti. La natura intrinseca comunitaria<br />

dei singoli sacramenti è non meno evidente che nella messa.<br />

I sacramenti, infatti, sono essenzialmente qualcosa di ecclesiale<br />

perché sono strumenti <strong>della</strong> grazia mediante i quali i fedeli, soprannaturalmente,<br />

nascono, sono nutriti, riparati e perfezionati dalla<br />

Chiesa e nella Chiesa, come membri organici del popolo di Dio<br />

gerarchicamente strutturato e differenziato. Così il battesimo non<br />

è solo la rigenerazione soprannaturale di un individuo (Rm 6,1-14)<br />

e la sua adozione a figlio di Dio, ma è anche e necessariamente,<br />

nello stesso tempo, l'inserzione visibile nel corpo di Cristo che è<br />

la Chiesa e quindi l'unione organica soprannaturale con gli altri<br />

membri differenziati dello stesso corpo. <strong>Il</strong> battesimo non è unione<br />

con Cristo che nella Chiesa e per mezzo <strong>della</strong> Chiesa, gerarchicamente<br />

strutturata e differenziata. La confermazione non è solo il<br />

perfezionamento soprannaturale di un individuo, ma è anche il<br />

perfezionamento <strong>della</strong> sua inserzione nel popolo di Dio.<br />

La penitenza non è solo la riconciliazione di un individuo con<br />

Dio, ma è nello stesso tempo e necessariamente riconciliazione con<br />

la Chiesa, con la comunità dei fratelli, che il peccatore ha offeso<br />

e danneggiato nello stesso tempo che ha offeso Dio. Lo stesso vale<br />

per la sacra unzione come complemento <strong>della</strong> penitenza.<br />

Che l'ordine e il matrimonio abbiano un carattere profondamente<br />

comunitario è cosa ovvia e risaputa, perché sono destinati<br />

immediatamente a provvedere alla moltiplicazione materiale e spirituale<br />

<strong>della</strong> società cristiana e alla formazione <strong>della</strong> sua struttura<br />

gerarchica.<br />

Non sarebbe difficile, storia alla mano, dimostrare come nel-<br />

33 Sono gli articoli 26-42 <strong>della</strong> CL sui princìpi generali <strong>della</strong> riforma liturgica,<br />

e in specie gli articoli 26, 27, 28, 30, 36, 40. Di somma importanza pure l'art. 54<br />

sulla lingua volgare nella messa, in specie anche « nelle parti che spettano al popolo<br />

», cioè, come risulta dalla dichiarazione ufficiale del Relatore, in tutte quelle<br />

parti, delle messe sia cantate che non cantate, che, nell'uso attuale, non sono<br />

dette o cantate dal solo sacerdote, ma dai fedeli, o dalla schola, che fa parte dei<br />

fedeli. Ciò include espressamente la possibilità che anche i canti eseguiti ora<br />

dalla schola in latino siano restituiti al popolo in lingua volgare. Importante<br />

pure l'articolo 57 sulla concelebrazione nella messa, perché sempre più infrangerà<br />

certamente il principio fin qui osservato del canone mormorato a voce inintelligibile.<br />

Finalmente, l'articolo 118 sull'incremento del canto popolare e in lingua<br />

volgare.


SACRAMENTI AZIONI COMUNITARIE 285<br />

l'amministrazione di questi sacramenti, l'espressione rituale antica<br />

abbia messo fortemente in rilievo questa loro natura comunitaria<br />

e come, invece, nella pratica corrente di oggi, in seguito a vicende<br />

storiche diverse, questa espressione comunitaria, non di rado, sia<br />

assai diminuita o anche tanto oscurata che, in alcuni casi, l'aspetto<br />

comunitario è molto obnubilato nella psicologia dei fedeli.<br />

Per il battesimo e la cresima, basta pensare al rituale antico<br />

dell'iniziazione cristiana, fatta solennemente solo una volta o due<br />

all'anno, nella veglia <strong>della</strong> notte del sabato santo e del sabato di<br />

Pentecoste, alla presenza <strong>della</strong> comunità ecclesiale del luogo, presieduta<br />

dal vescovo il quale, come capo dell'ekklesia, introduceva<br />

nuovi membri nella comunità sacrale dei fratelli. In quella atmosfera<br />

era vivissimo il significato dell'atto dell'iniziazione cristiana<br />

come atto <strong>della</strong> Madre Chiesa che partorisce nuovi membri; del<br />

corpo di Cristo che si aggrega nuove cellule; <strong>della</strong> leva annua <strong>della</strong><br />

sacra milizia di Cristo. Se invece si pensa al modo ordinario in cui<br />

si amministra oggi tra noi il battesimo, è ovvia la diminuzione,<br />

nella nostra psicologia, del suo valore di atto d'iniziazione e d'ingresso<br />

in una comunità ecclesiale la quale vi sia tutta intera interessata.<br />

Oggi in un battesimo, anche nelle famiglie più cristiane,<br />

tutto sembra limitarsi al concetto <strong>della</strong> rigenerazione di un'anima<br />

e, se mai, a una festa di famiglia. L'aspetto ecclesiale comunitario<br />

che comporta è appena percepito o addirittura assente 34 .<br />

La penitenza è il sacramento che oggi, per noi, ha il carattere<br />

più gelosamente privato. Tutto sembra limitarsi a un affare tra<br />

noi e Dio, nel quale il sacerdote fa, è vero, da intermediario e da<br />

ministro, ma di cui percepiamo a stento il carattere ecclesiale comunitario.<br />

Oggi, nell'amministrazione <strong>della</strong> penitenza tutto è privato e<br />

segreto: confessione privata, assoluzione privata, penitenza privata.<br />

Nell'antichità invece, fino ai secoli VI-VIII, nei quali si compì<br />

il mutamento <strong>della</strong> disciplina in questo campo, non si hanno tracce<br />

sicure, checché ne dicano alcuni, di penitenza sacramentale privata,<br />

mentre è in piena luce la disciplina <strong>della</strong> penitenza pubblica: confessione,<br />

almeno implicitamente pubblica per i peccati gravi notori<br />

35 , intorno ai quali deliberava l'assemblea ecclesiastica presieduta<br />

dal vescovo con i suoi presbiteri e diaconi e presente il popolo 3e ;<br />

la scomunica del peccatore che « ha meritato d'essere escluso<br />

dalla preghiera in comune, ed essere tenuto lontano dalle nostre<br />

adunanze e da qualunque eventuale rapporto con noi » "; le opere<br />

pubbliche di penitenza o satisfazione, tra le quali il raccomandarsi<br />

34 Vedi la descrizione <strong>della</strong> situazione attuale ed alcuni suggerimenti pastorali<br />

per portarvi rimedio: Le baptème entrée dans le peuple de Dieu, in: La<br />

maison Dieu n. 32 (1952) 118-66.<br />

35 Implicitamente pubblica, in quanto per questi peccati il fatto di accettare<br />

la deliberazione dell'assemblea ecclesiastica, presieduta dal vescovo, ed assoggettarsi<br />

alla satisfazione pubblica equivaleva alla confessione pubblica. La confessione<br />

invece era segreta presso il vescovo per i peccati segreti.<br />

36 Vedi per es., RIGHETTI III p. 129.<br />

37 TERTULLIANO, Apologetico 39,4.


286 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

in ginocchio e con gemiti, non solo al vescovo' e ai presbiteri, ma<br />

a tutti i fratelli <strong>della</strong> comunità 38 ; la riconciliazione pubblica accordata<br />

dal vescovo dinanzi a tutta la comunità dei fratelli come riammissione<br />

alla pace non solo con Dio, ma anche e necessariamente<br />

con la Chiesa e con i fratelli.<br />

A fondamento di questa disciplina sta, naturalmente, il concetto<br />

che il peccato è non solo un'offesa a Dio, ma nello stesso<br />

tempo un'offesa e un danno a tutta l'ekklesia, che interessa dunque<br />

tutta la comunità. Così, Origene poteva scrivere a proposito <strong>della</strong><br />

fornicazione : « Non mi è permesso prendere un membro di Cristo<br />

e farlo il membro d'una meretrice. Dille: sono diventato tempio<br />

di Dio; non mi è permesso di introdurre alcunché d'immondo;<br />

non mi è permesso violare il tempio di Dio. Aggiungi anche: chi<br />

commette fornicazione, pecca contro il proprio corpo; non solo<br />

contro questo corpo diventato tempio di Dio, ma anche contro<br />

quel corpo di cui si dice che tutta la Chiesa è corpo di Cristo.<br />

Chi macchia il suo corpo pecca contro tutta la Chiesa, perché, per<br />

un membro, la macchia s'introduce in tutto il corpo » 39 . In questa<br />

luce si comprende facilmente che il peccato, anche di un solo membro,<br />

e la riconciliazione del peccatore è cosa che interessa sommamente<br />

tutta la comunità.<br />

Tutti i membri <strong>della</strong> comunità dunque, ognuno a suo modo,<br />

secondo la natura e le esigenze <strong>della</strong> struttura gerarchica differenziata<br />

déll'ekklesia corpo di Cristo, potevano intervenire nel<br />

giudizio e nella riammissione del peccatore. Perciò Tertulliano<br />

così esortava i penitenti : « Trattandosi di fratelli e conservi, che<br />

hanno comune speranza, timore, gaudio, dolore, passione, perché<br />

è loro comune lo spirito d'un comune Signore e Padre, perché<br />

dunque li guardi come cosa estranea a te stesso? Perché fuggi,<br />

come se se ne rallegrassero coloro che sono interessati nella tua<br />

caduta? <strong>Il</strong> corpo non può rallegrarsi <strong>della</strong> malattia di un suo<br />

membro; è invece inevitabile che tutto patisca con lui e collabori<br />

a guarirlo. Nell'uno e nell'altro è la Chiesa; la Chiesa poi è Cristo.<br />

Quando dunque ti prosterni alle ginocchia dei fratelli, è Cristo<br />

che abbracci, è Cristo che preghi. E quando essi piangono sopra<br />

di te è Cristo che patisce, è Cristo che preea il Padre. È semDre<br />

facilmente ottenuto quello che chiede il Figlio » 40 .<br />

Si sa pure che, anticamente, il carattere comunitario del sacramento<br />

dell'ordine era reso anche più manifesto di oggi per l'intervento<br />

effettivo di tutta la comunità interessata nella designazione<br />

del candidato all'episcopato, al sacerdozio e al diaconato per una<br />

determinata chiesa.<br />

Nel rituale del sacramento del matrimonio l'espressione <strong>della</strong><br />

sua natura comunitaria si è sostanzialmente mantenuta intatta,<br />

anzi sotto un certo aspetto rafforzata, per la prescrizione <strong>della</strong><br />

38 Vedi per es., RIGHETTI III 131 ss.<br />

30 In Jesu Nave, Hom. V 6.<br />

40 De poenit. X 7.


FORMA COMUNITARIA DELLE PREGHIERE 287<br />

forma obbligatoria e la dichiarazione d'invalidità dei matrimoni<br />

clandestini. Senonché, in certi ambienti e in certe regioni, c'è la<br />

forte tendenza a evitare il più possibile la celebrazione del matrimonio<br />

nella chiesa parrocchiale e a cercare invece cappelle e chiesuole<br />

appartate dove tutto possa svolgersi nell'intimità di circoli<br />

ristretti, anziché davanti a tutta la plebs Dei di quella cellula ecclesiale<br />

che è la parrocchia.<br />

Nello stile delle preghiere liturgiche e nel breviario<br />

In quanto alla natura e allo stile delle preghiere liturgiche,<br />

nella <strong>liturgia</strong> romana, nonostante qualche infiltrazione di carattere<br />

più privato e d'origine medievale, specialmente, come si è detto,<br />

nella messa, esse conservano l'impronta comunitaria antica. È il<br />

notissimo fenomeno dello stile plurale delle preghiere liturgiche,<br />

nelle quali, per bocca del celebrante, è sempre tutta la comunità<br />

che prega come Chiesa di Dio, popolo di Dio, famiglia di Dio 41 .<br />

Già nel terzo secolo S. Cipriano aveva osservato : « Pubblica e comune<br />

è la nostra preghiera e, quando preghiamo, non preghiamo<br />

per un individuo, ma per tutto il popolo perché tutto il popolo è<br />

uno » 42 . E S. Ambrogio, un secolo dopo : « Fondamento <strong>della</strong> giustizia<br />

è dunque la fede... Anche il Signore in Isaia dice: ecco metto<br />

una pietra come fondamento a Sionne (/s 28,18), cioè Cristo a fondamento<br />

<strong>della</strong> Chiesa. Cristo, infatti, è l'oggetto <strong>della</strong> fede di tutti<br />

e la Chiesa è una certa concretizzazione <strong>della</strong> giustizia. Essa è il<br />

comune diritto di tutti; in comune prega, in comune opera, in<br />

comune è provata » 43 .<br />

<strong>Il</strong> carattere comunitario dell'ufficio divino era accentuato nell'antica<br />

Chiesa anche dal fatto che veniva concepito come una<br />

preghiera corale alla quale, come alla preghiera di famiglia, la<br />

comunità, canonicale o monastica, era obbligata come tale senza<br />

che vi fosse, per gli individui, l'obbligo canonico di recitarlo anche<br />

fuori del coro. Quest'obbligo accentua, naturalmente, nella Chiesa<br />

latina odierna, l'aspetto personale dell'ufficio divino. <strong>Il</strong> che, nel<br />

caso presente, è tutt'altro che un male. È solo da desiderare che<br />

il suo carattere di preghiera anzitutto comunitaria non venga annullato<br />

nella psicologia degli interessati.<br />

* * *<br />

La Chiesa dunque, anzitutto nella <strong>liturgia</strong>, appare sulla terra<br />

come concretizzazione massima <strong>della</strong> legge divina <strong>della</strong> salvezza<br />

in comunità differenziata e strutturalmente gerarchica, fuori <strong>della</strong><br />

41 Ecclesia tua; populus tuus; familia tua.<br />

« De dom. orat. 8.<br />

43 De offlciis I 29, 142.


288 CAP. IX - SALVEZZA IN COMUNITÀ<br />

quale, per l'individuo, non vi è, soprannaturalmente, né vita né<br />

sviluppo possibile perché « dov'è la Chiesa, là è anche lo Spirito<br />

di Dio; e dov'è lo Spirito di Dio là è la Chiesa e ogni grazia » 44 .<br />

L'espressione generale più efficace di questo <strong>senso</strong> liturgico<br />

comunitario tra i fedeli dovrebbe essere la loro vita liturgica parrocchiale.<br />

La comunità parrocchiale, ordinata intorno all'altare e di<br />

lì derivante tutte le sue forze, è, concretamente, il luogo ove l'individuo<br />

s'inserisce nella comunità ecclesiale universale. Ma il <strong>senso</strong><br />

parrocchiale <strong>della</strong> vita cristiana è duramente combattuto da tante e<br />

tante circostanze <strong>della</strong> vita moderna e specialmente, penso, dalle<br />

non buone abitudini contratte. Non senza motivo il concilio vaticano<br />

II ha ribadito la necessità di vivificare nuovamente questo <strong>senso</strong><br />

dei fedeli 45 . Comunque, pare certo che, per ravvivarlo, sia necessario<br />

riabituare i fedeli alla meditazione <strong>della</strong> grande legge divina<br />

<strong>della</strong> salvezza in comunità.<br />

Come è pure certo che solo considerando le cose sullo sfondo<br />

di questa legge si comprende veramente il fatto di un diritto<br />

ecclesiastico liturgico, dipendente da un'autorità ecclesiastica competente<br />

e regolatore anche esterno e obbligatorio <strong>della</strong> vita liturgica<br />

dei fedeli 4e . Cosa questa che, nel felice rinnovamento del <strong>senso</strong> liturgico<br />

che è in corso, alcuni, che pur meglio degli altri comprendono<br />

il <strong>senso</strong> e la forza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, sembrano sopportare con una certa<br />

impazienza, dimentichi che i freni d'una autorità sola competente<br />

fanno parte appunto <strong>della</strong> legge <strong>della</strong> salvezza in comunità differenziata<br />

e gerarchicamente strutturata 47 .<br />

Nella storia <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, non si può negarlo, risultò ben presto,<br />

come si è potuto vedere, una certa tensione tra l'espressione rituale<br />

dell'aspetto comunitario e quella del carattere personale di ogni<br />

azione e preghiera liturgica. Questa tensione è, in qualche modo,<br />

44 IRENEO, Haer. <strong>Il</strong>i 24,1.<br />

43 CL art. 42.<br />

46 E per questo che è lecito rimpiangere che nella redazione definitiva <strong>della</strong><br />

Costituzione sulla <strong>liturgia</strong> del concilio vaticano II, la materia intorno all'autorità<br />

cui spetta di regolare la riforma liturgica e la vita <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, materia<br />

che nelle redazioni precedenti veniva spiegata — con migliore <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong> —<br />

come conseguenza <strong>della</strong> natura gerarchica e comunitaria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> stessa,<br />

sia poi stata trasferita al principio di tutta la trattazione <strong>della</strong> riforma liturgica<br />

(art. 22). Così si tratta ora <strong>della</strong> riforma liturgica partendo dall'autorità<br />

cui spetta di regolarla. Punto di vista tipicamente giuridico. Per il teologo,<br />

invece, l'autorità giuridica nella <strong>liturgia</strong> (e tutto il diritto liturgico) è una conseguenza<br />

<strong>della</strong> natura gerarchica e comunitaria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> stessa e non ha<br />

<strong>senso</strong> che vista così. È uno degli esempi (non grave, per fortuna, nel presente<br />

caso) <strong>della</strong> lotta tra mentalità prevalentemente giuridica e mentalità teologica<br />

nel concilio vaticano II.<br />

47 Considerando la <strong>liturgia</strong> sotto questa luce si comprende quanto siano<br />

teologicamente aberranti le teorie espresse intorno all'autorità e all'obbedienza<br />

in materia liturgica da Paroisse et liturgie nel numero di gennaio 1965. Vedi<br />

pure intorno a tali teorie le osservazioni di S. E. il cardinale G. LERCARO, Nella<br />

Costituzione sulla sacra <strong>liturgia</strong> si esprime la dottrina autentica <strong>della</strong> Chiesa,<br />

in: L'avvenire d'Italia, martedì 2 marzo 1965 p. 3.


OGGETTIVITÀ E SOGGETTIVITÀ 289<br />

insita nella natura stessa delle cose, in quanto la <strong>liturgia</strong>, per<br />

essere cosa vitale come vuol esserlo, richiede che la realtà, Yéthos<br />

comunitario, venga interiorizzato, e come personalizzato, in ogni<br />

credente che vi partecipa, e anzitutto nel sacerdote stesso. Senonché,<br />

questa necessaria interiorizzazione e personalizzazione,<br />

appena sviluppata, tende anche facilmente a dispiegarsi in modo<br />

quasi autonomo dal quadro comunitario che le ha dato origine<br />

e ad imporre essa stessa alla <strong>liturgia</strong> la sua espressione rituale. Si<br />

crea così il pericolo d'invertire i rapporti e invece di una sintonizzazione<br />

dell'interiorità soggettiva dell'individuo all'oggettività comunitaria,<br />

richiesta dalla <strong>liturgia</strong>, di creare uno stato di cose in<br />

cui l'interiorità soggettiva dell'individuo prende a suo servizio<br />

l'espressione rituale liturgica, senza badare abbastanza alla natura<br />

comunitaria dì questa.<br />

<strong>Il</strong> giusto equilibrio in questo campo è delicato. Comunque, è<br />

storicamente certo che il tardo medioevo e l'età barocca, nel campo<br />

liturgico, specialmente nella messa, ci hanno lasciato un'eredità<br />

di usanze e di modi di sentire, nella quale noi, giustamente, sentiamo<br />

urgente bisogno di rivalorizzare meglio l'aspetto comunitario.<br />

Vogliamo che la partecipazione personale alla <strong>liturgia</strong> sia concepita<br />

più nettamente come sintonia <strong>della</strong> personalità alla realtà liturgica<br />

comunitaria.<br />

10-11 <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


CAPITOLO X<br />

LA LITURGIA E LA LEGGE DELL'INCARNAZIONE<br />

Più d'una volta, nel corso <strong>della</strong> spiegazione <strong>della</strong> natura <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, si è fatto allusione alla legge dell'incarnazione. È necessario<br />

meditarla qui esplicitamente per capire meglio il significato del<br />

carattere concreto e umano <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Concreto e umano perché<br />

luogo d'incontro tra Dio e l'uomo sotto e attraverso il velo di cose<br />

e uomini sensibili, con tutte le conseguenze che questo comporta.<br />

1. LA LEGGE DELL'INCARNAZIONE<br />

NEI RAPPORTI TRA L'UOMO E DIO<br />

Questa legge ha due aspetti: essa significa anzitutto che Dio<br />

comunica all'uomo la vita divina anche attraverso e sotto il velo<br />

di cose sensibili, di modo che l'uomo deve passare attraverso queste<br />

cose anche sensibili per ricevere quella vita. In secondo luogo essa<br />

significa che il risultato di quella comunicazione è una elevazione<br />

dell'uomo a un modo d'essere e d'agire divino, non solo d'ordine<br />

puramente morale nella linea conoscitiva ed affettiva, ma d'ordine<br />

ontologico, entitativo, e, in questo <strong>senso</strong> preciso, d'ordine fisico, talmente<br />

che, pur rimanendo sempre intatta la sostanziale distinzione<br />

tra Dio e l'uomo, l'uomo è innalzato a uno stato d'essere e d'agire<br />

realmente divino.<br />

La legge dell'incarnazione afferma dunque un misterioso e realissimo<br />

teandrismo o connubio tra il divino e l'umano sia nel risultato<br />

delle relazioni tra Dio e l'uomo che nella vita che conduce<br />

a questo risultato: il divino prende, per così dire, corpo nell'umano<br />

anche sensibile, per innalzare l'umano a un modo d'essere e d'agire<br />

divino.


L'INCARNAZIONE IN CRISTO 291<br />

Questa legge determina maggiormente ed accentua con forza<br />

la legge dell'oggettività. Nelle nostre relazioni con Dio, la via per<br />

andare a Lui è cosa talmente oggettiva e normativa del nostro soggetto,<br />

che è di natura umano-divina, sensibile-spirituale, e che il risultato<br />

ne è una vera partecipazione alla natura divina, non solo nel<br />

campo del conoscere e degli affetti, ma dell'essere stesso, che è la<br />

radice del conoscere, del volere e del sentire.<br />

Cristo, Verbo incarnato, uomo-Dio, è il prototipo in cui la predetta<br />

legge si verifica al sommo grado sotto tutti i suoi aspetti. Ed<br />

è naturale che sia così poiché Cristo è il riassunto concreto di tutta<br />

l'economia di Dio verso gli uomini, l'anello di congiunzione tra<br />

l'uomo e Dio. In Lui la natura umana, sin dal primo istante del<br />

suo esistere, è assunta dalla persona divina. È il mistero di quella<br />

unione inaudita che la teologia chiama ipostatica. In Cristo un'integra<br />

natura umana, corpo e anima, è compenetrata dalla persona<br />

divina e come imbevuta <strong>della</strong> divinità, non solo nell'ordine del conoscere<br />

e del volere, ma più radicalmente ancora, nell'ordine dell'essere.<br />

E la santificazione più reale e più plenaria che sia<br />

possibile a essere creato. È il divino che scende nell'umano e l'umano<br />

che è attratto nel divino nel modo più perfetto che si possa<br />

concepire. È quindi il teandrismo nella sua stessa sorgente e nel<br />

suo massimo prototipo di cui tutte le altre elevazioni all'ordine divino<br />

non potranno essere che imitazioni e partecipazioni 1 .<br />

Ora questa comunicazione in Cristo è un'incarnazione. È vero<br />

che il Verbo divino assunse non solo un corpo umano, ma una.<br />

natura umana integra, anima e corpo. Ma in Cristo, durante la sua<br />

vita mortale, la divinità fu nascosta principalmente sotto il velo<br />

dell'elemento sensibile e materiale del suo corpo. È per questo che<br />

l'incarnazione fu nello stesso tempo la manifestazione plenaria di<br />

Dio nel mondo, l'epifania di Dio 2 , e il suo nascondimento. Nell'uomo-<br />

Dio, Cristo Gesù, Dio si nasconde nello stesso tempo che si manifesta<br />

3 .<br />

Non bastava ai contemporanei di Gesù di Nazareth, guardarlo,<br />

vivere magari accanto a Lui, per vedere in Lui l'uomo Dio. La divinità,<br />

che pur si manifestava in Lui in modo tanto misterioso, non<br />

1 Vedi, per esempio, la magnifica orazione per la festa di Natale nel sacramentario<br />

leoniano : « Omnipotens sempiterne Deus, qui in Domini nostri Jesu<br />

Christi filii tui nativitate tribuisti totius religionis initium perfectionemque constare;<br />

da nobis, quaesumus, in ejus portione censeri, in quo totius satutis humanae<br />

summa consisti! » (n. 1248 ed. Mohlberg. p. 159). Cristo, che appare nel<br />

mondo il giorno <strong>della</strong> sua nascita, costituisce non solo la fonte iniziale da cui<br />

deriva ogni culto accetto a Dio (religionis initium), ma anche la perfezione massima<br />

di questo culto e di ogni santificazione che Dio fa degli uomini (perfectio;<br />

summa). Per gli altri uomini si tratta solo di essere uniti a Cristo e di parte<br />

cipare alla sua pienezza (in ejus portione censeri).<br />

2 Cfr. Tt 2,11; 3.4.<br />

3 Giustamente Dionigi l'areopagita : « Nell'umanità di Cristo, il Superessenziale<br />

si è manifestato nell'essenza umana, senza pertanto cessare di essere nascosto<br />

dopo questa manifestazione, o, per esprimersi in modo più divino, in<br />

questa manifestazione stessa » (Ep. 3. PG 3, 1069 B).


292 CAP. X - LITURGIA E INCARNAZIONE<br />

poteva essere vista che dagli occhi <strong>della</strong> fede. Ai superbi, ai soddisfatti<br />

di se stessi, l'umanità di Gesù, la sua visibilità, la sua corporeità,<br />

fu uno schermo che nascose la divinità. Solo chi, mediante la<br />

.fede, seppe penetrare quello schermo, potè raggiungere la divinità,<br />

Questa fu la via oggettiva, ineluttabile, che Dio impose agli uomini<br />

per venire a Lui.<br />

Per connettere tutto questo con quanto sopra si è detto<br />

sulla centralità del mistero pasquale, basta osservare che l'incarnazione<br />

effettivamente voluta da Dio nello stesso Signore Gesù, non<br />

fu, sulla terra, un fenomeno solo statico, ma ebbe anche un aspetto<br />

dinamico: doveva evolversi, conquistare una meta.<br />

Infatti, l'unione ipostatica, perfetta, nella sua sostanza, sin dal<br />

primo istante dell'esistenza di Gesù, non ebbe dapprima sulla sua<br />

natura umana tutti gli effetti secondari connaturali. L'umanità in<br />

Cristo fu umanità sofferente, sottoposta in tutto, fuorché nel peccato,<br />

alle nostre miserie, conseguenze del primo peccato da lui volontariamente<br />

accettate, fino alla morte di croce; la divinità rimase<br />

nascosta sotto la forma del servo di Dio umiliato. Nell'ordine delle<br />

cose volute da Dio, in Cristo, la glorificazione dell'umanità, a cui<br />

aveva diritto, doveva essere conquistata attraverso le umiliazioni,<br />

la passione e la morte. Solo con la risurrezione e la seduta alla<br />

destra del Padre, l'incarnazione in Cristo avrebbe raggiunto tutti<br />

i suoi effetti, perché solo allora la divinità avrebbe talmente penetrato<br />

la sua natura umana fino a rendere glorioso anche il suo corpo<br />

dopo il superamento di ogni traccia delle conseguenze del peccato.<br />

Questa è l'incarnazione concretamente voluta da Dio, a cui<br />

Cristo avrebbe dovuto farci partecipare, comunicandoci in qualche<br />

modo il suo essere e il suo stato di Figlio di Dio incarnato, prima<br />

umiliato e paziente fino alla morte e solo poi risorto e glorioso.<br />

Questo modo, veramente sorprendente per la sapienza umana,<br />

in cui Dio ha voluto apparire nel mondo e comunicarsi all'uomo, è<br />

d'incalcolabile importanza, per capire, per così esprimerci, i modi di<br />

fare di Dio verso gli uomini e la via che essi devono tenere per arrivare<br />

a Lui. Infatti, la via dell'incarnazione per arrivare a Dio non solo<br />

fu imposta ai contemporanei di Gesù, ma è anche oggi l'unica via<br />

che conduce al Padre. È una legge. Si può dire, in qualche modo,<br />

che quello che fu l'umanità di Gesù per i suoi contemporanei, lo<br />

sono per noi anzitutto i sacramenti. Vale qui la parola di S. Leone<br />

Magno : « Quod Redemptoris conspicuum fuit in sacramenta transivit<br />

» ". Noi non possiamo andare a Dio che passando per queste<br />

cose sensibili e spirituali nello stesso tempo che sono i sacramenti,<br />

per le quali opera la virtù divina santificatrice. I sacramenti non<br />

sono solo simboli per richiamare in noi certe idee ed eccitare affetti<br />

e voleri. No; sono veramente strumenti, canali <strong>della</strong> grazia. E questa<br />

grazia che per mezzo di essi ci viene comunicata da Dio, ci trasforma<br />

realmente nell'ordine dell'essere, e non solo del conoscere<br />

4 Sermo 74,2.


INCARNAZIONE E SACRAMENTI 293<br />

e del sentire. Nell'ordine dell'essere, e quindi nell'ordine dell'agire.<br />

Sono strumenti sensibili per mezzo dei quali Dio opera in noi un<br />

essere e una vita teandrica. Questa vita non è altro che un riflesso,<br />

una derivazione e partecipazione <strong>della</strong> vita teandrica di Cristo.<br />

Anche il mondo sacramentale, anzitutto l'eucaristia, è quindi tutto<br />

costruito secondo la legge dell'incarnazione. Anche qui il divino<br />

scende nell'umano, nel sensibile stesso, per elevare l'uomo al suo<br />

modo d'essere e d'agire. Non a caso S. Tommaso dice che i sacramenti<br />

sono strumenti separati dell'uomo-Dio, come l'umanità di<br />

Cristo è lo strumento congiunto <strong>della</strong> sua divinità. E ciò che si dice<br />

dei sacramenti vale a suo modo anche dei sacramentali, con la differenza<br />

che i sacramenti operano ex opere operato e i sacramentali<br />

ex opere operantis Ecclesice. <strong>Il</strong> tutto si fonda sull'importanza che,<br />

nell'economia <strong>della</strong> salvezza, ha il corpo, anzitutto il corpo fisico<br />

di Cristo 5 .<br />

Similmente tutta quanta la Chiesa è costruita secondo la legge<br />

dell'incarnazione. Dio si comunica a noi non solo attraverso cose-sacramenti,<br />

ma anche atraverso uomini-sacramenti. Nella Chiesa, cioè, vi<br />

sono uomini che hanno, per volontà di Dio, la funzione autentica di<br />

comunicare ad altri la vita divina, di modo che a questi altri è indispensabile<br />

conservare il contatto coi primi per non essere tagliati fuori<br />

dalla corrente <strong>della</strong> vita. Questi uomini sono la gerarchia autentica <strong>della</strong><br />

Chiesa cattolica : Papa, vescovi, sacerdoti. Dobbiamo passare attraverso<br />

questi uomini per andare a Dio. Essi sono strumenti, intermediari,<br />

ben visibili e sensibili, tra noi e Dio. Sono, tra le altre cose,<br />

i possessori del sacrificio, gli amministratori dei sacramenti, i presidenti<br />

<strong>della</strong> preghiera pubblica e ufficiale <strong>della</strong> Chiesa. Ed a ciò<br />

hanno autentico mandato, sempre per volontà di Dio. Anche qui,<br />

dunque, il divino si comunica attraverso l'umano e il sensibile, e<br />

questo sensibile rende presente, manifesta il divino, e nello stesso<br />

tempo, nell'atto stesso in cui lo manifesta, lo nasconde. È l'incarnazione<br />

che arriva ad ognuno di noi individualmente.<br />

Solo nella prospettiva dell'incarnazione si comprende la Scrittura.<br />

In essa Dio ci comunica quello che Egli conosce, vuole e fa,<br />

attraverso determinati segni scritti, determinati modi di dire e di<br />

rappresentare, in una determinata lingua, di una determinata epoca,<br />

di una determinata cultura, anche molto lontana dalla nostra, servendosi<br />

di determinati uomini dei quali rispetta in tutto l'individualità.<br />

E noi per comunicare con Dio siamo legati a queste mediazioni<br />

incarnate che manifestano e nascondono la sua parola.<br />

Né si dimentichi che il divino s'incarna non solo in uomini<br />

e in cose, ma anche nel tempo, perché Dio, nel comunicarsi all'umanità<br />

rispetta l'elemento tempo. Perciò fino alla morte dell'ultimo<br />

degli Apostoli la rivelazione crebbe oggettivamente e dopo vi fu<br />

5 Vedi C. VAGAUGINI, Caro salutis est cardo: corporeità, eucaristia e <strong>liturgia</strong>,<br />

in: Miscellanea liturgica in onore di S. E. il cardinale G. Lercaro, I Desclée 1965.<br />

Sui sacramenti, strumenti separati di Cristo, vedi S. Tommaso, Summa III<br />

q 62 a 5 e.


294 CAP. X - LITURGIA E INCARNAZIONE<br />

e vi è uno sviluppo dei dogmi, un mutare <strong>della</strong> disciplina, una storia<br />

<strong>della</strong> Chiesa e delle anime. È sempre la legge dell'incarnazione. Per<br />

essa è impossibile ridurre il cristianesimo semplicemente a una filosofìa,<br />

a un'etica o a un'esperienza religiosa.<br />

Non si potrà mai insistere abbastanza su quello che abbiamo<br />

già rilevato nel concetto di storia sacra, che, cioè, il cristianesimo,<br />

prima di essere un sistema di dottrine, un'etica o un'esperienza<br />

psicologica, è un avvenimento. Qui bisogna dunque precisare che<br />

questo avvenimento si chiama anzitutto: incarnazione del Figlio<br />

di Dio; il manifestarsi di Dio sulla terra e il suo comunicarsi agli<br />

uomini nell'uomo Cristo Gesù. Chi non ha capito questo non può<br />

capire nulla di S. Paolo né di S. Giovanni. Essere cristiano significa<br />

anzitutto accettare questo avvenimento, questo fatto dell'incarnazione,<br />

con tutte le conseguenze che implica per le relazioni tra<br />

l'uomo e Dio.<br />

Ora queste conseguenze le abbiamo viste: il divino per trasformarci<br />

entitativamente, nella sfera stessa dell'essere, innalzarci a sé<br />

e fare di noi, a somiglianza di Cristo, esseri teandrici, si comunica<br />

a noi attraverso e sotto il velo di cose ben oggettive, anche sensibili<br />

e visibili: il sacrificio, i sacramenti, i sacramentali, la gerarchia<br />

umana e visibile, la Scrittura: tutte cose che sono, ognuna a suo<br />

modo, come il prolungamento dell'incarnazione e, ognuna a suo<br />

modo, mettono ogni credente, individualmente, nel succedersi dei<br />

secoli, in contatto personale con quell'avvenimento unico <strong>della</strong> storia.<br />

È attraverso queste cose, nello stesso tempo divine e umane, spirituali<br />

e sensibili, che ogni individuo, che nel corso dei secoli si<br />

presenta per breve ora sul palco <strong>della</strong> storia, può e deve inserirsi in<br />

quell'avvenimento straordinario e sempre permanente, e così vincere<br />

lo spazio e il tempo.<br />

Dio nel comunicarsi agli uomini avrebbe potuto anche scegliere<br />

un'altra via. Scegliendo liberamente quella dell'incarnazione, non<br />

ha fatto altro, in sostanza, che tener conto <strong>della</strong> natura dell'uomo<br />

e trattare l'uomo, spirito incarnato, nello stile dell'uomo.<br />

2. L'INCARNAZIONE E LA LITURGIA<br />

Con tutto questo non ci siamo allontanati dalla <strong>liturgia</strong>. È per<br />

inquadrarla nel suo vero ambiente che si è parlato dell'incarnazione.<br />

La <strong>liturgia</strong> è un caso privilegiato di questa legge. <strong>Il</strong> mondo liturgico,<br />

più di qualsiasi altro aspetto <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> Chiesa, è il mondo<br />

dell'incarnazione prolungato, reso presente e partecipato agli uomini<br />

nella santificazione che Dio fa <strong>della</strong> Chiesa e nel culto che<br />

la Chiesa rende a Dio. La <strong>liturgia</strong> è quella cosa in cui gli uomini,<br />

attraverso il velo di cose anche simboliche e sensibili: sacrificio,<br />

sacramenti, sacramentali, cerimonie e ufficio divino, nel culto ufficiale<br />

gerarchico <strong>della</strong> Chiesa, essere umano-divino, s'inseriscono


LITURGIA EPIFANIA DEL DIVINO 295<br />

nell'avvenimento dell'incarnazione del Figlio di Dio, ne partecipano<br />

e se lo appropriano, fino ad essere da esso trasformati ed elevati<br />

ad un essere e ad un agire teandrico, ad immagine di Cristo. Tutto<br />

questo va inteso in un <strong>senso</strong> strettamente realista ed oggettivo.<br />

Fuori di questa legge non si capiranno mai due caratteri essenziali<br />

e così appariscenti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>: che essa, cioè, sia come<br />

santificazione che come culto, ha un carattere anche sensibile ed<br />

esterno e che è un'azione gerarchica, regolata ufficialmente dall'autorità<br />

e presieduta da uomini ufficiali e responsabili. I due caratteri,<br />

per l'appunto, che rendono la <strong>liturgia</strong> così antipatica non solo<br />

ad ogni idealismo disincarnato, ma anche ad ogni individualismo<br />

e psicologismo antropocentrico.<br />

È per questo che nella <strong>liturgia</strong> è sempre minaccioso lo scandalo<br />

dell'incarnazione: nonne hic est filius Joseph? Proprio sotto<br />

tutta questa umanità si nasconde il divino? A questa esteriorità, a<br />

questa materialità, bisogna legare la propria libertà interiore? E<br />

cosa diviene così l'adorazione in spirito e verità? Tutta gente, chi<br />

ragiona così, che, se la cosa fosse dipesa da essa, non avrebbe certo<br />

scelto la via dell'incarnazione per redimere il mondo, e, comunque,<br />

non quella dell'incarnazione nella forma servi, per cui Dio apparì<br />

sulla terra in similitudinem nominimi factus et habitu inventus<br />

ut homo.<br />

Cristo stesso, la cui umanità era pur un velo trasparentissimo<br />

attraverso il quale, agli occhi <strong>della</strong> fede, risplendeva la divinità,<br />

non impedì che quella stessa sua umanità fosse a molti pietra di<br />

scandalo. Tanto più sarà inevitabile che l'esteriorità e l'umanità<br />

nella <strong>liturgia</strong>, attuata da uomini cattivi conduttori del divino, riesca<br />

d'inciampo e di scandalo a molti. All'indirizzo di quei ministri del<br />

Santuario che nell'azione liturgica, invece di facilitare quanto possono<br />

il compito, già così diffìcile, <strong>della</strong> fede dei credenti, non fanno<br />

che aggravarlo con la loro negligenza, grossolanità e mancanza di<br />

consapevolezza <strong>della</strong> parte che a loro spetta nella casa di Dio; a<br />

quei tali ministri si potrebbe ripetere la parola di Gesù: necesse<br />

est enim ut veniant scandala; verumtamen vae homini UH, per quem<br />

scandalum venit.<br />

Ma la <strong>liturgia</strong>, come Cristo stesso, può ripetere il suo : beatus<br />

qui non fuerit scandalizatus in me. Chi, guardandola e vivendola,<br />

riesce a superare lo scandalo dell'incarnazione, scopre la vita et<br />

hauriet salutem a Domino. Perché la <strong>liturgia</strong>, come la Chiesa stessa<br />

e i sacramenti che in essa si attuano, è la continua epifania incarnata<br />

di Cristo, come Cristo sulla terra era, agli occhi <strong>della</strong> fede, l'epifania<br />

incarnata di Dio. In essa, più che in altre manifestazioni <strong>della</strong> Chiesa,<br />

gli occhi del credente, una volta superato l'inciampo dell'esteriorità<br />

e <strong>della</strong> materialità e lo scandalo dell'incarnazione, contemplano l'epifania<br />

del nostro grande Dio e Salvatore Cristo *, che il credente nella<br />

<strong>liturgia</strong>, a suo modo, vede, ascolta e tocca. Questo credente, uscito<br />

e Cfr. Tt 2,11-13; 3-4.


296 CAP. X - LITURGIA E INCARNAZIONE<br />

dalla <strong>liturgia</strong>, principalmente dalla messa, può fare proprie, in qualche<br />

modo realissimo, le parole di S. Giovanni : « Quello che abbiamo<br />

veduto con gli occhi nostri 7 , quel che abbiamo contemplato e che<br />

le nostre mani hanno toccato del verbo di vita 8 , e la vita si è manifestata,<br />

e noi l'abbiamo veduta e l'attestiamo e vi annunziamo la<br />

vita eterna, che era presso il Padre ed è apparsa tra noi, quello, dico,<br />

che abbiam veduto e udito, lo annunziamo a voi, affinché pur voi<br />

abbiate società con noi e la società nostra sia col Padre e col Figlio<br />

suo Gesù Cristo. E questo vi scriviamo, affinché ne godiate e il gaudio<br />

vostro sia pieno » 9 .<br />

Queste idee sono state autenticate con magnifica forza dal concilio<br />

vaticano II là dove, ponendosi nella prospettiva dell'incarnazione,<br />

fa vedere la <strong>liturgia</strong> come il luogo per eccellenza in cui i fedeli<br />

possono vitalmente sperimentare il mistero di Cristo e la genuina<br />

natura <strong>della</strong> Chiesa, nonché un'epifania eminente, anzi l'epifania<br />

principale ,0 <strong>della</strong> natura <strong>della</strong> Chiesa. Appunto perché il mistero di<br />

Cristo è, in riassunto, il mistero del Figlio di Dio incarnato, morto<br />

e risuscitato, e la genuina natura <strong>della</strong> Chiesa consiste anzitutto nella<br />

« caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile<br />

ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla<br />

contemplazione, presente nel mondo, e, tuttavia, pellegrina; e tutto<br />

questo in modo che ciò che in lei è umano sia ordinato e subordinato<br />

al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la<br />

realtà presente alla futura città verso la quale siamo incamminati » ".<br />

È appunto il teandrismo dell'incarnazione che nessuna altra<br />

cosa, nella Chiesa, fa vivere ed è atta a manifestare quanto la <strong>liturgia</strong>.<br />

Per cui — continua il testo — « in tal modo la <strong>liturgia</strong>, mentre<br />

ogni giorno edifica, quelli che sono nella Chiesa, in tempio santo nel<br />

Signore, in abitazione di Dio nello Spirito fino a raggiungere la misura<br />

<strong>della</strong> pienezza di Cristo, nello stesso tempo e in modo mirabile<br />

irrobustisce le loro forze perché possano predicare Cristo; e così,<br />

a coloro che sono fuori, mostra la Chiesa come vessillo innalzato sui<br />

popoli, sotto il quale i dispersi figli di Dio possano raccogliersi, finché<br />

si faccia un solo ovile e un solo pastore ».<br />

Questo incarnazionismo <strong>della</strong> concezione cattolica del mondo,<br />

così caratteristicamente espresso nella <strong>liturgia</strong>, rappresenta anche<br />

il punto in cui cattolicesimo e protestantesimo si separano forse più<br />

profondamente. Nella profonda psicologia di ogni protestantesimo<br />

logico con se stesso vi è, infatti un misconoscimento <strong>della</strong> portata<br />

integrale <strong>della</strong> legge dell'incarnazione. Perché alla radice del pro-<br />

7 La <strong>liturgia</strong> greca, dopo la comunione dei fedeli, canta ordinariamente<br />

un'antifona che comincia : « Abbiamo visto la luce vera, abbiamo ricevuto „o<br />

spirito celeste... ».<br />

8 Anticamente ogni fedele poteva dirlo letteralmente, dopo la comunione<br />

nella messa, per la quale riceveva il pane consacrato nelle proprie mani. Cfr.<br />

J. A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, ed. ital. II pp. 284-86.<br />

° 1 Gv 1,1-4.<br />

Cfr. CL art. 41.<br />

" Ibid. art. 2.


INCARNAZIONE E PROTESTANTESIMO 297<br />

testantesimo vi è il rifiuto contraddittorio di accettare qualsiasi intermediario<br />

umano da cui l'anima dipenda in modo essenziale nelle<br />

sue relazioni individuali con Dio. Come se accettare la bibbia come<br />

parola di Dio e norma oggettiva di fede (a meno di svuotarne il<br />

significato in <strong>senso</strong> puramente soggettivista) non implicasse già accettare<br />

tale intermediario. E simili intermediari furono e sono per<br />

ogni credente gli Apostoli. E specialmente come se l'umanità in<br />

Cristo uomo-Dio non fosse appunto, per tutti gli uomini, in virtù<br />

dell'incarnazione stessa, un tale intermediario essenziale di cui,<br />

per volontà di Dio, nessun individuo, dopo il peccato di Adamo, ha<br />

potuto, può o potrà mai fare a meno; e come se, per la stessa volontà<br />

di Dio e l'istituzione positiva di Cristo, la legge che regge ora<br />

i rapporti tra gli individui e Dio, non fosse quella stessa legge dell'incarnazione<br />

da cui dipendevano i rapporti dei contemporanei di<br />

Cristo con Dio. È per questo che ogni protestantesimo, logicamente<br />

sviluppato, è profondamente antiliturgico e che, nel suo seno, ogni<br />

reviviscenza di spirito liturgico è riawicinamento alla tradizione<br />

cattolica, perché ogni reviviscenza dello spirito liturgico è reviviscenza<br />

dello spirito dell'incarnazione.


CAPITOLO XI<br />

LA LITURGÌA E LA LEGGE<br />

DELL'UNITOTALITÀ COSMICA DEL REGNO DI DIO:<br />

I. • LITURGIA, UOMO E MONDO INFRAUMANO<br />

Con la legge che chiamo dell'unitotalità cosmica del regno di<br />

Dio, intendo affermare il fatto che, nell'ordine delle cose voluto<br />

effettivamente,da Lui, l'uomo, nella totalità <strong>della</strong> sua struttura fisica,<br />

psichica, spirituale, individuale e sociale, la creatura infraumana,<br />

il mondo angelico, sono stati ordinati, ognuno a suo modo, in una<br />

unità organica — nella salvaguardia però delle possibilità e delle<br />

caratteristiche di ogni essere — a un fine unico comune: il regno<br />

di Dio da raggiungersi nella Gerusalemme celeste. Questo regno in tal<br />

maniera ha il carattere e le dimensioni di un'unitotalità cosmica<br />

estensiva ed intensiva che abbraccia il tutto di tutte le creature,<br />

ordinate al fine comune organicamente e perciò con una certa solidarietà<br />

e interdipendenza reciproca, in un'unica sinfonia universale<br />

l .<br />

Alla luce di questa legge, non ci meraviglieremo di costatare<br />

che anche nella <strong>liturgia</strong> il cosmo intero appare attualizzato culticamente<br />

come unitotalità. Questo ci farà comprendere un gran numero<br />

di tratti particolari caratteristici <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, i quali possono<br />

essere considerati come manifestazioni particolari di quella legge<br />

generale che trova in essa un'attuazione già notevolmente perfetta,<br />

quanto lo permette il nostro stato quaggiù.<br />

1. LA LITURGIA<br />

E L'ATTUALIZZAZIONE PLENARIA DI TUTTO L'UOMO<br />

La rivelazione considera l'uomo come un'unità sostanziale<br />

Secondo la rivelazione, tutto l'uomo, plenariamente, come unità<br />

viva, in tutti gli aspetti <strong>della</strong> sua sostanza e <strong>della</strong> sua vita fisica, psi-<br />

1 I dannati, angeli e uomini, che, contro la volontà di Dio, non raggiungono<br />

di fatto il fine a cui furono destinati, si sottraggono ai piani <strong>della</strong> misericordia<br />

di Dio, ma non sfuggono alla sua giustizia.


IL CORPO NEL CRISTIANESIMO 299<br />

chica e spirituale, è ordinato alla vita divina da raggiungersi nella<br />

Gerusalemme celeste. Ha qui particolare importanza il dogma dell'unità<br />

sostanziale dell'uomo come essere nello stesso tempo corporeo<br />

e spirituale, le cui singole parti, corpo e anima non sono per<br />

sé stanti ed operanti, ma solo parti di un tutto per sé stante ed<br />

operante 2 .<br />

Per il dogma, è questo composto sostanziale, nell'unità del suo<br />

essere, che è il soggetto concreto, costante e totale degli interventi<br />

di Dio e dello sviluppo <strong>della</strong> vita divina in noi : creazione, elevazione,<br />

caduta, redenzióne, lenta e penosa ascensione a Dio nello sforzo di<br />

purificazione e ascesi per cooperare alla sua grazia, e, finalmente,<br />

nello stato di ultima perfezione a cui tutti agogniamo in speranza.<br />

In questo svolgimento <strong>della</strong> nostra storia sacra e in ognuno dei<br />

suoi singoli momenti, il corpo, non meno dell'anima, a suo modo,<br />

è investito, agisce e coopera nell'unità sostanziale del tutto. Quindi<br />

sono investite e cooperano, ognuna a suo modo, non solo le facoltà<br />

psichiche, ma anche quelle fisiche; e, tra le facoltà psichiche, sono<br />

investite e cooperano non solo quelle spirituali: intelletto e volontà,<br />

ma anche quelle sensitive: sensi esterni ed interni, passioni ed<br />

affetti.<br />

È pure alla luce di questa dottrina che vanno considerati i<br />

dogmi dell'incarnazione, <strong>della</strong> risurrezione <strong>della</strong> carne e quelli che<br />

riguardano la prassi ascetica nel cattolicesimo. <strong>Il</strong> Verbo, volendo<br />

salvare l'uomo, non assunse, nell'unione ipostatica <strong>della</strong> sua persona<br />

divina, soltanto un'anima umana, né solo un corpo umano<br />

ma « si fece uomo », assunse, cioè, l'integra natura umana nell'unità<br />

sostanziale del corpo e dell'anima: uomo perfetto, non meno che<br />

perfetto Dio.<br />

Nell'uomo stesso, solo allora la beatitudine e la redenzione raggiungeranno<br />

il loro termine perfetto, quando la vita divina trasformerà,<br />

senza annientarlo, l'uomo integro, anima e corpo, nell'unità<br />

sostanziale del suo essere. È di qui che si comprende la<br />

somma ragionevolezza e convenienza <strong>della</strong> risurrezione dei corpi.<br />

Ed è in questa precisa prospettiva che gli antichi Padri <strong>della</strong> Chiesa<br />

difendevano questo dogma contro i pagani che avevano tanta difficoltà<br />

ad ammetterlo 3 .<br />

Di qui pure si capisce la lotta che la Chiesa ha sempre condotto<br />

contro ogni ascetismo che avesse per fondamento il concetto<br />

che la materia, e il corpo in specie, sia qualcosa in se stessa cattiva 4 .<br />

Da questo punto di vista, niente di più estraneo alla profonda mentalità<br />

cattolica, dello spiritualismo disincarnato <strong>della</strong> tradizione orfica,<br />

platonica, neoplatonica, con la sua fortissima tendenza a ridurre<br />

2 Si sa che si chiama appunto unione sostanziale un'unione nella quale le<br />

singole parti componenti non sono, nell'essere e nell'agire, un tutto per sé stante<br />

ed operante, ma solo parti di un tutto per sé stante ed operante.<br />

3 Così, per esempio, GIUSTINO, De resurrect. frag. 8; ATENAGORA,- De resurrectione<br />

mortuorum 15; IRENEO, Haer. V 6; TERTULLIANO, De resurrectione carnis 53.<br />

4 Vedi, per esempio, CLEMENTE ALESS., Strom. libro HI per intero.


300 CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

tutto l'uomo all'anima umana, e dunque a pura interiorità; a considerare<br />

il corpo, per la sua stessa materialità, come prigione e<br />

tomba dell'anima, e i sensi, come catene che non servono ad altro<br />

che ad impedire all'anima il libero volo verso la pura spiritualità<br />

natia.<br />

Nella storia delle teorie e <strong>della</strong> prassi ascetica, più d'un dottore<br />

privato si è talvolta lasciato soverchiamente abbagliare da quello<br />

che simile mentalità poteva aver di stimolante per una perfetta<br />

vita cristiana, che deve pur sempre distaccarsi dalle cose di quaggiù<br />

e tendere alle realtà superne.<br />

Ma, nella visione cattolica del mondo, in questa tensione verso<br />

l'alto, il corpo deve essere considerato come soggetto e strumento,<br />

e non già come nemico nato. Soggetto e strumento che deve conservare<br />

tuttavia la parte che per natura gli spetta al servizio del<br />

bene superiore del tutto. Ogni tendenza a rompere l'equilibrio e<br />

l'unità e a fare del corpo il beneficiario totale di tutto l'agire umano,<br />

dovrà dunque essere repressa nella mortificazione e nell'ascesi. Ma,<br />

nella visione cattolica del mondo, la mortificazione del corpo e dei<br />

sensi e il desiderio stesso <strong>della</strong> morte non è che un mezzo momentaneo<br />

per mantenere la parte al servizio del tutto e che, in fin<br />

dei conti, ridonderà a beneficio del corpo stesso nella risurrezione<br />

gloriosa. La mortificazione cristiana del corpo e dei sensi è dunque,<br />

in fondo, in vista <strong>della</strong> loro vera e perpetua vivificazione. Non si<br />

tratta mai di abolire il corpo e i sensi, ma di servirsene, quali malleabili<br />

e flessibili strumenti, al servizio <strong>della</strong> vita divina in noi.<br />

Agostino stesso, nei primi tempi <strong>della</strong> sua conversione, ancora<br />

nell'euforia dello spiritualismo neoplatonico, non si accorgeva bene<br />

come lo spiritualismo di questa filosofia, d'apparenza molto religiosa,<br />

fosse lontano dallo spiritualismo cristiano che insegna l'incarnazione<br />

e la risurrezione dei corpi. Ma, acuitosi in lui il <strong>senso</strong> cattolico,<br />

nel Cristo scoprì finalmente l'uomo; nell'uomo il corpo e i sensi e<br />

nella Chiesa i sacramenti e la <strong>liturgia</strong>. Più d'una volta, più tardi, mise<br />

espressamente in guardia i suoi lettori contro le imprecisioni del<br />

suo primo pensiero in questa materia. « Mi dispiace anche — diceva<br />

a proposito del suo libro De beata vita — di aver detto che, in questa<br />

vita, la beatitudine abita solo nell'animo del sapiente, poco importa<br />

come stia il suo corpo. Mentre l'Apostolo spera la perfetta conoscenza<br />

di Dio, cioè la massima che l'uomo possa avere, nella vita<br />

futura, che sola deve essere detta vita beata, e che in quella anche<br />

il corpo, incorruttibile e immortale, senza molestia e riluttanza, sarà<br />

suddito al suo spirito » 5 . Altrove spiega esattamente quale sia la<br />

differenza tra il disprezzo del corpo e dei sensi praticato dai filosofi<br />

e quello praticato dai cristiani ed anzitutto dai martiri : « Molto prudentemente,<br />

dunque, i martiri non disprezzarono i loro corpi. Perversa<br />

e mondana è simile filosofia: di coloro che non credono alla<br />

risurrezione dei corpi. Si credono grandi disprezzatori del corpo,<br />

5 Retract. I 2. Vedi anche I 4,3.


LITURGIA E CORPO 301<br />

perché considerano i corpi come carceri nelle quali credono che<br />

siano state rinchiuse le anime per aver peccato in un luogo premondano.<br />

Ma il nostro Dio ha fatto il corpo e lo spirito; è creatore dell'uno<br />

e dell'altro ed è dell'uno e dell'altro redentore; dell'uno e dell'altro<br />

autore, dell'uno e dell'altro riparatore. I martiri, dunque,<br />

non disprezzarono o perseguitarono la carne come nemica. Nessuno,<br />

infatti, ha mai odiato la sua carne. Anzi ne presero cura quando<br />

proprio sembravano negligerla. Quando, ancora nella carne, ma<br />

nella fede, sopportavano i tormenti temporali, procacciavano eterna<br />

gloria anche alla stessa carne » 6 . Ho rilevato il caso d'Agostino,<br />

perché, credo, la tentazione neoplatonica è tutt'altro che irreale,<br />

anche oggi.<br />

Si aggiunga ancora che, secondo la rivelazione, la vita divina<br />

non solo interessa tutto l'uomo, corpo e anima e tutta la sua psicologia<br />

integrale, ma anche santifica tutte le sue attività per sé oneste,<br />

in specie la sua attività creativa estetica, il suo lavoro per sottomettersi<br />

il mondo nella tecnica e organizzarlo ai fini <strong>della</strong> vita umana.<br />

<strong>Il</strong> « prolificate e moltiplicatevi e popolate la terra e sottomettetela<br />

» (Gw 1,28) contiene in germe la giustificazione e la possibilità<br />

di santificazione di tutte queste attività, sia individuali, sia sociali,<br />

nelle quali l'uomo è cooperatore di Dio nell'opera <strong>della</strong> creazione<br />

e dell'organizzazione del mondo 7<br />

Insomma, nella visione cattolica del mondo, è l'uomo tutto intero,<br />

vivo e concreto, nella pienezza ed unità sostanziale del suo<br />

essere corporeo, psichico e spirituale, individuale e sociale che deve<br />

essere attualizzato dalla vita divina ed inserito così nel regno di Dio.<br />

La <strong>liturgia</strong> fa lo stesso: anima e corpo<br />

Non altrove va ricercato l'ultimo motivo perché è appunto in<br />

questa precisa visuale di unitotalità plenaria che la <strong>liturgia</strong> considera<br />

l'uomo e lo attualizza, a suo modo, nell'unità concreta del suo<br />

essere polivalente: come individuo e come essere sociale; corpo e<br />

anima; con tutte le sue facoltà e tutte le sue attività ordinate, nell'unità<br />

organica dell'insieme, al fine unico <strong>della</strong> santificazione da<br />

ricevere da Dio e del culto da rendergli sotto il velo dei segni sensibili.<br />

È facile rilevare come nella <strong>liturgia</strong> non è solo l'anima del fedele<br />

ma tutto il fedele concreto, nell'unità sostanziale del suo essere:<br />

anima e corpo, che è santificato da Dio, a Lui consacrato e che a<br />

Lui rende il suo culto. Perciò in essa tanto il corpo che l'anima sono<br />

attori e beneficiari, ognuno secondo le proprie esigenze e possibi-<br />

e Sermo 277 n. 3.<br />

7 E il fondamento di quella che oggi si chiama la teologia del lavoro, <strong>della</strong><br />

tecnica, e in genere, delle realtà terrestri. Vedi, per esempio, G. THILS, Théologie<br />

des réalités terrestres, 2 voli. Paris 1946-49; M. D. CHENU, Pour une théologie du<br />

travati, Paris 1955.


302 CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

lità, nell'unità sostanziale dell'essere umano. È per questo che, nella<br />

<strong>liturgia</strong>, è richiesta sia dai fedeli che dalla gerarchia, non solo<br />

la sintonia interna dell'anima all'azione che si compie — senza un<br />

certo grado di questa sintonia, la partecipazione ai riti non avrebbe<br />

nessun frutto di salvezza — ma anche, a suo modo, la sintonia dello<br />

stesso corpo.<br />

Questa sintonia del corpo esige, anzitutto, la presenza corporale<br />

all'azione liturgica in un luogo e in un tempo determinato. Si<br />

spiega così, tra le altre cose, la legge <strong>della</strong> presenza corporale per<br />

soddisfare all'obbligo dell'assistenza alla messa 3 . Essa esige, secondariamente<br />

e connaturalmente, la conformazione dei vari atteggiamenti<br />

corporei a ciò che è suggerito ad ogni momento dell'azione<br />

liturgica: o dal <strong>senso</strong> connaturale delle cose e dei sentimenti espressi,<br />

o dagli usi ricevuti nella Chiesa e nella società e imposti da apposite<br />

prescrizioni di natura rubricale e cerimoniale. È quindi nella<br />

legge del carattere cosmico plenario <strong>della</strong> salvezza che, da ultimo,<br />

si trova la giustificazione delle cerimonie e delle rubriche che impongono<br />

ai ministri e ai fedeli determinati atteggiamenti corporei<br />

nei vari momenti dell'azione liturgica: come genuflessioni, prostrazioni,<br />

inchini, stare in piedi, battersi il petto, alzare gli occhi,<br />

giungere o alzare le mani. È tutto l'uomo che deve sintonizzarsi all'azione<br />

liturgica; la sintonia del corpo è comparte sostanziale <strong>della</strong><br />

sintonia dell'uomo, nello stesso modo che il corpo è, assieme all'anima,<br />

comparte sostanziale dell'uomo. Del resto, secondo le leggi<br />

<strong>della</strong> psicologia, corpo e anima esercitano a vicenda un'azione reciproca,<br />

perché l'atteggiamento corporeo è connaturale espressione<br />

dell'atteggiamento interno dell'anima quando questo già esiste, ed<br />

è, a sua volta, incitamento all'atteggiamento interno dell'anima quando<br />

questo non si è ancora prodotto, o lo rafforza se è già presente.<br />

<strong>Il</strong> fatto che l'atteggiamento esterno corporeo possa essere a<br />

suo modo generatore del sentimento corrispondente nell'anima,<br />

spiega perché non si tratta affatto d'ipocrisia se il fedele si sottomette<br />

a questi atteggiamenti esterni corporei anche se la sua anima<br />

non è ancora compresa dal sentimento interno con cui sono in relazione.<br />

In questo caso, la volontà, più o meno riflessivamente, impone<br />

al corpo un determinato atteggiamento in vista di creare la<br />

corrispondente sintonia in tutta l'anima. Purché vi sia sempre la<br />

predetta volontà, almeno virtuale, non vi è assolutamente nulla di<br />

reprensibile in questo modo di fare.<br />

Ecco perché nella <strong>liturgia</strong>, e in specie nella messa, la parte che,<br />

come attore, vi prende il corpo nei suoi diversi atteggiamenti fisici,<br />

è così rilevante e oggetto di attentissima cura.<br />

Ma nella <strong>liturgia</strong>, e in specie nella messa, il corpo non è soltanto<br />

coattore essenziale, ma anche coessenziale beneficiario. Voglio dire<br />

che in questi sacri riti vi è continua preoccupazione <strong>della</strong> « salute »,<br />

8 L'anomalia del matrimonio per procura sembra provenire dal fatto che<br />

la benedizione nuziale non è il sacramento del matrimonio, ma che questo è<br />

un contratto che consiste solo nel con<strong>senso</strong> degli sposi.


LITURGIA E CORPO 303<br />

o salvezza soprannaturale, non solo dell'anima ma anche del corpo;<br />

sebbene, come è naturale, il corpo non venga mai considerato separatamente<br />

dall'anima o in disarmonia col fine totale e supremo di<br />

tutto l'uomo.<br />

Che la « salute » del corpo che ci fa chiedere la <strong>liturgia</strong> sia<br />

sempre intesa in armonia col fine totale, che, a sua volta, può richiedere,<br />

anzi richiede sempre in una certa misura, la sua mortificazione,<br />

lo dimostra, per esempio, la <strong>liturgia</strong> penitenziale <strong>della</strong> quaresima.<br />

Ma che nello stesso tempo la <strong>liturgia</strong> si preoccupi sinceramente di<br />

ottenere da Dio la salute e la salvezza anche del corpo nei predetti<br />

limiti del fine superiore e del termine finale dell'uomo, lo dimostrano<br />

nella <strong>liturgia</strong> romana i numerosi postcommunio nei quali, sullo<br />

sfondo del concetto generale, biblico e tradizionale, dell'eucaristia<br />

come farmaco d'incorruttibilità e d'immortalità anche corporale, si<br />

chiede che Dio si degni di estendere anche al nostro corpo gli effetti<br />

<strong>della</strong> sua redenzione. L'idea è magistralmente espressa e compendiata<br />

nel postcommunio <strong>della</strong> Domenica XI dopo Pentecoste:<br />

« Sentiamus, quaesumus Domine, tui perceptione sacramenti, subsidium<br />

mentis et corporis: ut, in utroque salvati, coelestis remedii<br />

plenitudine gloriemur » 9 . E tante altre volte la <strong>liturgia</strong> chiede espressamente<br />

che la "partecipazione al sacrificio sia « riparazione <strong>della</strong><br />

mente e del corpo » 10 ; « salute <strong>della</strong> mente e del corpo » n ; « salvezza<br />

<strong>della</strong> mente e del corpo » ,2 ; « rimedio e difesa <strong>della</strong> mente<br />

e del corpo » 13 . E noto che il sacramento dell'unzione dei malati<br />

ha per fine secondario la salute corporale, se così a Dio piace u .<br />

Esistono pure in tutte le liturgie, sia storiche che attuali, orazioni<br />

e messe per gli infermi ", nonché numerose unzioni e benedizioni<br />

per i malati e diverse specie di malattie ie . Non meno eloquente<br />

testimonianza <strong>della</strong> cura che la <strong>liturgia</strong> prende del corpo, sono i<br />

riti delle esequie dei defunti. Finalmente, la risurrezione finale nella<br />

gloria è sempre lo sfondo ultimo <strong>della</strong> nostra storia sacra che sta<br />

dinanzi agli occhi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Questo rispetto e questa cura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> per il corpo in<br />

genere, investe, in modo speciale, anche i sensi umani. Mi accontento<br />

di portare qui, come prova, la santificazione dei sensi come<br />

avviene nella <strong>liturgia</strong> romana nei riti attuali del battesimo e <strong>della</strong><br />

9 Fa', o Signore, te ne preghiamo, che, mediante la partecipazione al tuo<br />

sacramento, noi sperimentiamo l'aiuto per l'anima e per il corpo; affinché, salvi<br />

nell'una e nell'altro, ci gloriamo <strong>della</strong> pienezza del celeste rimedio.<br />

10 Reparatio..., Poste, <strong>della</strong> Dotti. Vili dopo Petit.; Auxilium... Poste, <strong>della</strong><br />

Doni. XVI dopo Petit.<br />

11 Sanitas..., Segr. Feria IV dopo la IV Dotti, di Quar.<br />

12 Salvano..., Poste. Orationes diversae n. 19.<br />

13 Tutamentum..., Canone <strong>della</strong> messa romana, terza orazione del sac. prima<br />

<strong>della</strong> comunione.<br />

14 Vedi il Rituale romano, Titulus VI caput 2 n. 12 i tre oremus finali.<br />

15 Vedi, per es., GELASIANO, ed. Mohlberg n. 153543 pp. 221-222. Nel messale<br />

romano odierno, tra le messe votive per circostanze diverse.<br />

io Vedi, per es., nel Rituale romano odierno. Titolo IX cap. IV n. 6; 7; 8<br />

e la benedizione di S. Biagio il giorno <strong>della</strong> sua festa, Titolo IX cap. <strong>Il</strong>i n. 7.


304 CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

unzione degli infermi : il primo e l'ultimo intervento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella<br />

vita dell'uomo.<br />

L'attuale ordine del battesimo degli adulti, secondo un bellissimo<br />

uso di tipo gallicano e orientale, sviluppa assai l'antico rito<br />

con cui il catecumeno veniva segnato sulla fronte con il segno <strong>della</strong><br />

croce, facendo compiere questa signatio crucis su tutti i suoi sensi.<br />

Così si esprime il rituale: « <strong>Il</strong> sacerdote, con il pollice, segna l'eletto<br />

sulla fronte dicendo: "Ti segno la fronte affinché tu riceva la^croce<br />

del Signore". Sulle orecchie: "Ti segno le orecchie affinché tu ascolti<br />

i divini precetti". Sugli occhi: "Ti segno gli occhi affinché tu veda<br />

la luce di Dio". Sulle narici: "Ti segno le narici affinché tu senta<br />

l'odore <strong>della</strong> soavità di Cristo". Sulla bocca: "Ti segno la bocca<br />

affinché tu proferisca parole di vita". Sul petto: "Ti segno il petto<br />

affinché tu creda in Dio". Sulle spalle: "Ti segno le spalle affinché<br />

tu riceva il giogo <strong>della</strong> sua servitù". Su tutto il corpo, senza toccarlo,<br />

traccia il segno <strong>della</strong> croce e dice : "Ti segno tutto nel nome del<br />

Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo, affinché tu conseguisca la<br />

vita eterna e viva nei secoli dei secoli. Amen" » ". È evidente che il<br />

rito ha il significato di una santificazione anche di tutti i sensi che<br />

tanta parte dovranno avere nell'opera <strong>della</strong> santificazione e del servizio<br />

di Dio che il battezzando sta per cominciare nella vita cristiana.<br />

È logico, dunque, che nel sacramento dell'unzione degli infermi,<br />

sia prescritto, nell'attuale rito romano e già nel Pontificale dei Papi<br />

del secolo XIII, di fare le unzioni sacramentali sui cinque sensi dello<br />

stesso cristiano arrivato al termine di questa vita : « Per questa<br />

santa unzione e la sua piissima misericordia, il Signore ti perdoni tutto<br />

quanto hai peccato per gli occhi. Amen... Per l'udito. Amen... Per<br />

l'odorato. Amen... Per il gusto e la parola. Amen... Per il tatto.<br />

Amen » 1S .<br />

Si vede in tutto questo quanto la <strong>liturgia</strong> sia efficace espressione<br />

del dogma cattolico nel respingere qualsiasi spiritualismo disincarnato<br />

di sapore neoplatonico o gnostico che sia. Tertulliano, con la<br />

sua abituale lapidarietà di stile, l'aveva già egregiamente notato:<br />

« La carne è il cardine <strong>della</strong> salvezza. Nel processo di questa salvezza,<br />

quando l'anima è unita a Dio, è essa che fa sì che possa esserlo.<br />

Cioè: la carne è lavata affinché l'anima sia mondata; la carne<br />

è unta affinché l'anima sia consacrata; la carne è segnata di sigillo<br />

affinché l'anima sia munita; la carne è coperta dell'ombra nella<br />

imposizione delle mani affinché anche l'anima sia illuminata dallo<br />

Spirito; la carne è cibata del corpo e del sangue di Cristo affinché<br />

anche l'anima sia nutrita di Dio. Non si possono dunque separare<br />

nella ricompensa i due elementi che una stessa opera congiunge » 19 .<br />

17 Rituale romano odierno del battesimo degli adulti n. 11.<br />

18 Rituale n. 8; 9. L'unzione sui piedi può essere omessa per qualsiasi ragionevole<br />

motivo.<br />

19 De resurrectione carnis 8: «Caro salutis est cardo. De qua cum anima<br />

Deo alligatur, ipsa est quae efficit ut alligari possit. Scilicet caro abluitur, ut<br />

anima emaculetur; caro ungitur ut anima consecretur; caro signatur ut anima<br />

muniatur; caro manus impositione adumbratur, ut et anima illuminetur; caro


LITURGIA E FACOLTÀ PSICOLOGICHE 305<br />

Attualizzazione armonica di tutte le facoltà psicologiche<br />

Facciamo ancora un passo avanti. La <strong>liturgia</strong>, e in specie la<br />

messa — considerando come prototipo connaturale la messa solenne<br />

cantata, anzi, possibilmente, la messa pontificale — nel mettere<br />

in moto tutte le diverse facoltà psicologiche dell'uomo, ha un<br />

equilibrio tutto suo e non di rado assai diverso, come pare, da<br />

quello che viene realizzato in altre forme di pietà o in altri metodi<br />

di orazione e di meditazione.<br />

È impossibile non riconoscere che la <strong>liturgia</strong>, anzitutto nella<br />

messa, si preoccupi di attualizzare e di tener desta, durante tutta<br />

la durata dell'azione cultica, l'intera vita psicologica <strong>della</strong> comunità<br />

presente, sia nella parte conoscitiva: sensi esterni, specialmente<br />

udito e occhio, immaginazione, intelligenza; sia nella parte affettiva:<br />

sentimenti e volontà. <strong>Il</strong> genio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> indirizzandosi direttamente<br />

a tutta l'assemblea, e somministrando una base che<br />

valga ad attualizzare la vita religiosa di tutti, è di non lasciare mai<br />

a lungo inattive queste diverse facoltà dell'uomo, ma di metterle<br />

tutte, dolcemente e variamente, in moto, come una totalità fisicopsichica.<br />

Così la <strong>liturgia</strong> si presenta anzitutto come un'azione sacra,<br />

fisico-psichica, in continuo svolgimento, e non già, in primo luogo,<br />

come una meditazione. Questo almeno, se per meditazione s'intende<br />

un esercizio individuale intorno a Dio, ai nostri rapporti<br />

con Dio e alle cose sacre, per concentrarsi solo interiormente sopra<br />

di esse. Tanto più se a quest'esercizio s'intendesse assegnare per<br />

scopo di ottenere, almeno per grazia, la sospensione dell'attività<br />

fìsica esterna delle facoltà assieme alla loro attività psichica distinta<br />

e discorsiva, per concentrarle unicamente in un semplice intuito<br />

interiore delle cose divine. La <strong>liturgia</strong> si presenta in primo luogo<br />

come un ògcóftevov molto più che un •&ecoQovfisyov o una &e(OQÌa<br />

direbbero gli antichi. I momenti aventi direttamente un fine meditativo,<br />

nel <strong>senso</strong> predetto, sono rarissimi, se pur esistono, nella <strong>liturgia</strong><br />

attuale.<br />

Nella <strong>liturgia</strong> romana antica, nella sinassi <strong>della</strong> prima parte<br />

<strong>della</strong> messa, c'erano istanti in cui popolo e gerarchia, invitati a<br />

ciò dal diacono: flectamus genua, stavano in silenzio meditativo<br />

e in preghiera privata per un intervallo di tempo, comunque non<br />

troppo lungo, interrotto nuovamente dall'invito dello stesso diacono:<br />

alzatevi, e dalla preghiera comune ad alta voce del sacerdote:<br />

oremus. Ma le intenzioni di quella preghiera privata erano<br />

suggerite antecedentemente a tutta l'assemblea dallo stesso sacer-<br />

corpore et sanguine Chrìsti vescitur, ut et anima Deo saginetur. Non possunt<br />

ergo separati in mercede quas opera congiungit ». Già Ireneo, contro la tesi<br />

gnostica che affermava : « La salvezza... essere cosa che spetterà solo alle anime<br />

e che il corpo... essendo ricavato dalla terra, non può partecipare alla salvezza »<br />

{Haer. I 27, 3), difende fortemente la dottrina che : « la carne partecipa alla vita »<br />

(Haer. V 4, 3).


306 CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

dote: Preghiamo per la Chiesa di Dio...; preghiamo per il beatissimo<br />

Pontefice nostro... per i presbiteri, diaconi... per l'imperatore...<br />

per i catecumeni, e via dicendo. Ancor oggi, si può vedere questo<br />

tipo di preghiera liturgica nella sinassi del Venerdì Santo.<br />

Altra traccia si ha liei flectamus genua e nel levate che nelle messe<br />

delle quattro tempora, eccetto quelle di Pentecoste, precedono gli<br />

oremus. Ma oggi il levate segue quasi subito il flectamus genua<br />

e tra l'uno e l'altro non c'è più preghiera privata. Anticamente, nell'ufficio<br />

divino monastico, tra la recitazione dei salmi, vi sono stati<br />

talvolta momenti più o meno prolungati di preghiera privata in silenzio.<br />

Comunque, nella messa propriamente detta, nella messa<br />

dei fedeli, nessuna seria traccia di simili momenti sospensivi ufficiali<br />

di preghiera e di meditazione privata 20 . La messa è l'azione<br />

sacra per eccellenza; 9 cosa che si fa: eucharistìam facere; sacrum<br />

facete; oblationem facere; evXagioiiav noulv; /.wairjQia xeXelv; JIQOO-<br />

(pogày èmuhlv.<br />

La messa è, in sostanza, la ripetizione di quello che fece Cristo<br />

nell'ultima cena: fate questo in memoria di me. Ora, Cristo, facendo<br />

eucaristia, spezzò il pane e lo dette ai discepoli dicendo: prendete,<br />

questo è il mio corpo; similmente col calice: facendo eucaristia,<br />

lo distribuì ai discepoli dicendo: prendete, questo è il calice<br />

<strong>della</strong> nuova alleanza nel mio sangue. Era, trasformata, l'azione<br />

sacra « eucaristica » conviviale dei giudei. E azione sacra essenzialmente<br />

sempre rimase.<br />

Con questo non si vuol dire affatto che nella <strong>liturgia</strong>, e nella<br />

messa stessa, sia pure la messa pontificale, non sia desiderabile un<br />

concentramento individuale del sacerdote e dei fedeli, anche fortissimo<br />

e d'ordine psicologico, non escluso quello del genere propriamente<br />

passivo e mistico; tanto meno si dice che tale concentramento<br />

non sia possibile. Si vuol solo dire che, se deve avvenire<br />

o anche avviene — la questione deve essere esaminata meglio dove<br />

si parlerà di <strong>liturgia</strong> e spiritualità — la via che a tale fine propone<br />

la <strong>liturgia</strong> stessa è quella d'una abbondante, varia, continua e dolce<br />

attualizzazione comunitaria e simultanea di tutta la psicologia<br />

umana: movimenti corporei, diversi sensi — specialmente occhio<br />

e udito — immaginazione, sentimenti, affetti, intelligenza, volontà;<br />

e tutto ciò nel corso di un'azione sacra che si svolge ininterrottamente<br />

e alla quale gerarchia e fedeli, ognuno a suo modo, devono<br />

prendere parte attiva. La <strong>liturgia</strong> non invita i fedeli, e tanto meno<br />

il celebrante, in vista di pregare e unirsi a Dio, a isolarsi il più<br />

possibile dai comuni movimenti, canti, parole, risposte e dall'ambiente<br />

di quello che si dice e si fa. Tutto questo, è vero, pone un<br />

certo problema, da esaminarsi a suo tempo: se cioè, per questo<br />

stesso, non sia il caso di accusare la <strong>liturgia</strong> di favorire poco il<br />

20 L'interruzione attuale nel Memento dei vivi e dei defunti nel canone<br />

romano per natura sua non è destinata ad altro che a sostituire l'antica prassi<br />

<strong>della</strong> lettura dei nomi scritti sulle tavolette, o dittici, fatta ad alta voce dal<br />

diacono. <strong>Il</strong> cambiamento avvenne quando s'introdusse la messa bassa.


LITURGIA E INTELLETTO 307<br />

« raccoglimento dei sensi »; di essere, invece, troppo « distraente »<br />

e, in fondo, di essere una via d'unione a Dio superficiale e troppo<br />

estrinsicista e popolare, buona, se mai, per il comune delle anime<br />

ancora molto imperfette. Per il momento basti aver costatato il<br />

fatto suaccennato.<br />

Intelligenza, volontà, sentimento nella <strong>liturgia</strong><br />

Quanto, in specie, al nutrimento dell'intelletto nella <strong>liturgia</strong>:<br />

è vero che questo nutrimento non è quasi mai di tipo scolastico.<br />

Voglio dire che, se tu avvicini la <strong>liturgia</strong> con l'intento di ritrovarvi<br />

quel tipo di questioni intellettuali intorno alle cose rivelate<br />

che costituiscono la preoccupazione di gran lunga principale <strong>della</strong><br />

teologia scolastica, specialmente antica, ma anche postridentina,<br />

ci troverai ben poco. Anche per la semplicissima ragione che la<br />

<strong>liturgia</strong>, nel suo insieme, era ormai da gran tempo formata quando<br />

apparve la scolastica 21 .<br />

Ma ciò non significa affatto che l'intelligenza non sia largamente<br />

nutrita dalla <strong>liturgia</strong>. Nessuna preghiera, pur senza tramutarsi<br />

in disquisizioni di tipo scolastico, è più dogmatica <strong>della</strong> preghiera<br />

liturgica, perché nella <strong>liturgia</strong> è continuamente presente<br />

l'intero piano generale <strong>della</strong> storia sacra degli interventi di Dio<br />

nel mondo, mistero di Cristo, mistero <strong>della</strong> Chiesa; perché tutto in<br />

essa è visto su questo sfondo e tutti quegli affetti, che l'uomo<br />

esprime a Dio, sgorgano sempre come risposta alla visione fortemente<br />

abbagliante di questa realtà dogmatica oggettiva presente<br />

all'intelletto. Salvo pochissime eccezioni, dovute a infiltrazioni di<br />

un tipo posteriore di sensibilità religiosa nella quale il semplice<br />

sentimento autopsicologico del soggetto prevale sulla visione oggettiva<br />

e quindi intellettuale delle realtà dogmatiche 22 , niente di<br />

più estraneo alla <strong>liturgia</strong> romana che l'esaurirsi in una semplice<br />

esibizione di affetti e di sentimenti con un contatto solo generalissimo<br />

e vago con le realtà oggettive appena accennate.<br />

Sono, invece, sempre queste realtà oggettive dogmatiche che<br />

21 La preoccupazione dominante <strong>della</strong> scolastica fu di indagare il dato rivelato<br />

anzitutto e direttamente sotto l'aspetto ontologico, entitativo o metafisicp,<br />

che si voglia dire. Probabilmente, nella <strong>liturgia</strong> romana attuale, l'ufficiatura del<br />

Corpus Domini — per altro bellissima e, liturgicamente parlando, di <strong>senso</strong> molto<br />

tradizionale — è l'unica a portare alcune tracce, non molte in verità, di questo<br />

punto di vista propriamente scolastico.<br />

22 Per es., gli inni Jesu dulcis memoria e Jesu decus angelicum dei vespri<br />

e delle lodi <strong>della</strong> festa del Nome di Gesù, tratti dal Jubilus rytmicus de nomine<br />

Jesu, di un autore ignoto <strong>della</strong> fine del secolo XII o del principio del XIII e<br />

introdotti nella <strong>liturgia</strong> da Innocenzo XII nel 1721 quando estese a tutta la<br />

Chiesa la festa del nome di Gesù. Così anche la messa e l'ufficiatura delle due<br />

feste dei sette dolori <strong>della</strong> Madonna del secolo XVII. Sotto questo aspetto niente<br />

di più contrastante <strong>della</strong> tonalità dei testi liturgici nella festa <strong>della</strong> Madonna<br />

dei sette dolori del 15 settembre e nella festa dell'esaltazione <strong>della</strong> croce il<br />

giorno prima.


308 CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

sono al primo piano <strong>della</strong> psicologia liturgica. Nella quale quindi,<br />

sul sentimento vago, anche se pio, predomina la chiara visione intellettuale:<br />

Dio, le sue mirabili gesta nel mondo a nostro favore<br />

e, viste attraverso queste gesta, le sue perfezioni; Cristo nella sua<br />

vita terrena e nella sua gloria celeste; l'uomo con le sue miserie;<br />

la storia <strong>della</strong> redenzione, preparata nell'Antico Testamento, realizzata<br />

da Cristo in Palestina, realizzantesi ora per noi nella realtà<br />

ecclesiale e sacramentale; la Gerusalemme celeste e la gloria futura<br />

assieme agli angeli e ai beati coi quali sin d'ora viviamo in comunione.<br />

Molto significativa è, da questo punto di vista, la grande<br />

preghiera anaforica <strong>della</strong> messa, sia nella tradizione orientale che<br />

occidentale.<br />

Ma appunto perché quel predominio dell'intelligenza nella psicologia<br />

liturgica non è di tipo astratto, metafisico, raziocinativo,<br />

deduttivo, ma di tipo assai più concreto, visivo, intuitivo, storico,<br />

nella <strong>liturgia</strong>, il sentimento e la volontà, nell'armonia totale dell'essere<br />

umano, hanno una parte essenziale. La <strong>liturgia</strong> non considera<br />

mai il mondo oggettivo del dogma e <strong>della</strong> storia sacra, che tien<br />

sempre presente all'intelletto, senza rispondere subito ad esso con<br />

tutta l'adesione dell'affetto e del volere, sotto forma e sfumature<br />

pressoché infinite: ammirazione, aspirazioni, desideri, supplica,<br />

umile riconoscimento <strong>della</strong> propria miseria, atti di fede, di speranza,<br />

di carità, di umiltà, di compunzione, ecc. È sempre a questo piano<br />

dell'affetto e <strong>della</strong> volontà che si chiude il ciclo dell'attualizzazione<br />

psicologica totale dell'essere umano nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Diverse attività <strong>della</strong> vita; <strong>senso</strong> estetico; efficacia pedagogica<br />

Per rendersi conto poi come la <strong>liturgia</strong> santifichi tutte le attività<br />

umane per sé oneste, sia individuali che sociali, basta osservare che<br />

essa, mediante apposite benedizioni del suo rituale, interviene in<br />

tutte le circostanze <strong>della</strong> vita, dalla nascita alla tomba, e santifica<br />

ogni specie di attività umana, senza dimenticare, oggi, anche lo<br />

sport, e ogni specie di prodotto del lavoro umano e <strong>della</strong> tecnica.<br />

<strong>Il</strong> tema <strong>teologico</strong> di queste benedizioni sacramentali è sempre pressappoco<br />

questo: fa', Signore, che coloro che si danno alle attività<br />

connesse con le presenti cose, siano da te protetti nel corpo e nell'anima,<br />

usino ogni cosa secondo il retto ordine, ed esplichino la<br />

loro attività secondo il tuo volere per arrivare ad amarti, servirti e<br />

goderti nel cielo. Così, tra cento altre, c'è una benedizione del<br />

telegrafo, <strong>della</strong> ferrovia, di una macchina elettrica, di un archivio,<br />

di una biblioteca, di una tipografia, di un ponte, di un pozzo, di<br />

una fornace, di un forno, di una nave, di un'automobile, di un<br />

aeroplano, di un sismografo, degli attrezzi d'alpinismo 23 . Si legga e<br />

- 3 Vedi il Rituale romano, Titolo IX cap. 8; cap. 9. La tendenza <strong>della</strong> litur-


SENSO ESTETICO E LITURGIA 309<br />

si mediti, per esempio, questa benedizione degli alpinisti: « Proteggi,<br />

o Signore, per intercessione del beato Bernardo, che hai dato<br />

come patrono agli abitanti e ai viaggiatori delle Alpi, questi tuoi<br />

servi, affinché, mentre si esercitano nell'ascensione di queste vette,<br />

possano pervenire al monte che è Cristo. Per lo stesso Cristo, nostro<br />

Signore » 24 .<br />

In questo contesto <strong>della</strong> santificazione che fa la <strong>liturgia</strong> di tutte<br />

le facoltà e attività umane, merita speciale rilievo lo sfruttamento,<br />

al fine <strong>della</strong> santificazione e del culto, del sentimento estetico dell'uomo,<br />

<strong>della</strong> sua attività artistica e dei prodotti che ne derivano.<br />

Che il sentimento e l'attività estetica siano fortemente utilizzati<br />

nella liturgìa è innegabile. Architettura, pittura, scultura, musica,<br />

coreografia: tutto è abbondantemente impiegato come si è spiegato<br />

nel cap. II. Alcune restrizioni storiche in questo campo — assenza,<br />

nella remota antichità cristiana, di rappresentazioni figurate, di<br />

statue e anche di musica, eccettuati, come tutto lascia credere,<br />

semplici e popolari canti innodici — si spiegano dalle circostanze<br />

storiche del momento, in specie dalla contemporaneità del culto<br />

pagano in cui tali mezzi erano abbondanti. La Chiesa si preoccupò<br />

d'inculcare anzitutto anche psicologicamente ai suoi fedeli l'essenziale<br />

differenza tra il culto pagano e quello cristiano. Passato il<br />

pericolo, la <strong>liturgia</strong> seguì e segue su larga scala la sua china<br />

congenita.<br />

Non si nega, naturalmente, che questo dispiegamento estetico<br />

possa presentare dei pericoli — come ogni cosa umana se non bene<br />

usata, non esclusi tanti accorgimenti fisico-psichici usati nei diversi<br />

metodi di meditazione e di orazione —. <strong>Il</strong> pericolo qui sarebbe di<br />

lasciarsi cullare da questo dispiegamento estetico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

in un estetismo senza profonda vita religiosa. Ma sarebbe assurdo<br />

dire che un sapiente sfruttamento del <strong>senso</strong> estetico non possa<br />

servire potentemente, come si è spiegato parlando dell'arte nel<br />

capitolo II, ai santi fini dell'attualizzazione religiosa nella <strong>liturgia</strong>,<br />

appunto in virtù <strong>della</strong> profonda unità sostanziale dell'uomo, unitotalità<br />

corporea, psichica e spirituale nello stesso tempo 2 \<br />

Da questo principio fondamentale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> di prendere e<br />

attualizzare culticamente tutto l'uomo concreto deriva, in massima<br />

parte, la sua straordinaria efficacia pedagogica, da tutti riconosciuta.<br />

Nella <strong>liturgia</strong>, per così dire, l'oggetto religioso investe completamente<br />

l'uomo e penetra nel suo interno attraverso tutti i<br />

pori <strong>della</strong> sua psicologia, senza quasi che se ne accorga. Ogni età,<br />

ogni cultura, ogni stato d'animo e ogni grado di perfezione vi trova<br />

abbondantemente, ognuno a suo modo, e al suo grado, di che nutrirsi.<br />

già è d'introdurre nuove benedizioni per ogni nuova invenzione. Cfr. anche CL<br />

art. 79.<br />

24 Rituale romano, Titolo IX cap. 8 n. 20.<br />

-•> Romano Guardini, in diverse sue opere sulla <strong>liturgia</strong>, ha molto insistito<br />

sul concetto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come « attività disinteressata » e sul concetto di<br />

« giuoco liturgico ».


310<br />

CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

Rispetto delle doti dei singoli popoli<br />

e principio dell'adattamento<br />

È anche, credo, da questo genio fondamentale di prendere<br />

plenariamente l'uomo concreto come è, che si spiega, in buona<br />

parte, il fatto storico che nella <strong>liturgia</strong>, nonostante il carattere<br />

essenziale di cosa fortemente tradizionale e tramandata, non solo<br />

ogni grande età ma anche ogni notevole gruppo etnico che ne fa<br />

uso, riesce pur tuttavia a lasciare la sua impronta e ad esprimervi<br />

i suoi particolari bisogni. E questo costituisce nella stessa un<br />

principio di sviluppo e di continuo adattamento che, accanto al<br />

principio di conservazione, in essa fortemente attivo, fa sì che<br />

resti cosa viva e non si tramuti in un semplice pezzo da museo.<br />

Questa forza di adattabilità alle particolarità etniche, spaziali e<br />

temporali, è stata evidentemente molto più appariscente ed effettiva<br />

nelle epoche del maggior fiorire delle liturgie particolari, sia<br />

in oriente che in occidente, mentre invece, in regime di unificazione<br />

liturgica, in specie in occidente, lo è stata assai meno.<br />

Eppure la stessa <strong>liturgia</strong> romana odierna, all'apparenza talvolta<br />

così lontana dalla sensibilità viva e popolare di chi la usa, non<br />

è semplicemente la <strong>liturgia</strong> romana antica, ma il frutto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

romana antica, modificata e accresciuta da notevoli influssi<br />

franchi e germanici medievali. Che, con qualche autore tedesco<br />

moderno, ci si dia gran gioia nel rilevarlo 26 , oppure, che di fronte<br />

a questo forte influsso, con altri autori, non si dimentichi il rovescio<br />

<strong>della</strong> medaglia 27 , il fatto pur tuttavia sussiste e prova la vitalità<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Di questa stessa vitalità, la <strong>liturgia</strong> romana, dopo la fase postridentina<br />

di stasi e di rigida uniformità, dà in questo momento, con<br />

lo slancio riformatore e nuovamente creatore che la caratterizza,<br />

una dimostrazione pratica notevole: spinta appunto dal principio<br />

che la <strong>liturgia</strong> s'indirizza all'uomo concreto e vivo nella totalità del<br />

suo essere, e che quindi, deve essergli sempre vicina.<br />

<strong>Il</strong> concilio vaticano II ha ribadito sia per la <strong>liturgia</strong> in genere 2S ,<br />

sia per le sue singole parti 28 , il principio <strong>della</strong> mutabilità e quindi<br />

<strong>della</strong> possibilità di riforma, sia pur con le debite cautele 30 , <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> d'istituzione ecclesiastica.<br />

26 Vedi per es., TH. KLAUSER, Abendldndische Liturgiegeschichté, Bonn 1949<br />

pp. 14-20; romana est, sed etiam nostra: p. 19, trad. italiana. Ed. Paoline, Catania,<br />

1958. Vedi anche A. MAYER-PFANNHOLZ, Die Liturgie und die deutsche Geistesgeschichte,<br />

in: Zeitschr. fiir deutsche Geistesg., 1 (1935) 5-12. I. VAN ACKEN, Germanische<br />

Frommigkeit in lìturgìschen Hymnen, Friburg 1937. H. DAUSEND, Germanische<br />

Frommigkeit in der kirchlichen Liturgie, Wiesbaden 1938.<br />

27 Per es., I. HERWEGEN, Antike, Christentum und Germanentum, Salzburg<br />

1922; A. M. JUNGMANN, Missarum sollemnia... I 65-109.<br />

28 CL art. 21. Cfr. anche MD n. 48 s.<br />

=» Ibid. art. 50; 62; 88; 107; 118; 123; 128.<br />

• " Cfr. ibid. art. 23.


LITURGIA E ADATTAMENTO 311<br />

Anzi, nell'ambito di questo stesso principio di massima, lo<br />

stesso concilio ha proclamato, in specie, la regola <strong>della</strong> necessità<br />

di adattare la <strong>liturgia</strong> all'indole e alle tradizioni dei vari popoli,<br />

ripudiando esprèssamente l'idea d'imporre anche in questo campo<br />

una rigida uniformità, eccetto, naturalmente, i casi nei quali si tratta<br />

<strong>della</strong> fede o del bene comune di tutta la Chiesa. Le stesse parole<br />

di questa proclamazione sono particolarmente solenni : « La Chiesa,<br />

quando non è in questione la fede o il bene comune generale,<br />

non intende imporre, neppure nella <strong>liturgia</strong>, una rigida uniformità,<br />

anzi rispetta e favorisce le qualità e le doti d'animo delle varie<br />

razze e dei vari popoli. Tutto ciò poi che nei costumi dei popoli<br />

non è indissolubilmente legato a superstizioni o ad errori, essa lo<br />

considera con benevolenza e, se è possibile, lo conserva inalterato,<br />

e a volte lo ammette perfino nella <strong>liturgia</strong>, purché possa armonizzarsi<br />

con il vero e autentico spirito liturgico » 31 .<br />

È la prima volta che il principio dell'adattamento, tanto spesso<br />

ribadito, dopo Benedetto XV, dagli ultimi Papi nel campo generale<br />

delle missioni, viene espressamente esteso alla <strong>liturgia</strong>. E ciò è fatto<br />

per tutta la Chiesa, pur tenendo conto particolare dei paesi di<br />

missione 32 .<br />

Questo principio poi non viene solo ammesso nel <strong>senso</strong> che<br />

si vuole provvedere a lasciare, nell'interno stesso del rito romano<br />

e nella salvaguardia <strong>della</strong> sua sostanziale unità, un più largo margine<br />

all'adattabilità ai bisogni locali 33 , ma viene anche aperta<br />

una porta che in certi casi può condurre ai suoi cambiamenti ancora<br />

più profondi, specialmente nelle missioni 34 . Così si considera<br />

la possibilità, in certi luoghi, di una evoluzione del rito romano<br />

che possa arrivare, con il tempo, anche alla creazione, a partire<br />

dallo stesso, di nuovi riti più rispondenti alla mentalità di alcuni popoli.<br />

Penso specialmente ai popoli africani e dell'estremo oriente i<br />

quali, in questa loro prima fase di vita cristiana, con la fede hanno ricevuto<br />

il rito romano. È uno spiraglio magnifico di vera cattolicità.<br />

Da questo stesso fatto fondamentale dell'adesione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

alla concreta e totale psicologia dell'uomo, si spiega pure la somiglianza,<br />

talvolta notevole, che i riti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> cristiana possono<br />

avere con riti più o meno paralleli di culti non cristiani, specialmente<br />

antichi, o anche il fatto che la <strong>liturgia</strong> cristiana antica adottò<br />

e cristianizzò diverse usanze cultuali dell'ambiente ellenistico e romano.<br />

In tutto questo, niente di men che naturale. La natura umana<br />

è sempre la stessa; perciò è logico che anche le espressioni psicologiche<br />

nelle quali s'incarna e si esteriorizza siano fondamentalmente<br />

le stesse. La <strong>liturgia</strong> cristiana rispetta questa psicologia e<br />

per questo i suoi riti possono presentare notevoli tratti di somiglianza<br />

con riti che la stessa natura umana ha altrove creato. Per-<br />

" Ibid. art. 37.<br />

32 Ibid. art. 38-39; 65; 68; 119.<br />

'» Ibid. art. 38-39; 63 b.<br />

" Ibid. art. 40; 54; 119.


312 CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

tanto: dato che i riti cultuali dell'ambiente ellenistico e romano,<br />

ove si sviluppò dapprima la religione cristiana, erano non di<br />

rado espressione connaturale o, comunque, per sé onesta, <strong>della</strong><br />

psicologia umana, niente di straordinario che la religione cristiana,<br />

in certi momenti, abbia creduto opportuno adottarli cristianizzandone<br />

lo spirito.<br />

2. LA LITURGIA E L'ATTUALIZZAZIONE CULTICA DEL MONDO<br />

INFRAUMANO AI FINI DEL REGNO DI DIO<br />

L'unità tra l'uomo e la creatura infraumana<br />

nella rivelazione<br />

Secondo la rivelazione esiste un'intima connessione tra la creatura<br />

infraumana e l'uomo nel piano generale del regno di Dio.<br />

Anche la creatura infraumana è destinata a servire ai fini di questo<br />

regno. Essa li raggiunge però nell'uomo e attraverso l'uomo, in<br />

quanto serve all'uomo per raggiungere il proprio fine da Dio assegnatogli<br />

nel regno comune. La creatura infraumana è tutta al servizio<br />

<strong>della</strong> vita divina nell'uomo.<br />

Alcuni tratti essenziali di questo pensiero dell'intima unità tra<br />

l'uomo e la creatura infraumana, sono già presenti, a suo modo,<br />

nei tre primi capitoli del Genesi. <strong>Il</strong> primo capitolo, nella narrazione<br />

<strong>della</strong> creazione, insieme con la trascendenza di Dio, sottolinea<br />

fortemente l'ordine e l'unità del cosmo, per mezzo <strong>della</strong> distribuzione<br />

schematica e progressiva dei giorni e delle cose in essi create.<br />

Tutta l'opera di Dio culmina nella creazione dell'uomo, al cui uso<br />

e dominio, quale rappresentante e immediato vicegerente di Dio,<br />

tutto il resto, di diritto, è sottomesso e ordinato, mentre sarà compito<br />

dell'uomo stesso, mediante la sua operosità, realizzare effettivamente<br />

appieno questo dominio {Gn 1,28-30). Così il mondo infraumano<br />

è concepito come il teatro dove si svolgerà la storia dell'uomo<br />

e come mezzo ai fini che deve raggiungere l'uomo.<br />

Questi fini sono precisati nei capitoli secondo e terzo. Anche<br />

qui, anzitutto, piante e animali appaiono ordinati all'uomo, quale<br />

signore e padrone, sotto il supremo dominio di Dio ". Inoltre, l'au-<br />

33 Vedi 2,8.9.17-21. E nota la questione <strong>della</strong> connessione genetica tra il<br />

corpo umano primitivo e il corpo di animali bruti. Si sa pure che simile evoluzionismo,<br />

teologicamente parlando, si può ammettere entro certi limiti; anzitutto,<br />

naturalmente, che sia esteso al solo corpo dell'uomo, esclusa l'anima;<br />

poi, anche per il corpo, che, al momento decisivo, ci sia stato un intervento<br />

speciale di Dio, per adattare, mediante una trasformazione metafisicamente<br />

essenziale, sebbene forse morfologicamente di poca entità, il corpo del bruto<br />

ad essere ricettacolo dell'anima umana e quindi un corpo formalmente umano.<br />

Se si ammette l'evoluzionismo in questo <strong>senso</strong>, la connessione tra il mondo<br />

infraumano e l'uomo, il disegno unitario del cosmo e la provvidenza di Dio,


SCRITTURA E MONDO INFRAUMANO 313<br />

tore fa chiaramente intendere che il fine supremo <strong>della</strong> stessa vita<br />

dell'uomo quaggiù era costituito da quelle relazioni gratuite e<br />

amichevoli con Dio di cui i protoparenti godevano prima del peccato:<br />

lo stato paradisiaco. Per l'autore sacro, quelle relazioni familiari<br />

con Dio costituivano l'ideale <strong>della</strong> vita, da cui avrebbe dovuto<br />

svilupparsi, senza sviamento, la storia dell'umanità. Questa, invece,<br />

per sua sfortuna, per il peccato dei protoparenti, traviò da quella<br />

linea ideale. Tale sviamento, per l'autore sacro, creò non solo inimicizia<br />

tra l'uomo e Dio, ma anche una tensione tra lo stesso uomo<br />

e la creazione inferiore, che non gli è più sottomessa e gli oppone<br />

resistenza.<br />

_ Per volere espresso di Dio, che punisce in questo modo l'uomo<br />

<strong>della</strong> ribellione al suo supremo dominio, il mondo infraumano<br />

diventa per lui causa di travagli e di dolori {Gn 3,16-19). L'uomo<br />

anche dopo il peccato conserva il diritto e il dovere di sottomettersi<br />

la creatura; ma, dalla storia primitiva dell'umanità, si vede<br />

che il progresso di dominio, da quel momento fu molto lento e<br />

penoso 36 e dovette, per così dire, partire da zero. In tutto questo<br />

il pensiero fondamentale è chiaro: rotta, in qualche modo, l'unità<br />

tra l'uomo e Dio per il peccato, viene rotta pure, in qualche modo,<br />

l'unità tra l'uomo e la creatura inferiore. Questa, nelle sue relazioni<br />

con l'uomo, segue, in qualche maniera, le sorti delle relazioni dell'uomo<br />

con Dio.<br />

Tale concetto fondamentale si trova in tutto l'Antico Testamento,<br />

accentuato e sviluppato in diversi modi.<br />

<strong>Il</strong> concetto di Dio, sommo creatore e padrone assoluto <strong>della</strong><br />

creatura infraumana, non meno che di tutte le altre creature, è,<br />

naturalmente, ovunque presente nell'Antico Testamento, e, in qualche<br />

passo, viene particolarmente sviluppato e cantato, come in<br />

Giobbe 38-41.<br />

La creatura infraumana può e deve servire all'uomo, in modo<br />

speciale all'onesto sostentamento <strong>della</strong> sua vita fisica, come già<br />

Dio aveva espressamente detto. A questo proposito è significativo<br />

il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> legge dell'offerta delle primizie: l'uomo deve appunto<br />

riconoscere per mezzo di questa offerta che tutto il nutrimento<br />

gli è stato assegnato da Dio {tv 23,9-11; 15-17; 39-43; Dt 26,1-11).<br />

La creatura infraumana deve, inoltre, servire all'uomo, per elevarsi<br />

alla conoscenza di Dio, <strong>della</strong> sua esistenza e dei suoi attributi<br />

(per es., Sap 13,1-9).<br />

non solo non ne sono diminuiti, ma anzi appaiono molto più meravigliosi. Difatti,<br />

in simile teoria, tutto il mondo inferiore, minerale, botanico, zoologico,<br />

appare come tendente e cooperante, in un immenso travaglio unitario, alla<br />

formazione del corpo dell'uomo; questo poi, per intervento di Dio, è ricettacolo<br />

dell'anima spirituale, e l'uomo intero è fatto soggetto <strong>della</strong> vita divina partecipata.<br />

L'uomo ha il suo vertice in Cristo, nel quale mondo inferiore, mondo<br />

umano, angelico e divino hanno la loro somma unità.<br />

36 Vedi l'invenzione dei mestieri in Gir 4,17 ss <strong>della</strong> stessa tradizione jahwisla<br />

che Gn 2 e 3. <strong>Il</strong> diritto e il dovere dell'uomo di sottomettersi la terra, anche<br />

dopo il peccato, è rilevato espressamente dalla tradizione sacerdotale in Gn 9,1-7.


314 CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

L'Antico Testamento sviluppa in modo speciale il tema che la<br />

creatura infraumana deve servire all'uomo per lodare e adorare<br />

Dio, perché essa è una rivelazione di Lui. Numerosissimi sono i<br />

salmi e gli inni nei quali si tributa a Dio lode e adorazione prendendo<br />

lo spunto dalla considerazione di tutta la creazione, e nei<br />

quali, anzi, per ciò fare, il salmista invita in qualche modo la stessa<br />

creatura a lodare e adorare il Signore creatore. Tra questi, degni<br />

di particolare nota per la loro straordinaria bellezza, sono i salmi<br />

(secondo la numerazione <strong>della</strong> volgata) 8; 18 A; 28; 103; 148 e l'inno<br />

dei tre fanciulli nella fornace (Dn 3,56-88): Benedicite omnia opera<br />

Domini Domino ". In questi inni è veramente tutto il cosmo come<br />

unitotalità che è riferito alla gloria del Signore.<br />

Si sviluppa pure il tema di Gn 3,17-19: se l'uomo, sviando dal<br />

fine assegnatogli da Dio, si rivolta contro. di Lui, e, in specie, se<br />

fa cattivo uso delle cose, Dio si serve <strong>della</strong> creatura infraumana<br />

contro di lui, perché, così castigato, ritorni a penitenza. Così Dio<br />

usa gli elementi infraumani per punire Israele infedele (Dt 32,23-24);<br />

siccità e carestie, prodotte da stagioni avverse e da malanni di<br />

bestie, sono mezzi ordinari di Dio per punirlo (Gì 1,1-20; 2 Re<br />

8,35-40); con gli stessi elementi infraumani Egli punisce i peccatori,<br />

suoi nemici e nemici d'Israele (Dt 32,31-33; Sap 11-12); mentre ai<br />

suoi amici e fedeli servitori, mette a disposizione gli stessi elementi,<br />

come avviene nei miracoli dei profeti, e quando dà una terra buona<br />

e fertile ai suoi amici, al suo popolo fedele (Dt 31,12-14; Sap 11-12),<br />

con abbondanza di raccolti, di greggi, ecc. (Lv 26,3-12; Am 9,13-15;<br />

Gì 2,25).<br />

Insomma, l'idea dell'associazione intima tra la creatura infraumana<br />

e l'uomo, ai fini delle relazioni con Dio, è talmente forte<br />

in tutto l'Antico Testamento, che nella seconda parte del libro<br />

d'Isaia (65,17-25), si afferma che, per il futuro popolo ideale, messianico,<br />

escatologico, Dio, facendolo perfetto e dandogli un cuore<br />

perfetto, creerà anche un cielo nuovo e una terra nuova, come luogo<br />

corrispondente alla nuova situazione; e in questo si ritroverà, ma<br />

sublimata, la primitiva armonia paradisiaca tra la creatura inferiore<br />

e l'uomo sotto il supremo dominio del creatore 38 .<br />

È facile costatare come queste idee dell'Antico Testamento sull'unità<br />

del mondo infraumano e dell'uomo ai fini <strong>della</strong> vita divina,<br />

siano tutte accettate ed ulteriormente approfondite nel Nuovo.<br />

<strong>Il</strong> grande ed inaudito approfondimento che vi apporta il Nuovo<br />

Testamento è anzitutto il messaggio dell'incarnazione del Figlio di<br />

Dio, del Verbo che « è diventato carne » (Gv 1,14) e, per essere<br />

37 Vedi pure salmi (numerazione <strong>della</strong> volgata) 96,11-13; 97,7-9; 146,8-9; 147.<br />

• t3 Vedi anche Is 11,6-8. <strong>Il</strong> riavvicinamento tra Is 65,25 e Is 11,6-8 suggerisce<br />

che anche in Is 11,6-8 vi sia l'idea di un ritorno allo stato paradisiaco e che<br />

nei versetti 6-8 non si tratti solo di uomini. L'argomento di J. STEINMANN (Le<br />

Prophéte Isàie, Paris 1950 p. 169s) che l'idea di un «vegetarismo» ecc. appaia<br />

solo dopo l'autore 4ella prima parte di Isaia, non convince. Dati i testi, ci<br />

vorrebbero altre ragioni positive in contrario. Vedi anche Is 32,15-18; 35,1-9;<br />

24,18-23.


CONSACRAZIONE DEL MONDO 315<br />

in tutto simile agli uomini « partecipi del sangue e <strong>della</strong> carne,<br />

anch'Egli ne ha partecipato » (Eb 2,14). Così, un'intera e perfetta<br />

natura umana, non solo anima, ma anche corpo, è assunta dal<br />

Verbo, e Cristo diventa il prototipo e capo di tutta la creazione<br />

nella sua unitotalità: il punto d'incontro fisico tra Dio, l'uomo, la<br />

creatura inferiore. Nel corpo dell'uomo Cristo, Verbo incarnato,<br />

il mondo infraumano raggiunge il vertice dell'unione con Dio e<br />

<strong>della</strong> vita divina 39 . Ivi, nella stessa persona divina del Verbo, si<br />

avvera la consacrazione più profonda possibile alla divinità di tutto<br />

il cosmo umano tanto nel suo aspetto statico che nel suo aspetto<br />

dinamico, storico e, secondariamente anche dello stesso mondo<br />

infraiimano. È quanto implica appunto il modo di esprimersi del<br />

martirologio romano al 25 Dicembre : « L'ottavo giorno prima<br />

delle calende di Gennaio: l'anno dalla creazione del mondo... 5199;<br />

l'anno dopo il diluvio... 2957; dalla nascita di Abramo: 2015; da<br />

Mosè e dall'uscita del popolo d'Israele dall'Egitto: 1510... L'olimpiade<br />

centonovantaquattresima; l'anno dalla fondazione di Roma<br />

752; l'anno quarantesimosecondo dell'impero di Ottaviano Augusto:,<br />

tutto il mondo composto in pace, Gesù Cristo, eterno Dio e Figlio<br />

dell'eterno Padre, volendo consacrare il mondo con la piissima sua<br />

venuta, concepito da Spirito Santo, nove mesi dopo la concezione,<br />

fattosi uomo, nasce in Betlemme di Giuda ».<br />

Niente di straordinario quindi, che, nella vita di Gesù, tutto il<br />

mondo infraumano appaia a Lui perfettamente sottomesso e a suo<br />

completo servizio 40 . <strong>Il</strong> suo atteggiamento che, in questo campo,<br />

dovrebbe essere quello di ogni uomo: la domina perfettamente<br />

e tranquillamente; l'usa semplicemente, e senza ombra di dualismo,<br />

ai fini onesti <strong>della</strong> vita umana (cfr. Me 7,14 ss e parali.), dando<br />

così la forma fondamentale alla futura condotta degli apostoli 41 .<br />

Ma sa benissimo che l'uomo diventa facilmente schiavo <strong>della</strong> creatura<br />

inferiore, sviandone il significato e il retto uso 42 . Quindi le<br />

continue esortazioni ad esserne interiormente liberi. Per Gesù, la<br />

creazione inferiore è uno specchio purissimo in cui si rivela sem-<br />

39 Giustamente osserva S. Giovanni Damasceno : « Là graziosa volontà del<br />

Padre, nel suo Unigenito Figliolo, ha operato la salvezza del cosmo intero e<br />

restaurato l'unità di tutte le cose. Poiché, infatti, l'uomo è il nodo e il legame<br />

di ogni essere tanto visibile che invisibile, la volontà del Padre, creatore e reggitore<br />

di tutte le cose, volle che, nel suo Figlio unigenito e consustanziale, si<br />

realizzasse l'unità <strong>della</strong> divinità con l'umanità, e mediante questa, l'unità con<br />

tutte le cose, e cosi Dio fosse tutto in tutti » {Hom. de Transf. Dom. 18 PG 96,<br />

571). Se si ammette, nel <strong>senso</strong> spiegato nella nota 35, l'evoluzione applicata al<br />

corpo dell'uomo, tutto il mondo infraumano tendeva e cooperava alla formazione<br />

del corpo dell'uomo, e cosi di quello di Cristo, che poi, assieme alla sua<br />

anima, doveva essere assunto dalla persona del Verbo.<br />

40 Vedi, per es., Mt 8,23 ss e paralleli: la tempesta sul lago, sedata.<br />

11 Vedi per es., RM 14,4. Reazione di Paolo contro tendenze di mentalità<br />

dualistica: 1 Cor 8-10, specialmente 10,25 s; Col 2,22; 1 Tm 4,3 b-5; Tt 1,14 s; Eb<br />

13,9; 1 Cor 7; 1 Tm 2,15; 4,3 a; 1 Cor 11,9; 1 Tm 4,4.<br />

'- Vedi per es., la parabola degli invitati:... aìius in villani suam... alius<br />

vero ad negotiationem suam... Mt 22; Le 14,16 ss.


316 CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

pre il Padre. Nelle sue parabole traspare un meraviglioso <strong>senso</strong><br />

<strong>della</strong> natura; ma questa, per Lui, è sempre il punto di partenza<br />

da cui risale a Dio e alla realtà <strong>della</strong> vita divina e di cui si serve<br />

per illustrare la provvidenza e le leggi dell'economia di Dio e <strong>della</strong><br />

vita divina nel mondo 43 . Finalmente, nell'istituzione dell'eucaristia<br />

e del battesimo, cose materiali e d'uso comune sono intimamente<br />

associate ai fini più alti <strong>della</strong> trasmissione <strong>della</strong> vita divina agli<br />

uomini.<br />

In S. Paolo c'è già esplicitamente la teoria stessa dell'unità<br />

primitiva di tutto il cosmo, compresa la creatura infraumana, nei<br />

piani di Dio; <strong>della</strong> rottura di questa unità per il peccato; del suo<br />

ristabilimento in Cristo e per Cristo e sotto il suo principato, ristabilimento<br />

già reale e radicale quaggiù nei redenti e nei mezzi di<br />

redenzione, e perfetto nella vita futura nel cielo, con la risurrezione.<br />

I testi principali sono: Col 1,15-20 e Rm 8,19-22: «L'ansiosa<br />

aspettativa del mondo creato attende la manifestazione dei figli<br />

di Dio. Alla vanità, infatti, fu soggetta la creatura, non di buon<br />

grado, ma per riguardo a Chi l'ha sottomessa nella speranza, che<br />

anch'essa creatura sarà affrancata dalla servitù <strong>della</strong> corruzione<br />

e perverrà alla libertà <strong>della</strong> gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti<br />

che tutta la natura è insieme in gemito e nella doglia del parto<br />

sino ad ora ». La vanità e la servitù <strong>della</strong> corruzione, cui la creatura<br />

materiale è ora sottomessa, è il peccato dell'uomo che se ne serve<br />

abusivamente contro l'ordinamento di Dio e tutte le conseguenze<br />

morali e fisiche di questo peccato. Si suppone che prima del peccato<br />

tale servitù non esistesse; l'uomo, allora sottomesso a Dio,<br />

si serviva anche <strong>della</strong> creatura nel retto ordine. La gloria futura<br />

dei figli di Dio è la risurrezione dei corpi e l'ultima economia<br />

nella gloria con i « nuovi cieli e nuova terra» (1 Pt 3,13) che aspettiamo,<br />

dove avverrà il perfetto e più sublime ristabilimento dell'ordine<br />

primitivo. Questo ristabilimento è, per ora, solo iniziale<br />

e parziale in noi « che abbiamo la primizia dello spirito »; trattandosi<br />

solo di una primizia « persino noi, continua infine il testo<br />

dell'epistola ai romani sopra citato (Rm 8,23 s), gemiamo dentro<br />

di noi, aspettando l'adozione dei figli, cioè, la redenzione del nostro<br />

corpo; perché nella speranza fummo salvati » 44 .<br />

Nell'apocalisse, infine, quest'idea dell'unità del cosmo, compresa<br />

la creatura infraumana, ai fini di un'unica città e popolo di<br />

Dio, nella Gerusalemme celeste, è fortemente accentuata: uso degli<br />

elementi materiali per la definitiva punizione dei nemici di<br />

'3 Vedi: i gigli dei campi e gli uccelli del cielo; i passerotti; la vite e i<br />

tralci; il colore del cielo, se rosseggia...; vedete il fico e tutti gli alberi: quando<br />

fanno frutto sapete che è vicina l'estate; la parabola del seminatore; delle<br />

zizzanie, ecc.<br />

44 per questo tema in S. Paolo vedi per es., L. CERFAUX, Le Christ dans<br />

la théologie de S. Paul, Paris 1951 p. 315 ss. <strong>Il</strong> tema <strong>della</strong> ricostituzione dell'unità<br />

del cosmo sotto Cristo capo, compresa la creatura infraumana, è stato poi ripreso<br />

e sviluppato, in specie da S. Ireneo che l'include nella sua dottrina del-<br />

Vanakephalaiosis. Vedi E. SCHARL, Recapitulatio mundi, Freiburg i. B. 1941.


LITURGIA E UNITA COSMICA 317<br />

Dio; piaghe; angeli sopraintendenti agli elementi infraumani, specialmente<br />

materiali, per servirsene agli ordini di Dio; la risurrezione<br />

gloriosa dei figli di Dio, obbrobriosa per i malvagi; l'inferno<br />

e i tormenti per i nemici di Dio puniti per mezzo degli elementi<br />

materiali; i cieli nuovi e la terra nuova, quale teatro perfettamente<br />

corrispondente allo stato dell'uomo in cui la vita divina ha raggiunto<br />

il suo pieno sviluppo; la <strong>liturgia</strong> eterna e cosmica di lode,<br />

alla quale è associata anche la creatura infraumana « e ogni creatura<br />

ch'è nel cielo e sulla terra e sotto la terra e sul mare, e tutte<br />

le cose in essa contenute, udii che dicevano : « A Colui che siede<br />

sul trono e all'Agnello, la benedizione e l'onore e la gloria e il<br />

potere per i secoli dei secoli » (Ap 5,13).<br />

Niente dunque di più sicuro e di più chiaro nella rivelazione<br />

dell'idea dell'integramento anche del mondo infraumano nell'unità<br />

cosmica generale ai fini <strong>della</strong> vita divina nell'uomo e attraverso<br />

l'uomo, massimamente nell'uomo Dio, attraverso l'uomo Dio e<br />

per opera Sua.<br />

L'unità tra l'uomo e la creatura infraumana nella <strong>liturgia</strong><br />

Così stando le cose nella visione generale del mondo secondo<br />

la rivelazione, niente di straordinario che tutta la creatura infraumana,<br />

a suo modo, sia cultualmente attualizzata nella <strong>liturgia</strong> ".<br />

La <strong>liturgia</strong> è già l'economia di Cristo in atto, quell'economia, cioè,<br />

che in un modo realissimo ha ristabilito l'unità primitiva del cosmo<br />

rotta dal peccato. Solo che questo ristabilimento, per ora, non<br />

ha raggiunto tutta l'estensione a cui e destinato. E, negli stessi<br />

esseri che ha raggiunto, è solo a mo' di primizie; la rottura tra<br />

la creatura infraumana e l'uomo in ordine alla vita divina non è<br />

completamente sanata, poiché il peccato regna ancora nei peccatori,<br />

e le sue conseguenze, ancora sensibili anche per i giusti,<br />

non saranno distrutte completamente che nella risurrezione generale.<br />

È per questo che, anche nella <strong>liturgia</strong>, quel ristabilimento<br />

dell'unità tra l'uomo e la creatura infraumana ai fini <strong>della</strong> vita<br />

divina, pur essendo realissima, è ancora parziale, iniziale.<br />

Inoltre, su questa terra, anche le stesse primizie, per quanto<br />

reali, sono sotto il velo, in sacramento, in mysterìo. Solo in cielo<br />

tutto avverrà svelatamente, nella gloria. Quindi anche nella litur-<br />

43 Su questa questione vedi, per es., I. HERWEGEN, DOS Verklàrungesgedanke<br />

in der Liturgie, in: Festschrift G. Hertling, Kempten 1913 pp. 108-116 (ristantpato<br />

in I. HERWEGEN, Alte Quellen neuer Kraft, DUssldorf 1920 pp. 22-47). J. PINSK,<br />

Die sakramentale Welt, Freiburg 1938 (trad. frane. : L'espérance de la gioire, Paris :<br />

1952). J. CASPAR, Weltverklarung im liturgischen Geist der Ostkirche, Freiburg 1939.<br />

A. WINKLHOFER, Schopfung und Liturgie, Ettal 1951. H. SCHULTE, Die Entsilhnung<br />

una Heiligung der Welt nach dem ròmischen Pontifikale und Rituale, Buenos<br />

Aires 1954. B. HAERING, Der Geist der Technicismus und die Liturgie, in: Lit.<br />

Jahrb. 8 (1958) 194-204. J. HENNIVG, Die Liturgischen Segnungen und das Ethos<br />

der Technik, ibid. 230-237-


318 CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

già la trasfigurazione del mondo infraumano al servizio <strong>della</strong> vita<br />

divina sarà sub velo, in sacramento, in mysterio. Solo gli occhi<br />

<strong>della</strong> fede potranno percepirla.<br />

Ma tuttavia, quel ristabilimento e quella trasfigurazione, nella<br />

<strong>liturgia</strong>, sono reali. Essi si manifestano: anzitutto nella <strong>liturgia</strong><br />

del sacrificio <strong>della</strong> messa e dei sacramenti; poi nella <strong>liturgia</strong> dei<br />

sacramentali: esorcismi, consacrazioni e benedizioni; finalmente,<br />

nella <strong>liturgia</strong> epenetica o di lode.<br />

La massima attualizzazione liturgica del mondo infraumano<br />

nell'unità cosmica, in ordine alla vita divina, si trova nell'eucaristia.<br />

La transustanziazione del pane e del vino, offerto dai fedeli, nel<br />

corpo e nel sangue di Gesù Cristo, immolato sì, ma glorioso alla<br />

destra del Padre e offerentesi a Lui in ostia di valore infinito, è,<br />

quaggiù, la più straordinaria assunzione, elevazione e trasfigurazione<br />

del mondo infraumano al servizio <strong>della</strong> vita divina. Eccettuata<br />

l'assunzione, avvenuta sin dal primo istante <strong>della</strong> concezione,<br />

del corpo di Gesù nell'unione ipostatica del Verbo, non vi è,<br />

nella storia del mondo, un esempio più meraviglioso del <strong>senso</strong><br />

unitario che lo stesso cosmo infraumano possiede nei piani di Dio.<br />

La materia del pane e del vino, <strong>della</strong> quale, pur rimanendo gli<br />

accidenti, l'intera sostanza viene mutata nella sostanza del corpo<br />

e del sangue di Cristo, serve di sostrato, e come di arcano e trasparente<br />

veicolo, alla presenza reale e sacrificale di Cristo, e così,<br />

a suo modo, è profondamente associata a tutto quel flusso di vita<br />

divina che il sacrificio eucaristico porta agli uomini, vivi e defunti,<br />

di gioia agli angeli e ai santi del cielo e di gloria a Dio. Così, nella<br />

messa, si compie nel modo più perfetto che sia possibile prima<br />

del cielo nuovo e <strong>della</strong> terra nuova, per modo di primizie e sub velo<br />

e in sacramento, quella redenzione <strong>della</strong> creatura materiale, quella<br />

sua liberazione dalla schiavitù <strong>della</strong> corruzione e del peccato, che<br />

essa, secondo S. Paolo, ardentemente desidera, secondo il profondo<br />

ordine inserito da Dio nelle cose.<br />

Tra gli altri sacramenti, una simile, sebbene molto inferiore,<br />

attualizzazione <strong>della</strong> creatura infraumana al servizio <strong>della</strong> vita divina,<br />

si trova anzitutto nel battesimo e nell'unzione dei malati. In<br />

questi sacramenti, infatti, nella cosiddetta « materia » sacramentale<br />

che, determinata dalla « forma », costituisce il sacramento,<br />

entrano elementi materiali propriamente detti. È di fede, infatti,<br />

che nel battesimo la materia remota è l'acqua e la materia prossima<br />

l'abluzione del battezzando con l'acqua. È pure di fede che<br />

nella sacra unzione la materia remota è l'olio. Inoltre si ritiene<br />

per sentenza certa che questa materia remota sia l'olio debitamente<br />

consacrato. La materia prossima di questo sacramento è<br />

l'unzione fatta con lo stesso olio. Anche nella cresima si ritiene<br />

che la materia remota sia il crisma consacrato dal vescovo e la<br />

sentenza più comune insegna che la materia prossima sia l'imposizione<br />

delle mani assieme alla consignazione e all'unzione con il<br />

crisma. In questi sacramenti dunque, a suo modo, l'elemento ma-


SACRAMENTALI E MONDO MATERIALE 319<br />

teriale, quale strumento di Dio, è concausa <strong>della</strong> grazia sacramentale,<br />

poiché il sacramento causa la grazia che significa.<br />

Questa riconsacrazione <strong>della</strong> creatura infraumana al servizio<br />

<strong>della</strong> vita divina è pure uno degli elementi più notevoli del mondo<br />

liturgico dei sacramentali: esorcismi, consacrazioni e benedizioni.<br />

Essa avviene qui, è vero, in un modo inferiore a quello dei sacramenti<br />

46 , ma è tuttavia notevolissima, in specie per la sua estensione,<br />

in quanto abbraccia un numero grandissimo di elementi.<br />

I sette sacramenti riguardano solo le circostanze principali <strong>della</strong><br />

vita. Tre di essi: battesimo, confermazione, ordine, non possono<br />

ripetersi; matrimonio e unzione degli infermi, se si ripetono nello<br />

stesso soggetto, non lo sono praticamente che pochissime volte.<br />

La comunione, anche se quotidiana, e la confessione, sono momenti<br />

relativamente rari comparati al resto del tempo e delle attività<br />

dell'uomo. <strong>Il</strong> mondo dei sacramentali, invece, può estendersi praticamente<br />

a quasi tutti gli oggetti con i quali l'uomo viene in contatto<br />

nella sua vita quotidiana e investirne quasi tutte le situazioni ".<br />

Nell'esorcismo su cose inanimate la loro riconsacrazione al<br />

servizio <strong>della</strong> vita divina avviene in questo <strong>senso</strong>: per il peccato<br />

l'uomo ha dato al demonio la possibilità di servirsi <strong>della</strong> creatura<br />

infraumana per esercitare, in svariati modi, diretti e indiretti, il suo<br />

malefico influsso a danno <strong>della</strong> vita divina nel mondo e contrastare<br />

l'espansione e l'intensificazione del regno di Dio. Questo influsso<br />

demoniaco nel caso estremo, da non supporsi facilmente, può andare,<br />

con il permesso di Dio, fino all'ossessione propriamente detta.<br />

Nell'esorcismo, la preghiera <strong>della</strong> Chiesa ottiene da Dio 48 sia la<br />

cacciata del demonio dall'oggetto, nel caso di ossessione, sia semplicemente<br />

la speciale protezione divina a chi se ne serve con debite<br />

disposizioni. Questa speciale protezione include anzitutto una speciale<br />

provvidenza di Dio per impedire l'eventuale influsso demoniaco<br />

sulle cose, di modo che l'uomo che deve servirsene secondo<br />

i retti fini voluti da Dio non ne sia impedito dal demonio. Poi<br />

include anche grazie attuali accordate a chi fa retto uso di quelle<br />

cose con le debite disposizioni.<br />

Molto istruttivo, da questo punto di vista è, per esempio, l'esorcismo<br />

sull'acqua nel rituale romano odierno nel rito dell'acqua<br />

benedetta : « O Dio che a salvezza del genere umano, nella sostanza<br />

dell'acqua stabilisti i massimi sacramenti: ascolta favorevole le<br />

nostre invocazioni e infondi la virtù <strong>della</strong> tua benedizione sopra<br />

questo elemento preparato per diverse purificazioni: cosicché questa<br />

creatura, servendo ai tuoi misteri, abbia efficacia a scacciare<br />

i demoni e ad allontanare i mali: affinché tutto ciò che con questo<br />

liquido sarà asperso nelle case e nei luoghi dei fedeli sia preservato<br />

da ogni impurità, sia liberato da ogni contagio; che mai spirito<br />

pestifero ivi risieda, mai un soffio di corruzione; fuggano tutte le<br />

•"La cosa è stata spiegata sopra, p. 99s.<br />

« Vedi CL art. 61.<br />

48 Ex opere operantis Ecclesiae, come è stato spiegato a suo luogo.


320 CAP. XI - LITURGIA, UOMO, MONDO<br />

insidie del nemico nascosto; e tutto ciò che potrebbe nuocere alla<br />

salute o turbare la tranquillità di quelli che vi dimorano, sia messo<br />

in fuga ed allontanato dall'aspersione di quest'acqua; e così la salubrità<br />

domandata con l'invocazione del tuo santo nome, abbia<br />

tutela contro ogni attacco. Per nostro Signore » 1S> .<br />

Nella consacrazione delle cose inanimate al servizio di Dio,<br />

mediante i riti dei sacramentali, come nella consacrazione di una<br />

chiesa, o di un calice, in virtù <strong>della</strong> preghiera <strong>della</strong> Chiesa, Dio<br />

accetta la cosa, come riservata al suo esclusivo uso e sottratta ad<br />

ogni uso profano, e accorda speciali grazie a coloro che se ne servono<br />

nelle debite disposizioni.<br />

Anche nelle semplici benedizioni di cose infraumane è inclusa<br />

l'idea che Dio, sempre in considerazione <strong>della</strong> preghiera <strong>della</strong> Chiesa,<br />

accorda, secondo i disegni <strong>della</strong> sua provvidenza, speciale protezione<br />

alla cosa stessa e all'uso che l'uomo ne fa, in vista di<br />

permettergli di compiere più facilmente la sua salvezza. Non di<br />

rado è notevole, nelle formule di queste benedizioni, il <strong>senso</strong> dell'unità<br />

cosmica del regno di Dio e la coscienza che anche la creatura<br />

infraumana, a suo modo, è chiamata a cooperarvi. Si legga, per<br />

esempio, la benedizione delle api, secondo il rituale romano odierno:<br />

« Signore, Dio onnipotente, che creasti il cielo e la terra e tutti<br />

gli animali che in essi esistono, affinché gli uomini ne usassero;<br />

tu che ordinasti di accendere, per mezzo dei ministri <strong>della</strong> santa<br />

Chiesa, i ceri, fatti con la materia prodotta dalle api, nel tempio,<br />

mentre si compie il rito nel quale si consacra e si prende il sacrosanto<br />

corpo e il Sangue di Gesù Cristo, tuo Figliolo; scenda la tua<br />

benedizione sopra queste api e sopra questi alveari, affinché si<br />

moltiplichino, fruttifichino e siano protette da ogni male, di modo<br />

che i frutti da esse fatti siano usati a lode tua, dello Spirito Santo<br />

e <strong>della</strong> beatissima Vergine Maria. Per lo stesso Cristo nostro Signore.<br />

Amen » 50 .<br />

Così nella vita liturgica dei sacramentali, in modo specialissimo,<br />

sono concretizzate e messe in opera le seguenti grandi realtà<br />

<strong>della</strong> dottrina e <strong>della</strong> vita cristiana: l. L'unità del cosmo; 2. l'universalità<br />

cosmica <strong>della</strong> caduta e dell'impero di Satana; 3. l'universalità<br />

cosmica <strong>della</strong> redenzione in Cristo come liberazione dall'impero<br />

di Satana; 4. l'uomo come microcosmo e nodo centrale<br />

dell'universo; 5. il valore sacro delle cose sensibili come dono di<br />

Dio all'uomo e strumento dell'uomo per andare a Dio. Tutto questo<br />

si oppone in sommo grado al panteismo, al politeismo, alla magia,<br />

al naturalismo, alla profanità.<br />

Non occorre illustrare a lungo come nella <strong>liturgia</strong> di lode tutta<br />

19 Vedi anche, per es., l'esorcismo sull'olio da benedire, Rituale romano,<br />

Titolo IX cap. VII n. 8; l'esorcismo dell'acqua la vigilia dell'Epifania, ibid., cap.<br />

IX n. 28,3.<br />

50 Vedi anche, per es., le orazioni <strong>della</strong> benedizione dell'olio, Rituale romano,<br />

Titolo IX cap. VII n. 8: Domine Deus otnnipotens, ad adstat...; del vino per gli<br />

infermi, ibid. n. 3: Omnipotens... salus aeterna...; degli animali, ibid. cap. V<br />

n. 3: Deus qui taboribus...


LITURGIA E UNITÀ COSMICA 321<br />

la creazione inferiore venga associata alla lode di Dio. Questo<br />

avviene anzitutto con le parole stesse dei salmi e degli inni dell'Antico<br />

Testamento, principalmente col salmo 148: Laudate Dominarti<br />

de coelis e con l'inno Benedicite omnia opera Domini Domino. Altra<br />

via per cui la <strong>liturgia</strong> associa la creatura inferiore alla lode di Dio<br />

e si serve di essa per ritrovarLo ed innalzarsi a Lui, è il simbolismo<br />

del mondo infraumano, o meglio, l'esemplarismo del mondo sovrumano<br />

stampato nel mondo infraumano. Notissimo da questo<br />

punto di vista negli inni delle ore <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> romana odierna<br />

il ciclo <strong>della</strong> luce e delle tenebre.<br />

Così, nell'uomo e per l'uomo, nell'atto liturgico, tutto il mondo<br />

inferiore adempie al suo fine supremo: condurre alla conoscenza,<br />

alla glorificazione e all'adorazione di Dio. La <strong>liturgia</strong> presta una<br />

coscienza e una voce — che è quella stessa <strong>della</strong> Chiesa, meglio<br />

ancora, quella di Cristo — a tutte le cose infraumane.<br />

Insomma, nella <strong>liturgia</strong> si verifica una concretizzazione sublime<br />

<strong>della</strong> visuale cattolica dei rapporti tra natura e grazia: la grazia<br />

non distrugge, ma purifica dal peccato ed eleva la natura.<br />

Ecco come un protestante, diffidente peraltro verso la <strong>liturgia</strong>,<br />

appunto per la sua implicazione di questo stesso dogma, ne ha<br />

però compresa la grandiosità nella logica <strong>della</strong> fede cattolica che<br />

il peccato non distrusse la natura : « L'entrata nel mondo del culto<br />

cattolico apre lo sguardo sopra una costruzione di bellezza e di<br />

grandezza trionfali. Questa costruzione s'innalza sui radiosi paesaggi<br />

dell'antichità greca. <strong>Il</strong> paesaggio è caratterizzato dalla festa<br />

degli dei, la celebrazione dell'incontro con essi nel culto, ed è<br />

coronato dalla cupola cristiana. In realtà il tempio non è stato<br />

abolito. L'idea che ne ha diretta la costruzione e l'utilizzazione viene<br />

compiuta, elevata, sorpassata. E questo non con la penosa giustificazione<br />

caratteristica dei recenti tentativi protestanti di rinnovamento<br />

liturgico, ma con la buona coscienza di una teologia fondata<br />

su basi assai larghe per abbracciare, nella sua insuperabile<br />

grandezza, tutti i valori del sentimento e del pensiero, le intuizioni<br />

di tutte le religioni e di tutte le filosofìe » M .<br />

51 G. HARBSMEIER, Dass wir die Predigt und sein Wort nìcht verachten,<br />

Munchen 1958 p. 146.<br />

1.1 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>.,.


CAPITOLO XII<br />

LA LITURGIA E LA LEGGE<br />

DELL'UNITOTALITÀ COSMICA DEL REGNO DI DIO<br />

IL - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

La <strong>liturgia</strong> s'indirizza a tutto l'uomo concreto nella totalità<br />

del suo essere che ha anche profondi contatti col mondo infraumano.<br />

Ma questa totalità dell'essere concreto umano non è affatto<br />

esaurita se si considera l'uomo come un individuo separato da<br />

tutti gli altri individui. L'uomo è un essere sociale.<br />

Che la rivelazione, e dunque la <strong>liturgia</strong>, non consideri l'uomo<br />

semplicemente dal punto di vista individuale, ma anche dal punto<br />

di vista sociale nei suoi rapporti con gli altri uomini ancor vivi<br />

su questa terra, è stato abbastanza spiegato sopra dove fu analizzata<br />

la legge <strong>della</strong> salvezza in comunità. Bisogna aggiungere ora<br />

che la rivelazione, e dunque la <strong>liturgia</strong>, prolunga questa considerazione<br />

dell'aspetto sociale di ogni individuo con gli altri uomini<br />

anche al di là di questa vita, in quanto stabilisce una profonda<br />

unità tra i fedeli ancora pellegrini su questa terra e i giusti che,<br />

sin dal principio del mondo, hanno raggiunto presso Dio il termine<br />

di ogni vita. Anzi, la rivelazione, e, come sempre, al suo<br />

seguito, la <strong>liturgia</strong>, stabilisce una profonda unità tra gli uomini<br />

ancora su questa terra e lo stesso mondo angelico.<br />

1. LA LITURGIA E I GIUSTI ARRIVATI AL TERMINE<br />

Un'espressione sintetica di questo concetto dell'unità dei<br />

fedeli su questa terra coi giusti nell'ai di là e con lo stesso mondo<br />

angelico nella Gerusalemme celeste, si ha nell'epistola agli ebrei<br />

12,21-23, passo da noi già analizzato in un altro contesto. L'idea<br />

generale di questo testo è la seguente: l'antico Israele fu costituito


ANIME DEL PURGATORIO 323<br />

come popolo religioso, come Q'hal Jahweh, nel patto sigillato<br />

nel sangue dei vitelli ai piedi del Sinai, preceduto da uno scenario<br />

di maestà e di terrore, atto ad inculcare al popolo il più<br />

profondo rispetto. I cristiani, sono costituiti come Chiesa di Dio,<br />

nuovo popolo di Dio, nuovo Israele, dal nuovo patto nel sangue<br />

di Gesù. Così, chiunque entra nella Chiesa, si avvicina, non già<br />

a un monte materiale nello scenario di spavento e di terrore, ma<br />

si avvicina ad un monte spirituale, celeste, ben più maestoso e<br />

divinamente tremendo. È il monte santo <strong>della</strong> Sion sopratterrena,<br />

<strong>della</strong> Gerusalemme celeste. Ora, la Gerusalemme celeste è la città<br />

del Dio vivente dove sono gli angeli e i giusti già arrivati al termine<br />

del loro pellegrinaggio. A essi tutti, come alla città di cui<br />

fa già parte, si incammina, si avvicina ogni cristiano, nell'unità<br />

generale del regno di Dio : « Vi siete accostati al monte Sion, alla<br />

città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste, e alle miriadi di<br />

angeli, adunata liturgica festante (panégyris) e assemblea (ekklesia)<br />

di primogeniti iscritti nei cieli, e a Dio giudice di tutti e agli<br />

spiriti dei giusti resi perfetti (teteleiotnénon), arrivati a termine,<br />

e a Gesù mediatore del nuovo patto, e al sangue dell'aspersione<br />

che parla meglio di quello di Abele ».<br />

Si notino specialmente, in questo testo, i termini: avvicinarsi,<br />

panégyris, ekklesia, che prospettano la Gerusalemme celeste, e<br />

conseguentemente la stessa Chiesa su questa terra, sullo sfondo<br />

di un concetto liturgico: la Chiesa quaggiù è qualcosa che s'incammina,<br />

si avvicina in atto liturgico, come in processione, alla Gerusalemme<br />

celeste e fa già parte <strong>della</strong> celeste adunata liturgica<br />

festante assieme ai giusti già resi perfetti perché arrivati al termine<br />

<strong>della</strong> loro vita, e, assieme alle miriadi di angeli, tutti concittadini<br />

di una stessa città 1 .<br />

Nel presente paragrafo e nel seguente, non faremo altro che<br />

spiegare l'idea espressa in nuce in questo testo illustrando i rapporti<br />

<strong>della</strong> nostra <strong>liturgia</strong> terrestre e pellegrina col mondo dei<br />

giusti già arrivati al termine e con lo stesso mondo angelico.<br />

Comunione con le anime del purgatorio<br />

I giusti arrivati a termine devono considerarsi non solo i<br />

santi già nella gloria <strong>della</strong> visione beatifica, dei quali parla direttamente<br />

il testo dell'epistola agli ebrei, ma anche le anime del<br />

purgatorio. Sebbene queste, assolutamente parlando, non siano<br />

ancora arrivate al termine ultimo, pur tuttavia sono anime veramente<br />

salvate e sicure di raggiungere quella visione beata. La<br />

rivelazione insegna che anche con esse noi abbiamo una profonda<br />

1 Per il <strong>senso</strong> cultuale liturgico di tutta questa prospettiva, vedi C ipico,<br />

L'Épìtre aux hébreux I 227 ss; 280 ss; 311 ss; II 214 ss; 402 ss.


324 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

comunione di vita soprannaturale e d'interessi. Questo concetto,<br />

naturalmente, si riflette anche nella <strong>liturgia</strong>.<br />

II dogma <strong>della</strong> rivelazione che interferisce dunque su questo<br />

punto dei rapporti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> con tutti i giusti arrivati al termine<br />

del loro pellegrinaggio, è, fondamentalmente, il dogma <strong>della</strong><br />

comunione dei santi che unisce i fedeli ancora pellegrini su questa<br />

terra anche coi santi del paradiso e con le anime del purgatorio.<br />

Derivazioni di questo dogma fondamentale sono i dogmi<br />

<strong>della</strong> liceità e dell'utilità del culto dei santi, prima tra tutti la<br />

Beata Vergine Maria, dell'intercessione dei santi per noi, dell'efficacia<br />

del sacrificio <strong>della</strong> messa, delle preghiere <strong>della</strong> Chiesa e<br />

delle opere pie a favore delle anime del purgatorio. Per lo scopo<br />

che perseguiamo in questo capitolo, che è quello di far vedere<br />

come nella <strong>liturgia</strong> sia sempre presente la legge dell'unitotalità cosmica<br />

<strong>della</strong> salvezza, non occorre insistere maggiormente su questi<br />

dogmi. Bisogna mostrare, invece, come siano profondamente e continuamente<br />

messi in opera nella <strong>liturgia</strong> stessa.<br />

Anche per questo non occorre tanto rifare la storia del culto<br />

dei santi e <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dei defunti 2 quanto rilevarne il <strong>senso</strong><br />

e il suo profondo irradiamento nella <strong>liturgia</strong>. L'espressione più<br />

genuina di quella unione che i cristiani erano persuasi di con:<br />

servare con tutti coloro che erano morti in comunione con la<br />

Chiesa fu, almeno sin dalla metà circa del II secolo, la celebrazione<br />

per loro <strong>della</strong> messa, sia al momento <strong>della</strong> loro sepoltura,<br />

sia negli anniversari <strong>della</strong> loro deposizione, come si diceva, o del<br />

loro martirio. Sin dal 140 l'apologista Aristide diceva : « Se qualcuno<br />

dei fedeli venga a morire, dategli il saluto col celebrare<br />

l'eucarestia e pregando attorno alla sua salma » 3 ; e nell'apocrifo<br />

Acta Joannis del 150 circa, si mostra l'apostolo Giovanni celebrare<br />

la « frazione del pane » sulla tomba di Drusiana 4 . Per Cartagine<br />

l'usanza è testimoniata già da Tertulliano e poi da S. Cipriano*.<br />

Nel sec. IV-V le testimonianze abbondano 6 . <strong>Il</strong> Leoniano e il<br />

Gelasiano hanno già formulari propri di messe per i defunti 7 . Si<br />

usò pure, in tali messe, nominare pubblicamente il defunto per il<br />

quale si celebravano. Da questo, in seguito, nacquero i dittici dei<br />

defunti, o liste intere di nomi di defunti che venivano recitati dal<br />

diacono durante la messa celebrata per loro. Di lì, finalmente, si<br />

venne a una commemorazione di defunti con formula generale,<br />

in tutte le messe addirittura, come nel Memento dei defunti <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> romana. Si tratta di fenomeni comuni a tutte le liturgie.<br />

2<br />

Vedi, per es., RIGHETTI, II 268 ss; 330 ss.<br />

3<br />

Frammento dell'Apologia edito da MILNE, in: Journal of theological studies<br />

1923-24 p. 77, citato da Righetti II 330.<br />

4<br />

Vedi, per es., in J. SOLANO, Textos eucaristicos primitivos I Madrid 1952<br />

p. 721.<br />

5<br />

Citazioni in RIGHETTI II 330.<br />

" Vedi Const. Apost. VI 30,2-7.<br />

T<br />

Leoniano, ed. Mohlberg, Sacramentarium veronense n. 1138 ss; Gelasiano,<br />

ed. Mohlberg n. 1628-95 pp. 23847.


LITURGIA E DEFUNTI 325<br />

<strong>Il</strong> loro <strong>senso</strong> fondamentale è chiaro: la messa è cosa che interessa<br />

profondamente anche i defunti morti nella Chiesa; da essa<br />

può loro derivare grandissimo frutto. Quale frutto se non quello<br />

di essere purificati dall'effetto dei peccati di cui eventualmente<br />

hanno ancora bisogno di essere liberati e così di essere finalmente<br />

ammessi a godere la perfetta pace e beatitudine del cielo coi santi<br />

e con gli angeli di cui noi stessi speriamo un giorno di essere<br />

partecipi? Si recitano pubblicamente i nomi dei defunti nelle messe<br />

che si celebrano per loro — dice S. Epifanio — « affinché coloro che<br />

assistono si persuadano con certezza che i defunti vivono ancora,<br />

e non sono ridotti nel nulla, ma esistono ancora e vivono presso<br />

Dio; come anche affinché sia proclamato quel piissimo dogma, per<br />

cui chi prega per i fratelli, è chiaro che ha per loro buona speranza,<br />

come per coloro che sono partiti per un lungo viaggio...<br />

Facciamo memoria dei giusti e dei peccatori; dei peccatori per<br />

implorar loro misericordia dal Signore » 8 . E S. Cirillo di Gerusalemme<br />

: « Dopo di che preghiamo anche per i defunti santi padri<br />

e vescovi e in genere per tutti quelli che tra noi morirono, credendo<br />

che questo sarà di grande aiuto a quelle anime per le quali<br />

la preghiera è offerta mentre è presente la santa e tremenda vittima...<br />

Così anche noi... offriamo preghiere a Dio per i defunti,<br />

anche se peccatori... offriamo per i nostri peccati Cristo immolato<br />

e così rendiamo propizio a noi stessi ed a loro Dio clementissimo 9 .<br />

Inutile osservare che in tutto questo è implicito il concetto<br />

di uno stato dopo la morte, che non è ancora lo stato definitivo<br />

<strong>della</strong> visione beata e <strong>della</strong> pace perfetta, ma nel quale le anime<br />

hanno ancora bisogno di essere purgate da certi effetti dei loro<br />

peccati dopo di che saranno ammesse allo stato definitivo <strong>della</strong><br />

beatitudine. Vi è anche implicito che, per ottenere questo passaggio<br />

a quelle anime, è sommamente utile, tra le altre cose, il<br />

sacrificio <strong>della</strong> messa che noi offriamo per loro. È il concetto di<br />

purgatorio e <strong>della</strong> nostra comunione di vita spirituale con le<br />

anime ivi ancora detenute, realizzata massimamente nell'azione<br />

liturgica sacrificale.<br />

Questo concetto si ritrova abbondantemente nelle molte altre<br />

parti delle liturgie storiche ed attuali che riguardano i defunti e<br />

che molto presto si sono sviluppate in tutti i riti 10 . Così, per<br />

esempio, nella veglia notturna dei morti, già diffusa sin dal sec.<br />

IV nella prassi delle chiese; negli svariatissimi riti <strong>della</strong> sepoltura;<br />

nell'ufficiatura di forma canonica per i morti, già esistente<br />

a Roma sin dalla fine del secolo VII e, probabilmente, anche<br />

prima; nella festa liturgica <strong>della</strong> commemorazione dei defunti<br />

esistente oggi in tutti i riti e che in occidente fu definitivamente<br />

s Haer. 75,3.8.9.<br />

» Cathec. myst. V 9; 10.<br />

10 Vedi H. R. PHILIPPEAU, Origine et évolution des rites funéraires, in: Le<br />

mystère de la mort et sa célébration, Paris 1951 pp. 360-99.


326 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

organizzata e diffusa da S. Oddone di Cluny verso la fine del secolo<br />

decimo n .<br />

Insomma, in tutta la <strong>liturgia</strong>, considerata sia dal punto di<br />

vista storico che nel suo stato attuale, è profondamente messa in<br />

opera quella misteriosa ma reale comunione di vita divina e d'interessi<br />

spirituali che ci unisce ad ogni anima che ha lasciato questo<br />

mondo in pace, almeno sostanziale, con Dio e che sarà nostra<br />

concittadina nella Gerusalemme celeste. Quel sentimento così radicato<br />

nel cuore umano che i legittimi legami che ci uniscono<br />

quaggiù gli uni agli altri, in quello che hanno di più santo e<br />

sublime, non sono spezzati dalla morte, ma continuano oltre la<br />

tomba, la <strong>liturgia</strong> non solo lo rispetta pienamente — prova ancora<br />

una volta che s'indirizza all'uomo nella sua integra personalità —<br />

ma lo mette in opera in un'atmosfera di luce e di speranza sconosciuta<br />

alle religioni non cristiane. Essa lo prospetta sempre sullo<br />

sfondo <strong>della</strong> Gerusalemme celeste, la comune patria in cui tutti,<br />

un giorno, abbiamo speranza di ritrovarci.<br />

Comunione con i santi del cielo<br />

Più profondamente ancora è ovunque presente nelle liturgie<br />

attuali il concetto e la realtà <strong>della</strong> comunione che ci unisce coi<br />

santi del cielo, principalmente con la Vergine Maria. La comunione<br />

con i santi è, infatti, il concetto fondamentale implicato non solo<br />

nella memoria che di essi si sviluppò nelle anafore a partire dal<br />

secolo V, ma anche nella <strong>liturgia</strong> delle loro feste e, in genere, nella<br />

loro invocazione, che in tutti i riti prese enorme sviluppo a partire<br />

dal secolo IV-V e occupa oggi un posto rilevante.<br />

Come è noto 12 , il culto liturgico dei santi si sviluppò nella<br />

Chiesa a partire dal culto dei martiri 13 e questo, al principio, era<br />

connesso localmente con la loro tomba e cronologicamente col<br />

giorno anniversario del loro martirio. Ora, il modo specifico di<br />

onorare liturgicamente la memoria del martire fu di offrire il<br />

sacrificio sulla sua tomba. È quanto suppone il Martyrium Polycarpi<br />

14 . Lo stesso uso si rileva a Cartagine al tempo di S. Cipriano.<br />

Infatti, parlando di tre martiri cartaginesi, egli dice al popolo:<br />

« Sapete che per loro offriamo sempre il sacrificio ogni volta<br />

che, annualmente, commemoriamo il giorno <strong>della</strong> loro passione » ".<br />

Dal secolo IV-V i testi parlano anche dell'uso di celebrare le vigilie<br />

notturne sulla tomba dei martiri il giorno del loro anniversario.<br />

11 Per tutto questo vedi per es., RIGHETTI II 325 ss.<br />

12 Vedi ibid. p. 268 ss.<br />

13 Le prime notizie si hanno a partire dalla metà del secolo II, Martyrium<br />

Polycarpi 18, 155-77.<br />

14 18. Nel 250 S. Pionio fu arrestato mentre celebrava l'eucaristia per l'anniversario<br />

di S. Policarpo. Vedi Eusebio HE IV 15,46 s.<br />

15 Ep. 39,3,1.


LITURGIA E SANTI 327<br />

Quest'uso è affermato almeno per il 430-50, epoca in cui fu scritta<br />

la passione di S. Saturnino, vescovo di Tolosa : « Vigiliis, hymnis<br />

ac sacramentìs etiam solemnibus celebramus » 16 . Questo modo<br />

di commemorare liturgicamente i santi si praticò anche quando<br />

ai martiri vennero aggiunti (secoli IV-V) la Madonna e i confessori.<br />

Anche qui, dunque, il concetto fondamentale <strong>della</strong> realtà e<br />

<strong>della</strong> vitalità <strong>della</strong> nostra comunione di vita soprannaturale e<br />

d'interessi spirituali col mondo dei santi che sono ormai presso<br />

Dio, comunione che si realizza al sommo grado nell'azione liturgica<br />

ed anzitutto nell'azione sacrificale. Questa appare così, sempre e<br />

in ogni caso, il luogo d'incontro per eccellenza <strong>della</strong> Chiesa peregrinante<br />

con la Chiesa purgante e trionfante.<br />

È per questo concetto fondamentale che, nei formulari delle<br />

anafore, sin dal secolo V, si sviluppò, dalla commemorazione dei<br />

defunti in genere, anche una commemorazione esplicita dei santi,<br />

come <strong>della</strong> parte più nobile di quelli tra i fedeli che hanno ormai<br />

raggiunto presso Dio il termine del loro pellegrinaggio 17 . Quindi<br />

il Communicantes nel nostro canone romano. Ma qui, diversamente<br />

da quello che avviene nelle altre anafore, questa memoria<br />

dei santi è notevolmente separata dal Memento dei defunti e fa<br />

immediatamente seguito al Memento dei vivi. <strong>Il</strong> suo <strong>senso</strong> in questo<br />

contesto sembra però indubitabile e si potrebbe parafrasare<br />

così: «Ricordati, Signore, dei tuoi servi e delle tue serve... per i<br />

quali noi ti offriamo e ti offrono anch'essi questo sacrificio... tanto<br />

più che ciò facciamo uniti in comunione, anzitutto con la gloriosa<br />

sempre vergine Maria, Madre di Dio, poi anche coi tuoi Santi Apostoli<br />

e martiri Pietro e Paolo... dei quali, con venerazione celebriamo<br />

anche la memoria... e per i meriti e per le preghiere dei<br />

quali concedi che in ogni cosa siamo assistiti dall'aiuto <strong>della</strong> tua<br />

protezione ».<br />

Qui, come in molte altre anafore ls , il concetto di comunione<br />

si determina ulteriormente nell'intercessione dei santi per noi e<br />

nella nostra venerazione per essi. E tutto questo si fa in modo specialissimo<br />

nella messa. « Dopo di che, dice S. Cirillo di Gerusalemme,<br />

noi facciamo memoria anche dei defunti, anzitutto dei<br />

patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei martiri, affinché Dio, per<br />

le loro preghiere e le loro intercessioni, accetti la nostra orazione<br />

» 19 . A questo concetto dei santi come nostri intercessori, che<br />

18 1. Cfr. 6. Vedi: Vies des saints et des bienheureux, par les bénédictins<br />

de Paris, XI Paris 1954 pp. 973-90.<br />

17 Vedi, per es., JUNGMANX, Missarum sollemnia, ed. ital. II p. 124 ss; 132 ss.<br />

is Vedi F. E. BRIGHIMAN, Eastern liturgies pp. 48,12; 57,8 ss; 94,32 ss; 169,21 ss;<br />

264,25 ss; 332 ss; 388,19 s; 406,31 s.<br />

19 Catech. myst. V 9. È noto che la formula primitiva per indicare in che<br />

<strong>senso</strong> si offriva il sacrificio e si pregava nella messa in relazione ai martiri e ai<br />

santi, fu che ciò si faceva « per » (hyper) loro. Era dunque la stessa formula<br />

generica usata anche in rapporto ai defunti comuni. <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> era generico: hyper:<br />

« in relazione a ». JUNGMANN, Die Stellung Christì... p. 234, fa osservare che nella<br />

<strong>liturgia</strong> copta giacobita al momento del vangelo, il diacono invitava in greco<br />

il popolo a pregare con la formula: « Pregate per il santo vangelo » e il popolo


328 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

è presupposto nelle loro invocazioni liturgiche, si aggiunga anche<br />

l'idea che nella <strong>liturgia</strong>, e specialmente nella messa, noi rendiamo<br />

grazie a Dio anche per le meraviglie di vita divina che ha operato<br />

nei santi. Poi il concetto che, con tutto ciò, onoriamo anche<br />

i santi stessi per l'eccellenza di vita divina che, con la grazia di<br />

Dio, hanno realmente raggiunta, e che ce li proponiamo così come<br />

esempio, mentre speriamo di essere un giorno loro concittadini<br />

nella gloria <strong>della</strong> Gerusalemme celeste 20 . Tenendo questo dinanzi<br />

agli occhi si comprenderà l'estensione e la profondità di quella<br />

realtà <strong>della</strong> nostra comunione coi santi del paradiso che, sotto il<br />

velo dei segni sensibili, viene realmente attualizzata nella <strong>liturgia</strong>,<br />

e si percepirà meglio con quale forza la legge dell'unitotalità<br />

cosmica <strong>della</strong> salvezza effettivamente la pervade.<br />

Tutte le liturgie inoltre hanno dato a queste idee una concretizzazione<br />

particolarmente efficace in una festa di tutti i santi che<br />

si sviluppò da una festa di tutti i martiri, attestata, in diverse parti<br />

dell'oriente, sin dal secolo V.<br />

Nella <strong>liturgia</strong> romana, la festa del primo novembre, le cui<br />

origini, sotto forme e in date alquanto diverse, risalgono almeno al secolo<br />

VI, mette in opera, in modo felicissimo, questa realtà dell'unione<br />

<strong>della</strong> nostra Chiesa pellegrina, e particolarmente <strong>della</strong> nostra <strong>liturgia</strong>,<br />

con le schiere festanti dei beati nel cielo. <strong>Il</strong> Vidi turbam<br />

magnani, che costituisce come il tema centrale <strong>della</strong> festa; l'enumerazione<br />

che inni, antifone e responsori fanno delle principali<br />

categorie dei santi che noi invochiamo, celebriamo, ci proponiamo<br />

come modelli e alle quali ci uniamo; specialmente la continua<br />

visione <strong>della</strong> grande <strong>liturgia</strong> che, in cielo, beati e angeli compiono<br />

ininterrottamente intorno al trono di Dio e all'Agnello, secondo<br />

l'Apocalisse 7,9-12, costituiscono, alla fine dell'anno liturgico, un<br />

grandioso quadro riassuntivo <strong>della</strong> realtà <strong>della</strong> comunione che ci<br />

unisce alla Chiesa trionfante.<br />

L'idea che la nostra <strong>liturgia</strong> di quaggiù non è altro che un<br />

inizio, un'eco e un'ombra — come si conviene appunto alla fase<br />

pellegrina <strong>della</strong> Chiesa che vive nella lotta e nella fede — <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> che si compie eternamente nella gloria <strong>della</strong> Gerusalemme<br />

celeste, viene esplicitata nelle liturgie, generalmente, soltanto in<br />

relazione alle schiere angeliche, alle cui lodi, nel Sanctus di ogni<br />

messa, chiediamo a Dio di poter unire le nostre voci 21 .<br />

rispondeva : Kyrie eleison (BRIGHTMAN, Eastern liturgies pp. 155,34 s). Più tardi,<br />

ponendosi la questione di determinare maggiormente, vi fu, presso alcuni autori<br />

antichi, qualche esitazione intorno al modo di spiegare quell'/jyper. A partire dal<br />

secolo V, sebbene tracce <strong>della</strong> vecchia formula rimanessero ancora, sparirono<br />

le esitazioni intorno alla sua interpretazione : « Alla mensa stessa non li commemoriamo<br />

(i martiri) nello stesso <strong>senso</strong> che gli altri defunti nella pace, come<br />

se pregassimo per loro, ma piuttosto affinché essi preghino per noi e affinché<br />

noi ne seguiamo i vestigi » S. AGOSTINO, In lo. 84,1. Vedi JUNGMANN, Die Stellung<br />

Christi... p. 233 ss.<br />

20 Quest'ultimo concetto, nel canone romano, è specialmente espresso nel<br />

Nobis quoque peccatoribus.<br />

21 In qualche testo gallicano, nell'introduzione al Sanctus, si fa menzione


LITURGIA E SANTI<br />

Tuttavia è innegabile che la nostra <strong>liturgia</strong> è l'inizio, l'eco<br />

e l'ombra non solo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> angelica, ma anche di quella dei<br />

beati e che anche ad essi va estesa la nostra domanda: cum quibus<br />

et nostras voces ut admitti iubeas deprecamur. Liturgia angelica<br />

e <strong>liturgia</strong> dei beati nella Gerusalemme celeste è un'unica <strong>liturgia</strong><br />

di un'unica ekklesia, in un'unica panegyris. Perciò concepire<br />

la nostra <strong>liturgia</strong> come un inizio, un'eco e un'ombra <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

degli angeli è necessariamente concepirla come un inizio, un'eco<br />

e un'ombra <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> celeste dei beati. « Vidi una grande moltitudine,<br />

che nessuno poteva contare, di tutte le genti e tribù e<br />

popoli e lingue, che stavano davanti al trono e al cospetto dell'Agnello,<br />

vestiti di abiti bianchi con palme nelle loro mani: e<br />

gridavano a grande voce dicendo: Salvezza al nostro Dio che siede<br />

sul trono e all'Agnello. E tutti gli angeli stavano intorno al trono<br />

e ai seniori e ai quattro animali e si prostrarono bocconi dinanzi<br />

al trono ed adorarono Dio dicendo: Amen. Benedizione e gloria<br />

e sapienza e rendimento di grazie, e onore e potenza e fortezza<br />

al nostro Dio per tutti i secoli. Amen » (Ap 7,9-12). « Ci hai redenti,<br />

o Signore Dio, nel tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e<br />

nazione e ci hai fatti un regno al nostro Dio » dice ancora la <strong>liturgia</strong><br />

(cfr. Ap 5,10). E la stessa (cfr. Sai 148,14; 149,9) in un'altra<br />

antifona aggiunge : « Quest'inno si addice a tutti i suoi santi; ai<br />

figli d'Israele, il popolo che si avvicina a Lui; è questa la gloria<br />

di tutti i suoi Santi ».<br />

Questi figli d'Israele, il popolo che ha il privilegio di avvicinarsi<br />

a Dio, quel regno di redenti dall'Agnello da ogni tribù e<br />

lingua e popolo e nazione siamo anche noi assieme ai beati del<br />

cielo. Quell'inno che si addice ai redenti è, per i beati, il grande<br />

clamore di benedizione, di gloria e di rendimento di grazie che,<br />

ininterrottamente mandano a Dio che siede sul trono e all'Agnello.<br />

Per noi è anzitutto il grande clamore di benedizione, di gloria e<br />

di rendimento di grazie che la Chiesa pellegrina manda, per dirla<br />

con S. Giustino 22 , al Padre dell'universo nel nome del Figlio e<br />

dello Spirito Santo, facendo a Lui eucaristia, quanto è in suo<br />

potere, in anamnesi dell'ultima cena, <strong>della</strong> passione, morte, risurrezione<br />

di Cristo, <strong>della</strong> sua gloriosa ascensione e <strong>della</strong> sua futura<br />

e tremenda venuta, in ringraziamento a Dio per l'opera <strong>della</strong> creazione<br />

e <strong>della</strong> redenzione e perché ci ha fatti degni di stare dinanzi<br />

a Lui come ministri dell'altare. A questa somma eucaristia <strong>della</strong><br />

Chiesa <strong>della</strong> terra che è la messa, si aggiunge poi l'eucaristia di<br />

tutto il resto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei sacramenti, nei sacramentali e<br />

nella lode dell'ufficio divino. E in tutto questo la Chiesa pellegrina<br />

non fa altro che associare il suo inno all'inno dei beati nel cielo.<br />

anche dei santi accanto agli angeli. Vedi : Missale gallicanum vetus, ed. Mohlberg,<br />

Roma 1958 p. 78 n. 283,33 ss<br />

22 Vedi Apologia I 65; 67.<br />

329


330 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

2. LA LITURGIA E IL MONDO ANGELICO<br />

Per capire le relazioni tra <strong>liturgia</strong> e mondo angelico è necessario,<br />

nuovamente, rendersi conto anzitutto dell'unità che, secondo<br />

la rivelazione, esiste tra il mondo angelico e il resto del cosmo:<br />

uomo e mondo infraumano.<br />

Unità con il mondo angelico secondo la rivelazione<br />

Ora, in questo campo, il pensiero <strong>della</strong> rivelazione è nettissimo<br />

e fortemente inculcato sia nell'Antico Testamento che nel<br />

Nuovo. In sostanza si tratta di questo: ai fini voluti da Dio, il<br />

mondo angelico costituisce un'unità inscindibile assieme al mondo<br />

umano e infraumano. Dio non tratta questi tre ordini come mondi<br />

separati e indipendenti, ma come un cosmo unico in vista di un<br />

fine generale comune, nel raggiungimento del quale ogni ordine ha<br />

bensì una parte specifica, ma con interdipendenza gerarchica, di<br />

modo che le sorti e la storia di ogni ordine interessa sommamente<br />

gli altri ordini, e tutti sono, in qualche modo, reciprocamente<br />

coinvolti nella sorte e nella storia l'uno ' dell'altro.<br />

L'inclusione del mondo angelico nell'unitotalità cosmica generale<br />

è già visibile nel racconto dei capitoli secondo e terzo del<br />

Genesi, sebbene come in filigrana e al secondo piano dell'attenzione.<br />

II racconto <strong>della</strong> creazione, dello stato paradisiaco, <strong>della</strong><br />

caduta e <strong>della</strong> cacciata dell'uomo dal paradiso, si chiude con il<br />

particolare che Dio, all'entrata del paradiso, « cacciatone Adamo,<br />

collocò ad oriente 23 del giardino di Eden i cherubini e la lama<br />

<strong>della</strong> spada guizzante per custodire l'accesso all'albero di vita »<br />

(Gn 3,24).<br />

I cherubini, nella tradizione biblica, sono esseri angelici al<br />

servizio di Dio, abitanti il luogo dove abita Dio stesso e considerati<br />

come il suo corpo di guardia e i vigili <strong>della</strong> sua abitazione.<br />

Qui, essi eseguiscono i suoi ordini contro l'uomo dopo che questi<br />

ha peccato e, da quel momento, appaiono nemici dell'uomo, in<br />

quanto l'uomo si è fatto nemico di Dio. L'autore del racconto<br />

suppone, naturalmente, che questi esseri angelici, guardia d'onore<br />

e amici di Dio, fossero presenti quando questi creava l'uomo e,<br />

che, mentre l'uomo viveva in rapporti di intima familiarità ed<br />

amicizia con Dio, anch'essi erano amici dell'uomo 24 .<br />

23 Dove era l'unica porta del paradiso.<br />

24 Così diventa probabile che in Gn 3,22 (Ecco l'uomo diventò come uno<br />

di noi conoscendo il bene e il male) le parole che Dio dice immediatamente<br />

dopo il peccato dell'uomo e prima di collocare i cherubini alla guardia <strong>della</strong>


ANGELI NELLA SCRITTURA 331<br />

Così, nell'intenzione dell'autore, la scena <strong>della</strong> creazione, dello<br />

stato primitivo dell'uomo e <strong>della</strong> sua caduta, non si svolge come<br />

cosa che interessa solo Dio e l'uomo e la creatura infraumana,<br />

ma anche, nello stesso tempo, la creatura angelica. Prima del peccato,<br />

sotto il supremo dominio di Dio e nella sua familiarità, vi era armonia<br />

tra la creatura angelica e l'uomo: l'uomo doveva vivere nel<br />

paradiso, abitazione di Dio e degli angeli, in familiarità con Dio<br />

e con gli angeli. Questo era l'ordine voluto da Dio, l'ideale primitivo.<br />

<strong>Il</strong> peccato rompe l'unità dei rapporti non solo tra l'uomo<br />

e Dio e tra l'uomo e la creatura infraumana, ma anche tra l'uomo<br />

e l'angelo. <strong>Il</strong> peccato dell'uomo, rivolta contro Dio, è stato nello<br />

stesso tempo un atto d'inimicizia contro l'angelo. L'essere superiore<br />

malevolo, che agisce sotto le spoglie del serpente, ed era<br />

già, come si suppone, in stato d'antagonismo contro Dio e contro<br />

i suoi angeli, ha trascinato l'uomo dalla sua parte, non solo contro<br />

Dio, ma anche contro i suoi angeli.<br />

Così, nel dramma che si svolge nei capitoli secondo e terzo<br />

del Genesi, si tratta di tutto il cosmo concepito come unità. Vi<br />

si narra bensì direttamente la storia dell'uomo; ma questa storia<br />

è inquadrata nell'ambito di una visione cosmica generale ed unitaria<br />

delle cose: l'uomo fa parte d'un insieme immensamente più<br />

vasto <strong>della</strong> stessa umanità. <strong>Il</strong> mondo angelico fa parte essenziale<br />

di questa vasta unità voluta da Dio. Esso, non meno, anzi assai più<br />

del mondo infraumano, è interessato allo stato dell'uomo, alla<br />

sua storia, ai suoi rapporti con Dio. E l'uomo, a sua volta, è interessato<br />

allo stato del mondo angelico, ai rapporti che gli angeli<br />

di Dio hanno con l'umanità, nonché alla natura, alla storia, all'attività<br />

di quell'essere malefico che si nascose sotto le spoglie del serpente<br />

per trascinare l'umanità alla rovina.<br />

Questo pensiero fondamentale del mondo angelico come facente<br />

parte essenziale, assieme all'uomo e alla creatura infraumana, dell'unità<br />

cosmica generale voluta da Dio, così visibile nel racconto dei<br />

capitoli secondo e terzo del Genesi, è poi largamente supposto, ripetuto,<br />

illustrato e sviluppato in tutto l'Antico Testamento. <strong>Il</strong> suo<br />

concetto fondamentale intorno agli angeli è che essi costituiscono<br />

la corte celeste di Jahweh e, verso il mondo, sono l'esercito di<br />

ministri ed esecutori <strong>della</strong> volontà di Lui, l'unico creatore, padrone<br />

e sommo re di ogni cosa.<br />

In questo quadro generale, l'Antico Testamento ci fa vedere<br />

gli angeli nei più diversi servizi agli ordini di Dio. Intorno a Jahweh<br />

stesso e, per così dire al suo servizio personale, troviamo i cherubini<br />

di Ezechiele (1,10), che appaiono in funzione di assistenti al<br />

trono e come il trono stesso di Dio 2! . Quelli che Isaia (6) chiama<br />

porta del paradiso, siano da Lui veramente indirizzate agli angeli, secondo un<br />

modo frequente di rappresentare le cose nella Bibbia : vedi 1 Re 22,19-22; prologo<br />

di Giobbe, Gb 1-2,6; Is 6,8.<br />

25 Vedi anche Sai 17 (volg.), 11. Gn 3 suppone lo stesso. Così anche la rappresentazione<br />

dei cherubini sopra l'arca nel tempio di Salomone : 1 Re 6,23 ss;<br />

ICron 4,10 ss.


332 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

Serafini, appaiono ugualmente come assistenti al trono mentre<br />

cantano le lodi di Jahweh: Sanctus, quasi in funzione liturgica. Nei<br />

salmi, specialmente in quelli di lode cosmica a Dio 26 , si suppone che<br />

tutti gli angeli lodino Dio e che questa sia una loro funzione essenziale.<br />

In questi salmi è notevole appunto il concetto dell'unità<br />

fondamentale del mondo angelico con il resto del cosmo ai fini<br />

dell'adorazione e <strong>della</strong> lode di Dio. Gli angeli, come esseri celesti<br />

e sovrumani in intima familiarità con Dio, vi sono considerati come<br />

il primo cerchio delle creature costituenti tutte assieme un'unità<br />

cosmica generale.<br />

Immensamente grande appare nell'Antico Testamento la parte<br />

degli angeli al servizio di Jahweh rispetto al mondo e agli uomini,<br />

come suoi intermediari e ministri. Essi accompagnano le teofanie<br />

di Dio nel mondo 27 . Sono sempre a sua disposizione per amministrare<br />

le cose: come le centinaia di migliaia che stanno ai suoi<br />

cenni secondo Daniele (7,10); i « vigili » di cui parla lo stesso Daniele<br />

28 ; i sette che stanno davanti al trono di Dio, secondo Tobia<br />

(12,12-15); gli angeli dei popoli: Michele per Israele (Dn 10,13.21;<br />

12,1 ss), altri angeli per altri popoli (Dt 4,19; 32,8 s; Is 24,21; Dn<br />

10,13.20). Malachia (3,1) allude pure all'angelo del testamento, ossia,<br />

probabilmente, quello a cui è stato affidato, in modo speciale, l'ufficio<br />

d'intermediario tra Dio e Israele per la conclusione e l'esecuzione<br />

del patto del Sinai 29 . Ci sono gli angeli intermediari nell'aiuto<br />

che Dio manda agli uomini (per es., Gdc 5,20; Es 23,20-23; 14,19);<br />

angeli intercessori e protettori di singoli individui (Zc 1,12; 3,1-8;<br />

Gb 5,1; 33,19-24; Tb; Sai 33,8) che presentano, tra le altre cose,<br />

le orazioni degli uomini a Dio (Tb 3,24-25; 12,12-15); angeli consolatori<br />

(Gn 24,7; 1 Re 19,5; 2 Re 1,15; 13,18; Dn 3,25; 6,22). Numerosi<br />

testi 30 parlano degli angeli intermediari di Dio per punire gli uomini<br />

e tra questi appaiono gli angeli sterminatori 31 .<br />

Nella teologia giudaica posteriore, apocrifa e rabbinica, questo<br />

concetto dell'unità cosmica includente il mondo angelico si è sviluppato<br />

sempre più. In essa l'angelologia prende un posto sempre<br />

più considerevole 82 . Questa accentuazione'si manifesta, per esempio,<br />

nel concetto di angeli guardiani, specialmente in diverse circostanze<br />

<strong>della</strong> vita (Test Ios 6; Targum ps. Ion. in Gn 33,10; 48,6); nel<br />

concetto dell'angelo accompagnatore di ogni anima davanti a Dio<br />

dopo la morte (Test Aser 6; Test Levi 5); nel concetto molto sviluppato<br />

degli angeli preposti da Dio al governo degli elementi mate-<br />

2e Principalmente i salmi (secondo la numerazione <strong>della</strong> volgata): 28; 102;<br />

148,1 ss e il Benedicite omnia opera Domini Domino, Dn 3,56 ss.<br />

" Gn 18,2 ss; Gb 38,7; Dt 33,3; Zc 14,5; Sai 67 (volg.), 18; Dn 7,10.<br />

Dn 4,10-14. Vedi anche Ez 9,2 ss; Zc 3,9; 4,10; Ap 1,4.16.20; 2,1; 3,11.<br />

29 Vedi pure l'apocrifo Giubilei 6,19-22; 14,20 e nel Nuovo Testamento, Gal<br />

3,9; At 7,19; Eb 2,2.<br />

so Per es., £5 123; 2 Sam 24,16; 1 Cron 21,5; 2 Re 19,35.<br />

ai Vedi Es 12,23; 24,16; Ez 9-10; Gb 23,22; Sap 16,14; Sai 77 (volg.), 49.<br />

3- Vedi per es., G. BONSIRVEN, // giudaismo palestinese al tempo di N. S.,<br />

Marietti 1950 p. 28 ss.


ANGELI NELLA SCRITTURA 333<br />

riali, come stelle, venti, piogge; nella determinazione delle diverse<br />

classi degli angeli; nello sviluppo del ricorso alla loro intercessione<br />

e del loro culto in generale.<br />

<strong>Il</strong> Nuovo Testamento riguardo al concetto dell'unità tra il<br />

mondo angelico e quello umano continua semplicemente la tradizione<br />

dell'Antico. Però, la cosa vi prende un colore speciale a causa<br />

<strong>della</strong> grande nuova rivelazione di Cristo, Figlio di Dio incarnato.<br />

In Cristo e per Cristo, Dio in persona è sceso sulla terra, e, instaurando<br />

Egli stesso il suo regno, la Chiesa, ristabilisce così, anzitutto<br />

nel proprio Figlio, in modo più meraviglioso e in grado immensamente<br />

più alto e più spirituale, la primitiva unità del cosmo intero,<br />

rotta dal peccato originale. San Paolo esprime direttamente questo<br />

concetto sintetico in Col 1,15-20.<br />

I punti dottrinali che, nel Nuovo Testamento, sembrano di maggiore<br />

importanza dal punto di vista che qui ci preoccupa, pare<br />

possano ridursi a due capi principali. Anzitutto il concetto che gli<br />

angeli essendo, per eccellenza, la corte di Dio e i suoi ministri,<br />

sono presenti, pur al secondo piano <strong>della</strong> visuale, lungo tutta la<br />

vita di Cristo e la sua opera: annunciazione <strong>della</strong> nascita di Giovanni<br />

Battista e annunciazione a Maria; ammonizioni a Giuseppe;<br />

natività di Cristo, nella quale gli angeli che cantano il Gloria in<br />

excelsis esprimono esplicitamente il concetto dell'unità del cosmo<br />

ristabilita, poiché d'ora innanzi gli uomini sono nuovamente oggetto<br />

del beneplacito divino (eudokia; bona voluntas), cosa di cui gli angeli<br />

stessi immensamente si rallegrano e lodano Dio (Le 2,10-12) perché,<br />

si suppone, ne sono essi stessi immensamente interessati; fuga e<br />

ritorno dall'Egitto; inizio del ministero pubblico di Gesù (Me 1,13;<br />

Mt 4,11); poi nella passione (Le 22,32; Mt 26,53); nella risurrezione;<br />

nell'ascensione; nella parusia futura (Mt 16,27 e parali.; 13,39;<br />

Gv 1,51):<br />

II secondo capo di dottrina è che gli angeli hanno interesse e<br />

prendono parte attiva alla vita <strong>della</strong> Chiesa e dei fedeli, perché<br />

si considerano interessati in tutto quello che riguarda la vita divina<br />

negli uomini. Vi è un angelo del Signore, speciale protettore <strong>della</strong><br />

Chiesa, nuovo Israele, come lo era stato del vecchio Israele (per<br />

es., Mt 1,24; 2,13-19; 28,2; At 5,19; 12,7 ss). Vi sono angeli che<br />

hanno speciale cura dei bambini (Mt 18,10). Gli angeli si rallegrano<br />

<strong>della</strong> conversione dei peccatori (Le 15,7). Gli angeli negli Atti<br />

appaiono protettori e ammonitori degli Apostoli, in specie in vista<br />

del ministero apostolico stesso (At 12,15; 8,26; 10,7.22; 1 Cor 4,9).<br />

Lo stesso concetto <strong>della</strong> profonda unità tra il mondo umano e il<br />

mondo angelico è messo in opera in tutta l'Apocalisse. È noto il<br />

disegno generale dell'ultimo libro <strong>della</strong> Scrittura: i giusti di quaggiù<br />

e la Gerusalemme celeste sono un'unica città e un unico regno,<br />

il cui capo è Dio e l'Agnello. Ma quest'unica città è in due distinte<br />

fasi di sviluppo che tendono a unificarsi in una realtà unica. C'è<br />

la fase del cielo, dove sono, assieme a Dio e all'Agnello, gli angeli<br />

fedeli e gli uomini giusti arrivati al termine nella pace e nella gloria.


334 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

C'è la fase <strong>della</strong> terra, costituita dai fedeli ancora in lotta contro<br />

la città avversa di Satana e la bestia.<br />

Ma tra le due fasi <strong>della</strong> stessa città vi sono continue interferenze<br />

e come una processione ininterrotta dall'una all'altra. Quelli del<br />

cielo, tanto gli angeli che i giusti, s'interessano dei fratelli che<br />

ancora lottano e li aiutano in ogni modo: offrono a Dio le orazioni<br />

dei fedeli; Lo pregano per loro. Gli angeli in specie servono<br />

d'intermediari tra Dio e i fedeli quaggiù: rivelano loro i disegni<br />

di Dio; intervengono nella battaglia quali suoi ministri per punire<br />

i nemici, i fedeli <strong>della</strong> bestia, in specie mediante gli elementi materiali<br />

dei quali hanno il potere. Condotti dal loro capo, Michele, impegnano<br />

anche direttamente la lotta contro Satana e i suoi satelliti.<br />

La città di Dio che ancora lotta sulla terra manda man mano i<br />

suoi cittadini alla città del cielo; finché, compiuto il numero dei<br />

predestinati, le due fasi dell'unica città si riuniranno in una sola:<br />

la Gerusalemme celeste, nella <strong>liturgia</strong> cosmica ed eterna.<br />

La fase finale è rappresentata dalla grande dossologia del capitolo<br />

quinto: « Quantio (l'Agnello) ebbe preso il libro, i quattro esseri<br />

viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono al cospetto dell'Agnello<br />

avendo ciascuno una cetra e coppe d'oro piene di aromi, che<br />

sono le preghiere dei santi. E cantavano un inno nuovo dicendo:<br />

"Degno sei tu, o Signore, di prendere il libro e di aprire i suoi<br />

sigilli, perché sei stato sgozzato e col tuo sangue hai riscattato a<br />

Dio uomini da ogni tribù e lingua e popolo e nazione, e li hai fatti<br />

per il nostro Dio popolo regale e sacerdotale, e regneranno sulla<br />

terra". E vidi e udii una voce di molti angeli intorno al trono e<br />

agli esseri viventi e ai vegliardi ed era il loro numero migliaia di migliaia,<br />

miriadi di miriadi, che dicevano a gran voce : "Degno è l'Agnello<br />

che è stato sgozzato, di ricevere la potenza e la ricchezza e la<br />

sapienza e la forza e l'onore e la gloria e la benedizione". E ogni<br />

creatura ch'è nel cielo e sulla terra e sotto la terra e sul mare e tutte<br />

le cose in essi contenute, udii che dicevano: "A Colui che siede<br />

sul trono e all'Agnello, la benedizione e l'onore e la gloria e il<br />

potere per i secoli dei secoli". E i quattro esseri viventi dicevano:<br />

"Amen". E i ventiquattro vegliardi caddero bocconi e adorarono il<br />

Vivente per i secoli dei secoli » (5,8-14).<br />

In questa visione siamo all'apice e alla conclusione finale dell'idea,<br />

profondamente insita in tutta la rivelazione sin dalle prime<br />

pagine del Genesi e negli scritti ispirati più antichi, dell'intima unità<br />

di tutto il cosmo umano, infraumano ed angelico, concepito come<br />

unitotalità estensiva ed intensiva in rapporto al fine comune ed<br />

ultimo del regno di Dio. La visione dell'Apocalisse ci mostra quello<br />

stesso cosmo che c'era apparso nel dramma delle prime pagine del<br />

Genesi, giunto alla fine dei tanti drammi, travagli e dolori descritti<br />

e spiegati dalla Scrittura, al termine cui tutto tendeva. Questo<br />

termine è la panégyris <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> cosmica ed eterna di tutte le<br />

creature nell'adorazione e nella lode all'Agnello e al Vivente nei<br />

secoli dei secoli.


ANGELO DEL SACRIFICIO 335<br />

Unità con il mondo angelico nella <strong>liturgia</strong>: angelo del sacrificio<br />

È certo che più d'un tratto in cui S. Giovanni nell'Apocalisse<br />

ha descritto la <strong>liturgia</strong> celeste, risulta da una spècie di trasposizione<br />

in cielo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> cristiana che conosceva sulla terra. Comunque,<br />

poiché l'idea dell'intima compenetrazione tra mondo umano e mondo<br />

angelico è così radicata in tutta la rivelazione, niente di straordinario<br />

che appaia largamente supposta ed attuata nella <strong>liturgia</strong>. Erik<br />

Peterson 33 ed altri autori dopo di lui 3l hanno documentato questo<br />

fatto. Per rendersene conto basta ricordare la sostanza delle loro<br />

osservazioni, rimandando a questi autori chi desiderasse più ampi<br />

particolari.<br />

Per quanto riguarda la messa, la tradizione liturgica e patristica<br />

rilevò l'idea dell'unità del mondo angelico con gli uomini, anzitutto<br />

nel concetto dell'angelo del sacrifìcio. Siccome l'Apocalisse parla<br />

dell'angelo che, in paradiso, sul simbolico altare aureo, che sta<br />

dinanzi al trono di Dio, offre all'Altissimo le orazioni dei santi {Ap<br />

8,3-5), se ne dedusse che ciò doveva principalmente verificarsi <strong>della</strong><br />

somma orazione dei fedeli, ossia <strong>della</strong> messa. Si pensò dunque che<br />

il sacrificio che i fedeli offrono quaggiù, sia presentato in cielo<br />

dinanzi al trono di Dio per la mediazione angelica. Questo concetto<br />

è comune nelle liturgie 35 . Nella <strong>liturgia</strong> romana è specialmente<br />

espresso nel Supplices te rogamus, secondo l'interpretazione più<br />

probabile : « Supplici ti preghiamo, o Dio onnipotente : comanda<br />

che questi doni siano portati per mano del tuo santo angelo al<br />

sublime tuo altare, in cospetto <strong>della</strong> tua divina Maestà... ». Che, nonostante<br />

la diversità delle interpretazioni che sono state proposte di<br />

questo passo 36 , in questa preghiera si chieda a Dio che il sacrificio<br />

<strong>della</strong> Chiesa venga a Lui presentato per il ministero di un santo<br />

angelo, anzi degli angeli in genere, e che così riesca a Dio stesso<br />

ben accetto, pare certo da un testo parallelo nel De sacramentìs.<br />

Ivi S. Ambrogio riferisce una preghiera che risponde al Supra quae<br />

e al Supplices dell'attuale canone romano : il sacerdote dice : « Facendo<br />

dunque la memoria <strong>della</strong> gloriosissima sua passione, <strong>della</strong><br />

sua risurrezione dagli inferi e <strong>della</strong> sua ascensione in cielo, ti offriamo<br />

questa vittima immacolata, vittima spirituale, vittima incruenta,<br />

questo pane sacro e questo calice <strong>della</strong> vita eterna, e ti chiediamo<br />

33 Das Buch von den Engeln, Leipzig 1935.<br />

34 H. DULLMANN, Engel una Mensch bei der Messfeier, in: Divus Thomas<br />

(Friburg) 27 (1949) 281 ss; J. DANIÉLOU, Le mystère de l'Avent. Paris 1948 p. 94 ss.<br />

la, Les anges et leur mission, Chevetogne 1952. ID., Bible et liturgie 2 ed. Paris<br />

1951 p. 176 ss.<br />

3s Vedi: B. BOTTE, L'Ange du sacrìfice, in: Cours et conférences des semaines<br />

liturgiques VII, Louvain 1929 n. 209-21; la, L'ange du sacrìfice et l'épiclèse<br />

au moyen àge, in: Recherches de théologie ancienne et medievale 1 (1929) 285 ss;<br />

G. FITZENGARD, De sacrificio coelesti secundum S. Ambrosium, Mundelein 1944.<br />

36 Vedi, per es., RIGHETTI, HI 336.


336 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

e preghiamo di accettare questa oblazione sul tuo altare celeste<br />

per le mani dei santi tuoi angeli... » 37<br />

La stessa idea è così espressa nella <strong>liturgia</strong> greco-egiziana di<br />

S. Marco : « I doni di sacrificio, di offerta, di ringraziamento, di<br />

coloro che li hanno offerti, ricevili, o Dio, sul tuo altare santo, celeste,<br />

spirituale, nell'alto dei cieli, per mezzo del ministero dei tuoi<br />

arcangeli » 3S .<br />

Angeli e messa<br />

Non meno comune è il concetto generale <strong>della</strong> presenza degli<br />

angeli al sacrificio <strong>della</strong> messa. Alcuni esempi : nella tradizione bizantina<br />

l'idea è messa in rilievo, a partire dal secolo VI, nell'inno detto<br />

cheroubikón, che si canta al momento <strong>della</strong> grande entrata nella<br />

processione delle oblate quando queste sono portate solennemente<br />

all'altare : « Noi che rappresentiamo misticamente i cherubini e cantiamo<br />

l'inno trisagio alla vivificante Trinità, deponiamo ogni cura<br />

terrena, perché dobbiamo ricevere il Re dell'universo accompagnato<br />

invisibilmente dalle schiere angeliche. Alleluia ». Nella messa<br />

dei presantificati <strong>della</strong> stessa <strong>liturgia</strong>, alla stessa processione delle<br />

oblate già consacrate, si canta : « Ora le potenze celesti con noi invisibilmente<br />

adorano: Ecco, infatti, che si avanza il Re <strong>della</strong> gloria.<br />

Ecco, è portato il mistico sacrificio già compiuto. Con fede e timore<br />

avviciniamoci per partecipare alla vita eterna ». Nella stessa messa<br />

bizantina, nella preghiera del piccolo ingresso si afferma che<br />

gli angeli assieme a noi celebrano la <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> messa : « Padrone,<br />

Signore, Dio nostro, che hai stabilito nei cieli ordini ed eserciti di<br />

angeli e di arcangeli per la <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> tua gloria, fa sì che insieme<br />

con il nostro ingresso si faccia pure l'ingresso dei santi angeli che celebrino<br />

insieme con noi la <strong>liturgia</strong> e cantino insieme con noi la tua<br />

gloria ».<br />

Nella traduzione greca <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sira di S. Giacomo, il<br />

cheroubikón è questo: « Taccia ogni umana carne; stia con timore<br />

e tremore e non abbia nessun pensiero terreno. <strong>Il</strong> Re dei re, infatti,<br />

Cristo, il nostro Dio, si avanza per essere immolato e darsi in<br />

nutrimento ai fedeli. Lo precedono i cori degli angeli con tutte le<br />

potestà e le dominazioni; i cherubini dai molti occhi e i serafini<br />

dalle sei ali che si coprono il volto e gridano l'inno. Alleluia » 39 .<br />

In una <strong>liturgia</strong> egiziana, probabilmente del secolo VI 40 , al<br />

momento del bacio di pace, il diacono annunzia : « Abbiate i vostri<br />

cuori in cielo. Se qualcuno ha avuto qualche diverbio con il suo<br />

prossimo si riconcili... Perché il Padre degli uomini, il suo Figlio<br />

unico e lo Spirito Santo, sono presenti, guardano le nostre azioni<br />

3? IV 6,27.<br />

38 BRIGHTMAN, Eastern liturgies, 129.<br />

3 » Ibid. 41 s.<br />

40 Vedi A. BAUMSTAHK, in: Oriens Christianus 1901 p. 1 ss.


ANGELI E MESSA 337<br />

ed esaminano i nostri pensieri; e gli angeli si muovono tra noi e<br />

si frammischiano a noi ».<br />

Naturalmente, il concetto che gli angeli sono presenti al sacrificio<br />

<strong>della</strong> messa non è affatto arbitrario. Esso poggia sul doppio<br />

asserto sopra spiegato <strong>della</strong> rivelazione: che gli angeli sono la<br />

corte di Dio, il loro e nostro Re, e quindi, sono presenti ovunque<br />

è presente il loro Re, Cristo; che gli angeli sono nostri concittadini,<br />

nostri custodi e intermediari presso Dio. Se questo è vero in genere,<br />

lo è senza dubbio principalmente nell'atto più sublime su questa<br />

terra: la messa, dove cielo e terra si uniscono in un modo realissimo<br />

per quanto misterioso.<br />

È in questo <strong>senso</strong> preciso che i Padri spiegano la presenza<br />

degli angeli alla messa. Ecco tre testi caratteristici: S. Ambrogio<br />

dice « che l'angelo assiste quando Cristo è presente, Cristo è immolato...<br />

Se qui è il corpo di Cristo, qui anche gli angeli sono<br />

presenti » 41 . S. Giovanni Crisostomo afferma che, quando il sacerdote<br />

si avvicina all'altare per offrire il sacrificio incruento « gli<br />

angeli circondano il sacerdote; tutto il santuario e lo spazio intorno<br />

all'altare è pieno di schiere celesti per onorare Colui che è<br />

sull'altare » 42 . È celebre il testo di S. Gregorio Magno : « Chi dei<br />

fedeli potrebbe dubitare che al momento stesso dell'immolazione,<br />

alla voce del sacerdote, i cieli si aprano; che in quel mistero di<br />

Gesù Cristo i cori degli angeli siano presenti, le infime cose si<br />

associno alle somme, le terrene si congiungano con le celesti, e<br />

del visibile e dell'invisibile si faccia una sola cosa? » 43 .<br />

Dai due concetti dell'angelo del sacrifìcio e <strong>della</strong> presenza<br />

degli angeli nella messa, si comprende ancora meglio l'idea inclusa<br />

nella grande preghiera anaforica <strong>della</strong> messa mediante l'inserimento<br />

del Sanctus. È certo che la triplice acclamazione di Santo<br />

che, secondo Isaia (6,3), i Serafini gridavano l'un l'altro al Signore,<br />

era usata dagli ebrei nella <strong>liturgia</strong> del servizio sinagogale ed era<br />

detta la Kedushah, ossia la « santificazione », santificazione cioè,<br />

del nome di Dio 4 \ Che all'uso giudaico abbia poi corrisposto<br />

"i In Le 1,12 CSEL pp. 28,12 ss; De Sacr. I 6. Cfr. IV 7.<br />

42 De sacerdotìo, VI 4.<br />

43 Dialoghi IV 58. Da questa stessa idea così magistralmente espressa da<br />

S. Gregorio, si sviluppò tra i Padri il tema che la messa è una rappresentazione<br />

efficace in sacramento o mysterio del sacrificio celeste, in cui l'altare è la figura<br />

di Cristo che si offre al Padre e i diaconi sono la figura degli angeli che lo<br />

circondano. Vedi J. DANIÉLOU, Bible et liturgie 2 a ed. Paris 1951 p. 176 ss.<br />

44 Per esempio, nella preghiera detta Shemoneh Esreh, la Kedushah era<br />

così introdotta dopo la terza benedizione in un testo che anticamente poteva<br />

essere un po' più breve: « ... tu sei santo, e santo è il Tuo nome, e i Santi ti<br />

lodano ogni giorno. Benedetto sei tu, o Signore, Dio santo. <strong>Il</strong> lettore: Noi santifichiamo<br />

il tuo nome nel mondo, come essi lo santificano nel più alto dei<br />

cieli, come sta scritto per la mano del tuo profeta: Ed essi gridavano l'un<br />

l'altro e dicevano (l'assemblea): Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti;<br />

tutta la terra è piena <strong>della</strong> tua gloria (Is 6,3). // lettore: E ad essi, di fronte,<br />

dicevano: Benedetta. L'assemblea: Benedetta sia la gloria del Signore dal suo<br />

santo luogo (Ez 3,12). <strong>Il</strong> lettore: E nelle tue sante parole sta scritto. L'assemblea:<br />

<strong>Il</strong> Signore regnerà per sempre, il tuo Dio, o Sionne, in tutte le generazioni.


338 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

sin dai primissimi tempi qualche simile uso nella preghiera dei<br />

cristiani non vi sarebbe nulla di sorprendente, quando si pensa<br />

che essi, nella stessa preghiera del Signore, chiedono ogni giorno<br />

a Dio che sulla terra sia « santificato » il suo nome come lo è in<br />

cielo dagli angeli.<br />

È probabile che un testo di Clemente Romano alluda ad un<br />

uso liturgico del Sanctus 4 \ Comunque, a partire dal IV-V secolo,<br />

sin dall'eucologio di Serapione, il suo inserimento nell'anafora<br />

è attestato come cosa comune in oriente, da cui poi passò in<br />

Spagna, in Gallia e in Italia. A Roma sembra sia stato accolto<br />

nella prima metà del secolo V 46 . Da quell'epoca è un fatto comune<br />

a tutte le liturgie.<br />

Per natura sua, il Sanctus nell'anafora è il canto di tutta l'assemblea<br />

liturgica: sacerdote, chierici e popolo 47 . La messa si presenta<br />

anzitutto nel quadro di una grande azione di ringraziamento,<br />

lode e benedizione a Dio, ciò che si esprime in primo luogo nella<br />

grande prece anaforica. L'inserimento del Sanctus vuole dunque<br />

sottolineare che quel sommo ringraziamento, quella somma lode e<br />

benedizione che noi rendiamo a Dio appunto nella messa è il nostro<br />

miglior modo di associarci quaggiù all'eterna <strong>liturgia</strong> celeste del<br />

mondo angelico e il momento in cui l'unità del mondo angelico<br />

e del mondo umano trova la sua massima espressione.<br />

Infatti, tutte le liturgie cristiane, tra i diversi cambiamenti che<br />

hanno introdotto nel testo di Isaia, hanno sottolineato fortemente<br />

che quel Sanctus degli angeli a cui noi nella messa ci associamo,<br />

non è già solo l'acclamazione dei serafini nel tempio <strong>della</strong> Gerusalemme<br />

terrestre, ma la solenne <strong>liturgia</strong> che compiono tutte le<br />

schiere angeliche nella Gerusalemme celeste (cfr. Ap 4,8). — Sono<br />

pieni il cielo e la terra <strong>della</strong> tua gloria — dice il canone romano. « Si<br />

è aggiunto il cielo alla terra, e ciò in tutte le liturgie cristiane e<br />

solo in esse... <strong>Il</strong> trisagio non risuona più nel tempio di Gerusalemme,<br />

e non sono più i Serafini a cantarlo, ma il cielo ne è divenuto<br />

il teatro, e tutti i cori degli Spiriti beati, l'intera militia coelestis<br />

exercitus, vi sono convenuti; socia exultatione essi elevano l'inno<br />

di lode e sine fine » 48 . È a questa esultazione di tutto il cielo che<br />

il popolo cristiano, interrompendo la grande prece eucaristica<br />

con la triplice acclamazione del Sanctus, vuole associare la sua voce<br />

Alleluia (Sai 145,10). // lettore: Per tutti gli evi noi proclameremo la tua grandezza<br />

e per tutta l'eternità noi proclameremo la tua santità. La tua lode, o Dio<br />

nostro, non cesserà mai dalla nostra bocca perché tu sei un grande e santo Dio<br />

e Signore. Benedetto sii tu, o Signore, Dio santo ». (Vedi : W. O. E. OESTERLEY,<br />

The jewish background of the Christian liturgy, Oxford 1925 p. 143).<br />

45 1 Cor 34,5-7. Come osserva giustamente JUNGMANN, Missarum... II 103,<br />

quello che rende probabile che si tratti realmente di un'allusione ad un uso<br />

liturgico è l'unione nel testo di Clemente, di Dn 7,10 con Is 6,3, come appare<br />

appunto, in seguito, nella maggior parte delle anafore orientali. Anche il versetto<br />

7 sembra alludere a un'assemblea liturgica.<br />

« Vedi RIGHETTI, III 298.<br />

17 Giustamente rilevato e documentato da JUNGMANN, Missarum... II 101 s.<br />

« Ibid. 105.


ANGELI E BATTESIMO 339<br />

e unire la sua <strong>liturgia</strong>. Anche qui: le infime cose si associano alle<br />

somme, le terrene si congiungono con le celesti e del visibile e<br />

dell'invisibile si fa una sola cosa.<br />

È dunque vivissimo nella tradizione liturgica e patristica il<br />

concetto dell'unità del mondo angelico e degli uomini nella messa.<br />

Angeli e battesimo<br />

Qualcosa di simile si può rilevare a proposito degli altri sacramenti.<br />

. Nelle liturgie e nella tradizione patristica esiste anche il<br />

concetto di un angelo del battesimo che prende speciale cura del<br />

catecumeno, interviene nella santificazione dell'acqua battesimale,<br />

è presente al momento solenne del conferimento del sacramento<br />

e prende poi il battezzato sotto la sua speciale protezione per tutta<br />

la vita. È così che anche nel rituale romano odierno, nella prima<br />

parte del rito battesimale degli adulti, che è semplicemente l'antico<br />

rito per fare un catecumeno, si fa chiara allusione all'angelo del<br />

battesimo : « Dio di Abramo, Dio d'Isacco, Dio di Giacobbe, Dio<br />

che sei apparso a Mosè, tuo servo, sul monte Sinai, e hai fatto<br />

uscire i figli d'Israele dalla terra d'Egitto, assegnando loro l'angelo<br />

<strong>della</strong> tua misericordia che li proteggesse giorno e notte: ti preghiamo,<br />

o Signore, degnati di mandare dal cielo il tuo santo angelo<br />

che protegga parimenti questo tuo servo N. e lo conduca alla grazia<br />

del battesimo. Per Cristo... » 49 . L'intervento dell'angelo nella preparazione<br />

dell'acqua battesimale — con probabile derivazione da<br />

Gv 8,4 — è documentato dal Peterson 50 - con testi di Tertulliano<br />

e di diverse liturgie. Tertulliano, per esempio, dice che « l'intervento<br />

dell'angelo ha dato alle acque un certo potere di guarigione » 51 e<br />

che noi « nell'acqua, purificati sotto la direzione dell'angelo, siamo<br />

preparati per lo Spirito Santo » 52 , o anche che « l'angelo del battesimo,<br />

qual mediatore, prepara le vie alla venuta dello Spirito<br />

Santo per l'abolizione dei delitti » ". Questa stessa idea si ritrova<br />

nel Gelasiano per la benedizione dell'acqua battesimale in caso di<br />

necessità in vista del battesimo di un catecumeno malato : « Signore...<br />

ti supplichiamo... di mandare sopra queste acque, preparate<br />

per lavare e vivificare gli uomini, l'angelo santo, affinché egli, lavati<br />

i peccati <strong>della</strong> vita anteriore e deterso il reato, procuri nei rigenerati<br />

una degna abitazione allo Spirito Santo » 54 .<br />

Sulla presenza degli angeli nel momento stesso del battesimo,<br />

Origene, per esempio, dice : « Quando il sacramento <strong>della</strong> fede<br />

ti è stato dato, le virtù celesti, i ministeri degli angeli, la chiesa<br />

19<br />

Ordo baptismi adultorum n. 17.<br />

,0<br />

Dos Buch voti den Engeln, Leipzig 1935 p. 60.<br />

51<br />

De baptismo 4,5.<br />

52 Ibid. 6,1.<br />

« Ibid.<br />

« Ed. Mohlberg n. 606 p. 95.


340 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

dei primogeniti erano presenti » 5 \ Didimo Alessandrino a sua volta<br />

attesta : « Visibilmente la piscina genera il nostro corpo visibile per<br />

il ministero dei sacerdoti. Invisibilmente lo Spirito di Dio invisibile<br />

ad ogni intelligenza, immerge in se stesso e rigenera nello stesso<br />

tempo il nostro corpo e la nostra anima con l'assistenza degli angeli<br />

» 56 .<br />

L'interesse sommo degli angeli al battesimo di ogni uomo viene<br />

egregiamente espresso dalla tradizione patristica nel tema dell'ammirazione<br />

degli angeli per il battezzato che esce dalla piscina.<br />

S. Cirillo di Gerusalemme dice ai neobattezzati : « Gli angeli intorno<br />

a voi danzano in coro, cantano e dicono: chi è costei che sale in<br />

vesti bianche ed appoggiata sul suo diletto? » ". S. Ambrogio così<br />

sviluppa questa stessa idea parlando dei neobattezzati che stanno<br />

per avvicinarsi all'altare : « Avete cominciato ad avvicinarvi. Gli<br />

angeli vi hanno osservato e vi hanno visto avvicinarvi; hanno osservato<br />

quella condizione umana che prima era macchiata dalla nera<br />

infezione del peccato, e l'hanno vista subitamente risplendere. E<br />

dissero: "Chi è costei che sale dal deserto fatta bianca?". Gli angeli<br />

sono dunque in ammirazione. Vuoi sapere cosa ammirano? Ascolta<br />

l'Apostolo Pietro dire che ci è stato donato quello che gli angeli<br />

desiderano di vedere (cfr. 1 Pt 1,18). Ascolta ancora (ICor 2,9):<br />

"Quello che l'occhio non ha visto, né orecchio udito, ecco ciò che<br />

Dio ha preparato per coloro che lo amano" » 58 .<br />

Di nuovo: in questo concetto dell'angelo del battesimo non<br />

vi è niente di arbitrario. Se, infatti, il battesimo è la nostra nascita<br />

alla vita spirituale e la nostra riconciliazione con Dio, esso costituisce,<br />

per il fatto stesso, la nostra riconciliazione con gli angeli<br />

e il momento in cui siamo fatti loro concittadini effettivi, membri<br />

<strong>della</strong> Chiesa e membri presignati <strong>della</strong> Gerusalemme celeste. Non<br />

è dunque da credere che siano assenti o si disinteressino di un<br />

momento tanto importante nella nostra e nella loro vita. Se vi<br />

è gioia tra gli angeli di Dio per un peccatore che fa penitenza,<br />

chi può negare la loro gioia per la nascita di un peccatore alla<br />

vita divina? 59 .<br />

Angeli, penitenza, matrimonio, ordinazioni<br />

« Vi è gioia tra gli angeli di Dio per un peccatore che fa penitenza<br />

» (Le 15,10): è questo, appunto il fondamento del concetto<br />

patristico e liturgico del così detto angelo <strong>della</strong> penitenza, sia perché<br />

53 In Jos. Hom. IX 4. Altri padri citati da Peterson 1. e. 62 s. Vedi anche<br />

PER LUNDBERG, La typologie baptismate dans l'ancienne église, Paris 1942 p. 44 s.<br />

so De Trin. II 12 PG 39,672 C.<br />

« Catechesi 3: De baptismo, n. 16 PG 33,448.<br />

ss De sacr. IV 5.<br />

59 In questo <strong>senso</strong> esplicitamente S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Huit catéchèses<br />

baptismales (ed. Wenger, Sources chrétiennes n. 50) Paris 1957, cat. I 2 p. 109;<br />

II 20 p. 145.


ANGELI E MALATI 341<br />

scopre i peccati o anche perché ha qualche parte nel fatto che sono<br />

rimessi al peccatore 60 .<br />

Per la parte degli angeli nel matrimonio cristiano si cita il testo<br />

di Tertulliano che proclama : « La felicità del matrimonio quod ecclesia<br />

conciliat et confirmat oblatio et obsignat benedictio, angeli<br />

renuntiant, pater ratum habet » 6l . Per la presenza degli angeli nell'ordinazione<br />

del vescovo si citano le Costituzioni apostoliche dove<br />

si ricorda che, quando il popolo nell'ordinazione attesta che il neoeletto<br />

vescovo è veramente degno dell'alta carica cui è stato designato,<br />

deve ciò fare : « come davanti al giudice Dio e Cristo, in<br />

presenza dello Spirito Santo e di tutti i santi spiriti incaricati di<br />

ministero » (cfr. Eb 1,14) 62 .<br />

Angeli e <strong>liturgia</strong> dei malati<br />

Non occorre esporre nei particolari la grande parte che gli<br />

angeli hanno nella <strong>liturgia</strong> dei malati e dei defunti secondo la tradizione<br />

patristica e le liturgie stesse ea . Basti ricordare nella <strong>liturgia</strong><br />

romana odierna le due orazioni Proficiscere anima Christiana, e<br />

Commendo te, <strong>della</strong> Commendatio animae, e le due antifone: Subvenite<br />

Sancti Dei e In paradisum delle esequie. « Dipartiti, anima<br />

cristiana da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente<br />

che ti creò; nel nome di Gesù Cristo Figlio del Dio vivo, che patì<br />

per te; nel nome dello Spirito Santo che è stato in te effuso: nel<br />

nome <strong>della</strong> gloriosa e santa Madre di Dio Vergine Maria; nel nome<br />

del beato Giuseppe inclito sposo <strong>della</strong> medesima Vergine; nel nome<br />

degli Angeli e degli Arcangeli; nel nome dei Troni e delle Dominazioni;<br />

nel nome dei Principati e delle Potestà; nel nome delle<br />

Virtù, dei Cherubini e dei Serafini; nel nome dei patriarchi e dei<br />

profeti... Oggi possa tu entrare nella pace ed avere abitazione nella<br />

santa Sionne » 64 . È fortissimo in questa orazione il <strong>senso</strong> dell'unità<br />

del mondo umano col mondo degli angeli. Senso che non si manifesta<br />

meno evidentemente nelle seguenti orazioni. « Ti raccomando<br />

80 Testi in Peterson 1. e. 72. Anche nell'orazione del mercoledì delle ceneri<br />

per la benedizione delle ceneri da imporre a coloro che accettavano la penitenza<br />

pubblica, si fa chiara allusione all'intervento di un angelo: « ...degnati mandare<br />

dal cielo il tuo angelo santo, che benedica e santifichi queste ceneri... ».<br />

Non sembra fuori luogo ricordare a questo punto dalla Divina Commedia<br />

l'angelo che all'ingresso del purgatorio segna sulla fronte di Dante i sette P<br />

(Purg. IX 103-113) che saranno poi cancellati nei cerchi successivi <strong>della</strong> montagna<br />

<strong>della</strong> penitenza e <strong>della</strong> purificazione per il ministero di altri angeli (vedi,<br />

Purg. XII 98; 115-135).<br />

e 1 Ad uxorem II 8.<br />

62 Const. Apost. Vili 4, 5.<br />

63 Cenno in Peterson 1. e. 74 s. Una lunga inchiesta intorno alla parte degli<br />

angeli nella morte e nel viaggio dell'ai di là secondo l'opinione dei Padri alessandrini<br />

e cappadoci, è stata fatta da A. RECHEIS, Engel, Tod und Seelenreise<br />

in una tesi del Pontif. Ateneo di S. Anselmo, pubblicata a Roma nel 1958.<br />

64 II Proficiscere si trova già nei sacramentari gelasiani del s. Vili. La<br />

menzione di Maria e di S. Giuseppe è moderna.


342 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E ANGELI<br />

a Dio onnipotente, fratello carissimo... Quando uscirà quindi la tua<br />

anima dal corpo venga al tuo incontro la splendida turba degli<br />

angeli; venga a te il senato degli Apostoli giudici... » 65 . « Soccorrete,<br />

santi di Dio; accorrete angeli del Signore; ricevete la sua anima<br />

ed offritela al cospetto dell'Altissimo. Cristo che ti chiamò ti riceva<br />

e gli angeli ti conducano nel seno di Abramo ». « In paradiso ti conducano<br />

gli angeli; al tuo arrivo ti ricevano i martiri e ti scortino<br />

nella santa città di Gerusalemme. <strong>Il</strong> coro degli angeli ti riceva e<br />

con Lazzaro, il povero, abbia tu eterno riposo » ee . <strong>Il</strong> rituale romano<br />

delle esequie parla perfino di un angelo custode del sepolcro:<br />

« Dio, per la cui misericordia le anime dei fedeli hanno riposo,<br />

degnati di benedire questo tumulo e assegnagli a custode il tuo<br />

santo angelo... ». A proposito <strong>della</strong> lotta contro Satana nella <strong>liturgia</strong><br />

dei defunti si parlerà dell'opinione intorno alla parte degli<br />

angeli buoni, oltre che alla parte dei demoni, nel giudizio particolare<br />

e nella teoria dei telonia.<br />

Angeli, ufficio canonico, benedizioni<br />

La presenza degli angeli nella <strong>liturgia</strong> di lode dell'ufficio divino<br />

è un tema comunissimo. Già Origene aveva scritto <strong>della</strong> preghiera<br />

in comune dei cristiani : « Intorno agli angeli ecco ciò che si deve<br />

dire. Se l'angelo del Signore è intorno a coloro che lo temono, è<br />

naturale, quando essi sono ufficialmente adunati per la gloria di<br />

Cristo, che l'angelo rispettivo sia intorno a ognuno di coloro che<br />

lo temono e sia con colui che è incaricato di custodire e di dirigere;<br />

di modo che quando i fedeli sono radunati, vi sono due assemblee:<br />

quella degli uomini e quella degli angeli » 6T . S. Benedetto, nella<br />

sua regola, sintetizzò così in poche parole il modo in cui i monaci<br />

devono recitare l'ufficio : « Crediamo che dappertutto è la divina<br />

presenza... Massimamente però, senza nessun dubbio crediamolo<br />

quando siamo all'opera divina. Dunque ricordiamoci sempre<br />

di quello che dice il Profeta: servite il Signore con timore; e ancora:<br />

salmeggiate sapientemente; e: ti canterò salmi al cospetto degli<br />

angeli. Consideriamo, dunque, come dobbiamo stare al cospetto<br />

<strong>della</strong> divinità e dei suoi angeli e quando salmeggiamo facciamolo<br />

in modo che la nostra mente concordi con la nostra voce » 88 . Questa<br />

e 5 Vedi già nel Gelasiano, ed. Mohlberg n. 1627 p. 238: « O Dio per cui vivono<br />

tutti i mortali... supplici ti preghiamo, comanda che l'anima del tuo servo N.<br />

sia ricevuta per la mano dei tuoi santi angeli e condotta nel seno del tuo amico,<br />

il patriarca Abramo... ».<br />

66 Vedi anche per es., nel Gelasiano, le orazioni per la sepoltura, ed. Mohlberg<br />

n. 1610-11 pp. 234-35. « Suscipe... ad te revertentem de Àegypti partibus»,<br />

e « suscipe... revertentem ad te: Vestem... », e il n. 1621 p. 236 l'orazione Opus.<br />

Vedi anche l'offertorio <strong>della</strong> messa dei defunti: « ...Sed signifer Sanctus Michael,<br />

repraesentet eas in lucem sanctam ».<br />

« 7 De orat. 25.<br />

cs Cap. 19.


ANGELI E NATALE 343<br />

idea è rimasta poi sempre viva nella tradizione monastica. Tra i<br />

testi citati dal Peterson 68 basti notare il passo grazioso che Alcuino<br />

riferisce intorno a S. Beda : « Si narra che Beda dicesse : so che<br />

gli angeli sono presenti alle ore canoniche... Cosa sarà se non mi<br />

ci trovano insieme con gli altri fratelli? Non potrebbero dire: Dov'è<br />

Beda? » 70 .<br />

La menzione degli angeli ricorre spesso anche nelle consacrazioni<br />

e benedizioni del rituale. Classiche, in specie, le due orazioni<br />

per la protezione dei luoghi : « Esaudisci noi, Signore, Padre santo,<br />

onnipotente eterno Iddio, e degnati di mandare dai cieli il tuo<br />

santo angelo che custodisca, sostenga, protegga, visiti e difenda<br />

tutti gli abitanti di questo luogo » 71 . « Visita, te ne preghiamo, o<br />

Signore, questa dimora, e respingi lontano da essa tutte le insidie<br />

del nemico; i tuoi santi angeli vi abitino e ci custodiscano in pace,<br />

e la tua benedizione sia sempre sopra di noi ». Si vedrà pure, nel<br />

prossimo capitolo, la parte importante che, secondo la <strong>liturgia</strong>,<br />

spetta ai santi angeli nella nostra difesa contro gli attacchi di Satana<br />

e dei demoni.<br />

Angeli e anno liturgico<br />

Considerevole pure il posto degli angeli nella <strong>liturgia</strong> del tempo<br />

dall'avvento all'Epifania. Rivive così ogni anno in questo periodo<br />

liturgico il ricordo <strong>della</strong> loro importanza nella storia sacra <strong>della</strong><br />

salvezza e, in specie, del loro ministero nell'infanzia di Gesù. Alla<br />

festa di Natale gli angeli sono ovunque presenti come personaggi<br />

essenziali di tutta la scena.<br />

<strong>Il</strong> Gloria in excelsis Beo et in terra pax hominibus bonai voluntatis,<br />

che essi cantarono alla nascita di Gesù, fu preso sin dalla<br />

più remota antichità cristiana, a quanto pare 72 , come principio<br />

<strong>della</strong> grande dossologia, che così si presenta come una parafrasi<br />

e un'amplificazione dell'inno angelico, e passò, almeno a partire<br />

dal secolo quarto, nella <strong>liturgia</strong>, prima a mattutino e poi, in occidente,<br />

anche nella messa. Ogni volta che si recita o si canta, ci<br />

ricorda il ristabilimento <strong>della</strong> pace, rotta dal primo peccato, tra<br />

il mondo angelico e il mondo umano per la venuta di Cristo sulla<br />

terra. L'idea è molto bene commentata nella seguente Collecta ad<br />

pacem del Missale gothicum nel giorno di Natale : « Onnipotente,<br />

sempiterno Dio, che consacrasti questo giorno per la tua incarnazione<br />

e per il parto <strong>della</strong> Beata Vergine Maria; tu che, quale<br />

pietra angolare, per la tua incarnazione hai riparato nell'unità la<br />

vecchia discordia tra gli angeli e gli uomini causata dalla trasgressione<br />

dell'antico albero, concedi ai tuoi servi nella gioia di questa<br />

solennità che rallegrandosi di averti consorte nella vicinanza <strong>della</strong><br />

«» L. c, 762 ss.<br />

"> Epistola 219.<br />

71 Già nel Gelasiano, ed. Mohlberg n. 1558 p. 225<br />

72 Vedi RIGHETTI I 198.


344 CAP. XII - LITURGIA, SANTI E AKGELI<br />

carne, siano condotti nell'unità coi superni cittadini sopra i quali<br />

tu hai innalzato il corpo che assumesti » 73 .<br />

Per avere un panorama generale <strong>della</strong> parte degli angeli nella<br />

<strong>liturgia</strong>, si aggiunga, finalmente, lo sviluppo del loro culto diretto,<br />

che, concretizzato principalmente nella persona di S. Michele, appare<br />

in oriente sin dal secolo IV, mentre nel secolo V lo troviamo<br />

in piena fioritura anche in occidente. Esso dapprima fu connesso<br />

coi numerosi santuari dedicati all'arcangelo in tutta la cristianità.<br />

<strong>Il</strong> Leoniano ha già diversi formulari di messe per la dedicazione<br />

di una basilica all'angelo sulla via Salaria il 30 settembre ". <strong>Il</strong><br />

Gelasiano, e poi il Gregoriano, conoscono una simile festa il 29 settembre,<br />

data che è rimasta anche nella <strong>liturgia</strong> romana odierna,<br />

in connessione con la dedicazione del santuario all'arcangelo sul<br />

Monte Gargano, celebre sin dalla fine del secolo V e il principio<br />

del secolo VI. In queste feste S. Michele viene considerato anche<br />

come sommo duce delle milizie angeliche le quali così, insieme con<br />

lui, vengono fatte oggetto <strong>della</strong> festa. La festa degli angeli custodi<br />

del 2 Ottobre, già celebrata in Spagna e in Francia nel secolo XV,<br />

venne estesa a tutta la Chiesa solo nel 1670 ".<br />

* * *<br />

A conclusione di questa esposizione sulle relazioni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

con il mondo dei giusti nell'ai di là e con lo stesso mondo angelico,<br />

si possono citare le parole di Agostino, il quale, forse meglio di<br />

ogni altro, ha sentito ed espresso l'intima unità del mondo angelico<br />

e del mondo umano nel quadro generale <strong>della</strong> città di Dio;<br />

intima unità di cui la nostra <strong>liturgia</strong> di quaggiù è tutta compenetrata<br />

quale anticipazione, sotto il velo del mistero, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

cosmica <strong>della</strong> Gerusalemme celeste : « Tutti assieme siamo membri<br />

di Cristo e suo corpo. Non solo noi che siamo presenti in<br />

questo luogo, ma per tutta la terra. E non solo noi che viviamo<br />

in questo momento. Che dire? Da Abele il giusto, sino alla fine<br />

del mondo, fintanto che gli uomini generano e sono generati, ogni<br />

giusto che passa per questa vita, ogni giusto che è attualmente<br />

non solo in questo luogo, ma in questa vita, ogni giusto che nascerà,<br />

tutti assieme sono il corpo di Cristo; ognuno di essi è membro<br />

di Cristo. Se tutti sono corpo e ognuno è membro, vi è anche il<br />

Capo di questo corpo. Egli è capo del corpo <strong>della</strong> Chiesa, dice la<br />

Scrittura, il primogenito, che tiene in tutto il primo posto. E poiché<br />

di Lui è anche detto che è sempre il capo di ogni principato e<br />

potestà, questa Chiesa che ora è pellegrina si unisce a quella Chiesa<br />

celeste dove gli angeli sono i nostri concittadini... Così si fa<br />

un'unica Chiesa, la città del gran Re » 78 .<br />

73 Ed. Bannister n. 16 p. 5.<br />

7 * Ed. Mohlberg n. 844 ss.<br />

75 Vedi RIGHETTI II 290 ss.<br />

Sermo 341, 11 (IX).


CHIESA E ANGELI 345<br />

La Chiesa pellegrina si unisce a quella Chiesa celeste dove gli<br />

angeli sono i nostri concittadini, e i giusti ci hanno preceduto e<br />

così si fa un'unica Chiesa, la città del gran Re... Non solo questo<br />

avverrà pienamente nella Gerusalemme celeste, ma avviene già<br />

ora realmente sulla terra. <strong>Il</strong> momento e il luogo dove ciò principalmente<br />

avviene, è appunto la celebrazione liturgica dove, al<br />

sommo grado quaggiù, si verifica quella « unica città sotto un unico<br />

Re e come un'unica provincia sotto un unico Imperatore » 77 . Perché<br />

in tutta la <strong>liturgia</strong>, come diceva S. Gregorio in modo speciale <strong>della</strong><br />

messa, le infime cose si associano alle somme, le terrene si congiungono<br />

con le celesti e del visibile e dell'invisibile si fa una<br />

sola cosa.<br />

7T S. AGOSTINO, Enarrat. in Sai 36, Sermo III 4.


CAPITOLO XIII<br />

LE DUE CITTA<br />

LA LITURGIA E LA LOTTA CONTRO SATANA<br />

È di costatazione evidente, e ormai banale 1 , che oggi, tra gli<br />

stessi fedeli, è perduto il <strong>senso</strong> vivo di questa verità di fede: che<br />

un aspetto essenziale <strong>della</strong> vita cristiana è il suo svolgersi concreto<br />

come lotta continua contro Satana e i suoi satelliti; come battaglia<br />

drammatica e ininterrotta non solo contro il male astratto e<br />

impersonale e nemmeno soltanto contro le nostre passioni e cattive<br />

tendenze, ma precisamente, e in ultima istanza, contro il Maligno<br />

e i suoi seguaci.<br />

Oggi, quando si leggono i vangeli dove si parla delle guarigioni<br />

di Gesù, si rimane imbarazzati e si è istintivamente portati ad<br />

attribuire a un modo di vedere e di parlare popolare, oggettivamente<br />

erroneo, quando, di parecchi che per noi sono semplicemente<br />

dei malati, si dice che erano posseduti dal demonio o da<br />

spiriti maligni. Come di quella donna rattrappita che non poteva<br />

assolutamente raddrizzarsi e di cui Gesù dice che « il demonio »<br />

la teneva legata da diciotto anni (Le 13,16). Quando poi leggiamo,<br />

poniamo, le storie dei Padri del deserto, attribuiamo senz'altro alla<br />

loro ingenuità, e, se mai, a una loro trasposizione cristiana <strong>della</strong><br />

mentalità pandemonistica popolare del mondo ellenistico e romano,<br />

quel vedere dappertutto Satana e credersi sempre in lotta<br />

contro i demoni.<br />

1 Vedi, per es., cosa dice H. J. MARROU, Un ange déchu, un ange pourtant,<br />

in: Satan, Études carmélitaines, Desclée De Brouwer 1948 p. 28: Mis à part,<br />

bien entendu, les théologiens de profession, ces professeurs habitués à parcourir<br />

d'un pas égal et méthodique l'encyclopedie du dogme, traité par traité et question<br />

par question; mises à part également les àmes privilégiées, assez avaneées<br />

dans la voie de la perfection et la vie de l'esprit, pour en connaitre, si je puis<br />

dire, expérimentallement, tous les aspeets, on peut assurer que bien rares sont,<br />

parmi les chrétiens de notre temps, ceux qui croient réellement, effectivement,<br />

au démon, pour qui cet article de la foi est un élément actif de leur vie religieuse.<br />

Meme, j'y insiste, parmi ceux qui se disent, et se pensent et se veulent,<br />

fidèles à l'enseignement de l'Église... ».


MENTALITÀ ODIERNA 347<br />

In questa odierna mentalità, che andò delineandosi specialmente<br />

a partire dalla prima metà del secolo XVII, come reazione<br />

alla psicosi demonologista e maleficista che imperversò alla fine del<br />

medioevo, principalmente dal secolo XIV al principio del XVII 2 ,<br />

non tutto è da condannare. È evidente, infatti, che, poniamo, i<br />

demoniaci del vangelo e la mentalità degli antichi rispetto al de-'<br />

monio e al suo reale influsso, pongono una certa questione. Tuttavia<br />

è fuori dubbio che questa mentalità moderna che penetra<br />

anche tra gli stessi fedeli più sinceri, così com'è, minimizza e<br />

trascura, per segreta tendenza di psicologismo e individualismo<br />

naturalista, un punto importante <strong>della</strong> rivelazione.<br />

Secondo la rivelazione, infatti, la storia sacra delle comunicazioni<br />

di Dio al mondo e <strong>della</strong> risposta del mondo alle prevenienti<br />

offerte di Dio include essenzialmente un dramma. Degli angeli caddero<br />

e introdussero il male fisico e morale nel cosmo. Da quel<br />

momento la storia del mondo include una lotta, non solo tra bene<br />

e male, tra pensieri e pensieri, tendenze e tendenze, decisioni e<br />

decisioni nell'interno di singoli uomini, ma tra persone e persone:<br />

Dio e i suoi seguaci, il regno di Dio, da una parte; Satana<br />

e i suoi seguaci, il regno di Satana, dall'altra parte. Due regni,<br />

due città in continua lotta. Così permette la volontà di Dio. Questa<br />

lotta è di proporzioni cosmiche ed involge tutto l'essere, persone<br />

e cose.<br />

L'uomo nel suo pellegrinaggio terrestre, perché ancora in posizione<br />

indecisa, o comunque ancora cambievole, ne è la posta. Le<br />

sue decisioni, in un <strong>senso</strong> o in un altro, non interessano soltanto<br />

lui personalmente, e non si spiegano soltanto per lo svolgersi autonomo<br />

<strong>della</strong> sua interna psicologia, ma s'inseriscono nel grande<br />

dramma cosmico che si gioca tra le due città. Non aver ben presente<br />

tutto questo rende incomprensibile la <strong>liturgia</strong> in uno dei suoi aspetti<br />

essenziali. E viceversa, come al solito, non vi è niente di più<br />

efficace per comprendere e vivere questo aspetto essenziale <strong>della</strong><br />

rivelazione, che comprendere e vivere su questo punto la <strong>liturgia</strong>.<br />

1. LA LOTTA CONTRO SATANA NEL NUOVO TESTAMENTO<br />

Per il nostro scopo, non occorre trattare la questione <strong>della</strong><br />

formazione successiva <strong>della</strong> rivelazione intorno alla demonologia,<br />

nell'ambito stesso <strong>della</strong> Scrittura. Basta considerare, sul fatto e<br />

sul modo <strong>della</strong> lotta contro Satana, il pensiero <strong>della</strong> Scrittura nel<br />

suo punto di arrivo : nel Nuovo Testamento *. Ci atterremo, inoltre,<br />

2 Vedi, per es., un breve richiamo dei fatti in: E. BROUETTE, Le XVI s. devant<br />

le problème satanique, in: Satan, I. e, pp. 352-58.<br />

3 Vedi per es., J. SMIT, De daemoniacis in historia evangelica, Roma 1913.<br />

E. MANGENOT, Démon dans la bible et la théologie juive, in: Dict. de théot. cath.


348 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

al quadro d'insieme che esso presenta in questa materia, a parte<br />

le sfumature e gli accenti particolari che si ritrovano nei singoli<br />

dei suoi principali autori.<br />

<strong>Il</strong> fatto di Satana nel Nuovo Testamento in genere<br />

In breve, si tratta di questo: che l'opera di Cristo, la redenzione,<br />

sia considerata nel suo artefice, Cristo stesso in tutta la<br />

sua vita, sia vista nella Chiesa come tale o nella sua applicazione<br />

ed estensione quotidiana ad ognuno di noi, include essenzialmente<br />

e continuamente una lotta molto personale contro il diavolo e i<br />

demoni suoi satelliti. Questi tengono schiavo l'uomo in corpo e<br />

anima e, in qualche modo, lo stesso mondo infraumano e sono<br />

alla radice di tutti i mali fisici e morali che affliggono l'umanità:<br />

peccato, persecuzioni, tentazioni, passioni, cattive tendenze, malattie,<br />

morte stessa. La redenzione in Cristo stesso e in noi include<br />

dunque necessariamente lotta e trionfo sopra il diavolo, i demoni<br />

suoi satelliti e i mezzi di cui si servono per esercitare il loro<br />

dominio, nonché la liberazione dell'uomo, corpo e anima, e per<br />

mezzo di lui, dello stesso mondo infraumano, dal potere e dalla<br />

schiavitù di Satana.<br />

Questo dramma, che si svolge non solo tra male e bene, ma<br />

tra regno e regno, città e città, tra persona e persona, non è, nel<br />

Nuovo Testamento, un concetto di seconda zona, ma una realtà<br />

che appare al primo piano <strong>della</strong> coscienza e delle descrizioni degli<br />

autori ispirati.<br />

<strong>Il</strong> primo punto di questo quadro è la persuasione che il male,<br />

sia fisico che morale, ha origine da una ribellione premondana di<br />

creature angeliche contro Dio. Dall'istigazione maligna di un essere<br />

angelico pervertito fu causata, per gli autori del Nuovo Testamento,<br />

la caduta dei protoparenti. È l'antico serpente, diavolo, Satana,<br />

il quale è padre del peccato e peccatore sin dall'origine (cfr. Ap 12,9;<br />

2 Cor 11,3; 1 Gv 3,8; Gn 3,15; Gv 8,44).<br />

Satana non è solo. È circondato da una moltitudine di spiriti<br />

perversi (Ef 6,12), i demoni, che sono i suoi angeli (Mt 25,31; 1 Cor<br />

15,24-26; Col 2,15) e, assieme a lui, formano un regno (Mt 12,24 ss),<br />

dall'azione ordinata e organizzata (Mt 12,43 ss), sotto il suo principato<br />

(Mt 9,34 e parali. 12,24).<br />

Con la caduta dei protoparenti dietro istigazione di Satana,<br />

ogni male morale e fisico, prima la morte, fece ingresso nel mondo,<br />

come nel suo regno (Rm 5,12 ss). Da quel momento ogni uomo<br />

IV (1924) 322-39; L. BOUYER, Les deux économies, in: Initiation Théologique, II<br />

Paris 1952, pp. 504-35; E. STAUFER, Die Theologie des neuen Testaments, 4 ed.<br />

Gutersloh, 1948 47 ss; 110 s; 114 § 2; 116 § 3; 118 § 3; S. LYONNET, Le démon dans<br />

l'Ècriture, in: Dict. de spir. fase. 18-19 s. v. Démon, 1954 col. 142-52. Come saggio<br />

di trattato generale sulla demonologia vedi, per esempio, E. VON PETERSDORF, Demonologie,<br />

.2 volumi, Miinchen 1956-57.


DOMINIO DI SATANA 349<br />

quaggiù è non solo peccatore, nemico di Dio e oggetto <strong>della</strong> sua<br />

ira (Ef 2,3; Rm 4,5; 1,18), ma per il fatto stesso schiavo del demonio<br />

(Qv 8,34-47; Rm 5,12-21; 6,16-20; 2Pt 2,19).<br />

Schiavo non solo nell'anima ma anche nel corpo, sul quale<br />

egli impera anzitutto mediante la conseguenza del peccato (Rm<br />

5,12 ss), la morte e tutto quello che la fa temere o l'induce. Egli è<br />

colui che tiene l'impero <strong>della</strong> morte (Eb 2,14).<br />

Anche le malattie di ogni genere sono considerate sempre nel<br />

loro aspetto religioso come conseguenza del peccato e quindi come<br />

esercizio del dominio di Satana (Per es., Mt 12,22 ss; Le 13,16; Gv<br />

5,14; 2 Cor 12,17; Rm 8,20; Me 16,17; Mt 10,1; Le 9,1).<br />

L'influsso di Satana sul corpo stesso dell'uomo, può andare fino<br />

alla possessione diabolica nel nostro <strong>senso</strong> odierno. Per alcuni casi<br />

nei quali nel Nuovo Testamento si parla di uomini « posseduti »<br />

e dèlia cacciata di Satana (per es., Le 13,11.16) non si tratta certamente<br />

di possessioni diaboliche nel nostro <strong>senso</strong> proprio, ma di<br />

semplici malattie. Ma queste sono viste e giudicate, secondo la<br />

tradizione biblica e come devono esserlo realmente in una visione<br />

generale religiosa del mondo, come reale esercizio del dominio<br />

di Satana sugli uomini in seguito al peccato. Altri casi non possono<br />

affatto ridursi a semplici malattie, sia pur viste sotto l'aspetto<br />

religioso. Così, per esempio, quello dei due ossessi geraseni e dei<br />

porci che si precipitano nel lago (Mt 8,28-34).<br />

Per risolvere in linea di massima la questione dei demoniaci<br />

evangelici basta dunque distinguere due casi nei quali, assieme alla<br />

Scrittura, si può realmente parlare di possessione diabolica, ma<br />

di grado e modo diverso, ciò che nella Scrittura non si determina:<br />

il caso delle malattie ordinarie che oggi diciamo fenomeni « naturali<br />

», ma che nella visione religiosa del mondo devono essere<br />

considerate come reale esercizio del dominio di Satana sull'uomo,<br />

in seguito al peccato; e il caso di quello che oggi comunemente<br />

s'intende per possessione diabolica.<br />

S. Paolo, in Rm 8,19 ss, parla <strong>della</strong> creatura infraumana, soggetta<br />

suo malgrado alla schiavitù <strong>della</strong> « vanità » e <strong>della</strong> « corruzione<br />

», perché sottoposta all'uomo che ne abusa per il peccato,<br />

sorgente e causa di vanità e corruzione morale e conseguentemente<br />

fisica. Nella logica di S. Paolo e di tutti gli autori del Nuovo Testamento,<br />

questo implica che la stessa creatura infraumana è sottoposta<br />

a Satana, almeno nel <strong>senso</strong> che all'origine dell'abuso peccaminoso<br />

che l'uomo ne fa, sta sempre lo stesso Satana, origine di<br />

ogni « vanità » e di ogni « corruzione ». Egli può usarla contro<br />

l'uomo anzitutto inducendolo a preoccuparsene e ad usarne con<br />

spirito e fine peccaminosi.<br />

<strong>Il</strong> paganesimo e l'idolatria, in modo specialissimo, secondo il<br />

Nuovo Testamento, sono nel mondo la manifestazione del dominio<br />

di Satana. Non è semplice sviamento dell'intelligenza, ma vero e<br />

proprio culto dei demoni che in esso usurpano per se stessi gli<br />

onori dovuti al solo Dio (Rm 1,18 ss; 1 Cor 10,10 s; Ef 2,2; 2 Cor 4,4).


350 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

Quando gli autori del Nuovo Testamento dicono che l'uomo,<br />

e mediante l'uomo la stessa creatura infraumana, si trova sotto<br />

l'impero e la schiavitù di Satana, non si esclude, naturalmente,<br />

la responsabilità dell'uomo stesso. La secunda Petri formula esplicitamente<br />

il principio spiegativo : « Ognuno è schiavo di colui dal ;<br />

quale è stato vinto » (2 Pt 2,19. Cfr. Gv 8,34; Rm 6,16).<br />

L'insieme delle cose visibili fuori di noi in quanto sottomesse<br />

al peccato e a Satana, nel linguaggio del Nuovo Testamento si<br />

chiama « il mondo », in <strong>senso</strong> sfavorevole; « questo mondo », come<br />

per indicare tutte le forze del male organizzate cui il mondo sottostà;<br />

« il secolo », « questo secolo », per indicare le stesse in quanto ><br />

hanno libero corso nello spazio di tempo loro concesso 4 . Questi concetti,<br />

in S. Paolo, sono connessi con quelli di « carne » e di « tenebre<br />

». E così che Satana è detto « principe di questo mondo »,<br />

«di questo secolo» (Gv 12,31; 1,30; 16,11; 1 Cor 2,6-8; Ef 2,2); e<br />

il diavolo e gli spiriti maligni sono detti « i dominatori di queste<br />

tenebre » (Ef 6,12). Satana può dire a Cristo, mostrandogli in un<br />

attimo tutti i regni <strong>della</strong> terra: « Io ti darò tutta questa potenza<br />

e tutta la gloria di questi regni perché a me sono stati dati e li<br />

do a chi voglio » (Le 4,5). E S. Giovanni confessa che « tutto il mondo<br />

sta sotto il Maligno » (1 Gv 5,19). S. Paolo lo chiama addirittura<br />

« dio di questo secolo » (2 Cor 4,4), ossia colui che, arrogandosi<br />

gli onori dovuti a Dio, ne ha preso il posto presso gli uomini<br />

che lo hanno seguito. Egli è nel « mondo » come il forte armato<br />

nella sua fortezza (cfr. Mt 12,19).<br />

La missione e l'opera di Cristo come lotta contro Satana<br />

Da quanto precede si può capire perché gli autori del Nuovo<br />

Testamento hanno visto l'intera missione ed opera di Cristo come<br />

una lotta e un trionfo contro il potere di Satana, e il regno di Cristo<br />

come un regno in lotta contro quello di Satana. S. Giovanni dice<br />

in breve : « Per questo si manifestò il Figlio di Dio, per distruggere<br />

le opere del diavolo» (lGv 3,8). E l'autore dell'epistola agli ebrei<br />

così sintetizza lo stesso concetto : « Poiché dunque i figlioli sono<br />

partecipi del sangue e <strong>della</strong> carne (gli uomini sono fatti di sangue<br />

e di carne), anch'Egli (Cristo), alla stessa guisa ne ha partecipato,<br />

per ridurre all'impotenza, mediante la morte, colui che <strong>della</strong> morte<br />

aveva il potere, cioè il diavolo, e affrancare quanti, per timore <strong>della</strong><br />

morte, durante tutta la vita erano soggetti a schiavitù » (Eb 2,14).<br />

Così la convenienza dell'incarnazione è considerata in rapporto alla<br />

lotta e al trionfo su Satana in vista di liberare gli uomini dalla<br />

sua schiavitù. Strumento di questa schiavitù in potere di Satana<br />

è la morte e il suo timore che domina tutta la vita dell'uomo. Mezzo<br />

* Vedi, per es., M. MEINEHTZ, Theologie des neuert Testaments, II Bonn<br />

1950, p. 37 ss.


L'OPERA DI GESÙ 351<br />

per superare Satana e liberare l'uomo è stato per Gesù la sua propria<br />

morte. Quando si considera che, secondo il Nuovo Testamento,<br />

peccato, malattie e morte sono grandezze correlative e indissolubilmente<br />

connesse, è facile capire come si possa, come lo fa qui l'autore,<br />

sintetizzare tutto l'impero di Satana e la schiavitù dell'uomo<br />

nella parola: morte, e la redenzione acquistataci da Cristo sulla<br />

Croce per affrancarci dalla schiavitù di Satana nonché lo scopo<br />

dell'incarnazione, nella liberazione dalla morte.<br />

Ciò che l'autore dell'epistola agli ebrei così sintetizza è ripetutamente<br />

affermato e spiegato più analiticamente dagli altri autori<br />

del Nuovo Testamento. Caratteristico da questo punto di vista l'inquadramento<br />

generale dell'inizio del ministero pubblico di Gesù nei<br />

sinottici: battesimo, tentazione, inizio dell'azione pubblica di Gesù<br />

come predicazione e operazione di guarigioni. Subito dopo il battesimo<br />

« Gesù è spinto nel deserto dallo Spirito per esservi tentato<br />

dal diavolo » (Mt 4,1 e parali.). <strong>Il</strong> significato <strong>della</strong> tentazione, che<br />

precede immediatamente la realizzazione dell'opera messianica, è<br />

di mostrare in quest'opera il <strong>senso</strong> di una lotta personale, che<br />

interessa però tutta l'umanità, tra Gesù e Satana. I protagonisti<br />

dei due regni sono l'uno di fronte all'altro. Satana, per trascinare<br />

Gesù, si serve dei suggerimenti di un messianismo temporale.<br />

Vi è un notevole parallelismo tra la situazione di Gesù che sta<br />

per cominciare il suo ministero messianico e la situazione di Adamo<br />

nei primordi dell'umanità: l'inizio e la ripresa <strong>della</strong> storia religiosa<br />

del genere umano; il primo Adamo e il secondo Adamo. Satana,<br />

l'avversario, sta subito di fronte all'uno e all'altro. Ma col primo<br />

Adamo è vincitore, col secondo Adamo è vinto. È probabile che<br />

questo significato <strong>della</strong> scena <strong>della</strong> tentazione non sia sfuggito agli<br />

evangelisti.<br />

Che poi, effettivamente, essi abbiano considerato la tentazione<br />

come un'introduzione a tutta l'opera messianica di Gesù e questa<br />

stessa opera come una lotta contro Satana, lo prova il loro<br />

modo di connettere la narrazione dell'inizio del ministero di Gesù<br />

con la precedente tentazione. L'opera messianica dopo la tentazione<br />

è descritta dagli evangelisti come consistente in due cose: nella<br />

predicazione <strong>della</strong> dottrina che il regno di Dio è venuto, e nelle<br />

guarigioni considerate tutt'uno con la cacciata dei demoni. Ecco,<br />

per esempio, il succo del testo di Marco subito dopo la narrazione<br />

<strong>della</strong> tentazione : « Ora, dopo che Giovanni fu messo in prigione,<br />

Gesù venne in Galilea predicando il vangelo del regno di Dio. Egli<br />

diceva: il tempo è compiuto e il regno di Dio s'è avvicinato; fate<br />

penitenza e credete al vangelo... Vennero a Cafarnao; e subito, il<br />

giorno di sabato, Gesù entrato nella sinagoga si mise ad insegnare...<br />

In quel mentre c'era nella sinagoga un uomo posseduto da uno<br />

spirito immondo, il quale si mise a gridare: che c'è tra noi e te,<br />

Gesù nazzareno? Tu sei venuto per perderci. Io so chi tu sei: il<br />

Santo di Dio. Ma Gesù lo sgridò dicendo: taci ed esci da costui.<br />

E lo spirito immondo, dopo averlo malmenato violentemente, uscì


352 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

da lui urlando forte. Tutti restarono così sbigottiti da domandarsi<br />

tra loro: che cos'è mai ciò? Quale nuova dottrina è questa? Egli<br />

comanda con autorità anche agli spiriti immondi e questi gli ubbidiscono...<br />

Giunta la sera e tramontato il sole, gli menarono tutti i<br />

malati e gl'indemoniati... Ed egli ne curò molti ch'eran colpiti da<br />

diverse malattie e scacciò molti demoni... E andò per tutta la Galilea<br />

predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni » (Me<br />

1,14-39). È sostanzialmente identico il quadro di Matteo (4,17.23 s)<br />

e di Luca (4,31 ss; 7,21).<br />

Quadro che continuò in tutta la vita di Gesù; tanto che nella<br />

catechesi <strong>della</strong> primitiva Chiesa così si poteva riassumere tutta la<br />

sua opera dal battesimo alla sua passione: «Egli (Dio) ha mandato<br />

la sua parola ai figli d'Israele annunziando la buona novella<br />

<strong>della</strong> pace per mezzo di Gesù Cristo. È lui il Signore di tutti. Voi<br />

sapete ciò che è avvenuto in tutta la Giudea: Gesù di Nazareth,<br />

come cominciò dalla Galilea dopo il battesimo predicato da Giovanni;<br />

come Dio lo unse di Spirito Santo e di potenza; e passò<br />

facendo il bene e risanando tutti gli oppressi dal diavolo perché<br />

Dio era con Lui » (At 10,36-38). È tutto il ministero pubblico di<br />

Gesù visto come predicazione <strong>della</strong> dottrina del regno e liberazione<br />

degli oppressi da Satana. Annunzio <strong>della</strong> venuta del regno<br />

di Dio e cacciata dei demoni nel Nuovo Testamento è tutt'una cosa<br />

perché la cacciata dei demoni è effetto immediato e argomento<br />

irrefragabile dell'avvento del regno di Dio nella persona di Gesù<br />

(Mt 12,22-32 e parali.).<br />

Negli evangelisti questo aspetto <strong>della</strong> lotta di Gesù contro<br />

Satana rimane sempre al primo piano anche nella sua passione.<br />

Luca aveva terminato la narrazione particolareggiata <strong>della</strong> tentazione<br />

con queste parole : « Quando ebbe compiuta tutta la tentazione,<br />

il diavolo si allontanò da lui fino al tempo opportuno » (Le<br />

4,13). Per Luca l'opportunità aspettata da Satana fu, in modo speciale,<br />

il tempo <strong>della</strong> passione. In tutti gli avvenimenti <strong>della</strong> passione<br />

Satana è presente, al secondo piano e quasi nascosto, ma<br />

molto realmente ed efficacemente, tanto che Cristo stesso dice<br />

ai giudei : « Ma questa è l'ora vostra e la potenza delle tenebre »<br />

(Le 22,53). Come questa potenza delle tenebre, che è certamente<br />

identica con Satana (vedi Gv 14,30; Col 1,13 e specialmente At 26,18)<br />

sia in azione nella passione di Cristo, si vede nello stesso Luca<br />

anche dal fatto che Satana, in quella occasione, chiese ed ottenne<br />

di tentare violentemente tutti gli apostoli e in modo speciale Pietro<br />

(Le 22,31 s). Se, grazie alla protezione speciale che Cristo, con<br />

la sua preghiera per Pietro, ottenne per Pietro stesso e per tutti<br />

gli altri apostoli, Satana non ebbe partita vinta contro di essi, è<br />

pur vero che riuscì ad entrare in Giuda e a persuaderlo di consegnare<br />

il Maestro ai suoi nemici (Le 22,47). In Marco e in Matteo<br />

la passione di Gesù appare come lotta contro Satana anche dal<br />

fatto che Pietro, che avrebbe voluto impedire questa passione, è


PASSIONE, RISURREZIONE E SATANA 353<br />

rimproverato da Gesù come Satana tentatore (Me 8,33; Mt 16,23),<br />

ossia suo strumento.<br />

Giovanni accentua ancora questa idea. <strong>Il</strong> momento <strong>della</strong> passione<br />

è presentato come « l'ora » di Gesù; il tempo cioè <strong>della</strong><br />

grande prova stabilito dal Padre e da Lui liberamente accettato<br />

(Gv 12,27 ss, cfr. 7,30; 13,1). Questa prova è la lotta suprema contro<br />

Satana, il principe di questo mondo, che in quel momento gli si<br />

avvicina per combatterlo (Gv 14,30). Ma quest'ora sarà l'ora <strong>della</strong><br />

sconfitta definitiva di Satana che verrà cacciato dal suo regno:<br />

« Viene il principe di questo mondo, ma in me non ha nulla »<br />

(Gv 14,31); «adesso si fa il giudizio del mondo; adesso il principe<br />

di questo mondo sarà cacciato fuori» (Gv 12,31); «il principe<br />

di questo mondo è già giudicato» (Gv 16,11). Anche Giovanni nota<br />

che « inzuppando del pane (Gesù) lo diede a Giuda... E dopo quel<br />

boccone Satana entrò in lui » (Gv 13,26 s).<br />

Che S. Paolo considerasse la passione di Gesù come una lotta<br />

contro Satana mi pare innegabile da 1 Cor 2,6 s : « ...sapienza in<br />

verità non di questo secolo né dei principi di questo secolo, che<br />

sono resi vani; ma noi parliamo <strong>della</strong> sapienza di Dio nel mistero,<br />

la sapienza nascosta che Dio preordinò prima di tutti i secoli, a<br />

gloria nostra, e che nessuno dei principi di questo secolo ha conosciuto;<br />

se infatti l'avessero conosciuta non avrebbero mai crocifisso<br />

il Signore <strong>della</strong> gloria ». Non mi pare possibile intendere<br />

l'espressione: i principi di questo secolo, altrimenti che delle<br />

potenze demoniache avverse che regnano in questo mondo.<br />

L'espressione rimanda ad altre simili nelle quali si tratta evidentemente<br />

di tali potenze (Ef 2,2; 6; 12; 1 Cor 15,24 s; Gal 4,3-9; Col 2,8).<br />

Nella crocifissione, dunque, per S. Paolo come per gli evangelisti,<br />

erano all'opera Satana e i suoi angeli.<br />

Se, nella tradizione del Nuovo Testamento, la passione e la<br />

crocifissione di Gesù costituiscono il momento supremo <strong>della</strong> sua<br />

lotta contro Satana, è naturale che il trionfo di Gesù, la sua esaltazione<br />

manifestatasi nella discesa all'inferno, nella risurrezione<br />

dai mòrti e nell'ascensione, sia stato considerato come un trionfo<br />

su Satana e le potenze demoniache. L'espressione generale di<br />

questo concetto si trova nel noto testo dell'epistola ai filippesi:<br />

« ...umiliò se stesso fattosi obbediente fino alla morte e alla morte<br />

di croce. Perciò Iddio lo esaltò e gli diede il nome che è sopra ogni<br />

nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi e degli<br />

esseri celesti e dei terrestri e di quei sotto terra » (FU 2,8-10).<br />

Cielo, terra, regioni sotto terra, sono la parti convenzionali per<br />

indicare tutto l'universo (cfr. Ap 5,3.13). Dopo la sua morte, Cristo<br />

glorioso, in espressione di vittoria, come percorrendole tutte, per<br />

la sua discesa all'inferno, la sua risurrezione e la sua ascensione,<br />

ne ha preso possesso da trionfatore e Signore : « L'essere salito<br />

che vuol dire, se non che era disceso nelle parti inferiori <strong>della</strong><br />

terra? Colui che è disceso è lo stesso che è salito al di sopra dei<br />

cieli tutti, per riempire tutto l'universo » (Ef 4,9 ss). Egli coglie<br />

12-11 <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


354 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

così, in modo speciale, il suo trionfo su Satana e i suoi satelliti.<br />

Egli tiene ormai « le chiavi <strong>della</strong> morte e dell'inferno » (Ap 1,18;<br />

cfr. 9,1).<br />

Anche il testo ai Colossesi 2,15, sulla cui interpretazione però<br />

la tradizione e gli stessi interpreti moderni sono tutt'altro che<br />

unanimi 5 , può riallacciarsi a questa idea. Può esprimere cioè non<br />

solo la superiorità di Cristo sulle potenze angeliche, ormai chiaramente<br />

a lui sottoposte e al suo servizio (cfr. Col 2,10), ma, in<br />

specie, il suo trionfo, ottenuto per mezzo <strong>della</strong> morte sulla croce,<br />

sugli esseri angelici pervertiti che, profittando <strong>della</strong> debolezza dell'uomo,<br />

secondo un notissimo tema paolino, abusavano anche <strong>della</strong><br />

stessa legge mosaica per trascinarlo vieppiù nelle trasgressioni e<br />

nel peccato. Cristo, abolendo con la sua morte sulla croce la legge<br />

mosaica, che, contro l'intenzione di Dio, era diventata all'umanità<br />

occasione di maggior peccato, strappò a Satana e ai suoi satelliti<br />

anche questa loro arma, appendendola, come trofeo, alla sua croce:<br />

« E spogliati i principati e le potestà, le dette in spettacolo alla faccia<br />

del mondo trascinandole nel suo trionfo sulla croce » 6 .<br />

Così tutta la vita di Gesù è concepita nel Nuovo Testamento<br />

come una lotta personale contro il diavolo e i demoni e il significato<br />

<strong>della</strong> sua opera come un suo trionfo su Satana e i suoi satelliti,<br />

la nostra liberazione e la liberazione dello stesso mondo materiale,<br />

dalla schiavitù di Satana. E dunque al primo piano nel Nuovo<br />

Testamento l'immagine di Cristo, da Lui stesso espressa, come del<br />

più forte che entra di forza nella fortezza del nemico armato, lo<br />

sopraffa, gli strappa le armi, lo lega e distribuisce in bottino i suoi<br />

beni (cfr. Le 11,20 ss e parali.).<br />

La missione degli Apostoli come lotta contro Satana<br />

Questa immagine si rafforza ancora se si considera come vien<br />

concepita nel Nuovo Testamento la missione degli Apostoli mandati<br />

da Cristo e incaricati di eseguire la sua opera. Vi è completa coin-<br />

5 Vedi, per es., T. K. ABBOT, Epistles to the ephesians and to the colossians<br />

(The international criticai commentary), Edinburgh, ristampa 1946 p. 257 ss.<br />

6 II testo indica una lotta di Cristo contro questi principati e potestà, una<br />

loro spogliazione violenta, contro la quale resistono, e una loro punizione. Tutto<br />

questo è incomprensibile se si trattasse di esseri angelici buoni, e ci rimanda,<br />

invece, al tema generale ben noto <strong>della</strong> lotta di Cristo contro le potenze demoniache.<br />

Che poi potenze avverse appaiano qui padrone <strong>della</strong> legge mosaica e<br />

che se ne servano contro di noi, non è contraddittorio con il tema, altrove<br />

ricorrente in S. Paolo e nel Nuovo Testamento, che intermediari e amministratori<br />

<strong>della</strong> legge mosaica sono angeli buoni. Infatti, in S. Paolo, c'è anche un terzo<br />

tema, chiaramente accennato nel nostro stesso testo (Col 2,14), che cioè, a causa<br />

<strong>della</strong> debolezza dell'uomo, la legge mosaica, a parte la sua origine divina e il<br />

fatto che angeli buoni ne sono amministratori, fu per via di fatto, per l'uomo,<br />

occasione di maggiore peccato e quindi, nella logica di S. Paolo e di tutto il<br />

Nuovo Testamento, anche strumento di Satana.


MISSIONE APOSTOLICA E SATANA 355<br />

cidenza tra il modo di concepire la missione di Gesù e quella degli<br />

apostoli : predicare il regno di Dio e cacciare Satana, anche in stretta<br />

connessione con le guarigioni da operare. I tre sinottici coincidono<br />

sostanzialmente nel modo di riferire l'incarico ricevuto ' dagli apostoli<br />

nella loro prima missione. Luca così l'esprime : « Chiamati a sé<br />

i dodici, diede loro potere ed autorità sopra tutti i demoni e il potere<br />

di guarire le malattie, e li mandò a predicare il regno di Dio e a<br />

risanare gli infermi » (Le 9,1 s e parali.). Stessa nota in Luca alla fine<br />

<strong>della</strong> missione dei settantadue discepoli : « I settantadue tornarono<br />

pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni sono sottomessi a<br />

noi in virtù del tuo nome. Ed Egli rispose loro: Io contemplavo<br />

Satana cadere dal cielo a guisa di folgore. Ecco, io vi ho dato il<br />

potere di calcare serpenti e scorpioni e ogni potenza del Nemico,<br />

e nulla potrà farvi male » (Le 10,17 ss).<br />

All'ultima missione degli apostoli, poco prima dell'ascensione,<br />

la finale canonica di Marco (Me 16,15 ss) dà ugualmente un colore<br />

fortemente antagonistico contro Satana coi due soliti temi <strong>della</strong><br />

predicazione del regno di Dio e <strong>della</strong> cacciata del demonio, anche in<br />

connessione con le guarigioni da operare : « Poi disse loro : andate<br />

per tutto il mondo, predicate l'Evangelo a tutta la creazione. Chi<br />

crederà e sarà battezzato sarà salvato; chi invece non crederà sarà<br />

condannato. I segni che accompagneranno coloro che credono sono<br />

questi: scacceranno i demoni nel mio nome; parleranno lingue<br />

nuove; prenderanno in mano i serpenti e quando anche bevessero<br />

veleno non ne avranno alcun male; imporranno le mani agli infermi<br />

e guariranno » 7 .<br />

Sommamente istruttivi pure i termini nei quali S. Paolo riferisce,<br />

davanti al procuratore Festo e al re Agrippa, la sua missione di apostolo<br />

ricevuta dalla bocca stessa di Gesù sulla via di Damasco:<br />

quando Egli dice che lo mandava ai giudei e ai gentili « ad aprir<br />

loro gli occhi che si convertano dalle tenebre alla luce, e dalla<br />

potestà di Satana a Dio, e ottengano, per la fede in me, la remissione<br />

dei peccati e l'eredità tra i santi » (At 26,18; cfr. 19,11 s; 16,18).<br />

Niente di straordinario in tutto questo: se l'opera di Gesù era<br />

concepita essenzialmente come predicazione del regno e cacciata<br />

di Satana, era naturale che, nello stesso modo fosse concepita la missione<br />

di coloro che, a nome suo e per suo potere, dovevano continuare<br />

e realizzare la sua opera nel mondo.<br />

7 Un manoscritto del secolo V (W), che riferisce la stessa finale, sottolinea<br />

ancora più il suo <strong>senso</strong> antagonistico contro Satana, facendola precedere dal<br />

testo seguente: « Ed essi per giustificarsi (cioè di non aver creduto; cfr. Mt 16,13)<br />

dissero: questo secolo d'iniquità e d'incredulità è sotto Satana, che non permette<br />

a ciò che è impuro perché sotto gli spiriti, di ricevere la verità e la<br />

forza di Dio. Manifesta dunque adesso la tua giustizia. Così essi dicevano a<br />

Cristo. E Cristo rispose loro: il termine del tempo <strong>della</strong> potenza di Satana è<br />

compiuto... Poi disse loro: andate dunque per tutto il mondo, predicate...».


356 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

La situazione generale del cristiano e del mondo<br />

di fronte a Satana dopo Cristo<br />

Ma nel nuovo Testamento si concepisce come lotta contro Satana<br />

non solo la vita e l'opera di Gesù e degli apostoli da Lui immediatamente<br />

mandati, ma anche dei singoli cristiani nel succedersi dei<br />

tempi e di tutta la Chiesa fino alla fine del mondo.<br />

Per convincersene, basta leggere, per esempio, Rm 6,1-16 e Col<br />

3,1-4 ai quali testi, per la parte che ha l'eucaristia in specie nella<br />

vita, basta aggiungere Gv 6,32-59. La vita cristiana è una realistica<br />

imitatio Christi, non solo morale di sentimenti e di affetti, ma d'ordine<br />

fisico mistico e quindi anche morale, perché è una partecipazione<br />

al modo d'essere di Cristo e conseguentemente al suo modo<br />

di sentire, agire e reagire dinanzi a Dio e alle altre realtà. Questa<br />

partecipazione si fa germinalmente nel battesimo, che è la prima<br />

assimilazione in radice a Cristo e rende fisicamente possibili gli sviluppi<br />

susseguenti; ma essa richiede da ogni uomo un impegno morale<br />

perseverante fino all'ultimo respiro per vivere conseguentemente<br />

secondo le esigenze del battesimo.<br />

Ma sappiamo ormai che la realtà Cristo contiene essenzialmente<br />

e realisticamente lotta e trionfo su Satana. Vorrà dire perciò che<br />

l'imitazione di quella realtà in ogni uomo, che è la vita cristiana di<br />

ognuno, conterrà, non meno realmente ed essenzialmente, l'aspetto<br />

di lotta e trionfo su Satana. Lotta e trionfo che si fanno radicalmente<br />

nel battesimo. <strong>Il</strong> quale, in quanto assimilazione fondamentale<br />

a Cristo, è per ogni individuo il trionfo su Satana in radice, ma che<br />

poi impegnerà tutto il resto <strong>della</strong> sua vita sacramentale e morale<br />

fino all'ultimo respiro. Infatti, solo con l'ultimo respiro ha fine il<br />

processo àeW'imitatìo Christi e la riproduzione di Lui nel fedele<br />

appare definitivamente riuscita o definitivamente mancata.<br />

Se fuori dell'assimilazione e partecipazione a Cristo per l'uomo<br />

non c'è salvezza, vorrà dire che, dopo Cristo, chi rimane fuori del<br />

suo influsso rimane nella schiavitù di Satana. Non ci sono ormai<br />

che due regni, il regno di Dio in Cristo ed il regno di Satana; chi<br />

non è nell'uno è nell'altro.<br />

Se Satana poi fino all'ultimo momento non abbandonò la lotta<br />

contro Cristo, che anzi il momento <strong>della</strong> sua passione e morte<br />

segnò il parossismo dei suoi attacchi, tanto più non abbandonerà<br />

fino all'ultimo loro respiro i suoi singoli fedeli e l'intera Chiesa.<br />

Così il momento <strong>della</strong> morte per ciascuno e gli ultimi tempi per<br />

l'intera Chiesa segneranno anche, naturalmente, le fasi dello sforzo<br />

supremo di Satana. Tutto questo appare chiaro già a priori per semplice<br />

conseguenza logica, considerando, secondo il Nuovo Testamento,<br />

i rapporti tra Cristo e Satana e quelli tra il cristiano e Cristo.<br />

Non si tratta però solo di deduzioni aprioristiche, per quanto<br />

logiche. È questa, effettivamente, la situazione <strong>della</strong> vita cristiana,<br />

sia dei singoli individui che <strong>della</strong> Chiesa in genere, descritta con


SATANA DOPO CRISTO 357<br />

abbondanza di particolari nel Nuovo Testamento. Nel mondo, dopo<br />

Cristo, secondo il Nuovo Testamento, la situazione generale <strong>della</strong><br />

lotta contro Satana e il suo regno appare la seguente. <strong>Il</strong> mondo si<br />

divide in due regni (cfr. Mt 12,30 come conclusione di tutta la pericope;<br />

13,36 ss) : i figli di Dio in Cristo, i figli di Satana; Cristo ha<br />

vinto Satana e il mondo in quanto dominio di Satana (Gv 16,33;<br />

Mt 12,24 ss). Chi aderisce a Cristo, e per quel tanto che aderisce a<br />

Lui, è liberato dalla schiavitù di Satana e trasportato dal potere<br />

delle tenebre alla luce del regno di Cristo (Col 1,13); chi non vi aderisce<br />

perché pecca, e in quanto non vi aderisce, è sotto la schiavitù<br />

di Satana, è il suo figlio (1 Gv 3,8-10). I giudei che resistono a Cristo<br />

e alla sua fede sono sotto la schiavitù di Satana, hanno Satana per<br />

padre (Gv 8,44; At 13,10). Essi sono ormai sinagoga di Satana (Ap 2,9).<br />

1 fedeli cristiani che abbandonano la fede ricadono sotto il suo<br />

dominio (1 Tm 5,15). E in genere tutti coloro che resistono alla fede<br />

e sono in rivolta contro di essa, sono sotto Satana.<br />

Egli, secondo S. Paolo (Ef 2,2), in tutti gli spiriti increduli e in<br />

rivolta contro Dio nonostante l'avvento di Cristo, continua tuttora<br />

la sua opera, come l'esercitava sui cristiani prima <strong>della</strong> loro conversione<br />

dal paganesimo : « Voi pure ha fatto rivivere (Dio in Cristo),<br />

che eravate morti per i vostri peccati, ai quali una volta vi siete<br />

abbandonati secondo l'andazzo di questo mondo, secondo il Principe<br />

dell'impero dell'aria 8 , quello Spirito che tuttora agisce nei figli<br />

<strong>della</strong> disubbedienza » (Ef 2,1 s). È Satana che acceca coloro che<br />

non vogliono credere : « E se è anche velato il nostro vangelo, è<br />

velato per quelli che si perdono, ai quali il dio di questo secolo<br />

accecò le menti di increduli, sino a non brillare per loro lo splendore<br />

del vangelo <strong>della</strong> gloria di Cristo, il quale è immagine di Dio » (2 Cor<br />

4,3 s). Chiunque resiste alla verità <strong>della</strong> predicazione è tenuto in<br />

catena dal diavolo (2 Tm 2,25). L'idolatria in specie, come prima di<br />

Cristo così dopo Cristo, perché vero culto dei demoni (ICor 10,20 s;<br />

2 Cor 6,15 s; Ap 9,20), rimane il dominio privilegiato di Sàtana. Uno<br />

dei temi maggiori dell'Apocalisse è che il culto imperiale in specie,<br />

il culto <strong>della</strong> bestia apocalittica, è il culto di Satana.<br />

Nella situazione del mondo dopo Cristo, prima cura e massimo<br />

sforzo di Satana è dunque d'impedire che gli uomini vengano alla<br />

fede. E il diavolo che porta via la parola di vita dal cuore di coloro<br />

che hanno ascoltato la buona novella (affinché non credano e siano<br />

Salvati» (Le 8,12; cfr. At 13,10; Le 10,18). Egli impedisce gli apostoli<br />

nella loro opera missionaria (ITs 2,18; 3,5).<br />

I cristiani sono stati bensì radicalmente liberati dalla schiavitù<br />

di Satana, ma sono tuttavia, per tutta la vita, oggetto dei suoi continui<br />

attacchi. Satana è il leone ruggente che gira intorno ai cristiani<br />

cercando chi divorare (1 Pt 5,8; cfr. 2 Cor 2,11; Gc 4,7). Li<br />

tenta in tutti i modi: come di menzogna (At 5,3), di superbia (1 Tm<br />

8 Nei concetti degli antichi, l'aria è' la connaturale abitazione degli spiriti<br />

malefici. S. Paolo, in questo modo di esprimersi, suppone, senza discuterla, o,<br />

comunque, farla oggetto di fede, l'opinione comune.


358 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

3,6 s), d'incontinenza (1 Cor 7,5); e può agire sotto le apparenze dello<br />

zelo e <strong>della</strong> pietà trasformandosi in angelo di luce (2 Cor 11,14).<br />

Anche mezzi fisici e malattie di ogni genere (cfr. 2 Cor 12,7)<br />

possono essere nelle mani di Satana struménti per combattere il<br />

regno di Dio*. Nella logica del Nuovo Testamento, ogni cosa anche<br />

per sé moralmente buona o indifferente e le stesse cure <strong>della</strong> vita,<br />

possono essere, su larga scala, per l'uomo nel suo stato attuale,<br />

occasione di tentazione e di peccato I0 . E poiché dietro ogni tentazione<br />

e ogni peccato sta sempre in qualche modo il Maligno, ogni<br />

cosa, dopo il peccato, può essere considerata come strumento almeno<br />

potenziale nelle mani di Satana contro l'uomo.<br />

La vita del singolo cristiano come lotta contro Satana<br />

Come di fatto tutta la vita del cristiano sia una continua lotta<br />

contro Satana e i suoi satelliti, lo ha spiegato S. Paolo nell'epistola<br />

agli efesini (6,10-20) dove esorta i cristiani a vestire l'armatura di<br />

Dio per resistere contro gli attacchi di Satana: «Rivestitevi dell'armatura<br />

di Dio per poter affrontare le insidie del diavolo, perché<br />

la nostra lotta non è col sangue e con la carne ", ma contro i Principati<br />

e le Potestà, contro i dominatori del mondo delle tenebre,<br />

contro gli spiriti maligni dell'aria. Per questo prendete l'armatura<br />

di Dio affinché, possiate resistere nel giorno cattivo e, compiuto il<br />

vostro dovere, restar in piedi. Saldi, dunque, cingendo i vostri lombi<br />

nella verità e indossando la corazza <strong>della</strong> giustizia, e calzando i piedi<br />

nella preparazione che dà il vangelo <strong>della</strong> pace; in ogni cosa impugnando<br />

lo scudo <strong>della</strong> fede, su cui possiate spegnere tutti i dardi<br />

infuocati del Maligno. E prendete su anche l'elmo- <strong>della</strong> salvezza e<br />

la spada dello Spirito, che è la parola di Dio; con ogni preghiera<br />

e supplicazione pregando ogni tempo in spirito » (Ef 6,11-18). Somma<br />

vigilanza è dunque richiesta dal cristiano per non dare adito al<br />

diavolo (Ef 4,27), per evitare i suoi lacci e resistere ai suoi attacchi<br />

(2 Cor 2,11; 1 Pt 5,8). Non per niente la preghiera del Signore termina<br />

con la domanda (Mt 6,13) « e non c'indurre in tentazione, ma liberaci<br />

dal Maligno » 12 . I desideri più ardenti del cristiano possono<br />

9 È anche l'angelo di Satana che schiaffeggia S. Paolo (2 Cor 12,7). Si<br />

tratta quasi certamente di una malattia cronica che impediva l'Apostolo nella<br />

sua opera missionaria. Nel contesto non c'è traccia di tentazioni carnali.<br />

10 Vedi per es., in Mt 13,3 ss e parali, la parabola del seminatore; 6,25 ss sulla<br />

soverchia cura del vitto e del vestito; 22,1 ss la parabola degli invitati alle<br />

nozze; 1 Gv 2,16 : tutto quello che è nel mondo è concupiscenza <strong>della</strong> carne,<br />

concupiscenza degli occhi e superbia <strong>della</strong> vita.<br />

11 In linguaggio biblico carne e sangue significano semplicemente: l'uomo.<br />

Di qui si può vedere quanto il modo di pensare di S. Paolo differisca dal nostro<br />

moderno psicologismo naturalista, che tende a concepire tutta la lotta<br />

dell'uomo contro il male solo come una lotta contro le passioni e le cattive<br />

tendenze umane, nostre e altrui.<br />

12 Apó tou ponerou, grammaticalmente può significare: dal male, o dal


IL FEDELE CONTRO SATANA 359<br />

assommarsi nella preghiera che il Dio <strong>della</strong> pace schiacci ben presto<br />

Satana sotto i suoi piedi (Rm 16,20).<br />

Nella lotta contro Satana il cristiano ha il soccorso di Dio, il<br />

quale non permette che siamo tentati al di sopra delle nostre forze,<br />

ma con la tentazione procura anche il modo onde poterla sostenere<br />

(1 Cor 10,13). Nell'Apocalisse, in modo speciale, appare che gli<br />

angeli buoni, quali messaggeri e strumenti di Dio presso gli uomini,<br />

lottano attivamente contro Satana e i suoi satelliti in soccorso dei fedeli<br />

(cfr. per es., Ap 12,7-10; 20,1 ss e passim). Nella Scrittura, del resto,<br />

al secondo piano <strong>della</strong> lotta tra il regno di Dio e il regno di Satana<br />

sulla terra, appaiono sempre gli angeli buoni dalla parte del regno<br />

di Dio (Gn 3,24; Me 1,13 e parali.; Ap passim).<br />

Tra i mezzi che permettono al cristiano di lottare efficacemente<br />

contro Satana c'è, in genere, tutto l'atteggiamento di uno spirito<br />

veramente cristiano (Ef 6,11 ss) e in specie la preghiera (Ef 6,18;<br />

Mt 17,21; Me 9,29). Nella Scrittura, preghiera e digiuno sono molto<br />

congiunti (Tb 12,8 s; Le 2,37; At 14,23; 13,3). Così in Me 9,29, in una<br />

lezione variante meno bene attestata dalla tradizione manoscritta,<br />

si ha la menzione del digiuno accanto alla preghiera per cacciare<br />

i demoni. Inoltre, comparando 1 Pt 5,8: «Siate sobri e vegliate,<br />

perché il vostro avversario, il diavolo, vi gira intorno, cercando chi<br />

divorare », con Mt 24,42-44.49 dove la sobrietà richiesta da colui<br />

che veglia è chiaramente intesa anche di sobrietà nel mangiare e<br />

nel bere, si può dedurre che anche l'autore <strong>della</strong> prima Petri raccomanda<br />

tale sobrietà come un'arma nella lotta contro il diavolo. Altro<br />

mezzo indicato da S. Paolo (Ef 6,17) è « l'elmo <strong>della</strong> salvezza e la<br />

spada dello Spirito, che è la parola di Dio » (cfr. anche Eb 4,12), cioè<br />

la Scrittura, senza dubbio meditata e presa come regola di vita, la<br />

quale è come la spada dell'armatura cristiana. Cristo stesso, nella<br />

scena <strong>della</strong> tentazione, respinse Satana opponendogli parole <strong>della</strong><br />

Scrittura (Le 3,4 ss).<br />

Dappertutto nel Nuovo Testamento l'invocazione del nome di<br />

Gesù appare la grande arma nella lotta contro il demonio (Me 9,38;<br />

16,17; Mt 7,22; Le 9,49; 10,17; At 16,18; 19,13; FU 2,10. Cfr. Gc 2,19. È<br />

l'applicazione, per così dire rituale, del principio <strong>della</strong> catechesi primitiva<br />

enunziato da S. Pietro : « Sia noto a tutti voi e a tutto il popolo<br />

d'Israele, che in nome del nostro Signore Gesù Cristo Nazzareno,<br />

crocifisso da voi, e risuscitato da Dio, per Lui questo è innanzi a voi<br />

guarito... E in nessun altro c'è salvezza; perché non c'è sotto il cielo<br />

alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci<br />

d'essere salvati » (At 4,10 ss). Tuttavia l'invocazione del nome di Gesù<br />

non è concepita come una parola magica di effetto meccanico (Me<br />

9,13-28 e parali.; At 19,13-16). Suppone fede, preghiera, mortificazione<br />

e in genere disposizioni morali. La sua invocazione contro i demoni<br />

maligno. Ma, come abbiamo abbastanza dimostrato, in questa materia tutta la<br />

mente del Nuovo Testamento è concreta e personalistica. <strong>Il</strong> cristiano ha bisogno<br />

di essere liberato, non solo dal male impersonale, ma da Satana, origine<br />

di ogni male e di ogni tentazione.


360 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

equivale dunque a una preghiera a Dio per mezzo di Gesù contro di<br />

essi. I discepoli, inoltre, devono ricordarsi che il dono di cacciare<br />

i demoni è un carisma e che più che averlo è importante essere<br />

graditi a Dio (Le 10,18-20).<br />

La vita <strong>della</strong> Chiesa come lotta contro Satana<br />

Quello che abbiamo ora detto <strong>della</strong> vita del singolo cristiano<br />

considerato come una continua lotta contro Satana vale altrettanto,<br />

secondo il Nuovo Testamento, <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> Chiesa come tale. Due<br />

gruppi di testi sono molto significativi da questo punto di vista. <strong>Il</strong><br />

primo è costituito dai due testi classici del primato di Pietro nei<br />

sinottici: Le 22,31 s; Mt 16,17-19; il secondo dall'intero libro dell'Apocalisse.<br />

Secondo Luca e Matteo, nelle parole di Gesù, è notevole e, dopo<br />

quanto abbiamo spiegato fin qui, logico e naturale, l'intima connessione<br />

del primato di Pietro col concetto <strong>della</strong> lotta che la Chiesa<br />

deve e dovrà sempre sostenere contro Satana. Secondo Luca, nell'ultima<br />

cena, Gesù dice a Pietro : « Simone, Simone, ecco che Satana<br />

ha chiesto ed ottenuto di agitarvi nel vaglio come il grano. Io però<br />

ho pregato per te affinché non venga meno la tua fede; e tu, ritornato,<br />

rafferma i tuoi fratelli » (Le 22,31 s). In Matteo, dopo la confessione<br />

di Pietro a Cesarea di Filippo, Gesù gli dice : « Beato sei<br />

tu, Simone figlio di Giona, perché la carne e il sangue non te l'hanno<br />

rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico che tu sei Pietro<br />

e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno<br />

non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno<br />

dei cieli e tutto ciò che tu legherai sulla terra sarà legato nei cieli<br />

e tutto ciò che tu scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli » (Mt<br />

16,17-19)., Nei due testi i concetti fondamentali corrispondono: la<br />

specialissima funzione di preminenza nella Chiesa, che Cristo volle<br />

dare a Pietro tra tutti gli altri apostoli, ha per fine preciso di assicurare<br />

per questa via alla stessa Chiesa la stabilità e il trionfo finale<br />

contro gli attacchi di Satana. Mentre nel testo di Luca Satana è<br />

direttamente nominato, in quello di Matteo le « porte dell'Hades »<br />

significano ancora Satana e i suoi satelliti sotto l'immagine di una<br />

città radunata, almeno nei suoi magnati, in consiglio deliberativo,<br />

legislativo, esecutivo 13 per attaccare la Chiesa.<br />

13 Perché nella tradizione biblica e orientale, tali consigli si tenevano appunto<br />

sulle piazze davanti alle porte delle città. L'Hades può anche significare<br />

la morte. Ma questa non va mai separata da Satana, il quale nella tradizione<br />

biblica, è colui che tiene l'impero <strong>della</strong> morte (Eb 2,14), come Cristo che ne<br />

ha trionfato è Colui che tiene le chiavi dell'Hades (Ap 1,18). Vedi H. M. FERET,<br />

La mort dans la tradition biblique, in: Le mystère de la mort et sa célébration<br />

(Lex Orandi 12) Paris 1951 p. 1 ss; O. BBTZ, Felsenmann und Felsegemeinde<br />

(Eine parallele tu Mt 16,17-19 in den Qumranpsalmen), in: Zeitschrift fiir die<br />

neutest. Wiss. 28 (1957), Heft 1-2 p. 70 ss.


SATANA NELL'APOCALISSE 361<br />

Lo sfondo concettuale dei due testi è dunque la lotta ininterrotta<br />

tra il regno di Satana e il regno di Cristo. Satana non risparmia<br />

sforzi per rovinare l'opera di Cristo. Nel testo di Luca appare<br />

in opera per rovinarla nel suo nucleo centrale, gli apostoli. Cristo<br />

la salva in virtù <strong>della</strong> preghiera speciale che ha fatto per Pietro<br />

col fine preciso " di affidargli il compito, una volta ritornato dal<br />

suo momentaneo sviamento, di far sì che gli altri apostoli, e per<br />

mezzo di essi, tutti i fedeli, perseverino con piedi saldi contro gli<br />

stessi attacchi di Satana.<br />

Nel testo di Matteo tutto il regno infernale appare in impeto<br />

contro la Chiesa di Cristo vista sotto l'immagine di una fortezza<br />

anticamera del paradiso. Per far sì che essa possa per sempre resistere<br />

vittoriosamente a questi attacchi, Cristo la edificherà sopra la<br />

persona di Pietro come sopra roccia incrollabile. Questo significa<br />

che, in quella fortezza, Pietro, quale vicario e primo ministro di<br />

Cristo, avrà pieni poteri riconosciuti nel cielo stesso. Così, grazie<br />

a Pietro, le forze infernali non prevarranno contro la Chiesa.,<br />

È facile così intuire quanto profondamente incida nel pensiero<br />

e nell'opera ecclesiale di Cristo il concetto e la realtà <strong>della</strong> continua<br />

lotta contro Satana. La Chiesa è da Lui vista ed organizzata<br />

come una citta<strong>della</strong> da tutte le parti soggetta agli impeti delle forze<br />

infernali, le quali tuttavia, in virtù <strong>della</strong> speciale preminenza e <strong>della</strong><br />

speciale assistenza date a Pietro, non potranno prevalere contro<br />

di ess,a 15 .<br />

Tutta l'Apocalisse poi ha, si può dire, per tema centrale, proprio<br />

la lotta e il trionfo finale <strong>della</strong> Chiesa contro Satana. È noto 16<br />

che lo sfondo storico dell'Apocalisse è la prima e la seconda persecuzione<br />

dell'Impero Romano contro la Chiesa, quella di Nerone e di<br />

Domiziano. L'autore, nel linguaggio delle apocalissi profetiche dell'Antico<br />

Testamento e, come è da ritenersi 17 , in due serie di testi<br />

e come in due apocalissi distinte, più tardi da lui stesso unite in<br />

una sola, non ha altro scopo che quello di spiegare ai cristiani, per<br />

loro consolazione e incoraggiamento, il significato di tali persecuzioni.<br />

Per questo le ripone nel quadro generale di una teologia <strong>della</strong><br />

storia e del termine finale cui tende il suo svolgimento. Ora, questo<br />

quadro non è altro che quello <strong>della</strong> lotta tra Satana e Dio; tra<br />

il regno di Satana e il regno di Dio; tra Satana, i demoni, gli uomini<br />

che li seguono da una parte, e dall'altra : Dio, Cristo, gli angeli buoni,<br />

la Chiesa su questa terra, i giusti già in cielo. <strong>Il</strong> termine ultimo dello<br />

svolgimento di questa lotta è il trionfo finale di Dio e del suo regno,<br />

e dunque <strong>della</strong> Chiesa, che avverrà, nel giorno del « giudizio », sugli<br />

14 II concetto di relazione finale tra la preghiera di Cristo per Pietro e<br />

il consolidamento dei fratelli è espresso, nel testo, dalla particella kai, la quale<br />

nel greco biblico ha spesso questo <strong>senso</strong>. Vedi M. ZERWICK, Graecitas biblica,<br />

Roma 1949 n. 314.<br />

15 Guai però a chi è fuori di essa! Vedi 1 Cor 5,5.<br />

ni Per tutto questo vedi per es., M. E. BOISMARD, L'apocalypse (Bible de<br />

Jérusalem) 2 ed. Paris 1953 p. 12 ss.<br />

17 Vedi, per es., ibid., 9-12.


362 CAP, XIII - LE DUE CITTÀ<br />

strumenti che Satana si è creati; dopo di che vi sarà il passaggio<br />

del mondo presente al mondo futuro <strong>della</strong> Gerusalemme celeste.<br />

Niente di più istruttivo, per il nostro scopo, che osservare come,<br />

nell'una e nell'altra serie di testi, si svolge il quadro <strong>della</strong> storia<br />

nell'Apocalisse. Ecco come Boismard 1S può riassumerlo : « <strong>Il</strong> testo<br />

II offre lo schema più semplice. Satana, per dispetto d'essere stato<br />

spodestato dal cielo, rivolge la sua collera contro gli abitanti <strong>della</strong><br />

terra (12,7-12); per meglio riuscire, prende al suo servizio la Bestia<br />

dalle sette corna (l'Impero Romano), la quale scatena una violenta<br />

persecuzione contro la Chiesa (v. 13). Fortunatamente, appaiono prospettive<br />

di salvezza: la visione di pace dei fedeli di Cristo (14,1-5),<br />

l'annunzio profetico <strong>della</strong> caduta di Babilonia (Roma) (14,6-13), la<br />

visione simbolica che annunzia lo sterminio delle nazioni pagane<br />

(14,14-20). Dopo un intermezzo destinato a giustificare l'apparente<br />

rigore dei decreti divini (15,1-4), una serie di flagelli si abbatte sopra<br />

Babilonia, la quale, finalmente, è travolta dall'invasione dei popoli<br />

abitanti al di là dell'Eufrate (i Parti) (15,5-16,21); per fortuna, i<br />

fedeli di Cristo, avvertiti in tempo, hanno potuto sfuggire (18,4-8).<br />

Una lamentazione sopra Babilonia accompagnata dà grida di trionfo<br />

chiude questo primo episodio del « Grande Giorno » <strong>della</strong> collera<br />

(18,14.22.23.20; Cfr. 16,14). Poi, a loro volta, sono sterminate le<br />

nazioni pagane coalizzate dalla Bestia (19,11-21). Ha luogo allora il<br />

giudizio, che segna il trionfo dei fedeli di Cristo (20,11.12), la fine<br />

del mondo presente e l'avvento <strong>della</strong> Gerusalemme celeste (21,1-8)... ».<br />

« <strong>Il</strong> testo I riprende presso a poco lo stesso schema... In una<br />

visione iniziale, Dio che troneggia in cielo, affida all'Agnello i destini<br />

del mondo, o più esattamente il libro sigillato che contiene i decreti<br />

di sterminio contro le nazioni pagane e persecutrici (4-6; Cfr. Ez 1<br />

e 10). Una serie di visioni annunziano la venuta del « Grande Giorno »<br />

<strong>della</strong> collera (cfr. 6,17; 9,16; 11,18) sotto forma di un'invasione dei<br />

Parti e <strong>della</strong> loro fantastica cavalleria (6-11 meno le interpolazioni<br />

provenienti dal testo II)... Finalmente voci celesti annunziano: 1) il<br />

prossimo giudizio; 2) lo sterminio delle nazioni pagane; 3) la distruzione<br />

di coloro che corrompevano la terra (11,18). Babilonia (Roma),<br />

la prostituta, la corruttrice dei popoli, è sterminata per prima (17<br />

meno le interpolazioni 18,1-3; Cfr. Ez 16 e 23) e la sua caduta è<br />

accompagnata da una lamentazione (18,9-13.15-19.21.24. Cfr. Ez 27)<br />

e da canti di trionfo in cielo (19,1-10); la caduta di Babilonia segna<br />

un'era di pace per la Chiesa, lo stabilirsi del regno messianico (20,1-6;<br />

Cfr. Ez 34-37) preceduto dalla risurrezione simbolica dei martiri<br />

(20,4. Cfr. Ez 37,1 ss). Alla fine dei tempi le nazioni pagane (Gog<br />

e Magog) tentano un ultimo assalto contro Gerusalemme (la Chiesa)<br />

e sono annientate (20,7-10. Cfr. Ez 38-39); finalmente viene il giudizio<br />

20-13-15; Cfr. Ez 39,21) e la descrizione <strong>della</strong> Gerusalemme<br />

futura (21,9-22,2; 22,6-15. Cfr. Ez 40-47) ».<br />

È facile, in questo quadro, capire come l'Apocalisse possa pre-<br />

« Ibid., p. 13 ss.


SATANA NELL'APOCALISSE 363<br />

sentare il popolo di Dio, sin dal peccato di Adamo, e più particolarmente<br />

la Chiesa stessa nella sua vita sulla terra, come la grande<br />

posta <strong>della</strong> lotta tra Dio e Satana. Satana vi appare dunque, sia nell'una<br />

che nell'altra serie di testi, come il grande nemico ed antagonista<br />

di Dio. La parte che ha nella storia umana e come sia il padre<br />

di ogni peccato e di ogni peccatore e di ogni persecuzione contro la<br />

Chiesa, è spiegato specialmente nei capitoli 12 e 20. <strong>Il</strong> capitolo 12<br />

contiene la celebre visione <strong>della</strong> donna e del drago. La donna descritta<br />

coi segni che indicano splendore (12,1 cfr. Gn 37,9; Cn 6,9), che partorisce<br />

nei dolori, che è tentata e perseguitata da Satana, sia direttamente<br />

sia nella sua discendenza, è il popolo di Dio che solo nel<br />

dolore e negli spasimi arriva ai tempi messianici 19 .<br />

<strong>Il</strong> drago rosso infuocato è Satana. La sua coda che trascinava<br />

la terza parte delle stelle del cielo fa allusione alla caduta degli<br />

angeli che seguirono Satana. <strong>Il</strong> figlio maschio partorito dalla donna<br />

è il Messia. Quando si dice che il drago stava pronto per divorare<br />

il neonato, si allude alla lotta di Satana contro Cristo; e<br />

quando si dice che il figlio maschio partorito dalla donna fu rapito<br />

presso Dio, si allude al trionfo di Cristo nella sua risurrezione e<br />

ascensione. La cacciata di Satana e dei suoi angeli dalle regioni del<br />

cielo aereo sulle basse regioni <strong>della</strong> terra vuol indicare il suo spodestamento<br />

per opera di Cristo, al cui servizio stanno gli angeli fedeli.<br />

Allora Satana va in lotta contro la donna, cioè la Chiesa e i suoi<br />

fedeli, e scatena persecuzioni contro di essa 20 . Tutto questo è contenuto<br />

nel capitolo dodicesimo.<br />

I capitoli 13 e seguenti indicano come, per ciò fare, Satana si<br />

serve di strumenti umani ed anzitutto <strong>della</strong> forza politica religiosa<br />

delle potenze pagane persecutrici e dei falsi profeti seduttori a loro<br />

servizio. Quindi segue la descrizione delle persecuzioni e la distruzione<br />

delle potenze persecutrici. La grande potenza pagana persecutrice,<br />

l'Impero di Roma, viene distrutta. Segue un periodo di pace<br />

per la Chiesa in cui si rafforza il regno del Messia. Satana in questo<br />

lungo periodo di durata imprecisata (millennio) è legato e gettato<br />

nell'abisso « affinché non seducesse più le genti (pagane) sino a<br />

che fossero compiuti i mille anni » (20,3). Questo, nella mente dell'autore,<br />

non implica certamente per lo stesso periodo la cessazione<br />

di ogni male e di ogni peccato sulla terra, poiché vi saranno ancora<br />

nazioni pagane che alla fine dei tempi scateneranno, in un ultimo<br />

sforzo, la persecuzione generale (20,7 s). Vuol dire che, per l'autore,<br />

nel millennio messianico, Satana è ridotto solo ad un'impotenza relativa.<br />

Alla fine dei tempi sarà nuovamente sciolto con grande facoltà<br />

di scatenare l'ultimo attacco alla Chiesa (20,7 s).<br />

Insomma, quello che Matteo dice <strong>della</strong> Chiesa sotto la figura<br />

<strong>della</strong> citta<strong>della</strong> costruita sulla roccia ma oggetto degli incessanti<br />

attacchi di Satana e dei suoi satelliti, l'ultimo libro del canone, pren-<br />

19 Vedi Michea 4,9 s; Is 66,5. Non è necessario toccare la questione se nella<br />

donna dell'Apocalisse l'autore abbia avuto in mente qualche riferimento a Maria.<br />

20 Per tutto questo vedi i commenti al capitolo 12. Per es., Boismard 1. e.


364 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

dendo lo spunto dalle prime persecuzioni romane, ce lo fa vedere<br />

in atto in un potente scorcio apocalittico <strong>della</strong> storia generale vista,<br />

in modo quanto mai realista e concreto, come lotta tra il regno di<br />

Dio e il regno di Satana.<br />

La lotta contro Satana negli ultimi tempi<br />

Ultimo tratto: secondo il Nuovo Testamento, il parossismo <strong>della</strong><br />

lotta di Satana contro i cristiani e la Chiesa si avrà negli ultimi<br />

tempi del mondo; cosicché, col volgere dei secoli, secondo la Scrittura,<br />

non sembra doversi aspettare un diminuire, ma un intensificarsi<br />

degli attacchi del Maligno e del suo apparente successo contro il<br />

regno di Dio.<br />

Nella seconda epistola ai Tessalonicesi, S. Paolo ricorda il suo<br />

insegnamento" precedente sugli ultimi avvenimenti e sui segni che<br />

precèderanno l'ultima venuta del Signore. Deve prima precedere la<br />

grande secessione da Cristo, l'apostasia, e la manifestazione dell'anticristo.<br />

L'una e l'altra saranno il frutto dell'opera di Satana. « <strong>Il</strong><br />

mistero », il segreto « dell'iniquità, è già presentemente in azione »<br />

(2 Ts 2,7), ma per il momento sviluppa la sua operosità in segretezza.<br />

C'è infatti per ora un ostacolo che ne ritiene o impedisce<br />

la piena manifestazione ". Ma appena questo ostacolo sarà levato,<br />

la grande secessione da Cristo si produrrà apertamente e sarà manifestato<br />

« l'uomo del peccato, il figlio <strong>della</strong> perdizione, l'avversario<br />

che si innalza sopra tutto quello che è Dio o che è oggetto di venerazione,<br />

al punto di sedersi egli nel tempio di Dio, proclamando se<br />

stesso come Dio » (2 Ts 2,3 s). « La cui venuta è contrassegnata, per<br />

opera di Satana, da ogni potenza e segni e prodigi bugiardi e da<br />

tutti gli inganni di ingiustizia per quelli che periranno per non<br />

aver accolto l'amore <strong>della</strong> verità che poteva salvarli. E per questo<br />

Dio manderà loro forza d'inganni, sì che credano alla menzogna »<br />

(2 Ts 2,9 s).<br />

È notevole l'accordo sostanziale <strong>della</strong> seconda ai Tessalonicesi<br />

con l'Apocalisse sul concetto <strong>della</strong> lotta suprema che avverrà negli<br />

ultimi tempi tra Satana e la Chiesa. L'incatenamento di Satana nel<br />

fondo dell'abisso durante il millennio messianico (Ap 20,1-3) risponde<br />

al pensiero <strong>della</strong> seconda ai Tessalonicesi, che per il momento il<br />

mistero dell'iniquità opera in segretezza perché vi è un ostacolo<br />

che ne impedisce la piena manifestazione (2 Ts 2,6 s). Lo scioglimento<br />

di Satana alla fine dei tempi per un ultimo assalto generale<br />

contro la Chiesa, di cui parla l'Apocalisse (Ap 20,3), risponde assai<br />

bene alla manifestazione dell'anticristo <strong>della</strong> seconda ai Tessalonicesi<br />

(2 Ts 2,8). Parallelismo anche tra i prodigi dell'anticristo e la sua<br />

21 2 Ts 2,6 s. La determinazione di questo ostacolo secondo il pensiero di<br />

S. Paolo è questione molto discussa e probabilmente insolubile. Vedi, per es., J.<br />

EVERREI FRAME, Epistles of S. Paul to the thessalonicians (The internàtional criticai<br />

commentary), Edinburgh, ristampa del 1946 p. 259 ss.


LOTTA CONTRO IL MALIGNO 365<br />

forza seduttrice per opera di Satana <strong>della</strong> seconda ai Tessalonicesi<br />

(2Ts 2,10-12) e la seduzione e la persecuzione generale che, nell'Apocalisse,<br />

Satana, negli ultimi tempi, scatena contro la Chiesa per<br />

mezzo delle nazioni pagane (Ap 20,8 s). Finalmente, ultimo e definitivo<br />

atto <strong>della</strong> lotta tra il regno di Dio e il regno di Satana, la<br />

riduzione all'impotenza assoluta di ogni forza avversa a Dio, ossia<br />

di Satana e dei suoi satelliti : « Scese fuoco dal cielo e li divorò. E il<br />

diavolo loro seduttore fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo,<br />

dove già sono la bestia e il falso profeta, e saranno tormentati giorno<br />

e notte nei secoli dei secoli » (Ap 20,9 s. Cfr. 20,14 s; 2 Ts 2,8). Seguirà<br />

quindi l'avvento del nuovo mondo <strong>della</strong> Gerusalemme celeste.<br />

* * *<br />

In conclusione, è facile vedere quanto sia profondamente radicato<br />

nel Nuovo Testamento il concetto che tutta la storia del<br />

mondo, in specie tutta l'opera <strong>della</strong> redenzione, in Cristo stesso, in<br />

ogni cristiano individualmente, la vita <strong>della</strong> Chiesa in tutti i suoi<br />

aspetti, contenga, essenzialmente e come idea di primo piano, una<br />

incessante e mortale lotta non solo contro il male impersonale, non<br />

solo contro le nostre passioni, ma contro la persona del Maligno e<br />

contro la persona degli angeli suoi satelliti.<br />

Nessuna traccia di vero dualismo, perché Dio rimane il supremo<br />

creatore e padrone di ogni cosa. Nel Nuovo Testamento è sempre<br />

vivo ed essenziale il concetto espresso poeticamente nel prologo del<br />

libro di Giobbe (1,6 s), che Satana non solo è inferiore a Dio e non<br />

può fare nulla senza il suo permesso, ma che, in qualche modo, contro<br />

la sua stessa perversa volontà, rimane al servizio degli inscrutabili<br />

ma infallibili disegni di Dio, e non sfugge alla sua direzione 22 .<br />

Perciò nel Nuovo Testamento niente disperazione né incubo o<br />

spavento di Satana, né semplicemente pessimismo ma ottimismo e<br />

fiducia. Cristo è il più forte (Le 11,22) Egli ha vinto il mondo (Gv<br />

16,33). La vittoria finale è assicurata. Per questo basta tenersi uniti<br />

a Cristo (Cfr. 1 Gv 2,13; 4,4; 5,4). Chiunque si tiene unito a Lui<br />

infallibilmente vince l'accusatore nel sangue dell'Agnello (Cfr. Ap<br />

12,10 s). Pur tuttavia è innegabile che la rivelazione cristiana è molto<br />

lontana da ridurre tutta la lotta tra il bene e il male nell'uomo<br />

stesso e fuori dell'uomo a una semplice questione di natura o di<br />

psicologia, di tendenze e di passioni. La Scrittura è lontana dal<br />

moderno panpsicologismo naturalista. Essa, come sempre, anche<br />

in questo è immensamente più personalista e concreta.<br />

22 Vedi, per es.. Le 22,31: ha chiesto e ottenuto; 22,53; 2Ts 2,11: quindi il Signore<br />

manderà...; Ap 22,3-7.


366 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

2. I PRINCIPALI SVILUPPI<br />

DELLA TRADIZIONE POSTERIORE FUORI DELLA LITURGIA<br />

INTORNO ALLA LOTTA CONTRO SATANA<br />

Se teniamo ben chiara in mente la posizione del Nuovo Testamento<br />

nella questione <strong>della</strong> vita del cristiano e <strong>della</strong> Chiesa come<br />

incessante lotta contro Satana e i suoi satelliti, non occorre, in<br />

vista <strong>della</strong> spiegazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che è il nostro scopo preciso,<br />

fermarsi a lungo sul pensiero <strong>della</strong> tradizione e <strong>della</strong> teologia<br />

cristiana fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sulla stessa materia.<br />

<strong>Il</strong> pensiero cristiano posteriore intorno alla demonologia, sviluppatosi<br />

dal Nuovo Testamento con l'intento generale di determinarne<br />

maggiormente i dati, si è esercitato, infatti, intorno a una<br />

serie di questioni che hanno la loro reale importanza per la teologia<br />

dogmatica in genere, massimamente quella <strong>della</strong> natura dei demoni<br />

e quella del modo preciso come è avvenuta la loro caduta 23 ; o<br />

intorno ad altre che interessano direttamente la storia <strong>della</strong> spiritualità<br />

e dell'ascesi, come quelle <strong>della</strong> psicologia delle tentazioni<br />

e del discernimento degli spiriti. Ma queste questioni non hanno<br />

interesse diretto per la nostra ricerca, perché di esse non si trova<br />

quasi traccia nella <strong>liturgia</strong>. Intorno al punto che propriamente<br />

c'interessa, quello del concetto <strong>della</strong> vita cristiana e <strong>della</strong> Chiesa<br />

come lotta contro Satana in genere, la posizione <strong>della</strong> tradizione<br />

e <strong>della</strong> teologia posteriore può essere sintetizzata nei seguenti<br />

termini.<br />

Anzitutto: la sostanza e anche, quantitativamente parlando, la<br />

stragrande maggioranza delle affermazioni <strong>della</strong> tradizione posteriore<br />

su questo punto, è costituita semplicemente dalla ripetizione<br />

di quanto in proposito si legge nel Nuovo Testamento. Sarebbe<br />

facile, ma di nessun interesse, riportare un gran numero di testimonianze<br />

extraliturgiche dalle quali risulta che la visuale del Nuovo<br />

Testamento è stata sempre conservata dalla tradizione patristica<br />

e, in fondo, anche da quella scolastica 24 . Interessa invece maggiormente<br />

rilevare dalla letteratura non liturgica alcuni punti nei quali<br />

la tradizione posteriore non ha solo ripetuto quello che si legge nel<br />

Nuovo Testamento, ma lo ha anche in qualche modo esplicitato<br />

o determinato.<br />

23 Vedine l'esposizione migliore in E. MANGENOT e T. ORTOLAN, in: Dict. de<br />

théol. cath. IV 1 (1924) 339-407.<br />

24 Si legga, per convincersene, il panorama di tutta la questione, tracciato<br />

da un punto di vista assai vicino al nostro, in: Dict. de spir., <strong>Il</strong>i (1957) 152-234;<br />

J. DANIÉLOU, Démon dans la Httérature ecclésiastique jusqu'à Origene; A. et C.<br />

GUILLAUMONT, Dans la plus ancienne Httérature monastique; F. VANDENBROUCKE,<br />

En Occident.


DEMONOLOGIA POSTERIORE 367<br />

Demoni, corpo umano, vita pagana, elementi naturali<br />

I dati essenziali che si leggono nel Nuovo Testamento intorno<br />

alla questione come, con quale frequenza e in qual <strong>senso</strong>, il demonio<br />

può essere presente nel corpo dell'uomo, negli elementi e nelle<br />

cose materiali in genere, si riducono a questi: dietro a ogni male,<br />

morale o fisico, sta sempre l'influsso di Satana; il suo influsso<br />

anche sul corpo umano e sulle cose sensibili è reale e può andare<br />

fino all'inabìtazione e la possessione propriamente detta; questo<br />

suo influsso è particolarmente grande sulle cose che in qualche<br />

modo hanno rapporto al culto idolatrico.<br />

La tradizione patristica ricevette questi dati nella loro generalità.<br />

Rimaneva però da sapere come spiegarseli ulteriormente<br />

e rappresentarsi, per così dire, concretamente la loro applicazione:<br />

questione questa non di fede, ma di spiegazione <strong>della</strong> fede.<br />

Qui, nell'epoca patristica, nella Chiesa, infinitamente meno però<br />

che nelle sette eterodosse, ebbero largo corso una serie di opinioni<br />

che, in questa stessa materia, erano consegnate in certi apocrifi<br />

giudaici (Testamento dei dodici patriarchi, Libro di Henoch), e<br />

alcune altre derivate da un adattamento cristiano di certi tratti<br />

<strong>della</strong> demonologia dell'ambiente ellenistico. Da questi influssi giudaici<br />

ed ellenistici nel modo di spiegare ulteriormente la fede derivarono<br />

alcune opinioni che è dato spesso incontrare nell'antichità<br />

cristiana.<br />

I demoni, così si pensò, si insinuano ed abitano nel corpo<br />

dell'uomo; anzi, talvolta si dice che determinati demoni, autori di<br />

determinati vizi, e come specializzati in essi (per esempio, i sette o<br />

otto vizi capitali), si insinuano ed abitano, in determinati organi<br />

del corpo umano da dove eccitano passioni, spingono al peccato e<br />

tormentano l'anima 25 .<br />

Altra opinione è che i demoni, dove domina la vita pagana<br />

idolatrica, sono ovunque presenti: s'identificano con gli dei pagani;<br />

si nascondono dentro le statue degli idoli per ricevere onori divini<br />

e aspirare l'odore dei sacrifici e degli incensi di cui si diletta la<br />

loro passionalità materiale; presiedono al culto pagano, alla mantica,<br />

rendendo oracoli, alla magia, all'astrologia; mandano sogni,<br />

turbamenti e incubi di ogni genere; giocano d'astuzia in ogni<br />

maniera per indurre gli uomini nell'inganno 2a .<br />

Tutta la vita pagana, non solo quella direttamente cultuale,<br />

25 II concetto appare nel Testamento dei XII patriarchi, Ruben 3,3-6. Si<br />

ritrova nel Corpus hermeticum, per es., XVI 14-15; è largamente ripetuto dalle<br />

sette eterodosse, come negli scritti pseudoclementini, per es., Hotn. IX 10; presso<br />

gli gnostici, per es., Valentino (cfr. CLEMENTE ALESS. Strom. II 20,14). Echi di<br />

tali concezioni si ritrovano per es., in TAZIANO, Oratio 18; CLEMENTE ALESS., Pedag.<br />

II 1. 15; ORIGENE, In Jos. Hom. XV 6; MINUCIO FELICE, Octav., 27,14.<br />

20 In tutto questo i cristiani accettano anzitutto l'affermazione generale


368 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

ma anche quella che sembrerebbe puramente civile, militare, commerciale,<br />

i divertimenti del teatro, gli onori militari e civili, perché<br />

indissolubilmente connessa col culto pagano, è ritenuta infestata<br />

dal culto demoniaco e formidabile strumento di Satana per legare<br />

gli uomini nella sua schiavitù. Tertulliano, che insiste in modo particolare<br />

su questo tema, chiama tutto questo insieme, in quanto<br />

strumento di Satana, Pompa diaboli 27 .<br />

Altra opinione ancora, che determina i dati certi del Nuovo<br />

Testamento con l'aggiunta di talune opinioni ellenistiche e di apocrifi<br />

giudaici 28 , consistette nel ritenere frequentissimo e quasi naturale,<br />

specialmente in ambiente pagano, l'influsso dei demoni sugli<br />

elementi, le piante, gli animali, per nuocere all'uomo e impedirgli<br />

di compiere la sua salvezza. Tertulliano, per esempio, dice : « La<br />

loro opera è di nuocere agli uomini... Così infliggono ai corpi<br />

malattie e malanni; all'anima subitanei turbamenti violenti. Per<br />

attaccare l'una e l'altra parte nell'uomo, hanno la loro meravigliosa<br />

sottigliezza e tenuità. Molto è possibile a forze spirituali: poiché<br />

sono invisibili e impercettibili, si manifestano più negli effetti che<br />

nelle loro azioni. Per esempio, per mezzo di non so qual velenoso<br />

soffio invisibile abbattono frutta e sementi in fiore; le uccidono,<br />

quando germinano; le feriscono nella crescita. Anche a loro si deve<br />

se l'aria viziata per vie a noi ignote, spande miasmi pestilenziali »'•*.<br />

È facile vedere come nei tre casi precedenti: insinuazione<br />

e abitazione dei demoni nel corpo dell'uomo, vita pagana anche<br />

civile infestata dal culto demoniaco, influsso nocivo dei demoni<br />

anche sugli elementi naturali, l'influsso delle opinioni giudaiche e<br />

ellenistiche non crei affatto punti nuovi di dottrina, ma non faccia<br />

altro che determinare e concretizzare maggiormente i concetti,<br />

già essenzialmente contenuti nel Nuovo Testamento.<br />

<strong>della</strong> Scrittura che il culto idolatrico è il culto dei demoni. Poi accettano le<br />

opinioni ellenistiche intorno ai daimónia: spiriti intermediari tra gli dèi e gli<br />

uomini, che sono in relazione con il culto, la mantica, i sogni, ecc. Ma mentre<br />

nell'ellenismo si riteneva, per lo più, che questi daimónia fossero esseri benefici,<br />

i cristiani, invece, dimostrano trattarsi di esseri malefici, demoni nel <strong>senso</strong><br />

nostro, satelliti di Satana. Vedi, per es., GIUSTINO, ApoL, II 5,2-6; ATENAGORA,<br />

Legatio 23-26. Poi il tema diventa comune.<br />

27 Vedi J. H. WASZINK, Pompa diaboli, in: Vigiliae christianae 1 (1947) 13-41.<br />

Sulla posizione di Tertulliano vedi un buon riassunto in J. DANIÉLOU, Démon dans<br />

la littérature ecclésiastique jusqu'à Origene, in: Dict. de spir., III (1957) 174-82. Si<br />

noti che questa posizione di Tertulliano intorno all'influsso demoniaco nella città<br />

pagana, a parte la questione se è diretto o indiretto, naturale, filosoficamente<br />

parlando, o non semplicemente naturale, non fa altro che tradurre conseguentemente<br />

i princìpi del Nuovo Testamento, in specie di S. Paolo, intorno al<br />

culto idolatrico come culto dei demoni e dell'Apocalisse intorno alle potenze<br />

pagane come strumento di Satana.<br />

28 Si tratta del concetto che ad ogni elemento materiale presiedono: angeli<br />

per gli apocrifi giudaici (angeli delle piogge, <strong>della</strong> grandine, dei venti, ecc.);<br />

demoni per l'ellenismo. Negli ambienti cristiani si ammise che, inizialmente, si<br />

trattava di angeli buoni, preposti all'amministrazione dell'universo; ma che poi<br />

proprio alcuni tra essi caddero e diventarono perversi.<br />

28 Apol. 22,4 s.


OPINIONI PATRISTICHE<br />

Si vede anche come una serie di riti liturgici di <strong>senso</strong> antidemoniaco<br />

siano nati in questo clima: esorcismi dell'uomo prima del<br />

battesimo e benedizioni con <strong>senso</strong> antidemoniaco di cose e di<br />

elementi <strong>della</strong> natura. Questi riti tuttavia, non sono nati essenzialmente<br />

nel terreno di false opinioni giudaiche ed ellenistiche. Sono<br />

spuntati essenzialmente sul terreno <strong>della</strong> Scrittura, la comprensione<br />

<strong>della</strong> quale, in questa materia, si può pure dire essere stata agevolata<br />

nell'età patristica anche dalla convergenza, nello stesso <strong>senso</strong>,<br />

agli occhi dei cristiani, di certe opinioni derivate da apocrifi giudaici<br />

o dall'ambiente ellenistico.<br />

369<br />

Demoni, battesimo, martirio, vita monastica,<br />

giudizio particolare<br />

La tradizione patristica, nel quadro generale del tema <strong>della</strong> vita<br />

cristiana come lotta contro Satana, ha inoltre esplicitato, anche<br />

fuori dei testi liturgici, il <strong>senso</strong> antidemoniaco di tutta una serie<br />

di manifestazioni <strong>della</strong> vita cristiana il cui significato antagonistico<br />

contro il demonio era solo implicito o appena accennato nel Nuovo<br />

Testamento. Questi sviluppi ebbero talvolta grande importanza<br />

nella stessa espressione liturgica, come avremo agio di meglio<br />

vedere in seguito. Si tratta anzitutto del <strong>senso</strong> antidemoniaco del<br />

battesimo, tema contenuto equivalentemente nel Nuovo Testamento<br />

nel concetto del battesimo come morte e risurrezione con Cristo,<br />

morte at peccato, alla carne, rinunzia al vecchio uomo, inizio <strong>della</strong><br />

nuova Creatura in Cristo, ecc. Viene poi un notevolissimo sviluppo<br />

del <strong>senso</strong> antidemoniaco del martirio 30 tema questo solo accennato,<br />

sebbene esplicitamente, nella scrittura (Ap 12,11).<br />

Battesimo, martirio, vita ascetica dei vergini, vita monastica,<br />

sono realtà intimamente connesse nell'antica tradizione, perché il<br />

martirio è considerato come la testimonianza e Io sviluppo supremo<br />

del battesimo, mentre la vita ascetica e monastica sono ritenuti<br />

surrogati del martirio 31 . Niente di straordinario quindi che dalla<br />

netta percezione del <strong>senso</strong> profondamente antidemoniaco del battesimo<br />

e del martirio si arrivasse a vedere là vita ascetica in genere<br />

e, dopo lo sviluppo del monachesimo, la vita monastica in particolare,<br />

specialmente nella sua forma eremitica, come forme eminenti<br />

<strong>della</strong> lotta contro Satana che distingue il cristiano.<br />

Origene dà tale sviluppo al primo tema, che l'intera sua dot-<br />

30 Vedi alcune testimonianze di Erma, Ignazio Antiocheno, diversi Atti dei<br />

martiri, in J. DANIÉLOU, Dict. spir., <strong>Il</strong>i (1957) 179-182. Gli atti del martirio di S. Perpetua<br />

sono stati studiati da questo punto di vista da F. DOLGER, Der Kampf mit<br />

dem Aegypter in der Perpetua Vision. Das Martyrium als Kampf mit dem<br />

Teufel, in: Antike und Christentum 3 (1932) 177-188. Per Origene, vedi S. BET-<br />

TENCOURT, Doctrina Origenis ascetica, seti quid docuerit de ratione animae humanae<br />

cum daemonibus (Studia anselmiana 16), Città del Vaticano 1945 n. 112 ss.<br />

31 Vedi per es., E. MALONE, The monk and the martyr. The monk as the<br />

successor of the martyr, Washington 1950 .


370 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

trina spirituale, nel suo aspetto piuttosto negativo di ascesi propriamente<br />

detta, è praticamente sviluppata in tutti i suoi particolari<br />

nel quadro <strong>della</strong> lotta contro il demonio 32 . <strong>Il</strong> secondo tema:<br />

la vita monastica, specialmente eremitica, come forma eminente<br />

di lotta contro Satana, costituisce uno dei concetti basilari <strong>della</strong><br />

Vita Antonii di S. Atanasio e si ritrova poi con forte rilievo in tutta<br />

l'agiografia monastica susseguente. Così nella vita di S. Paolo<br />

eremita, di S. <strong>Il</strong>arione, di Malco, scritte da S. Girolamo; nelle<br />

descrizioni <strong>della</strong> vita dei monaci che si hanno nella Historia mona<br />

chorum, nella Historia Lausiaca, negli Apoftegmi dei Padri, nelle<br />

Collazioni di Cassiano. Evagrio pontico, più degli altri scrittori<br />

monastici, ha teorizzato questo aspetto <strong>della</strong> vita monastica 33 .<br />

Anzi, in genere, si formulò il principio che più la vita che conduce<br />

il cristiano sale verso la perfezione, più aumentano e si fanno astuti<br />

gli sforzi di Satana per farlo cadere, arrivando, principalmente<br />

contro coloro che sono giunti ad un alto grado di santità, anche<br />

a forme di vessazioni esterne, visibili e sensibili, di ogni specie 3 ".<br />

Su tutto questo, per il nostro scopo <strong>della</strong> spiegazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

non è necessario che ci attardiamo.<br />

Dobbiamo invece far menzione, a causa dei non pochi riflessi<br />

che ha avuto nelle liturgie storiche ed attuali, l'opinione che Origene<br />

mutuò dal mondo ellenistico 33 , <strong>della</strong> parte che spetta ai<br />

demoni anche dopo la morte nel giudizio particolare di ognuno.<br />

Egli crede che il giudizio particolare di ogni anima dopo la sua<br />

morte si svolge, per un certo spazio di tempo, come sembra, attraverso<br />

gli spazi delle sfere celesti che circondano questa terra e<br />

che ogni anima deve necessariamente traversare per raggiungere<br />

Dio. All'ingresso di ogni sfera stanno demoni, descritti ora come<br />

leoni pronti a divorare l'anima o comunque ad impedirle il cammino,<br />

e ora come esattori (telónai) dinanzi ai quali l'anima deve<br />

passare un esame e ai quali, secondo i vizi e i peccati di cui è ancora<br />

carica, deve pagare il tributo 36 .<br />

Questo modo immaginoso di rappresentarsi e concretizzare<br />

quello che la fede cristiana impone intorno al giudizio particolare<br />

di ogni anima, ha avuto grandissimo successo nell'antichità in oriente<br />

e anche in occidente, specialmente in talune parti, fino al secolo<br />

XIII 37 . <strong>Il</strong> viaggio dell'anima attraverso le sfere, stazioni, esattorie,<br />

32 Vedi BETTEXCOURT citato nella nota 30.<br />

33 Vedi particolari in A. C. GUILLAVMONT, in: Dict. de spir., <strong>Il</strong>i (1957) s. v.<br />

Démon 189-212.<br />

34 Per Origene vedi BETTEXCOURT (citato nella nota 30) p. 67 ss. Per Evagrio<br />

vedi Dict. de spir., <strong>Il</strong>i (1957) s. v. Démon 203. La Vita Antonii dà l'esempio<br />

pratico più celebre dell'antica letteratura.<br />

35 Vedi P. WE.NDLAND, Die ìielletiistiscìie-rómische Kultitr, Tubingen 1912<br />

p. 35; 170 s.<br />

36 In Le hom. 2ì. Ed. Rauer pp. 154-25 ss. Si noti però che Origene nell'esprimere<br />

questa teoria, ha coscienza di esprimere qualcosa d'insolito per la<br />

fede del semplice popolo cristiano: «E cosa pericolosa; pur tuttavia...».<br />

37 Vedi J. RIVIÈRE, Le róle du démon au jugement particulier chez les<br />

Pères, in: Rev. des sciences relig. 4 (1924) 43-64. B. SERPILLI, L'offertorio <strong>della</strong>


COS'È DI FEDE 371<br />

per subirvi l'esame, accompagnata da angeli buoni che ne patrocinano<br />

la causa, specialmente da S. Michele, il grande conduttore<br />

delle anime, o psicopompo 38 , e insidiata dai demoni, esosi esaminatori<br />

ed esattori che vogliono impedire la sua ascesa a Dio, è un<br />

tema che ricorre largamente nei Padri, negli apocrifi, nelle liturgie.<br />

Anche questo fu un modo di rappresentarsi all'immaginazione,<br />

secondo le concezioni cosmologiche e demonologiche dell'ambiente<br />

ellenistico, il grande tema <strong>della</strong> Scrittura <strong>della</strong> vita cristiana come<br />

una continua ed incessante lotta contro Satana e i demoni suoi<br />

satelliti. Di qui si può giudicare ancora una volta quanto questo<br />

concetto sia stato vivo nella psicologia religiosa dell'antichità. È in<br />

simile clima che sono nate e si sono formate le liturgie nel corso<br />

dei secoli. Si comprenderà dunque facilmente come nella <strong>liturgia</strong> la<br />

realtà <strong>della</strong> lotta contro Satana appaia come un aspetto essenziale<br />

<strong>della</strong> visione cristiana del mondo.<br />

3. COSE DI FEDE E COSA NON LO È NELLE AFFERMAZIONI<br />

DEL NUOVO TESTAMENTO<br />

E DELLA TRADIZIONE POSTERIORE<br />

INTORNO ALLA LOTTA CONTRO SATANA<br />

Arrivati a questo punto la questione non può essere elusa:<br />

vuol forse dire che la lotta contro Satana, come è prospettata nel<br />

Nuovo Testamento e ancora più nelle opinioni <strong>della</strong> tradizione<br />

patristica, non presenta, oggettivamente parlando, nessuna questione<br />

al teologo, e che quelle affermazioni, così come stanno, non<br />

richiedono nessuna spiegazione e nessuna determinazione? Sarebbe<br />

negare una cosa evidente. Non sembra possibile evitare la questione<br />

spontanea del lettore odierno: ma, in fondo, cosa dobbiamo ritenere<br />

di tutto questo? E forse qualcuno mi dirà: intendi forse riportarci<br />

alle ingenue opinioni degli antichi in fatto di demonologia?<br />

messa dei defunti, Roma 1946 p. 64 s. Vedi anche A. RECHEIS, Engel, Tod und<br />

Seelenreise, Roma 1958 pp. 152-8 r Origene, Atanasio, letteratura monastica, Basilio,<br />

Gregorio Nisseno. Si tratta di una rappresentazione immaginaria, e non<br />

già di un'esposizione dogmatica del modo in cui si compie il giudizio particolare.<br />

Anche oggi si continua talvolta a descrivere con colori concreti i tormenti<br />

dell'inferno o le gioie del paradiso. S. Cirillo Alessandrino, che più degli<br />

altri Padri, indulse in simile descrizione del giudizo particolare dell'anima (Hom.<br />

XIV, De exitu animae PG 77, 1072 ss) non mancava di ammonire : « Ma quel<br />

Giudice, non ha affatto bisogno di accusatori, di testi, di dimostrazioni e di<br />

refutazioni. Tutto quello che abbiamo fatto, detto, voluto. Egli lo propone dinanzi<br />

agli occhi dei colpevoli » (Ibid. 1072). Le descrizioni del viaggio e degli<br />

esami dell'anima dinanzi alle stazioni, intese come rappresentazioni immaginative,<br />

non sollevano difficoltà dogmatiche, anche se taluni di quelli che ne facevano<br />

uso non distinguevano poi molto nettamente tra la descrizione immaginaria<br />

e la realtà dogmatica.<br />

38 Vedi per es.. SERPILLI, 1. e. 87 ss.


372 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

Dov'è la radice di questo imbarazzo e quale sarà il criterio che ci<br />

permetterà di fare le necessarie distinzioni e precisazioni? Ecco<br />

cosa mi pare si debba dire in proposito.<br />

Anzitutto: che i demoni abitino in modo speciale nell'aria fu<br />

un'opinione ellenistica a cui allude S. Paolo, ma, come ci accerta<br />

il dogma, senza farne oggetto di affermazione di fede. Niente<br />

affermazioni dogmatiche pure nella opinione posteriore di demoni<br />

specializzati in alcuni vizi; né in quella di San Michele speciale<br />

psicopompo. Mettiamo anche da parte il modo immaginoso in cui,<br />

seguendo le opinioni cosmologiche e demonologiche ellenistiche,<br />

Origene, e tanti altri dopo di lui, si sono rappresentati i rapporti<br />

tra l'anima individuale e i demoni immediatamente dopo la morte,<br />

nel giudizio particolare. I telonia furono un'opinione intorno al<br />

modo di immaginare concretamente un fatto affermato nella sua<br />

sostanzialità dalla fede: il giudizio particolare; opinione che non<br />

ha nulla <strong>della</strong> tradizione dogmatica e, oggettivamente parlando, fu<br />

poi riconosciuta erronea.<br />

Secondo punto da osservare: non si tratta di accettare, senz'altro<br />

esame, la realtà di tutte le supposte visioni demoniache di cui,<br />

per esempio, si parla largamente nella letteratura monastica e<br />

agiografica antica. Poniamo: se le bestie viste da S. Antonio secondo<br />

la Vita Antonii o i piccoli « etiopi » che Macario credette di vedere<br />

per la chiesa mentre i monaci salmodiavano e tanti altri casi simili,<br />

siano state veramente apparizioni diaboliche. Dal punto di vista<br />

teorico-<strong>teologico</strong> è perfettamente possibile. Dal punto di vista storico<br />

non si vede perché, a molti di questi casi, si dovrebbe negare<br />

a priori ogni probabilità. Niente d'inaudito tutto questo nella vita<br />

dei santi, come, per esempio, del curato d'Ars. Che però tutte le<br />

storie raccontate siano autentiche, è tutt'altra questione. Bisognerebbe<br />

avere ben altre possibilità di controllo e di critica dei testi<br />

e dei fatti per arrivare a un'opinione fondata. Ma, dal punto di<br />

vista <strong>teologico</strong>, la cosa non ha importanza.<br />

Terzo punto e il più importante: anche ammessa la fondatezza<br />

delle due precedenti osservazioni, rimane ancora, nel Nuovo Testamento<br />

e nella tradizione, un immenso materiale di affermazioni<br />

demonologiche dinanzi al quale si prova l'imbarazzo di cui sopra<br />

dicevo. In che consiste questo imbarazzo? Ecco: eccettuati forse<br />

alcuni rari casi nei quali nessun cattolico si sogna di negare che<br />

si possa ben trattare di vere e proprie ossessioni o possessioni<br />

diaboliche, nell'immensa maggioranza degli altri fatti, di malanni<br />

fisici, psichici e morali a proposito dei quali il Nuovo Testamento<br />

e la tradizione posteriore parlano d'influsso demoniaco, di possessione<br />

demoniaca, di lotta demoniaca, ecc., non si tratta forse di<br />

fenomeni fisici, fisiologici, psicologici e morali semplicemente naturali?<br />

Perché dunque farci intervenire personalmente il demonio?<br />

E se tutti quei casi sono naturali, cosa rimane ancora dell'affermazione<br />

generale <strong>della</strong> Scrittura e <strong>della</strong> tradizione che tutta la vita<br />

del cristiano e <strong>della</strong> Chiesa è una continua lotta contro Satana e


NATURA E NATURALE 373<br />

i demoni? Se si tratta di fenomeni, naturali, in fondo, non sarebbe<br />

più preciso, rovesciando il detto di S. Paolo, dire che la nostra lotta<br />

non è anzitutto contro i principati/le potestà e i reggitori di questo<br />

mondo di tenebre, ma semplicemente contro la carne e il sangue?<br />

Si è tentati di dire così, salvo poi ad attribuire il modo di parlare<br />

<strong>della</strong> Sacra Scrittura, seguita dalla tradizione, a concezioni e tradizioni<br />

popolari che essa riferisce ed usa come veste di espressione<br />

senza peraltro farne oggetto di giudizio religioso o di fede.<br />

Tale mi pare realmente la questione cruciale in questa materia.<br />

L'imbarazzo di cui sopra dicevo, proviene semplicemente dal fatto<br />

che nella Scrittura stessa e nella tradizione non ci pare di scorgere<br />

una netta risposta al predetto problema.<br />

..- La questione, poggia tutta sul concettò di « naturale » e quindi<br />

di « natura ». Nelle cose e in noi stessi, cos'è precisamente « naturale<br />

», e cos'è « non naturale », da attribuirsi a fattori situati fuori<br />

<strong>della</strong> cerchia <strong>della</strong> « natura » delle singole cose? Oggi, ci pare che<br />

la Scrittura e la tradizione antica attribuiscano troppe cose, che<br />

per noi sono evidentemente « naturali », a fattori fuori <strong>della</strong> cerchia<br />

<strong>della</strong> natura degli esseri di cui parla. Senza entrare nei particolari<br />

<strong>della</strong> complessa questione <strong>della</strong> natura e <strong>della</strong> soprannatura, mi<br />

sforzerò di stralciarne i punti indispensabili al nostro scopo.<br />

Chi in teologia dogmatica generale ha studiato la questione<br />

<strong>della</strong> « natura » e del « soprannaturale » nel suo sviluppo storico<br />

e nel suo aspetto teorico, non si meraviglierà affatto che nella<br />

Scrittura e nella tradizione antica non si trovi ancora una risposta<br />

completamente esauriente alla predetta questione. Da che cosa questo<br />

proviene?<br />

Dal fatto che il concetto di « natura » e di « naturale » possono<br />

essere determinati da due punti di vista diversi, sebbene non<br />

contraddittori, ma anzi complementari, e quindi avere due significati<br />

diversi; ora, la Scrittura e la tradizione antica si pongono<br />

da un punto di vista e noi, oggi, istintivamente, dall'altro, senza<br />

tenere abbastanza conto <strong>della</strong> complementarietà necessaria del primo.<br />

Aver capito questo è stata nella storia <strong>della</strong> teologia una<br />

conquista relativamente recente. Anzi, non oserei neppur dire che<br />

la cosa sia ancora perfettamente chiara nella mente di tutti tra gli<br />

stessi teologi.<br />

In greco e in latino, le due lingue nelle quali si determinò il<br />

concetto di natura, l'uomo qualunque che parla di « natura » a proposito<br />

di una cosa qualsiasi, si riferisce anzitutto a questa cosa<br />

« come nasce », ossia a tutto quello che costituisce questa cosa sin<br />

dal suo nascere; alla natura concreta storica di una cosa con tutte<br />

le note e qualità che essa sin dalla nascita possiede a un qualsiasi<br />

titolo. Qui il concetto di « natura » è determinato da un punto di vista<br />

concreto, storico. È « naturale », in questo <strong>senso</strong>, tutto quello che<br />

la cosa ha sin dal suo sorgere; tutto quello che storicamente è primigenio<br />

e primitivo in questa cosa. Ciò che sopraggiunge poi a<br />

quella stessa cosa e ne altera lo stato primitivo, in male o in bene,


374 CAP. XIII - LE DUE CITTA<br />

in questa prospettiva sarà alterazione <strong>della</strong> « natura », sarà considerato<br />

non « naturale ». I fattori che hanno causato all'origine o<br />

tengono in vita questa alterazione saranno anzitutto considerati sotto<br />

l'aspetto di fattori non « naturali ».<br />

Questa prospettiva non è quella del filosofo, perché nel considerare<br />

la cosa nel suo stato primitivo concreto, quando nasce, essa<br />

non analizza entitativamente ciò che è essenza e ciò che è accidente;<br />

non si pone la questione di sapere quali sono, tra le doti che quella<br />

cosa di fatto possiede, quelle con le quali avrebbe potuto anche non<br />

nascere e quelle senza le quali è assolutamente impossibile che<br />

possa non nascere o possa sussistere in qualsiasi stato del suo<br />

successivo sviluppo.<br />

Orbene, questa prospettiva storico-concreta è la prospettiva<br />

<strong>della</strong> Scrittura e <strong>della</strong> tradizione antica riguardo alla « natura »<br />

dell'uomo e delle cose; a quello che ad esse è « naturale » e a quello<br />

che, invece, va attribuito a fattori fuori <strong>della</strong> cerchia <strong>della</strong> loro<br />

« natura ». Per il Nuovo Testamento e per la tradizione antica, se<br />

qualcosa sopravviene all'uomo o al mondo che sia fuori o contro la<br />

linea dello stato primigenio nel quale si trovavano storicamente e<br />

concretamente parlando quando uscirono dalle mani di Dio, essa,<br />

anche senza l'uso <strong>della</strong> parola « naturale », è considerata come intrusa<br />

e non « naturale » nell'uomo e nel mondo. <strong>Il</strong> Nuovo Testamento<br />

e la tradizione antica vi si interessano a questo solo titolo; la loro<br />

attenzione si porta immediatamente ed unicamente sul fattore che<br />

l'ha causata storicamente e che è estraneo alla « natura » ossia allo<br />

stato primitivo dell'uomo e del mondo.<br />

Questa mentalità storico-concreta regnò quasi incontrastata<br />

nella storia del pensiero cristiano fino al secolo XIII circa, quando,<br />

pian piano, nella considerazione delle cose, e quindi anche nel concetto<br />

di « natura », cominciò ad imporsi l'altra prospettiva, quella<br />

di tipo entitativo filosofico. A partire poi dal secolo XVI, ossia dalle<br />

liti antiprotestanti e antibaianiste, questa seconda prospettiva dovette<br />

essere messa talmente in rilievo contro le predétte eresie che,<br />

non di rado, si ebbe poi difficoltà a capire il punto di vista <strong>della</strong><br />

Scrittura e <strong>della</strong> tradizione antica e specialmente a tener sufficiente<br />

conto di ciò che il punto di vista antico voleva inculcare e giustamente<br />

rivendicare.<br />

<strong>Il</strong> punto di vista filosofico, nel considerare le cose, vuole analizzarle<br />

nella loro struttura metafisica astraendo dalla concretezza di<br />

tempo, di spazio e di individui: distinguere anzitutto in una cosa<br />

ciò che in essa, in ogni stato e condizione di tempo, di spazio e d'individuo,<br />

è necessario e ciò che non lo è, e determinare ogni aspetto<br />

secondo i diversi gradi nella scala dell'essere necessario ed universale.<br />

In questa prospettiva la « natura » di una cosa è la stessa sua<br />

essenza; essenza necessaria, universale, identica in tutti gli individui<br />

<strong>della</strong> stessa specie e stati concreti in cui essi possono trovarsi successivamente<br />

o simultaneamente; e, più precisamente, è l'essenza<br />

di questa cosa in quanto è principio delle sue operazioni specifiche.


NATURA FILOSOFICA E STORICA 375<br />

Vista così, una cosa è naturale secondo che appartiene a questa<br />

« natura », sia perché la costituisce (come il corpo e l'anima sono<br />

naturali all'uomo); sia perché necessariamente ne deriva (come all'uomo<br />

essere corruttibile, poter avere dolori, malattie, essere mortale,<br />

avere passioni, poter usar male <strong>della</strong> libertà e cose simili);<br />

sia perché è esigito dalla natura come mezzo necessario per poter<br />

attingere uri fine necessario (come per l'uomo essere sostenuto da<br />

Dio in ogni sua; azione, senza di che non potrebbe agire affatto).<br />

La visuale filosofica del concetto di natura non s'interessa allo<br />

stato storico, concreto, di fatto, delle cose, ma alla loro struttura<br />

metafisica. Se una cosa è nell'uomo e nel mondo secondo la linea<br />

<strong>della</strong> sua struttura metafisica, nei sensi predetti, il filosofo, nel considerarla,<br />

non si preoccupa di sapere se però, storicamente parlando,<br />

tale cosa effettivamente si manifestava o meno o anche doveva<br />

manifestarsi nello stato storico primitivo dell'uomo e del mondo;<br />

per lui sarà semplicemente « naturale ». Così : che di fatto l'uomo<br />

sottostia alla corruzione, riceva effetti nocivi dagli elementi naturali,<br />

abbia dolori, malattie, muoia, abbia passioni, usi talvolta male <strong>della</strong><br />

sua libertà, per il filosofo alla luce <strong>della</strong> sola prospettiva filosofica,<br />

devono essere dette e sono tutte cose semplicemente « naturali »,<br />

e ciò checché ne sia dello stato primitivo storico dell'Umanità. Per<br />

spiegare tutto questo, per chi si attiene alla visuale semplicemente<br />

filosofica, non è necessario ricorrere a processi ed agenti fuori <strong>della</strong><br />

cerchia <strong>della</strong> « natura » dell'uomo stesso.<br />

Queste osservazioni sono, a mio parere, la chiave per risolvere<br />

la questione che c'interessa. Se vogliamo capire la mentalità <strong>della</strong><br />

Scrittura e <strong>della</strong> tradizione antica — e quindi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> — nel<br />

concepire la redenzione e tutta la vita del cristiano e <strong>della</strong> Chiesa<br />

come lotta personale e concreta contro Satana, dobbiamo cercare<br />

di capire come la Scrittura concepisca il potere reale e personale<br />

di Satana dopo il peccato. Ma per capire questo stesso potere non<br />

dobbiamo partire dalla considerazione puramente filosofica e astratta<br />

<strong>della</strong> natura dell'uomo e del mondo, ma dalla considerazione<br />

del loro stato concreto storico e di fatto prima del peccato nel paradiso<br />

terrestre.<br />

Ora, concretamente e storicamente parlando, il male morale e<br />

fisico si è abbattuto sull'uomo, non già per semplice effetto <strong>della</strong><br />

volontà dell'uomo, ma per effetto <strong>della</strong> volontà dell'uomo dietro<br />

l'istigazione e l'influsso di Satana e come manifestazione <strong>della</strong> lotta<br />

non solo tra il bene e il male, ma tra Dio e Satana, tra il regno di<br />

Dio e il regno di Satana. Lo stato di spogliazione dei beni <strong>della</strong> grazia<br />

e dei doni preternaturali, in cui l'uomo è caduto per influsso di Satana,<br />

è uno stato di vero peccato, di avversione a Dio e di schiavitù<br />

sotto Satana. Ogni conseguenza del peccato originale alla quale tuttora<br />

noi sottostiamo, è sempre esercizio del potere di Satana sopra<br />

il mondo e sopra di noi: non solo peccati personali, ma anche tentazioni<br />

di ogni sorta, persecuzioni, tribolazioni, influssi nocivi degli<br />

elementi infraumani, infortuni, malattie di ogni genere, morte. Nel-


376 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

l'infinita scala dei mali fisici, psichici e morali, cui noi sottostiamo,<br />

e cui sottostà il mondo, si manifesta effettivamente l'influsso di Satana,<br />

il suo potere, la sua lotta incessante al regno di Dio. Tali<br />

appaiono senza difficoltà le cose a chi, seguendo la rivelazione, le<br />

considera storicamente dallo stato paradisiaco dove l'uomo in virtù<br />

<strong>della</strong> grazia e dei doni preternaturali godeva immunità da tutti<br />

questi mali.<br />

Oggi abbiamo troppo dimenticato i doni preternaturali di cui<br />

l'uomo godeva prima del peccato e, per positiva volontà di Dio,<br />

avrebbe dovuto sempre godere. Essi, pur essendo sopra le esigenze<br />

<strong>della</strong> natura filosoficamente considerata, facevano parte dello stato<br />

in cui la natura dell'uomo primitivamente si trovò. Per volontà di<br />

Dio, avrebbero sempre dovuto farne parte. Averli perduti significa<br />

per l'uomo essere in uno stato contro la volontà di Dio e diverso<br />

da quello primitivo, significa essere in stato di peccato. Se si dimenticano<br />

i doni preternaturali non si può capire il peccato originale<br />

né le sue conseguenze; e quindi non si può capire l'influsso reale di<br />

Satana sull'uomo e sul mondo dopo il peccato originale, né fin dove<br />

effettivamente si estenda la lotta che noi oggi dobbiamo condurre<br />

contro di, lui. La Scrittura, quando pone al primo piano del concetto<br />

di redenzione la lotta personale contro Satana, non fa altro che<br />

mettersi logicamente in questa visuale storica.<br />

In questa prospettiva, l'opera di Cristo e i doni che Egli ci<br />

ottiene non sono soltanto qualcosa che viene a perfezionare e coronare<br />

un mondo e una natura in stato quasi indifferente o neutrale<br />

dinanzi a Dio — come vorrebbe credere in modo più o meno cosciente<br />

il naturalismo oggi largamente diffuso — ma sono una<br />

« redenzione », un « riscatto », una « liberazione » dell'uomo e di<br />

tutto il cosmo. E ciò non solo da uno stato avverso a Dio ma anche<br />

ed anzitutto da una persona avversa a Dio, a quel Dio che ci « ha<br />

strappati al dominio delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del<br />

suo diletto Figliolo » (Col 1,13).<br />

È questa la grande catechesi che la Scrittura e la tradizione<br />

antica, sotto il tema <strong>della</strong> lotta contro Satana, impartiscono al<br />

nostro moderno naturalismo: l'uomo, dopo il primo peccato, si<br />

trova non già in uno stato normale e di filosofica indifferenza dinanzi<br />

a Dio, ma in uno stato catastrofico a Lui avverso; e in questo stato<br />

egli non è solo dinanzi a Dio, ma ha scelto tra Dio e il suo nemico<br />

ed è così implicato nella grande -lotta drammatica e cosmica che,<br />

dalla caduta dell'angelo, divide il regno di Dio dal regno di Satana.<br />

La stessa redenzione in Cristo, perché ci rida bensì la grazia, ma,<br />

per il momento, non ancora i doni preternaturali, ci reintegra nuovamente<br />

sin d'ora nelle file del regno di Dio, ma non ci sottrae<br />

ancora alla lotta e al possibile e molto personale ed effettivo influsso<br />

di Satana e dei suoi satelliti; influsso che si esercita sopra di noi ogni<br />

qualvolta ci colpisce un qualsiasi male fisico o morale. Per cui,<br />

realmente, la nostra lotta non è solo contro la carne e il sangue, ma<br />

anzitutto contro Satana e i suoi satelliti che operano anche attraverso<br />

le molestie che la carne e il sangue c'infliggono.


QUESTIONE LEGITTIMA 377<br />

Ammesso questo, è giustificata e niente affatto contraria alle<br />

predette verità, la preoccupazione di determinare nei singoli casi<br />

di male fisico o morale, se l'influsso personale di Satana e dei suoi<br />

satelliti, che opera attraverso questi mali, sia diretto o indiretto, prossimo<br />

o remoto; se si eserciti attraverso forze e processi che, filosoficamente<br />

considerati, sono sopra la « natura » o, invece, semplicemente<br />

«^naturali »; fino a qual punto e in che modo, in un determinato caso,<br />

gli elementi d'influsso demoniaco che, filosoficamente parlando, sono<br />

« naturali », si frammischino a quelli che, nella stessa considerazione,<br />

non lo sono. Questa preoccupazione è legittima e una conoscenza<br />

più precisa <strong>della</strong> « natura » dell'uomo e delle cose, nonché dei processi<br />

e delle forze di questa « natura », alla luce <strong>della</strong> filosofia e delle<br />

scienze sperimentali, ci aiuta a soddisfarla. E questo ha la sua utilità<br />

per impedirci di esagerare l'influsso di Satana sopra di noi e di concepirlo<br />

come se si esercitasse per vie che, filosoficamente e sperimentalmente<br />

parlando, sono tutte e sempre al di sopra delle forze<br />

naturali, come avviene nei casi che oggi diciamo di possessione o<br />

ossessione propriamente detta. <strong>Il</strong> che la rivelazione non c'impone<br />

affatto di credere, nemmeno quando il Nuovo Testamento parla, nel<br />

suo <strong>senso</strong>, di « possessione » o di azione diabolica.<br />

Ma, non vedo come si possa negarlo, tale aspetto <strong>della</strong> questione<br />

rimane, tutto sommato, secondario, poiché comunque, dietro ogni<br />

male fisico e morale che ci colpisce sta effettivamente l'influsso personale<br />

di Satana. E, infatti, tale preoccupazione non si trova nella<br />

Scrittura né nella tradizione antica, la cui prospettiva, come nel<br />

modo di considerare tutte le cose, così anche nel modo di considerare<br />

i nostri rapporti con Satana, non è, giova ripeterlo ancora, in<br />

primo luogo entitativa, ma storica, perché vede ogni cosa anzitutto<br />

nella prospettiva <strong>della</strong> storia sacra.<br />

4. LA LITURGIA DELL'INIZIAZIONE CRISTIANA E LA LOTTA<br />

CONTRO SATANA<br />

Così, credo, siamo abbastanza preparati per capire la <strong>liturgia</strong><br />

sul tema <strong>della</strong> lotta contro Satana. Se, infatti, la lotta contro Satana<br />

appare in così forte rilievo nella storia sacra, mistero di Cristo,<br />

mistero <strong>della</strong> Chiesa che la rivelazione cristiana ci propone come<br />

visione generale del mondo, nessuna meraviglia che la stessa appaia<br />

ugualmente accentuata nella <strong>liturgia</strong>, la quale del mistero di Cristo<br />

non vuol essere che la concretizzazione e l'attualizzazione sotto<br />

il velo dei segni sensibili ed efficaci.<br />

Come nella rivelazione in genere, così anche nella <strong>liturgia</strong> Satana<br />

è sempre e dappertutto presente, almeno al secondo piano,<br />

come il grande antagonista del regno di Dio e quindi dell'attuazione<br />

del mistero di Cristo. <strong>Il</strong> materiale liturgico delle liturgie storiche ed


378 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

attuali in questo campo è sovrabbondante. Non è mia intenzione<br />

riportarlo integralmente nella sua materialità. M'interessa piuttosto<br />

raggiungere un'integrità formale; ossia: dare una scorsa a tutto<br />

il campo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, diviso in <strong>liturgia</strong> dei sette sacramenti, assieme<br />

ai riti che sono immediatamente connessi con la loro amministrazione,<br />

in <strong>liturgia</strong> dei sacramentali che non fanno immediatamente<br />

parte dei riti dei sette sacramenti, e in <strong>liturgia</strong> dei cicli liturgici;<br />

riportare dalla documentazióne quanto è sufficiente per far vedere<br />

che, di fatto, nella considerazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> storica ed attuale,<br />

Satana, al secondo piano <strong>della</strong> prospettiva, è sempre presente come<br />

il grande antagonista del regno di Dio e del mistero di Cristo.<br />

La cosa, liturgicamente, si è concretizzata anzitutto nei riti dell'iniziazione<br />

cristiana, specialmente in quelli battesimali. Nella bibbia<br />

(Rm 6,1 ss), il battesimo si presenta come realtà unica espressa in<br />

<strong>senso</strong> ora negativo e ora positivo: morte e risurrezione; morte<br />

al peccato, nuova vita <strong>della</strong> grazia in Cristo; morte dell'uomo vecchio,<br />

nascita dell'uomo nuovo in Cristo. Ma sappiamo che, per<br />

la Scrittura, peccato e Satana, uomo vecchio e Satana, sono indissolubilmente<br />

connessi. Naturale, quindi, che già le prime generazioni<br />

di cristiani formulassero e concretizzassero anche ritualmente<br />

il tema del battesimo semplicemente come liberazione dalla<br />

schiavitù di Satana e nascita <strong>della</strong> vita in Cristo nella libertà dei<br />

figlioli di Dio.<br />

Inoltre, secondo lo stesso Nuovo Testamento, il battesimo<br />

segna il momento decisivo iniziale del grande passaggio dalle tenebre<br />

alla luce e l'inizio <strong>della</strong> nuova vita, che dovrà poi crescere e<br />

spandersi per il resto del pellegrinaggio su questa terra; la reintegrazione<br />

radicale dell'uomo nelle file dei figli di Dio. Era perciò<br />

naturale che appunto il battesimo fosse concepito per il cristiano<br />

come il grande momento iniziale <strong>della</strong> lotta contro Satana, il<br />

momento decisivo <strong>della</strong> prima fase in cui Cristo e Satana si danno<br />

battaglia nelle singole anime: Satana per conservare l'anima sotto<br />

la sua schiavitù, Cristo per liberarla traendola alla luce.<br />

Finalmente, poiché secondo la Scrittura l'influsso di Satana è<br />

più specialmente attivo e manifesto nel paganesimo e nel culto<br />

degli idoli, era ancora naturale che il valore antidemoniaco del<br />

battesimo fosse percepito e messo in rilievo anzitutto tra i convertiti<br />

dal paganesimo.<br />

Di fatto, già Giustino, parlando dell'invocazione del nome di<br />

Gesù con valore esorcizzatorio, in connessione, come pare, con una<br />

professione di fede che potrebbe essere quella battesimale, sembra<br />

alludere al valore antidemoniaco ed esorcizzatorio del battesimo 39 .<br />

Comunque, questo <strong>senso</strong> antidemoniaco è nettamente esplicitato in<br />

Tertulliano mediante la cerimonia <strong>della</strong> rinunzia a Satana 40 ed appare<br />

in piena luce nelle cerimonie battesimali dei secoli IV e V e nelle spie-<br />

=>° Dial. 30; 85.<br />

40 De spect. 4; De cor. 13; De anima 35.


RITO DELL'INSUFFLAZIONE 379<br />

gazioni che ne danno i Padri <strong>della</strong> stessa epoca. I riti più caratteristici<br />

in questo <strong>senso</strong>, comuni a tutte le liturgie, furpner gli esorcismi e<br />

la rinunzia a Satana. Anche la benedizione dell'acqua battesimale,<br />

che si ritrova ugualmente in tutte le liturgie, contiene come aspetto<br />

essenziale un <strong>senso</strong> antidemoniaco. Inoltre, a quasi tutti gli altri riti<br />

fu annesso, almeno nella spiegazione dell'uno o dell'altro Padre,<br />

un <strong>senso</strong> anche direttamente antidemoniaco. Per rendersene conto<br />

basta passare brevemente in rassegna i principali riti battesimali<br />

che furono in vigore nei secoli IV-VII 41 . Da questi si comprenderà<br />

anche il valore degli spunti antidemoniaci conservati nell'Ordo baptismi<br />

del nostro odierno rituale romano.<br />

I riti sugli « audientes »<br />

Già le cerimonie che accompagnavano l'ammissione al semplice<br />

catecumenato nella categoria degli audientes o auditores 42 erano tutte<br />

incentrate sul tema: liberazione da Satana e via aperta a Cristo.<br />

Così, sin dal principio, la cerimonia dell'insufflazione sul viso, accompagnata<br />

da una formula di esorcismo. L'insufflazione era un gesto<br />

dispregiativo contro Satana il cui significato veniva immediatamente<br />

sottolineato dall'esplicito esorcismo. <strong>Il</strong> significato <strong>della</strong> cerimonia<br />

viene così riassunto da Giovanni diacono (s. IX): «Dopo l'insufflazione<br />

viene esorcizzato, affinché, cacciatone il diavolo, sia preparato<br />

in lui l'ingresso a Cristo, nostro Dio » * 3 . Cosa significasse questa<br />

cerimonia nell'antica Chiesa per tener viva intorno all'uomo e al<br />

mondo la concezione storica, soprannaturale e antagonistica contro<br />

Satana, si può vedere dall'argomento che S. Agostino non si stanca<br />

di dedurne contro il naturalismo pelagiano per il fatto che essa non<br />

era omessa nemmeno per i bambini 44 . <strong>Il</strong> rito, come si sa, è tuttora<br />

11 Quali siano questi riti, si può vedere per es., dal RIGHETTI, IV 27-52. Un<br />

notevole materiale, ricavato essenzialmente dai Padri greci del secolo IV, si<br />

trova per questo punto, in: J. DANIÉLOU, Bible et liturgie, Paris 1951 pp. 30-96<br />

ove si passano in rassegna i principali temi dei riti battesimali nella spiegazione<br />

che ne hanno data i Padri.<br />

42 Essi formavano, tra gli stessi catecumeni, una categoria distinta da<br />

quelli che, al principio <strong>della</strong> quaresima, si erano impegnati a ricevere il battesimo<br />

alla prossima Pasqua, sottomettendosi, durante lo stesso periodo, a una<br />

ben determinata preparazione immediata al sacramento (competentes, electi,<br />

photizómenoi).<br />

43 Exsufllatus igitur exorcizatur, ut, fugato diabolo, Christo Deo nostro<br />

paret.ur introitus. Lettera a Sennario 3.<br />

44 Vedi, per es.. De nupt. et concup. I 22, 20; Contro lui. VI 11,5; De gratta<br />

Christi et de peccato originali II 45; Opus imperi. <strong>Il</strong>i 182. Si legga il seguente<br />

passo ; « La fede cristiana, che i novelli eretici hanno ora cominciato a impugnare,<br />

non dubita che coloro che sono mondati dal lavacro <strong>della</strong> rigenerazione,<br />

vengano riscattati dalla potestà del diavolo, e coloro che non sono ancora stati<br />

riscattati per mezzo di questa rigenerazione, compresi i bambini figli di coloro<br />

che sono già stati redenti, siano schiavi sotto la potestà dello stesso diavolo,<br />

a meno che anch'essi non vengano redenti dalla stessa grazia di Cristo. Noi<br />

non dubitiamo che si riferisca a tutte le età, quel benefìcio di Dio di cui parla


380 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

conservato nel rituale romano 45 . All'insufflazione e all'esorcismo<br />

seguiva l'imposizione delle mani per significare la santificazione dell'anima<br />

nel suo aspetto positivo.<br />

Veniva poi in occidente (altrove si faceva a diversi momenti <strong>della</strong><br />

cerimonia) l'imposizione del segno <strong>della</strong> croce sulla fronte del candidato<br />

(consignatio: sphragis). <strong>Il</strong> segno <strong>della</strong> croce è fondamentalmente<br />

segno di appartenenza e di consacrazione a Cristo, ma, derivatamente,<br />

è anche segno di riconoscimento, di protezione, di arruolamento nell'esercito<br />

di Cristo e vessillo di lotta. Era facile quindi scorgervi un<br />

aspetto antidemoniaco. Tanto più facile che il segno <strong>della</strong> croce in<br />

riferimento a Cristo non è un segno convenzionale qualsiasi, ma lo<br />

strumento e il simbolo <strong>della</strong> sua passione e quindi <strong>della</strong> sua massima<br />

lotta e suprema vittoria contro Satana. Non per niente nel Nuovo<br />

Testamento questa vittoria di Cristo è più d'una volta ricordata in<br />

un contesto dove si parla <strong>della</strong> sua morte e <strong>della</strong> croce 46 . I Padri<br />

e le liturgie non mancarono dunque di rilevare il <strong>senso</strong> antidemoniaco<br />

<strong>della</strong> consignatio crucis. San Cirillo di Gerusalemme, per esempio,<br />

dice che nell'anima il Signore « stampa la sua salutare e mira-<br />

l'Apostolo, di quel Dio che ci ha Strappati dalla potestà delle tenebre e ci<br />

ha trasferiti nel regno del suo diletto Figliolo. Chiunque nega che i bambini,<br />

quando sono battezzati, vengono strappati da questa potestà delle tenebre, di<br />

cui il diavolo è principe, cioè dalla potestà del diavolo e dei suoi angeli, è confutato<br />

dalla verità degli stessi sacramenti <strong>della</strong> Chiesa, che non" è permesso a<br />

nessuna eretica novità di togliere o mutare nella Chiesa di Cristo, perché il<br />

Capo regge e aiuta tutto il suo corpo, grandi e piccoli. Veramente dunque e non<br />

già erroneamente, la potestà del diavolo viene esorcizzata nei bambini, e ad<br />

essa i bambini rinunziano, per i cuori e le labbra di coloro che li portano,<br />

perché non possono farlo col proprio cuore e le proprie labbra; affinché, strappati<br />

dalla potestà delle tenebre, siano trasferiti nel regno del loro Signore. Cosa<br />

vi è dunque, in essi, per cui soggiacciono alla potestà del diavolo, fino al momento<br />

che ne sono strappati per il sacramento del battesimo di Cristo? Cos'è,<br />

se non il peccato? 11 diavolo non vi trova altro per cui possa sottoporre al suo<br />

potere la natura che il buon creatore fece buona. Né i bambini commisero in<br />

vita loro alcun peccato personale. Rimane dunque il peccato originale per cui<br />

sono fatti schiavi sotto la potestà del diavolo, a meno che non vengano riscattati<br />

dal lavacro <strong>della</strong> rigenerazione e dal sangue di-Cristo e passino al regno<br />

del loro redentore, dopo avere annullato la potestà di colui che li teneva schiavi<br />

e ricevuto il potere per cui da figli di questo secolo diventino figli di Dio »<br />

(De nupt. et conc. I 22,20). Sarebbe assolutamente errato attribuire questo linguaggio<br />

alle esagerazioni di Agostino. Esso è corretto e indiscutibile. Solo che<br />

in esso, come nello stesso Nuovo Testamento, un punto rimane ancora indeterminato,<br />

come abbiamo sopra spiegato. Tutto quello che dice Agostino deve<br />

essere ritenuto per vero: il potere di Satana, anche sui bambini non ancora<br />

battezzati, è reale e personale, — e ricordarlo al nostro moderno pelagianesimo<br />

non è meno necessario che difenderlo contro l'antico pelagianesimo —. Ma non<br />

è necessario che si eserciti con mezzi che, filosoficamente parlando, non siano<br />

naturali. Non è dunque affatto necessario ritenere che, in quei bambini, per<br />

esempio, si tratti di quello che oggi chiamiamo possessioni diaboliche perché,<br />

per noi, oggi, possessione diabolica significa influsso di Satana sul corpo di un<br />

uomo, esercitato con mezzi che, filosoficamente parlando, non sono naturali.<br />

45 Ordo Baptismi adultorum n. 8; ardo baptismi parvtilorum n. 3.<br />

4 « Gv 12,31-33 : « Adesso si fa il giudizio del mondo; adesso il principe di<br />

questo mondo sarà cacciato fuori. Ed io, quando sarò innalzato da terra, trarrò<br />

tutto a me. E ciò diceva per indicare di qual morte sarebbe morto »; FU 2,8-11;<br />

ÌCor 2,6.


IL SEGNO DELLA CROCE 381<br />

bile sphragis che i demoni temono, che gli angeli riconoscono, di<br />

modo che quelli fuggono a nascondersi mentre questi la circondano<br />

come membro di famiglia » 47 .<br />

Per comprendere pienamente il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> consignatio bisogna<br />

situare questa cerimonia nel quadro generale del significato che i<br />

cristiani annettevano al segno <strong>della</strong> croce nella vita in genere. Ora,<br />

tra gli altri, il significato antidemoniaco <strong>della</strong> croce nella vita cristiana<br />

in genere è fortemente accentuato. Così, per esempio, si esprime<br />

la Traditio di Ippolito : « Ogni volta che sei tentato, sigilla con riverenza<br />

la tua fronte col segno <strong>della</strong> croce. È infatti il segno <strong>della</strong> passione,<br />

noto e comprovato contro il diavolo; purché tu lo faccia con<br />

fede, non per essere notato dagli uomini, ma con spirito cosciente<br />

(per scientiam), opponendolo come scudo. Se, infatti, l'avversario<br />

vede... l'immagine interiore del Verbo esternamente dispiegata... tremante<br />

è messo in fuga » 18 . Tertulliano ci fa vedere quale fosse l'uso<br />

comune dei cristiani : « Se ci mettiamo in cammino, se usciamo od<br />

entriamo, se ci vestiamo, se ci laviamo o andiamo a mensa, a letto,<br />

se ci mettiamo a sedere, in queste e in tutte le nostre azioni ci segniamo<br />

la fronte con il segno <strong>della</strong> croce » 49 . Di quale terrore sia questo<br />

segno ai demoni, dice Lattanzio, lo sa chi li ha visti fuggire dai corpi<br />

che possedevano, nelle ingiunzioni fatte loro per Cristo 30 . Cirillo di<br />

Gerusalemme insiste spesso sull'efficacia antidemoniaca del segno<br />

<strong>della</strong> croce e raccomanda al cristiano di farlo in ogni occasione : « Non<br />

ci vergogniamo dunque del segno <strong>della</strong> croce di Cristo. Anche se altri<br />

lo nascondono, tu fattelo apertamente sulla fronte, affinché i demoni,<br />

alla vista del segno del Re, fuggano tremanti. Fa questo segno quando<br />

mangi e bevi, quando ti metti a sedere, quando vai a letto, quando ti<br />

alzi, quando parli, quando sei per via, in una parola, in ogni occasione<br />

» 51 , S. Agostino osserva che il segno <strong>della</strong> croce, « se non si<br />

fa sulla fronte dei credenti, sull'acqua stessa dalla quale siamo generati,<br />

sull'olio del crisma con il quale sono unti, sul sacrificio dal<br />

quale sono nutriti, niente di tutto questo vien fatto come si deve » 5 -.<br />

La tradizione ha dunque precisato nel segno di Cristo, cioè <strong>della</strong><br />

croce, quel carattere di Dio di cui, secondo l'Apocalisse (7,3), sono<br />

segnati i fedeli degli ultimi tempi come marchio di protezione contro<br />

le potenze infernali e i loro satelliti ".<br />

" Catech. 1 3.<br />

48 Trad. apost. 42, ed. Botte p. 99 s. Nella frase lascio alcune parole di difficile<br />

interpretazione. In esse, probabilmente, Ippolito vuol dire che tracciare il segno<br />

<strong>della</strong> croce sulla fronte, equivale a manifestare all'esterno la forza interna dello<br />

Spirito Santo di cui il fedele è divenuto il tempio nel battesimo; e che perciò<br />

il demonio a tale segno fugge tremante messo in fuga dallo Spirito. Vedi pure<br />

J. DANIÉLOU, Le signe de la croix, in: La table ronde, dicembre 1957 pp. 32-38.<br />

49 De cor. III.<br />

*° hist. IV 27.<br />

« Catech. IV 14. Vedi anche IV 13; XIII 3; 22; 40; 41. J. DANIÉLOU, Bible et<br />

liturgie p. 87 attira anche l'attenzione su Vita Antonii 13; e su GREGORIO DI NISSA,<br />

De vita S. Gregorii thaumaturgi, PG 46,952 A-C.<br />

52 In Jo. tract. 118, 5.<br />

53 Vedi, per es., R. H. CHARLES, The revelation of s. John (the international<br />

criticai commentary) I Edinburgh, 1950 p. 194 ss.


382 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

Dopo la consignatio, in Africa e a Roma, dal secolo III-IV, veniva<br />

il rito <strong>della</strong> degustazione del sale benedetto ed esorcizzato, cerimonia<br />

che sussiste tuttora nel rituale romano 54 . Oltre al significato<br />

simbolico <strong>della</strong> conservazione per mezzo <strong>della</strong> sapienza divina, anche<br />

a questo rito si dava un <strong>senso</strong> apotropeutico per tener lontani i<br />

demoni. È quanto esprime in modo particolare l'esorcismo del sale<br />

che si ha nel Gelasiano ed è conservato tuttora nel rituale romano:<br />

« Ti esorcizzo, sale, nel nome di Dio Padre onnipotente e nella carità<br />

del Signore nostro Gesù Cristo, e nella virtù dello Spirito Santo. Ti<br />

esorcizzo per il Dio vivo e vero che ti creò per protezione dell'uomo<br />

e che ordinò che tu fossi consacrato per mezzo dei suoi servi a favore<br />

dei nuovi credenti. Ti preghiamo dunque, Signore, Dio nostro, che<br />

questo sale sia reso sacramento di salvezza per mettere in fuga il<br />

nemico. Tu, o Signore, santificalo, benedicilo, affinché per tutti coloro<br />

che lo gusteranno sia medicina perfetta e in loro duratura, nel nome<br />

del Signore Gesù Cristo, il quale verrà a giudicare i vivi e i morti per<br />

il fuoco » ". È facile rendersi conto da quanto precede che già l'ammissione<br />

al semplice catecumenato era ed è considerata essenzialmente<br />

nella visuale <strong>della</strong> liberazione da Satana e di adesione a<br />

Cristo.<br />

I riti sui « competentes »<br />

Tali erano pure le cerimonie eseguite per tutta la quaresima<br />

come preparazione prossima al battesimo su quei catecumeni detti<br />

competentes i quali, iscrivendosi sui registri ufficiali <strong>della</strong> Chiesa,<br />

avevano preso l'impegno di ricevere il sacramento alla prossima<br />

Pasqua. Già l'esame preliminare, che ogni candidato doveva ufficialmente<br />

subire prima di essere ammesso tra i competentes, rivestiva<br />

facilmente un simbolismo che concretizzava sin dal principio il tema<br />

<strong>della</strong> lotta a Satana per sottrarsi al suo dominio ed aderire a Cristo.<br />

Così in Siria, come appare dalle catechesi di Teodoro di Mopsuestia<br />

e come ha rilevato il P. Daniélou 5e , il candidato, durante l'esame<br />

in cui si discuteva il suo caso, doveva tenersi in piedi sopra un cilizio,<br />

a piedi scalzi, vestito <strong>della</strong> sola camicia, le mani stese in forma<br />

di preghiera e lo sguardo abbassato ". Questo atteggiamento concretizza<br />

simbolicamente il tema suaccennato : così il candidato vuole<br />

« manifestare la servitù in cui il diavolo lo teneva schiavo ed eccitare<br />

la compassione del giudice » 5S . Egli, così stando dinanzi ai giudici<br />

eccelesiastici, doveva credersi in atteggiamento di lotta contro il<br />

diavolo simile a Cristo stesso nella sua tentazione nel deserto. Nel<br />

tappeto di cilizìo, il cui significato primitivo sembra essere stato semplicemente<br />

quello <strong>della</strong> penitenza, Teodoro vede significate quelle<br />

54 Ordo baptismi parvulorum n. 6-7; ordo baptismi adultorum n. 13-15.<br />

55 Ed. Mohlberg n. 288 p. 43.<br />

5 « Bible et liturgie, Paris 1951 pp. 30-33.<br />

57 TEODORO DI MOPSUESTIA, Catechesi XII 1.<br />

« Ibid. XII 24.


RITI SUI CATECUMENI 383<br />

« tuniche di pelle » (Gn 3,21) di cui Dio rivestì Adamo ed Eva dopo<br />

il peccato, come simbolo <strong>della</strong> loro nuova condizione decaduta nella<br />

quale si trovava ancora il candidato al battesimo, ma di cui si preparava<br />

a liberarsi 58 . L'iscrizione sui registri <strong>della</strong> Chiesa tra i can<br />

didati per il battesimo nella prossima Pasqua era come l'aspetto<br />

positivo di questa nuova vittoria su Satana.<br />

È noto che poi, durante la quaresima, due gruppi di cerimonie<br />

riguardavano i competentes : il primo gruppo, di carattere più propriamente<br />

catechetico, era incentrato sulla spiegazione del simbolo<br />

apostolico (traditio symboli) e del Pater (traditio orationis dominicele),<br />

che a un certo momento i candidati dovevano essere capaci<br />

di recitare a memoria (redditio symboli, redditio orationis). A Roma,<br />

dal secolo VI, a questi riti fu premessa una breve iniziazione ai<br />

quattro vangeli (traditio evangelii). <strong>Il</strong> secondo gruppo di cerimonie<br />

(gli scrutinia) erano di carattere più direttamente purificatorio consistenti<br />

anzitutto in esorcismi e preghiere. <strong>Il</strong> più importante scrutinio<br />

era l'ultimo che si faceva la mattina stessa del sabato santo.<br />

<strong>Il</strong> carattere antidemoniaco non mancava nemmeno nel primo<br />

gruppo di riti a scopo più direttamente catechetico. Così nella traditio<br />

symboli, secondo il Gelasiano, il pontefice, dopo aver modulato<br />

il simbolo dinanzi ai candidati, ne commenta brevemente l'importanza<br />

dicendo tra le altre cose : « Voi dunque, dovete ritenere<br />

nei vostri cuori questa brevissima formula che tutto contiene, di<br />

modo che, in ogni momento, questa confessione vi sia di protezione.<br />

La forza di queste armi è infatti sempre invitta e serve al buon<br />

soldato di Cristo contro tutte le insidie del nemico. Che il diavolo,<br />

il quale non cessa mai di tentare l'uomo, vi trovi sempre armati di<br />

questo simbolo; affinché, vinto l'avversario, al quale voi rinunziate,<br />

possiate conservare incorrotta ed immacolata fino alla fine la grazia<br />

del Signore, con l'aiuto di Colui che voi confessate » 60 . Anche nella<br />

traditio orationis dominicae non manca l'allusione al diavolo, poiché<br />

il Pater stesso, direttamente o indirettamente, la contiene nella<br />

domanda: non c'indurre in tentazione ma liberaci dal male, o da'<br />

Maligno, come molti Padri intendono 61 .<br />

Ma è anzitutto negli scrutini, che nell'antica disciplina romana<br />

avevano luogo la terza, quarta e quinta domenica di quaresima, e<br />

specialmente nel grande scrutinio <strong>della</strong> mattina del sabato santo,<br />

che il carattere antidemoniaco del battesimo prende tutto il suo<br />

rilievo. Basta vedere come essi si svolgevano, per esempio, nella<br />

descrizione che ne fa il Righetti 6 -, per rendersi conto che il loro<br />

significato era tutto e direttamente antidemoniaco e ciò con concretezza<br />

e vividezza comprensibili solo nel quadro del Nuovo Testamento<br />

e <strong>della</strong> tradizione antica da noi sopra tracciato.<br />

59 Vedi DANIÉLOU, Bible et liturgie, p. 32 s.<br />

6 Ed. Mohlberg n. 317 p. 51.<br />

61 Nel lesto <strong>della</strong> Traditio del Gelasiano il <strong>senso</strong> antidemoniaco del Pater<br />

è sottolineato nella introduzione e nella domanda: non c'indurre in tentazione.<br />

62 IV 43 ss.


384 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

Scrutinio, originariamente, non significava esame di dottrina o<br />

di modo di vivere (sebbene verso la fine del secolo V qualcosa anche<br />

di questo <strong>senso</strong> s'infiltrasse nel modo di concepire gli scrutini), ma<br />

scrutamento del corpo e dell'animo per liberare i catecumeni dagli<br />

influssi diabolici mediante esorcismi e preghiere, alle quali, la mattina<br />

del sabato santo si aggiungeva l'unzione e l'esplicita rinunzia<br />

a Satana. È per questo che i ministri particolarmente incaricati degli<br />

scrutini erano chierici esorcisti. <strong>Il</strong> vescovo Quodvultdeus di Cartagine,<br />

contemporaneo di S. Agostino, enumerava così i sacramenta<br />

degli scrutini: esorcismi, orazioni, canti religiosi, insufflazioni, cilizio,<br />

inclinazioni del capo, l'umiltà dei piedi (scalzi) 63 . Secondo l'Odo<br />

Romanus XI del secolo VI-VII, lo scrutinio tipo si apriva con un invito<br />

di un diacono alla preghiera in ginocchio, conchiusa, probabilmente,<br />

con un'orazione detta ad alta voce dal sacerdote e a cui tutti<br />

rispondevano Amen. Seguiva poi un invito ai padrini dei catecumeni<br />

di fare un segno di croce sulla fronte dei rispettivi figliocci.<br />

Veniva quindi un primo esorcismo fatto da un esorcista separatamente<br />

sui maschi e sulle femmine. Le stesse cerimonie si ripetevano<br />

una seconda e una terza volta con un secondo e terzo esorcismo<br />

fatto da diversi esorcisti. Si terminava con una preghiera del sacerdote,<br />

con un secondo segno di croce fatto dai padrini sulla fronte<br />

dei catecumeni e con la messa. Questa cerimonia degli scrutini del-<br />

YOrdo Romanus XI è sostanzialmente conservata nell'odierno rituale<br />

romano per YOrdo baptismi adultorum, mentre YOrdo baptismi parvulorum<br />

conserva solo l'ultima orazione che era detta dal sacerdote 64 .<br />

Sono troppo noti i caratteri dei formulari degli esorcismi in<br />

genere perché sia necessario insistere. I principali sono: 1. Interpolazione<br />

di Satana con titoli spregiativi e obbrobriosi: spirito<br />

immondo, avversario, nemico <strong>della</strong> fede, del genere umano, seduttore,<br />

fonte di ogni male e di ogni vizio, traditore, antico serpente, ecc.;<br />

si ricorda a Satana i suoi peccati, le punizioni ricevute da Dio, le<br />

sconfitte ricevute da Cristo, ecc.. 2. Parole di comando e comminazione<br />

fatte con autorità e decisione : fuggi, lascia il posto, dà onore<br />

al Padre, al Figliolo, allo Spirito Santo; dà onore a Gesù Cristo.<br />

3. Invocazione del nome di Dio, delle persone <strong>della</strong> SS. Trinità; del<br />

nome di Gesù. 4. <strong>Il</strong> segno <strong>della</strong> croce. Più recentemente anche l'aspersione<br />

con l'acqua benedetta.<br />

<strong>Il</strong>-primo esorcismo nell'Ordo Romanus X il cui testo si trova<br />

nel Gelasiano, dopo un'invocazione a Dio che mandi il suo angelo<br />

a proteggere il catecumeno, dice : « Dunque, maledetto diavolo, riconosci<br />

la tua sentenza e dà onore al Dio vivo e vero; dà onore a Gesù<br />

Cristo, suo Figliolo e allo Spirito Santo; fuggi da questi servi di Dio<br />

perché questo Dio e il nostro Signore Gesù Cristo si è degnato di<br />

chiamarli alla sua santa grazia e benedizione e al dono del battesimo.<br />

63 Sermo ad compet. PL 40, 660. <strong>Il</strong> Gelasiano definisce lo scrutinio: « Codeste<br />

mysterium quo diabohts cimi sua pompa destruìtur et ianua caelestis aperitur ».<br />

Ed. Mohlberg n. 283 p. 42.<br />

64 Battesimo degli adulti n. 16-18; dei bambini n. 9.


IL SENSO DEGLI ESORCISMI 385<br />

Per questo segno <strong>della</strong> santa Croce che noi poniamo sulle loro fronti<br />

e che tu, maledetto diavolo, non osar mai violare » 6S .<br />

È specialmente dinanzi agli esorcismi che il nostro moderno<br />

naturalismo prova imbarazzo. <strong>Il</strong> Righetti cerca di cavarsela citando<br />

un passo del Duchesne : « Era viva in quei secoli la preoccupazione<br />

degli spiriti malvagi, del loro potere e <strong>della</strong> necessità di affrancarne<br />

non soltanto le anime, ma i corpi e la natura stessa animata o inorganica.<br />

Si credeva che ogni oggetto sul quale non fosse energicamente<br />

invocato il nome di Gesù Cristo, fosse sottoposto all'azione del demonio<br />

e capace di trasmetterla. Per questo si moltiplicavano gli esorcismi<br />

sui candidati al battesimo... Simile incubo può sembrarci strano,<br />

ma ebbe un tempo grande importanza ed ha lasciato tracce troppo<br />

evidenti nella <strong>liturgia</strong> dai tempi antichi ai nostri giorni, perché possa<br />

essere dimenticato » 66 . L'ultima frase del Duchesne interpreta dunque<br />

tutto come un « incubo » antidemonista e antispiritista di cui,<br />

per errore popolare, furono vittima quei secoli e di cui numerose<br />

tracce sono conservate dall'odierna <strong>liturgia</strong> per forza d'inerzia.<br />

Spero di aver dimostrato che simile modo di spiegare le cose è<br />

troppo semplice e sbrigativo. Bisogna invece dire, a mio parere, che<br />

era giustissima la viva preoccupazione che ebbero quei secoli degli<br />

spiriti malvagi, del loro potere e <strong>della</strong> necessità di affrancarne non<br />

soltanto le anime, ma i corpi e la natura stessa animata o inorganica.<br />

E che si faceva bene a credere che ogni oggetto, sul quale non è<br />

energicamente (!) invocato il nome di Gesù Cristo, è sottoposto alla<br />

azione del demonio e capace di trasmetterla. Diversamente sarebbe<br />

una favola quanto ci dice la rivelazione sulla stato paradisiaco, sulla<br />

caduta dell'uomo, il peccato originale e le sue conseguenze, tra le<br />

quali, la schiavitù dell'uomo e del mondo sotto Satana, e sulla redenzione<br />

di Cristo come lotta contro Satana e liberazione nostra e del<br />

mondo dalla stessa schiavitù.<br />

Giova ripeterlo: se nel modo di vedere degli antichi e quindi<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, vi era o vi è qualcosa d'imperfetto e che poteva o può<br />

dar luogo a esagerazioni e incubi ingiustificati, questo non è nel<br />

fatto che credevano al potere degli spiriti malvagi, alla necessità di<br />

affrancarne non solo le anime ma anche i corpi e la stessa natura<br />

animata o inorganica; e nemmeno nel fatto che si ammetteva ch«<br />

ogni oggetto sul quale non è invocato il nome di Gesù sia sottoposte<br />

all'azione del demonio e sia capace di trasmetterla; ma semplicemente<br />

nel fatto che nei testi antichi, parecchi dei quali tuttora<br />

in uso, rimane indeterminato, perché non si pone nemmeno la questione,<br />

se l'influsso del demonio si eserciti per vie e processi che,<br />

alla luce <strong>della</strong> filosofia e delle scienze sperimentali, sono « naturali »<br />

oppure non semplicemente « naturali »; e quindi rimane indeterminato<br />

fino a qual punto si tratti di vere e proprie possessioni nel <strong>senso</strong><br />

odierno.<br />

65 Gelasiano, ed. Mohlberg n. 292.<br />

ae Citato dal RIGHETTI, IV 44, con riferimento a: Storia <strong>della</strong> chiesa antica<br />

III p. 120.<br />

13 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


386 CAP. XIII - LE DUE CITTA<br />

Ma c'è una grande differenza tra i due seguenti atteggiamenti:<br />

il primo che consiste nell'ammettere che l'influsso demoniaco, pur<br />

esercitandosi, per lo più, per processi e vie che, filosoficamente<br />

parlando, sono naturali, è, dopo il peccato di Adamo, reale, personale<br />

e universale; che si manifesta ovunque l'uomo è vittima di un<br />

male fisico o morale; che la vita del cristiano e <strong>della</strong> Chiesa è una<br />

continua lotta contro questo influsso; e che tutto il complesso liturgico<br />

dei mezzi di santificazione e di culto, in specie negli esorcismi,<br />

possiede tra gli altri, anche questo aspetto di provvedere il cristiano<br />

nella predetta lotta. <strong>Il</strong> secondo che consiste nell'attribuire<br />

l'intera pratica degli esorcismi nella Chiesa — per non dire tutto<br />

il modo di vedere <strong>della</strong> Scrittura in questa materia — a semplice<br />

fantasia popolare, eccettuandone solo quei rarissimi casi, non altrimenti<br />

controllabili, nei quali si tratta di vere e proprie possessioni<br />

nel <strong>senso</strong> odierno <strong>della</strong> parola 67 .<br />

In conclusione perciò: quando si tratta di esorcismi sui battezzando<br />

bisogna dire che essi sono pienamente giustificati, pur<br />

ammettendo — precisazione questa che non appare nella Scrittura,<br />

né nella tradizione, e quindi nemmeno nella <strong>liturgia</strong> — che, nella<br />

immensa maggioranza dei casi, non si tratta di possessioni propriamente<br />

dette nel <strong>senso</strong> odierno. L'esorcismo, in questo caso, ha<br />

il <strong>senso</strong> di una preghiera <strong>della</strong> Chiesa per ottenere da Dio, per il<br />

battezzando, grazie attuali di vario genere. In primo luogo: affinché<br />

venga impedito che si eserciti l'influsso diabolico per far sorgere<br />

ostacoli fisici, morali, personali, sociali, esterni o interni, in vista<br />

di impedire il battesimo. In secondo luogo : per ottenere, per il battezzando,<br />

grazie attuali interne che lo dispongano a ricevere il sacramento<br />

col maggior frutto possibile.<br />

Questo secondo effetto l'esorcismo l'ottiene, tra le altre vie,<br />

anche perché simbolizza anticipatamente e vivamente, agli occhi<br />

dello stesso battezzato e di colorò che devono pregare per lui, uno<br />

degli aspetti <strong>della</strong> grazia del futuro battesimo, che è appunto quello<br />

<strong>della</strong> liberazione del battezzato dalla schiavitù di Satana. Così l'esorcismo<br />

è anche una catechesi per il battezzando e per coloro che<br />

devono interessarsi a lui, che dispone a meglio capire, apprezzare<br />

e desiderare e quindi ricevere la grazia battesimale. Anche da questo<br />

punto di vista catechetico l'esorcismo rimane pienamente giustificato<br />

anche se praticato su bambini. È innegabile però che l'unione<br />

attuale dei riti dei catecumeni con quelli che spettano immediatamente<br />

al conferimento del battesimo, e ancor più l'ignoranza generale<br />

del loro significato, impedisce su larga scala il loro effetto<br />

catechetico.<br />

Sono pienamente giustificati anche gli esorcismi su cose infraumane<br />

anche se esse, ciò che si verifica per lo più, non sono affatto<br />

ossesse o possedute nel <strong>senso</strong> odierno <strong>della</strong> parola. Questo perché<br />

67 La mentalità, talvolta inconsciamente pelagiana, frutto del nostro moderno<br />

naturalismo, farebbe bene a rileggere e meditare, per esempio, il testo<br />

di Agostino citato sopra alla nota 44.


RITI PREBATTESIMALI 387<br />

l'influsso diabolico sopra queste cose, in vista di nuocere all'uomo,<br />

può essere reale anche se esercitato per vie e processi, filosoficamente<br />

parlando, naturali. L'esorcismo, in questo caso, ha il significato<br />

di una preghiera a Dio affinché impedisca che l'influsso diabolico<br />

si serva di tali oggetti per trarre o tenere l'uomo nel peccato :<br />

e affinché coloro che se ne serviranno nelle debite disposizioni di<br />

animo, ottengano ogni specie di grazie attuali che li proteggano dall'influsso<br />

diabolico e li dispongano sempre meglio all'influsso divino<br />

<strong>della</strong> grazia santificante.<br />

Tra gli scrutini, quello del sabato santo - mattina aveva particolare<br />

solennità ed importanza come il più immediatamente preparatorio<br />

al battesimo. In esso, oltre a un esorcismo di carattere consueto<br />

e alla redditio symboli c'erano tre riti speciali tutti di carattere<br />

direttamente antidemoniaco: il rito déìl'effeta o deU'aperitio<br />

aurium; l'unzione; la rinunzia a Satana. L'aperitio aurium è connessa<br />

con l'esorcismo iniziale e tiene il posto che più anticamente<br />

occupava un semplice segno di croce che si faceva spesso alla fine<br />

degli esorcismi. <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> antidemoniaco déìl'effeta, aperitio aurium<br />

è chiaro dalla formula che l'accompagnava, conservata anche nel<br />

rituale odierno 68 : « Effeta, che significa apriti, in vista dell'odore<br />

soave. Ma tu, diavolo, fuggi; il giudizio di Dio si avvicina » 69 .<br />

Anche l'unzione d'olio sul petto e fra le spalle (in oriente tutto<br />

il corpo veniva unto), sempre conservata nel rituale odierno 70 , ha un<br />

<strong>senso</strong> eminentemente antagonistico antidemoniaco. <strong>Il</strong> catecumeno<br />

che sta per affrontare la lotta suprema con Satana rinunziando definitivamente<br />

a lui e sfuggendo alla sua schiavitù per l'immersione<br />

battesimale, viene previamente unto per essere guarito e fortificato<br />

dalla forza di Cristo come un atleta che sta per iniziare, anzitutto<br />

in questi due atti, ma poi anche per il resto <strong>della</strong> vita 71 , il corpo<br />

a corpo contro il nemico. Brevemente S. Ambrogio : « Venimmo al<br />

fonte; sei entrato, sei stato unto... Sei stato unto come atleta di<br />

Cristo, come se tu fossi un lottatore » 72 . La tradizione orientale è<br />

unanime in questo <strong>senso</strong> 73 . <strong>Il</strong> sacramentario di Serapione, per esempio,<br />

accompagna l'unzione con questa preghiera : « Ungiamo con<br />

questa unzione quelli (o quelle) che accedono a questa divina rigenerazione,<br />

pregando che il Signore nostro Gesù Cristo operi in loro<br />

68 Orda baptismi parvulorum n. 13; ...adultorum n. 34.<br />

ce Vedi Gelasiano, ed. Mohlberg n. 420 p. 68.<br />

70 Orda baptismi parvulorum n. 15; ...adultorum n. 36.<br />

71 I testi delle liturgie e dei Padri considerano anche tutta la vita che segue<br />

il battesimo.<br />

72 De sacr. I 2, 4.<br />

73 Rilevata da J. DANIÉLOU, Bible et liturgie pp. 57-60. Vedi per es., CIRILLO<br />

DI GERUS. Catech. mystag. II 3: «Come le insufflazioni dei fedeli e l'invocazione<br />

del nome di Dio, quali fiamme di fuoco veementi bruciano e mettono in fuga i<br />

demoni, così anche l'olio esorcizzato per l'invocazione di Dio e la prece, riceve<br />

tanta virtù che non solo brucia e fuga i vestigi del peccato, ma anche mette in<br />

fuga tutte le potenze invisibili del male ». Vedi anche GIOVANNI CRISOSTOMO, Hùit<br />

catéchèses baptismales (ed. A. Wenger, Sources chrétiennes n. 50) Paris 1957, catechesi<br />

II 22. 23 p. 145 s.


388 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

favore forza sanante e confortante e riveli e sani per essa dalle<br />

loro anime, dai loro corpi e dai loro spiriti ogni segno di peccato<br />

e di iniquità o d'influsso diabolico, concedendo loro per la sua grazia<br />

la remissione affinché, liberati dal peccato, vivano per la giustizia e,<br />

riformati per questa unzione e purificati per il lavacro e rinnovati<br />

nello spirito, abbiamo la forza di vincere d'ora innanzi tutte le forze<br />

avverse e le frodi di questa vita » 74 .<br />

A Roma la rinunzia a Satana veniva dopo la predetta unzione<br />

e nei tempi più antichi si faceva nel battesimo. Tra gli elementi<br />

antidemoniaci dei riti battesimali il rito <strong>della</strong> rinunzia a Satana è<br />

dei più antichi T5 ed è conservato nell'odierno rituale 76 . In essa si<br />

concentra tutto il simbolismo del battesimo come liberazione da<br />

Satana e adesione a Cristo. La formula è notevolmente la stessa<br />

nelle diverse liturgie: l'oggetto <strong>della</strong> rinunzia è espresso in tre membri:<br />

Satana, le sue pompe e i suoi angeli o le sue opere. <strong>Il</strong> <strong>senso</strong><br />

dell'espressione « le pompe di Satana » sembra ormai sufficientemente<br />

chiarito 77 : si tratta, principalmente, delle manifestazioni del<br />

culto pagano, specialmente nelle processioni e nei giochi che i<br />

cristiani erano tentati di frequentare ancora. Negli angeli di Satana<br />

sembra difficile non vedere un'allusione, almeno nel significato primitivo<br />

<strong>della</strong> parola, ai demoni secondo l'espressione del Nuovo Testamento<br />

(Mt 25,41. Cfr. 2 Cor 12,7; 2 Gv 2,4; Gì 6; Ap 9,11; 12,7.9); alcuni<br />

Padri però interpretarono l'espressione non dei demoni ma degli<br />

uomini strumenti di Satana nell'operare il male e nel tentare i cristiani<br />

7S . In questo <strong>senso</strong> l'espressione si avvicina alla variante « e le<br />

sue opere » conservata dalla tradizione romana 79 con riferimento ai<br />

vari peccati di ogni genere.<br />

In oriente il <strong>senso</strong> antidemoniaco <strong>della</strong> cerimonia era ancora<br />

sottolineato da una serie di gesti e atteggiamenti simbolici, in specie<br />

dal fatto di pronunziare la rinunzia rivolti verso occidente e stendendo<br />

la mano. Ad occidente la tradizione greca antica poneva le<br />

porte deìl'Hades; l'occidente fu perciò considerato anche nella tradizione<br />

dei Padri come il luogo <strong>della</strong> potenza delle tenebre. <strong>Il</strong> significato<br />

del gesto era quindi chiaro : « <strong>Il</strong> demonio, essendo tenebre, ha<br />

il suo impero nelle tenebre. Ecco perché rinunziate a quel principe<br />

di tenebre e di caligine, rivolti simbolicamente verso occidente »,<br />

diceva S. Cirillo di Gerusalemme 80 . Facendo questa rinunzia il candidato<br />

stendeva la mano o le mani, gesto che accompagnava ogni<br />

patto giurato o la sua denunzia; o anche soffiava tre volte contro<br />

74<br />

22 (15) ed. Funk p. 185.<br />

" Vedi già TERTULLIANO, De cor. 13.<br />

76<br />

Ordo baptismi parvutorum 14; ...adultorum n. 35.<br />

77<br />

Vedi la discussione di J. H. WASZINK, Pompa diaboli, in: Vigiliae christianae<br />

1 (1947) lss.<br />

78<br />

Vedi, per es., TEODORO DI MOPS., Catechesi XIII 7-8.<br />

79<br />

Già nella Traditio di Ippolito cap. 21, ed. Botte p. 47.<br />

s0<br />

Catech. mystag. I 4. Riti conservati ancora nella <strong>liturgia</strong> bizantina. Vedi<br />

Eucliológion, Roma 1873 p. 151.


BENEDIZIONE DEL FONTE 389<br />

Satana, in segno di dispregio; si volgeva poi verso oriente, mani<br />

alzate e occhi al cielo in segno di preghiera, e proferiva qualche frase<br />

di adesione a Cristo 8X .<br />

La benedizione del fonte e l'unzione postbattesimale<br />

Tra le cerimonie che la notte del sabato santo accompagnavano<br />

immediatamente l'abluzione battesimale, quella che sin dall'antichità<br />

ebbe anche un <strong>senso</strong> più direttamente antidemoniaco fu la benedizione<br />

dell'acqua del fonte battesimale. È attestata come prassi<br />

corrente già da Tertulliano 82 ed ebbe il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> santificazione<br />

dell'acqua comprendendo, molto probabilmente sin dal principio,<br />

un doppio aspetto; l'aspetto negativo: <strong>della</strong> cacciata dell'influsso<br />

demoniaco, mediante un esorcismo, e l'aspetto positivo : <strong>della</strong> discesa<br />

sopra di essa mediante una invocazione a Dio, <strong>della</strong> protezione e<br />

virtù divina, con particolare riferimento allo Spirito Santo 83 . La<br />

prece consacratoria dell'acqua nel Gelasiano 84 , che è quella tuttora<br />

in uso nella <strong>liturgia</strong> romana, sebbene composta come in centone<br />

da due distinte preci, è chiaramente costruita su questo schema di<br />

esorcismo e di consacrazione.<br />

Come si arrivò a tale prassi? senza dubbio, dal concetto generale<br />

— fondato sull'insegnamento <strong>della</strong> rivelazione intorno all'influsso<br />

di Satana sull'uomo e sul mondo dopo il peccato — <strong>della</strong><br />

utilità di santificare, contrastando l'influsso demoniaco, anche gli<br />

elementi inorganici che servono all'uomo, specialmente quelli che<br />

servono agli usi più sacri. Inoltre, può aver contribuito nello stesso<br />

<strong>senso</strong>, per una parte tutto sommato molto secondaria, l'opinione<br />

ellenistica che riteneva certi elementi, tra i quali l'aria e l'acqua 85<br />

e certi luoghi, speciale abitacolo dei demoni 86 .<br />

81 Era la syntaxis, adesione, dopo l'apótaxis, rinunzia. Vedi J. DANIÉLOU,<br />

Bible et liturgie p. 43 ss.<br />

82 De baptis. 3. Vedi RIGHETTI, IV 58 e la bibliografia ivi citata.<br />

83 « Appena il sacerdote entra, fa l'esorcismo sull'acqua e dopo fa l'invocazione<br />

e proferisce la prece affinché il fonte sia santificato e vi sia la presenza<br />

dell'eterna Trinità » S. AMBROGIO, De Sacr. I 5, 18. « Hai visto l'acqua. Ma non<br />

ogni acqua risana; solo l'acqua risana che ha la grazia di Cristo. Altra cosa è<br />

l'elemento altra cosa la santificazione; altra cosa l'atto altra cosa la sua efficacia.<br />

L'atto è compiuto con l'acqua, ma l'efficacia viene dallo Spirito Santo.<br />

L'acqua non risana se lo Spirito Santo non vi è disceso e non l'ha consacrata »<br />

(Ibid. I 5, 15).<br />

8 « Ed. Mohlberg n. 445-48 pp. 72-74.<br />

ss Vedi, per es., TERTULLIANO, De bapt. 5.<br />

88 Anche in altri particolari rituali <strong>della</strong> cerimonia del battesimo si vide<br />

facilmente un <strong>senso</strong> antidemoniaco che, comunque, era certamente implicito<br />

nell'insieme. Così nel fatto che il catecumeno doveva spogliarsi completamente<br />

ed entrare nudo nella piscina, si vide talvolta il simbolo del fatto che egli, nel<br />

battesimo, partecipando alla morte che Cristo subì nudo sulla croce, vince le<br />

potenze infernali come Cristo le vinse sulla Croce. Nell'immersione del catecumeno<br />

nella piscina, dalla quale poi emergeva, si vide espressa la sua vittoria<br />

contro Satana che abita negli abissi acquei. Talvolta si decoravano i battisteri


390 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

Naturalmente, nel resto dei riti battesimali, cominciando dalla<br />

immersione ed emersione nella piscina, l'aspetto positivo di tutto il<br />

rito: quello <strong>della</strong> nuova vita in Cristo che il neofito, superato il diavolo,<br />

aveva ormai conseguita, era assai più fortemente espresso che<br />

nella prima parte. Così nell'unzione crismale che, secondo l'uso<br />

romano ed africano, il neofito riceveva e riceve tuttora, da un sacerdote,<br />

subito dopo il battesimo; similmente nella veste candida di cui<br />

era rivestito il neofito e nel cero acceso che veniva messo nelle<br />

sue mani.<br />

Non vuol dire però, almeno per quanto riguarda la crismazione,<br />

che vi mancasse un <strong>senso</strong> antidemoniaco. Questo <strong>senso</strong> è fortemente<br />

rilevato non già nei formulari <strong>della</strong> crismazione stessa, ma<br />

in quelli <strong>della</strong> benedizione del crisma con la quale veniva fatta,<br />

benedizione che avvenne poi il giovedì santo nella missà chrismatis.<br />

<strong>Il</strong> Gelasiano, nell'oremus che precede il prefazio di consacrazione<br />

del crisma, così si esprime : « Signore... ti preghiamo... che per l'unzione<br />

di questo crisma tu conceda la purificazione dell'anima e del<br />

corpo a coloro che verranno al lavacro <strong>della</strong> sacra rigenerazione.<br />

Affinché, se qualche resto di spiriti avversi aderisse loro ancora, se<br />

ne vada al contatto di quest'olio. Nessun posto sia concesso ai maligni<br />

spiriti; non sia concesso nessun potere alle potenze transfughe,<br />

non sia data nessuna licenza di nascondersi ai mali insidiosi, ma<br />

che, per i tuoi servi che verranno alla fede e dovranno essere mondati<br />

dall'operazione dello Spirito Santo, il preparato di questa unzione<br />

sia giovevole alla salvezza che essi riceveranno anche nel sacramento<br />

del battesimo per mezzo <strong>della</strong> nascita di rigenerazione celeste » 8r .<br />

Si deve dunque affermare che, nella mente dell'antica Chiesa, le<br />

unzioni che venivano fatte con il crisma consacrato il giovedì santo,<br />

compresa quella <strong>della</strong> confermazione propriamente detta, per il<br />

fatto stesso di essere fatte con quel crisma, avevano anche un netto<br />

<strong>senso</strong> antidemoniaco 88 .<br />

La confermazione<br />

<strong>Il</strong> <strong>senso</strong> antidemoniaco <strong>della</strong> confermazione propriamente detta<br />

che il neobattezzato riceveva dal vescovo, proveniva pure dal concetto<br />

generale che la considerava come il sigillo e la pienezza del<br />

con figure di cervi anelanti all'acqua ma tenenti nella bocca un serpente, per indicare<br />

che il catecumeno arrivava alle acque salutari del battesimo solo vincendo<br />

il demonio. Vedi J. DANIÉLOU, Bible et Iti., p. 53 ss.<br />

87 Gelasiano, ed. Mohlberg n. 384 p. 61. Vedi anche: Exorcizo te creatura<br />

olei, che l'odierno pontificale romano premette al prefazio consacratorio.<br />

88 Nell'odierno pontificale romano il <strong>senso</strong> antidemoniaco delle unzioni<br />

fatte con olio dei catecumeni e del crisma è esplicitamente affermato, oltre che<br />

negli esorcismi relativi, anche alla fine dell'inno: O Redemptor stime Carmen:


LA CONFERMAZIONE 391<br />

battesimo. Era naturale che in tale rito si vedesse anche un significato<br />

di perfezionamento e corroboramento delle forze del novello<br />

cristiano in vista di quella lotta contro Satana che, sebbene in una<br />

situazione radicalmente diversa da quella prima del battesimo, egli<br />

avrebbe dovuto continuare tutta la vita.<br />

In questo <strong>senso</strong> già si esprimeva l'eucologio di Serapione, dove<br />

la benedizione del crisma, con il quale il neofito viene unto, dice<br />

così : « Dio delle potenze, aiuto di ogni anima che si converte a te e si<br />

mette sotto la tua mano potente, sotto il tuo Unigenito, noi ti invochiamo,<br />

affinché, mediante la tua divina e invisibile potenza del<br />

Signore e salvatore nostro Gesù Cristo, tu operi in questo crisma<br />

virtù divina e celeste, affinché i battezzati essendo anche unti con<br />

esso con il segno salutare <strong>della</strong> croce dell'Unigenito, per mezzo <strong>della</strong><br />

quale Satana e ogni avversa potenza è stata cacciata e sconfitta,<br />

rigenerati e rinnovati per il lavacro <strong>della</strong> rigenerazione, siano sempre<br />

più partecipi del dono dello Spirito Santo; corroborati per questo<br />

sigillo, permangano stabili ed immobili, illesi ed inviolati, liberi dalle<br />

minacce e dalle insidie, vivendo nella fede e nella conoscenza <strong>della</strong><br />

verità sino alla fine ed aspettando la speranza <strong>della</strong> vita e delle<br />

promesse eterne del Signore e salvatore nostro Gesù Cristo » 8B . Così<br />

anche S. Cirillo di Gerusalemme, il quale, commentando l'unzione<br />

<strong>della</strong> confermazione, che a Gerusalemme si compiva anche sul petto<br />

del neofito, diceva: « Poi siete stati unti sul petto, affinché vestiti<br />

<strong>della</strong> corazza <strong>della</strong> giustizia possiate resistere contro le insidie del<br />

diavolo. Infatti, come Cristo, dopo il battesimo e la discesa sopra<br />

di Lui dello Spirito Santo, uscito, debellò l'avversario, così, anche<br />

voi, dopo il sacro battesimo e la mistica unzione, rivestiti <strong>della</strong> completa<br />

armatura dello Spirito Santo, state contro l'avversa potenza e<br />

la debellate, dicendo: tutto posso in Colui che mi conforta, in<br />

Cristo » "°.<br />

Per questa ragione non mi pare talmente aberrante 91 quella<br />

formula entrata nella teologia occidentale nel secolo XII, praticamente<br />

mediante l'inserzione nel Decretum di Graziano di un testo<br />

del secolo V ripreso dalle pseudoisidoriane, per cui si disse che la<br />

confermazione augmentum praestat ad gratiam et robur ad pugnam.<br />

Consacrare tu dignare, Rex perennis patriae, hoc olivwn signum vivum jura<br />

contra daemonum.<br />

a» 25 (16), ed. Funk 186 s.<br />

»o Catech. mystag. <strong>Il</strong>i 4. Cirillo insiste su questo concetto; vedi Catechesi<br />

IH De baptis. 13; XVII De Spiritu Sancto 35-37.<br />

91 Come, dopo Dix, sembra considerarla L. BOUYER, Qu'est-ce que la confirmation,<br />

in: Paroisse et liturgie 34 (1952) 65-67. Per la recente problematica intorno<br />

alla teologia e alla <strong>liturgia</strong> pastorale <strong>della</strong> cresima vedi A. ADAM, Firmung- und<br />

Seelsorge, Dusseldorf 1959, B. LUYKX, Théologie et pastorale de la confirniation<br />

in: Paroisse et liturgie, 39 (1957) 180-201; 263-78.


392 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

L'eucaristia<br />

Tutto il rito dell'iniziazione tendeva come a suo ultimo fine<br />

alla partecipazione del novello cristiano, ormai liberato dalla schiavitù<br />

di Satana e pienamente inserito nella ekklesia, al sacrificio<br />

eucaristico in comunità con gli altri fedeli. Naturale, dunque, che<br />

anche nella partecipazione del cristiano all'eucaristia si rilevasse<br />

anzitutto l'aspetto positivo <strong>della</strong> nuova vita in Cristo. Tuttavia anche<br />

in questa azione, specifica per eccellenza <strong>della</strong> nuova creatura in<br />

Cristo, nella quale questa nuova creatura raggiunge il suo grado massimo<br />

di espressione e di realizzazione, non si poteva mancare di notare<br />

il significato di profonda opposizione a Satana e al suo regno.<br />

Non solo era nella logica astratta delle cose, ma era stato già<br />

sufficientemente esplicitato nel Nuovo Testamento. Non per nulla<br />

S. Paolo (ICor 10,20 s) aveva rilevato l'assoluta opposizione tra la<br />

mensa del Signore e la mensa dei demoni. La tradizione posteriore<br />

ha valorizzato questo pensiero. Una segreta del Leoniano, ripresa<br />

poi da diversi altri sacramentari, dice : « Onnipotente, sempiterno Dio,<br />

che comandi a coloro che partecipano alla tua mensa di astenersi<br />

dal convivio diabolico, concedi, te ne preghiamo, al tuo popolo che,<br />

rigettato ogni gusto di mortifera profanità, si avvicini con pura<br />

mente al convivio dell'eterna salvezza » 92 .<br />

Fu poi tema tradizionale quello <strong>della</strong> partecipazione all'eucarestia<br />

come arma e protezione contro i demoni. I catecumeni, dopo<br />

avere imparato, durante la quaresima, il Salmo 22 « <strong>Il</strong> Signore è<br />

il mio pastore, non manco di nulla », lo cantavano solennemente,<br />

insieme con tutta la sacra assemblea, nella notte di Pasqua mentre,<br />

in processione, dal battistero passavano nella Chiesa ove erano radunati<br />

i fedeli e stavano per assistere per la prima volta all'eucarestia<br />

che il Vescovo avrebbe celebrato sull'altare che vedevano in fondo alla<br />

Chiesa 93 . Arrivati alle parole « tu hai preparato innanzi a me la<br />

mensa, contro coloro che mi tribolano » era facile ai cristiani, così<br />

profondamente imbevuti, dalla catechesi e dalla <strong>liturgia</strong>, del pensiero<br />

<strong>della</strong> redenzione come liberazione dalla schiavitù di Satana<br />

e <strong>della</strong> vita cristiana come lotta contro il suo regno, intenderle dell'eucaristia<br />

come protezione ed arma contro Satana.<br />

È quanto fa esplicitamente, per esempio, Cirillo di Gerusalemme,<br />

quando, dopo aver insistito sulla realtà del corpo e del sangue di<br />

Cristo nell'eucaristia, così continuava indirizzandosi ai neofiti: «<strong>Il</strong><br />

beato David te ne spiega tutta la forza quando dice: "Tu hai preparato<br />

dinanzi a me la mensa contro coloro che mi tribolano". <strong>Il</strong> <strong>senso</strong><br />

è questo. Prima del tuo avvento i demoni avevano preparato agli<br />

uomini una mensa contaminata e inquinata e piena di forza diabolica.<br />

Ma dopo la tua venuta, Signore, tu hai preparato dinanzi a me<br />

9 - J.t viiano n. 76; Gelasiano, ed. Mohlberg n. 53 p. 13. Messale ambrosiano,<br />

oratio stipar popiilum per la festa <strong>della</strong> circoncisione.<br />

"a Wdi J. DANIIILOU, Bible et liturgie, p. 240.


L'EUCARISTIA CONTRO SATANA 393<br />

una mensa. Quando l'uomo dice a Dio: Tu hai preparato dinanzi a<br />

me una mensa, cos'altro vuol significare se non la mensa mistica e spirituale,<br />

che Dio ci preparò di fronte, cioè, contro e in opposizione,<br />

ai demoni? E giustamente: la mensa precedente era comunione coi<br />

demoni, ma questa è comunione con Dio » 94 .<br />

<strong>Il</strong> tema dell'eucaristia arma e protezione contro i demoni ricorre<br />

poi spesso nei Padri. Giovanni Crisostomo dice: «Ha Dio preparato<br />

una sola arma? No; Egli ha anche preparato un alimento più potente<br />

di qualsiasi arma. Non devi combattere penosamente, ma superare<br />

il nemico nella gioia. Infatti, appena ti vede tornare dal convito<br />

del Signore fugge più veloce del vento come chi vede un leone che<br />

spande fuoco dalla bocca. Se tu gli mostri la tua lingua tinta del<br />

sangue prezioso non può resistere; se gli mostri la tua bocca incruentata<br />

fuggirà lontano come un vile animale » 93 . S. Cirillo Alessandrino<br />

scrive : « Considera nuovamente quanto sia utile toccare la sua santa<br />

carne. Fuga molteplici malattie e la moltitudine dei demoni; sovverte<br />

il potere del diavolo e in un momento sana una grande moltitudine...<br />

Ci tocchi dunque anche noi (Gesù), o meglio anche noi tocchiamolo<br />

nella mistica eulogia, affinché liberi anche noi dalle infermità dell'anima,<br />

dalle incursioni e dalla tirannia del demonio » 96 .<br />

Quanto fosse comune nei fedeli la persuasione <strong>della</strong> forza protettrice<br />

dell'eucaristia contro gli spiriti maligni lo dimostra la narrazione<br />

seguente di S. Agostino : « Esperio, uomo che ha ricoperto<br />

cariche tribunizie, è <strong>della</strong> nostra regione. Possiede a Fussala un<br />

fondo, detto Zubedi. Avendo osservato che la sua casa era infestata<br />

da influssi nocivi di spiriti maligni, con detrimento dei suoi animali<br />

e dei suoi servi, in mia assenza, pregò i nostri presbiteri che qualcuno<br />

di loro venisse sul posto per pregare e cacciarli. Uno ci andò.<br />

Vi offrì il sacrificio del corpo di Cristo, pregando, quanto poteva, che<br />

cessasse quella vessazione. Per misericordia di Dio, cessò subito » 97 .<br />

Ancora più caratteristica forse la disciplina osservata per lo più<br />

nell'antichità, sebbene non senza qualche contraddizione, che a coloro<br />

che erano creduti posseduti dal demonio, purché si comportassero<br />

onestamente e avessero cura di ubbidire ai chierici per essere guariti,<br />

si dovesse permettere la partecipazione all'eucaristia; appunto perché<br />

si riteneva che fosse un'ottima medicina contro il demonio e<br />

che fosse molto pericoloso privarne questi malati.<br />

<strong>Il</strong> canone 14 del concilio di Orange del 441 dice: «Agli energumeni<br />

già battezzati, se hanno cura <strong>della</strong> propria purificazione e si<br />

94 Catechesi mistagogica IV 7. <strong>Il</strong> P. DANIÉLOU, 1. e, p. 248, cita anche il seguente<br />

passo di Cirillo, che riporto perché molto caratteristico, ma che non ho<br />

potuto controllare perché la citazione (MG 33, 841) è sbagliata: « La mensa sacramentale<br />

è la carne del Signore che ci fortifica contro le passioni e i demoni.<br />

Difatti, Satana teme coloro che partecipano con riverenza ai misteri ».<br />

95 Omelia ai battezzati, nella nuova ed. critica di A. WENGER, Jean Chrysostome,<br />

Hitit catéchèses baptismales, Paris 1957, catechesi III n. 12 p. 158.<br />

96 In Le 4,39-41 PG 72,552. Vedi J. SOLANO, Textos eucaristicos primitivos II<br />

n. 606. Vedi anche De adorat. in sp. et verit. PG 68, 285, ibid. II n. 533.<br />

97 De Civ. Dei XXII 8, 6.


394 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

rimettono alla sollecitudine dei chierici, sia assolutamente permesso<br />

di comunicare, sia affinché dalla virtù dello stesso sacramento siano<br />

protetti contro gli attacchi del demonio che li infesta, sia perché<br />

vengano maggiormente purificati se la loro vita è già più pura » 9S .<br />

Nelle Collazioni di Cassiano, l'abate Sereno non approva l'uso di<br />

alcune chiese di privare per sempre gli energumeni <strong>della</strong> comunione :<br />

« Non abbiamo ricordo che dai nostri seniori sia stata loro mai interdetta<br />

la santa comunione; anzi essi pensavano che, se fosse possile,<br />

bisognerebbe amministrargliela anche tutti i giorni. Non bisogna credere,<br />

infatti, che la sacrosanta comunione va così a esca dei demoni,<br />

secondo quel detto del Vangelo che voi, molto malamente, avete<br />

adattato a questo <strong>senso</strong>: non date le cose sante ai cani; ma anzi<br />

che essa diventa protezione dell'anima e del corpo. Quando è ricevuta<br />

.dall'energumeno, essa, come un fuoco d'incendio, scaccia quello<br />

spirito che risiede nelle sue membra o cerca di nascondervisi. Di<br />

recente, per questo modo, abbiamo visto curato l'abate Andronico<br />

e parecchi altri. <strong>Il</strong> nemico molesterà sempre più l'ossesso se lo vede<br />

privato di questa medicina celeste. E lo tenterà tanto più duramente<br />

e frequentemente quanto lo vedrà tenuto più lontano da questo spirituale<br />

rimedio » 8B .<br />

La comprensione di questo aspetto dell'eucaristia come protezione<br />

ed arma contro il demonio, indusse anche, nella Chiesa antica,<br />

a capire meglio la portata <strong>della</strong> scomunica che impediva il fedele<br />

di parteciparvi. Lo scomunicato rimaneva pericolosamente esposto<br />

agli attacchi di Satana. È per questo che la scomunica, ammonisce<br />

S. Leone Magno, non deve essere inflitta che in gravissimi casi e dopo<br />

maturo esame : « A nessun cristiano deve essere facilmente negata la<br />

comunione. E questo non deve avvenire all'arbitrio di un vescovo<br />

indignato... Abbiamo saputo che per fatti e parole di lieve entità<br />

alcuni sono stati esclusi dalla grazia <strong>della</strong> comunione e che così<br />

l'anima per la quale il sangue di Cristo è stato versato, punita con<br />

supplizio tanto crudele, è stata abbandonata ferita e come senza<br />

armi e privata di ogni difesa, agli attacchi del diavolo, che avrebbe<br />

potuto facilmente rendersela schiava » 10 °.<br />

Anche le liturgie si fanno eco di queste idee. Per esempio, l'anafora<br />

del libro ottavo delle Costituzioni apostoliche menziona espli-<br />

98 Vedi HEFELE-LECLERCQ, Histoire des conciles II 1 p. 442 s.<br />

»9 Coli. VII cap. 30.<br />

100 Ep. 10 cap. 4. <strong>Il</strong> contesto storico dimostra che si tratta veramente <strong>della</strong><br />

comunione eucaristica (vedi la nota dell'editore in Migne latino 54, 635 nota b)<br />

che sin dal secolo V veniva designata anche con la sola parola communio. Vedi<br />

P. BLAISE, Dict. latin des auteurs chrétiens, s. v. communio 5. Così il concetto di<br />

S. Paolo che la scomunica dalla comunione ecclesiastica abbandona, per cosi<br />

dire, lo scomunicato a Satana (1 Cor 5,5; 1 Tm 1,20), è concretizzato in quello<br />

che avviene a chi è privato <strong>della</strong> comunione eucaristica. <strong>Il</strong> che è normale,<br />

quando si pensa che la comunione al sacrificio è il segno efficace per eccellenza<br />

<strong>della</strong> comunione ecclesiale. C'è da chiedersi se non entrasse un concetto esplicitamente<br />

antidemoniaco anche nell'uso antico di deporre le specie eucaristiche<br />

sia in bocca, sia sul petto dei morti. Vedi RIGHETTI II, 391; Vedi anche S. Benito,<br />

su vida y su regia, da G. M. Colombas... Madrid, 1954 p. 210 nota a.


L'EUCARISTIA CONTRO SATANA 395<br />

citamente il motivo antidemoniaco nell'epiclesi per la venuta dello<br />

Spirito Santo sui doni : « Affinché faccia questo pane corpo del tuo<br />

Cristo e questo calice sangue del tuo Cristo, di modo che, tutti quelli<br />

che ne parteciperanno siano corroborati nella vera religione, conseguano<br />

la remissione dei peccati, siano difesi dal diavolo e dalle<br />

sue frodi... » 101 . Si possono anche citare, nello stesso <strong>senso</strong>, alcune<br />

orazioni dai sacramentari, come la seguente dal Leoniano : « Ti preghiamo.<br />

Signore, avendo ricevuto con venerazione" i tuoi misteri<br />

che siamo armati contro l'errore <strong>della</strong> nostra condizione e contro<br />

le insidie diaboliche » 102 . E questa dal Gelasiano, ripresa anche dal<br />

messale romano : « I tuoi sacramenti, Signore, ci custodiscano e<br />

sempre ci proteggano contro gli attacchi diabolici » 103 . 0 ancora<br />

questo Post pridie <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> mozarabica : « Santifica, o Signore,<br />

il mistero, dà gioia al ministro, illumina il tempio, orna l'altare,<br />

dà ordine al popolo, cura le malattie, accorda la guarigione, esaudisci<br />

i voti, affinché tutti, liberati dalle astuzie diaboliche, non temano<br />

colui che li insidia, ma Colui che li cura » 104 .<br />

Da tutto questo dovrebbe risultare chiaro quanto il concetto<br />

<strong>della</strong> redenzione e <strong>della</strong> vita cristiana come lotta contro Satana e<br />

liberazione dalla sua schiavitù, fosse essenziale in tutta la disciplina<br />

antica <strong>della</strong> iniziazione cristiana, specialmente in quella battesimale,<br />

e ne avesse penetrato l'intera struttura liturgica. Si può<br />

anche comprendere come, nella psicologia di quelle generazioni<br />

per le quali la <strong>liturgia</strong> dell'iniziazione conservava la sua forza viva,<br />

potessero essere realtà concrete e invitto baluardo contro la china<br />

naturalistica, i dogmi <strong>della</strong> caduta dallo stato paradisiaco, <strong>della</strong><br />

situazione catastrofica e nemica a Dio nella quale ora si trova l'uomo<br />

e il mondo intero e <strong>della</strong> realtà <strong>della</strong> lotta contro Satana in cui<br />

la nostra vita è implicata. Si può credere che se, per le odierne<br />

generazioni cristiane, la stessa <strong>liturgia</strong> riacquistasse un po' di quella<br />

forza, ciò potrebbe contribuire non poco a rendere meno minaccioso<br />

il pericolo di naturalismo che ora largamente le insidia.<br />

5. LA LOTTA CONTRO SATANA NELLA LITURGIA<br />

DEGLI ALTRI SACRAMENTI<br />

Anche nella <strong>liturgia</strong> degli altri sacramenti il tema <strong>della</strong> lotta<br />

contro Satana ha lasciato notevole traccia, come a priori ci si<br />

poteva attendere.<br />

101 Const. Apost. Vili 12, 39, ed. Quasten, Monumenta eucarìstica et Ut.<br />

vetustissima IV p. 44.<br />

102 Ed. Mohlberg, n. 1304. Vedi anche il postcommunio nel Gregoriano,<br />

ed. Wilson p. 79 e nel Messale romano : « Assisti, o Signore, te ne preghiamo il<br />

tuo popolo; e come l'hai nutrito dei misteri celesti, difendilo dai nemici ».<br />

103 Ed. Mohlberg n. 1220 p. 181. Messale romano, segreta <strong>della</strong> quindicesima<br />

domenica dopo Pentecoste.<br />

104 Liber mozarabicus sacramentorum, ed. Férotin n. 1395.


396 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

La <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> penitenza<br />

Nella <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> penitenza l'adito era naturalmente aperto<br />

dal concetto <strong>della</strong> penitenza come nuovo battesimo. Questo concetto<br />

vale del sacramento <strong>della</strong> penitenza come tale, a parte la forma<br />

disciplinare e liturgica in cui si concretizza. Tuttavia è naturale<br />

che fosse psicologicamente più efficace nell'antica Chiesa, fintanto<br />

che il sacramento di penitenza rimase concretizzato nella forma<br />

disciplinare e liturgica <strong>della</strong> penitenza pubblica, concessa una sola<br />

volta nella vita 105 . Allora la penitenza, non solo per i suoi effetti,<br />

ma anche per la sua irrepetibilità, appariva come un secondo battesimo,<br />

e quindi tanto meglio si percepiva il suo parallelismo con<br />

il primo 108 .<br />

Comunque, era facile il passaggio dal concetto di penitenza<br />

nuovo o secondo battesimo, al concetto di penitenza nuovo o<br />

secondo superamento <strong>della</strong> schiavitù di Satana, nella quale il cristiano,<br />

per certi determinati peccati dopo il battesimo, era nuovamente<br />

incorso. Ecco come Tertulliano presenta la cosa : « A malincuore<br />

parlo di una seconda, anzi ultima, speranza, per paura che,<br />

trattando di una ulteriore possibilità di penitenza, sembri si mostri<br />

la liceità di peccare ancora... Nessuno, col pretesto che Dio<br />

è buono, sia peggiore, ritornando a peccare ogni volta che viene<br />

perdonato... Siamo scampati una volta; non esponiamoci più oltre<br />

al pericolo, con la speranza di uscirne illesi... Ma l'implacabile nemico<br />

non rista in nessun tempo dal porre in opera le sue arti maligne;<br />

anzi massimamente infierisce quando vede l'uomo pienamente liberato;<br />

anzi allora più divampa quando si sente battuto. È inevitabile<br />

che si dolga e gema di vedere distrutte, per la concessione del perdono<br />

dei peccati, tante sue arti mortali che inflisse all'uomo, di<br />

vedere cancellati tanti titoli <strong>della</strong> pristina dannazione di questi. Si<br />

duole che un servo di Cristo, proprio quel peccatore, debba un<br />

giorno giudicare lui stesso e i suoi angeli. È per questo che osserva,<br />

attacca, assedia, per vedere se per qualche via possa o ferire gli<br />

occhi per la concupiscenza carnale, o irretire l'animo con secolareschi<br />

allettamenti, o scuotere la fede per la paura del potere secolare,<br />

o fare declinare dalla, retta strada per mezzo di perverse<br />

tradizioni. Non cessa i suoi tranelli, le sue tentazioni. Dio, dunque,<br />

105 per ja storia generale <strong>della</strong> penitenza vedi RIGHETTI, IV 119 ss.<br />

106 Su questo concetto in genere vedi, per es., l'anonimo Contra Novatianos:<br />

« Come l'uomo battezzato dal sacerdote viene illuminato dalla grazia dello Spirito<br />

Santo: così, parimenti, chi fa l'esomologesi in penitenza ottiene per mezzo<br />

del sacerdote la remissione in grazia di Cristo », fra le opere di S. Atanasio<br />

PG 26, 1316. « La molteplice misericordia di Dio viene in aiuto alle umane cadute<br />

in modo tale che sia restituita la speranza <strong>della</strong> vita eterna non solo per la<br />

grazia del battesimo, ma anche per la medicina <strong>della</strong> penitenza ». LEONE MAGNO,<br />

Ep. 18, 3. PL 54, 1011. <strong>Il</strong> Pastore di Erma chiama il battesimo la prima penitenza<br />

e la penitenza canonica la seconda penitenza per dire che è concessa una sola<br />

volta. Mand. IV 3.


LA PENITENZA 397<br />

prevedendo queste, sue arti micidiali, sebbene sia chiusa e sprangata<br />

la porta dell'innocenza battesimale, tuttavia lasciò aperta<br />

ancora una strada. Collocò nel vestibolo la porta <strong>della</strong> seconda<br />

penitenza che apre a chi vi batte. Ma solo una volta perché è ormai<br />

la seconda; e dopo questo non più perché dopo sarà inutile battere<br />

» 107 .<br />

Date queste premesse era naturale che, nello svolgersi <strong>della</strong><br />

disciplina e <strong>della</strong> prassi liturgica penitenziale negli stessi suoi riti<br />

e nelle stesse sue formule, tra tanti altri diversi concetti, venissero<br />

anche ad esprimersi il tema del peccatore caduto per istigazione<br />

diabolica, invidia diabolica, arte diabolica ecc. 108 , e il tema <strong>della</strong><br />

sua reintegrazione, nel perdono divino, nella grazia divina, nella<br />

Chiesa, nella comunità eucaristica insieme con i fratelli, come sua<br />

liberazione dal potere del diavolo.<br />

L'atto giuridico e pubblico in cui uno era messo ufficialmente<br />

tra i penitenti, era la scomunica. Come separazione ufficiale del<br />

penitente dal corpo di Cristo, dalla partecipazione ai sacramenti,<br />

anzitutto a quello dell'eucaristia, e dalla comunità dei fedeli, era<br />

considerata, secondo lo stesso concetto di S. Paolo (1 Cor 5,5; 1 Tm<br />

1,20) e come abbiamo accennato sopra a proposito di un testo di<br />

S. Leone, come un abbandono del penitente nelle mani di Satana<br />

« per la morte <strong>della</strong> carne affinché lo spirito sia salvo » 109 . <strong>Il</strong> medioevo<br />

dette uno svolgimento drammatico alla scena no e YOrdo excomtnunicandi<br />

et absolvendi del nostro moderno Pontificale, derivato<br />

direttamente dagli usi medievali, accentua il concetto sopraddetto:<br />

« ...lo separiamo dalla recezione del prezioso corpo e sangue del<br />

Signore e dalla società di tutti i cristiani e lo escludiamo dal grembo<br />

<strong>della</strong> Santa Madre Chiesa in cielo e in terra. Stabiliamo che sia<br />

scomunicato e anatematizzato. Lo giudichiamo dannato col diavolo<br />

e i suoi angeli, fintanto che non resipisca dai loro lacci, non ritorni<br />

a correzione e a penitenza e non soddisfaccia alla Chiesa di Dio<br />

che ha lesa, lo abbandoniamo a Satana per la morte <strong>della</strong> carne<br />

affinché il suo spirito sia salvo nel giorno del giudizio ».<br />

II concetto che il penitente, quale scomunicato, è sotto il potere<br />

di Satana, ricorre anche nelle preghiere, che durante la messa si<br />

dicevano per i penitenti pubblici nl . Così nella <strong>liturgia</strong> del libro<br />

ottavo delle Costituzioni Apostoliche, prima del congedo dei penitenti,<br />

alla fine <strong>della</strong> prima parte <strong>della</strong> messa, è prevista per loro<br />

una litania recitata dal diacono e alle cui domande il popolo rispondeva<br />

Kyrie eleison. <strong>Il</strong> rito terminava con una orazione del vescovo<br />

sopra i penitenti inchinati, accompagnata, senza dubbio, da una<br />

107<br />

De poenit. 7, 2 ss.<br />

ìos Vedi, per es., nei formulari che abbiamo per la riconciliazione dei penitenti,<br />

quelli del Gelasiano, ed. Mohlberg n. 354 p. 56; n. 358 p. 57; n. 364 p. 58:<br />

diabolo scindente... invidia diaboli... diabolica fraude...<br />

109<br />

1 Cor 5,5. Cfr. LEONE MAGNO, ep. 10, 8; GIROLAMO, Adv. Lucif. 5.<br />

1]<br />

° RIGHETTI IV 192 s.<br />

III<br />

Vedi, per es., GIOVANNI CRISOSTOMO, De incomprehensibili, hom. <strong>Il</strong>i 7 PG<br />

48, 726; In Mt hom. 71, 4 PG 58, 666; Const. Apost. II 57, 14; Vili 9.


398 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

imposizione delle mani. Questa litania, tra le altre cose, dice : « penitenti,<br />

pregate. Supplichiamo tutti per i nostri fratelli che sono<br />

nella penitenza, affinché Iddio misericordioso li guidi sulla via <strong>della</strong><br />

penitenza, riceva la loro accusa e esomologesi e « ben presto schiacci<br />

Satana sotto i loro piedi » e li liberi dal « laccio del diavolo »<br />

e dalle minacce dei demoni, e li custodisca da ogni parola illecita,<br />

da ogni turpe azione e cattivo pensiero » 112 .<br />

In questa prospettiva, la riconciliazione del penitente era naturalmente<br />

considerata come la sua liberazione da Satana. S. Girolamo<br />

così riassume gli atti e i concetti essenziali <strong>della</strong> riconciliazione:<br />

« <strong>Il</strong> vescovo offre per il laico la sua oblazione, gli impone la<br />

mano, invoca sopra di lui il ritorno dello Spirito Santo, e così,<br />

faceìido pregare il popolo, riconcilia all'altare colui che era stato<br />

abbandonato a Satana per la morte <strong>della</strong> carne affinché lo spirito<br />

fosse salvo. Non restituisce un membro alla salute prima che tutti<br />

i membri abbiano pianto insieme. <strong>Il</strong> padre perdona facilmente al<br />

figlio, se la madre nella sua commiserazione lo prega » U3 . Le formule<br />

<strong>della</strong> riconciliazione del Gelasiano insistono ripetutamente<br />

sul concetto « che il nemico non esulti del danno arrecato alla tua<br />

famiglia... che il nemico non abbia più potere sulla sua anima...<br />

Rinnova in lui, piissimo Padre, tutto ciò che è stato corrotto per<br />

terrena fragilità o violato per diabolica frode... ciò che è stato<br />

viziato, in azione, in parola, nello stesso pensiero, per frode diabolica<br />

» " 4 .<br />

Queste idee si ripetono nell'attuale Pontificale romano lla ed<br />

hanno trovato nobile espressione nella <strong>liturgia</strong> mozarabica. Le due<br />

orazioni che da essa citiamo per intero sono piene di quella profonda<br />

teologia di cui l'autentica tradizione liturgica è portatrice.<br />

« Signore santo, eterno Padre, eterno Iddio, noi preghiamo supplici<br />

la tua clemente bontà, piena d'indulgenza sempre placabile e mite.<br />

Tu che sei chino alla misericordia e facile al perdono; tu che di<br />

rado punisci e frequentemente perdoni; tu che non solo non desideri<br />

che alcuno perisca, ma che ricerchi coloro che sono andati a<br />

perdizione; tu che dopo averci concesso la grazia del battesimo ti<br />

sei degnato di provvederne ancora una seconda per coloro che sono<br />

caduti, pur di escludere sempre il dominio <strong>della</strong> morte n *. Inoltre,<br />

affine di rimanere sempre verso di noi propizio, ti sei degnato di<br />

costituire Cristo nostro propiziatore presso di te di modo che tu<br />

possa sempre volentieri ascoltarlo a favore dei nostri delitti. Per<br />

Lui, Signore, ti preghiamo di guardare le viscere faticate del tuo<br />

servo N.; rafforzale, rifocillandole con la tua indulgenza. Dagli<br />

il riposo dopo il lavoro e restituiscigli la prima veste che ha<br />

112 Const. Apost. Vili 9.<br />

»» Adv. lucif. 5.<br />

114 Ed. Mohlberg n. 358 p. 57; n. 363 p. 58; n. 364 p. 58.<br />

115 Vedi l'Orcio reconciliationis poenitentium quae fit in feria V coenae<br />

Domini, per es., la domanda dell'arcipresbitero : Redintegra in eis...; il prefazio<br />

<strong>della</strong> riconciliazione; l'orazione: Deus misericors, Deus clemens.<br />

ne Equivalente al dominio di Satana.


LITURGIA DEI MALATI<br />

perduta, affinché da te riceva l'abito nuziale. Restaura ciò che era<br />

caduto in rovina, ricostruisci i fondamenti del tuo tempio affinché<br />

ritorni ad essere abitacolo proprio dello Spirito Santo e il soggiorno<br />

<strong>della</strong> sua dimora come lo era prima e che Questi, abitandoci nuovamente,<br />

dopo averne riconsacrate le pareti, vi soggiorni e lo difenda<br />

sì che tutta la Chiesa se ne congratuli. Concedigli, o Signore, Dio<br />

nostro, a cominciare da questo santo giorno, di riavvicinarsi al tuo<br />

altare affinché d'ora innanzi gli sia permesso di offrire i sacrifici<br />

con mente sincera per mezzo dei tuoi sacerdoti e di accostarsi al<br />

cibo <strong>della</strong> tua celeste mensa. Non permettere che erri ancora dalla<br />

verità e dai moniti dei tuoi comandamenti, affinché, riconquistata<br />

la pace, meriti di ricevere il premio dell'immortalità» 117 . «Fratelli<br />

carissimi, aiutatemi nelle vostre preghiere, per il servo di Dio N.<br />

che oggi il nostro Signore Gesù Cristo si è degnato di riconciliare in<br />

grembo alla sua santa Chiesa. Che gli rimetta la pessima malattia<br />

fino all'ultimo quadrante. Che il Signore se lo rinnovi nella sua santa<br />

Chiesa cattolica senza veruna macchia, e che il diavolo non abbia<br />

più sopra di lui nessun potere. Gli sia permesso di accedere all'altare<br />

santo del Signore e partecipare al corpo e al calice come era solito<br />

prima » 118 .<br />

399<br />

La <strong>liturgia</strong> dei malati<br />

La <strong>liturgia</strong> dei malati comprendeva e comprende: la penitenza,<br />

l'olio santo, il viatico, la commendatio animce. In questo insieme<br />

l'aspetto antidemoniaco è notevolmente accentuato. Di nuovo: niente<br />

di straordinario, se si pensa all'intima connessione che, secondo<br />

il Nuovo Testamento, esiste tra peccato, malattia, morte, Satana;<br />

liberare dalla malattia, dalla morte, dal peccato, da Satana. Anzi,<br />

deve essere notata la connessione che, secondo Marco, nella narrazione<br />

<strong>della</strong> prima missione degli Apostoli, esiste tra: predicare<br />

la penitenza, cacciare i demoni, ungere i malati con l'olio e guarirli:<br />

« Essi dunque, partiti, predicavano che si facesse penitenza, cacciavano<br />

molti demoni, e ungevano con olio molti infermi e li<br />

guarivano » (Me 6,12 s).<br />

Infatti, nei riti antichi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dei malati, l'idea antidemoniaca<br />

è già espressa nella benedizione dell'olio con il quale<br />

venivano unti. La prima formula di tale benedizione si ha nella<br />

Traditio di Ippolito 119 . Ma l'uso è certamente assai più antico.<br />

Ireneo dice che gli gnostici marcosiani avevano l'uso di ungere i<br />

moribondi con l'olio misto ad acqua e recitando certe invocazioni:<br />

« Per riscattare i fedeli che stanno per lasciare la vita... affinché i<br />

117 Liber ordinum mozarabicus, ed. Férotin p. 98.<br />

118 lbid., p. 100.<br />

119 Cap. 5, durante la messa, ed. Botte p. 18. Vedi A. CHAVASSE, L'onction<br />

des infirmes dans VÉglise latine. Les textes, in: Rev. se. relig. (1940), pp. 64-122;<br />

290-364.


400 CAP. XIII - LE DUE CITTA<br />

morti non siano presi e ritenuti dai principati e dalle potenze<br />

superiori e affinché il loro uomo interno, invisibilmente, salga più<br />

alto » 12 °. C. Ruch, citando il detto testo 121 , osserva che Ireneo<br />

afferma anche che gli gnostici, nel loro culto, hanno frammischiato<br />

a grossolane pratiche e cerimonie pagane certi riti cristiani più<br />

o meno sfigurati; per cui « ci si può chiedere se la cerimonia marcosiana<br />

non sia la trasposizione di un rito cattolico destinato a<br />

salvare l'anima dal peccato e dal diavolo, e a sopprimere gli ostacoli<br />

che le impedivano di salire al paradiso ».<br />

Comunque, è certo che nelle prime notizie sicure che abbiamo<br />

di un uso cattolico di benedire olio per ungerne i malati, si tratta<br />

di olio misto con acqua 122 e che, in oriente, già le prime formule<br />

di benedizione danno alla futura unzione un carattere antidemoniaco<br />

: « Benediciamo nel nome del tuo unigenito Gesù Cristo queste<br />

cose; invochiamo sopra quest'acqua e sopra quest'olio il nome<br />

di Colui che patì, fu crocifìsso, risuscitò e siede alla destra dell'Ingenito.<br />

Concedi a queste cose virtù curativa affinché chi ne beve<br />

o ne è unto sia liberato da ogni febbre, da ogni demonio, da ogni<br />

malattia; diventi rimedio di cura e d'integrità la loro recezione<br />

nel nome dell'unigenito tuo Gesù Cristo, per il quale è a te gloria<br />

e impero nello Spirito Santo in tutti i secoli dei secoli. Amen » 123 .<br />

Dello stesso tenore, è la formula dell'ottavo libro delle Costituzioni<br />

Apostoliche, dove si prega Dio: « Santifica, per Cristo, quest'acqua<br />

e quest'olio... dà loro forza risanatrice, che allontani le malattie,<br />

metta in fuga i demoni, scacci ogni insidia... » 124 . Nella tradizione<br />

romana dei sacramentari, per la benedizione dell'olio per gli infermi<br />

si ebbe dapprima un'orazione che solo implicitamente conteneva<br />

un <strong>senso</strong> antidemoniaco 12 \ ma, a cominciare dal secolo IX, si premise<br />

un esorcismo propriamente detto 126 che mette maggiormente in<br />

rilievo questo <strong>senso</strong>.<br />

Nell'amministrazione stessa dell'olio santo, secondo l'odierno<br />

rituale romano, il <strong>senso</strong> antidemoniaco di tutto il rito è ripetutamente<br />

accentuato. La prima parte di questo rito non contiene altro<br />

che il saluto del sacerdote che entra nella casa dell'infermo e la<br />

lustrazione di questa casa con <strong>senso</strong> e formule nettamente antidemoniache:<br />

« Sia proibito in questo luogo l'accesso ai demoni; vi<br />

siano presenti gli angeli di pace... »; il Signore allontani dagli abitatori<br />

di questa casa « ogni contraria potestà; li liberi da ogni timore,<br />

"o Haer. I 21.<br />

121 Dict. de théol. cath., Extrème onction, V 2 (1913) 1931.<br />

122 Traditio di Ippolito, cap. 5; Eucologio di Serapione 17 (5); Const.<br />

Apost. Vili 29.<br />

123 Eucologio di Serapione 17 (5).<br />

124 Const. Apost. Vili 29.<br />

125 L'orazione Emitte, Gelas., ed. Mohlberg n. 382 p. 61, conservata nell'odierno<br />

pontificale romano.<br />

126 Dapprima l'esorcismo Exorcizo te, creatura olei, che gli antichi sacramentari<br />

contenevano per l'esorcismo dell'olio per fare il crisma; poi l'attuale<br />

esorcismo del nostro pontificale: Exorcizo te immundissime spiritus.


LITURGIA DEI MALATI 401<br />

da ogni perturbazione... »; l'Angelo celeste sia qui e « custodisca,<br />

sostenga, protegga, visiti e difenda gli abitanti riuniti in questo<br />

luogo » ,2T .<br />

Viene poi l'amministrazione <strong>della</strong> penitenza. Anticamente qui<br />

aveva luogo anche la recita del Pater e del Credo : « <strong>Il</strong> Simbolo<br />

soprattutto era considerato come un repulsivo del demonio e una<br />

tutela contro le tentazioni » 12S .<br />

Nel rituale attuale le unzioni propriamente dette sono precedute<br />

da una preghiera la quale non è altro che l'antica formula<br />

del sacramento che si diceva nel secolo XI mentre si ungeva la<br />

testa. Essa ha un <strong>senso</strong> esplicitamente antidemoniaco : « Nel nome<br />

del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo si estingua in te ogni<br />

potere del diavolo per l'imposizione delle nostre mani » 129 .<br />

Tutto il <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong> che la <strong>liturgia</strong> annette all'unzione dei<br />

malati con l'olio santo è ottimamente espresso nella <strong>liturgia</strong> mozarabica,<br />

quando, in un'antifona che fa recitare nell'amministrazione<br />

di questo sacramento, accosta tre testi di nostro Signore riferiti<br />

nei vangeli : « <strong>Il</strong> Signore disse ai suoi discepoli : ricevete lo<br />

Spirito Santo; nel mio nome cacciate i demoni, e imporrete le<br />

mani sopra gli infermi e guariranno » 130 . Santificazione dell'anima,<br />

cacciata dei demoni, guarigione anche corporale, sono esattamente<br />

i tre scopi dell'olio santo secondo la <strong>liturgia</strong> e la tradizione.<br />

Dopo l'amministrazione dell'olio santo la <strong>liturgia</strong> prevede il<br />

Viatico. Dal concetto sopra spiegato del valore anche antidemoniaco<br />

dell'eucaristia, è facile capire perché la tradizione e le liturgie<br />

abbiano rilevato in modo speciale il <strong>senso</strong> antidemoniaco del Viatico.<br />

La formula odierna del rituale romano è quanto mai esplicita<br />

in questo <strong>senso</strong>: «Ricevi, fratello, quale viatico il corpo di nostro<br />

Signore Gesù Cristo, che ti protegga dal maligno nemico e ti conduca<br />

alla vita eterna » 131 .<br />

La commendatio anìmce è l'ultimo atto liturgico con cui la<br />

Chiesa assiste i vivi. Dopo quanto abbiamo visto fin qui, niente<br />

di straordinario che anche nella cura che la <strong>liturgia</strong> prende degli<br />

ultimi momenti <strong>della</strong> vita dell'uomo su questa terra, quelli che<br />

decidono, in fin dei conti, <strong>della</strong> sua sorte eterna, appaia in notevole<br />

rilievo il concetto <strong>della</strong> lotta contro il demonio.<br />

Nell'odierno rituale romano esso appare fortemente nella seconda<br />

parte del rito che consta di una formula in parte augurale<br />

e in parte di carattere esoreistico {Commendo...), seguita da una<br />

orazione a Dio con quattordici domande di liberazione dell'anima<br />

che sta per lasciare il mondo (Libera Domine... sìcut liberasti).<br />

]2T Ordo adm. extrem. unct. n. 5.<br />

12 » RIGHETTI, IV 242.<br />

* 2 » N. 7.<br />

130 Liber ordinum, ed. Férotin, p. 72. La formula dell'unzione dei malati<br />

nella <strong>liturgia</strong> milanese è: « Ungo te oleo sanctificato ut more militis unctus et<br />

praeparatus ad luctam aèreas possis superare catervas ».<br />

131 De commttnione infirmorum n. 19.


402 CAP. XIII - LE DUE CITTA<br />

La formula commendo appare dopo il secolo XI. Si augura all'anima<br />

che appena avrà lasciato il mondo le vengano incontro gli angeli<br />

e i santi e non conosca l'inferno. Segue poi un passo direttamente<br />

antidemoniaco : « Ceda dinanzi a te l'orrido Satana con i suoi satelliti.<br />

Quando arriverai, accompagnata dagli angeli, tremi e fugga<br />

nell'immane abisso <strong>della</strong> notte. Sorga Dio e siano dispersi i suoi<br />

nemici; fuggano dinanzi a Lui coloro che lo odiano. Siano dissipati<br />

come si dissipa il fumo, e come si liquefa la cera dinanzi al fuoco<br />

così periscano i peccatori dinanzi a Dio, i giusti gioiscano e si<br />

rallegrino dinanzi a Lui. Che dunque sian confuse e svergognate<br />

tutte le infernali legioni e che i ministri di Satana non osino impedire<br />

il tuo cammino. Ti liberi dai tormenti Cristo che per te fu<br />

crocifisso. Ti liberi dalla morte eterna Cristo che per te si degnò<br />

di morire. Cristo, Figlio di Dio, ti guidi nei sempre piacevoli giardini<br />

del suo paradiso e qual vero Pastore ti riconosca tra le sue<br />

pecorelle ».<br />

Nelle predette espressioni che chiedono la difesa dell'anima<br />

accompagnata dagli angeli, dalle insidie di Satana e dei suoi satelliti<br />

affinché « non osino impedire il tuo cammino » verso il cielo, mi<br />

pare innegabile l'allusione, per quanto discreta, all'opinione dei<br />

telonio., delle esattorie, che abbiamo sopra ricordata. Non già però<br />

che, caduto quel modo immaginario di rappresentarsi le cose, quelle<br />

espressioni non abbiano più alcun <strong>senso</strong>. Esse valgono sempre<br />

come preghiera a Dio contro l'influsso e le tentazioni che Satana,<br />

negli ultimi istanti <strong>della</strong> vita, non manca di suscitare contro i fedeli.<br />

Mi pare anche molto probabile che la rappresentazione dei telonia<br />

sia supposta nelle quattordici domande che cominciano con Libera<br />

Domine animam servi tui... sicut liberasti 132 . Si noti infine il <strong>senso</strong><br />

antidemoniaco dell'orazione a S. Giuseppe inserita nel rituale<br />

nel 1913.<br />

La <strong>liturgia</strong> degli ordini ecclesiastici: l'esorclstato<br />

Nella <strong>liturgia</strong> degli ordini o gradi ecclesiastici, il concetto <strong>della</strong><br />

lotta contro Satana, storicamente, si è concretizzato anzitutto nella<br />

creazione in occidente, cominciando dal secolo III, déll'ordo degli esorcisti<br />

come grado ecclesiastico proprio con la specifica funzione<br />

di cacciare il demonio mediante gli esorcismi. È noto che, prima<br />

di questa data, il potere di cacciare i demoni, esercitato largamente<br />

dai cristiani 133 , fu considerato come carisma e non come ufficio<br />

132 La stessa rappresentazione è facilmente riconoscibile nella teoria degli<br />

gnostici marcosiani di cà parla S. Ireneo (Haer. I 20) a proposito dell'unzione<br />

dei moribondi con olio misto d'acqua. Non pare improbabile che la stessa sia<br />

supposta nella formula del viatico sopra riferita.<br />

133 Sulle notizie intorno all'esercizio di questo potere nei primi secoli vedi,<br />

per es., J. FORGBT, Exorcisme, in: Dict. de théol. cath. V (1913) 1770-75.


L'ESORCISTA 403<br />

stabile derivato da qualche deputazione o autorizzazione gerarchica<br />

nei quadri <strong>della</strong> struttura organizzativa o amministrativa <strong>della</strong><br />

Chiesa. In oriente ci si attenne sempre a questo concetto. Per cui<br />

le Costituzioni Apostoliche dicono : « L'esorcista non è ordinato per<br />

l'imposizione delle mani. Questa ricompensa data ai combattenti<br />

dipende dalla libera benevolenza e grazia di Dio per mezzo di Cristo<br />

nell'infusione dello Spirito Santo. Chi riceve il carisma delle guarigioni<br />

è indicato per manifestazione divina che rende a tutti<br />

nota la grazia che è in lui » 134 . Ma a Roma e in Africa, cominciando<br />

dalla metà del secolo III, è chiaramente attestata l'esistenza di una<br />

classe di esorcisti nei ranghi del clero insieme con i preti, diaconi,<br />

suddiaconi, accoliti, lettori e ostiari.<br />

<strong>Il</strong> modo e la forma dell'ordinazione dell'esorcista sono noti<br />

dal settimo canone del cosiddetto IV concilio di Cartagine, testo<br />

che si data dalla fine del quarto alla fine del sesto secolo : « Quando<br />

l'esorcista è ordinato, riceve dalle mani del vescovo il libello in<br />

cui sono scritti gli esorcismi, con queste parole: ricevilo e imparalo<br />

a memoria e abbi potestà d'imporre le mani sopra l'energumeno<br />

sia battezzato che catecumeno » 13B . È già la forma del nostro pontificale<br />

romano. <strong>Il</strong> quale, nell'ammonimento che fa dare dal vescovo<br />

all'esorcista e nelle altre due preghiere, insiste ripetutamente su<br />

questo concetto che l'esorcista riceve la potestas e l'imperium di<br />

cacciare i demoni; anzi chiama gli esorcisti: spirituales imperatores<br />

per cacciare dai corpi degli ossessi i demoni con tutta la loro multiforme<br />

malvagità. Fino al V secolo circa, l'esorcista esercitò largamente<br />

le sue funzioni: «le quali, tranne casi particolari, consistevano<br />

soprattutto nell'imposizione delle mani sui catecumeni,<br />

ripetuta molte volte negli scrutini, e forse anche sui malati » 137 .<br />

La creazione dell'esorcistato tra gli ordini ecclesiastici dimostra<br />

l'importanza che si dava nella Chiesa al concetto e alla realtà<br />

<strong>della</strong> lotta contro Satana. Oggi, non sono più ordinati esorcisti non<br />

destinati a salire al sacerdozio, per cui la funzione dell'esorcista è<br />

cumulata dal sacerdote e dal vescovo. Anzi, in molte diocesi, essa<br />

non può essere esercitata sugli energumeni propriamente detti<br />

senza speciale permesso del vescovo. Tuttavia la sua sussistenza<br />

di fatto come ordine a sé, dimostra, nel pensiero <strong>della</strong> Chiesa, la<br />

sempre perdurante attualità di quella lotta. La quale è talvolta<br />

13 « Const. Apost. Vili 26 : si noterà l'equivalenza tra esorcista e « carisma<br />

delle guarigioni ».<br />

135 Papa Cornelio in un frammento conservato da EUSEBIO, H. E., 43, 11. S. CI­<br />

PRIANO, ep. 23.<br />

i3« HEFELE-LECLERCQ, Histoire des conciles II 1 p. 112. Gli atti di questo sedicente<br />

IV sinodo di Cartagine (398) furono composti in realtà probabilmente<br />

verso il 500 in Provenza o in Italia settentrionale. Vedi ANDRIEU, Les Ordines romani<br />

IH 615-19.<br />

137 RIGHETTI, IV 275. <strong>Il</strong> fatto che toccasse anche agli esorcisti imporre le<br />

mani ai malati si comprende dalla stretta connessione tra malattia e influsso<br />

demoniaco.


404 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

esplicitamente ricordata anche nelle formule dei riti dell'ordinazione<br />

degli altri ordini, come nel nostro odierno Pontificale romano,<br />

per l'ordinazione dei diaconi.<br />

La <strong>liturgia</strong> matrimoniale<br />

Anche nella <strong>liturgia</strong> matrimoniale il concetto <strong>della</strong> lotta contro<br />

Satana ha lasciato le sue tracce. Uno dei motivi per cui si sentì la<br />

necessità che intervenisse la benedizione <strong>della</strong> Chiesa nel matrimonio<br />

dei cristiani fu appunto affinché la nuova famiglia che si fondava<br />

fosse libera dalle insidie del demonio, contro le cui insinuazioni<br />

nei rapporti matrimoniali S. Paolo aveva già messo in guardia<br />

i cristiani (1 Cor 7,2-5). Bisogna, dice S. Giovanni Crisostomo, « chiamare<br />

i sacerdoti, e consacrare l'unione tra gli sposi con preghiere<br />

e benedizioni affinché aumenti l'amore dello sposo e cresca la<br />

continenza <strong>della</strong> sposa; tutto tenda a introdurre la virtù nella casa,<br />

siano rimosse le insidie del diavolo e che gli sposi stessi uniti con<br />

l'aiuto di Dio facciano una vita felice » 138 .<br />

La protezione dei novelli coniugi dalle insidie diaboliche è<br />

perciò un tema che ricorre nelle liturgie matrimoniali già nei formulari<br />

più antichi che ci sono pervenuti. Così nella solenne benedizione<br />

<strong>della</strong> sposa che si trova nel Leoniano si prega Dio di fortificarla<br />

con tutte le necessarie virtù, e si aggiunge, in una frase<br />

conservata sostanzialmente anche nell'attuale rituale nella benedizione<br />

alla fine <strong>della</strong> messa per gli sposi : « Nessun potere usurpi in<br />

lei l'autore scomunicato <strong>della</strong> prevaricazione » 139 . In una formula<br />

parallela del Gelasiano si dice : « ...degnati di corroborare la loro<br />

unione di sposi come corroborasti quella dei progenitori; siano<br />

da essi allontanate tutte le insidie del nemico, affinché imitino nello<br />

stesso matrimonio la santità dei padri » 140 .<br />

Almeno sin dal secolo VI-VII s'introdusse anche un rito liturgico<br />

<strong>della</strong> benedizione <strong>della</strong> camera nuziale, conservato tuttora nel<br />

nostro rituale. Molte delle formule relative a questa benedizione<br />

presentano « un carattere apotropeutico, invocando il Signore perché<br />

allontani dalla stanza le insidie del demonio e i malefìzi degli<br />

uomini malvagi » 141 . A dare questo <strong>senso</strong> al rito è certo che nel<br />

medioevo contribuì anche la troppo facile credenza che gli spiriti<br />

maligni spesso influissero contro l'esito felice del matrimonio per<br />

vie e mezzi soprannaturali. Non era però falsa la persuasione che<br />

dietro simili esiti infelici si debba vedere in qualche modo l'influsso<br />

di Satana. A parte le ingenue opinioni medievali, la Chiesa fondamentalmente<br />

non si sbagliava quando, mediante orazioni e lustrala<br />

/„ Gen. Hom. 48,6.<br />

"9 Ed. Mohlberg, n. 1110 p. 140, 24 s.<br />

"o Ed. Mohlberg n. 1454 p. 210.<br />

141 RIGHETTI, IV 348, il quale, per la documentazione rimanda ad A. FRANÌ,<br />

Die kirchlichen Benediktionen irti Mittelalter II 176 ss.


I SACRAMENTALI 405<br />

zioni, invocava la protezione di Dio sul felice andamento del matrimonio<br />

e lo proteggeva contro l'influsso demoniaco.<br />

<strong>Il</strong> nostro rituale conosce anche una benedizione <strong>della</strong> donna<br />

durante la gestazione. È una preghiera a Dio per la protezione <strong>della</strong><br />

madre e <strong>della</strong> prole e la loro difesa contro le insidie del nemico:<br />

« Ricevi il sacrificio del cuore contrito e il fervente desiderio <strong>della</strong><br />

tua serva che umilmente ti supplica per la conservazione <strong>della</strong><br />

prole che le hai concesso di concepire: custodisci la tua eredità<br />

e difendila da ogni astuzia e ingiuria del crudele nemico; affinché,<br />

levata dalla tua mano misericordiosa, la creatura venga felicemente<br />

alla luce e sia conservata per la santa generazione, ti serva sempre<br />

in tutto e meriti di conseguire la vita eterna ». Non è una puerile<br />

paura del demonio che ha dettato simili preghiere alla fede <strong>della</strong><br />

Chiesa, ma una meravigliosa e soprannaturale visione di tutto il<br />

piano <strong>della</strong> salvezza considerato nella sua integrità senza dimenticare<br />

la parte reale che, quale continuo antagonista di Dio, in<br />

esso ha anche il demonio. La benedizione termina con una lustrazione<br />

e una nuova preghiera affinché gli angeli santi proteggano<br />

la casa, la madre e la prole.<br />

6. LA LOTTA CONTRO SATANA<br />

NEI PRINCIPALI SACRAMENTALI<br />

NON CONNESSI IMMEDIATAMENTE CON I RITI<br />

DEI SETTE SACRAMENTI MAGGIORI<br />

Passata in rassegna, dal punto di vista <strong>della</strong> lotta contro Satana,<br />

la <strong>liturgia</strong> dei sette sacramenti con tutto il complesso dei riti che<br />

vi sono immediatamente connessi, si potrà essere più brevi nell'esame<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dei sacramentali non connessi immediatamente<br />

con l'amministrazione dei sette riti maggiori. Parecchie<br />

osservazioni che si potrebbero fare in proposito anche riguardo<br />

a questa parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, sono state già fatte nell'analisi dei<br />

riti che accompagnano i sette sacramenti.<br />

In genere<br />

In genere, anche prendendo il solo rituale e pontificale romano<br />

attuale, non si può non notare il gran numero di riti, oltre a quelli<br />

ai quali abbiamo già accennato nella precedente esposizione, che<br />

contengono, espresso in modo più o meno rilevante, il concetto <strong>della</strong><br />

lotta contro Satana e il suo regno. Chi ne ha fatto l'elenco è arrivato<br />

al numero di circa cinquanta benedizioni, consacrazioni, riti diversi,<br />

spesso brevi, ma talvolta anche assai lunghi, come la dedicazione


406 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

di una chiesa o la <strong>liturgia</strong> dei defunti " 2 . Si riferiscono alle circostanze<br />

più varie <strong>della</strong> vita ecclesiastica e cristiana in genere: da<br />

quelle più ordinarie e quotidiane, come la benedizione di una casa,<br />

di una stalla, la benedizione contro gli insetti nocivi, a quelle più<br />

rare e solenni, come la consacrazione di una vergine, la dedica di<br />

una chiesa, la <strong>liturgia</strong> dei defunti.<br />

È un segno evidente quanto questa lotta contro Satana e il suo<br />

regno sia una realtà profondamente presente anche in tutto il<br />

complesso liturgico dei sacramentali che non sono immediatamente<br />

connessi con l'amministrazione dei sette sacramenti e che pur pervadono<br />

tutta la vita del cristiano. Per avere un saggio sufficiente<br />

di questa parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> basteranno alcune osservazioni intorno<br />

all'acqua lustrale e alle lustrazioni, intorno agli scongiuri contro<br />

i temporali, alla benedizione delle vergini e dei monaci e alla<br />

<strong>liturgia</strong> dei defunti.<br />

L'acqua lustrale<br />

L'uso dell'acqua benedetta a scopo extrabattesimale sembra<br />

non avere incontrato favore nei primi secoli <strong>della</strong> Chiesa pei troppi<br />

richiami che quest'uso, specialmente a scopo lustrale, poteva suggerire<br />

a simili usanze giudaiche, pagane o anche di sette eterodosse<br />

sincretiste 143 1 Ma, in oriente, cominciando dal secolo quinto circa,<br />

come pare, si hanno tracce di una benedizione dell'acqua e del suo<br />

uso rituale fuori del battesimo.<br />

<strong>Il</strong> sacramentario di Serapione ci presenta il caso di un'orazione<br />

il cui scopo primitivo era evidentemente di servire solo per<br />

la benedizione dell'olio per i malati, adattata posteriormente per<br />

servire anche di benedizione per il pane o per l'acqua 144 . È comunque<br />

interessante per il <strong>senso</strong> antidiabolico che dà all'uso di queste<br />

cose benedette e il suo tenore generale molto simile a quello che<br />

142 Vedi E. VON PETERSDORFF, De daemonibus in <strong>liturgia</strong> trtemoratis, in: Angelicum<br />

19 (1942) 326-28. Se la cosa può interessare qualcuno, eccone un elenco:<br />

Dal rituale: benedizione delle candele, del pane, dell'olio semplice; processioni;<br />

litanie; benedizione dell'oro, dell'incenso e <strong>della</strong> mirra; benedizione delle croci;<br />

delle erbe; di una scuola; di una fonte; di un pozzo; di una fornace per la calce;<br />

dei campi; di un malato adulto; di pannolini per i malati; del sale ed avena per<br />

gli animali; di una stalla; delle campane; contro i topi ed altri animali nocivi;<br />

dei gigli di S. Antonio; dei bambini; delle stazioni <strong>della</strong> via crucis; diverse benedizioni<br />

di scapolari e di acqua in onore di Santi. Dal pontificale: consacrazione<br />

di una vergine; benedizione di una prima pietra; dedicazione di una chiesa; benedizione<br />

di un cimitero; di paramenti sacri; di una nuova croce; di vasi, di<br />

teche; di campane; <strong>della</strong> croce per i crociati. Liturgia per i defunti.<br />

143 TERTULLIANO, De baptismo 5.<br />

144 Cap. 19 (17) ed. Funk p. 190 s. La cosa mi pare certa dal tenore dell'orazione.<br />

L'adattamento è stato fatto nel titolo, dove dopo « orazione per l'olio<br />

dei malati », si è aggiunto « o per il pane o l'acqua ». Nella formula stessa, si<br />

parla prima del solo olio, ma poi, per includervi eventualmente anche pane o<br />

acqua, si fa menzione « dì queste tue creature », parole evidentemente interpolate<br />

e che si confanno male a tutto il tenore grammaticale <strong>della</strong> frase.


ACQUA LUSTRALE 407<br />

si ritroverà poi nelle formule tipiche per la benedizione dell'acqua<br />

lustrale : « T'invochiamo, tu che hai ogni potestà e potenza e sei<br />

salvatore di tutti gli uomini. Padre del nostro Signore e Salvatore<br />

Gesù Cristo, e ti preghiamo di mandare dal cielo la forza sanatrice<br />

del tuo Unigenito sopra quest'olio, affinché per coloro che ne saranno<br />

unti o percepiranno queste tue creature, esso serva a respingere<br />

ogni languore e infermità, per antidoto contro ogni demonio,<br />

a fugare ogni spirito impuro, ad espellere ogni spirito maligno, ad<br />

estirpare ogni febbre e freddo e ogni debolezza, a ricevere la grazia<br />

e la remissione dei peccati, a rimedio di vita e di salvezza, a sanità<br />

e integrità dell'anima, del corpo e dello spirito, a perfetta salute.<br />

O Signore, ogni operazione diabolica, ogni demonio, ogni insidia<br />

dell'avversario, ogni piaga, ogni supplizio, ogni dolore, ogni pena<br />

o percussione o scotimento o ombra maligna, tema il tuo santo<br />

nome che ora noi invochiamo e il nome del tuo Unigenito, e si<br />

allontani dall'interno e dall'esterno dei tuoi servi; affinché sia glorificato<br />

il nome di Colui che per noi fu crocifisso, e risuscitò e<br />

portò i nostri languori e le nostre piaghe e verrà a giudicare i vivi<br />

e i morti ».<br />

In occidente la benedizione e l'uso dell'acqua lustrale s'introduce<br />

nel corso del secolo VI. <strong>Il</strong> Gelasiano contiene già tutto il rito.<br />

Tra le altre cose si ha: benedizione dell'acqua, esorcismo sopra<br />

la stessa, orazione mentre si asperge l'acqua, esorcismo del sale "'.<br />

L'essenziale delle espressioni e del <strong>senso</strong> delle formule posteriori<br />

per la benedizione e l'aspersione dell'acqua lustrale vi è già contenuto:<br />

si tratta essenzialmente di un rito purificatorio dall'influsso<br />

demoniaco di tutti i luoghi e le cose o le persone su cui sarà aspersa<br />

l'acqua benedetta. Alcune espressioni caratteristiche di questa<br />

benedizione lo significano quanto mai chiaramente: infondi a questo<br />

elemento « la virtù <strong>della</strong> tua benedizione, affinché la tua creatura,<br />

servendo ai tuoi misteri, abbia efficacia per mettere in fuga<br />

i demoni e cacciare le malattie, di modo che, tutto ciò che quest'acqua<br />

avrà asperso nei luoghi e nelle case dei fedeli, sia preservato<br />

da ogni impurità, sia liberato da ogni contagio. Che mai spirito<br />

pestifero vi risieda, mai un soffio di corruzione; fuggano tutte le<br />

insidie del nemico nascosto; e tutto ciò che potrebbe nuocere<br />

alla salute o turbare la tranquillità di quelli che ivi dimorano, sia<br />

messo in fuga ed allontanato dall'aspersione di quest'acqua; e<br />

così la salubrità domandata con l'invocazione del tuo nome abbia<br />

tutela contro ogni attacco » 14e . L'orazione si trova tuttora nel<br />

nostro ordo ad faciendam aquam benedictam. Le altre orazioni<br />

del Gelasiano e del rituale, per la questione che qui c'interessa,<br />

sono tutte dello stesso <strong>senso</strong>.<br />

Quando si pensa alla frequenza e all'importanza che assunse<br />

molto presto e conserva ormai su larga scala l'uso dell'acqua bene-<br />

"» Ed. Mohlberg n. 1556-61 pp. 224-26.<br />

146 Vedi, per es., l'analisi dei riti fatta dal RIGHETTI IV 381 ss; A. FRANZ, Die<br />

kirchlichen Benediktionen im Mittélalter II 49-123.


408 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

detta in ogni sorta di benedizioni <strong>della</strong> Chiesa e nella vita quotidiana<br />

del cristiano, a tal punto che l'acqua lustrale assieme al<br />

segno <strong>della</strong> croce è il sacramentale di uso più frequente, è facile<br />

accorgersi quanto la realtà <strong>della</strong> lotta contro Satana impronti tutta<br />

la vita <strong>della</strong> Chiesa e dovrebbe improntare quella di ogni cattolico<br />

cosciente di ciò che fa.<br />

Tra queste lustrazioni a base d'acqua benedetta si pensi, in<br />

modo speciale, a quelle che, cominciando dall'epoca carolingia, fanno<br />

parte essenziale del rito <strong>della</strong> dedicazione di una chiesa. Dopo i preliminari<br />

<strong>della</strong> cerimonia, la sua prima parte è, in sostanza, una presa<br />

di possesso dell'edificio per mezzo di lustrazioni con acqua benedetta,<br />

fatte al periplo dei muri esterni (prima <strong>della</strong> riforma del rito, avvenuta<br />

nel 1961, se ne faceva tre volte il giro), all'interno del tempio e<br />

all'altare, per purificarli da ogni influsso demoniaco. Sono quanto<br />

mai espliciti in questo <strong>senso</strong> : la benedizione dell'acqua, con la quale<br />

comincia questa parte <strong>della</strong> cerimonia; l'orazione che dice il pontefice<br />

alla fine del giro esterno (Omnipotens sempiterne Deus, qui in omni<br />

loco...); la proclamazione che fa entrando in chiesa dopo aver tracciato<br />

una croce sulla soglia : « Ecco il segno <strong>della</strong> croce; fuggano<br />

tutti i fantasmi »; il tracciato <strong>della</strong> grande croce sul pavimento ad<br />

indicare che Cristo prende possesso del luogo.<br />

Solo dopo questo, quando ormai l'influsso demoniaco è ritenuto<br />

totalmente fugato, viene la deposizione delle reliquie e la grande<br />

preghiera consacratoria seguita da una unzione crismale dell'altare.<br />

Gli scongiuri contro i temporali<br />

L'odierno rituale romano 147 contiene una « processione contro<br />

i temporali », nella quale, mentre si suonano le campane, vengono<br />

recitate le litanie seguite da un salmo, da diversi versetti e da<br />

cinque orazioni, tra le quali : « A domo tua... ». Quest'ultima figura<br />

anche nel messale, tra le orazioni diverse contro il mal tempo.<br />

Essa ha un <strong>senso</strong> nettamente antidiabolico. Tutto questo è un<br />

tenue vestigio di un rito liturgico che nel medio evo aveva preso<br />

grande estensione e frequenza : gli scongiuri contro i temporali 148 .<br />

Questo rito era direttamente antidemoniaco, basato sulla credenza<br />

che i temporali nocivi agli uomini sono, in qualche modo,<br />

effetto d'influsso diabolico. La credenza era, ed è, retta, sebbene<br />

allora persistesse, come abbiamo spesso ripetuto, l'indeterminatezza<br />

di pensiero sulle vie naturali o soprannaturali di tale influsso,<br />

ciò che dette luogo a facili esagerazioni e superstizioni. La Chiesa<br />

però nell'orazione che ancora oggi fa dire ai sacerdoti per allontanare<br />

la tempesta : « A domo tua... », mantiene l'idea <strong>della</strong> connessione<br />

tra i temporali nocivi agli uomini e l'influsso satanico:<br />

" 7 Tit. X cap. 8.<br />

148 Vedi RIGHETTI, IV 399 ss.


CONSACRAZIONE DELLE VERGINI 409<br />

« Siano respinte, o Signore, te ne preghiamo, dalla tua famiglia le<br />

nequizie degli spiriti maligni e si allontani il flagello delle tempeste<br />

atmosferiche ».<br />

La consacrazione delle vergini<br />

Abbiamo visto a suo luogo come la tradizione antica, esplicitando<br />

i concetti del Nuovo Testamento, sviluppasse i temi <strong>della</strong> vita<br />

ascetica dei vergini e <strong>della</strong> vita monastica come forme eminenti <strong>della</strong><br />

lotta del cristiano contro il diavolo. Nella <strong>liturgia</strong> questo concetto ha<br />

lasciato la sua impronta nei riti <strong>della</strong> consacrazione delle vergini e<br />

<strong>della</strong> professione monastica.<br />

La formula più antica per la consacrazione delle vergini è contenuta<br />

nel Leoniano 149 . È il prefazio consacratorio che è tuttora al<br />

centro del rito. Si tratta essenzialmente di un'implorazione a Dio<br />

perché accetti l'offerta e il proposito che gli fa la vergine e le dia<br />

la protezione e le grazie necessarie perché possa mantenerli e realizzarne<br />

tutto il significato. In questo quadro si traccia a larghi tratti<br />

il significato <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> verginità ricordando il primitivo decadimento<br />

dell'uomo per frode diabolica e la pedagogia di Dio che, per<br />

rialzarlo, ispira ad anime elette propositi di maggiore perfezione e<br />

dedizione totale a Lui, tali da poter superare, per il suo amore e<br />

servizio, anche stimoli fondamentali <strong>della</strong> natura. Ma queste anime<br />

hanno particolare bisogno dell'aiuto divino, perché contro di esse<br />

si accanisce in modo particolare l'antico nemico. Si degni dunque<br />

Dio di accordare loro particolare protezione « affinché l'antico<br />

nemico, che suole disturbare con più sottili insidie i propositi di più<br />

alta perfezione, non s'insinui per qualche negligenza <strong>della</strong> mente<br />

per oscurare la gloria <strong>della</strong> palma <strong>della</strong> perfetta continenza e non<br />

strappi al con<strong>senso</strong> <strong>della</strong> vergine ciò che deve trovarsi anche nei<br />

costumi delle sposate ». Si affaccia dunque il tema <strong>della</strong> vita verginale<br />

come eminente forma di lotta del cristiano contro Satana.<br />

Nell'odierno rito del pontificale romano lo stesso tema ricorre<br />

nell'orazione Deus, ptasmator corporum... « Esse desiderano vivere<br />

sotto la tua grazia. <strong>Il</strong> difensore del male e nemico del bene non<br />

riesca a rivendicare nessun titolo di proprietà in questi vasi consacrati<br />

al tuo nome ». Anche nell'orazione Exaudi per la benedizione<br />

delle vesti si chiede che esse « siano forte arma di difesa contro<br />

tutte le frecce del nemico ».<br />

'io Ed. Mohlberg n. 1104.


410 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

La professione monastica<br />

Nella <strong>liturgia</strong> per la professione monastica il concetto <strong>della</strong> lotta<br />

contro Satana ha preso forme concrete in connessione con l'idea<br />

<strong>della</strong> professione monastica come un secondo battesimo 150 : fuggire<br />

il secolo e abbracciare lo stato di perfezione era considerato<br />

in un qualche parallelismo con quella fuga dal secolo e ingresso<br />

nella nuova vita che compivano i convertiti dal paganesimo quando<br />

ricevevano il battesimo. Questo parallelismo si espresse nelle formule<br />

e nei riti. Era ovvio così il concetto <strong>della</strong> professione monastica<br />

come rinunzia al diavolo e alle sue pompe e come adesione a<br />

Cristo, e dell'intera vita monastica come stato di eminente lotta<br />

contro il diavolo.<br />

Alcuni di questi concetti, pur nel conciso ma sostanzioso stile<br />

romano antico, appaiono già nell'orazione del Gelasiano : « Per coloro<br />

che rinunziano al secolo » 151 che sembra essere semplicemente<br />

l'antica formula romana eucologica per ricevere qualcuno alla professione<br />

monastica : « Concedi, Signore, te ne preghiamo, di aprire le<br />

porte <strong>della</strong> tua grazia ai tuoi servi che rinunziano alle pompe del<br />

secolo e che, disprezzato il diavolo, si rifugiano sotto l'insegna di<br />

Cristo. Ricevi con volto sereno questi che vengono a te, affinché il<br />

nemico non possa menarne trionfo. Concedi loro l'infaticabile braccio<br />

del tuo aiuto; circonda la loro mente con la corazza <strong>della</strong> fede,<br />

affinché, felicemente protetti tutto intorno come da muro, sentano<br />

la gioia di essere evasi dal mondo ».<br />

Pensieri assai simili sono espressi nella <strong>liturgia</strong> mozarabica:<br />

« Ricevi, te ne prego, Signore, questo tuo servo N. che fugge a te<br />

dalla tempesta di questo secolo e dai lacci del diàvolo; affinché,<br />

senta la gioia di essere salvato in questo secolo e ricompensato nel<br />

futuro » " 2 .<br />

Nei riti posteriori <strong>della</strong> professione monastica, questi concetti<br />

sono stati sempre conservati, ma il pensiero <strong>della</strong> lotta contro il<br />

diavolo fu alquanto attenuato; infatti, dalle predette formule antiche<br />

si è sempre conservata l'idea <strong>della</strong> fuga dal mondo, e <strong>della</strong> rinunzia<br />

al mondo, mentre per quanto mi consta, in genere non si è più<br />

parlato direttamente <strong>della</strong> fuga da Satana e <strong>della</strong> rinunzia a Satana<br />

e alle sue pompe.<br />

Si noterà pure in questi testi che il concetto <strong>della</strong> lotta contro<br />

il diavolo è espresso con la sfumatura che far professione di vita<br />

monastica è fuggire il secolo e il diavolo, sfuggire ai suoi pericoli.<br />

Nella tradizione monastica primitiva si esprimeva lo stesso concetto<br />

piuttosto con la sfumatura che far professione di vita monastica<br />

150 Vedi PH. OPPENHEIM, Mónchsweihe und Taufritus, in: Miscel. Mohlberg<br />

I 259s.<br />

151 Ed. Mohlberg n. 1574 p. 229.<br />

152 Liber ordinarti, ed. Férotin p. 86, 14 ss.


PROFESSIONE MONASTICA 411<br />

equivale ad impegnarsi in una lotta ancora più dura contro il diavolo<br />

e come andare a provocarlo.<br />

Questa forma è stata meglio conservata dall'eucologio greco, il<br />

quale, inoltre, ha tuttora esplicitamente il concetto <strong>della</strong> professione<br />

monastica come secondo battesimo. « Fratello, dice il sacerdote al monaco<br />

che sta per ricevere il grande abito e fare la professione monastica,<br />

oggi ricevi il secondo battesimo, in sovrabbondanza dei doni del misericordioso<br />

Iddio; sei purificato dai tuoi peccati e diventi figlio <strong>della</strong><br />

luce » " 3 . È quindi fortemente rilevato in tutto il rito come il monaco<br />

novello si metta in uno stato in cui la lotta contro Satana sarà continua<br />

e più dura: « E non pensare più che nel tempo passato <strong>della</strong><br />

tua vita quaggiù hai lottato valorosamente contro le potenze invisibili<br />

del nemico; ma pensa che, d'ora innanzi, avrai più grandi travagli<br />

nella lotta contro di lui. Ma non ti vincerà se ti trova protetto<br />

da una forte fede e carità verso Colui che ti conduce e dalla<br />

prontezza ad ogni ubbidienza ed umiliazione » 154 . Quindi il sacerdote<br />

domanda a Dio per il monaco novello : « Armalo <strong>della</strong> tua forza e<br />

rivestilo <strong>della</strong> panoplia del tuo Santo Spirito, perché non ha da<br />

lottare contro il sangue e la carne, ma contro i principati, contro<br />

le potestà, contro i dominatori delle tenebre di questo secolo, contro<br />

gli spiriti maligni. Cingi il suo fianco con la forza <strong>della</strong> verità, e<br />

rivestilo <strong>della</strong> corazza <strong>della</strong> tua giustizia e <strong>della</strong> tua esultazione, e<br />

calza i sudi piedi con la preparazione che dà il vangelo <strong>della</strong> pace.<br />

Rendilo sì saggio da prendere lo scudo <strong>della</strong> fede nel quale possa<br />

estinguere tutte le frecce infiammate del Maligno, e da ricevere il<br />

casco salutare e la spada dello Spirito che è la tua parola » 15S .<br />

Oltre, poi, a diverse altre allusioni agli stessi concetti, è notevole<br />

il fatto che i diversi capi del vestiario monastico, che riveste<br />

il nuovo monaco, sono interpretati appunto come simbolo di quella<br />

panoplia di cui sopra si faceva parola, per la lotta contro il diavolo<br />

" a . Anzi, particolare caratteristico, l'epistola che si legge nella<br />

messa durante la quale si svolge il rito non è altro che il passo in cui<br />

S. Paolo esorta il cristiano a rivestirsi di questa panoplia nella lotta<br />

contro Satana (Ef 6,10-17).<br />

La <strong>liturgia</strong> per 1 defunti<br />

Anche nella <strong>liturgia</strong> per i defunti appare il concetto <strong>della</strong> lotta<br />

contro Satana. Abbiamo già accennato due volte al modo con cui,<br />

nell'antichità, si rappresentò all'immaginazione lo svolgimento del<br />

giudizio particolare dopo la morte d'ogni uomo come un esame dell'anima<br />

a cui intervengono, in contraddittorio, demoni e angeli, e<br />

»» Euchologion, Roma 1873 p. 242.<br />

»« Ibid. p. 243.<br />

155 Ibid. p. 244 s.<br />

"« Ibid. p. 248.


412 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

che si compiva dinanzi ai tribunali esattoriali {telonio) nel viaggio<br />

attraverso le diverse sfere prima di arrivare al paradiso.<br />

È in questa rappresentazione immaginativa che si concretizza<br />

nelle liturgie per i defunti il concetto di una certa continuazione<br />

<strong>della</strong> lotta contro Satana anche immediatamente dopo la morte di<br />

ognuno. Se ne trovano, per esempio, allusioni già nel Gelasiano:<br />

« Ricevi, o Signore, l'anima del tuo servo N. che ritorna a te dalla<br />

regione dell'Egitto. Manda i tuoi santi angeli al suo incontro e<br />

mostragli la via <strong>della</strong> giustizia. Aprigli le porte <strong>della</strong> giustizia e<br />

respingi da lei il principe delle tenebre » ,57 ; « Degnati, Signore, di<br />

dargli la regione <strong>della</strong> luce, del refrigerio e <strong>della</strong> quiete. Le sia permesso<br />

di passare le porte degl'inferi e le vie delle tenebre, e possa<br />

soggiornare nelle dimore dei santi, nella luce santa, che tu un giorno<br />

promettesti ad Abramo e alla sua discendenza » 158 ; « L'assista l'angelo<br />

del tuo testamento, Michele. Liberala, Signore, dai principi delle<br />

tenebre e dai luoghi delle pene » 159 .<br />

Nell'attuale rito delle esequie, nell'orazione: Deus cui proprium<br />

est misereri..., c'è la frase : « Non l'abbandonare nelle mani del nemico<br />

ma comanda che sia ricevuta da santi angeli e condotta alla patria<br />

del paradiso ». Simili e anche più chiare allusioni a questo modo di<br />

rappresentarsi le cose, si trovano facilmente nelle liturgie storiche<br />

ed attuali ieo . <strong>Il</strong> caso più celebre è l'offertorio <strong>della</strong> nostra messa<br />

per i defunti concepito completamente in questo schema: « Signore,<br />

Gesù Cristo, Re <strong>della</strong> gloria, libera le anime di tutti i fedeli defunti<br />

dalle pene dell'inferno e dal profondo abisso; liberale dalle fauci<br />

del leone, affinché non siano preda del tartaro e non cadano nelle<br />

tenebre; ma il vessillifero S. Michele le conduca alla luce santa che<br />

un giorno promettesti ad Abramo e alla sua discendenza » m .<br />

Dal punto di vista dogmatico è da osservare che questa e simili<br />

preghiere oggi sono e devono essere intese, nel quadro generale <strong>della</strong><br />

dogmatica dei novissimi pienamente sviluppata, come preghiere per<br />

la liberazione dalle pene del purgatorio, a parte il <strong>senso</strong> storico che<br />

ebbero quando furono composte e le stesse espressioni materiali<br />

che contengono " 2 .<br />

È anche vero che, in <strong>senso</strong> pienamente ortodosso, si può ancora<br />

parlare, in qualche modo, di lotta contro Satana anche dopo la<br />

morte, fintanto che l'anima si trova in purgatorio; perché è ancora<br />

una notevole traccia, o meglio una sequela, del potere di Satana<br />

157 Ed. Mohlberg n. 1610 p. 234. 6 tutt'altra questione sapere se questi elementi<br />

appartengano al Gelasiano antico o ai suoi rifacimenti gallicani.<br />

"8 Ibid. n. 1617 p. 236.<br />

"» Ibid. n. 1621 p. 236.<br />

i6o Vedi cenni in B. SERPILLI, L'offertorio <strong>della</strong> messa dei defunti, Roma<br />

1946 p. 69-80.<br />

161 SERPILLI /. e. opina trattarsi di un testo d'origine irlandese, o, comunque,<br />

gallicana. Vedi anche M. SORESSI, L'offertorio <strong>della</strong> messa dei defunti e<br />

l'escatologia orientale, in: Eph. Lit. 61 (1947) 245-52.<br />

162 II testo dell'offertorio <strong>della</strong> messa dei defunti, nella sua dicitura, resiste<br />

più degli altri a questa interpretazione.


AVVENTO-EPIFANIA 413<br />

sulle anime dopo il peccato di Adamo, il fatto che esse non godano<br />

ancora <strong>della</strong> visione beatifica. <strong>Il</strong> potere di Satana e le sue conseguenze<br />

saranno pienamente e definitivamente distrutte solo con la<br />

risurrezione generale, quando novissima... inimica destruetur mors<br />

(ICor 15,26).<br />

7. LA LOTTA CONTRO SATANA<br />

NEL TEMPORALE E NEL SANTORALE<br />

Per farsi un'idea sostanzialmente completa del posto che nella<br />

<strong>liturgia</strong> occupa il concetto e la realtà <strong>della</strong> lotta contro Satana rimangono<br />

ancora da esaminare i cicli liturgici. Si tratta essenzialmente<br />

di considerare da questo punto di vista il temporale e il santorale<br />

del messale e, in misura assai minore, del breviario.<br />

Tempo di avvento - Epifania<br />

Sappiamo che il ciclo liturgico del tempo dall'avvento all'Epifania<br />

ha come tema generale il mistero di Cristo come venuta epifanica<br />

del Signore, preparata, annunziata, prefigurata nell'Antico<br />

Testamento, realizzata storicamente in Palestina, realizzantesi in<br />

mysterio, misticamente, in noi e preparante e prefigurante la venuta<br />

epifanica escatologica 163 . È ugualmente tema essenziale in tutte<br />

le liturgie storiche ed attuali mettere in rilievo il valore redentivo<br />

di questa venuta epifanica a tutti i suoi diversi piani. Ma poiché<br />

nella Scrittura e nella tradizione la redenzione include necessariamente<br />

una lotta contro il diavolo e la nostra liberazione dalla sua<br />

schiavitù, era naturale che anche questo significato fosse non solo<br />

implicitamente presente nelle liturgie — che in questo <strong>senso</strong> lo è<br />

effettivamente dappertutto — ma venisse anche ad esprimersi esplicitamente.<br />

Nel messale e nel breviario romano attuali il tema è appena<br />

accennato nell'inno dell'avvento: Creator alme siderum nella seconda<br />

e quarta strofa 164 , e specialmente nella notte stessa di Natale nelle<br />

lezioni del secondo notturno da un'omelia di S. Leone Magno. In<br />

questa, il <strong>senso</strong> dell'incarnazione del Figlio di Dio profondamente<br />

antagonistico contro Satana, è molto esplicitamente rilevato. « <strong>Il</strong><br />

Figlio di Dio, nella pienezza dei tempi fissata dall'inscrutabile con-<br />

163 Vedi J. LEMARIÉ, La manifestation du Seigneur, Paris 1957, trad. hai.<br />

ed. Paoline 1960.<br />

le* più esplicitamente nella correzione di Urbano Vili, come l'ha il breviario<br />

romano, che nell'antica forma: « Qui daemonis rie fraudibus perirei orbis,<br />

impetu amoris actus, languidi mundi medela factus es ».


414 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

siglio divino, per riconciliare l'uomo al Creatore, ne assunse là<br />

natura, affinché, l'autore <strong>della</strong> morte, il diavolo, fosse vinto da quella<br />

stessa natura che aveva vinta. In questa lotta impegnata per noi,<br />

si combattè con grande e mirabile equità, perché l'onnipotente Dio<br />

entrò in lizza con il crudele nemico non già nella sua maestà, ma<br />

nella nostra umiltà. Gli oppose la stessa nostra forma e natura, soggetta<br />

alla mortalità come noi, sebbene libera da ogni peccato... Riconosci,<br />

o cristiano, la tua dignità... ricordati che sei stato strappato<br />

dal potere delle tenebre e sei stato trasferito nella luce e nel regno<br />

di Dio » 185 .<br />

Lo slesso tema si ritrova non di rado negli antichi sacramentari.<br />

<strong>Il</strong> Leoniano contiene queste due orazioni per la festa di Natale :<br />

« Concedi, te ne preghiamo, o Signore nostro Dio, che Colui il quale<br />

è nato oggi per distruggere il diavolo e perdonare i peccati, ci purifichi<br />

dagli inquinamenti delle colpe e ci difenda dagli attacchi dei<br />

nemici ». « O Dio, che non hai permesso che, per la malignità del<br />

diavolo, perisse l'uomo da te creato, applica i rimedi <strong>della</strong> tua<br />

misericordia, affinché la fallacia del nemico non prevalga contro di<br />

lui, ma egli, invece, ottenga la redenzione dalla tua bontà » 186 .<br />

Nel Gelasiano ricorre l'idea che abbiamo bisogno _<strong>della</strong> protezione<br />

di Dio contro Satana per poter celebrare degnamente l'avvento<br />

e la Natività e si prega che questa festa ci liberi dal suo influsso:<br />

« In virtù di questi doni, o Signore, te ne preghiamo, allontana sempre<br />

da noi le macchinazioni diaboliche affinché noi possiamo celebrare<br />

con menti pure la Natività del nostro Redentore » 16T . « Affrettati,<br />

non tardare, Signore, Dio nostro, e liberaci con la tua potenza<br />

dal diabolico furore » 168 . <strong>Il</strong> Missale gothicum prega Dio che, per<br />

noi, la festa <strong>della</strong> Natività significhi la nostra liberazione da Satana<br />

169 e rileva che Cristo, assoggettandosi alla legge <strong>della</strong> circoncisione,<br />

ha scosso dal nostro collo il giogo del diavolo iro . <strong>Il</strong> Messale<br />

ambrosiano, nel prefazio <strong>della</strong> festa <strong>della</strong> Madonna, la sesta domenica<br />

dell'avvento, nel quadro del tema Eva-Maria, oppone l'opera<br />

del serpente in Eva e per Eva e l'opera <strong>della</strong> Vergine, per cui questa<br />

appare come la distruzione dell'opera del serpente e di Eva. Nella<br />

Inlatio del messale mozarabico per la quarta domenica dell'Avvento,<br />

tutto il mistero di Cristo come venuta epifanica del Signore, ai suoi<br />

diversi piani: nella sua annunziazione nell'Antico Testamento, nella<br />

les Secondo notturno lezione 5 e 6.<br />

"e Ed. Mohlberg n. 1251 e n. 1275.<br />

!«' Ed. Mohlberg n. 13 p. 8.<br />

168 ibid. n. 1150 p. 173. Anche il peccato che ci tiene schiavi per «debito»<br />

o per « vecchia servitù » e da cui si chiede che la Natività di nostro Signore ci<br />

liberi, se non esprime proprio direttamente, tocca almeno da vicino, il tema<br />

<strong>della</strong> nostra schiavitù sotto Satana da cui ci libera la Natività di Cristo. Vedi<br />

Gelasiano ibid. n. 1148, orazione: Concede quaesumus, omnipotens Deus, ut qui<br />

sub peccati jugo... Gregoriano, ed. Wilson p. 115, orazione: Concede quaesumus...<br />

Messale romano, orazione <strong>della</strong> terza messa del giorno di Natale.<br />

» Ed. Bannister n. 11 p. 4,2 s.<br />

"o Ibid. n. 55, p. 18, 15 s.


LA QUARESIMA 415<br />

sua realizzazione storica in Palestina, nella sua realizzazione mistica<br />

in noi, nella futura parusia, è prospettato come avente per scopo di<br />

strappare l'uomo alla schiavitù di Satana in .<br />

La quaresima come lotta del fedeli contro Satana<br />

È però nel ciclo del tempo dalla settuagesima alla Pentecoste,<br />

e specialmente durante la quaresima, che il tema <strong>della</strong> lotta contro<br />

Satana occupa un posto eminente. Si può facilmente congetturarlo<br />

anche da ciò che abbiamo detto dell'importanza di questo tema nella<br />

<strong>liturgia</strong> dell'iniziazione cristiana e in quella penitenziale i cui riti,<br />

nell'antica Chiesa, si svolgevano appunto in questo periodo. Non<br />

ripeteremo ciò che è stato già detto a proposito dell'amministrazione<br />

di questi sacramenti ai catecumeni e ai penitenti pubblici.<br />

Dobbiamo invece rilevare ancora come quest'intero periodo, e in<br />

specie la quaresima, sia concepito come il periodo per eccellenza<br />

<strong>della</strong> lotta contro Satana non solo per i catecumeni e i penitenti<br />

pubblici, che si preparano a ricevere a Pasqua i sacramenti dell'iniziazione<br />

e <strong>della</strong> riconciliazione, ma anche per tutti i fedeli che ogni<br />

anno celebrano e realizzano sempre più profondamente in sé il<br />

mistero di Cristo come redenzione.<br />

La quaresima è concepita come il periodo dei grandi annui<br />

esercizi spirituali di tutta la Chiesa, incentrati sul sole del mistero<br />

di Cristo come redenzione resa necessaria, preparata, prefigurata,<br />

annunziata nell'Antico Testamento; realizzatasi radicalmente nella •<br />

vita mortale dello stesso Cristo Gesù, principalmente nella sua passione,<br />

morte, risurrezione, ascensione; e che si realizza in mysterio<br />

continuamente, ma specialmente in questo periodo, non solo nei<br />

catecumeni e nei penitenti, ma anche negli altri fedeli, come principio<br />

e prefigurazione <strong>della</strong> sua realizzazione completa nella parusia.<br />

Per tutti i fedeli i grandi mezzi di questa realizzazione sono in<br />

primo luogo, la partecipazione ai sacramenti pasquali nel loro<br />

intero complesso liturgico: i sacramenti dell'iniziazione per i catecumeni,<br />

<strong>della</strong> riconciliazione e dell'eucaristia per i penitenti, dell'eucaristia<br />

per gli altri fedeli. In secondo luogo: la preghiera, il<br />

digiuno, le buone opere verso gli altri, specialmente l'elemosina ai<br />

bisognosi, la lettura e la meditazione delle Scritture e, in genere,<br />

la pratica più intensa delle virtù cristiane durante questo periodo.<br />

È dunque un'intensificazione generale <strong>della</strong> vita cristiana in tutti<br />

i suoi aspetti, incentrata nella vita liturgica dei misteri pasquali.<br />

Durante la quaresima tutti i fedeli, nell'intenzione <strong>della</strong> Chiesa,<br />

devono avvicinarsi un po' a quel tipo di vita cristiana più perfetta<br />

che gli asceti, tra gli altri cristiani, hanno per ideale di realizzare<br />

continuamente nella loro vita. Sono notissime le parole di S. Leone:<br />

« A sì grandi misteri dovremmo avere tanta incessabile devotio e<br />

171 Liber sacramentorum, ed. Férotin n. 32.


416 CAP. XIII - LE DUE CITTA<br />

continua riverenza da rimanere sempre dinanzi a Dio in quello stato<br />

in cui il giorno di Pasqua dovrebbe trovarci. Ma tuttavia questa perfezione<br />

è di pochi. Mentre l'austerità si rilassa per la fragilità <strong>della</strong><br />

carne e la nostra preoccupazione si posa sui diversi affari di questa<br />

vita, è inevitabile che anche le anime sinceramente religiose si<br />

macchino <strong>della</strong> polvere del mondo. Perciò la divina provvidenza ha<br />

molto salutarmente disposto che, per riparare la purezza dell'anima,<br />

avessimo la medicina di quaranta giorni di esercizi, nei quali le pie<br />

opere potessero redimere le colpe degli altri tempi e i casti digiuni<br />

farle sparire » 172 .<br />

In questo quadro ci si può facilmente aspettare che la quaresima<br />

sia comunemente considerata, dalle liturgie storiche ed attuali, come<br />

il tempo per eccellenza in cui il cristiano entra in lotta contro Satana.<br />

Così, in specie, concepiscono la quaresima il messale e il breviario<br />

romano nel loro stato attuale. Lo dice con ogni chiarezza l'orazione<br />

che, come già nel Gregoriano, chiude la cerimonia dell'imposizione<br />

delle ceneri il mercoledì delle ceneri : « Concedici, o Signore, di<br />

iniziare con santi digiuni le opere di difesa <strong>della</strong> milizia cristiana,<br />

affinché, dovendo lottare contro gli spiriti maligni, ci troviamo muniti<br />

dell'ausilio dell'astinenza ». Si tratta di un'orazione per l'inizio <strong>della</strong><br />

quaresima, la quale viene così concepita come un tempo in cui i<br />

fedeli, ordinati in schiere come soldati di Cristo in lotta contro gli<br />

spiriti maligni, si preoccupano, sin dal primo momento <strong>della</strong> campagna,<br />

d'innalzare mediante il digiuno validi presidi di difesa contro<br />

il nemico.<br />

È intonata allo stesso concetto tutta la struttura <strong>della</strong> prima<br />

domenica di quaresima sia nel rito romano che in quello ambrosiano.<br />

Tale è il significato <strong>della</strong> scelta del vangelo: la tentazione di<br />

Gesù secondo Matteo 4,1-11, e dell'epistola: le virtù cristiane, con<br />

chiara allusione alla panoplia di cui deve rivestirsi il soldato di<br />

Cristo secondo 2 Cor 6,1-10, da mettere in parallelo con Ef 6,11-18.<br />

Questo vangelo e questa epistola furono scelti per la messa che<br />

anticamente iniziava la quaresima con l'intenzione di mettere in<br />

parallelo di significato la quarantena in cui sta per entrare il fedele,<br />

con la quarantena di Cristo nel deserto dopo il suo battesimo e<br />

prima dell'inizio del suo ministero pubblico, concepite l'una e l'altra<br />

come una lotta in campo chiuso contro il demonio. Nello stesso<br />

<strong>senso</strong> vanno intesi l'introito, il graduale, l'offertorio, il communio<br />

dove si fa parola <strong>della</strong> protezione di Dio e dei suoi angeli accordata<br />

contro il nemico.<br />

Questo <strong>senso</strong> generale <strong>della</strong> quaresima come periodo di speciale<br />

lotta contro Satana è stato fortemente e assai felicemente<br />

accentuato anche dalla <strong>liturgia</strong> mozarabica. Eccone alcuni testi caratteristici.<br />

<strong>Il</strong> terzo esempio, oltre a quello di Mosè e di Elia, che i<br />

fedeli devono imitare nella quaresima è quello di Cristo stesso<br />

« il quale ritirato nel segreto del deserto per quaranta giorni interi,<br />

172 Omelia del secondo notturno <strong>della</strong> prima domenica di quaresima.


PASSIONE E ASCENSIONE 417<br />

annichilò tutti i tentativi del diavolo » 173 ; « Egli digiunò, riportò<br />

glorioso trionfo sul diavolo e, con il suo esempio, indicò ai propri<br />

soldati il modo di combattere » 174 . Perciò, durante la quaresima,<br />

« con ogni cura, fratelli carissimi, dobbiamo osservare la pratica del<br />

digiuno e la lotta contro il diavolo come contro i nemici d'altra<br />

razza, in attacchi quotidiani, giorno e notte, perché il diavolo scompagina,<br />

con pensieri cattivi, colui che non ha potuto ingannare a<br />

fare opere non buone e sollecita con false illusioni nel sonno colui<br />

che non ha potuto tentare sveglio » 175 .<br />

Poiché tale è il <strong>senso</strong> generale <strong>della</strong> quaresima, bisogna intendere<br />

esplicitamente di lotta contro Satana quelle numerose espressioni<br />

delle liturgie che, in questo tempo, chiedono protezione a Dio<br />

contro i nemici 176 .<br />

La lotta e il trionfo di Cristo su Satana nella <strong>liturgia</strong><br />

dalla domenica di passione all'Ascensione<br />

Nella <strong>liturgia</strong> di questo periodo liturgico, cominciando dalla domenica<br />

di passione fino all'Ascensione, è fortemente messo in rilievo,<br />

come nello stesso Nuovo Testamento, il concetto che la passione,<br />

la morte sulla croce, la discesa all'inferno, la risurrezione e l'ascensione<br />

di Cristo sono altrettanti atti <strong>della</strong> sua lotta contro Satana<br />

e del suo trionfo sopra di lui. Così nella <strong>liturgia</strong> romana la settimana<br />

di passione descrive l'opposizione sempre più incalzante tra<br />

Gesù e i suoi nemici, dietro i quali sta Satana. La cosa è messa in<br />

rilievo in specie il sabato di passione mediante la lettura del vangelo<br />

di Gv 12,10-36 dove Gesù esclama : « È venuto il momento in cui il<br />

mondo sarà giudicato; ora il principe di questo mondo sarà cacciato<br />

fuori. Ed io quando sarò innalzato da terra, trarrò tutto<br />

a me ».<br />

Nella domenica delle palme poi il concetto è accentuato dalla<br />

processione delle palme il cui significato antagonistico contro Satana<br />

viene affermato sia dall'orazione Benedic tuttora conservata nel nuovo<br />

Ordo <strong>della</strong> settimana santa 177 sia, e più esplicitamente ancora, nella<br />

orazione Deus, qui miro, ora soppressa: « ...Significano infatti i rami<br />

di palme i trionfi sul principe <strong>della</strong> morte; i virgulti di olivo, invece,<br />

annunziano in qualche maniera, l'avvento di Colui nel quale è l'un-<br />

'" Liber mozarabicus sacramentorum, ed. Férotin n. 318.<br />

"« Ibid. n. 477. Vedi tutto il testo.<br />

175 Ibid. 473. Sul tema del digiuno come lotta contro Satana, vedi anche<br />

ibid. n. 345; 346; 514.<br />

176 Così, nella <strong>liturgia</strong> romana attuale: il postcommunio del mercoledì <strong>della</strong><br />

prima settimana di quaresima, orazione che si trova già nel Gregoriano; l'orazione<br />

super populum del martedì <strong>della</strong> prima settimana, che anch'essa già si<br />

trovava nel Gregoriano; l'orazione <strong>della</strong> seconda domenica di quaresima.<br />

177 « Benedici, te ne preghiamo, o Signore, questi rami di palma e d'olivo<br />

e concedi che quanto il tuo popolo fa oggi materialmente in tuo onore, compia<br />

spiritualmente con la più profonda devozione riportando vittoria sul nemico e<br />

amando sommamente l'azione <strong>della</strong> tua misericordia ».<br />

14 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


418 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

zione spirituale. Poiché comprese già allora quella fortunata moltitudine<br />

d'uomini ciò che questi simboli prefiguravano : come il Redentore<br />

nostro, compatendo le umane miserie, per la vita di tutto il mondo<br />

si preparava a combattere il principe <strong>della</strong> morte, e nella morte, ad<br />

esserne il vincitore. Perciò questo popolo rese omaggio al Signore<br />

con quei rami che significavano il trionfo <strong>della</strong> sua vittoria e la dolcezza<br />

<strong>della</strong> sua misericordia. E noi che nel fervore <strong>della</strong> fede rammentiamo<br />

questo fatto e questo simbolo, q Signore Santo, ...ti supplichiamo,<br />

per Gesù Cristo, nostro Signore, affinché in Lui e per<br />

Lui, del quale ci volesti membri, riportiamo vittoria sull'impero <strong>della</strong><br />

morte e meritiamo di essere partecipi <strong>della</strong> sua gloriosa risurrezione ».<br />

La morte in croce come vittoria di Cristo sul diavolo, secondo<br />

il pensiero stesso del Nuovo Testamento e <strong>della</strong> tradizione patristica,<br />

specialmente dal secolo quarto dopo l'invenzione <strong>della</strong> croce, è<br />

pure un tema ben noto nelle liturgie. In quella romana lo stesso<br />

venerdì santo è assai sviluppato nella cerimonia dell'adorazione <strong>della</strong><br />

croce. <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> generale del rito è l'adorazione e la glorificazione <strong>della</strong><br />

croce come vessillo trionfale di Cristo. Trionfale appunto contro le<br />

potenze dell'inferno. <strong>Il</strong> pensiero è liricamente espresso nell'inno di<br />

Venanzio Fortunato Punge lingua gloriosi nelle sue tre prime strofe:<br />

« Canta, o lingua, il combattimento <strong>della</strong> gloriosa lotta e proclama il<br />

nobile trionfo sul trofeo <strong>della</strong> croce: come il Redentore del mondo<br />

vinse immolandosi. <strong>Il</strong> Creatore, compassionando l'inganno fatto al<br />

primo padre quando, mangiando il frutto letale, incorse nella morte :<br />

allora scelse il legno per riparare ai danni del legno. L'ordine richiedeva<br />

che tale fosse la via <strong>della</strong> nostra salvezza: che l'arte vincesse<br />

l'arte dell'astuto ingannatore e che facesse sorgere il rimedio donde<br />

il nemico aveva portato l'offesa ». Lo stesso concetto ritorna nel prefazio<br />

<strong>della</strong> croce che nel rito romano si dice durante il tempo <strong>della</strong><br />

passione, nelle feste <strong>della</strong> croce e del prezioso sangue di Cristo:<br />

« ...tu che hai costituito la salvezza del genere umano nel legno <strong>della</strong><br />

croce: affinché donde era venuta la morte di là risorgesse la vita:<br />

e colui, che da un albero aveva vinto, da un albero a sua volta<br />

fosse vinto per Cristo nostro Signore ».<br />

Gli stessi concetti ricorrono nelle feste <strong>della</strong> croce che sono<br />

come un'estensione del venerdì santo. Caratteristiche le antifone<br />

delle due feste <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> romana dell'esaltazione e dell'invenzione<br />

<strong>della</strong> croce : « Ecco la croce del Signore; fuggite avversari; ha<br />

vinto il leone di Giuda; il rampollo di David »; « Per il segno <strong>della</strong><br />

croce liberaci dai nostri nemici, o nostro Dio »; « per il legno siamo<br />

stati fatti schiavi e per la santa croce siamo stati liberati ». Si possono<br />

vedere nello stesso <strong>senso</strong> espressioni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> mozarabica 17s ,<br />

delle liturgie gallicane" 9 , <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> bizantina 180 .<br />

1:8 Liber mozar. sacr., ed. Férotin n. 739 ss, specialmente n. 743.<br />

170 Vedi, per es., Missale gothicum ed. Bannistcr n. 317 ss; Messale di Bobbio,<br />

ed. Lowe n. 288 ss, specialmente la Contestatio n. 292.<br />

iso Vedi la festa del 14 Settembre e quella <strong>della</strong> terza domenica di quaresima,<br />

Triodion, Roma 1879, per es., p. 349 terzo stico; p. 351 gli stichi 2-4;<br />

p. 353 cdthisma; p. 356 ode 5 stico terzo, ecc.


IL MARTIRIO 419<br />

Nello stesso modo è tema comune alle liturgie, secondo i concetti<br />

del Nuovo Testamento, quello <strong>della</strong> discesa di Cristo all'inferno,<br />

<strong>della</strong> sua risurrezione e <strong>della</strong> sua ascensione come trionfo su Satana m .<br />

Cristo « scese all'inferno, vinse la morte, rese impotente il diavolo,<br />

passò oltre alle leggi del tartaro e in se stesso, che era morto secondo<br />

la condizione umana, fece risorgere l'intero genere umano che in sé<br />

generava a nuova vita » 182 . « Ci hai liberati dai pericoli dell'inferno...<br />

ci hai riconciliati con Dio... Avendo annientato qualsiasi diritto che<br />

in noi aveva la morte... tu dirigi la speranza <strong>della</strong> nostra libertà verso<br />

la celeste beatitudine. Nelle primizie <strong>della</strong> tua vittoria e <strong>della</strong> tua<br />

risurrezione, ci chiami ai doni dell'eterna beatitudine. Volendo dare<br />

un posto ai redenti nel cielo, tu sali, nostro precursore, a Dio Padre<br />

mentre ci chiami, e così, redentore sulla terra, propiziatore in cielo,<br />

liberi coloro che quaggiù soffrono e difendi gli schiavi, chiamandoli<br />

a te » 18S .<br />

La lotta contro Satana nel santorale:<br />

il martirio, specialmente delle donne, come vittoria su Satana<br />

Nel santorale il tema principale, per la materia che c'interessa,<br />

è quello del martirio, specialmente delle donne, come vittoria sul<br />

diavolo. La cosa è connessa con la teologia del martirio che era così<br />

sentita dagli antichi cristiani. <strong>Il</strong> martirio, perché dedizione totale a<br />

Dio nel modo più plenario che sia consentito, era considerato come<br />

la più perfetta imitazione di Cristo e quindi l'apice <strong>della</strong> perfezione<br />

e <strong>della</strong> vita cristiana. Naturale, quindi, che fosse considerato anche<br />

come la somma vittoria del cristiano, meglio ancora di Cristo stesso<br />

nei suoi membri, contro Satana. La sconfitta di Satana nel martirio<br />

dei fedeli è stata considerata dalla tradizione come particolarmente<br />

grande e per lui vergognosa quando gli è inflitta da una donna. L'idea<br />

va posta in relazione con il concetto di sesso debole e con il fatto<br />

che, poiché Satana, nel paradiso, si era assicurata la vittoria sul<br />

genere umano attraverso la donna, la sua sconfitta nel martirio di<br />

una donna è una più splendente rivincita contro di lui.<br />

Queste idee ricorrono spessissimo nel Leoniano e sempre nei<br />

prefazi propri dei martiri. Ciò spiega come dapprima questi testi<br />

siano stati molto ridotti nei sacramentari romani successivi, i quali,<br />

i8i Vedi, per es., ottima e succosa espressione generale di queste idee nella<br />

<strong>liturgia</strong> mozarabica, Liber sacr., ed. Férotin n. 615; 616; 679; 704; 707; 752; 753.<br />

Vedi Gelasiano, ed. Mohlberg n. 457 p. 75; n. 575 p. 89; n. 583 p. 90; n. 589 p. 90.<br />

Gregoriano, nel codice ottoboniano 313, praefatio in feria 111 post dominicam<br />

VI in palmis, ed. Wilson p. 269; prefazio per l'Ascensione ibid. p. 275 s. Nella<br />

<strong>liturgia</strong> romana odierna vedi, per esempio, i due inni pasquali: Aurora lucis<br />

rutilat (brev. monastico). Ad caenam Agni providi (brev. monastico); le omelie<br />

del secondo notturno del lunedì e del martedì di Pasqua; l'inno Aeterne rex<br />

altissime; l'inno Jesu nostra redemptio (brev. monastico); l'omelia di S. Leone<br />

nel secondo notturno dell'Ascensione.<br />

182 Lib. mot. sacr., ed. Férotin n. 704.<br />

183 Ibid. n. 707.


420 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

com'è noto, lasciarono una gran parte dei prefazi del Leoniano,<br />

e come, con la soppressione di questi prefazi propri, sparissero poi<br />

completamente dal nostro messale romano.<br />

Ecco un esempio tipico dal Leoniano a proposito di S. Cecilia:<br />

« È veramente degno... tu che, perché fosse maggiore il trionfo sul<br />

nemico del genere umano, non solo annientasti la tirannide del diavolo<br />

per Cristo nostro Signore; e non soltanto, per il sesso virile<br />

e il merito dei beati martiri, tu vendichi sull'ingannatore la caduta<br />

del primo uomo; ma anche, per mezzo <strong>della</strong> donna, ritorci giustamente<br />

la vendetta contro il nemico <strong>della</strong> nostra madre Eva; affinché<br />

colui che prostrò l'uno e l'altro sesso malamente fiducioso nella<br />

sua felicità paradisiaca, ora, per la tua grazia, sia dall'uno e dall'altro<br />

conculcato » 184 . Un altro esempio a proposito di S. Stefano :<br />

« È veramente degno... perché non solo, per Gesù Cristo, nostro<br />

Signore, ci hai fatto il dono dell'adozione a tuoi figli affinché fosse<br />

conculcato l'aculeo del crudele inferno e colui che ne aveva ricevuto<br />

la potenza, il diavolo, e pertanto la morte, contratta come pena<br />

per il peccato, quando fosse tollerata per la giustizia, si trasformasse<br />

in premio; ma la larghezza <strong>della</strong> tua grazia sovrabbondante è<br />

tale che la natura umana percepisce tutto questo non solo nel<br />

nostro Redentore, ma anche nella confessione di coloro che credono<br />

in Lui. La serie di questi doni e di queste vittorie la iniziò santo<br />

Stefano levita del Nuovo Testamento e primo martire dopo la passione<br />

del Signore. Per... » 185 .<br />

Di simili prefazi ne trovo uno nel sacramentario gregoriano 186 e<br />

diversi ancora in speciali recensioni dello stesso 187 . Anche nel Liber<br />

sacramentorum mozarabico questi concetti non sono rari 188 . È da<br />

deplorarsi che nel nostro attuale messale siano tutti spariti; essi<br />

prospettano un aspetto biblico {Ap 12,7-12), profondamente tradizionale<br />

e oggettivamente importante, <strong>della</strong> teologia del martirio. Nel<br />

messale romano attuale rilevo due orazioni nelle quali la Chiesa<br />

chiede a Dio la protezione contro il diavolo per intercessione dei<br />

santi 189 .<br />

Gli angeli e Maria e la lotta contro Satana<br />

Un altro tema biblico e tradizionale, poi comune a tutte le<br />

liturgie storiche ed attuali, è l'importanza degli angeli buoni nella<br />

lotta contro Satana, l'aiuto che essi ci danno a questo scopo, le<br />

•a* Ed. Mohlberg n. 1180.<br />

185<br />

n. 678. Vedi nello stesso Leoniano n. 29; 159; 161; 164; 784; 826; 837; 839;<br />

1183; 1185.<br />

186 Ed. Wilson p. 10 per S. Anastasia.<br />

187<br />

Codice R., praefatio de pluribus virginibus, ed. Wilson p. 242; Codice<br />

ottoboniano 313: per i Ss. Tiburzio, Valeriano, Massimo, ibid., p. 273; per S. Giorgio,<br />

ibid. p. 286; per una vergine, ibid. p. 297; per parecchie vergini, ibid. p. 247.<br />

188<br />

Vedi, per es., ed. Férotin n. 72; 81; 96.<br />

139<br />

Postcommunio <strong>della</strong> messa di S. Giovanni da Capestrano il 28 Marzo;<br />

Orazione <strong>della</strong> messa di S. Ubaldo il 16 Maggio.


ANGELI E MARIA 421<br />

preghiere che noi facciamo a Dio o agli angeli stessi affinché questo<br />

aiuto non ci venga meno. Nel ciclo liturgico del santorale esso appare<br />

anzitutto nella festa di S. Michele e, nel rito romano attuale, in<br />

quella più recente degli angeli custodi, il due ottobre, sempre nel<br />

breviario, anzitutto negli inni. Esso ricorreva pure nella preghiera<br />

che Leone XIII volle che si recitasse ai piedi dell'altare alla fine<br />

<strong>della</strong> messa e nelle preghiere che lo stesso Papa fece precedere<br />

all'esorcismo contro Satana e gli angeli apostati che fece inserire<br />

nel rituale romano ,90 .<br />

Invece, il tema <strong>della</strong> parte di Maria nella lotta contro Satana<br />

appare nelle liturgie relativamente tardi e solo in composizioni contemporanee<br />

ha preso qualche consistenza. <strong>Il</strong> che non significa che<br />

questa parte di Maria non sia, oggettivamente, grandissima — che<br />

anzi, il ragionamento <strong>teologico</strong>, basandosi sui principi sviluppati<br />

in questa stessa esposizione, dimostra facilmente che questa parte<br />

è somma e immensamente superiore a quella di qualsiasi angelo<br />

o santo — ma è un semplice riflesso dello sviluppo relativamente tardivo<br />

<strong>della</strong> teologia mariana e dello sviluppo su larghissima scala<br />

<strong>della</strong> stessa pietà solo ad un'epoca in cui le liturgie si erano già<br />

costituite nella loro sostanza.<br />

La più antica esplicita menzione liturgica dell'opposizione tra<br />

Satana e Maria, come anche la più antica invocazione a Dio che per<br />

l'intercessione di Maria ci difenda dal demonio, la trovo in occidente,<br />

in una messa del Missale gothicum datato dall'editore Bannister<br />

<strong>della</strong> fine del secolo settimo o del principio dell'ottavo. Nella Contestano<br />

<strong>della</strong> messa dell'Assunzione, Maria è chiamata : « talamo<br />

splendido dal quale si avanza il degno sposo; luce delle genti; speranza<br />

dei fedeli; predone dei demoni » I91 ; predone dei demoni, senza<br />

dubbio, per indicare che strappò tutta la preda ai demoni. Nella<br />

stessa messa, nell'orazione dopo il Pater noster così si prega Dio:<br />

« Liberaci da ogni male, da ogni delitto, o Dio, autore di tutti i beni<br />

e creatore, e, per intercessione <strong>della</strong> beata Maria, tua madre, difendici<br />

con quotidiana protezione contro le quotidiane insidie del nemico.<br />

Salvatore del mondo che assieme al Padre e allo Spirito Santo<br />

vivi e regni... » 192 .<br />

Non è dato spesso incontrare testi liturgici di simile tenore<br />

neppure nel medioevo. Può darsi che uno spoglio metodico dei documenti<br />

arricchisca in qualche modo la documentazione ora nota. Egon<br />

von Petersdorff che ne fece ricerca dice che il testo più antico che<br />

ha potuto trovare è probabilmente del secolo XIII, dopo di che ne<br />

ha trovati alcuni nel Sacerdotale romanum del secolo XVI, che è<br />

come l'antenato del nostro rituale romano, e parecchi in composizioni<br />

liturgiche recentissime dei secoli XIX e XX 193 . Infatti, nelle<br />

!» Tit XII cap. 3.<br />

] 9i Ed. Bannister n. 98.<br />

« 2 Ibid. n. 102.<br />

3 E. VON PBTERSDORFF, De daemonibus in <strong>liturgia</strong> memoratis, in: Angehcum<br />

19 (1942) 332. Nella <strong>liturgia</strong> greca si hanno alcune belle espressioni nello stesso


422 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

feste mariane di istituzione recente, il concetto antidemonologico<br />

appare spesso e si esprime in questi due temi: Maria ha vinto il<br />

serpente antico, gli ha schiacciato la testa, con riferimento al testo<br />

del Genesi; Maria, ci difende dalle insidie diaboliche « Torre impervia<br />

al dragone — dice l'inno Prceclara custos virginum per la festa dell'Immacolata<br />

Concezione — stella amica ai naufraghi, proteggici dai<br />

suoi inganni, e dirigici con la tua luce » 194 .<br />

La lotta contro Satana nell'ufficio feriale<br />

Per completare il quadro dell'importanza che ha la realtà <strong>della</strong><br />

lotta contro Satana nella <strong>liturgia</strong>, accenno solo a un punto che dovrà<br />

essere provato in un prossimo capitolo : e cioè che tutti i salmi dell'Antico<br />

Testamento che sono in qualche modo indirizzati contro i<br />

nemici — e, come è noto, sono molto numerosi — quando vengono<br />

usati nella <strong>liturgia</strong>, possono e devono, non solo per tradizione e tanto<br />

meno per arbitrario allegorismo, ma per esigenza intrinseca di principi<br />

teologici, essere intesi come indirizzati contro Satana e i suoi<br />

satelliti. Da questa semplice osservazione si vede come la realtà<br />

<strong>della</strong> lotta contro Satana entri per una parte importante nei concetti<br />

del salterio feriale.<br />

La <strong>liturgia</strong> romana del breviario feriale ci ricorda la lotta contro<br />

Satana in modo speciale nell'ultima ora canonica del giorno,<br />

la compieta. La lezione breve è l'ammonimento di S. Pietro : « Fratelli<br />

siate sobri e vigilanti, perché il vostro avversario, il diavolo, come<br />

leone ruggente, vi gira intorno cercando chi divorare. Resistetegli<br />

forti nella fede ». L'inno è una preghiera a Dio per la protezione<br />

contro le insidie diaboliche, messe in relazione, in specie, con possibili<br />

sogni e fantasmi impuri e polluzioni : « Per la tua clemenza sii<br />

pronto a custodirci. Lontano fuggano i sogni e i notturni fantasmi;<br />

impedisci il nostro nemico affinché i corpi non siano contaminati ».<br />

L'orazione che chiude l'ora è ancora una domanda a Dio che protegga<br />

dalle insidie diaboliche la casa dov'è colui che prega e i suoi<br />

abitanti, in ispecie mediante la custodia dei santi angeli : « Visita,<br />

<strong>senso</strong> nell'Inno acatisto. Vedi G. G. MEERSEMANN, Der Hymnos Akàthistos im<br />

Abendland, Freiburg, I 1958 pp. 27; 37; 45; 49; 53; 73; 77.<br />

194 Vedi nello stesso <strong>senso</strong> nella festa dell'Immacolata Concezione: la lettura<br />

del Genesi nel primo notturno con il responsorio dopo la prima lezione;<br />

l'antifona Ad Benedictus; l'inno delle lodi, terza strofa. Nella festa dell'apparizione<br />

dell'Immacolata a Lourdes, l'undici Febbraio, vedi l'inno: Te dicimus<br />

praeconio, strofe 3 e 5; la nona lezione da S. Bernardo; l'inno: Aurora soli,<br />

strofe 4 e 5. Nella festa <strong>della</strong> maternità di Maria l'undici Ottobre: l'inno delle<br />

lodi, terza strofa. Nella festa di-Maria ausiliatrice il 24 Maggio, l'orazione. Si<br />

noti pure l'esorcismo contro Satana e gli angeli apostati inserito nel rituale sotto<br />

Leone XIII. Vi appare la prima, volta in un esorcismo liturgico la menzione<br />

esplicita di Maria: « In nomine Jesu Christi... intercedente immaculata virgine<br />

Dei genitrice Maria... imperat Ubi excelsa Dei genitrix Maria... », Rituale, Ut.<br />

XII cap. 3.


CONCLUSIONE 423<br />

te ne preghiamo, o Signore, questa casa e respingi lontano da essa<br />

ogni insidia del nemico. I tuoi santi angeli vi abitino, ci custodiscano<br />

in pace e la tua benedizione sia sempre sopra di noi ».<br />

I salmi propri e specifici di compieta nella tradizione monastica,<br />

dove quest'ora canonica è nata, sono il quarto, il novantesimo e il<br />

centotrentatreesimo secondo la numerazione <strong>della</strong> volgata. L'ufficio<br />

romano li ha conservati nella compieta <strong>della</strong> domenica, mentre<br />

gli altri giorni li ha variati.<br />

Ora il salmo novantesimo è stato scelto evidentemente per il suo<br />

<strong>senso</strong> antidemoniaco. È il salmo che ebbe grande importanza nella<br />

tentazione di nostro Signore nel deserto ed è caratteristico <strong>della</strong><br />

prima domenica di quaresima. Vi si parla infatti <strong>della</strong> protezione che<br />

Dio accorda ai suoi fedeli, mandando anche i suoi angeli al loro<br />

servizio, di modo che potranno uscire illesi da tutti i pericoli e da<br />

tutte le insidie dei nemici : « Non temerai il terrore notturno, né la<br />

saetta che vola di giorno, né la peste che serpeggia nel buio, né —<br />

dice la traduzione dei settanta e <strong>della</strong> volgata, e quindi dicono tutte<br />

le liturgie — il demonio che infierisce a mezzodì. Mille cadranno al<br />

tuo fianco, e dieci mila alla tua destra; e a te non si avvicinerà... Non<br />

ti capiterà alcun male, né piaga alcuna s'appresserà alla tua tenda,<br />

poiché Egli comanderà ai suoi angeli di guardarti in tutte le tue vie.<br />

Sulle palme ti porteranno, acciocché il tuo piede non inciampi su<br />

pietra. Camminerai sopra il leone e l'aspide, calpesterai il leoncello<br />

e il drago ». Anche se il testo ebraico non parla direttamente di<br />

demoni, i settanta non li menzionarono arbitrariamente quando si<br />

riflette alla connessione che esiste in tutta la tradizione biblica, e<br />

orientale in genere, tra i pericoli e le malattie ivi menzionate e i<br />

demoni. Non è esagerato dire che la scelta di questo salmo a compieta,<br />

specialmente nella tradizione monastica che ve lo ripete ogni<br />

giorno, vuole inculcare al fedele al principio <strong>della</strong> notte la sua condizione<br />

essenziale di lottatore contro Satana nel ricordo <strong>della</strong> tentazione<br />

di nostro Signore, dell'inespugnabile protezione dell'Altissimo e <strong>della</strong><br />

custodia dei suoi angeli.<br />

* * *<br />

In conclusione, si deve affermare che la realtà <strong>della</strong> continua e<br />

cosmica lotta contro Satana è un aspetto essenziale <strong>della</strong> rivelazione<br />

e quindi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e che, se si perde di vista, né la rivelazione<br />

né la <strong>liturgia</strong> sono comprensibili. La storia sacra delle comunicazioni<br />

di Dio al mondo e <strong>della</strong> risposta del mondo a queste comunicazioni,<br />

include essenzialmente un dramma: due regni, due città<br />

in lotta. <strong>Il</strong> dramma di ogni essere fa parte di questo dramma più<br />

generale e cosmico. La <strong>liturgia</strong>, a chi la vive, non permette di dimenticarlo,<br />

come la rivelazione vuole che non si dimentichi. In essa appare<br />

come la Chiesa « sempre in assetto di battaglia, lotta incessantemente<br />

contro i nemici, per cui l'Apostolo dice : non abbiamo da combattere<br />

contro la carne e il sangue, ma contro i principi e le potestà,


424 CAP. XIII - LE DUE CITTÀ<br />

contro i padroni di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti maligni<br />

dell'aria » ,95 .<br />

Solo a questa luce si può capire perché le liturgie non cessano,<br />

con formule anche generiche, oltre che con quelle di carattere più<br />

specifico che abbiamo fin qui esaminate, di esortare i fedeli alla lotta<br />

contro Satana, di, chiedere a Dio protezione per i fedeli e per la<br />

Chiesa contro Satana e i suoi angeli. « Siate forti nella guerra, e combattete<br />

contro l'antico serpente e riceverete il regno eterno », ammonisce<br />

la <strong>liturgia</strong> romana nell'antifona al Magnificat dei secondi vespri<br />

degli Apostoli. Molto bene la <strong>liturgia</strong> mozarabica, alla fine delle feste<br />

pasquali, considerando la quaresima, anzi tutta la vita cristiana, come<br />

una lotta contro Satana, prega : « Non permettere, Signore, che perisca<br />

in noi la notizia dei beni che ci hai data risuscitandoci alla salvezza<br />

mentre eravamo perduti. Poni tra noi e l'inconvertibile diavolo<br />

un odio perfetto, perché non solo non ci possa nuocere, per tua grazia,<br />

ma che non possa nemmeno più oscurare, riguardo alla conoscenza<br />

<strong>della</strong> tua verità, coloro che tu hai illuminati » 196 . <strong>Il</strong> motivo<br />

<strong>della</strong> necessità di questa protezione divina lo spiega molto bene la<br />

stessa <strong>liturgia</strong> mozarabica : « La grazia ha già adottato l'uomo; ma<br />

il demonio non è ancora confinato nella geenna. <strong>Il</strong> peccato ha perduto<br />

di violenza, ma non ha mutato natura; abbiamo ricevuto il<br />

potere di lottare, ma non già la facoltà di starcene sicuri in ozio. L'avversario<br />

è stato spogliato ma non annientato. È inevitabile che egli<br />

digrigni i denti contro coloro sopra i quali dominava come suoi<br />

soggetti, ma che ora ha perduti » m .<br />

195 Pontificale romano, ordinazione dei diaconi. Per l'importanza che ha<br />

questa prospettiva biblica, patristica e liturgica nell'evangelizzazione in paesi<br />

di missioni, vedi per es., X. SEUMOIS, La structure de la liturgie baptismale<br />

romaine et les problèmes du catéchuménat missionnaire, in: La Maison Dieu<br />

n. 58 (1959) 83-110.<br />

196 Liber mozarabicus sacramentarum, ed. Férotin n. 713. Vedi nelle liturgie<br />

antiche altre preghiere generiche per ottenere la protezione contro Satana, per<br />

es., nel Lconiano n. 78; 140; 182; 184; 266; 391; 418; 516; 518; 520; 533; 631; 1272.<br />

197 Liber moz- sacramentorum, ed. Férotin n. 657.


FA.RTE TERZA<br />

LITURGIA E BIBBIA


CAPITOLO XIV<br />

IN CHE MODO LA LITURGIA<br />

USA LA SCRITTURA<br />

Come si è potuto vedere nella prima e nella seconda parte, la<br />

<strong>liturgia</strong> non si occupa d'altro che del mistero <strong>della</strong> storia sacra, mistero<br />

di Cristo, mistero <strong>della</strong> Chiesa. Ma questo mistero non l'inventa; non<br />

fa altro che leggerlo nelle Scritture. È per questo che l'espressione<br />

liturgica del mistero di Cristo è tutta scritturistica, specialmente nella<br />

<strong>liturgia</strong> romana. Si può dire che nella <strong>liturgia</strong> romana le composizioni<br />

non scritturistiche non solo sono in quantità relativamente ridotta,<br />

ma, in massima, non fanno altro che coordinare, sottolineare e<br />

interpretare con grande sobrietà i pensieri dei passi scritturistici che<br />

occupano sempre il posto principale.<br />

Però la <strong>liturgia</strong> legge la Scrittura in un ben determinato <strong>senso</strong>,<br />

tutto suo, sotto una luce propria che ne costituisce come la legge<br />

d'interpretazione. Si tratta di chiarire questa legge. Senza entrare nei<br />

particolari di tipo storico e descrittivo 1 mi sforzerò di considerare<br />

la cosa dal punto di vista più strettamente <strong>teologico</strong>-liturgico.<br />

1 Per l'uso <strong>della</strong> bibbia nella <strong>liturgia</strong> dal punto di vista storico vedi, per<br />

es., S. MARSILI, La bibbia nell'ufficio divino, in: Enciclopedia cattolica II (1949)<br />

1578 ss; quest'uso, in massima, deriva dalla prassi apostolica, la quale, in parte,<br />

ha le sue radici nella prassi del tempio e delle sinagoghe. La preghiera pubblica<br />

giudaica comprendeva anche la lettura di qualche passo del Pentateuco (diviso<br />

in 167 sezioni, lette in tre anni) e di un brano profetico (legge e profeti). Altri<br />

brani liturgici notevoli: il trisagio di Isaia; alcuni salmi più specialmente usati,<br />

sia ogni giorno, sia secondo una distribuzione settimanale, sia in feste particolari.<br />

Tutto fa ritenere che anche i cristiani, che da principio continuavano a<br />

frequentare il tempio e i cui apostoli facevano volentieri la loro propaganda<br />

nelle riunioni stesse delle sinagoghe (At 13,15; 15,21), abbiano continuato a leggere<br />

passi dell'Antico Testamento e cantare salmi anche quando nel loro culto<br />

si separarono definitivamente dalla sinagoga. S. Giustino, che per primo ci dà<br />

una descrizione essenziale del modo in cui si faceva l'eucaristia, menziona espressamente,<br />

nella prima parte <strong>della</strong> sinassi, la lettura dei « ricordi degli apostoli »<br />

e delle « scritture dei profeti » (/ Apol. 67). Tertulliano aggiunge anche il canto<br />

dei salmi (Anim. 9). Poi le testimonianze abbondano. La lettura delle scritture<br />

e il canto dei salmi presero uno sviluppo grandissimo nella <strong>liturgia</strong>, specialmente<br />

dell'ufficio, col sorgere del monachesimo, nel s. IV. Si fissò poi anche il ciclo


428 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

1. IL FONDAMENTO: IL CONCETTO DELL'UNITÀ<br />

DEI DUE TESTAMENTI E DELLA STORIA SACRA<br />

Si può così formulare la legge interpretativa <strong>della</strong> Scrittura nella<br />

<strong>liturgia</strong>: la <strong>liturgia</strong> legge la Scrittura alla luce del principio supremo<br />

dell'unità del mistero di Cristo, e dunque dei due testamenti e di tutta<br />

la storia sacra, unità organico-progressiva sotto il primato del "Nuovo<br />

Testamento sull'Antico e dèlie realtà escatologiche sulla realtà <strong>della</strong><br />

economia attuale.<br />

Per capire la portata di questa legge bisogna rifarsi nuovamente<br />

al primo capitolo e specialmente a quello specchietto in cui sono state<br />

tracciate le diverse fasi del mistero di Cristo e rendersi conto <strong>della</strong><br />

profonda unità che lega queste fasi tra loro. Questa unità intrinseca<br />

dipende dal fatto che la storia, incentrata in Cristo, è tutta nelle mani<br />

di un unico onnipossente regista, Dio, che, impugnandone saldamente<br />

i fili, pur nell'assoluto rispetto <strong>della</strong> libertà umana, ne dirige infallibilmente<br />

il corso, sia generale che dei minimi particolari, ad un fine<br />

unico e preciso : la costituzione <strong>della</strong> Gerusalemme celeste dei redenti<br />

in Cristo assieme agli angeli fedeli.<br />

Nello svolgimento storico di questo piano nulla sfugge al supremo<br />

intento di Dio: le fasi che si susseguono sono tutte realizzazioni<br />

e concretizzazioni di una stessa idea suprema; avvicinamenti sempre<br />

più perfetti a un unico ideale, perché Colui che le realizza, non le<br />

lascia susseguirsi caoticamente, ma ordinatamente, tenendo sempre di<br />

mira tutto l'insieme e l'ultima meta. Così, tra queste fasi, vi è un<br />

nesso intrinseco: ognuna prepara ed annunzia la seguente e ne è<br />

come una prima realizzazione imperfetta, un primo abbozzo, mentre<br />

tutte si compiono in modo perfettissimo nell'ultima, meta generale<br />

verso cui tendono.<br />

E poiché tutte le fasi non sono altro che una realizzazione sempre<br />

più perfetta dell'unico mistero di Cristo, ognuna delle realtà<br />

in cui si concretizza successivamente questo mistero, oltre ad essere<br />

e significare quello che è in se stessa, ha anche un <strong>senso</strong> funzionale<br />

verso qualcosa d'altro al di là di se stessa e che è come la meta<br />

futura cui tende, per realizzare sempre più perfettamente quell'idea<br />

di Dio <strong>della</strong> quale essa stessa è una parziale concretizzazione. <strong>Il</strong><br />

delle letture scritturistiche <strong>della</strong> messa, spesso in concordanza con le letture dell'ufficio,<br />

specialmente nelle feste e nel periodo pasquale. Ma più spesso prevalse,<br />

specialmente sotto l'influsso monastico, il sistema <strong>della</strong> cosiddetta lectio continua,<br />

ossia il concetto di leggere nel giro d'un anno, nell'ufficio specialmente, i<br />

brani <strong>della</strong> Scrittura nell'ordine che si susseguono nella raccolta dei libri sacri.<br />

Lo stato odierno dell'uso <strong>della</strong> bibbia nella <strong>liturgia</strong> romana deriva da questi<br />

antecedenti storici. Da un punto di vista più descrittivo, vedi P. JOUNEL, La Bible<br />

dans la liturgie, in: Parole de Dieu et liturgie (Congresso di Strasburgo), Paris<br />

1958 pp. 17-50.


IL PRINCIPIO FONDAMENTALE 429<br />

mistero di Cristo nello svolgimento <strong>della</strong> storia sacra si compie dunque<br />

come per abbozzi successivi, nei quali gli antecedenti preparano,<br />

annunziano, prefigurano i susseguenti.<br />

Ora, le realtà delle fasi in cui si concretizza successivamente<br />

il mistero di Cristo, noi le conosciamo attraverso i testi dell'Antico<br />

e del Nuovo Testamento. Ne segue che per capire esaurientemente il<br />

significato che hanno le realtà di cui parla la Scrittura agli occhi di<br />

Dio (l'unico significato che conta), è necessario considerarle anche<br />

in rapporto allo svolgimento susseguente <strong>della</strong> stessa storia sacra,<br />

poiché solo in questo ognuna trova il suo connaturale compimento,<br />

il suo pieno significato.<br />

Così tutto l'Antico Testamento e le realtà di cui parla, oltre ad<br />

essere quello che sono, preparano, annunziano, prefigurano come in<br />

un primo abbozzo quelle realtà che si realizzarono poi nella vita storica<br />

di Cristo e si realizzano continuamente nella vita reale, mistica:<br />

liturgica ed extraliturgica, dei cristiani nella Chiesa, nell'economia<br />

presente tra l'ascensione e la parusia. A loro volta, le realtà dell'economia<br />

presente preparano, annunziano, prefigurano le realtà che si<br />

compiranno nell'ultima escatologia.<br />

Questo indica praticamente che il significato completo delle<br />

realtà di cui parla l'Antico Testamento può capirlo solo chi le<br />

mette in rapporto con le realtà di cui parla il Nuovo e con quelle<br />

che si compiono ora nella Chiesa nella vita ascetica e mistica, liturgica<br />

ed extraliturgica, dei cristiani. Come anche, per capire<br />

tutta la portata delle realtà che si compiono nella Chiesa, nella vita<br />

ascetica e mistica dei fedeli, bisogna considerarle prima guardando<br />

indietro alla luce delle realtà di cui parla il Nuovo Testamento e di<br />

quelle di cui parla l'Antico; poi, guardando avanti alla luce delle realtà<br />

future dell'escatologia. Infatti solo così si capirà come le realtà che<br />

si compiono oggi nella Chiesa nella vita soprannaturale dei fedeli<br />

furono preparate, annunziate, rese possibili, prefigurate nella storia<br />

del mondo prima di Cristo; furono a loro modo realizzate nella vita<br />

di Cristo stesso e, a loro volta, preparano, annunziano, prefigurano,<br />

le realtà escatologiche a cui tendono.<br />

Ritroviamo così, a proposito <strong>della</strong> Scrittura, il grande concetto<br />

<strong>della</strong> quadrimensionalità del segno liturgico. Ecco scoperto il principio<br />

essenziale che deve guidare il cristiano nella lettura e nell'interpretazione<br />

<strong>della</strong> Scrittura, dei suoi mysteria; principio ripetuto<br />

senza posa dai Padri <strong>della</strong> Chiesa e che S. Agostino formulò press'a<br />

poco così: nell'Antico Testamento si nasconde il Nuovo e nel<br />

Nuovo si manifesta l'Antico: In V'eteri Testamento Novum latel et<br />

in Novo Vetus patet 2 . Si può anche formularlo così: L'economia<br />

2 Cfr. Quaest. in ev. n. 73. Abbiamo già rilevato come sia oggi in atto, tra<br />

gli storici, una salutare reazione tendente a comprendere più equamente e a<br />

rivalutare nei suoi giusti elementi, sceverati da quelli caduchi, l'esegesi patristica,<br />

che poggia in massima parte sul predetto principio. <strong>Il</strong> P. J. DANIÉLOU, studia<br />

l'esegesi patristica da questo punto di vista, in diretta connessione con la loro<br />

spiegazione cosiddetta simbolica, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, in due opere. In Sacramentum<br />

futuri. Études sur les origines de la typologie biblique, Paris 1950, passa in ras-


430 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

cristiana, preparata, resa possibile e prefigurata dall'economia antica,<br />

prepara, rende possibile, prefigura l'economia futura escatologica.<br />

È questa la chiave per capire in che spirito e secondo quali<br />

leggi la <strong>liturgia</strong> fa uso <strong>della</strong> Scrittura.<br />

2. LA QUADRUPLICE PROFONDITÀ DELL'UNICO SENSO<br />

DEI TESTI SCRITTURATICI IN GENERE<br />

È questo l'inoppugnabile fondamento di tutte quelle teorie, così<br />

sconcertanti per noi, che ebbero corso nell'antichità e nel medioevo<br />

intorno ai Cosiddetti vari sensi <strong>della</strong> Scrittura. Esse non vollero far<br />

altro che spiegare e sistematizzare le costatazioni fatte sopra. Non<br />

si nega peraltro che in queste spiegazioni e sistematizzazioni, e specialmente<br />

nella pratica spicciola degli antichi, accanto all'affermazione<br />

di principi verissimi si trovino applicazioni arbitrarie. Queste<br />

provengono non già dai fondamenti e dalle tradizioni scritturistiche,<br />

ma da teorie e tendenze estranee, in specie dal metodo allegorico<br />

che nell'ultima fase dell'ellenismo fu usato su larga scala nell'interpretazione<br />

moralizzante e filosofica dei poeti e dei miti antichi; metodo<br />

che Filone Alessandrino aveva già applicato all'interpretazione<br />

dell'Antico Testamento nello spirito <strong>della</strong> filosofia ellenistica medioplatonica<br />

3 .<br />

segna i temi di: Adamo e il paradiso; Noè e il diluvio; il sacrificio di Isacco;<br />

Mosè e l'esodo; il ciclo di Giosuè. In Bible et liturgie. La théologie biblique des<br />

sacrements et des fétes d'après les Pères de l'Église, 2" ed. Paris 1951 passa in<br />

rassegna le spiegazioni simbolico-teologiche che i Padri greci del s. IV, specialmente<br />

nella letteratura mistagogica e omiletica, hanno dato dei riti sacramentali<br />

e delle feste liturgiche, e si sforza di mostrare come questa spiegazione poggi,<br />

essenzialmente, sul predetto principio dogmatico-bìblico e solo in via secondaria<br />

sia influenzata da teorie ellenistiche. A p. VII ss del Sacramentum futuri si<br />

troverà anche l'elenco degli studi principali fatti fin qui intorno a queste questioni,<br />

studi, sia d'indole generale, sia d'indole più speciale intorno all'Antico<br />

e al Nuovo Testamento e intorno ai Padri <strong>della</strong> Chiesa. Si noti pure J. GUILLET,<br />

Thèmes bibliques, Paris 1951. Studia lo sviluppo <strong>della</strong> rivelazione intorno ai seguenti<br />

temi: 1. Temi dell'Esodo: la marcia attraverso il deserto; 2. Grazia, giustizia<br />

e verità: il vocabolario base; 3. Idem: l'evoluzione del vocabolario; 4.<br />

Temi del peccato; 5. Temi <strong>della</strong> dannazione: le potenze sataniche; i luoghi maledetti;<br />

6. Temi di speranza: la vita; possedere la terra; l'eredità di Jahweh;<br />

la vigna; 7. <strong>Il</strong> soffio di Jahweh. Quasi tutti questi temi hanno anche un notevole<br />

interesse liturgico. Vedi pure M. SIMON, Verus Israel, Paris 1948.<br />

3 Vedi, per es., J. COPPENS, Les harmonies des deux testaments. Tournai 1949<br />

con abbondante bibliografia. C. CHARLIER, La lecture chrétienne de la bible, 4 ed.<br />

Maredsous 1951 p. 296 ss; J. C. JOOSEN-J. H. WASZINK, Allegorese, in: Reallexikon fiir<br />

Antike und Christentum I (1950) 283-93. Di fondamentale importanza sono in<br />

questo <strong>senso</strong> le opere di H. DE LUBAC, Histoire et esprit. L'intelligence de l'Écriture<br />

d'après Origene, Paris 1950; Exégèse medievale: Les quatre sens de l'Écriture,<br />

4 voli. Paris 1959-63. Vedi anche: MONS. GARRONE, La porte des Écritures,<br />

Toulouse 1956. C. BURGARD, La bible dans la liturgie, Paris 1958. X. LÉON-DUFOUR,


QUATTRO PROFONDITÀ DEI TESTI 431<br />

Perciò, nella determinazione teoretica del problema dei cosiddetti<br />

vari sensi <strong>della</strong> Scrittura, lasciando da parte la questione <strong>della</strong><br />

teoria e terminologia patristica o medioevale 4 , si può affermare direttamente<br />

quanto segue: i testi <strong>della</strong> Scrittura, in specie dell'Antico<br />

Testamento, per essere intesi esaurientemente, vanno esaminati<br />

sotto quattro luci e come scandagliati a quattro profondità diverse.<br />

Primo: alla luce che questi testi, e quindi le cose di cui essi<br />

parlano, avevano, o potevano avere, agli occhi dei contemporanei,<br />

ai quali furono immediatamente destinati. Chiamiamolo il <strong>senso</strong> dei<br />

contemporanei, o meglio : la profondità dei contemporanei di un testo<br />

biblico.<br />

Renouveau biblique et vie spirituelle, in: Écriture sainte et vie spirituelle, del<br />

Dict. de spirit. 4 (1960) 265-78.<br />

La differenza essenziale tra l'allegoria ellenistica ed il concetto biblico che<br />

attesta il valore anche preparatorio e prefigurativo dei testi ispirati antichi e<br />

delle cose in essi espresse, proviene in ultima analisi dal fatto che l'ellenismo<br />

ignora il concetto di razionalità propriamente detta <strong>della</strong> storia, e dunque del<br />

rapporto intrinseco razionale di preparazione e prefigurazione delle diverse fasi<br />

nelle quali essa si svolge. Infatti, l'ellenismo — e ciò vale di tutte le altre filosofie<br />

profane antiche — ignora un Dio che sia personale e trascendente e, nello<br />

stesso tempo, diriga, quale provvidenza, il mondo, il tempo e la storia. Solo<br />

nel presupposto di un tale Dio è possibile concepire la storia come fasi successive<br />

e razionalmente collegate di un piano sempre in via di attualizzazione, in<br />

vista di raggiungere un fine ultimo definitivo cui tutto è ordinato. Nell'ellenismo<br />

i cicli, infinitamente ripetentisi e secondo i quali si svolgerebbe la storia — questo<br />

concetto è l'apice a cui potè pervenire la filosofia in questo campo — non<br />

sono razionali, ma ciechi e meccanici. La stessa sympàtheia che, secondo gli<br />

stoici per esempio, penetra le cose e le fa affini le une alle altre, esprimendo<br />

così l'unità del .osmo e permettendo la mantica, non e mnzionalità razionale<br />

ordinatrice di una cosa all'altra, ma è cosa cieca e di pura natura. Quindi nell'ellenismo<br />

l'allegoria è una semplice espressione arbitraria di colui che parla<br />

per cui si mette arbitrariamente una certa relazione tra due cose o una cosa<br />

e un'idea e si esprime l'una per mezzo dell'altra. L'allegoria non è nelle cose<br />

ma unicamente nell'intenzione dell'uomo. La scelta di una cosa piuttosto che di<br />

un'altra per fare l'allegoria di una terza è arbitraria ed è spesso decisa da connessioni<br />

di similitudine quanto mai superficiali ed estrinseche. La realtà o meno<br />

del fatto, di cui ci si serve per fare l'allegoria, non ha nessuna importanza.<br />

Così, per esempio, ci si serve di Hermes e di un suo mito per esprimere, in<br />

allegoria, l'importanza e le vicende degli sviluppi <strong>della</strong> ragione nell'uomo. Si tratterà<br />

semplicemente di uno squarcio di filosofia espressa arbitrariamente dagli<br />

uomini in rapporto ad una storia di Hermes inventata. Anche quando la storia<br />

non è inventata, i rapporti tra la storia e l'idea che si vuole allegorizzare sono<br />

inventati. Mentre, nel concetto biblico, questi rapporti sono reali nelle cose<br />

stesse perché messivi da uno che poteva fare ciò. Dio, e che, poi, ci ha anche<br />

manifestato in qualche modo questa sua intenzione. Per l'influsso dell'allegoria<br />

ellenistica sui Padri vedi J. DANIÉLOU, Sacramentum futuri, Paris 1940; P. GUILLET,<br />

L'éxégèse d'Alexandrie et d'Antioche, in: Rech. de se. relig. 34 (1947) 257-302;<br />

H. DE LUBAC, « Typologie » et « allégorie », ibid. 180-226; ID., A propos de l'allégorie<br />

chrétienne, ibid. 47 (1952) 5-43.<br />

4 I moderni, nella soluzione teorica <strong>della</strong> questione si trovano molto imbarazzati<br />

(vedi J. GRIMONONT, Les liens des deux Testaments selon la théologie de<br />

St. Thomas, in: Eph. theol. lov. (1946) 70-89 e specialmente 70-71). Ciò proviene,<br />

penso, dal fatto che la trattano troppo nella terminologia degli antichi. Questi<br />

parlavano dei quattro « sensi » <strong>della</strong> Scrittura. Ma tale modo di dire dà origine<br />

oggi a molte difficoltà. È necessario, penso, badare alle cose in se stesse senza<br />

imbarazzarsi nella terminologia con la quale gli antichi la esprimevano.


432 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

Secondo : alla luce che questi stessi testi e queste stesse cose hanno<br />

agli occhi di coloro che li considerano dopo una serie di avvenimenti<br />

posteriori avvenuti talvolta molto tempo dopo l'epoca in cui furono<br />

scritti. Infatti, questi avvenimenti, nelle intenzioni di Dio, erano<br />

appunto destinati a concretizzare in modo più perfetto quella stessa<br />

idea concretizzata, o espressa, dapprima in modo meno perfetto,<br />

come in abbozzo, nelle cose e nei testi antichi. È chiaro dunque che<br />

il significato funzionale dei testi antichi e delle cose in essi espresse<br />

verso quegli avvenimenti posteriori, sarà palese solo ai posteri,<br />

testimoni di questi avvenimenti, i quali per capire le cose antiche,<br />

hanno a loro disposizione una luce di cui non potevano usufruire<br />

i contemporanei delle stesse.<br />

Così, nell'ambito stesso dell'Antico Testamento, testi e cose<br />

di un'epoca anteriore possono avere agli occhi di autori sacri posteriori<br />

un significato non arbitrario ma vero, che trascende però molto<br />

quello che potevano percepire i contemporanei antichi. Così ancora,<br />

e con maggiore ragione, tutto l'insieme di cose e testi dell'Antico<br />

Testamento, per gli autori sacri del Nuovo — e per tutti i fedeli<br />

che vivono dopo quell'avvenimento decisivo, che è l'incarnazione<br />

del Figlio di Dio, la sua vita e morte redentrice, la sua glorificazione<br />

— prende un significato niente affatto arbitrario, perché anzi<br />

corrisponde alla profonda realtà delle cose, ma immensamente<br />

trascendente quello che poterono sospettare i suoi contemporanei.<br />

Tutto questo è la semplice ed inevitabile conseguenza del concetto<br />

dell'unità dei due testamenti e <strong>della</strong> storia. Per il fedele che vive<br />

nell'economia inaugurata da Cristo, testi e fatti dell'Antico Testamento<br />

si illuminano di una luce nuova, perché sono considerati nella<br />

visuale delle realtà già avvenute in Cristo stesso, realtà verso le quali<br />

tendeva funzionalmente tutto l'Antico Testamento. Questa profondità<br />

che si scopre alla luce <strong>della</strong> persona di Cristo, chiamiamola<br />

profondità eristica dell'Antico Testamento.<br />

Terzo: ma Cristo non è mai separato dai cristiani, né le realtà<br />

eristiche da quelle realtà che avvengono dopo Cristo nei cristiani<br />

e tra i cristiani. Infatti, Cristo, in qualche modo, si prolunga e si<br />

compie nelle realtà cristiane. Così i testi dell'Antico Testamento<br />

hanno un riferimento non solo alle realtà eristiche di Cristo stesso,<br />

ma anche alle realtà eristiche prolungate e realizzate nei cristiani.<br />

Anche i testi del Nuovo Testamento che parlano <strong>della</strong> persona di<br />

Cristo, hanno un loro prolungamento e una loro realizzazione nei<br />

cristiani. Così, alla luce delle realtà cristiane, i testi <strong>della</strong> Scrittura<br />

rilevano una nuova profondità. Chiamiamola profondità cristiana.<br />

Queste realtà cristiane sono sia estrinseche ad ogni individuo e<br />

più direttamente sociali, come la Chiesa, i sacramenti, la <strong>liturgia</strong>,<br />

sia intrinseche perché avvengono nell'intimo di ogni fedele, comprese,<br />

in qualche modo, le vicende dell'ascensione ascetica e mistica<br />

verso la perfezione. Infatti, il mistero di Cristo nei cristiani comprende<br />

anche questo. Anzi, bisogna dire che queste vicende dei<br />

rapporti intimi e personali di ogni uomo con Dio, sono, in qualche


QUATTRO PROFONDITÀ DEI TESTI 433<br />

modo, l'ultimo sigillo in cui si compie il mistero di Cristo in ogni<br />

fedele. Sebbene esse non vadano mai disgiunte da quelle realtà anche<br />

estrinseche di cui si è fatto parola, tuttavia è verissimo che è a<br />

questo sigillo ultimo, intimo e personale, che tutto il resto, in qualche<br />

modo, è ordinato. È certamente erroneo quindi, credere che di<br />

queste realtà intime e personali di vita ascetica e mistica non vada<br />

tenuto conto quando si tratta di leggere e comprendere l'Antico<br />

Testamento alla luce delle realtà eristiche e cristiane.<br />

Non s'intende giustificare qui le arbitrarietà di Origene e <strong>della</strong><br />

sua scuola quando, col loro sistema di interpretazione allegorica<br />

<strong>della</strong> Scrittura, pretendevano di leggere in ogni testo <strong>della</strong> Sacra<br />

Pagina anche i minimi particolari delle loro teorie sistematiche<br />

ascetiche e mistiche sia pure più o meno arbitrarie. Non si vede tuttavia<br />

come si potrebbe respingere il principio fondamentale che nella<br />

Sacra Scrittura sono prefigurate e preparate le realtà anche delle<br />

più alte ascensioni <strong>della</strong> vita perfetta in Cristo, ascetica e mistica,<br />

e che, anzi, sono proprio queste realtà che, in fin dei conti, ci daranno<br />

la più forte luce interpretativa per comprendere la Scrittura nel<br />

<strong>senso</strong> di Dio. Non vogliamo nemmeno giustificare in tutto, il modo<br />

in cui i mistici sogliono leggere la Scrittura. Vogliamo solo invitare<br />

a riflettere, se, in questo, il loro principio fondamentale non sia<br />

giusto e se la reazione scientista in <strong>senso</strong> contrario non sia stata<br />

esagerata. Tutto questo, come facilmente si comprende, sarà di<br />

grande importanza nella questione delle relazioni tra vita spirituale<br />

e <strong>liturgia</strong>.<br />

Quarto: una quarta luce è finalmente necessaria per esaurire,<br />

in quanto è possibile, il significato <strong>della</strong> Scrittura sia dell'Antico che<br />

del Nuovo Testamento: quella delle realtà escatologiche non ancora<br />

avvenute, ma sulle quali siamo pur in qualche modo informati dalla<br />

rivelazione. Infatti, con l'avverarsi dell'economia nuova a cominciare<br />

da Cristo, il mistero di Cristo storia sacra non ha ancora raggiunto<br />

il suo compimento; esso continua a svolgersi fino alla meta ultima<br />

dell'escatologia cosmica. <strong>Il</strong> significato completo <strong>della</strong> storia sacra,<br />

sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, non potrà quindi scoprirsi<br />

che quando si realizzerà il secondo avvento di Cristo. La fase<br />

del mistero di Cristo in cui ora viviamo, e che serve di luce agli<br />

avvenimenti e ai testi dell'Antico Testamento e del Nuovo, sarà<br />

essa stessa rischiarata nel suo ultimo significato dagli avvenimenti<br />

dell'ultima escatologia. Si può dunque chiamare profondità escatologica<br />

il significato che i testi e le cose riferiti nell'Antico e nel Nuovo<br />

Testamento prendono alla luce dell'ultima escatologia di cui pur<br />

ora, per rivelazione, conosciamo qualcosa, sebbene molto oscuramente.<br />

Luce di cui disponevano i contemporanei; luce che emana dalla<br />

persona di Cristo; luce che viene dalle realtà eristiche prolungate<br />

e realizzate nei cristiani; luce delle realtà future escatologiche di<br />

cui siamo già in qualche modo informati, ecco, per così dire, il<br />

quadruplice faro che proiettato sopra un testo <strong>della</strong> Scrittura, ci


434 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

permette di scoprire successivamente come quattro piani e quattro<br />

profondità dell'unico significato che possiede. Un testo dell'Antico<br />

Testamento, l'avvenimento, la persona di cui esso parla, per essere<br />

esaurien temente compreso, dovrà dunque essere considerato alla<br />

luce dei quattro predetti fari; mentre per esaurire un testo del<br />

Nuovo Testamento bisognerà considerarlo anche alla luce <strong>della</strong><br />

realtà dell'Antico Testamento, alla luce di quelle che ora avvengono<br />

nei cristiani e di quelle che avverranno nell'escatologia.<br />

In ogni caso, il significato che un testo, o la cosa di cui parla,<br />

ha per i contemporanei per i quali fu immediatamente scritto, non<br />

solo non potrà mai essere negato, ma anzi, dovrà essere sempre<br />

esplicitamente affermato o presupposto, poiché i chiarimenti successivi<br />

non portano alla scoperta di un <strong>senso</strong> diverso da quello dei<br />

contemporanei, ma semplicemente al suo approfondimento sempre<br />

nella linea unica da esso segnata, sebbene con una nuova profondità<br />

a cui i contemporanei non avrebbero mai potuto arrivare.<br />

3. LA PROFONDITÀ DEI CONTEMPORANEI NEI TESTI BIBLICI<br />

USATI DALLA LITURGIA<br />

Infatti, il significato che un testo biblico usato dalla <strong>liturgia</strong><br />

aveva agli occhi dei contemporanei, per i quali fu immediatamente<br />

scritto, è sempre esplicitamente affermato o presupposto nel quadro<br />

liturgico in cui viene trasferito. Cosicché quando la <strong>liturgia</strong>, leggendo<br />

un testo, lo propone in una luce che oltrepassa quel significato, questo<br />

superamento non significa mai un suo cancellamento o una sua<br />

volatilizzazione, perché quel <strong>senso</strong> rimane sempre alla base degli<br />

approfondimenti successivi che gli dà la <strong>liturgia</strong>.<br />

Questo vale per ogni tipo di testi e di cose in essi riferite dell'Antico<br />

o del Nuovo Testamento: a) sia che si tratti di testi di tipo<br />

storico, riferenti cose e avvenimenti storici : come la storia dell'Esodo,<br />

la storia dei giudici, le storie dei libri dei re, le storie dei<br />

Maccabei, la storia di Gesù, le storie degli atti degli apostoli; b) sia<br />

che si tratti di testi riferenti affermazioni dottrinali teoriche, come,<br />

intorno alla natura di Dio, i suoi attributi (sapienza, bontà, amore,<br />

giustizia, potenza, ecc.); intorno alle relazioni generali tra Dio e gli<br />

uomini, ai doveri degli uomini verso Dio, intorno all'origine del mondo,<br />

al valore <strong>della</strong> vita, alla libertà dell'uomo, ecc.; e) sia che si tratti<br />

di testi riferenti precetti ed esortazioni di tipo morale (per es., il<br />

decalogo; esortazioni alla preghiera, alla pazienza, alla mortificazione,<br />

alle buone opere, ecc.), di tipo giuridico propriamente detto,<br />

o di tipo liturgico (per es.; sulle feste e il modo di celebrarle);<br />

d) sia che si tratti di profezie : per es., intorno al Messia e ai tempi<br />

messianici futuri.<br />

Così, per es., tutte le narrazioni riferite nella bibbia, trasferite


PROFONDITÀ DEI CONTEMPORANEI 435<br />

in qualsiasi modo nella <strong>liturgia</strong>, conservano il loro significato che<br />

avevano per i contemporanei a cui furono dapprima destinate. Talvolta<br />

si potrà discutere quale era precisamente questo significato,<br />

per es., nelle storie del libro di Giobbe, di Esther, di Tobia, nelle<br />

narrazioni del Genesi, ecc. Ma questa è una questione di esegesi<br />

biblica, non di <strong>liturgia</strong>. Liturgicamente, dobbiamo semplicemente<br />

asserire che tutto quello che è narrato nella bibbia, quando è<br />

trasferito nella <strong>liturgia</strong>, conserva il <strong>senso</strong> che aveva per i contemporanei.<br />

Ne segue una regola importantissima per l'interpretazione <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>: la conoscenza accurata del <strong>senso</strong> che i testi biblici usati<br />

dalla <strong>liturgia</strong> avevano per i contemporanei rimane sempre il fondamentale<br />

presupposto per capire l'uso che ne fa la <strong>liturgia</strong>.<br />

Così, per esempio, come primo presupposto per capire in qual<br />

<strong>senso</strong> preciso la <strong>liturgia</strong> del tempo avvento-Epifania interpreta le profezie<br />

messianiche di Isaia intorno al futuro Messia e al regno di Dio<br />

che doveva essere da Lui instaurato, bisogna anzitutto conoscere esattamente<br />

quale <strong>senso</strong> queste profezie potevano avere per i contemporani<br />

per i quali esse furono immediatamente scritte. Solo chi parte<br />

da questo « <strong>senso</strong> » potrà capire « i sensi » ulteriori di queste profezie<br />

prospettati dalla <strong>liturgia</strong>.<br />

Quando i giudei contemporanei leggevano: Surge illuminare<br />

Jerusalem ecc. (Is 16,1-6), pensavano alla fine dell'esilio e a una<br />

gloria immensa del popolo di Dio la cui capitale, Gerusalemme,<br />

setto il regno del Messia, sarebbe diventata il centro del mondo.<br />

L'essenza di questa interpretazione delle promesse di Dio fatte per<br />

bocca del profeta era giustissima; Dio, infatti, veramente annunziava<br />

e prometteva che sotto il Messia il popolo di Dio sarebbe stato liberato<br />

e sarebbe diventato il centro <strong>della</strong> vita sulla terra. Solo che<br />

i giudei concretizzavano questo pensiero in un fatto materiale e<br />

nazionale, mentre Dio ne prevedeva un compimento molto più<br />

sublime, spirituale e universale, compimento che si verificò nell'apparizione<br />

di Cristo sulla terra (Epifania) e si verifica in mistero ogni<br />

giorno nella Chiesa, nella messa e nelle anime.<br />

Quando la <strong>liturgia</strong> dell'Epifania legge quella profezia nella messa,<br />

è a tutto questo insieme che pensa. La luce ulteriore che proviene<br />

a questo testo dall'avvento del Figlio di Dio sulla terra un giorno<br />

in Palestina e ogni giorno nella Chiesa, nella messa, nelle anime dei<br />

fedeli, non volatilizza il <strong>senso</strong> dei contemporanei di Isaia, ma lo<br />

presuppone, di modo che il significato totale, <strong>teologico</strong>-liturgico, di<br />

quel testo letto il giorno dell'Epifania è questo: quello che Dio<br />

promise e annunziò ai giudei in esilio, che cioè, in virtù del Messia,<br />

il popolo di Dio sarebbe stato liberato dai nemici e, risplendente<br />

di gloria straordinaria, sarebbe diventato il centro di tutto il mondo,<br />

si verificò bensì come in un primo pallidissimo schizzo nella fine<br />

dell'esilio babilonico, ma ebbe in realtà il suo pieno compimento<br />

in modo immensamente più sublime di quello che poterono sospettare<br />

i giudei, con l'apparire del Figlio di Dio sulla terra in Palestina


436 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

tanti secoli dopo e si verifica ogni giorno con la venuta sacramentale<br />

del Figlio di Dio nella Chiesa, nella messa e con la sua venuta<br />

segreta nelle anime. Tra il <strong>senso</strong> che a quel testo davano dunque i<br />

contemporanei e gli ulteriori sensi prospettati dalla <strong>liturgia</strong> non vi<br />

è interruzione ma continuità sublimativa.<br />

Nello stesso modo si dovrà dire che l'interpretazione teologica<br />

ascetica dei salmi nell'uso liturgico, per non essere arbitraria, deve<br />

partire dal <strong>senso</strong> dei contemporanei e gli altri « sensi » dovranno<br />

sempre, in qualche modo, essere connessi a quello ed esserne un<br />

ulteriore approfondimento, e non mai essergli estranei. Diversamente<br />

si cadrebbe in pieno allegórismo ellenistico, senza nessuna<br />

garanzia che intendiamo ancora il testo sacro nel <strong>senso</strong> del suo<br />

autore, Dio. In una parola: ogni interpretazione <strong>della</strong> bibbia, sia<br />

pure liturgica, che volesse fare astrazione dal <strong>senso</strong> dei contemporanei<br />

costruirebbe sul vuoto.<br />

4. L'APPROFONDIMENTO<br />

DELLA PROSPETTIVA DEI CONTEMPORANEI<br />

NEI TESTI DELL'ANTICO TESTAMENTO<br />

USATI DALLA LITURGIA<br />

Ma per capire l'uso che la <strong>liturgia</strong> fa <strong>della</strong> bibbia, bisogna<br />

affermare con non minore risolutezza che il <strong>senso</strong> che i contemporanei<br />

davano, o potevano dare, a un testo biblico, è sempre superato<br />

quando questo testo viene inserito nella <strong>liturgia</strong>; superato<br />

appunto per mezzo di quell'approfondimento che si ottiene mettendo<br />

il testo in relazione e con le realtà già accadute nella vita storica del<br />

Redentore in Palestina e con le realtà del mistero di Cristo che si<br />

verificano in modo reale mistico ogni giorno nei fedeli ed anzitutto<br />

per via liturgica nel periodo presente dall'ascensione alla<br />

parusia, e finalmente, con le realtà future dell'escatologia di cui<br />

già siamo in qualche modo informati.<br />

<strong>Il</strong>lustriamo questa regola con una serie di esempi mostrando<br />

il prolungamento che la <strong>liturgia</strong> dà al <strong>senso</strong> dei contemporanei.<br />

Consideriamo prima l'uso liturgico dei testi dell'Antico Testamento<br />

secondo che si tratta di testi che esprimono: a) affermazioni dottrinali<br />

intorno a Dio — natura, attributi — o alle altre cose, in<br />

specie intorno alle relazioni tra Dio e l'uomo; b) precetti e ammonimenti<br />

morali, giuridici, liturgici; e) profezie propriamente dette;<br />

d) persone, cose e avvenimenti storici.


ATTRIBUTI DI DIO 437<br />

Affermazioni dottrinali<br />

Se si tratta di testi dell'Antico Testamento che parlano (sia<br />

sotto forma didattica, sia sotto forma di preghiera, o altra), degli<br />

attributi di Dio, il fatto che vengono inseriti nel quadro liturgico<br />

cristiano e recitati dalla Chiesa e dal fedele in tale contesto, interpreta<br />

questi attributi sotto una luce immensamente più profonda<br />

di quella in cui potevano apparire ai giudei. Infatti, nella<br />

Scrittura, non si fa l'analisi filosofico-ontologica di questi attributi,<br />

ma la storia <strong>della</strong> loro manifestazione nell'azione di Dio nel mondo.<br />

La Scrittura non analizza speculativamente cos'è la sapienza, o la<br />

bontà, o la potenza, o la libertà in Dio, ma mostra Dio agente nel<br />

mondo con sapienza, bontà, potenza, libertà.<br />

Ora, la storia degli interventi di Dio nel mondo è la storia<br />

sacra che, come sappiamo, è tutta incentrata nel mistero di Cristo.<br />

È chiaro, quindi, che con la manifestazione di Cristo e delle realtà<br />

cristiane, gli attributi di Dio, affermati e cantati nell'Antico Testamento,<br />

appariranno nel Nuovo con un approfondimento insospettato<br />

alla sola luce dell'Antico, ma palese a quella <strong>della</strong> nuova realtà.<br />

È appunto quel che avviene quando i testi dell'Antico Testamento,<br />

nei quali sono affermati gli attributi di Dio, vengono recitati nella<br />

<strong>liturgia</strong> alla luce ulteriore delle realtà di Cristo, dell'economia<br />

cristiana e dell'escatologia.<br />

Così per esempio: nel salmo 135 (vg.): Confitemini Domino<br />

quoniam bonus (nuova trad. Laudate Dominum quoniam bonus)<br />

nel quale è sempre intercalato il ritornello: quoniam in aeternum<br />

misericordia eitis, si esalta la bontà e la misericordia di Dio come<br />

si manifesta nella creazione e costituzione del mondo, nella sua<br />

provvidenza verso il suo popolo, nella continua cura che Egli prende<br />

di tutti gli uomini. È chiaro però, che, quando questo salmo è<br />

cantato nella <strong>liturgia</strong> cristiana, questo stesso attributo <strong>della</strong> bontà<br />

e <strong>della</strong> misericordia di Dio prende un significato immensamente<br />

più profondo di quello che poteva avere per un giudeo.<br />

Infatti il cristiano, dicendo: lodate il Signore perché è buono,<br />

perché eterna è la sua misericordia, pensa non solo alla creazione<br />

e alla provvidenza di Dio verso il popolo israelita, che manifestano<br />

già notevolmente la sua bontà e la sua misericordia, ma pensa anche<br />

che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Unigenito Figliolo<br />

per salvarlo, e che Dio è carità, Padre del figlio prodigo e Padre<br />

nostro: e che, pur essendo peccatori, ci ha salvati per pura mise-<br />

.ricordia e ci ha fatti suoi figlioli adottivi in Cristo e ci dà continuamente<br />

il suo Spirito. Anzi, ci ha predestinati in Cristo e ci dà<br />

tutte le grazie necessarie per condurci alla visione beatifica in una<br />

pace e in una felicità che occhio non ha visto, né orecchio udito,<br />

ma che Dio prepara a coloro che lo amano. A questa luce, che è<br />

appunto quella <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, prendono un significato inaudito<br />

versetti come questi:


438 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

Si è ricordato del nostro avvilimento / perché eterno è il suo amore per noi.<br />

Ci ha strappati ai nostri oppressori / perché eterno è il suo amore per noi.<br />

<strong>Il</strong> pane dona ad ogni vivente / perché eterno è il suo amore per noi.<br />

Date lode al Dio del cielo / perché eterno è il suo amore per noi.<br />

Nello stesso modo quando lo stesso salmo (w. 10-22) loda l'eterna<br />

misericordia del Signore nella liberazione del popolo ebreo<br />

dall'Egitto e nella cura che prese di lui fino all'ingresso nella terra<br />

promessa, il cristiano pensa che quell'azione provvidenziale di Dio<br />

verso il popolo ebreo era tutta diretta alla formazione del popolo<br />

cristiano e <strong>della</strong> Chiesa e che egli stesso fa parte di questo popolo,<br />

di questa Chiesa, la quale, a sua volta, non è che una preparazione<br />

e un'ombra <strong>della</strong> futura Gerusalemme celeste. Per cui anche qui<br />

il ritornello « perché eterno è il suo amore per noi » si illumina di<br />

una luce immensamente più profonda di quanto poteva essere quella<br />

concessa ad un ebreo che lo cantava.<br />

Quale sarà poi questa luce e che forza vitale prenderà se il<br />

cristiano che canta il salmo è, non già un cristiano mediocre che<br />

si accontenta di vivere in stato di grazia e conduce poi una vita<br />

piena d'imperfezioni, ma un cristiano che si è dato sul serio e<br />

interamente a Dio, fino a raggiungere gli stati elevati <strong>della</strong> perfezione<br />

nella vita ascetica e mistica, nell'esperienza intima del mistero<br />

di Cristo in se stesso! Questo cristiano, infatti, cantando queste<br />

salmo e il suo ritornello: quoniam in aeternum misericordia eius,<br />

avrà dinanzi agli occhi non solo tutta l'economia creatrice e redentrice<br />

di Dio in Cristo verso gli uomini in genere, e neppure solo<br />

verso i cristiani in genere, ma anche verso se stesso, hic et nunc,<br />

in specie.<br />

Gli attributi di Dio gli appariranno non solo nei suoi interventi<br />

nel mondo, ma anche in sé personalmente, per cui lo ha amato,<br />

scelto, purificato e gli ha fatto sperimentare la sua ineffabile intimità,<br />

la quale a sua volta non è che una pallida ombra, un piccolo<br />

anticipo e una lontana preparazione a quella più sublime verso la<br />

quale Dio l'avvia nella Gerusalemme celeste. È di tutte queste<br />

realtà, nel più scrupoloso rispetto <strong>della</strong> verità e dell'unico <strong>senso</strong><br />

del testo biblico, che si colorirà il suo canto di: quoniam in aeternum<br />

misericordia eius. È noto il caso di S. Teresa a proposito del<br />

versetto: misericordias Domini in aeternum cantabo. Avremo occasione<br />

di ritornare ancora su questo tema a proposito delle relazioni<br />

tra vita liturgica e vita mistica.<br />

Altro esempio : nella Sapienza 10,20 s si legge degli Ebrei dopo<br />

la traversata del mar Rosso : « Essi lodarono insieme là tua mano<br />

vincitrice, o Signore, poiché la sapienza aprì la bocca dei muti e<br />

rese eloquente la lingua dei pargoli ». E il salmo 97 comincia così :<br />

« Cantate al Signore un cantico nuovo perché fece cose mirabili ».<br />

Vi si esalta la potenza di Dio da lui dimostrata liberando il suo<br />

popolo dai suoi nemici in una vittoria meravigliosa.<br />

Ora questi testi, nella <strong>liturgia</strong>, sono letti l'uno accanto all'altro


ATTRIBUTI DI DIO 439<br />

nell'introito <strong>della</strong> messa del giovedì dopo Pasqua e sono evidentemente<br />

riferiti ai neofiti battezzati il sabato santo. In questo contesto<br />

non è difficile capire come la potenza di Dio, lodata in quei<br />

salmi secondo il <strong>senso</strong> che avevano per i contemporanei, prenda<br />

qui un significato immensamente più profondo. Infatti, quella stessa<br />

potenza di Dio che si manifestò nel liberare il suo popolo prima<br />

dagli Egiziani poi da altri suoi nemici, si manifesta in modo ancora<br />

più sorprendente nelle meraviglie del battesimo che è, in modo<br />

più sublime, per i singoli uomini e per la Chiesa, quello che fu<br />

per gli Ebrei la liberazione dall'Egitto e da altri nemici temporali.<br />

Nell'Ecclesiastico 24,5-32 si fa l'encomio <strong>della</strong> sapienza di Dio<br />

che si manifesta nella creazione, come Dio l'ha concepita e come<br />

l'ha eseguita (w. 5-12), e specialmente nella legge che Egli ha dato<br />

al popolo eletto (w. 13-32). <strong>Il</strong> passo comincia così:<br />

« Io uscii dalla bocca dell'Altissimo, primogenita avanti ad ogni creatura ».<br />

e finisce:<br />

« Chi mi ascolta non avrà ad arrossire, e quei che operano servendosi di<br />

me non peccheranno: quelli che mi mettono in luce avran la vita eterna. Tutto<br />

ciò è il libro <strong>della</strong> vita e l'alleanza dell'Altissimo, e la conoscenza <strong>della</strong> verità ».<br />

Ora, questo passo è spesso letto dalla <strong>liturgia</strong> come epistola<br />

nelle messe mariane con evidente riferimento alla Madonna. In<br />

questo contesto il <strong>senso</strong> di cui si colora l'encomio <strong>della</strong> sapienza<br />

di Dio è questo: la sapienza di Dio, che si manifestò in modo<br />

meraviglioso nella creazione del mondo e nella legge mosaica, si<br />

manifesta in modo più meraviglioso ancora nella Madonna. Ed<br />

infatti, chi pensa alle strette relazioni tra Maria e Cristo, la Sapienza<br />

di Dio concretizzata e incarnata, chi pensa alle meraviglie che<br />

Dio ha fatto in Maria, al posto che essa ha nella vita dei cristiani,<br />

non può non computare Maria tra le opere più meravigliose <strong>della</strong><br />

Sapienza divina: beata me dicent omnes generationes quia fecit<br />

in me magna qui potens est. Non è dunque arbitrario il suo inserimento<br />

nello sfondo dei passi scritturistici che lodano la sapienza<br />

di Dio manifestata nella creazione, nella provvidenza e nella Thora!<br />

Anche quei testi, così frequenti nell'Antico Testamento, ove si<br />

parla di Dio creatore, quando sono letti nella <strong>liturgia</strong>, dal contesto<br />

cristiano in cui vengono inseriti prendono una luce tutta nuova.<br />

Infatti, come già il Nuovo Testamento (vedi Col 1,15-20), la <strong>liturgia</strong><br />

legge l'opera <strong>della</strong> creazione alla luce di Cristo, dell'opera <strong>della</strong><br />

redenzione e <strong>della</strong> futura escatologia; per cui altra è la visione<br />

che di Dio creatore poteva avere il giudeo ed altra è quella che ha<br />

il cristiano. Perciò l'orazione dopo la nona profezia del sabato<br />

santo diceva : « O Dio onnipotente ed eterno, che sei mirabile<br />

nella disposizione di tutte le tue opere, comprendano i tuoi redenti<br />

che la creazione del mondo, avvenuta in principio, non fu cosa<br />

più eccellente dell'immolazione che alla fine dei secoli operò Cristo,<br />

nostra Pasqua ». E l'orazione dopo la prima profezia, nella


440 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

quale appunto si legge la creazione delle cose e dell'uomo, dice:<br />

« 0 Dio, che in modo mirabile creasti l'uomo, e ancora più mirabilmente<br />

l'hai redento... » e, si può aggiungere, più mirabilmente<br />

ancora lo redimerai...<br />

L'Antico Testamento spesso parla di Dio presente nel suo<br />

popolo, in specie nel santuario. Fortissimo è il <strong>senso</strong> di questa<br />

presenza di Dio nel santuario nel passo del secondo libro dei<br />

Paralipomeni 6-7 dove si narra la dedicazione del tempio di Salomone.<br />

È ovvio l'approfondimento del <strong>senso</strong> di questi testi quando<br />

vengono letti nella <strong>liturgia</strong> cristiana <strong>della</strong> dedicazione di una chiesa,<br />

edificio materiale <strong>della</strong> Chiesa spirituale; dove Dio si fa presente<br />

nel sacrificio eucaristico e dove il flusso di grazia santificatrice che<br />

ne deriva per ogni anima e che può andare fino all'esperienza mistica<br />

<strong>della</strong> presenza in se stessa delle persone <strong>della</strong> Trinità, è<br />

immensamente più grande che nel tempio di Salomone. Anzi, nell'ufficiatura<br />

<strong>della</strong> dedicazione <strong>della</strong> chiesa le continue allusioni alla<br />

presenza più straordinaria ancora di Dio tra il popolo <strong>della</strong> Gerusalemme<br />

celeste (v., per esempio, responsorio <strong>della</strong> lezione Vili,<br />

il capitolo delle Iodi, gli inni Coelestis urbs Jerusalem e Alto ex<br />

Olympi vertice, l'epistola <strong>della</strong> messa: Ap 21,2-5), prolungano il<br />

<strong>senso</strong> dei testi dei Paralipomeni sulla presenza di Dio fino ai trionfi<br />

dell'Apocalisse.<br />

I profeti dell'Antico Testamento cantano spesso la tenerezza<br />

e la grandezza dell'amore di Dio per il suo popolo paragonandolo<br />

a quello di uno sposo per la sua sposa (Os 1,2; 2,3-15; 4,10-19;<br />

Ger 12,7-9; 31,3; Is 54,5-8; 62,4 s; Ez 16; 23; MI 1,2). Tutta la cantica,<br />

nel <strong>senso</strong> parabolico, non fa altro che celebrare quest'amore coniugale<br />

tra Dio e Israele. I testi <strong>della</strong> cantica sono talvolta letti nella<br />

<strong>liturgia</strong> nelle feste <strong>della</strong> Madonna (per esempio, epistola <strong>della</strong> Visitazione)<br />

e di alcune sante particolari. Trasportati in questo ambiente<br />

cristiano, quei testi vengono letti alla luce di tutte quelle<br />

manifestazioni dell'amore di Dio per la Chiesa e le singole anime<br />

all'interno <strong>della</strong> Chiesa, in specie per Maria, di cui le relazioni tra<br />

Dio e Israele non furono che una pallida ombra. E nello sfondo<br />

c'è sempre la Gerusalemme celeste dove avranno perfetto compimento<br />

le nozze dell'Agnello con la Chiesa e le singole anime (Ap<br />

19,7.9; 21,2 ss).<br />

Dio protettore del giusto e pio israelita viene spessissimo cantato<br />

nei salmi e nei libri sapienziali. Questi testi sono spesso letti<br />

dalla <strong>liturgia</strong> alla luce <strong>della</strong> protezione più mirabile ancora che Dio<br />

ha accordato ai giusti del Nuovo Testamento (v., per esempio, le<br />

messe del comune di un martire non pontefice, di più martiri fuori<br />

del tempo pasquale e di un martire nel tempo pasquale, di un confessore<br />

non pontefice, di una vergine martire).<br />

Insomma, tutti i testi di tipo dottrinale dell'Antico Testamento<br />

nei quali si afferma qualche attributo di "Dio o qualcosa sulle relazioni<br />

tra il mondo e Dio, letti nella <strong>liturgia</strong>, vengono da essa come<br />

approfonditi e prolungati alla luce delle realtà presenti in Cristo<br />

e nella Chiesa e delle realtà future dell'ultima escatologia.


PRECETTO DELL'AMORE 441<br />

Precetti e ammonimenti<br />

I precetti e ammonimenti morali, liturgici, giuridici, che nell'Antico<br />

Testamento sono diretti immediatamente agli israeliti, vengono<br />

spesso accettati nel Nuovo Testamento e tenuti validi nell'economia<br />

nuova, quindi anche ripetuti nella <strong>liturgia</strong>. Ma è chiaro che<br />

questi precetti e ammonimenti letti nella <strong>liturgia</strong>, appunto perché<br />

visti nella grande realtà di Cristo, <strong>della</strong> Chiesa e delle realtà future,<br />

si illuminano di una nuova luce.<br />

Per esempio, il comandamento dell'amore di Dio e del prossimo,<br />

in cui si riassume tutto il decalogo, prende nel Nuovo Testamento<br />

una profondità insospettata nell'Antico. Infatti, appare ora che il<br />

<strong>senso</strong> preciso di quel supremo comandamento non è altro che quello<br />

spiegato da San Giovanni : « Guardate di quale amore ci ha amati<br />

il Padre, concedendoci di poterci chiamare ed essere di fatto figliuoli<br />

di Dio... Carissimi, noi siamo ora figliuoli di Dio; ma non è ancora<br />

manifestato quello che saremo. Sappiamo che quando si manifesterà<br />

saremo simili a Lui, perché lo vedremo come è. E chiunque ha questa<br />

speranza in Lui, santifica se stesso, come Egli pure è santo...<br />

Chiunque è nato da Dio non fa peccato, perché tiene in sé un germe<br />

di Lui... Chiunque non pratica la giustizia e non ama il suo fratello,<br />

non è da Dio. Questo è l'annunzio che avete udito da principio, che<br />

vi amiate l'un l'altro. Carissimi, amiamoci l'un l'altro perché la carità è<br />

da Dio. E chi ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha<br />

conosciuto Dio, perché Dio è carità. In questo si è manifestata la<br />

carità di Dio verso di noi; che Dio mandò il suo Figlio Unigenito nel<br />

mondo, affinché per mezzo di Lui abbiamo la vita. In questo è la<br />

carità: che senza aver noi amato Dio, Egli per primo ci ha amati,<br />

e ha mandato il suo Figliuolo come propiziazione per i nostri peccati.<br />

Carissimi, se Dio ci ha amato così, anche noi dobbiamo amarci l'un<br />

l'altro. Nessuno ha mai veduto Dio. Se ci amiamo l'un l'altro, Dio<br />

abita in noi e la carità di Lui è perfetta. Da questo conosciamo che<br />

noi siamo in Lui ed Egli in noi; perché Egli ci ha dato del suo Spirito.<br />

E noi abbiamo veduto ed attestiamo che il Padre ha mandato il suo<br />

Figliuolo Salvatore del mondo. Chiunque confesserà che Gesù è<br />

Figliuolo di Dio, Dio dimora in lui ed Egli in Dio. E noi abbiamo<br />

conosciuto e creduto alla carità che Dio ha per noi. Dio è carità e<br />

chi sta nella carità sta in Dio, e Dio in lui. Amiamo dunque Dio, perché<br />

Dio per il primo ci ha amati» (1 Gv 3,1-4,19). Dunque: piena<br />

continuità con l'Antico Testamento, e nello stesso tempo inaudito<br />

approfondimento.<br />

Così anche i precetti dell'Antico Testamento contro l'impurità<br />

sono naturalmente conservati nella nuova economia, ma motivati<br />

da una luce immensamente più profonda, quella spiegata da S. Paolo :<br />

« Non sapete che i nostri corpi sono membra di Cristo? Or dunque<br />

le membra di Cristo le farò membra d'una meretrice? Non sia mai!...<br />

O non sapete che il corpo vostro è tempio del Santo Spirito che è


442 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

in voi, che avete da Dio e non siete di voi stessi, perché siete stati<br />

comprati a caro prezzo? Glorificate dunque Iddio nel vostro corpo »<br />

(ICor 6,15 ss).<br />

Nello stesso modo gli ammonimenti di vita santa e di buone<br />

opere che fa l'Antico Testamento al pio israelita, sono letti nella<br />

<strong>liturgia</strong> alla luce del discorso <strong>della</strong> montagna (Mt 5-7,27) e <strong>della</strong> teologia<br />

di S. Paolo e di S. Giovanni. In specie i temi <strong>della</strong> preghiera,<br />

dell'elemosina, del digiuno, così frequenti nell'Antico Testamento,<br />

sono conservati nella nuova economia, ma approfonditi alla luce <strong>della</strong><br />

dottrina e degli esempi di Gesù (Mt 6,1-7,23): i quaranta giorni nel<br />

deserto, la sua vita di preghiera; nonché alla luce <strong>della</strong> dottrina <strong>della</strong><br />

grazia, del corpo mistico, dell'espiazione, dell'assimilazione a Cristo.<br />

La necessità dell'elemosina è così spiegata da S. Giovanni : « Noi<br />

sappiamo che siamo stati trasportati dalla morte alla vita perché<br />

amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia<br />

il proprio fratello è omicida; e voi sapete che nessun omicida ha la<br />

vita eterna dimorante in sé. Da questo abbiamo conosciuto la carità<br />

di Dio, perché Egli ha dato la sua vita per noi; e così noi dobbiamo<br />

dare la nostra vita per i fratelli. Ora, se uno avrà dei beni di questo<br />

mondo e, vedendo il suo fratello nella necessità, gli chiuderà^il proprio<br />

cuore, come la carità di Dio dimora in lui? Figliuolini miei non<br />

amiamo a parole e con la lingua, ma con l'opera e la verità »<br />

(lGv 3,14-18).<br />

Ed è effettivamente ih questo spirito che i precetti e gli ammonimenti<br />

morali e di vita santa dell'Antico Testamento sonò ripetuti<br />

nella <strong>liturgia</strong>. Così, per esempio, quando il decalogo viene letto<br />

nell'epistola <strong>della</strong> messa del mercoledì dopo la III domenica di<br />

quaresima, e del mercoledì dopo la domenica di passione, giorni di<br />

scrutinio per i catecumeni che aspiravano al battesimo il sabato<br />

santo. In specie nella messa del mercoledì dopo la III domenica di<br />

quaresima, la lettura del vangelo (Mt 15,1-20), con la forte accentuazione<br />

<strong>della</strong> base anzitutto interna dell'osservanza del decalogo,<br />

interpreta il decalogo stesso, letto nell'epistola, alla luce del discorso<br />

<strong>della</strong> montagna. Nello stesso modo i continui appelli che fa la <strong>liturgia</strong><br />

<strong>della</strong> quaresima con le parole stesse dell'Antico Testamento,<br />

alla preghiera, al digiuno, all'elemosina, alla penitenza, alle buone<br />

opere in genere, hanno, nel quadro del Nuovo Testamento e <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, un <strong>senso</strong> immensamente più profondo di quello che potevano<br />

avere per i giudei, visti come sono sullo sfondo dell'economia<br />

di Cristo, dell'essere cristiano come lo descrivono in specie S. Paolo<br />

e S. Giovanni, e <strong>della</strong> futura escatologia.<br />

Anche i precetti liturgici dell'Antico Testamento sono ripetuti<br />

nella <strong>liturgia</strong>, con riferimento alla realtà eristica ed ecclesiale come<br />

si verifica nella <strong>liturgia</strong> stessa. Così quando il venerdì santo (e in<br />

quella che era la IX profezia del sabato santo) si leggono dall'Esodo<br />

12,1-11 i precetti intorno alla celebrazione liturgica <strong>della</strong> pasqua giudaica,<br />

è chiaro che il <strong>senso</strong> di quei precetti liturgici è visto sullo<br />

sfondo dell'immolazione del Golgota e del suo prolungamento incruento<br />

nella messa.


PROFEZIE 443<br />

I precetti liturgici dell'Esodo (13,1-3, 11-13) e del Levitico (12,1-8)<br />

intorno alla presentazione del primogenito al tempio, che si leggono<br />

nel breviario <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> del 2 febbraio, sono letti con riferimento<br />

al fatto storico <strong>della</strong> presentazione di Gesù al tempio e al fatto<br />

reale mistico <strong>della</strong> sua venuta sacramentale nella messa. Molto bene<br />

dunque commenta l'antifona <strong>della</strong> processione <strong>della</strong> candelora, ripresa<br />

in parte nel primo responsorio dopo la prima lezione del breviario<br />

: « Adorna il tuo talamo, o Sion, (intendi Gerusalemme e la<br />

Chiesa) e ricevi Cristo Re: accogli con amore Maria, che è la porta<br />

del cielo: essa stessa infatti porta il Re <strong>della</strong> gloria, la luce nuova.<br />

La Vergine si arresta, presentando sulle braccia il Figlio, generato<br />

prima dell'aurora: Simeone lo riceve fra le braccia, e predica ai<br />

popoli il Signore <strong>della</strong> vita e <strong>della</strong> morte e Salvatore del mondo ».<br />

Oppure l'introito : « Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia in<br />

mezzo al tuo tempio: come il tuo nome, o Dio, così anche la tua<br />

lode va sino ai confini <strong>della</strong> terra. Grande è il Signore e sommamente<br />

lodevole nella città del nostro Dio nel suo monte santo ».<br />

È giusto anche che il cristiano pensi alla realizzazione plenaria di<br />

queste realtà nella Gerusalemme celeste.<br />

Profezie propriamente dette<br />

<strong>Il</strong> prolungamento del <strong>senso</strong> dei contemporanei nell'uso liturgico<br />

delle profezie propriamente dette dell'Antico Testamento è assai<br />

facile a capire e sopra ne abbiamo dato un esempio. Infatti, la profezia<br />

propriamente detta dell'Antico Testamento riguarda essenzialmente<br />

l'annunzio del Messia e del suo regno negli ultimi tempi, i<br />

tempi escatologici <strong>della</strong> storia; o per lo meno, tra le profezie propriamente<br />

dette dell'Antico Testamento, è questa che interessa il<br />

Nuovo Testamento e la Chiesa.<br />

Ora, secondo la dottrina del Nuovo Testamento, il Messia<br />

annunziato è il Cristo Gesù; con Lui cominciano gli ultimi tempi<br />

escatologici di cui parlarono i profeti; questi tempi escatologici non<br />

sono ancora compiuti, ma sono tuttora in corso e si compiranno<br />

perfettamente nel secondo avvento di Cristo, nella parusia e nell'instaurazione<br />

finale completa del regno di Dio.<br />

Così, teologicamente parlando, le profezie dell'Antico Testamento<br />

intorno al Messia e al suo regno, oltre al <strong>senso</strong> in cui potevano<br />

apparire ai contemporanei, possono e devono avere come tre<br />

ulteriori piani di approfondimento, che sono come tre ulteriori tappe<br />

di realizzazione integrale, alla luce delle quali il <strong>senso</strong> fondamentale<br />

dei contemporanei viene prolungato e approfondito: il piano <strong>della</strong><br />

vita storica di Cristo, il piano <strong>della</strong> realizzazione reale mistica del<br />

mistero di Cristo nelle anime e nella Chiesa per via liturgica (massimamente<br />

sacrificio e sacramenti) ed extraliturgica come si compie<br />

ogni giorno nell'attuale fase dall'ascensione alla parusia, e il piano<br />

dell'ultima escatologia.<br />

Nella <strong>liturgia</strong> la profezia dell'Antico Testamento propriamente


444 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

detta intorno al Messia e al suo regno è importante principalmente<br />

nel periodo avvento-Epifania, nel quale l'intero mistero di Cristo,<br />

nel suo completo svolgimento dall'inizio del mondo all'Apocalisse,<br />

è prospettato nel concetto di venuta epifanica del Signore. Secondariamente,<br />

essa ha una certa importanza anche nel periodo settuagesima-Pentecoste<br />

in cui tutto il mistero di Cristo viene nuovamente<br />

prospettato, ma sotto l'idea di redenzione. Si aggiungano alcune feste<br />

particolari, come l'Immacolata e il Sacro Cuore.<br />

Nel periodo avvento-Epifania, appunto perché l'idea essenziale è<br />

quella dell'intero svolgimento del mistero di Cristo come venuta del<br />

Signore, lo sfondo scritturistico dell'Antico Testamento, particolarmente<br />

abbondante nel breviario, è costituito dalle profezie di Isaia<br />

intorno al Messia futuro, alla sua venuta e al suo regno. Ora, il <strong>senso</strong><br />

che queste profezie avevano per i contemporanei subisce nella <strong>liturgia</strong><br />

una continua trasposizione approfonditiva perché sono viste alla<br />

luce <strong>della</strong> venuta storica di Cristo sulla terra in Palestina, <strong>della</strong><br />

sua continua venuta reale mistica nelle anime, nella Chiesa, nel sacri-"<br />

fido <strong>della</strong> messa, nei sacramenti, nella vita privata di ogni cristiano,<br />

e finalmente alla luce <strong>della</strong> sua futura seconda venuta nell'ultima<br />

escatologia.<br />

Così quando la <strong>liturgia</strong> spesso durante l'avvento (per es., introito<br />

del mercoledì delle quattro tempora di avvento, introito <strong>della</strong> IV<br />

dom. di avvento) ripete: stillate o cieli dall'alto la vostra rugiada, e<br />

le nubi piovano il giusto; si apra la terra e germogli il Salvatore<br />

(Is 45,8), è bensì, questo, il grido dei giudei che, nell'esilio di Babilonia,<br />

aspettavano la venuta del Messia, la liberazione per mano di<br />

Ciro (vedi sabato delle quattro tempora di avvento, 4 a lettura), l'instaurazione<br />

del regno di Dio; tutte cose che Dio prometteva per la<br />

bocca del profeta. Ma nella visione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è anche il grido<br />

di tutto l'Antico Testamento verso la venuta di Cristo che si realizzò<br />

per l'incarnazione del Figlio di Dio e la sua nascita in Palestina dalla<br />

vergine Maria; è anche il grido di ogni cristiano che ogni anno aspetta<br />

nuovamente la festa di Natale, anzi che aspetta nuovamente ogni<br />

giorno la sua venuta sacramentale nel sacrificio <strong>della</strong> messa e la<br />

sua venuta mistica, nell'anima; ed è, finalmente, il grido di questo<br />

stesso cristiano che aspetta la seconda e trionfale venuta del Signore<br />

nella parusia e la visione beatifica. È per questo che alla vigilia di<br />

Natale la <strong>liturgia</strong> così può commentare il <strong>senso</strong> dell'avvento e <strong>della</strong><br />

lettura delle profezie di Isaia : « O Signore, che ci allieti con l'annua<br />

attesa <strong>della</strong> nostra redenzione, fa sì che l'Unigenito tuo Figlio, che<br />

ora accogliamo festanti come redentore, l'accogliamo pure con<br />

coscienza tranquilla allorché verrà come giudice ».<br />

Nella stessa messa <strong>della</strong> vigilia di Natale si legge come communio<br />

il seguente passo di Isaia : « Si manifesterà la gloria del Signore<br />

ed ogni vivente vedrà la salvezza del nostro Dio ». Questo passo, nel<br />

<strong>senso</strong> che le dà qui la <strong>liturgia</strong>, si riferisce simultaneamente: 1. ai<br />

giudei dell'Antico Testamento che aspettavano la loro liberazione<br />

messianica che Dio concesse loro, e a tutto il mondo, con l'incarna-


PROFEZIE 445<br />

zione del Figlio di Dio e la sua nascita dalla Vergine Maria in Palestina;<br />

2. ai cristiani che ogni giorno aspettano la venuta sacramentale<br />

dello stesso Figlio di Dio, nel sacrificio e nella comunione,<br />

e mistica nell'interno delle loro anime, e ogni anno aspettano la<br />

festa <strong>della</strong> sua natività il giorno di Natale; 3. agli stessi cristiani che<br />

aspettano il cielo e la parusia con l'instaurazione definitiva, cosmica<br />

e gloriosa del regno di Dio.<br />

Lo stesso si dica del testo di Isaia 30,30 che si legge come introito<br />

<strong>della</strong> messa <strong>della</strong> seconda domenica dell'avvento: «Popolo di Sion,<br />

ecco che il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà<br />

udire la maestà <strong>della</strong> sua voce inondando d'allegrezza il vostro<br />

cuore ». <strong>Il</strong> riferimento di questo testo alla venuta di Cristo nella<br />

messa e alla festa di Natale è così sottolineato dalla <strong>liturgia</strong> nell'orazione<br />

<strong>della</strong> stessa messa : « Stimola, o Signore, i nostri cuori a<br />

preparare la via al tuo Unigenito, affinché la sua venuta faccia sì<br />

che possiamo servirti con animo più puro ».<br />

La prospettiva escatologica finale di questi testi profetici di<br />

Isaia è accentuata dalla <strong>liturgia</strong> sin dall'inizio di questo periodo<br />

liturgico, nella messa <strong>della</strong> prima domenica dell'avvento nella quale<br />

si legge come vangelo Le 21,25-33 ove Nostro Signore parla <strong>della</strong><br />

fine del mondo e <strong>della</strong> sua seconda venuta alla fine dei tempi.<br />

Nel periodo liturgico settuagesima-Pentecoste la profezia, propriamente<br />

detta, dell'Antico Testamento ha certamente un rilievo<br />

minore di quello che ha nel periodo avvento-Epifania. Nel periodo<br />

settuagesima-Pentecoste l'Antico Testamento come si vedrà in seguito,<br />

è considerato più nel suo valore tipologico prefigurativo del<br />

mistero di Cristo come redenzione che nel suo valore di profezia<br />

propriamente detta dello stesso mistero. Comunque, anche in questo<br />

periodo tre profezie sono messe in rilievo: il salmo 21 (vg.): Deus,<br />

Deus meus respice in me, quare me dereliquisti, letto come tratto<br />

la domenica di passione; la profezia di Isaia sul servo di Jahweh,<br />

letta nelle messe del lunedì santo (Is 50,5-10) e del mercoledì santo<br />

(Is 62,11; 63,1-7; 53,1-12); la profezia di Gioele ricordata nel discorso<br />

di S. Pietro il giorno <strong>della</strong> Pentecoste e letta alla messa del venerdì<br />

delle quattro tempora di Pentecoste.<br />

Le due profezie del salmo ventuno e del servo di Jahweh riguardano<br />

il Messia paziente e redentore e in ognuna di esse si fa breve<br />

accenno al suo trionfo e ai frutti meravigliosi <strong>della</strong> sua opera. Alla<br />

luce del fatto di Cristo, dei particolari <strong>della</strong> sua passione, morte e<br />

risurrezione, <strong>della</strong> nozione <strong>della</strong> sua divinità, <strong>della</strong> natura spirituale<br />

e dell'universalità <strong>della</strong> sua redenzione, il cui ultimo frutto è la<br />

Gerusalemme celeste, è chiaro quanto la <strong>liturgia</strong>, nella lettura di<br />

queste profezie, trascenda il <strong>senso</strong> dei contemporanei.<br />

Si intuisce così a quali profondità di prospettive alludano, a<br />

questa luce, passi come i seguenti : « Voi che temete il Signore,<br />

lodatelo; stirpe tutta di Giacobbe glorificatelo. Una stirpe futura<br />

parlerà del Signore e annunzieranno i cieli la sua giustizia, per quel<br />

che ha fatto al popolo venturo » (Sai 21,24-32). La stirpe futura, alla


446 CAP. XIV • LITURGIA E SCRITTURA<br />

quale pensa qui la <strong>liturgia</strong>, è la Chiesa e la Gerusalemme celeste.<br />

« <strong>Il</strong> Signore Iddio è il mio aiuto perciò non sono stato confuso, perciò<br />

ho reso la mia faccia come pietra durissima e so che non sarò<br />

confuso. Colui che mi giudica è presso di me. Chi si dichiarerà contro<br />

di me?» (/s 50,7 s). Questo passo la <strong>liturgia</strong> lo legge alla luce<br />

<strong>della</strong> chiara nozione <strong>della</strong> divinità di Cristo e di quello che Egli<br />

stesso disse: « Io do la mia vita per riprenderla poi. Nessuno me<br />

la toglie ma io la do da me stesso: ho il potere di darla e il potere<br />

di riprenderla. Questo è il comando datomi dal Padre... Io ed il<br />

Padre siamo uno » (Gv 10,17 s 30). E -chiaro che la <strong>liturgia</strong> legge la<br />

profezia di Is 53,1-12 alla luce del testo di S. Paolo ai filippesi<br />

2,5-11 e <strong>della</strong> prima epistola di Pietro 2,21-25.<br />

In qual <strong>senso</strong> la <strong>liturgia</strong> intenda la profezia di Gioele sul dono<br />

dello Spirito di Dio ai fedeli dei tempi messianici (Gì 3,1-5) e reso<br />

chiaro dall'interpretazione datane dallo stesso S. Pietro (At 2,15-18)<br />

e, in genere, dalla dottrina di S. Paolo sul dono dello Spirito dato<br />

ai cristiani, la sua parte nella vita che devono condurre, la glorificazione<br />

futura del corpo nella risurrezione come ultimo frutto<br />

<strong>della</strong> sua presenza in noi (vedi, per es., Rm 8 per intero).<br />

Tra le feste particolari in cui la lettura delle profezie propriamente<br />

dette dell'Antico Testamento ha qualche importanza, si notino :<br />

l'Immacolata Concezione e la lettura, nel breviario, del passo di Gn<br />

3,14 s : « ...Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la<br />

stirpe di lei; essa ti schiaccerà il capo e tu insidierai il suo calcagno<br />

». <strong>Il</strong> passo, anche nel <strong>senso</strong> dei contemporanei, è l'annunzio<br />

profetico del Redentore nascituro da donna e <strong>della</strong> vittoria che<br />

attraverso Lui il genere umano riporterà sulla potenza del male<br />

causa <strong>della</strong> nostra primitiva caduta. Si nota subito lo splendore di<br />

cui rifulge questa profezia nella <strong>liturgia</strong> che la legge alla luce <strong>della</strong><br />

dottrina sulla Madre di Dio e sull'Immacolata. Perciò la <strong>liturgia</strong> può<br />

commentare : « Per un uomo il peccato è entrato in questo mondo e<br />

per il peccato la morte, nel quale tutti peccarono. Non temere, Maria,<br />

tu hai trovato grazia dinanzi a Dio » (Respons. dopo la prima lezione).<br />

Nella festa del Sacro Cuore hanno grande rilievo nelle letture<br />

del breviario le profezie di Geremia sull'instaurazione di un nuovo<br />

ed eterno patto tra Dio e il popolo ai tempi del Messia, patto fondato<br />

sull'amore di Dio per il popolo e la sincera corrispondenza<br />

del popolo all'amore di Dio. Queste profezie prendono evidentemente<br />

un significato profondo, lette come lo sono dalla <strong>liturgia</strong>,<br />

alla luce <strong>della</strong> rivelazione del Dio amore in Cristo come appare in<br />

S. Paolo e in S. Giovanni, e <strong>della</strong> Chiesa nuovo popolo di Dio che si<br />

prolunga fino alla Gerusalemme celeste.


LA TIPOLOGIA 447<br />

<strong>Il</strong> significato di persone, cose, avvenimenti storici, istituzioni.<br />

La tipologia<br />

La visione più profonda per mezzo <strong>della</strong> quale il Nuovo Testamento<br />

e la <strong>liturgia</strong> superano il semplice <strong>senso</strong> che i contemporanei<br />

davano a certi testi dell'Antico Testamento, quando si tratta<br />

del significato annesso a persone, cose, avvenimenti storici, istituzioni,<br />

ha un nome speciale, già usato, sebbene non esclusivamente,<br />

nel Nuovo Testamento e che oggi è sempre più universalmente<br />

accettato: si chiama il <strong>senso</strong> tipologico. È necessario esaminare<br />

più accuratamente questo caso speciale.<br />

La tipologia nella bibbia è una certa relazione come di abbozzo<br />

e compimento, che Dio ha messo tra due cose nelle quali ha inteso<br />

concretizzare successivamente uno stesso aspetto del mistero di<br />

Cristo, di modo che la cosa antecedente ha il valore di realizzazione<br />

imperfetta e come di schizzo di ciò che sarà compiuto più<br />

perfettamente nella cosa seguente.<br />

La cosa antecedente è il tipo: una prima espressione, un primo<br />

abbozzo, un primo schizzo prefigurativo; la cosa susseguente è Tantitipo:<br />

la realizzazione più perfetta e più completa d'una medesima<br />

idea. Tra il tipo e l'antitipo vi è dunque agli occhi di Dio una relazione<br />

intrinseca di preparazione e prefigurazione: Dio realizzando<br />

la cosa antecedente aveva già in vista la susseguente. È chiaro così<br />

che il pieno significato o la piena ragion d'esser del tipo, nello<br />

svolgimento storico del mistero di Cristo storia sacra, non può<br />

essere capito che in riferimento all'antitipo.<br />

La tipologia presuppone l'unità dei due testamenti e <strong>della</strong> storia<br />

sacra come è stata spiegata al principio di questo capitolo. Essa<br />

esprime questa unità <strong>della</strong> storia sacra nel mistero di Cristo non<br />

solo mediante un approfondimento sempre maggiore del valore<br />

totale di affermazioni generali astratte, dottrinali, morali o profetiche,<br />

ma mediante un rapporto intrinseco preparativo e prefigurativo<br />

di cosa a cosa.<br />

L'esistenza <strong>della</strong> tipologia in linea di massima nell'Antico e<br />

nel Nuovo Testamento è assolutamente certa. La cosa appare già<br />

nei profeti, presso i quali si rileva la tendenza ad interpretare gli<br />

eventi passati <strong>della</strong> storia d'Israele in funzione di futuri avvenimenti<br />

aspettati. Gli eventi passati sono considerati come preparanti,<br />

annunzianti e prefiguranti realtà future che si verificheranno<br />

ai tempi del Messia. Infatti il pensiero dei profeti è che ai tempi<br />

messianici si rinnoveranno, in qualche modo, gli eventi più memorabili<br />

<strong>della</strong> storia antica d'Israele, non già in una ripetizione meccanica<br />

e materiale, ma come in una trasposizione più sublime e<br />

mirabile.<br />

È anzitutto la storia dell'esodo, dall'uscita dell'Egitto all'ingresso<br />

nella terra promessa, che viene considerata in questa luce<br />

(v., per es., Is 11,11-12,6; 43,16-21; Ger 23,7 s; 31,31-33). Così i tratti


448 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

essenziali <strong>della</strong> storia dell'antico Israele, oltre che a conservare il<br />

loro <strong>senso</strong> di realtà storica passata, prendono un ulteriore valore<br />

di prima realizzazione imperfetta di quello che Dio farà ai tempi<br />

messianici: vi sarà, in modo assai più meraviglioso e sublime di<br />

quanto non avvenne al primo esodo, un nuovo passaggio del mare,<br />

una nuova marcia del popolo per il deserto, nuove acque vive scaturienti<br />

dalla roccia, una nuova colonna luminosa di nubi, e specialmente<br />

una nuova ed eterna alleanza. Questa tendenza viene<br />

ancora accentuata nel giudaismo posteriore e prende pieno sviluppo<br />

nel Nuovo Testamento.<br />

<strong>Il</strong> grande nuovo annunzio, che il Nuovo Testamento indirizza<br />

ai giudei, è semplicemente questo: tutto quello che è stato preparato,<br />

annunziato, prefigurato come in un primo schizzo nell'Antico<br />

Testamento, si è ora adempiuto nella persona di Cristo e nei cristiani.<br />

I libri del Nuovo Testamento sono pieni di questa idea \<br />

S. Paolo ne fa esplicitamente la teoria. È il suo concetto <strong>della</strong> pienezza<br />

dei tempi (Gal 4,4; Ef 1,10); <strong>della</strong> legge del pedagogo che conduce<br />

a Cristo (Gal 3,24; Rm 10,4); dei cristiani, meta verso cui<br />

tendeva tutta la storia precedente (ICor 10rll); vero Israele che<br />

Dio aveva in vista di formare quando si occupava dell'Israele storico<br />

(Gal 6,16); veri figli di Abramo nei quali si compiono le promesse<br />

a lui fatte (Rm 9,7 ss). Nonché il concetto <strong>della</strong> legge primo<br />

abbozzo imperfetto e prefìgurativo dell'economia nuova (Eb 10,1).<br />

In questi temi generali, che esprimono l'unità continuativa dei<br />

due testamenti e di tutta la storia, la tipologia propriamente detta<br />

ha un posto importantissimo: l'Antico Testamento non solo prepara<br />

e annunzia il Nuovo mediante una successione cronologica o<br />

mediante dottrine e affermazioni teoriche, ma in esso, cose, persone<br />

e avvenimenti hanno anche il valore di prime realizzazioni imperfette<br />

e prefigurative di cose, persone e avvenimenti <strong>della</strong> nuova<br />

economia.<br />

Questa relazione tra realtà dell'Antico Testamento e realtà del<br />

Nuovo in quattro casi è chiamata esplicitamente: Typos, Antitypos:<br />

relazione tra Adamo e Cristo (Rm 5,14); relazione tra avvenimenti<br />

dell'esodo e vita cristiana (ICor 10,6); relazione tra sacerdozio e<br />

<strong>liturgia</strong> del tabernacolo e del tempio da una parte, e sacerdozio<br />

e sacrificio di Cristo dall'altra; santuario del tempio e santuario<br />

del cielo (Eb 9,24. Cfr. 9-10,8); relazione tra arca di Noè e battesimo<br />

(\Pt 3,21).<br />

Sarebbe arbitrario dire che questi sono i soli passi d'interpretazione<br />

tipologica certa nel Nuovo Testamento. Infatti, in molti<br />

altri testi, senza usare le parole typos, antitypos, il Nuovo Testamento<br />

interpreta il significato di cose, persone, avvenimenti dell'Antico,<br />

con un procedimento identico, o talmente simile che rie-<br />

5 Cfr. per es., L. GOPPELT, Typos. Die typologische Deutunge des Alten Testaments<br />

im Neuen, 1939; P. LESTRINGANT, Essai sur l'unite de la révélation biblique,<br />

Paris 1943; P. VAN DEN PLOEG, VAncien Testament dans Vépitre aux hébreux, in:<br />

Revue biblique 1947, 187 ss.


LA TIPOLOGIA 449<br />

sce oltremodo difficile vedere quale sia la differenza dai casi precedenti.<br />

Così, guardando le cose da vicino, è impossibile sfuggire<br />

all'impressione che nel Nuovo Testamento il procedimento d'interpretazione<br />

tipologica sia effettivamente usato su larga scala.<br />

Ecco alcuni esempi che ho potuto rilevare: 1. La manna (l'acqua<br />

<strong>della</strong> roccia) - l'eucaristia (Gv 6,48-58. Cfr. 1 Cor 10,3). 2. I tre giorni<br />

di Giona nel ventre <strong>della</strong> balena - la risurrezione di Cristo dopo tre<br />

giorni (Mt 12,39); sebbene qui si tratti, forse, di un caso speciale.<br />

3. Elia - Giovanni Battista (Mt 17,12). 4. Agnello pasquale - Cristo (Mt<br />

26,28 e paralleli; 1 Cor 5,7; cfr. Es 24,8; Ger 31,31; Zc 9,11; Eb 9,19 s).<br />

5. <strong>Il</strong> serpente nel deserto - Cristo in croce (Gv 3,14). 6. Gerusalemme<br />

terrestre - Chiesa - Gerusalemme celeste (Gal 4,25-27; Eb 11,10; 12,22;<br />

13,14; Ap 3,12; 11,2; 20,9). 7. L'alleanza antica - il testamento nuovo<br />

(Mt 26,28; 2 Cor 3,6.14; Gal 4,24; Eb 7,22; 8,8 ss; 9,15; 10,29; 13,20).<br />

8. Mosè - Cristo (Gv 6,32; 1,17; At 7,37; 1 Cor 10,2; Eb 3,2 ss; 11,26). 9.<br />

David - Cristo (At 2,25 ss). 10. Giacobbe ed Esaù - cristiani e giudei<br />

(Rm 9). 11. Osservanze ascetiche e feste giudaiche - Cristo e realtà<br />

cristiane (Col 2,16-23).<br />

Stabilita in linea di massima l'esistenza e la legittimità <strong>della</strong><br />

interpretazione tipologica, la questione ulteriore, che oggi interessa<br />

maggiormente, è di sapere quali sono le regole precise che permettano,<br />

in un determinato caso particolare, di stabilire con sicurezza,<br />

senza cadere nell'arbitrario, fin dove si estende nei suoi particolari<br />

la relazione tipologica tra una realtà dell'Antico Testamento e del<br />

Nuovo. È evidente infatti che, pur rivalorizzando il principio di massima<br />

dell'interpretazione tipologica contro le esagerazioni scientiste<br />

filologiche che hanno imperato da un secolo a questa parte 8 , non<br />

possiamo in nessun modo ricadere nelle non meno evidenti esagerazioni<br />

arbitrarie in cui caddero molti Padri e specialmente i medievali,<br />

prendendo lo spunto dal retto principio dell'interpretazione<br />

tipologica.<br />

La questione è stata oggetto di diversi studi 7 . La regola pratica<br />

più sicura è semplicemente di attenersi a quei casi di tipologia<br />

chiaramente attestati dalla Scrittura o almeno in essa accennati.<br />

E la ragione principale è questa: la tipologia è un rapporto di preparazione<br />

e prefigurazione tra due cose in diverse fasi <strong>della</strong> storia<br />

sacra, rapporto intrinseco alle cose medesime, perché Dio stesso ve<br />

lo ha messo; esso dipende perciò essenzialmente dall'intenzione<br />

e dalla libera volontà creatrice divina e noi non possiamo conoscerlo<br />

con certezza se Dio, in qualche modo, non ce l'ha manifestato<br />

s .<br />

L'autorità dei Padri, in questo campo, è decisiva come di fede,<br />

solo se, secondo tutti i criteri generali <strong>della</strong> teologia, adempie alle<br />

0 Cfr. C. CHARLIER, La lecture... p. 6 ss.<br />

7 A questo mirano appunto in buona parte le due opere di DANIÉLOU, Sacramentum<br />

futuri e Bible et liturgie.<br />

8 In questo <strong>senso</strong> parla anche l'Enciclica Divino afflante Spiritu, cfr. Ada<br />

Apostolicae Sedis 35 (1943) 311.<br />

15-11 <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


450 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

condizioni di unanimità morale a imporre la cosa come di fede.<br />

Infatti, secondo la metodologia generale teologica questo è necessario<br />

affinché dai soli Padri si possa ricavare un argomento apodittico<br />

per asserire che una tal cosa è da credersi così. Queste<br />

condizioni difficilmente si verificheranno per_quei casi che non<br />

sono nettamente già proposti dalla Scrittura. Da questo punto di<br />

vista, non basta affatto mostrare che qualche tipologia è stata affermata<br />

da uno o anche da diversi Padri, o in qualche testo di una<br />

<strong>liturgia</strong> storica o attuale, perché si possa subito e senz'altro concludere<br />

che questa tipologia è da ritenersi verità di fede.<br />

Invece, conoscere il pensiero dei Padri intorno all'interpretazione<br />

tipologica di qualche passo <strong>della</strong> Scrittura o <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

sarà in ogni caso utilissimo per capire il significato simbolico che<br />

essi vi. annettevano, sebbene non ne segua che questo significato<br />

debba essere ritenuto cosa di fede. In questo <strong>senso</strong> i lavori di Daniélou,<br />

sacramentum futuri e Bible et liturgie, devono essere ritenuti assai<br />

utili.<br />

Comunque, l'uso <strong>della</strong> tipologia nella <strong>liturgia</strong> è bensì molto<br />

abbondante, ma, osservando attentamente le cose, si nota che, in<br />

massima, la <strong>liturgia</strong> romana si attiene ai casi già chiarissimi, o relativamente<br />

chiari, nel Nuovo Testamento. Cosicché è facile ritrovarvi<br />

i casi precedentemente elencati. Bastino alcuni esempi:<br />

Sulla tipologia del passaggio del mar rosso - battesimo, vedi sabato<br />

santo : orazione dopa la seconda profezia; vigilia <strong>della</strong> Pentecoste :<br />

orazioni dopo la profezia seconda e quarta; introiti delle messe del<br />

giovedì, del venerdì, del sabato dopo Pasqua e <strong>della</strong> domenica<br />

in albis. Sulla tipologia dell'eucaristia, vedi messa e ufficio del Corpus<br />

Domini. Sulla tipologia diluvio - battesimo, vedi il prefazio <strong>della</strong> benedizione<br />

del fonte il sabato santo, e, lo stesso giorno, l'orazione dopo<br />

quella che era la seconda profezia. Sulla tipologia: ingresso nella<br />

terra promessa - battesimo e ingresso nella Chiesa, vedi il lunedì di<br />

Pasqua : introito <strong>della</strong> messa. Su Elia - Giovanni Battista, vedi la festa<br />

del 24 giugno, le lezioni del primo notturno nel breviario. Sulla tipologia<br />

Esaù - Giacobbe, Ismaele - Isacco e giudei - cristiani, vedi la messa<br />

del sabato dopo la seconda domenica di quaresima e la messa <strong>della</strong><br />

quarta domenica di quaresima. Sulla tipologia Gerusalemme terrestre<br />

- Chiesa - Gerusalemme celeste, vedi la quarta domenica di quaresima<br />

nella messa nonché la messa e tutto l'ufficio <strong>della</strong> dedicazione<br />

di una chiesa. Sulla tipologia serpente nel deserto - Cristo in croce,<br />

vedi nella festa dell'esaltazione <strong>della</strong> croce il 14 settembre le lezioni<br />

del primo notturno nel breviario.<br />

Oltre a questi casi di tipologia di origine biblica, la <strong>liturgia</strong> ve<br />

ne aggiunge un certo numero d'origine patristica, alcuni dei quali<br />

però possono facilmente considerarsi come un semplice sviluppo di<br />

elementi già contenuti nel Nuovo Testamento. Intorno alla Madonna,<br />

la <strong>liturgia</strong> sviluppa tutta una tipologia che non è esplicitamente<br />

scritturistica : Eva - Maria, tema sviluppatissimo nella tradizione patri-


TESTI DEL NUOVO TESTAMENTO 451<br />

stica 9 e che si riallaccia in qualche modo a Gn 3,14 s: la promessa<br />

del Redentore nascituro da una donna; Giuditta - Maria; Ester - Maria.<br />

Vedi nelle feste <strong>della</strong> Madonna, per esempio nella festa dell'Immacolata,<br />

i molti testi presi dai libri di Giuditta e di Ester. La<br />

tipologia dell'eucaristia è sviluppata specialmente mediante gli elementi:<br />

Sacrificio di Isacco - eucaristia 10 , sacrifìcio di Melchisedec -<br />

eucaristia ". Quella del battesimo è sviluppata, per esempio, mediante<br />

il tema : paradiso terrestre - battesimo n . Dalla domenica di passione<br />

al venerdì santo nella <strong>liturgia</strong> è molto sviluppata la tipologia Geremia<br />

- Cristo 13 .<br />

5. I TESTI DEL NUOVO TESTAMENTO NELLA LITURGIA:<br />

LORO APPROFONDIMENTO<br />

L'uso dei testi dell'Antico Testamento e del Nuovo nella <strong>liturgia</strong><br />

presentano due casi assai diversi perché la loro interpretazione liturgica<br />

si fa sotto due prospettive diverse. Infatti, il <strong>senso</strong> che i contemporanei,<br />

per i quali furono immediatamente scritti, poterono<br />

vedere nei testi del Nuovo Testamento, è già, sotto un certo aspetto,<br />

il loro <strong>senso</strong> esauriente. Noi che viviamo oggi e leggiamo quei testi<br />

non siamo, rispetto ai discepoli immediati degli Apostoli, in una situazione<br />

sostanzialmente diversa, come lo furono invece gli Apostoli<br />

rispetto ai giudei antichi in quello che riguardava la comprensione<br />

dell'Antico Testamento. Dal momento in cui furono scritti i testi del<br />

Nuovo Testamento a oggi, non è accaduto nel mistero di Cristo storia<br />

sacra niente di sostanzialmente nuovo poiché, dopo gli Apostoli, non<br />

c'è stata né vi sarà rivelazione pubblica nuova nella Chiesa. Lo svolgimento<br />

<strong>della</strong> storia sacra fino al momento <strong>della</strong> parusia non comporta<br />

dunque nessun evento che possa permettere ai contemporanei<br />

di vedere i testi del Nuovo Testamento in una luce e in un approfondimento<br />

sostanzialmente nuovi paragonabili a quella luce nuova<br />

che portò l'avvento di Cristo e <strong>della</strong> Chiesa alla comprensione dell'Antico<br />

Testamento.<br />

9 Vedi: La nouvelle Ève I. II, in: Éttides mariales. Bullet. de la soc. mariale<br />

frane. 1954; 1955; e anche: J. DANIÉLOU, La typologie de la femme dans VAncien<br />

Testament, in: La vie spirititene 1949 p. 491-510.<br />

10 Vedi J. DANIÉLOU, Sacramentum futuri p. 97 ss.<br />

11 Vedi J. DANIÉLOU, Bible et liturgie, Paris 1951 p. 194 ss. La tipologia sacrificio<br />

di Melchisedec - eucaristia è accennata dalla Scrittura nella tipologia<br />

Melchisedec - Cristo.<br />

12 Vedi J. DANIÉLOU, Sacramentum futuri p. 13 ss. ID., Terre et paradis chez<br />

les Pères de l'Église, in: Eranos Jahrbuch 22 (1953) 433-72; la, Cathechèse pascale<br />

et retour au paradis, in: La Maison-Dieu n. 45 (1956) 99-119. Base scritturistica<br />

nella tipologia Adamo - Cristo.<br />

13 Anche questa tipologia è già sufficientemente accennata dalla Scrittura<br />

dove Cristo è presentato come « il giusto » e « il profeta » per eccellenza.


452 CAP. XIV - LITURGIA il SCRITTURA<br />

Eppure, sotto un altro aspetto, è verissimo che i testi del Nuovo<br />

Testamento letti oggi nella <strong>liturgia</strong>, si illuminano di una luce tutta<br />

propria. Questa luce propria e in qualche modo nuova, proviene da tre<br />

fonti. Anzitutto dallo svolgimento <strong>della</strong> storia ecclesiastica e <strong>della</strong><br />

vita <strong>della</strong> Chiesa come si è compiuta dagli Apostoli a oggi. Questo<br />

svolgimento permette a noi di capire, sotto un certo aspetto, più<br />

profondamente dei contemporanei degli Apostoli la portata precisa<br />

di alcuni testi del Nuovo Testamento. Così, per esempio, l'accrescersi<br />

<strong>della</strong> Chiesa ci fa capire meglio il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> parabola del<br />

granello di senapa (Mt 13,31 ss e parai.), del lievito (ibid. 33 s), <strong>della</strong><br />

zizzania (ibid. 24 ss) e in genere la dottrina sulla Chiesa stessa.<br />

Cosicché, quésti passi, letti nella <strong>liturgia</strong> (cfr., per es., domenica V e VI<br />

dopo l'Epifania), s'illuminano all'esperienza <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Un'altra fonte di nuova luce più abbondante ancora è l'evoluzione<br />

o esplicitazione successiva dei dogmi e delle dottrine come<br />

è ammessa nella Chiesa cattolica. Alla luce infatti delle dottrine<br />

chiarificate e dei dogmi evoluti e definiti, molti testi del Nuovo<br />

Testamento prendono una profondità di significato che non videro<br />

certo con tale precisione i contemporanei degli Apostoli.<br />

Così, per esempio, la dottrina dell'Immacolata Concezione, pienamente<br />

conosciuta nei tempi moderni, illumina di una profondissima<br />

luce, che non videro certo con tanta chiarezza i contemporanei degli<br />

Apostoli, il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> salutazione dell'Angelo a Maria : « Ave, piena<br />

di grazia; il Signore è con te: tu sei benedetta fra le donne » (Le 1,28).<br />

Questo testo, per il semplice fatto di essere letto nella <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong><br />

festa dell'Immacolata Concezione (vangelo <strong>della</strong> messa), riceve un<br />

commento molto chiarificatore. Un commento pure tutto proprio<br />

riceve il testo dell'Apocalisse sulla donna coronata di dodici stelle,<br />

per il semplice fatto di essere riportato nella messa nuova <strong>della</strong> festa<br />

dell'Assunzione di Maria che è la festa del suo trionfo in cielo, corpo<br />

e anima. E, in genere, lo sviluppo dei dogmi mariani illumina di una<br />

luce meravigliosa il Magnificat di Maria : « L'anima mia magnifica<br />

il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore; perché Egli<br />

ha rivolto i suoi sguardi sulla bassezza <strong>della</strong> sua ancella, e così, da<br />

questo momento, tutte le generazioni mi chiameranno beata, perché<br />

grandi cose ha fatto in me Colui che è potente... Egli ha operato<br />

potentemente col suo braccio... ha rovesciato dal loro trono i potenti<br />

ed ha esaltato gli umili » (Le 1,46 ss).<br />

Similmente, lo sviluppo dei dogmi del primato e dell'infallibilità<br />

del Romano Pontefice fa apparire in tutto il suo <strong>senso</strong> il significato<br />

<strong>della</strong> parola di Gesù a Pietro: « Tu sei Pietro e su questa pietra<br />

io edificherò la mia Chiesa e le porte dell'inferno non prevarranno<br />

contro di essa... Qualunque cosa tu legherai sulla terra sarà legata<br />

in cielo e qualunque cosa tu scioglierai sulla terra sarà sciolta in<br />

cielo ». Queste parole, lette nella recente messa del comune dei sommi<br />

pontefici, vengono commentate dal quadro stesso in cui vengono<br />

inserite dalla <strong>liturgia</strong>.<br />

Una terza e abbondantissima luce che ricevono parecchi testi del


TESTI DEL NUOVO TESTAMENTO 453<br />

Nuovo Testamento dalla <strong>liturgia</strong> è il loro riferimento all'azione liturgica<br />

nella quale hìc et nunc sono inseriti e quindi alla situazione personale<br />

del fedele che in questo momento vive questa stessa azione liturgica.<br />

Così, molti testi del Nuovo Testamento, sia che si tratti di testi<br />

storici sulla vita di Nostro Signore o <strong>della</strong> Chiesa primitiva, sia che<br />

si tratti di testi dottrinali o di ammonimenti di vita cristiana, escono<br />

dalla sfera astratta <strong>della</strong> semplice storia passata o dell'ammonimento<br />

dottrinale in genere, e diventano realtà personali presenti ed<br />

operanti in me in questo momento.<br />

Questa attualizzazione del <strong>senso</strong> dei testi del Nuovo Testamento<br />

è possibile solo nella <strong>liturgia</strong> perché solo essa è tutta incentrata nel<br />

sacrifìcio, nei sacramenti e nei sacramentali, e in essi, in modo misterioso<br />

e diverso secondo i casi, ma realissimo, è fatto presente o Cristo<br />

stesso in persona (eucaristia) o la sua virtù redentrice. Come abbiamo<br />

visto, la <strong>liturgia</strong>, in qualche modo, in sacramento, rende presente,<br />

realizzandolo nelle singole anime, tutto il mistero di Cristo storia<br />

sacra. Ora tutti i testi del Nuovo Testamento e le cose di cui parlano,<br />

non fanno altro che esprimere, sotto qualche aspetto, questo mistero<br />

di Cristo storia sacra. È per questo che la <strong>liturgia</strong> attualizza il <strong>senso</strong><br />

dei testi del Nuovo Testamento di cui fa uso.<br />

Così, per esempio, i passi storici del Nuovo Testamento sulla<br />

natività di N. S., sull'epifania, sulla risurrezione, sull'ascensione, sulla<br />

pentecoste, letti nella <strong>liturgia</strong> delle rispettive feste, nel quadro liturgico<br />

in cui sono letti, non hanno solo il significato di una commemorazione<br />

puramente storica dell'avvenimento ormai passato a cui<br />

si riferiscono, ma hanno anche il significato di un prolungamento attuale<br />

ai singoli fedeli nell'azione liturgica, del suo valore e frutto redentivo.<br />

Così la virtù redentiva di questi avvenimenti viene, a suo modo,<br />

nuovamente attualizzata e prolungata, perché nuovamente applicata.<br />

Perciò si può dire che questi avvenimenti, nella <strong>liturgia</strong>, vengono<br />

realmente riattualizzati; non già come avvenimenti storici (come se,<br />

per esempio, la messa di Natale rinnovasse la natività di N. S. nello<br />

stesso modo che ogni messa rinnova, a suo modo incruentemente,<br />

il sacrificio del Golgota), ma nella loro virtù redentiva. In questo<br />

<strong>senso</strong> si dice giustamente che la festa di Natale comporta nell'anima<br />

di ogni singolo fedele che vi prende parte nelle debite disposizioni,<br />

una sempre rinnovata nascita di Cristo; l'Epifania una sempre rinnovata<br />

manifestazione di Cristo; la Risurrezione una sempre rinnovata<br />

partecipazione alla sua vita divina; l'Ascensione una sempre rinnovata<br />

partecipazione alla sua gloria presso il Padre; la Pentecoste<br />

una sempre nuova venuta dello Spirito nel suo cuore.<br />

Così, quando il giorno di Natale nella <strong>liturgia</strong> si legge : « In quel<br />

tempo uscì un editto di Cesare Augusto che ordinava di fare il censimento<br />

di tutto l'impero... e (Maria) partorì il suo figlio primogenito,<br />

lo fasciò e lo pose in una mangiatoia », il <strong>senso</strong> di questa lettura<br />

non è soltanto di ricordare il fatto storico avvenuto in Palestina,<br />

ma anche di asserire che quel fatto, nella sua virtù redentiva, si<br />

attualizza oggi in ogni singolo fedele che, nelle debite disposizioni,


454 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

prende parte all'azione liturgica che si svolge in questo momento.<br />

Così la narrazione di Luca non parla di un semplice fatto storico<br />

come tutti gli altri, che non ha nessun contatto reale con me e con<br />

quello che sto facendo in questo momento, ma è una realtà viva che<br />

mi tocca personalmente. Alla virtù redentiva <strong>della</strong> natività di Cristo<br />

noi partecipiamo la prima volta e radicalmente nel battesimo, poi,<br />

tutta la vita ce l'assimiliamo sempre più nella partecipazione al sacrificio,<br />

ai sacramenti, alla vita liturgica <strong>della</strong> Chiesa, nella nostra vita<br />

cristiana extraliturgica.<br />

Similmente si dica di tutte le altre feste liturgiche che si riferiscono<br />

ad avvenimenti storici nei quali si è realizzata la nostra redenzione.<br />

Ogni settimana santa è per noi un morire sempre più e un<br />

risorgere sempre più in Cristo. La narrazione <strong>della</strong> discesa dello Spirito<br />

Santo sopra gli Apostoli che si legge nell'epistola il giorno <strong>della</strong><br />

Pentecoste, nel quadro liturgico in cui si legge, nello stesso tempo<br />

che ricorda l'avvenimento storico passato proclama la sua realizzazione<br />

sacramentale mistica nelle anime dei fedeli nell'azione liturgica.<br />

È chiaro pure il riferimento all'azione liturgica attuale, nonché<br />

alla situazione personale del fedele che vi prende parte, dei testi del<br />

Nuovo Testamento usati dalla <strong>liturgia</strong> e che contengono qualche<br />

ammonimento morale. Per esempio : nella notte del sabato santo alla<br />

messa si legge l'epistola di S. Paolo : « Fratelli, se siete risuscitati<br />

con Cristo cercate le cose dell'alto, là dove il Cristo siede alla destra<br />

di Dio; abbiate il gusto delle cose dell'alto, non delle cose terrene.<br />

Poiché voi siete morti e la vita vostra è nascosta col Cristo in Dio.<br />

Quando il Cristo, vostra vita, comparirà, allora anche voi apparirete<br />

con Lui nella gloria » (Col 3,1-4). <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> di questa epistola non è una<br />

semplice ripetizione di quello che S. Paolo scriveva ai colossesi. Ma,<br />

per il fatto che questo passo è letto nella messa di Pasqua ai fedeli<br />

che pochi istanti prima, o già da più lunga data, hanno ricevuto il<br />

battesimo e la cresima e stanno ora per partecipare al sacrificio<br />

eucaristico, gli ammonimenti di S. Paolo sono considerati come diretti<br />

personalmente ai singoli qui presenti. Si riferiscono al loro battesimo,<br />

o recente o di più lunga data, alla loro partecipazione all'eucarestia,<br />

agli obblighi che ognuno di essi personalmente ha di raggiungere<br />

la meta di tutta la vita che è la gloria assieme a Cristo e<br />

a sua somiglianza. Non è solo la storia dei colossesi che mi è qui<br />

prospettata, ma la mia situazione personale, mentre in questo momento<br />

<strong>della</strong> notte di Pasqua partecipo all'azione liturgica. È a me<br />

personalmente che s'indirizza quest'altro ammonimento di S. Paolo:<br />

« Fratelli, togliete via il vecchio fermento, affinché siate una pasta<br />

nuova, come siete azzimi; poiché la nostra Pasqua, Cristo, è stata<br />

immolata. Sicché celebriamo la festa non col vecchio fermento, né<br />

col fermento <strong>della</strong> malizia e <strong>della</strong> malvagità, ma con gli azzimi <strong>della</strong><br />

purità e <strong>della</strong> verità» (ICor 5,7s).<br />

È altrettanto chiaro che tutti gli altri passi del Nuovo Testamento,<br />

letti nella <strong>liturgia</strong> e che riferiscono un insegnamento morale di<br />

Gesù o degli Apostoli, o che descrivono le realtà <strong>della</strong> vita sopran-


CONCLUSIONE 455<br />

naturale che avvengono in ogni cristiano, sono letti come indirizzati<br />

ai singoli fedeli presenti all'azione liturgica. Così, per esempio, il discorso<br />

<strong>della</strong> montagna (vedi V domenica dopo Pentecoste; domenica<br />

IV dopo Pentecoste; festa di tutti i santi: le beatitudini, col signi-,<br />

ficato ulteriore che questi precetti e ammonimenti sono stati come<br />

la .via che ha condotto i santi alla loro gloria). Così anche quando<br />

il giorno <strong>della</strong> Pentecoste si legge il vangelo ove Gesù promette la<br />

venuta dello Spirito e spiega le condizioni necessarie per riceverlo<br />

e gli effetti <strong>della</strong> sua venuta (Gv 14,23-31): « Chiunque mi ama, osserverà<br />

la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo da lui e faremo<br />

dimora presso di lui... », tutto questo la <strong>liturgia</strong> lo interpreta<br />

come indirizzato ai singoli fedeli presenti.<br />

* * *<br />

Dai cenni fatti in questo capitolo sull'uso <strong>della</strong> bibbia nella <strong>liturgia</strong><br />

si vede quanto sia importante rendersi conto delle leggi teologiche<br />

che lo comandano.<br />

Risulta evidente come la Chiesa vive anzitutto una storia sacra<br />

e la rivelazione si presenta anzitutto come una storia sacra. Inoltre,<br />

è reso sommamente vivo il cristocentrismo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. La storia<br />

sacra è mistero di Cristo, in Cristo stesso e nei suoi fedeli. Cristo<br />

appare il cardine di tutta la <strong>liturgia</strong>, di tutta la bibbia, di tutta la<br />

storia, di tutta la vita del fedele.<br />

È ritrovata la perfetta unità dei due testamenti e di tutta la<br />

storia, appunto nel mistero di Cristo, letto nella bibbia e realizzato<br />

nell'azione liturgica.<br />

È ritrovata la vitalità e l'attualità <strong>della</strong> bibbia intera, non artificiosamente,<br />

ma realmente e nel rispetto di quello che l'indagine critica<br />

moderna ci ha apportato in questo studio. Là Scrittura non è più<br />

una semplice storia senza nesso con la mia situazione personale<br />

hic et nunc. Io sono immesso in questa immensa corrente dinamica;<br />

la bibbia è la mia storia come la vivo ora nell'azione liturgica, come<br />

la vivo fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, come la vivrò nell'escatologia; non posso<br />

capirmi che attraverso la bibbia nell'azione liturgica.<br />

Questa lettura liturgica <strong>della</strong> bibbia è la lettura specificamente<br />

cristiana <strong>della</strong> Scrittura. È l'unica lettura che esaurisce tutto il<br />

<strong>senso</strong> che essa ha agli occhi del suo autore principale. È la lettura<br />

teologica <strong>della</strong> bibbia. La lettura filologica, critica, che, per definizione,<br />

intende fermarsi al <strong>senso</strong> dei contemporanei, è legittima, utile,<br />

necessaria, poiché ogni ulteriore lettura deve prendere le mosse da<br />

questa; ma è parziale e incompleta.<br />

La lettura liturgica <strong>della</strong> bibbia è la catechesi biblica <strong>della</strong><br />

Chiesa. L'ignoranza tra i fedeli del mistero di Cristo quale è insegnato<br />

nella bibbia, il fatto che essi non lo vivono più, proviene certamente<br />

in gran parte dall'ignoranza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, dal fatto che<br />

non vivono più la <strong>liturgia</strong>.<br />

<strong>Il</strong> predetto modo liturgico di leggere la bibbia, che è il modo in


456 CAP. XIV - LITURGIA E SCRITTURA<br />

cui fu letta da Cristo, dagli Apostoli, dalla primeva catechesi cristiana,<br />

dai Padri <strong>della</strong> Chiesa, penetrò così profondamente la mente<br />

dei fedeli antichi e medievali, che l'iconografia cristiana antica e medievale<br />

(in parte anche del rinascimento) è incomprensibile senza di<br />

esso 14 . Si tocca con le mani l'unità tra teologia, bibbia, <strong>liturgia</strong>,<br />

cultura, arte.<br />

14 Dell'arte cristiana antica, uno specialista, L. DE BRUYNE, ha potuto scrivere<br />

: « Astrazione fatta da alcune rappresentazioni prese direttamente a prestito<br />

dall'arte profana (Orfeo, Amore e Psiche, ecc.) e messi a parte i segni simbolici,<br />

i motivi decorativi ed i ricordi <strong>della</strong> vita terrena, il repertorio di quest'arte<br />

si compone di figure simboliche e di scene storiche, allegoriche e rappresentative,<br />

tutte quante orientate ad evocare ed illustrare Cristo Salvatore<br />

e l'opera <strong>della</strong> salute prepara i nel Vecchio Testamento, operata durante la vita<br />

terrena di Cristo, continuata dopo la sua morte dalla Chiesa e coronata nella<br />

vita beata... Dopo la pace <strong>della</strong> Chiesa, l'arte cristiana si svolse liberamente<br />

anche in composizioni monumentali a servizio diretto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e dell'educazione<br />

dei fedeli. La tecnica del mosaico le assicurava uno splendore più volte<br />

secolare. Pure essendo pienamente conscia del suo nuovo compito, non rinnega<br />

però il suo carattere fondamentale primitivo, e rimane essenzialmente simbo=<br />

lica. Tanto nei battisteri e nei martyria quanto nelle basiliche, i suoi cicli di<br />

scene bibliche, apparentemente solo narrativi, rivelano sempre meglio che la<br />

scelta e la distribuzione delle loro scene ubbidiscono a leggi simboliche o tipologiche.<br />

Essi formano così una transizione naturale tra il simbolismo primitivo<br />

delle catacombe e le vere concordanze del Vecchio e del Nuovo Testamento,<br />

come le conoscerà il medioevo » (Arte cristiana antica, in : Enciclopedia cattolica<br />

II (1949) 48 ss).


CAPITOLO XV<br />

NOTA SUI TEMI CENTRALI DEI SINGOLI SALMI<br />

E IL LORO RIFERIMENTO AL MISTERO DI CRISTO<br />

NELLA LITURGIA<br />

<strong>Il</strong> modo in cui si fa uso dei salmi nella <strong>liturgia</strong> merita uno studio<br />

particolareggiato, sia per l'abbondanza di quest'uso, principalmente<br />

nel breviario, sia per le difficoltà speciali che s'incontrano per capirne<br />

il <strong>senso</strong> come è inteso dalla <strong>liturgia</strong>. Mi limito ad alcune<br />

riflessioni, intese più direttamente a chiarire i principi generali che,<br />

nella <strong>liturgia</strong>, comandano il prolungamento, o approfondimento, o<br />

trasposizione che si voglia dire, del <strong>senso</strong> dei contemporanei nei<br />

salmi fino alle realtà eristiche, ecclesiali — anche individuali del singolo<br />

fedele che recita i salmi — ed escatologiche; ossia, fino al mistero<br />

di Cristo inteso in tutta la sua estensione.<br />

1. LA CONSIDERAZIONE DEI SALMI<br />

DAL PUNTO DI VISTA DEI GRANDI TEMI TEOLOGICI BIBLICI<br />

DELLA STORIA SACRA, MISTERO DI CRISTO<br />

Lo studio dei salmi in <strong>liturgia</strong> ha per scopo, in ultima analisi, di<br />

aiutarci a fare <strong>della</strong> loro recitazione la nostra preghiera anche personale<br />

e sentita. Quando si pensa alla parte che occupano nel culto,<br />

alla necessità di ripristinarne largamente l'uso nel popolo, di cantarli<br />

nella <strong>liturgia</strong>, si capisce l'importanza <strong>della</strong> questione come farne la<br />

nostra preghiera anche personale, in specie per coloro che sono obbligati<br />

al breviario e ancor più per quelli che, inoltre, fanno la vita<br />

di coro.<br />

Sarebbe ingenuo credere che, per pregare realmente i salmi, basti<br />

« capirli », nel <strong>senso</strong> di averne una comprensione concettuale di tipo<br />

scientifico o erudito. È certo invece che la santità <strong>della</strong> vita, anche se<br />

non accompagnata da simile conoscenza, è l'unica condizione necessaria<br />

e sufficiente per arrivare a quel risultato.


458 CAP. XV - TEMI DEI SALMI<br />

Infatti, in chi ha la santità <strong>della</strong> vita avviene infallibilmente, per<br />

opera <strong>della</strong> grazia, una « comprensione » dei salmi, non già concettuale<br />

di tipo scientifico, ma per connaturalità e come per sintonia di<br />

due nature poste l'una di fronte all'altra, o per istinto e simpatia.<br />

Perché santità vuol dire modo d'essere e d'agire simile al modo<br />

d'essere e d'agire di Dio e delle cose divine. Ma i salmi non parlano<br />

d'altro che di Dio e delle cose divine. E perciò, come la natura <strong>della</strong><br />

madre « comprende » istintivamente il figlio per via intuitiva non<br />

concettuale, o come il casto reagisce istintivamente per simpatia e<br />

ripugnanza davanti a situazioni e oggetti riguardanti la castità, così<br />

l'uomo santo vibra per connaturalità davanti a Dio e alle cose divine<br />

di cui parlano i salmi e li « comprende ». E questa comprensione,<br />

che non dipende dall'acume dell'intelletto né dall'abbondanza delle<br />

conoscenze erudite, ma unicamente dalla grazia e dalle disposizioni<br />

morali, è eminentemente una preghiera la quale è tanto più intensa<br />

quanto è più grande la santità. Essa raggiunge l'apice nella vita mistica,<br />

come si spiegherà meglio in un prossimo capitolo.<br />

Ma questo non vuol dire che la comprensione concettuale dei<br />

salmi sia inutile per poter farne più facilmente una vera preghiera<br />

personale. Che anzi in due modi può assai giovare a questo scopo.<br />

Anzitutto come preparazione, in quanto }a comprensione concettuale<br />

del testo dispone l'intelligenza discorsiva verso le cose di cui<br />

parla, e per l'intelligenza, la volontà e le altre potenze che obbediscono<br />

al suo comando. Secondariamente, in quanto la comprensione<br />

concettuale del testo ci fa apparire giustificato il modo in cui,<br />

nella stessa preghiera, anche se quasi per istinto e senza atti formali<br />

di pensiero, lo interpretiamo e lo applichiamo ai nostri fatti<br />

personali vedendoci personalmente implicati in quello che dice.<br />

Senonché, per raggiungere questo stesso scopo non tutti i modi<br />

di procedere nello studio dei salmi sono ugualmente adatti. Non basta<br />

« capire » i salmi nel <strong>senso</strong> di conoscerne quello che sopra abbiamo<br />

chiamato il <strong>senso</strong> dei contemporanei. Vuol dire che lo studio<br />

puramente filologico storico, pur essendo la base indispensabile per<br />

una comprensione liturgica concettuale ed esauriente dei salmi,<br />

non basta affatto, per se stesso, a raggiungerla.<br />

Sotto questo aspetto, per esempio, l'opera, per altro così importante,<br />

di Gunkel J sui generi letterari dei salmi, è ancora assai<br />

lontana da soddisfare i desideri di colui che vuol comprendere e<br />

vivere la <strong>liturgia</strong>. Basti dire che il raggruppamento che egli ne propone<br />

in dieci titoli diversi 2 è fatto essenzialmente dal punto di vista<br />

1 Eìnleitung in die Psalmen, Gòttingen 1933.<br />

2 1. Lamentazioni di individui privati; 2. Inni; 3. Salmi di ringraziamento;<br />

4. Salmi regi; 5. Lamentazioni del popolo; 6. Salmi sapienziali; 7. Salmi alfabetici;<br />

8. Salmi che parlano <strong>della</strong> sorte d'Israele; 9. Salmi che contengono storie;<br />

10. Salmi di contenuto escatologico. <strong>Il</strong> P. TOURXAY, Les psaumes (Bible de Jér.)<br />

2 ed. Paris 1955 pp. 59-61 raggruppa i salmi secondo il genere letterario sotto<br />

quattro capi: inni, preghiere, salmi didattici, salmi profetici ed escatologici.<br />

In Italia abbiamo ora l'opera di G. CASTELLINO, Libro dei Salmi (La sacra bibbia)<br />

Marietti 1955. Raggruppa i salmi sotto i seguenti undici titoli: lamentazioni


PER PREGARE I SALMI<br />

letterario-filologico dell'espressione e non già del pensiero, o del contenuto.<br />

Invece, per capire i salmi nella loro profondità reale è necessario<br />

mettersi anzitutto dal punto di vista del loro pensiero e cercare di<br />

comprenderlo sullo sfondo generale del mistero <strong>della</strong> storia sacra,<br />

mistero di Cristo. In altre parole, pur tenendo conto di tutto quello<br />

che l'esegesi e la teologia biblica moderna ci hanno dato e ci danno<br />

ormai con sempre maggiore perfezione, bisogna impostare decisamente<br />

lo studio dei salmi — come di tutta la bibbia — dal punto<br />

di vista che fu essenzialmente quello dei Padri 3 .<br />

Quando si dice che in questo studio è indispensabile tener conto<br />

di tutto quello che ci insegnano l'esegesi e la teologia biblica moderna,<br />

si chiarisce con ciò stesso che imitare i Padri nell'impostazione<br />

generale dello studio dei salmi sullo sfondo sintetico <strong>teologico</strong><br />

<strong>della</strong> storia sacra, non vuol dire affatto imitarli nei particolari delle<br />

loro interpretazioni quando, per esempio, proprio in tale particolare<br />

testo e non in altro vedevano tale particolare spunto e non<br />

altro <strong>della</strong> dimensione eristica, ecclesiologica, ascetica e mistica o<br />

escatologica dei salmi. Dai commentari patristici dei salmi si acquisterà<br />

anzitutto il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> visione sintetica teologica del cosmo<br />

come storia sacra, e, in secondo luogo, l'abito mentale generale di non<br />

considerare mai cóme esaurito il <strong>senso</strong> di qualsiasi cosa, avvenimento<br />

o testo <strong>della</strong> bibbia, prima di aver intravveduto il rapporto reale che<br />

ha, agli occhi di Dio, con le diverse fasi <strong>della</strong> storia sacra, mistero<br />

di Cristo, fino all'ultima escatologia. Ma nei particolari dell'interpretazione,<br />

in specie per quello che riguarda la base filologica e storica,<br />

noi dobbiamo ricorrere all'esegesi e alla teologia biblica moderne.<br />

Quando questo genere di studi si sarà sviluppato e il loro frutto<br />

si sarà popolarizzato, sarà stato fatto un notevole passo avanti per la<br />

comprensione dei salmi, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e delle loro vicendevoli relazioni,<br />

nonché dei rapporti tra bibbia, <strong>liturgia</strong> e vita spirituale. Credo<br />

anzi che tale passo sarà ancora più importante e decisivo <strong>della</strong> stessa<br />

individuali; salmi di fiducia; lamentazioni pubbliche; canti di ringraziamento;<br />

inni; salmi reali; salmi di Sion; salmi di Jahvè re; <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> fedeltà jahvistica;<br />

salmi sapienziali; preghiere varie. Nell'opera di Castellino si avrà un ottimo<br />

fondamento per dedicarsi a quella prima fase dello studio dei salmi che<br />

è la loro considerazione sotto la semplice luce filologica, critica, storica secondo<br />

i progressi <strong>della</strong> scienza moderna. Vedi anche P. DRYVERS, Les psaumes, genres<br />

littéraires et thèmes doctrinaux, trad. frane, Paris 1958.<br />

3 Primo tra tutti S. Agostino nelle sue Enarrationes. Già prima di lui nello<br />

stesso <strong>senso</strong>, per esempio: Origene, Atanasio, <strong>Il</strong>ario, Ambrogio e molti altri;<br />

vedine l'elenco in G. Castellino 1. e. p. 34-37; vedi anche B. FISHER, Die Psalmenfrommigkeit<br />

der Mdrtyrerkirche, Freiburg 1949. P. SALMON, De l'interprétation<br />

des psaumes dans la liturgie. Aux origines de l'office divin, in: La maison Dieu<br />

n. 33 (1953) 21-55. ID., Le problème des psaumes, in: L'ami du clergé 64 (1954)<br />

161-73.. la, Les « tituli psalmorum » des manuscrits latins, Roma 1959. L. BOUYER,<br />

Les psaumes dans la prióre chrétienne traditionnelle, in: Bible et vie chrét.<br />

10 (1955) 22-35. H. DE CAUDOLE, The Cristian use of the psalms, London 1955.<br />

R. B. H. SCOTT, The psalms as Christian praise, London 1958. T. WORDEN, The psalms<br />

are Christian prayer, London 1962. A. GEORGE, Prier les psaumes, Paris 1962. /<br />

Salmi, preghiera e canto <strong>della</strong> Chiesa, Torino, LDC 1964. S. RINAUDO, / salmi nel<br />

mistero di Cristo e <strong>della</strong> Chiesa, Torino, LDC 1965.<br />

459


460 CAP. XV - TEMI DEI SALMI<br />

riforma del breviario, questione che oggi preoccupa notevolmente<br />

gli ambienti ecclesiastici, per raggiungere la mèta di farne un libro<br />

di preghiera e di vita per chi l'usa.<br />

Comunque, per arrivare a questo risultato, è indispensabile studiare<br />

i salmi, non già semplicemente nell'ordine in cui si presentano<br />

nella bibbia nella loro raccolta attuale, e neppure, almeno in<br />

un primo tempo, nell'ordine in cui sono usati nel breviario, per<br />

esempio nell'ufficio ordinario <strong>della</strong> settimana; ma raggruppandoli<br />

dal punto di vista del loro contenuto ideologico, <strong>teologico</strong>, biblico.<br />

Più precisamente questo punto di vista deve essere quello <strong>della</strong> storia<br />

sacra, mistero di Cristo, perché, come è stato spiegato, è questo<br />

l'aspettò primordiale sotto cui la bibbia parla di tutto quello di cui<br />

parla. <strong>Il</strong> raggruppamento dei salmi deve essere fatto dunque seguendo<br />

i grandi temi teologici biblici <strong>della</strong> storia sacra secondo lo<br />

specchietto che ne è stato fatto nel capitolo primo, ma tenendo conto<br />

di quelle sfumature speciali che prendono nel salterio.<br />

Qui si presenta una difficoltà: anche mettendosi dal punto di<br />

vista dei temi teologici biblici <strong>della</strong> storia sacra, uno stesso salmo<br />

può contenere e contiene spesso di fatto, diversi di questi temi, più<br />

o meno giustapposti o anche frammischiati.<br />

L'osservazione è giusta. E da ciò si spiega il fatto che, anche tra<br />

coloro che si sono sforzati di seguire in tutto o in parte questo<br />

criterio, gli elenchi dei salmi compresi sotto ogni tema — supposto<br />

che il tema stesso sia ammesso dai diversi autori — differiscono<br />

spesso sensibilmente. Così, per esempio, tra i salmi che hanno per<br />

tema il re nel popolo d'Israele, von Rad 4 ne conta otto, in quest'ordine<br />

secondo la numerazione <strong>della</strong> volgata (che seguo sempre) : 2;<br />

19; 20; 44; 71; 100; 131; 143. Lepin invece 5 ne conta 15 secondo quest'ordine:<br />

2; 17; 19; 20; 32; 44; 60; 68; 71; 88; 109; 117; 131; 137; 143.<br />

Tra i salmi penitenziali lo stesso Lepin ne conta solo cinque: 24;<br />

31; 50; 102; 129; ma il Bernini 6 ne conta undici, come preghiere<br />

penitenziali individuali: 18; 24; 31; 37; 38; 39; 40; 50; 68; 129; 142;<br />

tre, come preghiere penitenziali collettive: 78; 89; 105; e, in fine,<br />

aggiunge anche tre inni: di ringraziamento: 64; di preghiera: 84;<br />

di lode: 102, in rapporto alla remissione dei peccati. Si potrebbero<br />

moltiplicare gli esempi.<br />

Tuttavia la cosa non è tanto grave quanto potrebbe sembrare<br />

a prima vista. Perché, a parte il fatto che per alcuni salmi si può<br />

veramente dubitare se vi sia trattato un tema piuttosto che un<br />

altro (per esempio, nel salmo 100 si tratta di buoni propositi di<br />

un sovrano o di un pio israelita privato?), in molti vi sono diversi,<br />

talvolta anche numerosi temi, più o meno giustapposti o anche<br />

frammischiati, e quindi sotto un aspetto si possono catalogare<br />

in una rubrica e sotto un altro aspetto in un'altra.<br />

Vorrà dire che, nel raggruppamento generale dei salmi secondo<br />

4 in: Theologisches Wòrterbuch zwn neuen Testamem, s. v. Basileus, I 564.<br />

5 Le psautier logique II Paris 1937, cfr. p. 413.<br />

6 G. BERNINI, Le preghiere penitenziali del salterio, Roma 1953.


SALMI E CRISTO 461<br />

i temi teologici biblici del mistero di Cristo, bisogna attenersi<br />

anzitutto al criterio del tema principale di ognuno. Se poi vi sono<br />

due, o anche talvolta più temi che sembrano ugualmente principali,<br />

lo stesso salmo andrà catalogato sotto diversi temi (per<br />

esempio, il salmo 18,1-7 tratta il tema <strong>della</strong> creazione, ma 18,8-11<br />

tratta il tema <strong>della</strong> legge). Finalmente, vuol dire che per studiare<br />

integralmente un tema nei salmi, bisogna bensì studiarlo anzitutto<br />

in quelli dove ricorre come tema principale, ma poi sarà indispensabile,<br />

praticamente, percorrere tutto il salterio per rilevarne<br />

i punti dove viene trattato come tema secondario o anche per via<br />

di semplici allusioni.<br />

Senza dimenticare, naturalmente, che lo studio del tema va<br />

protratto attraverso tutto l'Antico Testamento, perché è evidente<br />

che non si può affatto isolare il salterio. Da questo preciso punto<br />

di vista sembra che il metodo generale seguito dal Bernini nello<br />

studio dei salmi penitenziali sia assai buono e raccomandabile.<br />

Anzi, per ritrovare tutto lo sfondo <strong>della</strong> .storia sacra a proposito<br />

di un tema del salterio, è non meno indispensabile proseguire<br />

lo studio di quel tema anche attraverso il Nuovo Testamento, senza<br />

ignorare, inoltre, quelle realtà del mistero di Cristo che la teologia<br />

ci fa conoscere sempre in atto, sotto diverse forme, nella Chiesa,<br />

nelle anime e nella stessa escatologia 7 .<br />

Insomma, secondo quanto si è detto nel capitolo precedente,<br />

quello che importa per la <strong>liturgia</strong>, è che lo studio <strong>della</strong> bibbia e<br />

dei salmi in specie, sia fatto dal punto di vista prevalente dei<br />

grandi temi teologici biblici del mistero di Cristo e che, a proposito<br />

di ogni tema, sia tenuta presente l'intima connessione che,<br />

agli occhi di Dio, hanno tra loro le diverse fasi <strong>della</strong> storia sacra.<br />

Così il testo che, per i contemporanei, parla direttamente di una<br />

di queste fasi, sarà visto da noi in intima connessione con le fasi<br />

antecedenti e susseguenti.<br />

Va notato che quando si afferma che i salmi devono essere<br />

visti sullo sfondo <strong>della</strong> storia sacra, o mistero di Cristo, in tutta<br />

la sua estensione, con ciò stesso si riconosce che tutti i salmi —<br />

come del resto tutta la Scrittura — parlano di Cristo, o, per dirla<br />

con S. Agostino, del Christus totus: del Cristo Capo e di noi sue<br />

membra. Perciò tutti i salmi possono e, in un certo <strong>senso</strong>, devono,<br />

essere pregati come preghiera del Christus totus. Anzi, Cristo li<br />

prega tutti come suoi e noi li preghiamo tutti come nostri. Basta<br />

tener presente, naturalmente, che tra noi e Cristo, pur essendoci<br />

quell'intima unità che è detta del Corpo mistico, non c'è tuttavia<br />

unità di persona fisica: e così certi passi dei salmi — come quelli<br />

nei quali il peccatore chiede perdono del suo peccato — Cristo<br />

li prega in un <strong>senso</strong> e noi in un altro.<br />

Ma, ciò ammesso, ogni salmo è preghiera di Cristo ed è pre-<br />

7 P. GUICHOU, Les psaumes commentés par la Bible, 3 voli. Paris 1958.


462 CAP. XV - TEMI DEI SALMI<br />

ghiera nostra s . Infatti, non c'è avvenimento o aspetto <strong>della</strong> storia<br />

sacra, <strong>della</strong> quale parlano i salmi, che non si riferisca, come al<br />

suo centro di convergenza che si prolunga nell'escatologia, a Cristo<br />

e a noi cristiani.<br />

2. RAGGRUPPAMENTO GENERALE DEI SALMI<br />

SECONDO IL TEMA PRINCIPALE DI OGNUNO<br />

IN RAPPORTO ALLA STORIA SACRA E LORO PROLUNGAMENTO<br />

FINO ALLE REALTÀ CRISTICHE, CRISTIANE<br />

ED ESCATOLOGICHE<br />

Per questi motivi credo utile tentare un raggruppamento generale<br />

dei salmi secondo il tema principale di ognuno in riferimento<br />

alla storia sacra e indicare, per ogni tema, il tipo di ragionamento<br />

traspositivo o approfonditivo per mezzo del quale la <strong>liturgia</strong> che<br />

ne fa uso, al di là del <strong>senso</strong> dei contemporanei, vede in ogni salmo<br />

le realtà eristiche, ecclesiali — anche ascetiche e mistiche — ed<br />

escatologiche del mistero di Cristo in tutta la sua estensione. È<br />

questa trasposizione che permette, ipso facto, all'individuo che<br />

recita quei salmi seguendo la <strong>liturgia</strong>, di recitarli come preghiere<br />

anche personali che l'interessano immediatamente.<br />

Senza dare a questo tentativo un <strong>senso</strong> assoluto, mi pare che<br />

tutto il salterio, dal punto di vista che qui interessa, può dividersi<br />

in dieci sezioni: I: Creazione e provvidenza generale. II: Elezione,<br />

separazione, formazione, restaurazione del popolo di Dio. <strong>Il</strong>i: <strong>Il</strong> re,<br />

capo del popolo di Dio. IV: Gerusalemme, la capitale del popolo<br />

di Dio. V: <strong>Il</strong> tempio di Dio, l'arca santa, Sionne, il monte santo.<br />

VI: La legge del popolo di Dio. VII: I nemici del popolo di Dio<br />

e le lotte del popolo di Dio contro di loro. VIII: <strong>Il</strong> peccatore pentito<br />

nel popolo di Dio. IX : <strong>Il</strong> giusto e pio nel popolo di Dio. X : Attributi<br />

di Dio e inviti a lodarlo presi direttamente come tema principale<br />

di alcuni salmi. Si giustificherà a suo luogo la necessità di<br />

quest'ultima sezione nonostante che tutti i salmi abbiano, in fondo,<br />

per oggetto generale quello di cantare Dio e i suoi attributi.<br />

I. Creazione e provvidenza generale. — Si tratta di quei salmi<br />

il cui tema principale è di cantare Dio come creatore universale,<br />

governatore e provveditore di tutte le cose e di tutti gli uomini 9 .<br />

Sono i salmi seguenti, secondo la numerazione <strong>della</strong> volgata: 8;<br />

18,1-7; 28; 32; 89 (sotto altri aspetti potrebbe anche essere messo<br />

nella sezione: Israele e i suoi nemici, oppure nella sezione dei salmi<br />

8 Vedi S. AGOSTINO, En. in ps. 85 proem. Vedi anche CL art. 83. Su tale questione<br />

cfr. F. VANDEXBROUCKE, Les psaumes et le Christ, Louvain 1955 con bibliogr.<br />

9 Vedi A. B. RHODES, Creation and salvation in the psalter, Chicago 1952.


LA CREAZIONE NEI SALMI 463<br />

penitenziali); 91,1-7 (ma tutto il salmo, sotto un altro aspetto, potrebbe<br />

essere messo nella sezione: il giusto nel popolo di Dio; la<br />

diversa sorte del giusto e del peccatore); 94 (sotto un altro aspetto<br />

potrebbe essere messo nella sezione: gli attributi di Dio direttamente<br />

cantati: la regalità di Dio); 103; 148.<br />

La <strong>liturgia</strong>, facendo uso di questi salmi, non si ferma alla considerazione<br />

delle meraviglie <strong>della</strong> creazione e <strong>della</strong> provvidenza generale<br />

— che, pur tuttavia, contempla non meno di quello che potevano<br />

fare i giudei — ma approfondisce e prolunga questo tema, pensando<br />

che nelle intenzioni di Dio, e dunque realmente, la creazione e la<br />

provvidenza generale erano tutte dirette alla redenzione e alla provvidenza<br />

speciale in Cristo. « In modo mirabile creasti l'uomo, e ancor<br />

più mirabilmente l'hai redento », dice l'orazione dopo la prima profezia<br />

del sabato santo dove si legge la creazione delle cose e dell'uomo.<br />

Oppure nell'orazione dopo quella che era la nona profezia:<br />

« ...la creazione del mondo avvenuta in principio, non fu cosa più<br />

eccellente dell'immolazione che, alla fine dei secoli, operò Cristo,<br />

nostra Pasqua ».<br />

È così, per esempio, che la <strong>liturgia</strong> penserà non solo alla creazione<br />

dell'uomo sul piano puramente naturale, ma anche alla sua<br />

elevazione all'ordine divino e alla sua redenzione, quando leggerà<br />

nel salmo ottavo:<br />

Allor quando i cieli io contemplo<br />

che sono opera delle tue mani,<br />

la luna e le stelle che vi ponesti:<br />

Che è l'uomo, a che tu te ne ricordi?<br />

II mortale, perché tu n'abbia cura?<br />

e lo facesti poco meno che un dio?<br />

Di gloria e di splendore Io adornasti,<br />

lo fai regnare sull'opere tue;<br />

tutto poni sotto ai suoi piedi:<br />

le gregge e gli armenti tutti quanti,<br />

e insieme le fiere <strong>della</strong> selva,<br />

gli uccelli in cielo e i pesci del mare!<br />

O Iddio, Iddio Signor nostro,<br />

quanto grande è il tuo nome ovunque in terra,<br />

tu the spandi oltre i cieli la tua gloria! lu<br />

Anzi, è a Crisi > stesso che penserà la <strong>liturgia</strong>, non già per arbitraria<br />

trasposizione di <strong>senso</strong>, ma perché, realmente, è la santa umanità<br />

di Cristo sussistente nella persona del Verbo che Dio, creando<br />

l'uomo, aveva di mira in fin dei conti, e che in Essa tutta la creazione<br />

del mondo e di'l'ionio prende il suo ultimo significato. È<br />

quanto suppone appunto Eh 2,6-9 e 1 Cor 15,24-28.<br />

Ancora: il giorno dell'immacolata Concezione, alla recitazione<br />

dello stesso salmo ottavo : « O Iddio, Iddio, Signor nostro, quanto<br />

è grande il tuo nome ovunque in terra », la <strong>liturgia</strong> premette l'antifona<br />

: « Ammirabile è il tuo nome, Signore, in tutta la terra, perché<br />

10 Nella traduzione omofona di T PIATTI, // libro dei salmi, Ed. Paoline,<br />

Roma 1954.


464 CAP. XV - TEMI DEI SALMI<br />

nella Vergine Maria ti sei preparata una degna abitazione ». E al<br />

salmo 18: «Narrano i cieli la gloria di Dio», premette l'antifona:<br />

« Nel sole pose Dio il suo tabernacolo ». In tutto questo si comprende<br />

con che tipo di ragionamento la <strong>liturgia</strong> approfondisce il tema<br />

<strong>della</strong> creazione fino a vedervi Maria: se Dio è mirabile nelle meraviglie<br />

<strong>della</strong> creazione, è più mirabile ancora nelle meraviglie di vita<br />

divina che ha operato in Maria. E in genere: vi è una creazione e<br />

una provvidenza in Cristo nelle sue diverse fasi fino a quelle escatologiche,<br />

più mirabile ancora <strong>della</strong> creazione materiale e alla quale,<br />

come a fine supremo, questa era ordinata.<br />

II. Elezione, separazione, formazione, restaurazione del popolo<br />

di Diov— Questi temi ricorrono come oggetto centrale in un certo<br />

numero di salmi di tipo notevolmente storico nei quali si narra<br />

in scorcio la storia del popolo ebraico come oggetto specialissimo<br />

<strong>della</strong> provvidenza di Dio che, in Israele, intendeva formarsi un popolo<br />

tra tutti gli altri dedicato e come riservato a sé.<br />

<strong>Il</strong> prolungamento si fa con un ragionamento di questo tipo:<br />

il popolo d'Israele e tutto quello che Dio fece concretamente per<br />

lui, in realtà uon era altro che un primo abbozzo ancora imperfetto<br />

di quello che poi Dio fece e concretizzò perfettamente nella Chiesa<br />

di Cristo, nuovo popolo di Dio, nuovo Israele. Tutto quello che<br />

Dio fece nell'elezione, separazione, formazione del popolo d'Israele<br />

non si capisce, nel suo <strong>senso</strong> integrale, che riferendolo all'elezione,<br />

separazione, formazione del nuovo e vero Israele spirituale, la Chiesa.<br />

<strong>Il</strong> che avviene principalmente nei sacramenti e nelle realtà liturgiche,<br />

in specie nel battesimo e nell'eucarestia.<br />

Ancora: quella stessa elezione, separazione, formazione del popolo<br />

di Dio nella Chiesa, avrà il suo ultimo compimento nelle realtà<br />

escatologiche <strong>della</strong> Gerusalemme celeste u . Né va dimenticato il<br />

riferimento di questi stessi concetti alle realtà spirituali individuali,<br />

perché è nell'elezione, separazione, formazione dei singoli individui<br />

alla vita divina che si realizza effettivamente la Chiesa, sia durante<br />

questa stessa vita — anzitutto nell'applicazione ai singoli delle realtà<br />

liturgiche, specialmente nel battesimo e nell'eucarestia, ma anche<br />

nella vita spirituale più privata, ascetica e mistica — sia nell'ai di là.<br />

È così, per esempio, che nella tradizione liturgica antica uno dei<br />

salmi caratteristici recitati in occasione <strong>della</strong> morte di un fedele<br />

era il Salmo 113: In exitu Israel de Aegypto, che canta i prodigi<br />

divini a favore d'Israele nella sua liberazione dall'Egitto 12 .<br />

11 Sul tema: elezione, separazione, formazione ecc. del popolo di Dio nella<br />

bibbia vedi, per es.: W. EICHRODT, Gottes Ruf im Alten Testament. Die alttestamentliche<br />

Botschaft im Lichte des Evangelinms 1951; TH. C. VRIEZEN', Die Erwahlung<br />

Israels nach dem Alten Testament 1952; F. ASENSIO, Jahweh y su pueblo, contenido<br />

<strong>teologico</strong> en la historia biblica de la election, Roma 1953.<br />

'- Vedi Costituzioni apostoliche VI 27. <strong>Il</strong> tema dell'uscita dall'Egitto era<br />

ben noto nella <strong>liturgia</strong> dei defunti: vedi, per es., Gelasiano ed. Mohlberg n. 1610<br />

p. 234; n. 1625 p. 237. Nell'Apocalisse i redenti cantano, come inno di ringraziamento,<br />

« il cantico di Mosè, servo di Dio » (Ap 15,3).


GERUSALEMME<br />

I salmi nei quali questi temi sono principalmente svolti sono<br />

i seguenti nella numerazione <strong>della</strong> volgata: 76; 77; 80; 84; 94,5-11; 99;<br />

104; 105; 106; 110; 113,1-8; 113,9-26; 120; 125; 134; 135,10-26; 146.<br />

III. <strong>Il</strong> re, capo del popolo di Dio. — Si tratta del tema e <strong>della</strong><br />

teologia del re, quale rappresentante di Jahweh in mezzo al suo<br />

popolo, e in quanto tale, oggetto speciale dell'amore e delle cure<br />

di Dio e suo strumento per la realizzazione del regno che Egli ha<br />

sempre di mira. A questo tema si riallacciò lo speciale riferimento<br />

alla casa di David e poi al Re Messia discendente di David 13 .<br />

II prolungamento si fa così: nello stesso modo che Israele,<br />

quale popolo di Dio, nelle intenzioni divine aveva tutto il suo significato<br />

in relazione alla Chiesa futura, così, il re in Israele, in quanto<br />

rappresentante di Jahweh in mezzo al suo popolo, oggetto speciale<br />

del suo amore e <strong>della</strong> sua protezione, suo strumento per realizzare<br />

il suo regno, non era altro che un primo e imperfetto abbozzo di<br />

quello che Dio poi realizzò effettivamente in Cristo. I salmi regali<br />

nei quali si esprime la teologia del re e' <strong>della</strong> regalità in Israele<br />

vanno dunque tutti visti nel loro prolungamento tipologico in Cristo.<br />

Tanto più si dovrà vedere Cristo stèsso in quei salmi che già secondo<br />

la cosciente intenzione dell'autore umano si riferivano direttamente<br />

al messia ed anzitutto nel Salmo 109.<br />

Questi salmi sono: 2; 17; 19; 20; 44; 71; 100; 109; 131; forse<br />

anche 143.<br />

IV. Gerusalemme, la città santa capitale del popolo di Dio. —<br />

È il tema di Gerusalemme, capitale del popolo di Dio, da Lui scelta<br />

fra tutte, amata, protetta, ornata di gloria, centro spirituale e di<br />

unità del popolo eletto, destinata a diventare centro glorioso di tutto<br />

il mondo quando verrà il Messia.<br />

<strong>Il</strong> prolungamento si fa così: la Gerusalemme terrestre è tipo<br />

<strong>della</strong> Chiesa e <strong>della</strong> Gerusalemme celeste. Le cure di Dio per la<br />

Gerusalemme terrestre, le promesse di gloria a lei fatte, avevano<br />

tutte di mira la formazione <strong>della</strong> città santa, la Chiesa, la quale a sua<br />

volta, prepara e prefigura la Gerusalemme celeste dell'Apocalisse.<br />

I salmi che si riferiscono a questo tema sono principalmente:<br />

45; 47; 86; 121; 147; anche 124 può riferirsi a questa idea. Sotto<br />

un certo aspetto anche il gruppo dei cosiddetti salmi graduali (119-<br />

127) vi può essere riferito ".<br />

V. <strong>Il</strong> tempio di Dio, l'arca santa, Sionne, il monte santo. — <strong>Il</strong><br />

tema del tempio è molto vicino al tema precedente di Gerusalem-<br />

13 Intorno al significato religioso e alla teologia del re in Israele, vedi,<br />

per es., J. DE FRAINE, L'aspect religieux de la royauté Israelite, Roma 1954.<br />

14 Per questo aspetto e per lo studio generale del tema di Gerusalemme<br />

vedi, per es., TH. MAERTENS, Jérusalem la cité de Dieu, Abbaye de St. André 1954.<br />

J. CALES, Le Ps. 87 (86): Sion la cité de Dieu mère des peuples, in: Recherches<br />

de science religieuse, 1922 p. 211 ss. A. GELIN, Jérusalem dans le dessin de Dieu;<br />

465


466 CAP. XV - TEMI DEI SALMI<br />

me, città santa. <strong>Il</strong> tempio, l'arca, è il luogo e il simbolo dell'abitazione<br />

specialissima di Dio nel suo popolo, <strong>della</strong> sua presenza protettrice<br />

sulla città santa, <strong>della</strong> manifestazione <strong>della</strong> sua gloria. E quindi<br />

il luogo d'incontro speciale tra Dio e l'uomo, il cuore <strong>della</strong> nazione,<br />

il luogo per eccellenza <strong>della</strong> preghiera, delle aspirazioni più sante<br />

di ogni pio israelita, <strong>della</strong> dimora del sacerdozio e del culto del<br />

popolo fatto a nome di tutti.<br />

L'approfondimento di questi temi sullo sfondo generale <strong>della</strong><br />

storia sacra si fa tenendo presenti le seguenti corrispondenze.<br />

Da una parte: arca santa, tempio di Gerusalemme e culto ebraico.<br />

Dall'altra: Cristo e culto da Lui reso a Dio; Chiesa universale; ogni<br />

anima come tempio di Dio in quanto vive in Cristo; edificio materiale<br />

delle chiese cristiane e culto cattolico ivi reso a Dio; finalmente<br />

: tempio celeste e <strong>liturgia</strong> celeste nella Gerusalemme del<br />

cielo 1S .<br />

La presenza di Dio nel suo popolo, concretizzata e simboleggiata<br />

nell'arca e nel tempio di Gerusalemme, non era che una pallida<br />

ombra preparativa e prefigurativa <strong>della</strong> presenza e <strong>della</strong> manifestazione<br />

<strong>della</strong> sua gloria ben più straordinaria che Egli realizzò<br />

anzitutto in Cristo e, per mezzo di Lui, nella Chiesa universale,<br />

suo nuovo popolo e vera nuova Sionne, a cui era ordinato il popolo<br />

ebraico antico e l'antica Sionne. Quindi <strong>della</strong> presenza di Dio nelle<br />

singole anime che vivono in Cristo e in Spirita e sono così, in modo<br />

eminente, tempio di Dio e luogo ove si manifesta la sua gloria. Ulteriormente<br />

ancora, <strong>della</strong> presenza di Dio in ogni singola chiesa<br />

materiale cattolica, la quale, anch'essa, in virtù <strong>della</strong> presenza<br />

eucaristica, è, in modo ben più vero e straordinario dell'arca e<br />

del tempio di Gerusalemme, il luogo <strong>della</strong> presenza di Dio nel suo<br />

popolo, dell'incontro tra Dio e gli uomini su questa terra, ove si<br />

manifesta quaggiù la sua gloria. Finalmente, la Chiesa cattolica universale<br />

e i templi cattolici non sono che una pallida ombra prefiU<br />

gurativa e preparativa del tempio <strong>della</strong> Gerusalemme celeste nel<br />

quale la presenza di Dio e la manifestazione <strong>della</strong> sua gloria raggiungono<br />

l'apice e il fine ultimo a cui tutte le presenze e le manifestazioni<br />

di gloria antecedenti erano ordinate.<br />

Si sa che queste prospettive, nella <strong>liturgia</strong> romana, sono applicate<br />

in modo speciale nella messa e nell'ufficio <strong>della</strong> dedicazione<br />

di una chiesa. I salmi che si riferiscono specialmente a questo<br />

tema sono: 14; 23; 49; 64; 67; 83; 86; 121 (si riferisce anche al<br />

tema di Gerusalemme); anche 126 può riferirsi a questo concetto;<br />

132; 133.<br />

in: La vie spirit. 86 (1952) 353-66. O. ROUSSEAU, Quelques textes patristiques sur la<br />

Jérusaletn celeste, ibid. 378-88. A. COLUNGA, Jerusalén, la ciudad del Gran Rey, in:<br />

Estudios biblicos 14 (1955) 255-79. E. TESTA, La « Gerusalemme celeste»: dall'antico<br />

Oriente alla bibbia e alla <strong>liturgia</strong>, in: Bibbia e Oriente 1 (1959) 47-50.<br />

15 Vedi J. DANIÉLOU, Le signe du tempie, Paris 1945. Y. CONGAR, Le mystère<br />

du tempie ou l'economie de la présence de Dieu à sa créature de la Genèse à<br />

l'Apocalypse, Paris 1958.


LA LEGGE 467<br />

VI. La legge del popolo di Dio. — Sono i salmi che per tema<br />

principale trattano <strong>della</strong> teologia <strong>della</strong> legge mosaica: la sua origine<br />

divina, la sua natura come manifestazione <strong>della</strong> sapienza e<br />

dell'amore di Dio, la sua efficacia come guida sicura di una vita<br />

secondo la volontà di Dio e perciò l'unico mezzo verso la vera<br />

felicità, la pace, la sicurezza nei travagli, la retta estimazione dei<br />

valori <strong>della</strong> vita. Quindi la legge costante ed anzi, unico oggetto<br />

delle cure del pio israelita il quale chiede a Dio di dargliene l'intelligenza<br />

e di concedergli la forza di osservarla.<br />

La trasposizione si fa in questo modo: la legge mosaica non<br />

era che una pallida ombra dell'economia <strong>della</strong> grazia inaugurata<br />

con Cristo; essa era destinata nelle intenzioni di Dio a servire<br />

agli uomini da pedagogo per condurli a Cristo, all'economia <strong>della</strong><br />

grazia in Cristo. Tutte le lodi sull'origine, la natura, l'efficacia <strong>della</strong><br />

legge antica vengono lette alla luce dell'economia nuova <strong>della</strong><br />

grazia sia nel suo aspetto pubblico sia in quello più intimo e personale<br />

ie .<br />

I salmi che trattano questo tema sono principalmente:<br />

18,8 ss; 118.<br />

VII. I nemici del popolo di Dio. — Si tratta di quei salmi<br />

nei quali il salmista, contro i nemici del popolo di Dio come tale,<br />

specialmente nei momenti di angustia nazionale, chiede a Dio<br />

protezione per Israele nonché la punizione e l'umiliazione di questi<br />

nemici, e poi, a grazia ricevuta, lo ringrazia per i benefici e la protezione<br />

accordati.<br />

La trasposizione si fa così: Israele fu un popolo unico fra<br />

tutti gli altri nella storia dell'umanità per il suo carattere e la<br />

sua funzione essenzialmente religiosa. E in questo dipese interamente<br />

dalla libera elezione divina che gli affidò una missione religiosa<br />

unica. I nemici d'Israele, in quanto agivano contro la volontà<br />

di Dio, erano dunque, per ciò stesso, nemici di Dio, per lo meno<br />

in quanto volevano ostacolare i suoi piani religiosi sul suo popolo<br />

eletto. I nemici d'Israele religioso — e nell'antichità non vi era distinzione<br />

tra l'aspetto religioso e l'aspetto politico di un popolo;<br />

tanto meno in Israele — erano dunque, in fondo, i satelliti <strong>della</strong> città<br />

di Satana, in lotta contro la città di Dio sin dal principio del mondo.<br />

Questa lotta di Satana contro l'antico popolo di Dio è la stessa<br />

che egli, direttamente o per mezzo dei suoi satelliti, conduce continuamente<br />

anche oggi contro il nuovo Israele, la Chiesa e ognuno<br />

dei suoi figli in particolare. Le reazioni d'Israele contro i suoi<br />

nemici sono dunque, essenzialmente, le stesse reazioni sia delie<br />

È assai utile per lo studio del tema <strong>della</strong> legge il lavoro di A. DEISSLER,<br />

Psalm 119 (118) und seine Theologie (Munchner theologischen Studien, Miinchen<br />

1955). Vedi pure M. F. LACAN, Le mystère de prióre dans le Ps. 119 (118), in: Lumière<br />

et Vie 23 (1955) 125-42. H. DUESBERG, Le miroir du fidèle: Le Ps. 119 (118)<br />

et ses usages liturgiqu.es, in: Bible et Vie chrét. 15 (1956) 78-97. S. F. LOGSDON.<br />

The victory life in Ps. 119 (118), Chicago 1960.


468 CAP. XV - TEMI DEI SALMI<br />

l'intera Chiesa sia dei singoli suoi fedeli personalmente contro<br />

Satana. È per questo che la Chiesa e ogni singolo fedele, legittimamente,<br />

può e deve fare sue, nella lotta che ha da sostenere contro<br />

Satana e il male che egli suscita nel mondo, le preghiere che<br />

i pii salmisti indirizzavano a Dio per chiedere protezione contro<br />

i nemici del loro popolo e gli inni di ringraziamento e di giubilo<br />

per la protezione che aveva accordato a Israele in queste occasioni.<br />

In quanto alla difficoltà per il cristiano di fare sue diverse espressioni<br />

di questi salmi quando si tratta d'imprecazioni contro i nemici<br />

del popolo d'Israele per i quali i salmisti chiedono i più terribili<br />

stermini, ed anzi, talvolta, supplicano Dio di non ammetterli mai al<br />

suo perdono e alla sua misericordia, bisogna riflettere alle relazioni<br />

generali tra l'Antico e il Nuovo Testamento.<br />

Uno dei canoni fondamentali che determinano queste relazioni<br />

è, infatti, che il Nuovo Testamento e le realtà cristiane, sono, rispetto<br />

all'Antico in un rapporto non solo di profonda continuità ed unità,<br />

ma anche, e nello stesso tempo, di trascendenza. Così le realtà e gli<br />

atteggiamenti dell'Antico Testamento non solo preparano e prefigurano<br />

le realtà e gli atteggiamenti <strong>della</strong> legge nuova e dell'economia<br />

<strong>della</strong> grazia in Cristo, ma anche e per il fatto stesso, sono più<br />

imperfetti di questi. Le realtà cristiane continuano le realtà dell'Antico<br />

Testamento, non già in quello che avevano ancora d'imperfetto<br />

e di manchevole, ma solo in quello che avevano di perfetto.<br />

Sta il fatto che l'atteggiamento dell'israelita nell'Antico Testamento<br />

verso i suoi nemici o i nemici <strong>della</strong> nazione è ancora assai imperfetto<br />

perché non conosce ancora la perfezione <strong>della</strong> carità universale<br />

e quindi, nel nemico, non distingue abbastanza tra il peccato<br />

e il peccatore. La reazione dell'Antico Testamento verso i nemici è<br />

buona e inoppugnabile per quello che riguarda l'atteggiamento contro<br />

il peccato, opera di Satana e degli uomini in quanto suoi strumenti,<br />

sebbene liberi. Ma è ancora imperfetta per quanto riguarda<br />

il modo di comportarsi verso il nemico peccatore; imperfetta, perché<br />

non conosce al suo riguardo la pienezza <strong>della</strong> carità insegnata<br />

da Cristo, che respinge totalmente il peccato, ma non vuole la morte<br />

del peccatore, bensì che si converta e viva.<br />

Così, in conclusione, nella legge nuova di Cristo, quando si fa<br />

uso dei salmi dove l'israelita prega, o comunque inveisce, contro i<br />

nemici del popolo o contro i nemici suoi personali, tutto questo è<br />

accettato unicamente in quanto si riferisce a Satana e al peccato.<br />

Ma in quanto all'uomo peccatore, il desiderio del cristiano non può<br />

essere che uno: che si converta e viva. Così è risolta la questione<br />

dell'uso nella <strong>liturgia</strong> delle imprecazioni contro i nemici e dei salmi<br />

imprecatori sia contro i nemici d'Israele sia contro i nemici individuali<br />

del pio israelita.<br />

Per esempio, quando nel salmo 136: Super flumina Babilonis...<br />

si legge la quartina finale :<br />

Babele atroce, beato chi ti renda<br />

il male che tu facesti a noi!


NEMICI DEL POPOLO DI DIO 469<br />

beato chi prenda e chi sbatta<br />

i pargoli tuoi contro la rupe 17 .<br />

il cristiano deve pensare a Satana, anche in quanto opera contro il<br />

popolo per mezzo dei peccatori nemici <strong>della</strong> Chiesa. Ma non può<br />

augurare nessun male, né morale né materiale, ai peccatori stessi e<br />

ai nemici <strong>della</strong> Chiesa. <strong>Il</strong> suo pensiero si ferma al desiderio <strong>della</strong><br />

distruzione e dello sradicamento del male, ossia all'influsso di Satana<br />

nel mondo e di tutti quei germogli di male che Satana prolifica sulla<br />

terra. <strong>Il</strong> « beato chi prenda e chi sbatta i pargoli tuoi contro la rupe »,<br />

sulla bocca del cristiano significa necessariamente: beato colui che<br />

può infrangere i germogli del male che Satana prolifica, ricorrendo<br />

al supremo e invincibile oppositore di ogni peccato: Cristo, Dio.<br />

Non è dunque affatto arbitraria l'interpretazione patristica tradizionale<br />

di questo versetto riferito alle realtà eristiche e cristiane:<br />

« Chi sono i pargoli di Babilonia? I cattivi desideri quando sono sul<br />

nascere... : quando è piccolo, sbattilo... sulla rupe sbattilo : e la Rupe<br />

era Cristo » 18 . E così facendo, checché ne sia del modo in cui gli<br />

Israeliti e i contemporanei hanno capito questo versetto, il cristiano<br />

raggiunge il <strong>senso</strong> profondo che in esso Dio aveva in vista, perché la<br />

legge del taglione che Egli, pedagogicamente, dette agli Ebrei, e secondo<br />

la quale quel versetto è concepito, non era, nelle sue intenzioni,<br />

che una condiscendenza all'imperfezione di quel popolo e un<br />

primo e lontano abbozzo ,9 <strong>della</strong> legge <strong>della</strong> carità che avrebbe poi<br />

data ai cristiani. In virtù di questa, i cristiani avrebbero dovuto essere<br />

nemici irreconciliabili solo del peccato nonché di Satana e dei dannati,<br />

perché ormai definitivamente radicati nel peccato, mentre avrebbero<br />

ancora e sempre pregato e sperato per la conversione di ogni<br />

uomo vivo peccatore.<br />

I salmi che si riferiscono al tema dei nemici del popolo di Dio<br />

sono principalmente: 43; 46; 59; 65; 67; 73; 75; 78; 79; 82; 88; 97;<br />

107; 117; 122; 123; 124; 128; 136; 143; 149. Vi si può contare anche 89 20 .<br />

Vili. <strong>Il</strong> peccatore pentito nel popolo di Dio. — £ il tema del pio<br />

Israelita che si sente individualmente peccatore, confessa il suo peccato,<br />

si umilia, chiede perdono a Dio facendo appello alla sua immen-<br />

17 Nella traduzione omofona di PIATII.<br />

18 S. Agostino, Enarrai, in Sai 136,12. Nello stesso <strong>senso</strong> già Origene, <strong>Il</strong>ario,<br />

Ambrogio, Girolamo, poi Cassiano, S. Benedetto nella Regola, Prologo 28 cfr.<br />

ed. LENTINI, Montecassino 1948 p. 19 s.<br />

19 In quanto nella legge del taglione Dio ordinava che, se si voleva fare<br />

vendetta contro il, nemico, in essa non si esigesse più del danno subito; solo<br />

un dente per un dente, solo un occhio per un occhio, ecc.<br />

20 Diversi di questi salmi si riferiscono alle guerre d'Israele contro i suoi<br />

nemici, per es., 46; 59, ecc. A simile tema si riferiscono anche alcuni salmi che<br />

trattano del re d'Israele o anche di Gerusalemme la città santa. Intorno a<br />

questo tema delle guerre d'Israele e del loro carattere religioso, ved. per es.,<br />

FF. SCHWALLY, Sentitisene Altertiimer : I. Der heilige Krieg im alten Israel,<br />

Leipzig 1901; G. VON RAD, Deuteronomy and the holy war, in: Studies in Deuteronomy,<br />

London 1953 pp. 45-59.


470 CAP. XV - TEMI DEI SALMI<br />

sa misericordia, lo ringrazia del perdono ricevuto e <strong>della</strong> pace riacquistata.<br />

La trasposizione si fa così: i sentimenti del pio israelita conscio<br />

e pentito dei propri peccati devono con maggior ragione essere i<br />

sentimenti del cristiano peccatore, poiché l'offesa di Dio fatta dal<br />

cristiano è tanto più grave in quanto egli è stato maggiormente<br />

oggetto <strong>della</strong> sua bontà e dei suoi benefìci, come lo dimostra tutta<br />

l'economia in Cristo.<br />

I salmi che si riferiscono a questo tema sono principalmente:<br />

6; 24; 31; 36; 37; 50; 139; 142.<br />

IX. <strong>Il</strong> giusto e pio israelita, il timorato di Dio, il «povero di<br />

Jahweh », nel popolo di Dio. — Questo tema è, relativamente agli<br />

altri, il più abbondante in tutto il salterio. Si tratta di quei salmi in<br />

cui il giusto e pio Israelita che si dice anche timorato di Dio, povero<br />

di Jahweh, s'indirizza a Dio nelle varie contingenze <strong>della</strong> vita 21 .<br />

L'approfondimento di questi temi alla luce delle realtà cristiane<br />

si fa così: tutto quello che vale per il giusto dell'Antico Testamento<br />

vale, ma in modo più perfetto, quindi più approfondito, più<br />

spiritualizzato, per il giusto del Nuovo Testamento, poiché l'ideale<br />

del giusto dell'Antico Testamento non è che un primo abbozzo e<br />

come un pallido riflesso dell'ideale del giusto nel Nuovo Testamento.<br />

In modo specialissimo l'ideale del giusto tracciato nell'Antico<br />

Testamento e il suo comportamento nelle varie circostanze <strong>della</strong><br />

vita fu adempiuto in maniera sublime da Cristo stesso, il giusto<br />

per eccellenza e il modello di tutti i giusti (vedi come questi salmi,<br />

principalmente quelli dei sottotemi a, b, e vengono messi, nella <strong>liturgia</strong>,<br />

dalla domenica di passione al venerdì santo, sulla bocca di<br />

Cristo); subordinatamente, questo ideale si adempie in ogni santo<br />

<strong>della</strong> nuova economia (vedi l'uso di questi salmi nelle feste dei santi).<br />

Alcuni di questi salmi rientrano nella categoria letteraria dei<br />

salmi detti imprecatori. <strong>Il</strong> loro trasponimento in regime cristiano<br />

si fa, in linea di massima, secondo i princìpi spiegati sopra per i salmi<br />

dello stesso carattere nel gruppo VII ".<br />

Questi salmi costituiscono più <strong>della</strong> metà di tutto il salterio e si<br />

possono distinguere in quattro sottotemi:<br />

a) <strong>Il</strong> giusto, timorato di Dio, povero di Jahweh, implora da Dio<br />

il suo aiuto nelle varie circostanze difficili <strong>della</strong> vita, specialmente<br />

contro le persecuzioni dei nemici, peccatori, increduli, calunniatori,<br />

21 Per questo tema del pio israelita, povero di Jahweh ecc. vedi, per es.,<br />

A. CAUSSE, Les « pauvres » d'Israel, Strasbourg 1922; G. CASTELLINO, Le lamentazioni<br />

individuali e gli inni in Babilonia e in Israele, Torino 1940, e la Nota sui<br />

nemici, dei salmi individuali nella sua opera Libro dei salmi, Marietti 1955<br />

pp. 254-263; A. GELIN, Les pauvres de Jahvé, Paris 1953. R. SORG, Hesed and Hasid<br />

in the psalms, St. Louis (Minn.) 1953. J. COPPENS, Les psaumes des Hasidim, in:<br />

Mélanges A. Robert, Paris 1957, pp. 214-244. G. PIDOUX, La main qui guérit. Psaumes<br />

da malade, Neuchàtel 1960.<br />

22 Per il salmo 108 (109) in specie vedi F. BAUMGURTEL, Der 109 Psalm in der<br />

Verkiindigung, in: Monatschrift f. Pastora! Theol., 42 (1953) 244-53.


ATTRIBUTI DI DIO 471<br />

oppressori: 5; 7; 9,22-39; 11; 16; 21; 25; 27; 30; 34; 35; 38; 41; 42; 53;<br />

54; 58; 68; 69; 70; 85; 87; 93; 101; 108; 119; 139; 140; 141.<br />

b) Lo stesso giusto nelle varie circostanze difficili <strong>della</strong> vita,<br />

specialmente nelle persecuzioni dei suoi nemici, esprime a Dio la<br />

piena fiducia che conserva in Lui: 3; 4; 10; 12; 21; 26; 40; 55; 56;<br />

61; 130.<br />

e) <strong>Il</strong> giusto innalza a Dio la sua preghiera di ringraziamento<br />

e di lode dopo i benefici da Lui ricevuti, specialmente nelle varie<br />

tribolazioni <strong>della</strong> vita e nelle persecuzioni dei nemici, peccatori,<br />

oppressori, calunniatori, increduli: 9,1-21; 17; 22; 27; 29; 30; 33; 39; 60;<br />

64; 66; 74; 114; 115; 137; 143; 145.<br />

d) <strong>Il</strong> salmista canta la diversa sorte dell'uomo pio e dell'empio,<br />

del giusto e del peccatore. Questo tema è spesso toccato anche<br />

nei salmi delle tre categorie precedenti, ma lo è principalmente nei<br />

salmi seguenti: 1; 7; 13; 15; 36; 48; 51; 52; 57; 62; 63; 72; 81; 90;<br />

91,8-16; 111; 126.<br />

X. Attributi di Dio e inviti a lodarlo come tema diretto e principale<br />

di alcuni salmi. — Tutto il salterio, come del resto tutta la<br />

bibbia, ha, in fondo, per tema unico: Dio e i suoi attributi. Dio e i<br />

suoi attributi, che il salterio — come, di nuovo, tutta la bibbia —<br />

non si cura di considerare o di analizzare con procedimento filosofico,<br />

ma di descrivere concretamente, e, per così dire, di mostrare,<br />

come appariscono di fatto nei suoi interventi nel mondo, nella sua<br />

azione creatrice e nella sua provvidenza verso gli uomini e verso<br />

Israele in specie. È ugualmente vero che tutto il salterio è un invito<br />

a lodare Dio e i suoi attributi così considerati. Da questo punto<br />

di vista, nel raggruppamento generale dei salmi, non deve esistere<br />

un gruppo che tratti di Dio, dei suoi attributi, dell'invito a lodarlo,<br />

perché questo si trova attraverso tutto il salterio.<br />

Però, considerando da vicino alcuni salmi, ci si accorge che,<br />

sotto lo stesso aspetto del tema di Dio, dei suoi attributi e dell'invito<br />

a lodarlo, essi hanno qualcosa di speciale rispetto agli altri.<br />

Ed è che questi temi in essi costituiscono l'oggetto diretto, immediato,<br />

e per così dire esclusivo del canto. Anche in essi, quasi sempre,<br />

il salmista fa allusioni a qualcuno dei temi che abbiamo raggruppati<br />

nelle precedenti nove categorie: creazione, provvidenza generale,<br />

provvidenza speciale per il popolo d'Israele, ecc. Queste<br />

allusioni servono a rilevare quegli attributi di Dio (maestà e potere<br />

regale e giudiziale; clemenza, benignità, onniscenza, bontà) e a motivare<br />

l'invito a lodarlo. Ma in questi salmi si tratta solo di brevi<br />

allusioni, mentre lo scopo principale rimane quello di cantare questi<br />

attributi nella loro generalità o d'invitare in modo generale a lodare<br />

Dio.<br />

La trasposizione di questi salmi in regime cristiano è intuitiva:<br />

il cristiano canta gli attributi di Dio con ragioni tanto maggiori<br />

quanto li vede manifestarsi in modo immensamente più profondo


472 CAP. XV - TEMI DEI SALMI<br />

e magnifico, in Cristo stesso, nella Chiesa, nelle realtà ecclesiali, nelle<br />

realtà <strong>della</strong> vita intima di perfezione del cristiano e nell'escatologia<br />

futura già annunziata. Nello stesso modo l'invito generico a lodare<br />

Dio è raccolto e rinforzato dal cristiano perché in lui quest'invito<br />

sgorga dalla conoscenza e dall'esperienza delle realtà eristiche, ecclesiali<br />

— anche individuali — ed escatologiche future.<br />

I salmi che si riferiscono a questi temi sono principalmente: la<br />

serie dei salmi che cantano Dio Re universale, potente, salvatore,<br />

santo, giudice giusto d'Israele e del mondo: 85,8-10; 92; 93; 94; 95;<br />

96; 97; 98. In questi salmi è la regalità di Jahweh che è cantata in tutti<br />

i predetti aspetti 23 . <strong>Il</strong> salmo 102 canta la clemenza di Dio; il salmo<br />

112 la sua altezza e benignità; il salmo 138 la sua onnipotenza,<br />

onniscienza e onnipresenza; il salmo 144 la sua maestà e bontà.<br />

I salmi 116 e 150 sono inviti generali a lodare Dio per la sua misericordia<br />

e fedeltà, per i suoi portenti e la sua maestà.<br />

* * *<br />

In conclusione di questi due capitoli, non sembra affatto esagerato<br />

asserire che per penetrare nel mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è di capitale<br />

importanza comprendere le sue relazioni con la bibbia, penetrare<br />

nello spirito profondo che ne determina di fatto i reciproci rapporti.<br />

Aggiungo anzi — non dispiaccia agli esegeti che troppo trascurano<br />

la questione delle relazioni tra bibbia e <strong>liturgia</strong> — ch'è di capitale<br />

importanza • anche per arrivare alla comprensione totale <strong>della</strong><br />

bibbia, come deve essere compresa in regime cristiano ed ecclesiale,<br />

e per arrivare a far sì che la bibbia sia veramente il nutrimento<br />

delle anime e <strong>della</strong> vita tutta del cristiano. Infatti, è principalmente<br />

nella <strong>liturgia</strong> che la Chiesa mette in opera e vive la Scrittura.<br />

E per questo che rinnovamento liturgico e movimento biblico<br />

sono profondamente connessi e devono andare, per così dire, di<br />

pari passo. È praticamente illusorio credere di poter riportare i<br />

cristiani alle sorgenti <strong>della</strong> bibbia se non li si riporta alle sorgenti<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, come, viceversa, è illusorio credere di poter riportare<br />

i cristiani alle sorgenti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> se non li si riporta alle sorgenti<br />

<strong>della</strong> bibbia. È quanto hanno felicemente compreso quei promotori<br />

del movimento liturgico che si sforzano di affiancarlo al rinnovato<br />

studio <strong>della</strong> Scrittura 24 .<br />

Ma è altrettanto evidente che lo studio <strong>della</strong> bibbia non assurge<br />

a questa funzione alimentatrice <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> Chiesa se non supera<br />

la fase puramente, o troppo prevalentemente, filologica, storica,<br />

23 Vedi H. J. KRAUS, Die Konigsherrschaft Gottes im A. T., Tiibingen, 1951.<br />

J. GRAY, The kingship of God in the prophets and psalms, in: Vetus Testamenti,<br />

11 (1961), 1-29.<br />

"' Da notare in questo <strong>senso</strong> le riviste: Bibel und Liturgie di Klosterneuburg<br />

presso Vienna; Paroisse et liturgie, Abbaye de St. André, Bruges, nel Suplement:<br />

Lumière et vie dal giugno 1951. Anche le pubblicazioni del Centre de<br />

pastorale Uturgique di Parigi danno notevole importanza a quest'aspetto del rinnovamento<br />

liturgico.


SALMI E MISTERO DI CRISTO NELLA LITURGIA 473<br />

o anche apologetica, per elevarsi in ogni questione al piano <strong>della</strong><br />

teologia biblica integrale. E questo avviene solo per mezzo dello<br />

studio dei temi teologici biblici nel loro svolgimento attraverso tutta<br />

la bibbia sullo sfondo <strong>della</strong> storia sacra nelle sue diverse fasi tra<br />

loro connesse fino all'ultima escatologia. Probabilmente non è esagerato<br />

dire che quando si sarà nuovamente generalizzato tra i cristiani<br />

il <strong>senso</strong> di ritrovare connaturalmente la bibbia nella <strong>liturgia</strong><br />

e la <strong>liturgia</strong> nella bibbia, un gran passo avanti sarà stato fatto verso<br />

una vita cristiana più intensa, perché sarà stata ritrovata la chiave<br />

dell'unità tra bibbia, <strong>liturgia</strong> e vita. Era questo lo scopo essenziale<br />

a cui tendeva e tende sempre l'antico metodo monastico <strong>della</strong> tedio<br />

divina che è nello stesso tempo studio <strong>teologico</strong>, meditazione e orazione,<br />

essenzialmente intorno alla bibbia vissuta nella <strong>liturgia</strong> e alla<br />

<strong>liturgia</strong> capita per mezzo <strong>della</strong> bibbia.<br />

È vero, come dicevo al principio di questo capitolo, che non<br />

basta avere una chiara visione intellettuale discorsiva dei grandi<br />

temi biblici e dei loro rapporti con la vita liturgica perché il cristiano<br />

viva immancabilmente la <strong>liturgia</strong> con tutta l'intensità desiderabile.<br />

Per questo ci vuole ben altro ancora. Ci vuole la santità<br />

<strong>della</strong> vita. Tuttavia, abituandosi a ritrovare naturalmente i rapporti<br />

tra bibbia e <strong>liturgia</strong> mediante la comprensione dei grandi temi<br />

teologici biblici sullo sfondo <strong>della</strong> storia sacra considerata nella<br />

sua unità, noi disponiamo convenientemente la nostra intelligenza<br />

concettuale perché cooperi meglio possibile, secondo il suo modo<br />

specifico, all'opera <strong>della</strong> nostra santificazione e del nostro culto<br />

nella vita liturgica <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Tenendo presente quanto detto nei due precedenti capitoli si<br />

comprende perché il concilio vaticano II desidera che « nelle sacre<br />

celebrazioni, la lettura <strong>della</strong> Sacra Scrittura sia più abbondante, più<br />

yaria; meglio scelta »; perché inculca il dovere dell'omelia come<br />

spiegazione <strong>della</strong> Scrittura nel suo quadro liturgico; perché promuove<br />

addirittura celebrazioni speciali <strong>della</strong> parola di Dio 25 .<br />

Si comprende inoltre cosa voglia dire, in fondo, lo stesso concilio,<br />

quando proclama : « per promuovere la riforma, il progresso e<br />

l'adattamento <strong>della</strong> sacra <strong>liturgia</strong>, è necessario che venga favorita<br />

quella soave e viva conoscenza <strong>della</strong> Sacra Scrittura, che è attestata<br />

dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali » 26 .<br />

L'espressione « soave e viva conoscenza » non è forse la più adatta,<br />

perché potrebbe far sospettare che si tratta di un modo di leggere<br />

la bibbia sentimentale e più o meno arbitrario, anche se scaturito<br />

da buona intenzione. Non è affatto questo che vuol dire il concilio.<br />

Si tratta invece di quella lettura teologica e totale <strong>della</strong> bibbia che<br />

è, come abbiamo cercato di dimostrare, l'unica lettura cristiana<br />

scientificamente integrale del sacro testo.<br />

" CL, art. 35.<br />

26 Ibid., art. 24.


PARTE QUARTA<br />

LITURGIA, FEDE E <strong>TEOLOGIA</strong>


CAPITOLO XVI<br />

LITURGIA E FEDE<br />

Quali sono i precisi rapporti tra <strong>liturgia</strong> e ìede, <strong>liturgia</strong> e teologia?<br />

In specie: fino a qual punto la <strong>liturgia</strong> obbliga la fede del<br />

credente e quale uso si può e si deve fare <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in teologia?<br />

Queste questioni hanno un'importanza assai più concreta di quanto<br />

si potrebbe credere a prima vista, al fine non solo <strong>della</strong> retta comprensione<br />

teorica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, ma -anche dell'efficacia di penetrazione<br />

pratica del movimento liturgico nella Chiesa. Questa efficacia<br />

dipende in modo essenziale dal presupposto che il clero sia, lui per<br />

primo, persuaso <strong>della</strong> sua vera utilità. Ma non si può sperare seriamente<br />

che il mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> diventi connaturato nel pensiero<br />

teorico religioso e nella sensibilità religiosa pratica del clero,<br />

fintanto che questi non si sarà reso conto quale posto preciso tiene<br />

tale mondo nel quadro generale <strong>della</strong> rivelazione e <strong>della</strong> vita <strong>della</strong><br />

Chiesa che egli è solito ricavare — o dovrebbe ricavare — dallo<br />

studio <strong>della</strong> teologia. Ora, questo dipende, in buona parte, dalla soluzione<br />

delle predette questioni.<br />

Anzitutto: quali sono precisamente i rapporti tra fede e <strong>liturgia</strong>?<br />

Si risponde in sostanza : « lex orandi, lex credendi » : il modo in cui<br />

si prega nella <strong>liturgia</strong> indica ciò che si deve credere; e ciò die si<br />

deve credere influisce sul modo di pregare; la <strong>liturgia</strong> è, o implica, un<br />

certo modo di proporre la fede all'adesione dei fedeli, ed è, o implica,<br />

una certa espressione di questa fede del magistero e del popolo.<br />

Si aggiunge : la <strong>liturgia</strong> è una manifestazione del magistero ordinario<br />

<strong>della</strong> Chiesa.<br />

Che tutto questo però abbia bisogno di chiarimenti e di precisazioni,<br />

lo dimostra la semplice osservazione che, se si prende la <strong>liturgia</strong><br />

nel suo insieme, in quanto comprende sia le liturgie storiche<br />

che quelle tuttora in vigore, e si bada, un po' più da vicino, a quello<br />

che vi è contenuto, ci si trova dinanzi a un insieme, non solo di grande<br />

estensione e varietà, ma anche di valore notevolmente diverso in<br />

quanto riguarda appunto la fede. Si pensi, per esempio, da questo<br />

punto di vista, a un insieme di feste come le seguenti: l'Assunzione


478 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

oggi, l'Assunzione immediatamente prima <strong>della</strong> definizione solenne e<br />

l'Assunzione ancora al secolo settimo-ottavo; la festa <strong>della</strong> presentazione<br />

<strong>della</strong> Madonna al tempio; la festa dell'apparizione <strong>della</strong> Madonna<br />

a Lourdes; la festa di Maria mediatrice di tutte le grazie,<br />

concessa nel 1921 da Benedetto XV a parecchie diocesi; la festa<br />

<strong>della</strong> traslazione <strong>della</strong> santa casa di Loreto, celebrata ugualmente<br />

in parecchie diocesi; la festa delle stimmate di S. Francesco. È chiaro<br />

che il principio: lex orandi, lex credendi, in questi diversi casi ha<br />

un significato notevolmente diverso e che il magistero <strong>della</strong> Chiesa<br />

e la stessa adesione dei fedeli sono assai diversamente impegnati<br />

in ognuno di essi.<br />

È noto pure agli specialisti che, in alcune liturgie, per altro ortodosse<br />

e cattoliche, s'infiltrarono anche errori dottrinali o, per lo<br />

meno, formule di una teologia imprecisa e antiquata, anche se, per<br />

lo più, furono assai presto eliminate. Così, per esempio, certe formule<br />

nella <strong>liturgia</strong> mozarabica, alle quali si appellarono poi gli<br />

adozianisti Elipando e Felice di Urgel 1 . Così ancora, in documenti<br />

liturgici del medio evo, la rubrica che affermava la consacrazione<br />

del vino nel calice per semplice contatto con l'ostia consacrata e<br />

un formulario di messa « per alleviare le pene dell'inferno » 2 . Anche<br />

in simili casi, evidentemente, la responsabilità del magistero e<br />

l'adesione dei fedeli son cose che, teologicamente, richiedono sfumature<br />

e spiegazioni.<br />

E per questo che, sin dal sec. XVII-XVIII, ossia sin dal momento<br />

che la scienza storica liturgica moderna cominciò a prendere reale<br />

consistenza e che, nelle controversie con i protestanti, si cominciò<br />

a prendere in considerazione anche il ricorso alla <strong>liturgia</strong>, si sentì<br />

il bisogno di determinare più precisamente i rapporti tra fede e<br />

<strong>liturgia</strong>, nonché le regole interpretative e le condizioni mediante<br />

le quali questo ricorso sarebbe stato efficace nell'esposizione e nella<br />

difesa <strong>della</strong> fede. Dopo il Padre F. A. Zaccaria 3 , che fu il principale<br />

autore ad occuparsi allora di questa precisa questione, essa<br />

non cessò di attirare ogni tanto l'attenzione di qualche teologomentre<br />

spiegava il metodo <strong>della</strong> teologia nel trattato detto dei luoghi<br />

teologici. E vero che tutto questo, in fondo, rimase sempre in<br />

campo puramente teorico, perché non si arrivò mai, in realtà, a<br />

una seria penetrazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella teologia. Si vedrà poi<br />

il perché a nostro parere.<br />

Di recente ancora alcuni liturgisti e teologi hanno tentato di<br />

riesaminare la stessa questione dei rapporti tra fede e <strong>liturgia</strong>.<br />

Carlo Federer ha fatto un buon lavoro d'indole storica prendendo<br />

in esame, su questo punto, il pensiero dei padri latini fino al secolo<br />

1 Vedi D. DE BRUVNE, De l'origine de quelques textes liturgiques mozarabes,<br />

in: Revue Bénédictine 30 (1913) 421-26. Vedi il concilio di Francoforte del 794 in<br />

MANSI 13 p. 886-B ss.<br />

2 Vedi M. ANDRIEU, Immixtio et consecratio, Paris 1924. ZACCARIA, Bibliotheca<br />

ritualis, Roma 1776-81, I p. LVII.<br />

3 Specialmente: Thesaurus theologicus, 12 volumi, Venezia 1762; Bibliotheca<br />

ritualis, 3 volumi, Roma 1776-81.


LITURGIA DIDASCALIA DELLA CHIESA 479<br />

quinto 4 . In uno scritto del P. F. Oppenheim si può leggere una<br />

compilazione di quello che gli autori, oggi, generalmente dicono, dal<br />

punto di vista teorico, intorno alla stessa questione 5 . <strong>Il</strong> P. M. Pinto,<br />

riprendendo una simile compilazione con l'aggiunta anche del lato<br />

storico, si è sforzato di ordinarla in quello che chiama un abbozzo<br />

di trattato <strong>teologico</strong> completo sul valore <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e .<br />

Intorno alla teoria dei rapporti tra fede e <strong>liturgia</strong> a me pare<br />

che parecchie delle cose essenziali siano già state dette dallo Zaccaria<br />

e si possano considerare come punti ormai acquisiti. Ma credo<br />

che oggi si possano precisare e semplificare grazie a tre punti di<br />

dottrina sui quali la teologia odierna può dire qualcosa di più e<br />

di meglio <strong>della</strong> teologia del secolo XVIII, ossia: grazie a una nozione<br />

più comprensiva ed esatta <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> stessa; grazie alla<br />

coscienza più precisa <strong>della</strong> nozione di magistero <strong>della</strong> Chiesa, dei<br />

suoi rapporti con la Scrittura, la tradizione, la storia, nonché del<br />

fatto che quello che il magistero propone ai fedeli lo propone con<br />

gradi diversissimi di autorità e di autenticità; finalmente, grazie a<br />

una coscienza più sensibile al fatto dell'evoluzione dei dogmi e<br />

delle dottrine e ai diversi fattori che vi contribuiscono. È sotto<br />

questa luce che mi sforzerò di riesaminare la questione.<br />

1. IN CHE SENSO LA LITURGIA<br />

È «DIDASCALIA» DELLA CHIESA<br />

Anzitutto : in che <strong>senso</strong> il magistero <strong>della</strong> Chiesa è implicato<br />

nella <strong>liturgia</strong>? In un'udienza privata 7 Pio XI disse : « La <strong>liturgia</strong>...<br />

è l'organo più importante del magistero ordinario <strong>della</strong> Chiesa...<br />

La <strong>liturgia</strong> non è la didascalia di tale o~tal altro individuo ma<br />

la didascalia <strong>della</strong> Chiesa ». Si compendiano così, in poche parole,<br />

le relazioni che intercorrono tra la <strong>liturgia</strong> e il magistero <strong>della</strong><br />

Chiesa. In poche parole che vanno però spiegate. Perché, se è vero<br />

che la <strong>liturgia</strong> è la didascalia <strong>della</strong> Chiesa ed è l'organo più importante<br />

del magistero ordinario, è altrettanto vero che tutto<br />

questo la <strong>liturgia</strong> lo è in un <strong>senso</strong> molto particolare, che la distin-<br />

4 K. FEDERER, Liturgie und Glaube, Legem crederteli, lex statuat supplicandi.<br />

Eine Theologiegeschichtliche Untersuchung, Freiburg i. S. 1950. <strong>Il</strong> P. Abate D. BER­<br />

NARDO CAPELLE ha maggiormente rilevato il rapporto tra autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e<br />

origine apostolica <strong>della</strong> stessa (vera o supposta) secondo gli stessi Padri: Autorité<br />

de la liturgie chez les Pères, in: Recherches de théologie ancienne et medievale<br />

31 (1954) 5-22.<br />

5 Principia theologiae liturgicae, Torino 1947. Bibliografia generale antecedente<br />

sullo stesso argomento, ivi p. XIH-XIX.<br />

8 O valor teològico da <strong>liturgia</strong> (tesi <strong>della</strong> facoltà teologica S.J. di Granata),<br />

Braga 1952.<br />

7 Vedi testo in A. BUGNINI, Documenta pontificia ad instaurationem <strong>liturgia</strong>e<br />

spectantia, Romae 1953 p. 70 s. Vedi pure dello stesso Pio XI l'enciclica<br />

« Quas primas » dell'll die. 1925, AAS 17 (1925) 603. In Bugnini ibid. p. 57 n. 2.


480 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

gue profondamente dalla forma di magistero che la Chiesa esercita<br />

fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, per esempio, per mezzo dei catechismi, delle<br />

professioni di fede, delle lettere encicliche o pastorali. Questo modo<br />

speciale dipende tutto dalla natura propria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

La <strong>liturgia</strong> azione vitale complessa di tutta la Chiesa corpo mistico<br />

Questa natura propria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> ci siamo sforzati di spiegarla<br />

in tutti i -capitoli che precedono, massimamente nella prima<br />

parte, che tratta appunto <strong>della</strong> nozione di <strong>liturgia</strong>. Ricordiamo alcuni<br />

punti essenziali. La <strong>liturgia</strong> è il complesso dei segni sensibili<br />

efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa. In essa, attraverso<br />

lo strumento e il velo dei segni sensibili, Dio santifica la<br />

Chiesa per mezzo di Cristo suo capo, e la Chiesa unita a Cristo<br />

come i membri del corpo sono uniti al capo, e per mezzo di Lui,<br />

rende il suo culto a Dio associandosi al culto che Cristo rende<br />

al Padre e facendolo suo e facendo anche Cristo stesso oggetto<br />

del suo culto. La <strong>liturgia</strong> in tal modo appare il luogo privilegiato<br />

d'incontro tra l'uomo e Dio, nel quale, l'uomo, per mezzo di Cristo<br />

mediatore e capo, nel possesso dello Spirito Santo, riceve ogni bene<br />

dal Padre e ritorna al Padre, nella viva e concreta attuazione in sé<br />

del mistero di Cristo, <strong>della</strong> storia sacra, <strong>della</strong> Chiesa e dell'unità di<br />

tutto il cosmo. Spero che il benevolo lettore, che ha avuto la pazienza<br />

di seguirmi fin qui, non prenda queste nozioni come un semplice<br />

sfogo di lirismo.<br />

Se così è, ogni azione liturgica — e tutta la <strong>liturgia</strong> è essenzialmente<br />

e in primo luogo un'azione — è qualcosa di più e di meglio<br />

che il semplice esercizio didascalico del magistero <strong>della</strong> Chiesa.<br />

È, nell'ordine soprannaturale, un'azione vitale generale e complessa<br />

di tutta la Chiesa come tale, organicamente strutturata — gerarchia<br />

e fedeli, ognuno a suo posto e a suo modo — azione vitale<br />

nella quale tutta quella stessa Chiesa ,— supposte le debite condizioni<br />

— raggiunge quaggiù la sua massima attuazione di corpo di<br />

Cristo 8 , perché, in unione con il suo capo, Cristo, attraverso il velo<br />

dei segni sensibili ed efficaci, risponde adeguatamente all'azione<br />

santificatrice di Dio, in un incontro plenario dell'umano e del<br />

divino. Tutto questo è qualcosa di più che un semplice esercizio<br />

del potere dottrinale <strong>della</strong> gerarchia verso i fedeli. È qualcosa in<br />

cui convergono e sono messi in opera: e il potere dottrinale <strong>della</strong><br />

gerarchia, e il suo potere di governo, e il suo potere di santificazione,<br />

nonché la risposta dei fedeli a tutto questo, ed anzitutto,<br />

l'azione stessa di Cristo e di Dio. Più che l'esercizio del potere<br />

dottrinale <strong>della</strong> gerarchia, l'azione liturgica — sempre supposte<br />

. 8 Concetto fortemente ribadito dal concilio vaticano II: CL, art. 26; 2;<br />

5-8; 41; 48; 83.


INSEGNAMENTO E CULTO 481<br />

le debite condizioni — è dunque, sotto il velo dei segni sensibili ed<br />

efficaci, l'incontro vitale massimo tra l'uomo e Dio in Cristo, che<br />

il potere dottrinale, il potere di governo e il potere di santificazione<br />

dato alla gerarchia, hanno per scopo comune ed ultimo quaggiù<br />

di suscitare ed attuare.<br />

Tutto questo deve essere tenuto presente se si vuol precisare<br />

quali sono le interferenze tra l'esercizio del magistero <strong>della</strong> Chiesa<br />

e la <strong>liturgia</strong>, e comprendere le modalità speciali che questo esercizio<br />

ivi riveste e le regole d'interpretazione secondo le quali deve essere<br />

inteso.<br />

Fine didattico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sottoposto al fine cultuale immediato<br />

È chiaro, infatti, che quest'esercizio del magistero <strong>della</strong> Chiesa<br />

nella <strong>liturgia</strong> è realissimo, in quanto la <strong>liturgia</strong> implica, tra le altre<br />

cose, anche un insegnamento, una didascalia del magistero, nonché<br />

un'espressione dell'adesione che i fedeli danno a quest'insegnamento<br />

e dalla quale, a sua volta, si può riconoscerlo. Ma con quale<br />

precisa modalità la <strong>liturgia</strong> implica un insegnamento del magistero?<br />

Si può ricavarlo dalla dottrina generale delle relazioni tra <strong>liturgia</strong><br />

— esercizio massimo <strong>della</strong> virtù di religione — e virtù teologali.<br />

Specialmente dalla relazione tra religione e fede, che l'insegnamento<br />

del magistero ha per scopo immediato di suscitare, e che<br />

l'adesione del fedele a questo insegnamento manifesta.<br />

S. Tommaso," intorno alla questione: «Che relazione c'è tra<br />

la fede e la religione » arriva a questa conclusione : « È chiaro<br />

dunque che l'atto di fede appartiene materialmente alla religione,<br />

come anche gli atti delle altre virtù; anzi vi appartiene di più, poiché<br />

l'atto di fede è il primo movimento <strong>della</strong> mente verso Dio... Inoltre,<br />

la fede ha rapporto con la religione in quanto la fede è la causa<br />

e il principio <strong>della</strong> religione. Nessuno, infatti, renderebbe culto<br />

a Dio se non credesse che Dio è creatore, provvidenza e rimuneratore<br />

degli atti umani » 9 . Si riconosce, a proposito <strong>della</strong> fede in<br />

specie, la dottrina di S. Tommaso intorno alle relazioni tra virtù<br />

teologali e virtù di religione. Ciò vale ancora più <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

in specie, perché questa, in quanto include il culto, è il sommo esercizio<br />

<strong>della</strong> religione. La fede è dunque in primo luogo presupposto<br />

e principio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> perché è nell'uomo la prima fase di quel<br />

movimento verso Dio che, nell'atto liturgico, si compie come incontro<br />

del creatore e <strong>della</strong> creatura. Ma nella <strong>liturgia</strong>, in modo più<br />

particolare, la fede è anche materia di cui si serve la virtù di religione<br />

attiva nel culto, in quanto nell'atto liturgico la virtù di religione<br />

offre a Dio gli atti di fede come omaggio a Lui dovuto quale<br />

creatore e provvidenza.<br />

8 In Boethii De Trinitate, Lect I q. 1 a 2 (alias 11), ed. Marietti, Opuscula<br />

theologica II 345.<br />

16 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


482 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

Vuol dire che, mentre l'insegnamento del magistero in genere<br />

è specificamente diretto a suscitare la fede, nella <strong>liturgia</strong> questo<br />

insegnamento ha per fine proprio di suscitare al momento stesso<br />

nel fedele l'atto di fede, in vista di offrirlo hic et nunc in omaggio<br />

a Dio nell'azione cultuale. Così la fede non è solo un presupposto<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, ma fa parte <strong>della</strong> sostanza stessa dell'azione liturgica:<br />

l'azione liturgica consiste in parte nell'offrire a Dio, hic et nunc,<br />

attraverso segni sensibili ed efficaci, atti di fede, come omaggio<br />

a Lui dovuto quale creatore e provveditore universale; ed è per<br />

suscitare questi atti che il magistero, nella <strong>liturgia</strong> stessa, insegna<br />

ed esorta, ossia esercita la didascalia. L'omaggio poi reso a Dio<br />

nella <strong>liturgia</strong> non è completo se all'atto di fede non si aggiunge<br />

l'atto di speranza e principalmente di carità. Nella carità, offerta<br />

a Dio come omaggio a Lui dovuto quale creatore e provveditore<br />

si compie il ciclo cultuale.<br />

L'insegnamento del magistero, la sua didascalia, nella <strong>liturgia</strong><br />

mira dunque essenzialmente ad attuare nel momento stesso, nei fedeli,<br />

fede, speranza e massimamente carità, in vista di offrirle a Dio<br />

nell'atto cultico presente come omaggio a Lui dovuto.<br />

E per questo che la <strong>liturgia</strong> non è né un catechismo, né una<br />

predica, né un manuale di dogmatica, né un'enciclica o una pastorale.<br />

Anche in tutti questi mezzi d'insegnamento usati dalla Chiesa,<br />

il fine è di suscitare nei fedeli fede, speranza e carità, questo essendo<br />

lo scopo di ogni attività nella Chiesa. Ma si tratta di fine solo<br />

remoto. <strong>Il</strong> fine prossimo e proprio di un catechismo, di una pastorale,<br />

ecc., è semplicemente d'istruire nella fede, ma non in vista<br />

di offrirne gli atti hic et nunc nell'espressione di segni sensibili<br />

ed efficaci, in omaggio cultuale dovuto a Dio quale creatore e provvidenza<br />

universale. In altre parole: nella <strong>liturgia</strong> si tratta anzitutto<br />

di far pregare presentemente il popolo cristiano, in comunità, in atto<br />

cultuale, e non semplicemente d'istruirlo.<br />

Questo non impedisce, naturalmente, che nella <strong>liturgia</strong> alcune<br />

parti o riti o usanze siano più direttamente didattiche. Tale è il<br />

caso, in specie, storicamente e teoricamente parlando, <strong>della</strong> prima<br />

parte <strong>della</strong> messa. Tale carattere hanno pure i simboli introdotti<br />

nella <strong>liturgia</strong>, specialmente quello niceno-costantinopolitano e ancor<br />

più quello detto atanasiano. Anzi si deve riconoscere il fatto storico<br />

che, nel corso dei secoli, specialmente in tempi di liti e torbidi<br />

dogmatici, non si mancò, sia da parte degli ortodossi che degli<br />

eterodossi, di ricorrere alla <strong>liturgia</strong> per inculcare in modo più notevolmente<br />

didattico ed anzi, talvolta, polemico, tale o tal altro punto<br />

<strong>della</strong> fede, per esempio, contro l'arianesimo o contro il semipelagianesimo.<br />

Ma tutto questo non muta il fatto fondamentale che, per la<br />

natura stessa delle cose, l'istruzione nella <strong>liturgia</strong> è in funzione<br />

diretta ed immediata <strong>della</strong> preghiera. E questo è vero anche nelle<br />

parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che sono più didattiche delle altre, come le<br />

omelie, le lezioni, le esortazioni dirette, le professioni di fede, in


LITURGIA E INTUIZIONE 483<br />

specie nella prima parte <strong>della</strong> messa. Anche queste parti, perché<br />

sono fatte appunto nell'azione liturgica, come parte di essa, tendono<br />

in sé e per sé immediatamente all'attuazione cultica degli<br />

animi e, in questo <strong>senso</strong>, prendono un carattere assai diverso<br />

dall'insegnamento extraliturgico del magistero. Nelle altre parti<br />

poi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>: sacrifìcio, orazioni, in specie l'orazione dell'ufficio<br />

divino, amministrazione e, recezione dei sacramenti e dei sacramentali,<br />

tutte cose che, dal punto di vista liturgico e cultuale, hanno<br />

un'importanza molto più grande ed essenziale delle omelie,<br />

delle lezioni, delle esortazioni e delle professioni di fede, nelle altre<br />

parti, dico, l'aspetto didattico è molto meno diretto ed esplicito.<br />

In esse predomina incontrastato l'aspetto santificazione e l'aspetto<br />

culto sull'aspetto insegnamento.<br />

Perciò nella <strong>liturgia</strong> non predomina lo stile didattico diretto<br />

Questa costatazione non pare di poca importanza. Così si<br />

capisce anzitutto perché la <strong>liturgia</strong>, nel suo insieme, non sia affatto<br />

costruita in uno stile didattico. Gli stessi spunti di natura più<br />

didattica sono intramezzati, per regola generale, di canti e di preghiere<br />

come per tradurre subito in atto cultuale l'insegnamento<br />

ricevuto. Se si volesse esaminare la <strong>liturgia</strong> nel quadro <strong>della</strong> questione<br />

generale dei generi letterari, bisognerebbe dire che costituisce<br />

un genere letterario proprio. In essa, sui mezzi di espressione<br />

che vogliono comunicare o semplicemente esprimere concetti<br />

chiari e distinti di tipo raziocinativo con scopo immediato di arricchire<br />

l'intelligenza concettuale, predominano quelli in connessione<br />

più immediata con l'intuizione, la volontà e il sentimento, in tutte<br />

le sue sfumature, in vista di creare o esprimere stati d'animo complessivi,<br />

intuitivi e affettivi più che semplicemente concettuali.<br />

Così nella <strong>liturgia</strong> romana i diversi tipi di orazioni; i diversi<br />

tipi di inni: inni propriamente detti, salmi, cantici, tratti, sequenze;<br />

i ritornelli o antifone; i prefazi consacratori, anzitutto la grande<br />

preghiera eucaristica <strong>della</strong> messa o canone; gli esorcismi. Tutte<br />

forme che, dal punto di vista del genere letterario, sono mezzi<br />

tipici per esprimere volizioni, desideri, domande, ringraziamento,<br />

ammirazione, lode, pentimento, o semplicemente fede, speranza,<br />

amore.<br />

È anche per questo che in ogni <strong>liturgia</strong>, più che il tipo semplicemente<br />

espositivo, predomina, con maggiore o minore sobrietà,<br />

una tonalità lirica e retorica. Si comprenderà l'ampiezza di questo<br />

fenomeno se si aggiunge il profondo radicamento del simbolismo<br />

e <strong>della</strong> tipologia nell'espressione liturgica, come abbiamo spiegato<br />

a lungo, e, finalmente, l'attuazione simultanea e come l'orchestrazione<br />

generale che avviene in essa di tutti i sensi dell'uomo, com'è<br />

stato anche dimostrato a suo luogo.


484 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

Tutto questo dimostra che la <strong>liturgia</strong>, più che comunicare semplicemente<br />

concetti chiari e distinti, più che insegnare, si preoccupa<br />

di sintonizzare tutto l'uomo concreto e d'immergerlo in un ambiente<br />

generale di preghiera e di dedizione a Dio, in quell'ambiente<br />

di devotio che è l'anima del culto.<br />

Ora, per creare simile ambiente, l'insegnamento, il concetto<br />

chiaro e distinto, non possono essere usati che in certa misura e<br />

con parsimonia. È una legge di psicologia religiosa nota, sia pure<br />

oscuramente, a tutti coloro che hanno qualche esperienza dell'orazione<br />

mentale e sulla quale, sotto forme diverse, i mistici non<br />

mancano d'insistere. Così, quando raccomandano che la meditazione<br />

non si esaurisca tutta in considerazioni intellettuali e in raziocini,<br />

ma si abbia cura di mettere in moto la volontà e si faccia<br />

cooperare il sentimento; così ancora quando avvertono che, arrivati<br />

a un certo grado di sviluppo <strong>della</strong> vita spirituale, ci si guardi<br />

bene dal preoccuparsi di fare nell'orazione atti chiari e distinti<br />

d'intelligenza o anche di volontà, e, se a tanto spinge lo<br />

Spirito, ci si accontenti invece di un semplice sguardo amoroso;<br />

perché nella preghiera, questo semplice sguardo amoroso, rispetto<br />

agli atti distinti delle potenze, è il fine e non il mezzo 10 . Quando<br />

la <strong>liturgia</strong> mette al secondo piano l'aspetto didattico, non fa altro<br />

che applicare questa legge, ricordandosi che la sua natura, in quanto<br />

culto, è di essere anzitutto una preghiera e non una forma d'insegnamento.<br />

È questa anche, mi pare, l'anima di verità che si trova nell'argomento<br />

usato dagli avversari <strong>della</strong> lingua volgare in <strong>liturgia</strong>, quando<br />

dicono che è cosa essenziale alla <strong>liturgia</strong> conservare un certo carattere<br />

di indistinta misteriosità, carattere che verrebbe perso se<br />

si facesse in lingua intesa da tutti. Anima di verità insufficiènte,<br />

beninteso, a giustificare il perpetuarsi nella <strong>liturgia</strong> dell'uso di una<br />

lingua non capita dal popolo, ma che dovrebbe essere sufficiente<br />

a far capire a tutti che il semplice fatto di far sì che il popolo abbia<br />

una <strong>liturgia</strong> nella sua lingua viva, pur potendo essere un mezzo<br />

potente per raggiungere la sua partecipazione totale e sentita al<br />

culto, non è affatto la panacea infallibile e per sé sola sufficiente<br />

per raggiungere questo desiderabilissimo scopo. Ci vuole ben altro<br />

ancora. Appunto perché la <strong>liturgia</strong> non è solo, né principalmente,<br />

l'insegnamento di una dottrina, ma un atto di culto, una preghiera.<br />

Tanti chierici che pur « sanno il latino » e parecchi di quelli che<br />

s'immaginarono, un po' ingenuamente, che, grazie alla traduzione<br />

piana del salterio che dà felicemente un testo che « si capisce »,<br />

avrebbero senz'altro risolto la questione come « pregare il breviario »,<br />

passato il primo effetto <strong>della</strong> novità, potrebbero facilmente avvalorare<br />

queste osservazioni.<br />

10 Vedi, per es., S. GIOVANNI DELLA CROCE, Fiamma viva d'amore, III 30-62...,<br />

S. TERESA, Vita XV n. 6ss: « Ma se la dottrina è di grande aiuto prima e dopo<br />

l'orazione mi sembra che mentre si prega, debba giovare ben poco, se non per<br />

infiacchire la volontà ».


EFFICACIA PENETRATIVA DELLA LITURGIA 485<br />

Tutto questo dovrebbe pure rendere più cauti alcuni che sembrano<br />

sognare l'ideale di rendere la <strong>liturgia</strong> una specie di tribuna<br />

di propaganda di un grande piano d'insegnamento metodico <strong>della</strong><br />

dottrina <strong>della</strong> Chiesa o, per lo meno, delle dottrine di cui oggi<br />

il mondo sembra avere maggiore bisogno. Tribuna di propaganda,<br />

se si vuole, purché non si dimentichi che, come culto, la <strong>liturgia</strong><br />

ha per scopo primario di far pregare il popolo e che, se non si<br />

arriva a tanto, viene svuotata <strong>della</strong> sua vera forza.<br />

E tuttavia la <strong>liturgia</strong> ha grande efficacia didattica<br />

Ma, se l'aspetto preghiera è salvaguardato al primo piano, allora<br />

è vero che la <strong>liturgia</strong> è un incomparabile mezzo d'insegnamento,<br />

sia pur indiretto. Anzi, forse, tanto più efficace e universale in<br />

quanto è indiretto e come amalgamato in tutto un mondo complesso<br />

di atti e di atteggiamenti che, quasi incoscientemente, e come<br />

per tutti gli aditi possibili <strong>della</strong> psicologia, penetrano l'animo dell'uomo<br />

di qualsiasi grado e cultura.<br />

Si potrebbe dire che l'efficacia tutta propria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, anche<br />

come didascalia, proviene dal fatto che essa, più che « insegnare<br />

», fa vivere la dottrina. Senza pretendere che ogni vera partecipazione<br />

all'azione liturgica comporti necessariamente una conoscenza<br />

e un'esperienza delle cose divine propriamente mistica nel<br />

<strong>senso</strong> in cui parlano di mistica propriamente detta gli scrittori di<br />

vita spirituale, è tuttavia innegabile che la <strong>liturgia</strong> è diretta ad una<br />

comunicazione e penetrazione delle cose divine più sperimentale<br />

che semplicemente concettuale. Ora, si sa che l'efficacia vitale <strong>della</strong><br />

penetrazione sperimentale è immensamente superiore a quella <strong>della</strong><br />

comunicazione semplicemente concettuale.<br />

Così considerata, la <strong>liturgia</strong> appare la via principale <strong>della</strong> Chiesa<br />

per far penetrare vitalmente la sua visione del mondo nell'animo<br />

dei fedeli, anche se, nel suo complesso, è un mezzo di comunicazione<br />

di dottrina meno diretto, meno concettualmente preciso<br />

e meno intellettuale degli altri strumenti di cui usa abitualmente<br />

il magistero. Mezzo principale nel <strong>senso</strong> che è più vitalmente efficace,<br />

più continuo, più intuitivo e penetrante, più popolare ed<br />

universale ".<br />

11 Perciò giustamente Pio XI osservava: « Per penetrare il popolo <strong>della</strong><br />

fede ed elevarlo così alle gioie <strong>della</strong> vita interiore, le celebrazioni annuali dei<br />

sacri misteri hanno un'efficacia di gran lunga maggiore di qualsiasi altro documento<br />

del magistero ecclesiastico, anche il più grave. Questi documenti,<br />

infatti, per lo più, raggiungono solo poche persone e le più erudite, invece<br />

quelle colpiscono e istruiscono tutti i fedeli; quelli parlano una volta sola,<br />

queste, per così dire, ogni anno, anzi perpetuamente; questi s'indirizzano anzitutto<br />

alla mente, queste influenzano in modo salutare la mente e l'animo, cioè<br />

tutto l'uomo » (Quas Primas, AAS 17 [1925] 603. BUCNINI, Documenta p. 57 n. 2)


486 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

2. ALCUNE REGOLE GENERALI PER DETERMINARE<br />

FINO A QUAL PUNTO NELLA LITURGIA<br />

LA CHIESA IMPONE QUALCOSA COME DI FEDE<br />

Perché la <strong>liturgia</strong>, come mezzo d'insegnamento, è mezzo d'insegnamento<br />

del magistero ordinario e, inoltre, nel suo complesso, è<br />

meno concettualmente preciso degli altri mezzi, essa, in molti casi,<br />

offre al teologo particolari difficoltà quando la considera con lo<br />

scopo di sapere fino a qual punto, in un caso determinato, si può<br />

ricorrere alla <strong>liturgia</strong> per conoscere concettualmente l'insegnamento<br />

del magistero. Questa difficoltà si fa sentire specialmente quando<br />

si vuol determinare precisamente cos'è, in un determinato punto,<br />

propriamente di fede nella <strong>liturgia</strong> e cosa non lo è, e qual grado<br />

di adesione si deve dare a ogni singolo elemento.<br />

La questione ha la sua reale importanza, poiché uno dei compiti<br />

essenziali del teologo è appunto quello di determinare in ogni<br />

questione cosa propone il magistero e con quale grado di autorità<br />

lo propone. Dalla possibilità di precisare questi punti in <strong>liturgia</strong><br />

dipenderà, in buona parte, l'uso che di essa si farà in teologia. È<br />

per questo che i teologi postridentini, dopo Melchior Cano, che si<br />

era sforzato di determinare le regole per risolvere le stesse questioni<br />

riguardo alla Scrittura, alla tradizione e agli altri cosiddetti<br />

luoghi teologici, cercarono di fare lo stesso riguardo alla <strong>liturgia</strong><br />

di cui Cano non aveva fatto parola. Cominciando specialmente dallo<br />

Zaccaria, i teologi proposero e propongono una serie assai complicata<br />

di regole per poter determinare nei singoli casi quella che<br />

chiamano l'autorità teologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. A me pare che, in proposito,<br />

si possano fare le seguenti osservazioni.<br />

Indagine filologica, critica, storica ed ulteriore giudizio <strong>teologico</strong><br />

Anzitutto, il teologo che esamina un elemento qualsiasi <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, testo, rito, uso attuale o semplicemente storico, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

romana o di altra <strong>liturgia</strong>, deve rendersi conto di cosa si<br />

può ricavare, intorno al significato di questo elemento, dalla semplice<br />

e pura luce <strong>della</strong> filologia e <strong>della</strong> storia.<br />

A questa fase <strong>della</strong> ricerca, bisogna semplicemente cercare di<br />

vedere il significato filologico di una parola o di un testo; cosa si può<br />

ricavare eventualmente dal contesto, prossimo o remoto, dalla storia<br />

dell'origine, dello sviluppo, delle peripezie di un testo, di un uso, di<br />

un oggetto. Qui non si richiede altro che di applicare accuratamente<br />

e onestamente le leggi <strong>della</strong> filologia e <strong>della</strong> storia. Tutto questo è<br />

richiesto semplicemente perché la <strong>liturgia</strong> è composta di parole,


REGOLE GENERALI 487<br />

di frasi, di usi, di oggetti, ecc. e perché questi elementi eventualmente<br />

hanno anche un contesto e una storia. Fin qui si può dare,<br />

credo, perfettamente ragione a quei liturgisti moderni, che si potrebbero<br />

dire <strong>della</strong> scuola filologico-storica, i quali non cessano d'insistere<br />

sulla necessità <strong>della</strong> ricerca accurata, tecnica, filologica e storica<br />

in <strong>liturgia</strong>. Hanno, credo, ragione, in quanto tale ricerca deve<br />

necessariamente costituire la base indispensabile per lo studio<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Questa fase però è lungi dal costituire tutta l'indagine liturgica.<br />

Anzi non ne è che l'inizio. I suoi risultati non sono affatto i risultati<br />

definitivi ai quali il teologo, o il fedele come tale, possa attenersi.<br />

Bisogna proseguire una nuova fase di ricerca. Questa fase ulteriore<br />

comincia al- momento preciso in cui dagli elementi ottenuti nella<br />

fase filologica e storica si vuol dare un giudizio superiore alla luce<br />

<strong>della</strong> dottrina <strong>della</strong> fede, per cui si ammette come vero tutto quello<br />

che Dio ha rivelato e la Chiesa cattolica, per i suoi organi responsabili,<br />

ci propone a credere. È solo alla fine di questa ulteriore fase<br />

che si avrà il pieno giudizio <strong>teologico</strong>, quello che, per il credente,<br />

dà, in quanto possibile, la luce definitiva intorno al valore e al<br />

<strong>senso</strong> di un elemento qualsiasi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Può darsi che questo<br />

definitivo giudizio <strong>teologico</strong> confermi semplicemente, per altra via<br />

e sotto un'altra luce, l'indagine storica e filologica. Ma non è necessario<br />

che sia così. Comunque, in specie, solo questo definitivo giudizio<br />

<strong>teologico</strong> può dare al credente l'ultima risposta fino a qual<br />

punto la fede è implicata nei singoli elementi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e che<br />

grado di adesione il fedele è tenuto a dare a questi.<br />

Quattro regole principali per arrivare al giudizio <strong>teologico</strong><br />

Questa risposta si ottiene seguendo le regole insegnate dalla<br />

metodologia teologica generale per conoscere cos'è e cosa non è<br />

di fede. Si ricordi, in specie, la dottrina che la rivelazione è contenuta<br />

nella Scrittura, è anche convogliata nella tradizione dogmatica<br />

orale apostolica ed è proposta e spiegata alla fede del credente dal<br />

magistero <strong>della</strong> Chiesa. Questo magistero, appunto perché, per volontà<br />

di Cristo — che si può conoscere e provare anche da un semplice<br />

esame storico filologico del Nuovo Testamento — è il mezzo<br />

propositivo infallibile e indispensabile <strong>della</strong> rivelazione, è anche,<br />

per il fatto stesso, il criterio prossimo supremo per mezzo del quale<br />

il credente sa quello che deve credere.<br />

Si sa pure che criterio prossimo infallibile <strong>della</strong> fede è, precisamente<br />

parlando, il magistero <strong>della</strong> Chiesa odierno e vivo, e<br />

giammai la semplice ragione individuale, né filosofica, né storica o<br />

filologica. <strong>Il</strong> magistero odierno e vivo è il supremo interprete non<br />

solo <strong>della</strong> Scrittura e <strong>della</strong> tradizione apostolica dogmatica orale,<br />

ma anche del proprio pensiero e dei propri documenti espressi<br />

anche in tempi più o meno remoti.


488 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

Noto pure che gli organi autentici del magistero infallibile <strong>della</strong><br />

Chiesa sono: i vescovi cattolici, dispersi su tutta la terra, uniti col<br />

Romano Pontefice, quando propongono con morale unanimità una<br />

cosa come di fede (magistero detto ordinario e universale <strong>della</strong><br />

Chiesa); i concili ecumenici insieme al Romano Pontefice, che almeno<br />

li approvi come tali; lo stesso Romano Pontefice quando parla<br />

ex cathedra. Anche dalla fede del popolo cristiano, unito ai suoi<br />

vescovi e al Romano Pontefice, si può conoscere cosa sia di fede<br />

per un credente, in quanto dalla fede di tale popolo cristiano si può<br />

conoscere cosa il magistero stesso propone come di fede.<br />

Si osservi anche che nella <strong>liturgia</strong>, materialmente parlando, vi<br />

sono elementi vari: testi <strong>della</strong> Scrittura; documenti emanati o approvati<br />

come di fede dai concili ecumenici, come il credo nicenocostantinopolitano;<br />

molti altri elementi di origine e natura diversa.<br />

Nella <strong>liturgia</strong> il magistero direttamente implicato è il magistero ordinario.<br />

È chiaro che questo magistero propone come di fede i passi<br />

<strong>della</strong> Scrittura e le decisioni di fede dei concili ecumenici contenute<br />

nella <strong>liturgia</strong>. Per questi documenti, certamente di fede, vi potrà<br />

essere, se mai, qualche dubbio sulla loro interpretazione precisa,<br />

ma non già che in essi, la Chiesa, anche nella <strong>liturgia</strong>, proponga qualcosa<br />

come di fede.<br />

Invece, la difficoltà di sapere se veramente il magistero, in un<br />

dato elemento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, propone qualcosa come di fede o meno,<br />

riguarda tutti gli altri elementi di natura e origine diversa. È per risolvere<br />

questa precisa difficoltà che i teologi si sforzano di proporre<br />

alcune regole metodologiche direttive. A me pare che, tutto sommato,<br />

le regole principali a questo scopo si possano ridurre a<br />

quattro.<br />

PRIMA REGOLA. / diversi elementi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> implicano quella<br />

precisa autorità dottrinale propositiva ordinaria di cui partecipano<br />

i singoli membri <strong>della</strong> gerarchia che li hanno emanati o approvati.<br />

Ricordiamoci: la <strong>liturgia</strong>, essendo per natura sua atto ufficiale<br />

<strong>della</strong> Chiesa come tale, gerarchicamente strutturata, dipende essenzialmente<br />

dalla gerarchia autentica <strong>della</strong> Chiesa. <strong>Il</strong> magistero <strong>della</strong><br />

gerarchia autentica che vi è impegnato non è quello straordinario,<br />

ma ordinario. Organi autentici del magistero ordinario sono i singoli<br />

vescovi, nella propria diocesi, e il Romano Pontefice per tutta<br />

la Chiesa. A un vescovo qualsiasi non unito col Romano Pontefice<br />

non compete nessuna autorità dottrinale nella Chiesa. Un vescovo,<br />

anche se nella sua vita abitualmente unito con il Romano Pontefice,<br />

non è infallibile, se considerato singolarmente. Ai vescovi dispersi<br />

per le loro diocesi e uniti col Papa compete autorità infallibile nel<br />

proporre una dottrina nel solo caso che, assieme al Romano Pontefice,<br />

sono tutti moralmente d'accordo nel proporre come di fede<br />

divina e cattolica una determinata dottrina spettante alla fede o<br />

ai costumi. Si ricordi che non basta un. accordo moralmente unanime<br />

qualsiasi, ma è necessario che quest'accordo moralmente unanime


LITURGIA ED ERRORI 489<br />

contenga precisamente l'intenzione di proporre come di fede divina<br />

e cattolica una dottrina spettante alla fede o ai costumi.<br />

Si sa che, anticamente, la composizione e l'ordinamento <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> spettavano ai singoli vescovi per le singoli porzioni <strong>della</strong><br />

Chiesa loro affidate. La <strong>liturgia</strong> era allora di diritto episcopale. Vuol<br />

dire che, nelle liturgie antiche, è implicata unicamente quella autorità<br />

dottrinale che compete ai singoli vescovi abitualmente in unione<br />

col Romano Pontefice e che le emanarono o le approvarono, almeno<br />

per l'uso che ne fecero. Solo in tempi relativamente recenti (secolo<br />

XVI), dopo vari tentativi, si fissò la riserva al Romano Pontefice<br />

dell'esplicita suprema approvazione dei testi e riti liturgici in tutta<br />

la Chiesa cattolica. Da quel momento, la <strong>liturgia</strong> nella Chiesa cattolica<br />

è anche di diritto pontifìcio e l'autorità dottrinale ordinaria (non<br />

necessariamente ex cathedra) del Romano Pontefice vi è più direttamente<br />

impegnata. Ciò vale anche delle liturgie non romane oggi<br />

usate nella Chiesa cattolica.<br />

Le osservazioni precedenti permettono di stabilire alcune norme<br />

di non piccola importanza quando si tratta di determinare quello<br />

che nelle liturgie storiche o attuali è proposto, e deve essere creduto,<br />

come di fede divina e cattolica.<br />

Prima conseguenza: nessuna vera difficoltà se, in qualche <strong>liturgia</strong><br />

particolare antica, per un certo tempo, si fossero infiltrate delle<br />

formule o delle dottrine non corrette o addirittura degli errori.<br />

I singoli vescovi non sono infallibili. Così si risolve il caso, per<br />

esempio, <strong>della</strong> messa « per alleviare le pene dell'inferno » in alcuni<br />

messali antichi.<br />

Seconda conseguenza: se vi sono elementi comuni, o moralmente<br />

comuni, a tutte le liturgie, almeno per un certo periodo di<br />

tempo, specialmente se ciò si verifica sin dall'antichità, e se consta<br />

che, in esse, questi elementi sono proposti come di fede, questo<br />

semplice fatto dimostrerebbe già per sé solo, che la cosa è realmente<br />

di fede. Peraltro, sarà difficilissimo 12 provare dalla <strong>liturgia</strong> soltanto che<br />

la cosa sia stata veramente proposta come di fede e ciò con morale<br />

unanimità. In moltissimi casi si potrà, invece, dimostrarlo facilmente<br />

ricorrendo ad altre prove extraliturgiche, e senza dimenticare l'evoluzione<br />

dei dogmi nei singoli periodi. Così, per esempio : la liceità<br />

del culto dei santi, delle reliquie, delle immagini, l'utilità dell'invocazione<br />

dei santi, il battesimo dei bambini per la remissione dei peccati,<br />

l'utilità <strong>della</strong> preghiera per i morti e dell'offerta del sacrificio<br />

per loro e tante altre cose simili.<br />

Terza conseguenza: dal momento dell'approvazione esplicita<br />

data dal Romano Pontefice, anche per esercizio di magistero ordinario,<br />

alle liturgie usate oggi nella Chiesa cattolica, si possono praticamente<br />

considerare queste liturgie come immuni da errori contro<br />

la fede e i costumi.<br />

12 Vedi sotto: quarta regola.


490 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

SECONDA REGOLA. Quello che, nella <strong>liturgia</strong>, il magistero propone<br />

all'adesione dei fedeli e i fedeli accettano, è proposto con grado di<br />

autorità dogmatica molto vario, a seconda dei casi, e i fedeli, nello<br />

stesso modo, purché bene edotti dell'intenzione del magistero,<br />

vi danno un'adesione di grado e qualità diversissimi.<br />

È questa semplicemente una regola di metodologia teologica<br />

generale: non tutto quello che il magistero propone è da esso proposto<br />

con lo stesso grado e la stessa forza autoritativa, con l'intenzione<br />

d'impegnare allo stesso modo la sua responsabilità o autorità<br />

dottrinale e la fede dei credenti.<br />

Alcune cose sono da esso proposte a credersi di fede divina<br />

e cattolica sotto pena di naufragio nella stessa fede; in esse il magistero<br />

impegna tutta la sua autorità infallibile. Altre, invece, lo<br />

sono con un grado autoritativo inferiore. Questo, a sua volta, può<br />

variare dal grado che i teologi chiamano prossimo alla fede, senza<br />

essere strettamente di fede, fino all'opinione semplicemente ammessa<br />

come tale, o alla semplice ipotesi, più o meno generalmente<br />

ammessa, che il magistero non intende per il momento contraddire,<br />

ma intorno alla quale non intende prendere nessuna responsabilità.<br />

Tra questi due estremi vi può essere un numero indefinibile di<br />

gradi e di sfumature.<br />

Nello stesso modo, i fedeli non devono dare a tutto quello<br />

che è proposto dal magistero Io stesso grado e la stessa natura<br />

di adesione. La regola generale è semplicemente che il fedele dia<br />

ad ogni singola proposizione del magistero quel grado e quella<br />

natura di adesione che il magistero richiede da lui, né più né meno.<br />

Quello che dal magistero è proposto come di fede divina e cattolica<br />

sotto pena di naufragio nella fede stessa, deve essere creduto<br />

dal fedele con fede divina e cattolica e con adesione somma come<br />

richiede l'autorità di Dio rivelante che è il motivo formale <strong>della</strong><br />

fede divina. A tutto il resto si deve aderire con adesione di natura<br />

e di grado inferiore a seconda <strong>della</strong> natura e del grado <strong>della</strong> proposizione<br />

del magistero.<br />

Questa regola generale vale anche per quella proposizione<br />

di dottrina del magistero che avviene, a suo modo, nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Nei diversi elementi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> questi gradi di proposizione<br />

sono diversissimi. Tanto più diversi e difficili a distinguere in<br />

quanto nella <strong>liturgia</strong>, come è stato spiegato, lo scopo didattico<br />

è solo indiretto e l'espressione didattica, esplicita e precisa, assai<br />

rara.<br />

Prendiamo l'esempio delle feste liturgiche. Molte feste propongono<br />

un certo fatto storico, che, in qualche modo, è l'oggetto<br />

<strong>della</strong> festa. Ma il grado autoritativo, con cui il magistero propone<br />

questo fatto e i fedeli lo accettano come vero, varia moltissimo.<br />

<strong>Il</strong> fatto <strong>della</strong> risurrezione di Nostro Signore, che entra nell'oggetto<br />

<strong>della</strong> festa di Pasqua, è proposto come di fede divina e cattolica.<br />

Così anche, oggi, dopo la definizione dell'assunzione, il fatto<br />

dell'assunzione al cielo <strong>della</strong> Madonna nella festa omonima. Ma,


EVOLUZIONE E LITURGIA 491<br />

prima <strong>della</strong> definizione, questo fatto non era proposto come di<br />

fede divina e cattolica, bensì se mai, come immensamente probabile,<br />

prossimo alla fede. In tempi più antichi, lo stesso fatto era<br />

proposto dalla <strong>liturgia</strong> come pia opinione.<br />

<strong>Il</strong> fatto <strong>della</strong> presentazione <strong>della</strong> Madonna al tempio, che è<br />

in qualche modo l'oggetto <strong>della</strong> festa del 21 novembre, è, invece,<br />

presentato dal magistero solo come una pia leggenda; anche se<br />

nella stessa festa vi sono concetti che sono proposti certamente<br />

con un grado maggiore di autorità, come l'idea che la Madonna,<br />

sin dalla sua infanzia, fu consacrata in modo specialissimo a Dio.<br />

Anche il fatto <strong>della</strong> traslazione <strong>della</strong> santa casa di Loreto, che è<br />

in qualche modo implicato nella festa omonima, è presentato dal<br />

magistero solo come una pia leggenda. I fatti delle feste che hanno<br />

per oggetto supposte apparizioni, miracoli non narrati nella Scrittura,<br />

rivelazioni private e cose simili, sono proposti dalla Chiesa<br />

unicamente come fatti ai quali si può lecitamente e piamente credere.<br />

Così l'apparizione <strong>della</strong> Madonna a Lourdes e le stimmate<br />

di S. Francesco.<br />

Nello stesso modo, nelle feste che hanno per oggetto un'idea,<br />

una dottrina, quest'idea e questa dottrina vengono proposte dal magistero,<br />

secondo i casi, con grado diversissimo di autorità. Così,<br />

per esempio, Cristo Re include un'idea di fede, mentre la Mediazione<br />

<strong>della</strong> Madonna per tutte le grazie è, per ora, solo un'opinione<br />

teologica.<br />

TERZA REGOLA. L'evoluzione dei dogmi, delle dottrine e delle<br />

opinioni, come è ammessa dalla fede cattolica ed è provata anche<br />

dalla semplice storia, si riflette anche nella <strong>liturgia</strong>.<br />

La fede cattolica, pur rigettando il concetto trasformistico modernista<br />

dell'evoluzione dei dogmi, ammette anch'essa una loro<br />

evoluzione nel <strong>senso</strong> di una sempre maggiore esplicitazione <strong>della</strong><br />

stessa sostanziale verità, a seconda dei tempi e delle circostanze.<br />

Con maggiore ragione si ammette una vera evoluzione nelle<br />

semplici dottrine e nelle semplici opinioni. Così, un punto, che<br />

ad un certo momento <strong>della</strong> storia poteva far figura di semplice<br />

opinione più o meno fondata e diffusa, con lo svolgersi e l'approfondirsi<br />

del pensiero <strong>teologico</strong>, può diventare dottrina più o meno<br />

comune e anche, a un certo momento, essere proposto dagli organi<br />

competenti del magistero infallibile come dogma di fede divina<br />

e cattolica. Un'opinione più o meno diffusa a un certo momento,<br />

con l'approfondirsi <strong>della</strong> dottrina, può invece apparire meno fondata<br />

o anche addirittura erronea ed essere abbandonata.<br />

Che tutto questo possa riflettersi nella <strong>liturgia</strong> in genere, o<br />

in una singola <strong>liturgia</strong>, è ovvio, e non presenta speciali difficoltà.<br />

La <strong>liturgia</strong> può riflettere, più o meno abbondantemente, le opinioni<br />

teologiche di un'epoca, e la loro evoluzione. Così la festa dell'Immacolata<br />

Concezione nel sec. XII e XIII non rifletteva più che<br />

un'opinione teologica e c'era tra i teologi notevole divergenza


492 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

circa l'oggetto di questa festa. Ma la stessa festa al principio del<br />

secolo XIX, nella proposizione del magistero e nell'adesione dei<br />

fedeli, rifletteva un tutt'altro stato <strong>della</strong> dottrina; e oggi ne riflette<br />

uno diverso ancora. Oggi la festa di Maria mediatrice di tutte<br />

le grazie, concessa a parecchie diocesi, esprime ancora solo un'opinione<br />

teologica; ma non vuol dire affatto che si rimarrà sempre<br />

a questa fase.<br />

Si capisce pure che, con il progresso dell'evoluzione, si facciano<br />

nella <strong>liturgia</strong> dei cambiamenti che interessano la dottrina.<br />

Così, nei libri liturgici, cominciando dal sec. XII, sparì a poco a poco<br />

la rubrica che supponeva che il vino nel calice potesse consacrarsi<br />

per il semplice contatto con l'ostia già consacrata 13 . Recentemente,<br />

dalla Costituzione Apostolica Sacramentum ordinis sono state modificate<br />

le rubriche intorno alla materia e alla forma del sacramento<br />

dell'ordine, in seguito alle decisioni di Pio XII 14 . Nella<br />

nuova messa dell'Assunzione non si fa più menzione <strong>della</strong> morte<br />

corporale <strong>della</strong> Madonna perché l'opinione che la Madonna<br />

non sia affatto morta comincia a farsi strada. <strong>Il</strong> nuovo comune<br />

dei sommi pontefici riflette lo sviluppo attuale <strong>della</strong> dottrina<br />

teologica intorno al Romano Pontefice e la prassi attuale dell'esercizio<br />

di fatto <strong>della</strong> sua autorità. Le grandi lotte dogmatiche<br />

dei secoli IV-VIII: liti trinitarie, liti cristologiche, lite mariana,<br />

liti intorno alla grazia, lite intorno alle immagini, hanno lasciato<br />

notevoli tracce nelle liturgie ".<br />

La stessa evoluzione può far sì che vengano ad essere interpretate<br />

in modo diverso formule e riti antichi, che, al principio,<br />

non avevano precisamente questo <strong>senso</strong> per coloro che le composero<br />

o le adoperarono. Così, forse, il testo dell'offertorio nelle<br />

messe romane dei defunti; l'epiclesi nelle liturgie orientali; l'oggetto<br />

<strong>della</strong> festa <strong>della</strong> Concezione <strong>della</strong> Madonna; l'oggetto <strong>della</strong> festa<br />

dell'Assunzione.<br />

È opportuna un'osservazione a questo proposito. Supponiamo<br />

che il testo, ancora in uso nella <strong>liturgia</strong> romana, nell'offertorio<br />

delle messe per i defunti, per il suo primitivo compositore, implicasse<br />

realmente l'opinione <strong>della</strong> retribuzione differita e non immediata<br />

alle anime dei defunti. Comunque, è certo che tale testo ha<br />

potuto sussistere nella <strong>liturgia</strong> romana fino ad oggi solo perché<br />

la Chiesa lo ha interpretato in modo tale che, recitandolo, non intende<br />

affatto negare la dottrina <strong>della</strong> retribuzione immediata. Ed<br />

è anche in questo <strong>senso</strong> che oggi deve essere inteso, perché è in<br />

questo <strong>senso</strong> che il magistero oggi lo propone. Di qui si può vedere<br />

quanto sia insufficiente, in alcuni casi, per stabilire il <strong>senso</strong> che<br />

ha un certo elemento nella <strong>liturgia</strong>, ricorrere alla sola filologia<br />

13 Vedi M. ANDRIEU, Immixtio et consecratio, Paris 1924. La scomparsa definitiva<br />

degli ultimi vestigi di quest'opinione avvenne, nei libri liturgici, nel s. XVI.<br />

" AAS 40 (1948) 5-7.<br />

15 Vedi anche le variazioni nei formulari delle messe del S. Cuore: A. Bu-<br />

GNINI, Le messe del SS. Cuore di Gesù, in: Cor Jesu, voi. I, Roma 1959 pp. 59-94.


STUDIO TEOLOGICO COMPLESSIVO 493<br />

o al solò <strong>senso</strong> che ebbe forse quando fu composto o inserito nella<br />

<strong>liturgia</strong>.<br />

Parimenti si deve dire che oggi ogni cattolico deve interpretare<br />

l'epiclesi, in uso nelle liturgie orientali <strong>della</strong> Chiesa cattolica,<br />

in modo tale che sia comunque salvaguardata la dottrina che la<br />

forma dell'eucaristia è costituita dalle sole parole dell'istituzione,<br />

a parte la questione dell'eventuale opinione dei primitivi compositori<br />

di queste epiclesi.<br />

QUARTA REGOLA. Praticamente, solo mediante lo studio <strong>teologico</strong><br />

complessivo delle singole questioni si può determinare il grado<br />

autoritatìvo dì un punto qualsiasi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sia storica che attuale.<br />

Questa quarta regola è di molto la più importante. Infatti, ammesse<br />

le osservazioni precedenti, il punto cruciale per il teologo<br />

o il fedele che si preoccupa di sapere quale valore dottrinale abbia<br />

tale o tal altro elemento che si trova nelle liturgie storiche o<br />

attuali, è di sapere come determinare, nei singoli casi, il grado<br />

d'autorità che il magistero dava in una data epoca, o dà oggi a<br />

questo elemento.<br />

Lo studio <strong>della</strong> sola <strong>liturgia</strong> ci potrà condurre a questo risultato?<br />

Anche dalla sola <strong>liturgia</strong> si potranno avere talvolta degli<br />

indizi. L'importanza data a un elemento in una o in parecchie<br />

liturgie, o addirittura in tutte, potrà suggerire che in esso il magistero<br />

si è impegnato più o meno notevolmente. L'universalità <strong>della</strong><br />

festa dell'Assunzione e il grado notevole di solennità, potranno<br />

suggerire un impegno notevole del magistero ordinario e universale<br />

nella proposizione di questo punto dì dottrina.<br />

Ma, per lo più, dalla sola <strong>liturgia</strong> sarà oltremodo difficile, se<br />

non addirittura impossibile, determinare con sufficiente precisione<br />

il grado d'autorità che il magistero impegna nella proposizione di<br />

un elemento, anche supponendo, ciò che non è proprio sempre<br />

il caso, che, dalla sola <strong>liturgia</strong>, si possa determinare sufficientemente<br />

il <strong>senso</strong> stesso dell'elemento in questione. La stessa antichità e<br />

universalità di un elemento non è una prova assolutamente apodittica<br />

che esso, nella <strong>liturgia</strong>, sia proposto dal magistero come<br />

di fede divina e cattolica. Non si dimentichi che per potere, dal<br />

solo magistero ordinario e universale, arguire apoditticamente che<br />

una dottrina è proposta dalla Chiesa come di fede divina e cattolica,<br />

non basta mostrare che, nel proporre questa dottrina, vi<br />

è unanimità morale tra i vescovi uniti con il Romano Pontefice,<br />

ma bisogna anche provare che essi, con morale unanimità, propongono<br />

tale dottrina precisamente come di fede.<br />

Una riprova <strong>della</strong> difficoltà che incontra chi vuole ricavare<br />

dalla sola <strong>liturgia</strong> il grado preciso di autorità con cui ivi il magistero<br />

propone una dottrina, si ebbe nelle sfortunatamente brevi<br />

discussioni che precedettero la definizione dell'Assunzione. Molti<br />

si chiedevano per qual motivo si volesse fare quella definizione<br />

mentre, così credevano, il magistero proponeva già da lungo tempo


494 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

quella dottrina alla fede dei fedeli nella stessa festa dell'Assunzione.<br />

Infatti, a considerare il solo lato liturgico <strong>della</strong> questione, e astraendo<br />

dalla bolla dogmatica di Pio IX la cui lettura — contrariamente<br />

agli usi liturgici antecedenti — era stata introdotta nel breviario<br />

<strong>della</strong> festa dell'Immacolata, che differenza era mai possibile stabilire<br />

tra il modo in cui la Chiesa proponeva ai fedeli l'Immacolata<br />

Concezione e il modo in cui proponeva l'Assunzione? Eppure questa<br />

differenza, dal punto di vista dogmatico, era grandissima.<br />

Talvolta, è vero, seguendo attentamente lo sviluppo storico<br />

dei diversi elementi liturgici, per esempio di una festa, come quella<br />

dell'Immacolata in occidente ie , vi si può scorgere un aumento<br />

progressivo d'impegno e d'autorità da parte del magistero. Ma,<br />

anzitutto, questo non è sempre il caso; e poi si tratta sempre di<br />

una costatazione di aumento d'impegno generico senza che, considerando<br />

i soli elementi liturgici, si possa precisarne la natura e<br />

il grado. I successivi mutamenti liturgici apportati alla <strong>liturgia</strong><br />

<strong>della</strong> festa dell'Immacolata Concezione cominciando specialmente dal<br />

secolo XV, non prendono un significato alquanto preciso riguardo<br />

al grado d'impegno che il magistero vi metteva, che se considerati<br />

alla luce dello sviluppo contemporaneo <strong>della</strong> controversia teologica<br />

intorno alla stessa materia e di altre manifestazioni non ambigue<br />

del sentimento di quei romani Pontefici in proposito; ossia<br />

alla luce delle manifestazioni extraliturgiche del magistero ordinario<br />

contemporaneo.<br />

Perché questo stato di cose? La ragione essenziale va ricercata<br />

nella natura stessa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. La quale, come si è detto, in<br />

quanto contiene un'azione <strong>della</strong> Chiesa, è direttamente ed essenzialmente<br />

un culto, una preghiera, e non implica un'attività d'insegnamento<br />

che in modo assai indiretto, per quel tanto che la<br />

Chiesa stima utile ed opportuno per indurre in questo stesso momento<br />

i fedeli alla risposta di culto e di preghiera di tutto il loro<br />

animo a Dio. E ciò spiega, come si è osservato, perché la <strong>liturgia</strong><br />

non è né un catechismo né un manuale di dogmatica. La Chiesa,<br />

nella <strong>liturgia</strong>, suppone che il popolo fedele che vi prende parte già<br />

conosca il catechismo e il clero il suo manuale di dogmatica. Supponendo<br />

tale conoscenza — e magari, all'occasione, richiamandone<br />

qualche spunto alla memoria — essa, nella <strong>liturgia</strong>, è tutta protesa a<br />

fare pregare al momento stesso i suoi figli. Perciò il fatto osservabile<br />

che la Chiesa nella <strong>liturgia</strong>, tira profitto, senza mancare alla<br />

verità, di tutto quello che stima utile per indurre i fedeli allo<br />

stato d'animo cultuale e di preghiera, e non si preoccupa quasi<br />

affatto di avvertirli, ad ogni elemento messo in opera, con quale<br />

grado preciso d'autorità essa intenda impegnare o non impegnare<br />

la loro fede in ciascuno dei casi considerati. Tale preoccupazione<br />

sarebbe assai lontana dalla natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Ne segue che a colui il quale, invece, è proprio preoccupato<br />

>6 Vedi, per esempio, G. LOEW, in: Enciclopedia cattolica VI (1951) 1659-62.


GRADO AUTORITARIO DELLA LITURGIA 495<br />

di questo aspetto delle cose, al teologo, non rimane, per soddisfare<br />

la sua legittima preoccupazione, che ricorrere allo studio <strong>teologico</strong><br />

complessivo <strong>della</strong> questione di cui s'interessa. Solo questo studio<br />

<strong>teologico</strong> generale <strong>della</strong> questione, fatto secondo i consueti criteri<br />

generali <strong>della</strong> teologia, potrà dargli, in quanto è possibile, una<br />

risposta sicura con che grado autoritativo e in che <strong>senso</strong>, nella<br />

<strong>liturgia</strong>, il magistero ordinario imponga un determinato elemento<br />

all'adesione dei fedeli e, quindi, a qual grado e specie di adesione<br />

i fedeli siano alla loro volta tenuti.<br />

Così, con che grado autoritativo il magistero, immediatamente<br />

prima <strong>della</strong> definizione dell'assunzione, imponesse nella <strong>liturgia</strong><br />

questa dottrina, non era possibile determinarlo con sufficiente chiarezza<br />

che dallo studio complessivo <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> stessa. Solo così<br />

si poteva vedere che, fino a quel momento, nella stessa <strong>liturgia</strong>,<br />

la Chiesa non imponeva l'assunzione come cosa di fede divina e<br />

cattolica, sotto pena di naufragio nella fede, ma con un grado<br />

inferiore di autenticità e d'autorità, sebbene allora già grandissimo;<br />

diciamo, con i teologi, come prossimo alla fede, come talmente<br />

probabile che colui, il quale per caso avesse voluto negarla, si trovava<br />

certamente in grave e prossimo pericolo di errare, ma non per<br />

questo poteva essere detto eretico.<br />

In che <strong>senso</strong> e con che grado d'autorità, nella <strong>liturgia</strong> si propongono<br />

rivelazioni private — come quelle, per esempio, a Santa<br />

Margherita Maria Alacoque, di cui si faceva menzione nelle lezioni<br />

del breviario nell'ottava <strong>della</strong> festa del S. Cuore — è possibile<br />

determinarlo solo dallo studio complessivo <strong>teologico</strong> sul pensiero<br />

<strong>della</strong> Chiesa intorno alle rivelazioni private. Che <strong>senso</strong> abbiano<br />

gli esorcismi nella <strong>liturgia</strong> e con che grado d'autorità essa imponga<br />

quello che vi si dice o vi è implicato possiamo saperlo soltanto dalla<br />

dottrina teologica generale intorno agli esorcismi.<br />

Intorno ai molti fatti di storia ecclesiastica o profana che la<br />

<strong>liturgia</strong> suppone storicamente veri, per esempio, nelle vite dei<br />

santi delle lezioni del secondo notturno del breviario, la Chiesa<br />

non esige altra fede fuori di quella solo umana, che essi meritano<br />

secondo lo stato attuale <strong>della</strong> scienza storica. E questo si può<br />

sicuramente ricavare dallo studio generale <strong>teologico</strong> intorno ai<br />

fatti di questo genere e alla garanzia che la Chiesa può e intende<br />

loro dare. Da questo studio si vede che, quando la Chiesa fa menzione<br />

di simili fatti nella <strong>liturgia</strong> non fa altro che accettare ipoteticamente<br />

la loro verità, secondo l'opinione, talvolta anche semplicemente<br />

volgare, del tempo in cui furono ammessi nei testi, e, supposta<br />

ipoteticamente questa verità, ma senza imporla, si preoccupa<br />

solo di disporre i fedeli all'atto cultuale e di preghiera, che è<br />

lo scopo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Da questo si conclude, per esempio, che il fatto <strong>della</strong> presentazione<br />

<strong>della</strong> Madonna al tempio e <strong>della</strong> traslazione <strong>della</strong> santa<br />

casa di Loreto, se sono in qualche modo implicati nella <strong>liturgia</strong>,<br />

lo sono solo come pie leggende, né la Chiesa intende in alcun


496 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

modo per questo suffragare con la sua autorità la veracità storica<br />

di questi fatti.<br />

Se tenessero presenti queste osservazioni e se si ricordassero<br />

che lo scopo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è di far pregare, molti che, in seguito<br />

alla formazione moderna, hanno un <strong>senso</strong> storico e critico assai<br />

sviluppato, ma non necessariamente un <strong>senso</strong> <strong>della</strong> preghiera ugualmente<br />

vigoroso, si scandalizzerebbero forse meno nel costatare<br />

che la Chiesa non procede con eccessiva fretta a purificare la <strong>liturgia</strong><br />

da inesattezze ed errori storici o anche da leggende. Ricordandosi,<br />

inoltre, che il culto dato ai santi, in definitiva, va anzitutto a<br />

Dio, uno non dovrebbe commuoversi eccessivamente nemmeno per il<br />

fatto di trovare nella <strong>liturgia</strong>, se veramente si dà il caso, feste di<br />

santi che non sono mai esistiti, o la venerazione di reliquie non<br />

autentiche.<br />

3. LEX ORANDI LEX CREDENDI, RECIPROCO INFLUSSO<br />

DELLA FEDE E DELLA LITURGIA<br />

La frase dell'« Indiculus » e il suo <strong>senso</strong> generale<br />

Qual è, dunque, tutto sommato, il reciproco influsso tra fede<br />

e <strong>liturgia</strong>? La formula « lex orandi, lex credendi » è un'espressione<br />

abbreviata di un passo deìl'Indiculus de grafia Dei ". E questo<br />

un documento del secolo quinto contro i pelagiani e semipelagiani,<br />

ove si raccolgono, intorno alle questioni <strong>della</strong> grazia, una serie<br />

di testimonianze dei pontefici romani anteriori, chiudendo il tutto<br />

(capitolo 11 e 12) con un argomento dedotto dalla <strong>liturgia</strong>. <strong>Il</strong> documento<br />

fu compilato probabilmente da S. Prospero di Aquitania 18 ,<br />

ma rispecchia certamente il pensiero <strong>della</strong> curia romana dell'epoca,<br />

ed ha notevole autorità teologica perché la Sede romana l'ha poi<br />

sempre considerato come l'espressione esatta del suo punto di vista<br />

nella materia discussa e, in seguito, si è spesso appellata allo stesso.<br />

Dal punto di vista che ci interessa, il passo essenziale è il seguente<br />

: « ...Consideriamo anche i sacramenti delle preghiere che<br />

fanno i vescovi (obsecrationum quoque sacerdotaliutn sacramenta<br />

respiciamus), le quali, tramandate dagli Apostoli, in tutto il mondo<br />

e in ogni chiesa cattolica si recitano in pari modo (uniformiter celebrante),<br />

affinché il modo obbligatorio di pregare determini il modo<br />

obbligatorio di credere (ut tegem credendi lex statuat supplicandi).<br />

17 Vedi Dz. n. 238-49 (129-42). Per lo studio del contesto prossimo e remoto<br />

vedi K. FEDERER, /. e. sopra alla nota 4.<br />

18 Tesi di D. M. CAPPUYNS, articoli in: Revue Bénédictine 39 (1927) 198-226 e<br />

41 (1929) 156-70, riavvalorata dallo studio di FEDERER, citato sopra alla nota 4.


LEX ORANDI LEX CREDENDI 497<br />

Infatti, quando i presuli del popolo santo adempiono il mandato<br />

loro affidato, sostengono la causa di tutto il genere umano presso<br />

la divina clemenza, e, tutta l'assemblea (ecclesia) gemendo assieme<br />

ad essi, domandano e pregano che agli infedeli sia data la fede,<br />

che gli idolatri siano liberati dagli errori <strong>della</strong> loro falsa religione,<br />

che ai giudei sia tolto il velo dal cuore e splenda la luce, che gli<br />

eretici vengano a resipiscenza e tornino alla fede cattolica, che<br />

gli scismatici ricevano lo spirito che riavvivi la loro carità, che<br />

ai lapsi siano accordati i rimedi <strong>della</strong> penitenza, finalmente, che<br />

i catecumeni siano condotti ai sacramenti <strong>della</strong> rigenerazione e<br />

siano accolti nel seno <strong>della</strong> misericordia di Dio » 19 .<br />

<strong>Il</strong> significato preciso <strong>della</strong> frase ...ut legeni credendi lex statuat<br />

supplicandi, nel contesto immediato, è stato sufficientemente chiarito<br />

dal Federer 2 ° in relazione al testo di S. Paolo 1 Tm 2,1-4 e<br />

al pensiero di S. Agostino da cui l'autore del documento certamente<br />

dipende molto da vicino. Nel <strong>senso</strong> immediato dell'autore<br />

la formula significa semplicemente : ... affinché dall'obbligo che ci<br />

fa l'Apostolo (ITm 2,1-4) e a cui soddisfano i vescovi nella <strong>liturgia</strong>,<br />

di pregare per tutti affinché a tutti sia data la grazia (lex orandi),<br />

appaia chiaro anche l'obbligo di credere, contro i pelagiani e i semipelagiani,<br />

che la grazia è necessaria per tutti (lex credendi).<br />

Quando si riduce la formula dell'Indiculus a quella più concisa:<br />

lex orandi, lex credendi, e s'intende questa dei rapporti generali che<br />

intercorrono tra <strong>liturgia</strong>.e fede, non si fa altro che allargare alla<br />

<strong>liturgia</strong> in genere, intesa come legge e norma <strong>della</strong> preghiera ufficiale<br />

<strong>della</strong> Chiesa, e alla fede in genere nei suoi rapporti con la <strong>liturgia</strong>,<br />

il ragionamento alquanto più ristretto dell'autore dell'Indiculus.<br />

Si sa che i modernisti zl nella formula : lex orandi, lex credendi,<br />

credettero ritrovare le loro teorie sul concetto <strong>della</strong> fede come<br />

cieco sentimento completamente estraneo alla ragione discorsiva,<br />

che si genera nella subcoscienza e si esprime in qualche modo<br />

nella vita pratica e religiosa, in specie nella <strong>liturgia</strong>. La <strong>liturgia</strong>,<br />

a sua volta, sarebbe la massima generatrice delle formule dogmatiche<br />

e queste non sarebbero altro che un tentativo di esprimere<br />

intellettualmente lo stato raggiunto a un certo momento dello<br />

sviluppo da quello stesso cieco sentimento religioso. Così, il cieco<br />

sentimento religioso, estraneo alla ragione e continuamente mutevole,<br />

che estrinseca in qualche modo i suoi stati nella <strong>liturgia</strong>,<br />

comanderebbe pure la formulazione e il <strong>senso</strong> dei dogmi, nonché<br />

la necessità del loro continuo adattamento anche sostanziale al<br />

suo variare. Non occorre attardarsi in simile interpretazione <strong>della</strong><br />

formula: lex orandi, lex credendi. Essa è completamente estranea<br />

" Dz. n. 246 (139).<br />

20 Vedi, per esempio, la conclusione, p. 123.<br />

21 Specialmente G. TYKELL, Lex orandi or prayer and creed, London 1903;<br />

Throught Scylla and Carybdis or the old theology and the new, London 1907.


498 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

al <strong>senso</strong> cattolico e cade con il concetto di fede e di dogma che<br />

suppone.<br />

Dal punto di vista cattolico, invece, bisogna dire che il <strong>senso</strong><br />

del principio: lex orandi, lex credendi, è il seguente: la <strong>liturgia</strong><br />

presuppone sempre ed esprime un certo insegnamento e una certa<br />

credenza in <strong>senso</strong> larghissimo; ma, in molti casi, essa, inoltre,<br />

presuppone e segue logicamente, la fede divina e cattolica, in<br />

<strong>senso</strong> stretto, già esplicitata; ossia suppone e segue la proposizione<br />

e l'accettazione dei dogmi; in questi casi la <strong>liturgia</strong> esprime la fede<br />

divina e cattolica, già esplicitata, la fa vivere e la fortifica nei credenti.<br />

In altri casi ancora la <strong>liturgia</strong> precede l'esplicitazione <strong>della</strong><br />

fede divina e cattolica, ossia la proposizione ed accettazione dei<br />

dogmi, ed è un potente fattore occasionale di questa esplicitazione.<br />

La <strong>liturgia</strong> come espressione e mezzo corroborativo<br />

nei fedeli dei dogmi già esplicitati<br />

Non occorre insistere sull'affermazione che la <strong>liturgia</strong>, sempre<br />

e in ogni caso, presuppone e segue logicamente un certo insegnamento<br />

<strong>della</strong> Chiesa e una certa credenza in <strong>senso</strong> generalissimo.<br />

Si potrebbe dire, in questo <strong>senso</strong>, che la <strong>liturgia</strong>, sempre e in ogni<br />

caso, presuppone e segue logicamente « la fede », se per « fede »<br />

s'intende non già specificamente la fede divina e cattolica, che<br />

è propria dei dogmi, ma, in <strong>senso</strong> latissimo, la credenza in genere:<br />

anche quella che si riferisce alla semplice dottrina teologica più<br />

o meno diffusa e comune, all'opinione teologica, storica o altra,<br />

sia pur singolare e solo ipoteticamente accettata. Ma si avverte<br />

-subito che, in questo caso, è molto ambiguo parlare di « fede ».<br />

Sarebbe meglio dire semplicemente che la <strong>liturgia</strong> suppone sempre<br />

ed esprime almeno un'opinione e forse anche una dottrina teologica<br />

più o meno diffusa.<br />

Quello che interessa è di determinare i rapporti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

con la fede divina, anzi divina e cattolica. Per questo bisogna ricordarsi<br />

anzitutto che, nella <strong>liturgia</strong>, alcune cose sono proposte ed<br />

accettate come di fede divina e cattolica, come dogmi, altre, invece,<br />

sono proposte ed accettate con un grado autoritativo inferiore. Bisogna<br />

ricordarsi anche del fatto dell'evoluzione dei dogmi ammesso<br />

dalla dottrina cattolica.<br />

Nei casi, dunque, che la dottrina, implicata nella <strong>liturgia</strong>, è<br />

una dottrina che il magistero propone come di fede divina e cattolica,<br />

vale in <strong>senso</strong> rigoroso il principio che la <strong>liturgia</strong> suppone ed esprime<br />

la fede, cioè, presuppone ed esprime la fede divina e cattolica già<br />

proposta dal magistero per altre vie, la fa vivere e la corrobora<br />

nei fedeli. Perché questo?<br />

Ogni dogma di fede divina e cattolica implica da parte del<br />

magistero la determinazione di una dottrina come rivelata e l'imposizione<br />

a tutti i fedeli del gravissimo obbligo morale di adesione


MAGISTERO ORDINARIO 499<br />

totale e di somma fermezza sotto pena di naufragio nella fede stessa.<br />

È necessario perciò che ogni dogma formale, ossia ogni dottrina<br />

proposta o definita come di fede divina e cattolica, lo sia in modo<br />

tale che il punto preciso, di cui si tratta, appaia sufficientemente<br />

determinato, e che l'intenzione del magistero di proporre o definire<br />

tale punto come di fede divina e cattolica e di legare la fede dei<br />

credenti con un obbligo corrispondente, sia sufficientemente manifesta.<br />

<strong>Il</strong> diritto canonico attuale non fa che chiarire e proporre<br />

esplicitamente una dottrina che è richiesta dalla natura stessa delle<br />

cose quando dice : « Nessuna cosa dev'essere ritenuta, dichiarata o<br />

definitiva come dogma, se ciò non appare manifestamente » 22 .<br />

Ma il magistero implicato nella <strong>liturgia</strong> è il magistero ordinario.<br />

Non vorrei affatto dire, come taluni teologi sembrano affermare,<br />

che la definizione di una dottrina come dogma di fede divina e cattolica,<br />

non può farsi, almeno oggi, che attraverso il magistero straordinario<br />

di un concilio ecumenico o del Romano Pontefice parlante<br />

ex cathedra.<br />

Pur tuttavia, è innegabile che, per conoscere, per la sola via<br />

del magistero ordinario, anche parlante fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> con<br />

i mezzi d'insegnamento diretti di cui usa servirsi, se una dottrina<br />

è proposta dalla Chiesa come di fede divina e cattolica, vi sono<br />

sempre speciali difficoltà. Conoscere il pensiero moralmente unanime<br />

di tutti i vescovi sparsi per il mondo e sapere se propone un determinato<br />

punto come di fede divina e cattolica, non è affatto semplice,<br />

astraendo dal magistero straordinario.. È per questo che,<br />

in determinate occasioni, un'altra forma di magistero, quella solenne<br />

e straordinaria del concilio ecumenico o del Romano Pontefice<br />

parlante ex cathedra, può essere, per via di fatto, necessaria.<br />

Comunque, si deve dire francamente che quando la questione se il<br />

magistero propone un determinato punto come di fede divina e<br />

cattolica, verte sopra una dottrina di cui vi è attualmente discussione<br />

tra gli stessi cattolici, non vi è possibilità, almeno pratica, di dirimere<br />

la discussione per la sola via del magistero ordinario anche<br />

considerando le sue manifestazioni d'insegnamento diretto fuori<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Se tale possibilità esistesse non vi sarebbe discussione<br />

su questo punto tra gli stessi cattolici.<br />

Questa difficoltà, inerente alla stessa natura del magistero ordinario<br />

in genere, si aggrava notevolmente, quando si volesse dirimere<br />

una simile questione ricorrendo allo stesso magistero ordinario<br />

come si esprime nella sola <strong>liturgia</strong>. <strong>Il</strong> modo stesso in cui, nella <strong>liturgia</strong>,<br />

è implicato l'insegnamento del magistero ordinario, che è, nel<br />

suo complesso, solo indiretto e assai implicito, ha per conseguenza<br />

22 Codex Juris canonici, can. 1323 § 3. Si noti che l'espressione « definizione<br />

implicita », che talvolta s'incontra negli autori, è contraddittoria. Una definizione<br />

del magistero è sempre esplicita poiché dice, per sua stessa natura, una determinazione<br />

di dottrina. Vi sono dottrine implicite in altre già definite; ma, finché<br />

sono solo implicite, esse devono ancora essere dedotte dalle prime e tale deduzione,<br />

se non è autenticata dal magistero e dunque esplicitata, non può mai essere<br />

un dogma di fede divina e cattolica.


500 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

che, dalla sola <strong>liturgia</strong>, non si arriva a conoscere con sufficiente chiarezza<br />

ciò che il magistero propone come di fede e ciò che non propone<br />

come tale, ma che bisogna ricorrere ad altre vie.<br />

Vuol dire che la proposizione di fede divina e cattolica di un<br />

dogma non avviene la prima volta per sola via liturgica e che ogni<br />

volta che la <strong>liturgia</strong> implica un tale dogma, questo, prima di fare<br />

come tale la sua apparizione nella <strong>liturgia</strong> è stato proposto dal magistero<br />

per altre vie extraliturgiche.<br />

In questi casi la <strong>liturgia</strong> è un'espressione di natura propria <strong>della</strong><br />

fede divina e cattolica già proposta dal magistero ed accettata<br />

dai fedeli, la segue, la fa vivere e la corrobora nei credenti.<br />

L'importanza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel processo esplicitativo dei dogmi<br />

Ma anche nel caso che la <strong>liturgia</strong> contenga elementi e dottrine<br />

proposte con un grado autoritativo inferiore al dogma, la sua relazione<br />

con la fede propriamente detta: la fede divina in genere, anzi,<br />

la fede divina e cattolica, è molto stretta e degna di considerazione.<br />

In questi casi, cioè, si può dire, in un <strong>senso</strong> verissimo, che la <strong>liturgia</strong><br />

precede la fede divina e cattolica e, in qualche modo, la genera.<br />

È una conoscenza più precisa dell'evoluzione dei dogmi che ci<br />

permette oggi di comprendere meglio quest'importante aspetto delle<br />

relazioni tra <strong>liturgia</strong> e fede. La <strong>liturgia</strong> è una delle principali<br />

occasioni dell'evoluzione dei dogmi com'è ammessa dalla dottrina<br />

cattolica. È questa l'anima di verità che era contenuta nell'interpretazione<br />

modernista del principio: lex orandi, lex credendi. Come<br />

e in che <strong>senso</strong>?<br />

Per comprendere a fondo questo fatto bisognerebbe entrare<br />

nei particolari teologici che spiegano il processo evolutivo per cui<br />

semplici dottrine, prima più o meno diffuse nella Chiesa, arrivano<br />

ad essere dogmi formalmente proposti come tali. In specie, bisognerebbe<br />

chiarire nei particolari la parte che il cosiddetto <strong>senso</strong><br />

cristiano ha o può avere in questo processo. Infatti, è anzitutto<br />

mediante l'influsso che ha sul <strong>senso</strong> cristiano che la <strong>liturgia</strong> è un<br />

potente fattore occasionale dell'evoluzione dei dogmi. Senza entrare<br />

nei particolari delle discussioni alle quali questa materia dà luogo<br />

tra i teologi, mi pare si possano fare in proposito le seguenti<br />

osservazioni.<br />

Ricordiamoci anzitutto che, secondo la dottrina cattolica, la fede<br />

divina in genere è un'adesione dell'intelletto a una verità, data formalmente<br />

a causa dell'autorità di Dio che l'ha rivelata. L'elemento<br />

formale o determinante in essa è che quella adesione sia intrinsecamente<br />

determinata come da causa formale in ultima analisi da<br />

nient'altro che dall'autorità di Dio che rivela. Come l'atto di visione<br />

dell'occhio è intrinsecamente e formalmente attuato dalla percezione<br />

<strong>della</strong> luce e da nient'altro — voler vedere, aprire le palpebre, avere


DOGMA E FEDE 501<br />

gli organi sani, sono tutte condizioni previe, ma non sono ciò che<br />

intrinsecamente e formalmente attua la visione dell'occhio — così<br />

l'atto di fede divina è un'adesione dell'intelletto intrinsecamente<br />

e formalmente determinata dall'autorità di Dio rivelante e da niente<br />

altro.<br />

Che ci consti che Dio ha rivelato la verità a cui si aderisce nella<br />

fede divina è una condizione previa indispensabile per poter dare<br />

l'adesione, ma non è l'elemento intrinseco determinante <strong>della</strong> fede<br />

stessa, perché, se fosse diversamente, questa si trasformerebbe in<br />

adesione di scienza, che è un tutt'altro tipo di adesione intellettuale.<br />

Però che ci consti che Dio ha rivelato è condizione previa veramente<br />

indispensabile, diversamente l'adesione di fede sarebbe un<br />

as<strong>senso</strong> cieco e irrazionale, ciò che non può essere nella fede divina.<br />

I mezzi per i quali veniamo a conoscere in qualche modo che Dio<br />

ha rivelato una verità, sono anch'essi condizioni previe all'atto di<br />

fede, mezzi che vi conducono, e non già l'elemento intrinseco determinante<br />

di quest'atto stesso. Così, per esempio, per i contemporanei<br />

di Cristo, i miracoli che Egli faceva per convincerli che era veramente<br />

l'inviato di Dio e che la dottrina che insegnava era d'origine<br />

divina. Essi si chiamano in teologia motivi di credibilità 23 .<br />

Ulteriormente, bisogna ricordarsi <strong>della</strong> distinzione tra fede divina<br />

in genere e fede divina e cattolica. Quando a uno consta in modo<br />

certo, sia pure per mezzo di una rivelazione privata o per mezzo<br />

di un suo ragionamento privato, che Dio ha veramente rivelato<br />

una verità, è obbligato di aderire a questa verità a causa dell'autorità<br />

di Dio rivelante, e il suo atto di fede sarà sempre per ciò stesso<br />

un atto di fede divina. Però, nel caso di una rivelazione privata<br />

o di una sua altra persuasione privata, quest'atto di fede obbliga<br />

lui solo, personalmente. La sua fede è bensì divina, ma privata.<br />

Invece, perché l'atto di fede divina obblighi tutti i credenti<br />

indistintamente, è previamente necessario che la dottrina sia proposta<br />

dal magistero infallibile <strong>della</strong> Chiesa come rivelata da Dio.<br />

Se si verifica questa proposizione per ciò stesso tutti i credenti,<br />

sotto pena di naufragio nella fede, devono aderire a quella verità,<br />

formalmente in virtù dell'autorità di Dio rivelante. Questa fede,<br />

perciò, è detta fede divina e cattolica 24 . £ questa la fede propria<br />

dovuta ai dogmi formalmente proposti come tali. In questa fede<br />

divina e cattolica la proposizione del magistero infallibile è, per<br />

il credente, solo una condizione previa perché possa essere certo<br />

23 Per questo i teologi, intorno all'atto di fede, distinguono motivo <strong>della</strong><br />

fede (autorità di Dio rivelante e nient'altro), e motivi di credibilità che sono<br />

solò condizioni previe all'atto di fede. Avere conoscenza che Dio ha rivelato è<br />

condizione previa come motivo di credibilità. Così i teologi dicono che la rivelazione<br />

stessa, intesa in <strong>senso</strong> passivo — posizione ad extra del segno che manifesta<br />

la volontà di Dio — è solo condizione previa per mezzo <strong>della</strong> quale veniamo<br />

alla conoscenza dell'intrinseca volontà di Dio che si manifesta.<br />

24 Non intendo parlare qui di ciò che alcuni teologi chiamano fede ecclesiastica,<br />

perché altri, e, mi pare, più giustamente, negano l'esistenza di tale<br />

tipo di fede.


502 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

che Dio ha rivelato e possa quindi dare il suo as<strong>senso</strong> determinato<br />

intrinsecamente e formalmente dalla sola autorità di Dio rivelante.<br />

Come l'affermazione dell'ambasciatore parlante a nome del sovrano<br />

è solo il mezzo e la condizione per conoscere la volontà del sovrano<br />

e non già la causa intrinseca formale che ci fa accettare questa<br />

volontà, questa causa essendo solo l'autorità del sovrano.<br />

Terzo passo: tra i mezzi o condizioni previe, come motivi di<br />

credibilità che possono condurre l'uomo a un atto di fede veramente<br />

divina ma privata, intorno a una determinata verità, San<br />

Tommaso e i teologi ammettono quella che chiamano la conoscenza<br />

per connaturalità, o d'istinto divino, o del <strong>senso</strong> cristiano e alla<br />

quale anche noi abbiamo alluso a proposito <strong>della</strong> preghiera dei<br />

salmi. Così, per esempio, S. Tommaso dice, a proposito dei motivi<br />

o condizioni previe che possono indurre uno a credere : « Colui che<br />

crede ha sufficienti motivi che l'inducono a credere. Infatti, vi è<br />

indotto dall'autorità <strong>della</strong> dottrina divina confermata dai miracoli,<br />

e, ciò che più conta {et quod plus est) dall'interiore istinto di Dio<br />

che l'invita. E perciò non crede alla leggera, poiché ha sufficiente<br />

motivo di credere » 25 . A noi interessa qui sottolineare questo secondo<br />

genere di motivo inducente alla fede : l'istinto interiore di Dio<br />

che invita il credente. S. Tommaso parla spesso di questo tipo di<br />

conoscenza istintiva superiore che applica largamente anche alla<br />

conoscenza sotto l'influsso dei doni dello Spirito Santo. La chiama<br />

con una terminologia varia, ma unitaria nel suo fondo, per esempio :<br />

per connaturalità, per contatto, per affinità, per una certa unione<br />

dell'anima con Dio, senza discorso, affettiva e sperimentale, conoscenza<br />

semplice e assoluta, per naturale disposizione, come nel<br />

gusto, per compassione, ecc. 2e .<br />

Di che cosa si tratta in questa conoscenza per connaturalità?<br />

È un tipo di conoscenza in cui il conoscente percepisce l'oggetto<br />

precisamente e formalmente sotto l'aspetto delle sue relazioni di<br />

conformità o difformità con la propria natura concreta hic et nunc,<br />

in quanto le reazioni dell'oggetto sulla natura concreta in un determinato<br />

stato sono conformi ad essa o difformi e quindi generano<br />

simpatia o antipatia, attrazione o ripugnanza. Questo tipo di conoscenza<br />

si trova già nella conoscenza sensitiva, ed allora si chiama<br />

propriamente istinto. Così, per esempio, l'uccello percepisce la paglia<br />

come utile a fare il nido e ad allevare i piccoli; così ancora l'agnello<br />

fugge il lupo che percepisce come nocivo.<br />

Lo stesso tipo di conoscenza si ritrova nella sfera superiore <strong>della</strong><br />

conoscenza intellettiva. Già Aristotele aveva dato in proposito<br />

l'esempio dell'uomo casto, che, senza ragionamenti discorsivi, giudica<br />

di un'azione o di un oggetto nel campo <strong>della</strong> castità, con meravigliosa<br />

sicurezza, in quanto ascolta semplicemente le reazioni ripu-<br />

23 Summa IMI q 2 a 9 ad 3.<br />

26 Vedi, per esempio, V. WHITE, Thomism and affective knowledge, in:<br />

Slackfriars, 24 (1943) 1-8; 126-31; 25 (1944) 321-28. B. MILLER, Kwoledge through<br />

affective connaturality, London 1961.


CONOSCENZA PER CONNATURALITÀ 503<br />

gnanti o attraenti <strong>della</strong> sua natura messa di fronte a tale atto o<br />

a tale oggetto o decisione. Anche il moralista, che forse non è casto,<br />

può giudicare <strong>della</strong> moralità o meno di quest'azione, ma riferendosi<br />

a concetti generali e a princìpi astratti universali e a ragionamenti<br />

deduttivi. Giudica, riferendosi a concetti astratti che tutti hanno o<br />

possono avere, discorrendo e concludendo; perciò può anche comunicare<br />

ad altri i motivi del suo giudizio, che è un giudizio scientifico<br />

e che sa valere per tutti e non per lui solo; può persuadere, ribattere<br />

le obiezioni in contrario. <strong>Il</strong> casto invece, giudica <strong>della</strong> moralità<br />

dell'atto semplicemente ascoltando le reazioni <strong>della</strong> sua natura<br />

casta; perciò non fa un giudizio scientifico, non può comunicare ad<br />

altri i suoi « motivi », non può ribattere con questa sola conoscenza<br />

le obiezioni ragionate contro il suo atteggiamento; può solo invitare<br />

gli altri a mettersi nelle stesse condizioni in cui egli si trova e a fare<br />

la stessa esperienza che egli fa. Di simile natura sono i giudizi detti<br />

di gusto. Perciò il detto volgare che del gusto non si discute. Simile<br />

distinzione si può fare tra il semplice critico d'arte che non è artista<br />

e l'artista che non è critico.<br />

Orbene, tale tipo di conoscenza esiste anche nel piano soprannaturale<br />

<strong>della</strong> fede. Qui si potrebbe ricorrere all'analisi dell'esperienza<br />

interna e alle numerose testimonianze, in specie di coloro<br />

che sono venuti adulti alla fede e hanno analizzato la loro conversione.<br />

Essi affermano che, a un certo momento, hanno visto ciò<br />

che prima non avevano visto; e che il momento decisivo non si può<br />

analizzare, ancor meno spiegare ad altri; e che le ricerche intellettuali,<br />

per quanto importanti, non sono state questo momento decisivo<br />

ma qualcosa di previo e di preparatorio; e che c'entra un'esperienza<br />

molto particolare. Senza entrare in questa direzione di ricerche,<br />

accontentiamoci qui dell'affermazione di S. Tommaso che<br />

colui che crede, vi è indotto, tra le altre cose, da un istinto di Dio<br />

che internamente l'invita, e <strong>della</strong> tesi dell'istinto e del <strong>senso</strong> cristiano<br />

ammessa da tutti i teologi.<br />

Come si spiega questo fatto, questo istinto, o <strong>senso</strong> che si<br />

voglia dire, nel campo soprannaturale, in specie nella fede? Ricordiamoci<br />

che ogni atto di fede soprannaturale è fatto sempre sotto<br />

l'indispensabile impulso <strong>della</strong> grazia attuale. La grazia attuale è<br />

una certa mozione divina che è una partecipazione transeunte,<br />

non permanente come nella grazia abituale, data per modo di mozione<br />

momentanea, <strong>della</strong> stessa natura divina e del suo modo di<br />

agire, perché ogni grazia è partecipazione <strong>della</strong> natura divina. Essa<br />

muove la volontà ad imperare all'intelletto l'as<strong>senso</strong> <strong>della</strong> fede e,<br />

per mezzo <strong>della</strong> volontà, l'intelletto ad assentire.<br />

Ma nessuna grazia entra nell'anima se questa non è disposta<br />

e capace di riceverla. I teologi insegnano che l'ultima disposizione<br />

immediatamente previa — almeno dal punto di vista logico — all'ingresso<br />

<strong>della</strong> grazia è data dalla grazia stessa nel momento del<br />

suo ingresso nell'anima. Comunque, nessun atto di fede divina può<br />

essere fatto, senza che il credente sia previamente — almeno dal


504 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

punto di vista logico — modificato e disposto per mezzo di una<br />

partecipazione transeunte, come di mozione, <strong>della</strong> natura divina<br />

sotto l'influsso <strong>della</strong> grazia attuale.<br />

Se connettiamo tutto questo con quello che abbiamo detto <strong>della</strong><br />

conoscenza per istinto o per connaturalità in genere, si può capire<br />

perché questa si realizzi anche nell'atto di fede divina. L'anima<br />

del credente, nell'atto stesso di credere, viene previamente — dal<br />

punto di vista logico — modificata ed elevata per una mozione<br />

<strong>della</strong> grazia che è partecipazione <strong>della</strong> natura divina, a un modo<br />

d'essere e d'agire formalmente divino, sebbene partecipato. Quindi,<br />

davanti all'oggetto <strong>della</strong> fede, che è soprannaturale e divino, si<br />

trova, per mezzo <strong>della</strong> grazia che opera in lei, come messa in sintonia<br />

con esso e allo stesso modo d'essere.<br />

Vi è così consonanza di natura, connaturalità, come tra il casto<br />

e l'oggetto o l'atto <strong>della</strong> castità, come tra la madre e il figlio, come<br />

tra l'artista e l'oggetto che eccita in lui il piacere artistico. La natura<br />

del credente, sotto l'influsso <strong>della</strong> grazia, messa davanti all'oggetto<br />

<strong>della</strong> fede, ne sperimenta la reciproca conformità; percepisce<br />

questa conformità, non già concettualmente e in modo astratto<br />

o per raziocinio, ma per la semplice reazione di conformità <strong>della</strong><br />

sua natura davanti all'oggetto; per istinto e connaturalità. Questo<br />

fa sì che il credente, sotto la grazia efficace di credere, si porti<br />

con impetuosità istintiva verso l'oggetto proposto alla sua fede<br />

come a quello che è conforme al più intimo di sé ". L'adesione<br />

a questo oggetto è infallibile e sicurissima di se stessa, ma non<br />

concettualmente analizzabile o spiegabile, né direttamente comunicabile<br />

ad altri per via di ragionamento come l'insegnante può<br />

direttamente comunicare all'alunno un teorema di geometria. In<br />

quella conoscenza per connaturalità, infatti, e in quel tipo speciale<br />

di giudizio che ne segue (è vero, è credibile; è bello, è buono, ecc.)<br />

c'entra essenzialmente un elemento non concettuale, strettamente<br />

personale e non comunicabile: ossia la tale reazione <strong>della</strong> propria<br />

natura dinanzi a tale oggetto. Solo chi si trova nelle stesse disposizioni<br />

potrà fare la stessa esperienza e giudicare nello stesso modo.<br />

Appunto perché quella conoscenza per connaturalità costituisce<br />

per il credente una condizione previa all'atto di fede e un motivo di<br />

credibilità basato sopra un elemento strettamente personale e non<br />

concettualmente analizzabile né direttamente comunicabile, il credente<br />

stesso non è capace di difendere la ragionevolezza di quella<br />

sua adesione per via di ragionamento contro eventuali obiezioni, se<br />

non ricorrendo ad argomenti presi in un altro piano e d'altra natura.<br />

Per questo dovrà sempre e necessariamente ricorrere a considerazioni<br />

prese da un piano concettuale e non puramente personale.<br />

È per questo che l'esistenza di motivi di credibilità basati sulla<br />

27 Questa connaturalità e impetuosità sarà molto più intensa se il credente<br />

è già in stato di grazia abituale, la quale è una conformità permanente di natura<br />

tra Dio e l'uomo; lo sarà ancora più se, inoltre, si trova in un alto grado<br />

di santità di vita.


CONOSCENZA PER CONNATURALITÀ 505<br />

conoscenza per connaturalità e la loro importanza nell'atto di fede<br />

lascia impregiudicata la necessità dell'apologetica tradizionale; la<br />

quale ha per scopo preciso di difendere sul piano del ragionamento<br />

concettuale, scientifico, argomentativo e di fronte a tutti, la ragionevolezza<br />

dello stesso atto di fede che la conoscenza per connaturalità<br />

può fondare solo per via strettamente personale e non concettuale.<br />

In questa complessa esperienza, il credente non solo percepisce<br />

le reazioni <strong>della</strong> propria natura in conformità con l'oggetto, ma anche<br />

che il suo atto di adesione è ragionevolissimo; che egli, e non solo<br />

gli uomini in genere, moralmente parlando, può e deve credere, e<br />

può e deve farlo hic et nunc nelle disposizioni e nel momento in cui<br />

si trova. Tale è uno degli effetti <strong>della</strong> grazia efficace di credere. Ma<br />

questo non potrebbe essere, se il credente, sotto la grazia efficace<br />

di credere, non vedesse in qualche modo che Dio ha veramente parlato<br />

e rivelato la verità a cui egli in questo momento aderisce. Questo<br />

avviene perché nella conoscenza per connaturalità in cui, sotto la<br />

grazia efficace di credere, sperimenta la propria natura in reazione<br />

di conformità con l'oggetto presentatogli, il credente percepisce in<br />

qualche modo la voce stessa di Dio che parla a lui personalmente in<br />

questo momento e in queste disposizioni 28 .<br />

<strong>Il</strong> processo sopra descritto può verificarsi non solo quando si<br />

tratta di dare l'as<strong>senso</strong> di fede divina e cattolica a una verità già<br />

proposta come dogma dal magistero infallibile <strong>della</strong> Chiesa, ma anche<br />

in certi casi nei quali la verità, a cui il fedele assente, non è ancora<br />

proposta come dogma di fede divina e cattolica. In questi casi<br />

il credente a cui consta in modo certissimo, sebbene tutto personale<br />

e non concettualmente spiegabile né dimostrabile, che Dio ha rivelato<br />

tale verità, emette un atto di fede divina. Egli acconsente alla<br />

detta verità formalmente per l'autorità di Dio rivelante. Ma quella<br />

fede divina è solo privata e obbliga lui solo personalmente; non è<br />

ancora la fede divina e cattolica dovuta a un dogma proposto come<br />

tale dalla Chiesa e obbligante tutti i credenti.<br />

Tale conoscenza per connaturalità dipende essenzialmente dall'azione<br />

<strong>della</strong> grazia su ogni credente e non dall'acume <strong>della</strong> sua<br />

intelligenza o dalle sue conoscenze teoriche. Dio poi è sovranamente<br />

libero nella distribuzione <strong>della</strong> sua grazia. Egli la dà solo a coloro<br />

che vi sono moralmente preparati. Vuol dire che la predetta conoscenza<br />

per connaturalità nella sua frequenza e nella sua intensità,<br />

per quanto dipende dall'uomo stesso, dipende dalla santità <strong>della</strong><br />

vita : umiltà, mortificazione, fede, carità, preghiera, ecc.<br />

È qui che si comincia finalmente ri capire l'importanza <strong>della</strong> li-<br />

28 Sembra che a tanto il credente arrivi per una specie di inferenza quanto<br />

mai spontanea, rapida e appena conscia, riassunta, per esempio, nella semplice<br />

affermazione: la voce <strong>della</strong> coscienza è voce di Dio. Tale affermazione, nelle<br />

predette circostanze, sembra contenere in nuce un sillogismo più o meno come<br />

il seguente: l'impulso <strong>della</strong> natura che la coscienza ammonisce dover essere<br />

seguito, è voce di Dio; ora tale è l'impulso di natura che hic et nunc percepisco;<br />

dunque l'impulso di natura che hic et nunc percepisco è voce di Dio.


506 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

turgia in relazione a questa stessa conoscenza per connaturalità.<br />

È ovvio che la vita liturgica può essere per Dio, ed è spessissimo di<br />

fatto, l'occasione di dare ai singoli quelle conoscenze superiori per<br />

connaturalità. Non solo intorno a verità già proposte formalmente<br />

dal magistero infallibile <strong>della</strong> Chiesa come dogmi di fede divina e<br />

cattolica, ma anche intorno ad altre che il magistero fin qui ha proposto<br />

solo con un grado autoritativo inferiore. <strong>Il</strong> fatto che i fedeli<br />

nella <strong>liturgia</strong> vivono quelle verità, anche se non ancora proposte<br />

come dogmi di fede divina e cattolica, è spesso occasione a Dio<br />

di operare in modo tale con la sua grazia efficace nei singoli, che<br />

essi, istintivamente, per connaturalità, sempre maggiormente le<br />

penetrino e le amino. Anzi, che acquistino intorno a queste verità<br />

e al fatto che sono veramente rivelate da Dio e contenute nella rivelazione<br />

pubblica, una certezza fortissima, anche se di natura strettamente<br />

personale e non dimostrabile; ossia una certezza intuitiva di<br />

fede divina, sebbene solo privata.<br />

Tale certezza, sotto la direzione dello Spirito Santo che opera<br />

efficacemente nella Chiesa, occasionata in buona parte dalla vita liturgica,<br />

può pian piano diffondersi sempre più tra i fedeli e tra i<br />

membri <strong>della</strong> stessa gerarchia. Così può venire a formarsi uno stato<br />

di persuasione e di certezza privata ma assai generale, o anche molto<br />

generale, intorno al fatto che una verità, non ancora proposta come<br />

dogma dalla Chiesa, è veramente contenuta nella rivelazione pubblica<br />

29 . Tale stato di certezza, più o meno generalizzato, è allora<br />

fondato nella conoscenza per connaturalità dei singoli membri <strong>della</strong><br />

Chiesa sotto l'influsso <strong>della</strong> grazia efficace di Dio. È il <strong>senso</strong> cristiano<br />

in atto. A questo stato di certezza ancora privata in certe circostanze<br />

può accompagnarsi il desiderio che tale verità venga anche definita<br />

come dogma dal magistero competente in vista <strong>della</strong> necessità o<br />

dell'utilità <strong>della</strong> Chiesa stessa.<br />

Se a questo momento non intervenisse un nuovo fattore d'ordine<br />

diverso, tale persuasione intorno alla verità in questione non si trasformerebbe<br />

mai in dogma da credersi di fede divina e cattolica.<br />

Ma, se interviene la definizione di un organo competente del magistero<br />

infallibile — per esempio concilio ecumenico o Papa parlante<br />

ex cathedra — tale trasformazione qualitativa si fa, e una verità<br />

20 Non è necessario che si possa anche dimostrare in modo strettamente<br />

apodittico, per la sola via di ragionamento filologico o storico, e nemmeno per<br />

via di ragionamento deduttivo logico da un altro dogma già proposto, che la<br />

tale verità è contenuta nella Scrittura o nella tradizione dogmatica orale subito<br />

dopo la morte degli Apostoli. L'idea <strong>della</strong> verità di cui si tratta può essere stata<br />

suggerita nella Chiesa dalla Scrittura o dalla tradizione dogmatica apostolica<br />

orale o da un altro dogma già definito, anche per sola via di argomento di convenienza.<br />

<strong>Il</strong> fatto che l'idea è stata suggerita in questo modo basta a provare<br />

che essa non è stata conosciuta per mezzo di una nuova rivelazione pubblica<br />

— rivelazione che si è chiusa definitivamente con la morte dell'ultimo degli Apostoli<br />

—. Poi, mediante il processo <strong>della</strong> conoscenza per connaturalità. Dio ha<br />

fatto sorgere intorno a questa idea, previamente conosciuta per vie normali<br />

e naturali dalle fonti che contengono la rivelazione pubblica, una certezza più<br />

o meno diffusa di fede divina, sebbene privata.


DEFINIZIONE DEI DOGMI 507<br />

che non era ancora formalmente dogma di fede divina e cattolica<br />

lo diventa. Questo avviene perché l'organo competente del magistero<br />

infallibile <strong>della</strong> Chiesa, nel dichiarare una verità come rivelata da<br />

Dio e dunque da credersi da tutti i fedeli come dogma di fede divina<br />

e cattolica, gode dell'assistenza infallibile dello Spirito Santo 30 .<br />

Naturalmente, in questo caso l'autorità dottrinale che appartiene<br />

al dogma definito come tale, gli viene unicamente dal fatto che,<br />

secondo la fede cattolica, nel definire un dogma, il magistero gode<br />

dell'assistenza infallibile dello Spirito Santo. <strong>Il</strong> processo di conoscenza<br />

per connaturalità è servito soltando di occasione nelle<br />

mani di Dio per indurre l'organo competente del magistero infal-<br />

30 Naturalmente, esso gode di questa assistenza anche nel caso che non<br />

sìa stato previamente dimostrato per via di un ragionamento propriamente apodittico<br />

— fatto partendo dalla Scrittura, dalla tradizione dogmatico-apostolica<br />

orale come era subito dopo la morte degli Apostoli o da un altro dogma già<br />

definito — che la verità che si definisce è contenuta realmente, almeno implicitamente,<br />

nella Scrittura o nella predetta tradizione. E bensì dogma di fede che<br />

ogni verità, proposta dalla Chiesa come di fede divina e cattolica, è realmente<br />

contenuta nella Scrittura o nella predetta tradizione, almeno implicitamente.<br />

Ma perché il magistero possa definire una dottrina, non è necessario che il fatto<br />

che vi è contenuta possa anche essere dimostrato con ragionamento propriamente<br />

apodittico per sola via di ragionamento. L'infallibilità del magistero non<br />

dipende dal fatto se esso, prima di definire una verità, vede e prova per via di<br />

ragionamento apodittico, che questa verità è contenuta nelle fonti <strong>della</strong> rivelazione,<br />

ma semplicemente dal fatto che egli nell'affermare o nel negare una<br />

cosa come di fede, gode dell'assistenza dello Spirito Santo. È noto che anche<br />

la commissione dei teologi che Pio IX istituì in vista <strong>della</strong> definizione dell'immacolata<br />

concezione, ammise come principio che non era affatto necessario che,<br />

prima <strong>della</strong> definizione, si potesse produrre la predetta prova apodittica per<br />

sola via di ragionamento. (Vedi, per esempio, V. SARDI, La solenne definizione<br />

del dogma dell'Immacolato concepimento di Maria Santissima, Roma 1904 I<br />

791-96). E, difatti, questa prova propriamente apodittica per sola via di ragionamento<br />

(contrariamente alle molte e buone ragioni di convenienza) non fu mai<br />

data né per l'immacolata concezione né per l'assunzione di Maria. Ci si può chiedere<br />

come dunque, in simile caso, si potranno efficacemente difendere i dogmi<br />

così definiti contro le obiezioni dei non cattolici. La risposta è essenzialmente<br />

questa: che tali dogmi devono e possono essere difesi in modo indiretto: ricorrendo<br />

cioè all'apologetica generale. In essa, contro il non cristiano, si dimostra<br />

la credibilità <strong>della</strong> rivelazione cristiana; contro il protestante tradizionale<br />

si dimostra che, secondo il Nuovo Testamento, interpretato anche col solo<br />

aiuto <strong>della</strong> filologia e <strong>della</strong> storia, il criterio prossimo <strong>della</strong> verità cristiana<br />

non è la ragione individuale, ma il magistero infallibile <strong>della</strong> Chiesa il cui<br />

organo è la gerarchia; contro il foziano si dimostra che, ammettendo come<br />

criterio <strong>della</strong> fede la Scrittura e la tradizione, e ammettendo che l'organo dell'infallibilità<br />

nella Chiesa risiede nella gerarchia, segue che non vi può- essere<br />

nella stessa Chiesa criterio efficace <strong>della</strong> verità che non includa il Romano Pontefice.<br />

Fatte queste prove, ne segue che è perfettamente ragionevole ammettere,<br />

coi cattolici, che una verità definita dal magistero, per esempio dal Romano<br />

Pontefice, è una verità veramente rivelata poiché questo magistero è infallibile<br />

per assistenza dello Spirito Santo. Ossia, nel caso di dogmi come l'immacolata<br />

concezione e l'assunzione, bisogna portare la discussione coi non cattolici, non<br />

sulla prova apodittica per sola via di ragionamento da fornire dalla Scrittura<br />

o dalla tradizione apostolica dogmatica orale come appare subito dopo la morte<br />

degli Apostoli, ma sulla questione del criterio prossimo e infallibile <strong>della</strong> fede<br />

cristiana, ossia sull'infallibilità del magistero <strong>della</strong> Chiesa che include sempre<br />

il Romano Pontefice.


508 CAP. XVI - FEDE E LITURGIA<br />

libile a voler definire e a definire di fatto, facendo uso di quella<br />

assistenza che Dio gli ha garantita.<br />

In un simile processo esplicativo, si vede l'importanza <strong>della</strong> conoscenza<br />

per connaturalità, nonché la parte specifica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

In questo caso la <strong>liturgia</strong> ha veramente preceduto la proposizione<br />

<strong>della</strong> fede divina e cattolica e, grazie al processo <strong>della</strong> conoscenza<br />

per connaturalità, è stata una delle maggiori occasioni dello sviluppo<br />

di una dottrina a dogma propriamente detto.<br />

<strong>Il</strong> lettore che ha seguito questo lungo ragionamento, ha certamente<br />

pensato continuamente al caso dell'Immacolata Concezione<br />

e dell'Assunzione. E giustamente. Questi due casi sono la dimostrazione<br />

più recente e più clamorosa dell'influsso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sullo sviluppo<br />

di un dogma. Essi non sono comprensibili senza il ricorso al<br />

<strong>senso</strong> cristiano o alla conoscenza per connaturalità. Non credo affatto<br />

che siano gli unici che si possano citare in proposito, ma<br />

solo i più recenti e i più clamorosi. Né si potrebbe escludere a priori<br />

che simile processo si ripeta in avvenire. Chi potrebbe assicurare,<br />

per esempio, che la dottrina di Maria mediatrice di tutte le grazie<br />

non sia sulla stessa via?


CAPITOLO XVII<br />

<strong>TEOLOGIA</strong> POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

Non so se m'illudo sperando di aver aiutato più d'un lettore nei<br />

capitoli precedenti a scoprire alcune delle ricchezze teologiche che<br />

racchiude il mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Forse qualcuno, arrivato a questo<br />

punto, si chiederà come mai, delle grandiose visuali bibliche<br />

dogmatiche, spirituali, che con un po' d'attenzione si possono scoprire<br />

nella <strong>liturgia</strong>, abbia avuto poco o verun sentore nei lunghi anni<br />

passati nello studio <strong>della</strong> teologia. È assai probabile che, intorno<br />

alle prospettive teologiche delineate nei precedenti capitoli, molti,<br />

dallo studio generale <strong>della</strong> teologia fatto in seminario, abbiano ricavato<br />

solo alcune nozioni sulla questione <strong>liturgia</strong> e fede, trattata nel<br />

capitolo immediatamente precedente.<br />

Infatti, nei manuali generali di teologia che sono nelle mani di<br />

tutti, fuorché un accenno fatto nel trattato dei loci theologici, ove<br />

si fa notare che anche la <strong>liturgia</strong> può essere considerata come locus<br />

theologicus, come espressione del magistero ordinario, ed eccettuate<br />

alcune brevi allusioni a pochi testi, riti o usi liturgici, sparse nei<br />

diversi trattati, per lo più tra gli argomenti ex traditione in rapporto<br />

alla prova delle singole « tesi », la <strong>liturgia</strong> non appare altrimenti. Se<br />

poi si riflette al significato proprio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, come ci siamo sforzati<br />

di spiegarlo, non è esagerato dire con franchezza che questa<br />

è semplicemente assente dalla teologia come viene generalmente<br />

concepita. È evidente, infatti, che la questione dei rapporti tra teologia<br />

e <strong>liturgia</strong> è assai più profonda e più vasta <strong>della</strong> questione <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> locus theologicus e degli sporadici ricorsi alla <strong>liturgia</strong> nella<br />

prova ex traditione dei nostri manuali.<br />

Né il corso di <strong>liturgia</strong>, come è nel programma dei seminari, cambia<br />

questo stato di cose, perché questo corso, come è noto, è concepito<br />

per lo più, essenzialmente, come storia <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e non<br />

come teologia liturgica, quando non è tuttora concepito addirittura<br />

come corso di rubriche.


510 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

1. LA QUESTIONE DEI RAPPORTI<br />

TRA <strong>TEOLOGIA</strong> SINTETICA GENERALE E LITURGIA<br />

Sollevando la questione dei rapporti tra teologia e <strong>liturgia</strong>, intendo<br />

trattare dell'inserimento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella teologia sintetica<br />

generale, ossia in quella che oggi è detta comunemente dogmatica<br />

ed è appunto l'oggetto dei predetti manuali. Se la questione dei rapporti<br />

tra teologia e <strong>liturgia</strong> si limitasse alla questione dell'utilità, o<br />

anche <strong>della</strong> necessità, di studi e di corsi monografici intorno all'aspetto<br />

<strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, la discussione sarebbe presto risolta<br />

sul piano teorico e in linea di massima. Ci sarebbe solo da augurare<br />

che questi studi e corsi monografici, di cui si cominciano a vedere<br />

dei saggi, siano effettuati su larga scala e vengano così ad approfondire<br />

in qualche modo la nostra conoscenza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Comunque,<br />

probabilmente, nessun teologo avrebbe alcunché da obiettare<br />

contro simili studi, salvo poi, come per il passato, ad ignorare più<br />

o meno completamente la <strong>liturgia</strong> nella sua dogmatica o teologia<br />

generale, come cosa estranea e d'un altro ordine. Invece va esaminata<br />

proprio la questione se, e fino a qual punto, la <strong>liturgia</strong> è veramente<br />

una cosa estranea alla teologia generale e d'un altro ordine, e se<br />

basta sostanzialmente quel genere d'attenzione e d'importanza che,<br />

fin qui, i teologi le hanno concessa nelle loro sintesi generali.<br />

Intendo parlare essenzialmente dell'attenzione ed importanza<br />

qualitativa che le hanno concessa e nient'affatto, in primo luogo, del<br />

numero di pagine che le hanno consacrate o del numero di citazioni<br />

liturgiche con cui hanno fiorito le loro prove di tesi, essendo questo<br />

un aspetto puramente materiale e quantitativo, e quindi non risolutivo,<br />

del posto che spetta alla <strong>liturgia</strong> nella teologia. Bisogna chiedersi<br />

se il titolo stesso o la ragione metodologica ultima per la quale<br />

i teologi hanno ammesso fin qui la <strong>liturgia</strong> nella teologia sintetica<br />

generale sia sufficiente. Si vuol dunque mettere sul tappeto la questione<br />

dell'unità anzitutto qualitativa da trovare, o da ritrovare, tra<br />

teologia sintetica generale e <strong>liturgia</strong>.<br />

La questione è simile a quella che oggi, giustamente, preoccupa<br />

tanti teologi dell'unità da trovare, o ritrovare, tra teologia sintetica<br />

generale, dogmatica, come dicono, e bibbia, più esattamente, e teologia<br />

biblica. Che esista una questione dell'unità da trovare o ritrovare<br />

tra bibbia e teologia, è oggi su larga scala riconosciuto dai competenti.<br />

Chiunque, per altro, si è un po' abituato a tenere la bibbia in<br />

mano e a gustare un po' di teologia biblica secondo le possibilità<br />

e le esigenze dei metodi odierni, sa benissimo che la questione dell'unità<br />

da ritrovare tra bibbia e teologia non si risolve con un aumento<br />

puramente quantitativo di citazioni bibliche nello schema<br />

delle « tesi » dei nostri manuali. È invece in questione tutto un modo


LA QUESTIONE 511<br />

di considerare i rapporti qualitativi tra bibbia e teologia. Lo stesso<br />

vale, a suo modo, per la <strong>liturgia</strong>.<br />

Anzi queste due questioni sono molto più connesse di quanto<br />

possa parere a prima vista. Non si dimentichi, infatti, quanto abbiamo<br />

rilevato a suo tempo: che è nella <strong>liturgia</strong> e attraverso la <strong>liturgia</strong><br />

che si ritrova connaturalmente la lettura cristiana e il <strong>senso</strong> profondo<br />

<strong>della</strong> bibbia; come anche non si dimentichi quanto abbiamo spesso<br />

ripetuto e ci siamo sforzati di dimostrare con esempi pratici: che<br />

il mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> rimane impenetrabile per chi non si rifa al<br />

mondo <strong>della</strong> bibbia. Se così è, perché meravigliarsi che la questione<br />

delle relazioni tra bibbia e teologia e quella delle relazioni tra <strong>liturgia</strong><br />

e teologia siano intimamente unite?<br />

Comunque, si può stare certi che fintanto che non sarà teoricamente<br />

risolta e praticamente applicata su larga scala la questione<br />

dei rapporti qualitativi tra <strong>liturgia</strong> e teologia sintetica generale, il<br />

movimento liturgico e la sua efficacia pratica non saranno fondati<br />

sulla roccia che sola, in fin dei conti, può garantirne la stabilità e<br />

la forza. Questo perché, come abbiamo accennato, nonostante il discredito<br />

più o meno confessato, in cui, presso taluni, è caduta la<br />

teologia dogmatica — perché pensano a quella che hanno studiata nei<br />

manuali e nei seminari — rimane tuttavia innegabile che è proprio<br />

in questa teologia che la visione generale del mondo, come l'uomo<br />

può raggiungerla dalla rivelazione in connubio con la retta ragione,<br />

deve essere studiata e proposta in sintesi generale.<br />

Per capire, in ultima analisi, il <strong>senso</strong> e la necessità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

bisogna comprendere qual è il suo posto specifico in ogni grande<br />

questione di cui tratta quella sintesi. Come per capire, in ultima analisi,<br />

qual è il <strong>senso</strong> e la necessità dello studio <strong>della</strong> bibbia, dei Padri,<br />

<strong>della</strong> metafisica nella visione cristiana del mondo, bisogna comprendere<br />

qual è il posto specifico dell'aspetto biblico, patristico,<br />

metafisico in ogni grande questione di cui tratta la teologia sintetica<br />

generale. Nei capitoli precedenti, non abbiamo fatto altro che dare<br />

una serie di saggi di quello che può essere la considerazione <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> vista sullo sfondo <strong>della</strong> sintesi teologica generale e di quello<br />

che, a sua volta, può ricevere questa sintesi dalla retta considerazione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 1 .<br />

Si osservi però che nella questione che qui poniamo delle relazioni<br />

qualitative tra <strong>liturgia</strong> e teologia sintetica generale e dell'unità<br />

da ritrovare tra l'una e l'altra, il punto di vista primario ed essenziale<br />

che ci deve guidare non è quello di dare un maggiore impulso al movimento<br />

liturgico nel clero e, per mezzo del clero, nel popolo cristiano.<br />

<strong>Il</strong> punto di vista determinante sarebbe così quello dell'apostolato<br />

liturgico: un punto di vista pragmatico. <strong>Il</strong> liturgista s'indi-<br />

1 Si noti però che, nei capitoli precedenti, a proposito di molte questioni,<br />

non abbiamo fatto, né voluto fare, una sintesi completa come si dovrebbe fare<br />

in teologia sintetica generale. Non si pretende affatto che, per es., sulla Trinità,<br />

su Cristo, sugli angeli, ecc. la teologia sintetica generale non abbia altro da<br />

dire che quello che abbiamo detto noi nei relativi capitoli!


512 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

rizzerebbe ai teologi, perché si avvede che, dato l'influsso che hanno<br />

— o dovrebbero avere — nel clero, le cattedre di teologia sarebbero<br />

ottime pedane di propaganda liturgica.<br />

Per quanto questo sia vero, il teologo potrebbe e dovrebbe rispondere<br />

che una cattedra di teologia, per fine intrinseco e specifico,<br />

ex fine operis, è destinata al solo insegnamento <strong>della</strong> teologia e a<br />

nient'altro; e che una scienza, per adempiere il suo compito specifico<br />

ed insostituibile nella vita, deve essere anzitutto condotta e determinata<br />

dalle esigenze intrinseche alla scienza stessa e da nient'altro;<br />

così anche la teologia e la teologia dogmatica, come tutte le altre<br />

scienze; e che, se la <strong>liturgia</strong> non entra nella teologia dogmatica per<br />

esigenze intrinseche <strong>della</strong> teologia dogmatica stessa, sostanzialmente<br />

più di quanto vi è stata ammessa fin qui, il teologo non ha che una<br />

cosa da fare: pregare il liturgista di esplicare il suo legittimo zelo<br />

in un altro campo più adatto. Tutto questo è verissimo. Ed è perciò<br />

che la questione delle relazioni tra <strong>liturgia</strong> e teologia deve essere<br />

considerata essenzialmente come una questione teologica e non come<br />

una questione liturgica, tanto meno di apostolato liturgico. Voglio<br />

dire che chi deve decidere dei rapporti tra teologia e <strong>liturgia</strong> è la<br />

teologia stessa come scienza suprema.<br />

Così determinata, è facile vedere che la questione dipende dalla<br />

natura <strong>della</strong> teologia sintetica generale e dalle esigenze del suo metodo.<br />

Ma si sa che intorno a questa questione, nella teoria e specialmente<br />

nella prassi, vi sono stati e vi sono, in particolari di notevole<br />

importanza, modi diversi di vedere e d'agire tra gli stessi teologi.<br />

È ovvio, per la stessa natura delle cose, che proprio in queste divergenze<br />

va cercata la radice ultima del modo diverso di stimare<br />

e di mettere in pratica i rapporti tra <strong>liturgia</strong> e teologia.<br />

Storicamente i modi di concepire la natura <strong>della</strong> teologia e<br />

quindi il suo metodo, sono stati tre: il modo patristico; il modo scolastico,<br />

incarnato specialmente nei grandi rappresentanti <strong>della</strong> scolastica<br />

del secolo XIII e XIV; il modo che possiamo chiamare positivo<br />

scolastico, nato cominciando dal secolo XVI, e che, con diversi adattamenti<br />

e sfumature, è più o meno imperante fino a oggi, per esempio<br />

nella stragrande maggioranza dei manuali. Prima di proporre un<br />

saggio di soluzione teorica <strong>della</strong> questione, analizzeremo brevemente<br />

questi diversi modi badando anzitutto alle conseguenze che ognuno<br />

di essi ha nella questione dei rapporti con la <strong>liturgia</strong>. Cominciamo<br />

con il positivo scolastico perché più vicino a noi.


ORIGINE DELLA POSITIVO-SCOLASTICA 513<br />

2. LO STATO DI FATTO DEI RAPPORTI<br />

TRA <strong>TEOLOGIA</strong> POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

L'orìgine di questo tipo di teologia:<br />

i desiderata dei secoli XV-XVI<br />

Nel secolo XVI nacque un modo di concepire la sintesi teologica<br />

generale, il quale, pur volendo ritenere quello che era stato effettivamente<br />

il maggiore e più caratteristico contributo <strong>della</strong> scolastica dei<br />

secoli precedenti allo sviluppo <strong>della</strong> teologia, ossia l'elaborazione approfondita<br />

del dato rivelato sotto l'aspetto dialettico ed ontologico<br />

o entitativo, volle però integrarlo sotto un altro aspetto 2 .<br />

Infatti, già gli autori spirituali e mistici <strong>della</strong> fine del secolo XIV<br />

e del secolo XV, ma poi con maggiore insistenza gli umanisti e, finalmente,<br />

con spirito nettamente eretico, i protestanti — a parte le<br />

imprecisioni, le vere ingiustizie e gli errori <strong>della</strong> loro polemica contro<br />

la scolastica — avevano messo in rilievo la necessità di elaborare<br />

alcuni aspetti <strong>della</strong> teologia sintetica molto più accuratamente di<br />

quanto se ne erano preoccupati gli scolastici dei secoli precedenti.<br />

Gli autori spirituali e, con altro spirito e per altri fini, gli umanisti,<br />

avevano insistito specialmente sulla necessità di un contatto più<br />

intimo e diretto con le fonti proprie <strong>della</strong> teologia che contengono<br />

la rivelazione, ossia con la Scrittura e la tradizione. I protestanti,<br />

a loro volta, accusavano la Chiesa cattolica di aver corrotto la<br />

stessa rivelazione introducendovi, nel corso dei secoli, una serie di<br />

novità, tacciando per tali tutto quello che non approvavano nella<br />

Chiesa cattolica del secolo XVI. Per dimostrarlo ricorrevano alla<br />

Scrittura e alla storia dei dogmi e delle dottrine. Apparve dunque<br />

necessario, per ogni questione discussa, dimostrare che l'accusa<br />

protestante di novità non era fondata.<br />

Così, tanto il desiderio di dar soddisfazione a quello che apparivano<br />

aver di giusto le richieste degli autori spirituali e degli umanisti,<br />

quanto la necessità <strong>della</strong> polemica contro i protestanti, spinse<br />

i teologi cattolici dell'epoca, a proposito di ogni questione, a premettere<br />

alla trattazione del dato rivelato mediante l'uso <strong>della</strong> filosofia,<br />

nella quale si era concentrato lo sforzo degli scolastici, una<br />

previa e più accurata elaborazione del rapporto del dogma catto-<br />

2 Sulla storia <strong>della</strong> teologia positivo-scolastica vedi, per esempio: A. HUM-<br />

BERT, Les origines de la théologie moderne. I. La renaissance de l'antiquité chrétienne<br />

(1450-1521), Paris 1911. P. POLEMAN, L'élément historique dans la controverse<br />

religieuse du XVI siede, Gembloux 1932; M. J. CONGAR, Théologie, in: Dict.<br />

de théol. cath. 15 (1943-46) 411 ss; E. HOCEDEZ, Histoire de la théologie au XIX«<br />

siede, 3 voli. Paris 1947 ss; E. MARCOTTE, La nature de la théologie d'après Melchior<br />

Cono, Ottawa 1949; R. SNOEKS, L'argument de tradition dans la controverse<br />

eucharistique entre catholiques et réformés francais au XVII e siede, Louvain 1951.<br />

17 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


514 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

lieo con la Scrittura e la tradizione antica. Questo nuovo compito<br />

assegnato alla teologia fu detto compito « positivo » perché in esso,<br />

prima di passare all'elaborazione speculativa di una questione secondo<br />

l'uso scolastico, si voleva « porre » in saldo i fondamenti<br />

stessi e come i princìpi sui quali si basava 3 . Appare pertanto pienamente<br />

giustificata la denominazione di positivo-scolastica che si<br />

dà qui a questo tipo di teologia. <strong>Il</strong> quale, pur riallacciandosi nella<br />

parte dell'elaborazione speculativa alla tradizione scolastica antecedente,<br />

non di meno, tutto sommato, costituiva veramente un nuovo modo<br />

di concepire la sintesi teologica con un metodo suo proprio che<br />

non coincideva, assolutamente parlando, con l'antico metodo scolastico<br />

come appare, per esempio, in San Tommaso.<br />

Nuove tendenze<br />

<strong>Il</strong> nuovo compito positivo, aggiunto a quello speculativo e caratteristico<br />

<strong>della</strong> nuova concezione <strong>della</strong> teologia, astrattamente<br />

parlando, avrebbe potuto svilupparsi ed essere portato a compimento<br />

in diversi modi. Effettivamente però, si concretizzò in un<br />

ideale ben determinato. Tutta la teologia cattolica tridentina e<br />

postridentina fu innegabilmente dominata dalla necessità <strong>della</strong> difesa<br />

contro l'attacco protestante. La preoccupazione apologetica,<br />

che è uno dei compiti di ogni scienza, passò allora nettamente in<br />

prima linea per la necessità pratica delle circostanze. La sollecitudine<br />

predominante nel modo di concepire la sintesi teologica e<br />

di trattare le singole questioni e come l'ideale a cui tutto tendeva<br />

di fatto, fu dunque il seguente: prima di vedere ciò che può la ragione<br />

filosofica intorno ai diversi dogmi e alle diverse dottrine proposte<br />

dalla Chiesa — argomento di ragione, « ex ratione » nel quale<br />

i positivo-scolastici trasformano l'antico compito speculativo, degli<br />

scolastici — provare per ogni singola questione, contro i nuovi<br />

negatori, e ciò in modo apodittico e con l'aiuto <strong>della</strong> sola filologia<br />

e <strong>della</strong> sola storia, che quegli stessi dogmi proposti dal magistero<br />

sono veramente contenuti nella Scrittura o nella tradizione tramandataci<br />

dagli Apostoli e sono sempre stati insegnati come tali<br />

dalla Chiesa. Questo fu almeno l'ideale cui tendeva, coscientemente<br />

o incoscientemente, tutta quella teologia, nel suo nuovo compito<br />

positivo.<br />

E si noti bene che quest'aspirazione tendeva a presentare dalle<br />

fonti, Scrittura o tradizione tramandata dagli Apostoli, e precisamente<br />

con l'aiuto <strong>della</strong> sola storia e filologia, e, inoltre, direttamente<br />

per ogni singola questione discussa, una prova apodittica dell'apostolicità<br />

di ogni dottrina insegnata dalla Chiesa, in modo da<br />

dimostrare, per la predetta via, che l'accusa protestante di novità<br />

era infondata. Di lì viene il fine perseguito da quegli autori di<br />

3 Ponete principia.


MELCHIOR CANO 515<br />

fornire una catena di testimonianze che provino con la sola storia<br />

che una data dottrina è stata ininterrottamente insegnata nella<br />

Chiesa sin dal tempo degli Apostoli. Le testimonianze a catena sono<br />

caratteristiche di questo tipo di teologia. È l'ideale <strong>della</strong> prova<br />

diretta e puramente storica per ogni dottrina <strong>della</strong> perpetuità<br />

<strong>della</strong> tradizione 4 .<br />

Melchior Cano<br />

Questo modo di concepire le cose andò formandosi pian piano,<br />

già prima del concilio di Trento, nelle prime polemiche con i protestanti.<br />

Ma si deve a Melchior Cano 5 l'onore di avere esplicitamente<br />

elaborato la metodologia di questo tipo di teologia nella sua nota<br />

opera « De locis theologicis » ". Praticamente tutto lo sforzo di<br />

Cano in questa opera tende ad insegnare al teologo come, per<br />

ogni questione, debba anzitutto « porre i princìpi », prima di passare<br />

all'elaborazione speculativa <strong>della</strong> dottrina mediante l'uso <strong>della</strong><br />

dialettica e <strong>della</strong> filosofìa. I « luoghi teologici » sono appunto per<br />

Cano anzitutto quelle fonti il cui esame permetterà al teologo<br />

di porre saldamente i princìpi nel <strong>senso</strong> predetto. Egli, com'è<br />

noto, ne enumera dieci 7 ; ma non fa menzione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Dopo Cano questo concetto generale <strong>della</strong> teologia prese enorme<br />

sviluppo e portò quei frutti che si ammirano nella magnifica<br />

fioritura postridentina. Dapprima la parte scolastica speculativa continuò,<br />

come nel passato, ad essere maggiormente sviluppata dai<br />

grandi commentatori postridentini di S. Tommaso 8 ; ma poi si fece<br />

4 Naturalmente, non si nega affatto che, in parecchie questioni allora discusse<br />

coi protestanti, tale ideale si potesse raggiungere, per lo meno assai da<br />

vicino. Si dubita solo di due cose: se tale ideale era veramente raggiungibile per<br />

ogni questione discussa; e se non fosse stato più efficace portare la discussione<br />

coi protestanti in primo luogo sulla questione del criterio prossimo <strong>della</strong> fede<br />

nella religione cristiana, e di dimostrar loro, sulla base <strong>della</strong> Scrittura, già alla<br />

luce <strong>della</strong> semplice filologia, <strong>della</strong> critica e <strong>della</strong> storia, che questo criterio non<br />

può essere la ragione individuale, né filosofica, né storica, ma il solo magistero<br />

infallibile <strong>della</strong> Chiesa gerarchica. Messo al sicuro questo primo punto, si dovevano<br />

distinguere le questioni discusse: per quelle nelle quali l'apostolicità e<br />

la perpetuità <strong>della</strong> tradizione poteva essere dimostrata apoditticamente anche<br />

per sola via storica, si sarebbe potuto ricorrere anche a questa via; per le altre,<br />

invece, nelle quali tale dimostrazione non era possibile, si doveva ricorrere all'autorità<br />

del magistero e alla legittimità e necessità dello sviluppo dei dogmi.<br />

s Morto nel 1560.<br />

8 Prima edizione postuma del 1563.<br />

7 Ma non fa questione di numero preciso. Tra questi loci, due contengono<br />

la rivelazione: la Scrittura e la tradizione; cinque l'interpretano: la Chiesa (intendi<br />

il popolo cristiano), i concili, la Chiesa Romana, i Padri, i teologi scolastici.<br />

I tre ultimi sono loci che aiutano solo ad elaborare ed interpretare ulteriormente:<br />

la ragione umana, la filosofia, la storia umana. Come è noto, i teologi<br />

posteriori riducono questi loci a quattro: magistero. Scrittura, tradizione,<br />

ragione.<br />

» Come B. Medina (m. 1581), D. Baflez (m. 1604), D. Alvarez (m. 1635), T. di<br />

Lesmos (m. 1629), P. di Ledesma (m. 1616), Giovanni da S. Tommaso (m. 1644),


516 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

sempre più frequente e abbondante il ricorso alla Scrittura, ai<br />

Padri, ai teologi anteriori nonché la discussione diretta con i protestanti,<br />

nelle « disputatìones » che si aggiunsero ai commentari<br />

propriamente detti del testo di S. Tommaso o che si svolsero<br />

addirittura separatamente come genere a sé stante senza riguardo<br />

diretto al testo <strong>della</strong> Somma 9 . Anzi con l'opera : « Theologicorum<br />

dogmatum tomi IV » di Dionigi Petavio 10 l'aspetto positivo <strong>della</strong><br />

nuova teologia viene direttamente e separatamente elaborato. Petavio<br />

ebbe la mira di ricostruire tutta la teologia semplicemente<br />

dai Padri; o, meglio, fu sull'aspetto patristico delle questioni teologiche,<br />

elaborato con la massima scrupolosità di metodo critico e<br />

storico, obiettivo ed imparziale di cui si era allora capaci, che<br />

egli portò tutto il suo sforzo. In questo <strong>senso</strong> è giustamente considerato<br />

come il fondatore <strong>della</strong> teologia semplicemente positiva<br />

perché fu il primo a coltivare questo aspetto separatamente da<br />

quello scolastico e secondo quelle che a quel momento potevano<br />

essere le più strette esigenze del metodo critico e storico. Ebbe,<br />

come si sa, parecchi ed esimi continuatori u alcuni dei quali, come<br />

i Maurini e il Muratori, presero a investigare con grande frutto<br />

l'aspetto storico di tutta la vita dell'antica chiesa in genere innalzando<br />

monumenti imperituri d'erudizione.<br />

Liturgia storica<br />

In tutto questo fiorire di studi storici occasionato, in buona<br />

parte, dalla necessità <strong>della</strong> polemica protestante, le ricerche liturgiche<br />

non rimasero indietro. Sin dal secolo XVI e dal principio<br />

del XVII, contro gli attacchi protestanti, più immediatamente diretti<br />

contro le cerimonie e gli usi liturgici <strong>della</strong> Chiesa, in specie<br />

<strong>della</strong> messa, si levò una schiera di difensori cattolici. Tra questi<br />

alcuni ricorrevano a un genere di discussioni piuttosto teorico,<br />

altri invece s'inoltravano già sul terreno più direttamente storico,<br />

con pubblicazione di documenti antichi e con commentari. A questo<br />

secondo gruppo appartengono, per esempio, Corrado Braun,<br />

alcuni studi di Maldonado e di Bellarmino, e specialmente il Coeleo<br />

con la sua raccolta: Speculum antiquae devotionis circa Missam<br />

et omnem alium cultum Dei (1549) e Melchiorre Hittorp con<br />

il suo corpus di liturgie medievali intitolato: De catholicae ecclesiae<br />

divinis officiis ac ministeriis, varii vetustiorum aliquot ecclesiae<br />

Patrum ac scriptorum libri 12 .<br />

i salmaticensi (1631-1701), F. Toleto (m. 1596), G. di Valentia (m. 1603), F. Suarez<br />

(m. 1617), Vasquez (m. 1604), Molina (m. 1600), Martinez di Ripalda (m. 1648),<br />

Giovanni de Lugo (m. 1660), L. Lessio (m. 1623).<br />

9 Per esempio, già in parecchie opere del Suarez, poi nelle Controversie<br />

di Bellarmino.<br />

10 Prima ed. del 1644-50.<br />

11 Per es., L. Thomassin (m. 1695), J. Morin (m. 1695), J. Habert (m. 1668).<br />

12 Colonia 1568. Per maggiori particolari vedi, per es., RIGHETTI, I 68 s.


LITURGIA NEI SECOLI XVII-XVIII 517<br />

Cominciava così a nascere la scienza liturgica storica moderna<br />

che ebbe magnifico sviluppo nel secolo XVII e XVIII con una serie<br />

di eruditi di primissima grandezza: sia editori di testi orientali<br />

e occidentali come il Goar, il Mabillon, Eusebio Renaudot, Martène,<br />

il Muratori, i due Assemani Giuseppe Simone e Giuseppe<br />

Luigi, per fare il nome solo dei più noti; sia commentatori e autori<br />

di monografie storico-liturgiche o intorno a materie molto connesse<br />

con la <strong>liturgia</strong> come Leone Allazio, Giovanni Morin, il cardinale<br />

Bona, Luigi Thomassin, M. Gerbert, Giovanni Grandcolas, Benedetto<br />

XIV, Giuseppe Catalani, per attenerci anche qui ai più noti 13 .<br />

Liturgia e teologia nei positivo-scolastici<br />

È normale aspettarsi che il campo <strong>teologico</strong> e la lotta che<br />

in esso si menava contro i protestanti beneficiasse di queste nuove<br />

conoscenze liturgiche. Ma, a parte i primi generici risultati nella<br />

polemica contro i protestanti, come si possono vedere, per esem<br />

pio, in Bellarmino, fu solo verso la metà del secolo XVII che cominciarono<br />

i primi tentativi un po' consistenti per assumere il<br />

nuovo materiale liturgico nella teologia positivo-scolastica; o per<br />

lo meno per costruire una specie di teologia liturgica, illustrando,<br />

in controversia contro i protestanti, tutta una serie di questioni<br />

teologiche dalla <strong>liturgia</strong>, come Petavio aveva tentato d'illustrare<br />

tutta la teologia dai Padri.<br />

Su questa via s'era messo, sin dal 1657, Francesco Carrière,<br />

nella sua opera: Fidei catholicae digestum singula eius dogmata<br />

et ritus iuxta SS. Patrum et Conciliorum doctrinam exacte declarans.<br />

Leone Allazio e Antonio Arnaud, presso a poco alla stessa<br />

epoca, danno notevole importanza alla <strong>liturgia</strong>, il primo nel suo<br />

intento di dimostrare la perpetua comunanza di fede tra la vera<br />

tradizione orientale e occidentale, anche contro i protestanti, e<br />

il secondo, più direttamente contro i novatori, nella sua opera<br />

sulla perpetuità <strong>della</strong> fede intorno all'eucaristia 14 . Anche Bossuet,<br />

nella sua controversia contro i protestanti cominciando dal 1677 circa,<br />

e nella sua controversia con i quietisti, si appella volentieri all'argomento<br />

preso dalla <strong>liturgia</strong>.<br />

Circa la metà del secolo XVIII il ricorso alla <strong>liturgia</strong> per provare<br />

secondo il concetto positivo scolastico i dogmi <strong>della</strong> Chiesa,<br />

sempre con intenzione antiprotestante, prese notevole voga. Nel<br />

1748 il Muratori premetteva alla sua opera Liturgia romana vetus<br />

una lunga dissertazione in cui provava dalla <strong>liturgia</strong> degli antichi<br />

sacramentari romani una serie di dogmi specialmente intorno al-<br />

13 Vedi, per es.. RIGHETTI, I 70 ss.<br />

14 L. ALLATIUS, De ecclesiae occidentalis et orientalis perpetua consensione,<br />

Coloniae Agrippinae 1648; A, ARNAUD, La perpetuiti de la foi sur l'eucharistie,<br />

3 volumi 1669-74.


518 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

l'eucaristia 15 . Nel 1767 J. B. Gener nei sei volumi <strong>della</strong> sua: Theologia<br />

dogmatico-scholastica... sacra, antìquitatis monumentis illustrata<br />

ie , per ogni questione, prima esponeva il dogma secondo il modo<br />

scolastico, poi lo illustrava dalle iscrizioni, dalla <strong>liturgia</strong>, dalla numismatica,<br />

dai sigilli, ecc. Nel 1769 G. C. Trombelli iniziava la pubblicazione<br />

di un Tractatus de sacramentis per polemicas et liturgicas<br />

dissertationes distributi nel quale trattò del battesimo, <strong>della</strong><br />

cresima, dell'estrema unzione e del matrimonio ".<br />

Finalmente, F. A. Zaccaria cercò di sistematizzare tutta la materia<br />

che la <strong>liturgia</strong> poteva fornire al teologo propriamente detto.<br />

Nella seconda dissertazione premessa al tomo primo <strong>della</strong> sua<br />

Bibliotheca ritualis 18 tratta, come abbiamo già accennato nel capitolo<br />

precedente, del valore <strong>teologico</strong> in genere <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e delle<br />

regole che deve osservare il teologo quando ne fa uso. In diciotto<br />

corollari al capitolo quinto passa in rassegna quasi tutte le principali<br />

questioni teologiche dogmatiche e fa vedere come la dottrina<br />

cattolica in ognuna di esse può essere confermata o dimostrata<br />

dalla <strong>liturgia</strong>. Così si provano dalla <strong>liturgia</strong>: la rivelazione del<br />

mistero <strong>della</strong> Trinità; la divinità del Verbo contro gli ariani e<br />

i sociniani; la divinità dello Spirito Santo contro i macedoniani;<br />

la vera divinità e la vera umanità di Cristo; la realtà del suo corpo;<br />

la verginità di Maria; il primato di S. Pietro e del Papa; l'infallibilità<br />

<strong>della</strong> Chiesa; la superiorità dei vescovi sui sacerdoti; la necessità<br />

<strong>della</strong> grazia contro i pelagiani e i semipelagiani; il peccato originale.<br />

Si prova anche, in specie, contro i protestanti: che la confermazione<br />

è un sacramento; che la messa è un vero sacrifìcio incruento;<br />

la reale presenza di Cristo nell'eucaristia; la transustanziazione;<br />

il purgatorio; il culto e l'invocazione dei santi.<br />

Arrivati a questo punto ci si chiede quale sia stato il risultato<br />

di questa elaborazione del contenuto <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> presso<br />

i teologi sistematici sintetici propriamente detti — dei precedenti<br />

solo Gener può più o meno essere considerato come tale; gli altri,<br />

compreso lo stesso Zaccaria, sono piuttosto dei monografisti storici<br />

che fanno qualche puntata nel campo <strong>teologico</strong>. Si sa che<br />

il secolo XVIII, dal punto di vista <strong>della</strong> teologia speculativa e <strong>della</strong><br />

grande teologia sintetica generale, fu un secolo di notevole<br />

decadenza. Gli stessi nomi più quotati, come Billuart, Gotti, Tournely,<br />

comparati ai grandi scolastici postridentini fanno figura -di<br />

epigoni. Però proprio in questi epigoni si devono riconoscere gli<br />

antenati immediati dei nostri moderni manualisti. Furono essi<br />

che cominciarono a scrivere dei « corsi » concepiti a modo di ma-<br />

15 Venezia 1798 I pp. 101-288. Nel 1759 M. GERBERT pubblicò un'opera dal<br />

titolo: Principia theolagiae liturgicae. Ma è piuttosto un manuale di <strong>liturgia</strong>.<br />

In altre opere (Theologia generate, di cui facevano parte i Principia theologiae<br />

liturgicae) Gerbert citò spesso testi dalla <strong>liturgia</strong>.<br />

36 Roma 1767.<br />

17 Anche altre opere del T-ombelli hanno interesse dal punto di vista liturgico,<br />

come due opere sul culto dei santi e una sul culto <strong>della</strong> Madonna.<br />

18 Roma 1767 p. XXV-LIV: De iure liturgico.


LITURGIA NEI TEOLOGI DEL SECOLO XVIII 519<br />

nuali sistematici nei quali si sforzavano di riassumere e di armonizzare:<br />

positiva, scolastica, polemica e spesso anche pietà.<br />

Qual è il posto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in questi corsi? Billuart, Gotti,<br />

Tournely scrissero prima <strong>della</strong> metà del secolo, in specie prima<br />

dello Zaccaria. Sarebbe forse troppo pretendere che essi abbiano<br />

approfittato del materiale <strong>teologico</strong> liturgico sparso negli autori<br />

antecedenti. Ed infatti facciamo le seguenti costatazioni: nel De<br />

locis theologicis, che questi autori spiegano seguendo più o meno<br />

Cano, non si fa cenno alla <strong>liturgia</strong>. Negli altri trattati la <strong>liturgia</strong><br />

ha lasciato le seguenti principali tracce: nel trattato dei sacramenti<br />

fanno un accenno ai riti e alle cerimonie che la Chiesa usa<br />

nell'amministrazione dei sacramenti. Difendono contro i protestanti<br />

il potere <strong>della</strong> Chiesa in questa materia, la liceità e l'obbligatorietà<br />

dell'osservanza di queste cerimonie; toccano anche la questione<br />

<strong>della</strong> lingua volgare. Nel trattato dei sacramenti in genere trattano<br />

le questioni in genere. Poi, alla fine del trattato del battesimo, <strong>della</strong><br />

cresima e dell'eucaristia, fanno lo stesso in specie, rispetto ad<br />

ognuno di questi sacramenti. È così, per esempio, che, alla fine<br />

del trattato dell'eucaristia, trattano <strong>della</strong> liceità <strong>della</strong> messa bassa,<br />

del tempo <strong>della</strong> celebrazione, delle vesti sacerdotali, delle principali<br />

cerimonie <strong>della</strong> messa, di cui talvolta spiegano anche brevemente<br />

la struttura liturgica essenziale. Nello stesso trattato sull'eucaristia<br />

difendono anche contro i protestanti la comunione<br />

sotto una specie, l'uso di versare una goccia d'acqua nel calice,<br />

il culto dell'eucaristia come si pratica nella Chiesa, le preghiere e<br />

l'applicazione <strong>della</strong> messa per i defunti e diversi altri particolari.<br />

Donde proviene questo materiale? È esso, almeno in parte<br />

notevole, frutto degli studi liturgici precedenti a cui si è sopra<br />

fatto cenno? Non è affatto necessario supporlo. Questi teologi sistematici<br />

in tutto questo non fanno altro che seguire la tradizione<br />

dello stesso S. Tommaso, che negli stessi trattati toccava appunto<br />

le medesime questioni 19 . Vi aggiungono uno spunto di polemica<br />

antiprotestante seguendo, in modo molto generico, le decisioni<br />

esplicite del Concilio di Trento intorno alle stesse materie 20 .<br />

Maggiore influsso degli studi storici liturgici antecedenti, o<br />

almeno degli studi storici connessi anche con la <strong>liturgia</strong>, si nota,<br />

presso questi autori, quando trattano le questioni <strong>della</strong> materia<br />

e <strong>della</strong> forma, del ministro e del soggetto dei singoli sacramenti,<br />

nelle quali danno anche parecchi particolari sullo sviluppo <strong>della</strong><br />

prassi ecclesiastica in queste materie sia in oriente che in occidente,<br />

facendolo talvolta con esplicite digressioni storiche ". Se<br />

a questo si aggiungono diverse allusioni alla <strong>liturgia</strong>, tanto brevi<br />

e generiche, quanto ovvie, anzi inevitabili, in alcuni altri trattati<br />

— come alla festa <strong>della</strong> Concezione <strong>della</strong> Madonna o dell'Assun-<br />

11 La cosa sarà meglio spiegata sotto. Vedi per es., Summa III q 66 a 10;<br />

70; 71; 72 a 12; 83; Suppl. 28.<br />

2» Vedi Denz. 1613; 1643; 1645-61; 1726-59 (856; 878; 879-93; 930-56).<br />

21 Per es., sul catecumenato; sulla penitenza pubblica e privata.


520 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

zlone, o all'uso ecclesiastico dell'invocazione e venerazione dei<br />

santi o <strong>della</strong> venerazione delle reliquie e delle immagini — si avrà<br />

un'idea del posto quantitativo che occupa la <strong>liturgia</strong> in queste sintesi<br />

teologiche generali. <strong>Il</strong> quale posto può sembrare notevole in<br />

paragone ai nostri odierni manuali, ma considerato in sé è evidentemente<br />

poca cosa.<br />

Se poi si considera la questione essenziale dell'aspetto formale<br />

e come dell'angolo visuale preciso sotto il quale questi autori<br />

considerano la <strong>liturgia</strong> per quel tanto che l'ammettono nelle loro<br />

sintesi, è facile vedere che predomina immensamente il punto di<br />

vista direttamente polemico contro i protestanti. Quasi tutte le<br />

questioni liturgiche o in connessione con la <strong>liturgia</strong> di cui si<br />

occupa questa teologia sono considerate anzitutto e quasi unicamente<br />

nella preoccupazione di respingere le asserzioni protestanti<br />

in queste materie. I punti di vista possibili che non entrano in<br />

discussione con i protestanti non sono considerati. In questa polemica<br />

contro i protestanti poi l'ideale cui si tende, oltre ad alcune<br />

considerazioni d'ordine teorico, è anzitutto: mostrare l'antichità,<br />

anzi l'apostolicità, del punto attaccato.<br />

Si sarebbe potuto credere che nei teologi sintetici che scrissero<br />

dopo lo Zaccaria, la situazione sarebbe notevolmente cambiata<br />

a favore <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. In realtà questo non avvenne, eccettuato<br />

il fatto che alcuni teologi — non tutti — nel trattato De locis<br />

theologicis fecero menzione anche <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel <strong>senso</strong> dello<br />

Zaccaria. Ma la menzione che la <strong>liturgia</strong> era riuscita così a conquistarsi<br />

nel trattato generale di metodologia teorica non migliorò<br />

gran che, in pratica, la sua situazione nel resto <strong>della</strong> teologia, nemmeno<br />

presso gli stessi teologi che l'avevano accolta in quel trattato<br />

introduttorio.<br />

Tipico, da questo punto di vista, il caso di Perrone. Le Praelectiones<br />

theologicae di questo autore (prima ed. in 9 volumi, 1835-<br />

42) hanno per noi particolare importanza: anzitutto perché nel<br />

modo di concepire il lavoro <strong>teologico</strong> e nell'informazione, derivano<br />

immediatamente dai corsi positivo-scolastici del secolo XVIII che<br />

compendiano e riducono al tipo manuale sempre più vicino a quello<br />

odierno; poi perché le Praelectiones di Perrone sono, a loro<br />

volta, la fonte e il modello da cui derivano la stragrande maggioranza<br />

dei nostri odierni manuali, i- quali, aggiornandone più o<br />

meno l'erudizione storica — e, dopo Leone XIII, anche la parte<br />

data a S. Tommaso — ne seguono essenzialmente lo schema ideale<br />

nel trattare le questioni teologiche, compendiando il tutto in pochi<br />

volumi di mole scolastica; finalmente perché le Praelectiones ebbero<br />

un'enorme diffusione 22 .<br />

Qual è dunque la situazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei trattati di Perrone?<br />

Nel trattato De locis theologicis egli ne fa espressa men-<br />

22 Nei 9 volumi primitivi ebbero 34 edizioni fino al 1888. Nella riduzione<br />

a Compendio (Praelectiones... in compendium redactae) in 5 e poi in 2 volumi,<br />

ebbero 47 edizioni fino al 1892.


LA LITURGIA IN PERRONE 521<br />

zione tra i « mezzi generali che ci trasmettono la primitiva tradizione<br />

dogmatica e per i quali questa si può sicuramente conoscere<br />

». Dopo il magistero <strong>della</strong> Chiesa, i concili, gli atti dei martiri,<br />

viene « la sacra <strong>liturgia</strong> », e dopo ancora : « la prassi <strong>della</strong> Chiesa<br />

nell'amministrazione dei sacramenti e nel culto religioso ». Anche<br />

in quest'ultima sezione si tratta <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Perrone l'ha separata<br />

dalla prima per una non retta concezione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> stessa.<br />

Si vede che l'autore ha dato uno sguardo allo Zaccaria e all'una o<br />

all'altra delle monografie a cui lo stesso Zaccaria rimanda. Egli<br />

esalta l'importanza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in teologia come teste <strong>della</strong> tradizione<br />

e <strong>della</strong> fede <strong>della</strong> Chiesa : « L'autorità <strong>della</strong> sacra <strong>liturgia</strong> è<br />

somma e la <strong>liturgia</strong> deve essere ritenuta quale teste, superiore<br />

ad ogni eccezione, <strong>della</strong> tradizione e <strong>della</strong> fede <strong>della</strong> Chiesa. Potrebbe<br />

negarlo solo colui che non pone mente che in essa parla<br />

la voce di tutte le Chiese e la testimonianza dei vescovi, dei sacerdoti,<br />

e parlano i voti, le leggi, i riti, la parola, i dogmi dello stesso<br />

popolo ». Indicate alcune regole per stimare l'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

nei singoli casi. — Perrone insiste sull'unanimità delle liturgie<br />

in un determinato punto — aggiunge che nella <strong>liturgia</strong> sono<br />

affermati quasi tutti i dogmi <strong>della</strong> Chiesa. E ne fa un'enumerazione<br />

sommaria seguendo il titolo dei « corollari » dello Zaccaria.<br />

Dice anche in specie che dalla prassi liturgica <strong>della</strong> Chiesa nell'amministrazione<br />

dei sacramenti si può ricavare una testimonianza<br />

pubblica, perenne, universale e costante <strong>della</strong> tradizione dogmatica<br />

intorno al numero, l'efficacia, gli effetti particolari dei sacramenti<br />

e le disposizioni requisite per riceverli 23 .<br />

Dopo queste dichiarazioni lusinghiere per l'importanza teologica<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, si potrebbe credere che nel corso dei diversi<br />

trattati di Perrone il suo uso sia notevolmente abbondante. In realtà,<br />

anche nella stessa quantità, non supera gran che l'uso che ne<br />

facevano Billuart, Gotti e Tournely. Anche Perrone nel trattato<br />

dei sacramenti in genere parla delle cerimonie liturgiche in genere<br />

nell'amministrazione dei sacramenti, per ribattere gli errori dei<br />

protestanti in questa materia. Fa altrettanto in specie delle cerimonie<br />

<strong>della</strong> messa alla fine del trattato dell'eucaristia, a proposito<br />

<strong>della</strong> quale ricorre anche alla <strong>liturgia</strong> per difendere, sempre contro<br />

i protestanti, la dottrina cattolica sulla presenza reale, il culto<br />

di adorazione dato all'eucaristia, il carattere propiziatorio del sacrificio<br />

<strong>della</strong> messa per i vivi e i defunti. Ricorse anche alla <strong>liturgia</strong><br />

per la liceità e l'utilità del culto dei santi e delle reliquie. Perrone<br />

crede anche di poter provare dalla <strong>liturgia</strong> il numero settenario dei<br />

sacramenti. Può essere che qua e là nei suoi trattati si trovi qualche<br />

altro ricorso alla <strong>liturgia</strong>. Non credo possa trattarsi di costatazioni<br />

che mutino l'essenza di quanto si diceva sopra: che, cioè,<br />

anche quantitativamente, Perrone non ha gran che di più del<br />

Billuart, Gotti o Tournely.<br />

23 Difatti, per Perrone, la forza dell'argomento liturgico risiede, in ultima<br />

analisi, nel fatto che esso prova l'apostolicità di una dottrina. Vedi nota seguente.


522 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

Anche dal punto di vista qualitativo, ossia dell'aspetto sotto il<br />

quale si fa menzione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in questi diversi casi, siamo sempre<br />

allo stesso punto, essenzialmente e direttamente polemico antiprotestante,<br />

degli autori dei secoli XVI-XVIII : dimostrare anche dalla<br />

<strong>liturgia</strong> che i protestanti errano quando negano i diversi punti <strong>della</strong><br />

dottrina cattolica. La <strong>liturgia</strong> in tutto questo serve a dimostrare l'apostolici<br />

tà <strong>della</strong> dottrina <strong>della</strong> Chiesa negata dai novatori 24 .<br />

E i teologi sintetici, o, come si dice abitualmente, dogmatici, dopo<br />

Perrone? <strong>Il</strong> P. Berthier, nel suo trattato De locis theologicis 25 dà<br />

notevole importanza alla <strong>liturgia</strong> come locus theologicus, ma non fa<br />

altro che riassumere Zaccaria e Perrone: inoltre, non ha scritto<br />

altri trattati dai quali si possa vedere come avrebbe messo in pratica<br />

quello che dice <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella metodologia generale.<br />

<strong>Il</strong> teologo dogmatico più notevole nella seconda metà dell'ottocento<br />

fu Franzelin, continuatore e perfezionatore del concetto di<br />

teologia del Perrone e di tutta la tradizione positivo-scolastica. Ma<br />

sta il fatto che Franzelin fa cadere quasi completamente l'uso <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> in teologia. Scrisse un notevolissimo trattato di metodologia<br />

teologica: De divina traditione et Scriptum 2 "; ma non trovo che vi<br />

dia qualche importanza alla <strong>liturgia</strong>. La nomina fra « i monumenti<br />

<strong>della</strong> tradizione », tra gli atti dei martiri e i libri penitenziali "; niente<br />

altro, per quanto mi consta. Scrisse anche un Trattato dei sacramenti<br />

in genere 28 ; ma anche lì non trovo nessuna menzione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Nel trattato dell'eucaristia : allusione all'argomento liturgico nella<br />

questione <strong>della</strong> presenza reale e del carattere propiziatorio <strong>della</strong><br />

messa 29 . Nel trattato <strong>della</strong> Chiesa 30 , niente sulla <strong>liturgia</strong>. Eppure<br />

Franzelin fu discepolo di Perrone che si preoccupò di aggiornare e<br />

perfezionare nel metodo positivo. È dunque segno che, su questo<br />

punto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, stimò riflessivamente dover lasciare cadere quell'attenzione<br />

che Perrone, in seguito ai teologi del secolo XVIII, le<br />

aveva ancora accordata.<br />

È noto che, dopo la parentesi in cui, nel primo quarto del secolo<br />

XX, il concetto di teologia positivo-scolastica fu alquanto relegato<br />

al secondo piano e fu invece rivalorizzato il concetto più puramente<br />

scolastico <strong>della</strong> teologia che venne semplicemente presentata nel quadro<br />

di commentari diretti <strong>della</strong> Somma di S. Tommaso ", i manualisti<br />

24 Tipico, per es., il modo di ragionare di Perrone sul numero settenario<br />

dei sacramenti: De sacr. in genere, ed. di Vienna 1843 voi. VII p. 240 n. 11. Stesso<br />

modo di ragionare sul valore probativo dell'epiclesi per la presenza reale, in<br />

quanto l'epiclesi deve essere d'origine apostolica: De eucharistia, ibid., p. 140;<br />

sul culto dei santi, voi. VI p. 279 s; sulle cerimonie in genere, ibid. VII p. 291<br />

n. 172. E chiaro che nel fondo dell'argomentazione di Perrone sta sempre una<br />

insufficiente considerazione dell'evoluzione dei dogmi.<br />

23 Torino 1900 pp. 424-440.<br />

2 e Prima ed. Roma 1870.<br />

2 ' Ed. del 1875 p. 165.<br />

28 Prima ed. Roma 1868.<br />

2» Roma ed. del 1899 p. 83 s; 365-67.<br />

3° Theses de Ecclesia Christi, Roma 1887.<br />

31 Come, per es., L. Janssens e L. Billot.


LITURGIA NEI TEOLOGI MANUALISTI 523<br />

ritornarono sostanzialmente al concetto positivo scolastico di Perrone<br />

e di Franzelin. Aggiornarono però i loro compendi in due punti : anzitutto,<br />

nell'aspetto positivo, tutti si sforzarono con maggiore o minore<br />

successo di seguire i progressi degli studi storici e critici, nonché<br />

di aggiungere alla confutazione dei vecchi protestanti la confutazione<br />

dei liberali tipo Harnack e dei modernisti; inoltre, svilupparono più<br />

sostanzialmente di quanto avevano fatto Perrone e lo stesso Franzelin<br />

l'aspetto speculativo o scolastico tradizionale con un contatto più<br />

profondo e continuo con il testo stesso <strong>della</strong> Somma: felice frutto<br />

del rinato tomismo filosofico sotto Leone XIII. È questa la genealogia<br />

<strong>della</strong> quasi totalità degli odierni manuali di teologia.<br />

I più noti, quelli che hanno servito a formare alla scienza teologica<br />

generazioni intere di chierici, sono, per esempio: Tanquerey,<br />

Pesch, van Noort, Bartmann, Hervé, Diekamp. La posizione di questi<br />

manuali riguardo alla <strong>liturgia</strong> è sostanzialmente questa: generalmente:<br />

sua ammissione tra i loci theologici, per lo più con semplice<br />

menzione e senza nessuna o con brevissima .spiegazione <strong>della</strong> sua<br />

natura e del suo uso in teologia. Allusione alle feste liturgiche <strong>della</strong><br />

Concezione e dell'Assunzione <strong>della</strong> Madonna nelle questioni relative<br />

all'Immacolata Concezione e all'Assunzione. Nuova menzione <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> quando si parla dei sacramentali, a proposito dei quali si dice<br />

che tutta la <strong>liturgia</strong> può essere considerata come un sacramentale.<br />

Poi, nel trattato dei sacramenti in specie, a proposito di ogni sacramento,<br />

ogni tanto : allusioni a fatti liturgici nella questione <strong>della</strong> materia<br />

e <strong>della</strong> forma di ognuno. Ricorso un po' più abbondante alla<br />

<strong>liturgia</strong> nel trattato sull'eucaristia, con brevi allusioni nella questione<br />

<strong>della</strong> presenza reale, del culto dovuto all'eucaristia, del valore propiziatorio<br />

del sacrificio <strong>della</strong> messa per i vivi e per i defunti. Nuova<br />

allusione alla <strong>liturgia</strong> nella questione del culto dei santi, delle reliquie<br />

e delle immagini e nella questione dell'esistenza del purgatorio.<br />

Ecco, press'a poco, tutto quello che si può rilevare ' 2 .<br />

Se poi cerchiamo di renderci conto quale sia l'angolo visuale<br />

determinante sotto il quale questi manualisti s'interessano alla <strong>liturgia</strong>,<br />

la conclusione è sempre la stessa: ci s'interessano unicamente,<br />

o quasi unicamente *\ come a un elemento che manifesta la tradizione<br />

e questo in vista di provare, contro i protestanti, i razionalisti<br />

82 Tanquerey, probabilmente per la sua tendenza eclettico-pratica, è, per<br />

quanto mi consta, più generoso degli altri manualisti. Sviluppa un po' più la<br />

questione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> locus theologicus e conserva ancora, dalla tradizione<br />

scolastica e positivo-scolastica del secolo XVIII e di Perrone, le questioni dei<br />

riti del battesimo, <strong>della</strong> cresima, <strong>della</strong> messa, dell'estrema unzione, alla fine<br />

dei rispettivi trattati.<br />

33 Dico quasi, per scrupolosità d'esattezza e per riservare il caso possibile<br />

che, in qualche punto,, si faccia allusione alla <strong>liturgia</strong> come teste dell'insegnamento<br />

del magistero attuale e vivo. Se questo caso esiste, è certo rarissimo. I teologi,<br />

per dimostrare che la « tesi » formulata è veramente la dottrina <strong>della</strong> Chiesa,<br />

non ricorrono alla <strong>liturgia</strong>, ma alle definizioni del magistero straordinario (a<br />

quello di Trento, nelle questioni discusse coi protestanti) o a qualche definizione<br />

ex cathedra, come in mariologia.


524 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

tipo Harnack e i modernisti, l'apostolicità, o per lo meno la grande<br />

antichità, <strong>della</strong> dottrina oggi proposta dal magistero.<br />

Comunque, la conclusione di questa inchiesta sul posto che ha<br />

effettivamente la <strong>liturgia</strong> nella teoria e nella prassi <strong>della</strong> teologia<br />

positivo-scolastica, in specie dei manuali di teologia dogmatica che<br />

vanno ancora per le mani di tutti, non può essere che una : nella realtà<br />

delle cose come appare presso coloro che sono teologi di mestiere,<br />

siamo molto, ma molto lontani dalla <strong>liturgia</strong> « locus theologicus<br />

praestantissimus » o anche solo « locus theologicus praestans » conclamato<br />

dai liturgisti cominciando dal secolo XVII 34 , e a cui, talvolta,<br />

hanno fatto eco, si direbbe come per distrazione, anche alcuni teologi<br />

propriamente detti 35 . Certo, il chierico che ha studiato la teologia<br />

nei manuali positivo scolastici, alla fine dei suoi studi non avrà nessuna<br />

idea concreta <strong>della</strong> prestanza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella costruzione<br />

<strong>della</strong> sintesi teologica generale.<br />

Anzi, arrivati a questo punto, non si vede come alla riflessione<br />

si possa evitare questo dilemma: o i teologi positivo-scolastici, in<br />

specie i manualisti, sono stati molto deficienti nell'assimilare, nella<br />

loro sintesi generale, il materiale <strong>teologico</strong> liturgico che i liturgisti<br />

avevano messo a loro disposizione e che essi, i teologi positivo-scolastici,<br />

seguendo le leggi <strong>della</strong> loro stessa disciplina avrebbero potuto<br />

e dovuto incorporare nella loro costruzione con suo vero vantaggio;<br />

oppure, nell'espressione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> locus theologicus praestans<br />

vi è un equivoco. In questo caso, i teologi sintetici, gente di mestiere<br />

con le mani in pasta, conoscendo per un verso molto più esattamente<br />

dei liturgisti, teologi d'occasione, ogni singola questione teologica e<br />

l'utilità reale che in essa si può ricavare dal ricorso alla <strong>liturgia</strong>,<br />

e vedendo, per l'altro, dai fatti concreti, che questa utilità si riduce,<br />

in fondo, a ben poca cosa, hanno lasciato i liturgisti proclamare la<br />

teoria <strong>della</strong> prestanza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come locus theologicus e, in pratica,<br />

com'era il loro diritto, anzi, dovere, non ne hanno tenuto nessun<br />

conto. Qual è vera di queste due alternative?<br />

34 A questa formula si possono ridurre le affermazioni dei liturgisti sìa<br />

dei secoli XVII-XVIII, sia recenti. Vedi alcune di queste formule riportate da<br />

PH. OPPENHEIM, Principia theologiae liturgicae p. 108 ss, di Zaccaria, Renaudot,<br />

Languet, Beauduin. Lo stesso Oppenheim; p. 72: locus theologicus praestans.<br />

35 Come Bossuet e Perrone (maximi faciendam esse) citati dallo stesso<br />

Oppenheim 1. e. p. <strong>Il</strong>i s.


L'IDEALE POSITIVO-SCOLASTICO 525<br />

3. SE L'IDEALE POSITIVO-SCOLASTICO DELLA <strong>TEOLOGIA</strong><br />

PERMETTE L'ASSIMILAZIONE,<br />

IN <strong>TEOLOGIA</strong> SINTETICA GENERALE,<br />

DEL MATERIALE TEOLOGICO INCLUSO NELLA LITURGIA<br />

La prima questione che bisogna esaminare è se i teologi positivo<br />

scolastici, secondo le esigenze del concetto di teologia che sta alla<br />

base del loro lavoro, potevano e dovevano — possono e devono —<br />

incorporare molto più abbondantemente di quanto fecero o fanno e<br />

con vero vantaggio <strong>della</strong> loro teologia, il materiale <strong>teologico</strong> liturgico<br />

messo a loro disposizione dai liturgisti.<br />

L'ideale positivo-scolastico <strong>della</strong> prova apologetica dalle fonti<br />

Ricordiamoci anzitutto che, nella parte detta « positiva », l'ideale<br />

<strong>teologico</strong> <strong>della</strong> positivo-scolastica è di dimostrare, apoditticamente e<br />

direttamente per ogni singola questione, con metodo puramente critico<br />

e storico, di modo che la conclusione debba imporsi anche contro<br />

i protestanti, i razionalisti, i modernisti, che la dottrina enunziata<br />

nella « tesi » è, almeno sostanzialmente, d'origine apostolica e non è<br />

una novità <strong>della</strong> Chiesa. E importante per il nostro scopo essere ben<br />

sicuri che questo è veramente l'ideale <strong>della</strong> positivo-scolastica nella<br />

parte positiva. Quest'ideale, più o meno chiaramente espresso sin<br />

dal secolo XVI e XVII, lo è riflessivamente e con ogni desiderabile<br />

chiarezza negli autori del secolo XIX e odierni, come si può vedere,<br />

per esempio, in Franzelin, Scheeben, Pesch, van Noort, Diekamp 3e .<br />

Valgano per tutti le tipiche affermazioni di Tanquerey : « La positiva<br />

è quella che rileva dalle fonti <strong>della</strong> rivelazione le singole verità<br />

che si devono credere, le espone e le dimostra con argomenti presi<br />

dalla Scrittura e dalla tradizione » 37 . Che Tanquerey intenda nel <strong>senso</strong><br />

sopra spiegato il compito di quella dimostrazione dalla Scrittura e<br />

dalla tradizione, lo provano, per esempio, i seguenti testi : « Alla teologia<br />

positiva si riferiscono la teologia biblica e la teologia storica.<br />

La teologia biblica investiga le dottrine come si possono trovare nella<br />

Scrittura sola, mediante la critica e l'esegesi... La teologia storica<br />

ricava ed espone la dottrina cattolica, non solo dalla Scrittura, ma<br />

anche dai Padri, dai concili e dagli altri documenti <strong>della</strong> tradizione 3 \<br />

36 FRANZELIN, De divina traditione et Scriptura, Roma 1875 p. 3; SCHEEBEN,<br />

Handbuch der kath. Dog. I 1927 p. 389; PESCH, Institutiones propedeuticae ad<br />

theologiam 1903 p. 9 s n. 23; p. 11 s n. 27 s; VAN NOORT, Tractatus de fontibus<br />

revelationis 1911 p. 4 s; DIEKAMP, Manuale... I 1932 p. 3 n. 3; 4; 8.<br />

37 De vera religione, De Ecclesia, De fontibus revelationis 1922 p. 5.<br />

38 La <strong>liturgia</strong> per Tanquerey è uno di questi documenti <strong>della</strong> tradizione,<br />

vedi ibid. pp. 618; 640 ss.


526 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

coll'intento di dimostrare che i dogmi che ora sono proposti dalla<br />

Chiesa alla nostra fede, sono sostanzialmente gli stessi che furono<br />

predicati dagli Apostoli e da Cristo. Essa differisce così dalla teologia<br />

positiva, in quanto questa fa meno attenzione all'ordine cronologico,<br />

e dalla storia dei dogmi in quanto questa descrive il progresso <strong>della</strong><br />

dottrina cristiana senza voler per altro dimostrare la sua unità e<br />

identità con la rivelazione primitiva » 39 . Tra teologia positiva e storica<br />

per Tanquerey vi è dunque solo differenza accidentale : che la teologia<br />

positiva fa meno attenzione all'ordine cronologico; del resto l'una e<br />

l'altra hanno per scopo di dimostrare l'identità, almeno sostanziale,<br />

<strong>della</strong> dottrina oggi predicata dalla Chiesa con la rivelazione primitiva<br />

contenuta nella Scrittura e nella tradizione apostolica.<br />

Che poi questa prova, nella mente di Tanquerey, debba farsi per<br />

sola via storica e critica, è chiaro ancora, per esempio dal seguente<br />

testo : « Effettivamente, il metodo positivo e storico, per le tesi di primaria<br />

importanza, è sommamente confacente per confutare gli errori<br />

di coloro i quali, con Harnack, pretendono che i dogmi cattolici abbiano<br />

subito una naturale evoluzione; ma se si usasse per tutte le<br />

questioni, anche per le accessorie, in un corso elementare sarebbe<br />

troppo lungo e noioso » 40 .<br />

Solo se si tiene conto di questo ideale si può comprendere lo<br />

schema tipo dell'esposizione di una questione teologica nella positivoscolastica.<br />

Dopo lo stato <strong>della</strong> questione, spesso anche prima, sin dal<br />

principio in cui si spiega di che cosa si tratta ed eventualmente quali<br />

sono gli avversari che si hanno di mira, si enunzia la tesi; segue l'enunziato<br />

del grado di autorità di quella tesi (di fede, certa, sentenza comune,<br />

ecc.) e, possibilmente, le dichiarazioni del magistero (per esempio,<br />

il testo di un concilio) che provano tale essere effettivamente la<br />

dottrina <strong>della</strong> Chiesa. Poi vengono le « prove » di detta dottrina. Anzitutto<br />

la prova dalla Scrittura; poi la prova dalla tradizione; finalmente<br />

dalla ragione, almeno ragione teologica o ragione di convenienza. Le<br />

obiezioni sono esaminate sia nel corso dei singoli argomenti, sia alla<br />

fine. Questo schema tipo, che corrisponde perfettamente all'ideale<br />

positivo-scolastico del lavoro <strong>teologico</strong>, apparso tendenzialmente sin<br />

dal principio <strong>della</strong> positivo-scolastica, si costituì saldamente verso la<br />

fine del secolo XVII, e, ridotto a forma scolastica da Perrone, fu adottato<br />

comunemente dai manualisti seguenti, salve modificazioni accidentali<br />

e, talvolta, per alcune questioni, salve alcune esitazioni presso<br />

autori recenti più sensibili alle esigenze del metodo storico.<br />

3 » Ibid. p. 6s.<br />

40 Ibid. p. 8. Come si vede, per Tanquerey, se quella prova con la sola storia<br />

non si usa di fatto in tutte le questioni, ciò vale solo per un corso elementare,<br />

per evitare la lunghezza e la noia. Ma, in sé e per sé, dovrebbe essere usata<br />

in ogni questione.


LA PROVA LITURGICA IN <strong>TEOLOGIA</strong> 527<br />

La <strong>liturgia</strong> come prova dalla tradizione dell'apostolicità<br />

di una dottrina: sua possibilità e, a questo scopo,<br />

sua poca utilità effettiva<br />

La questione nostra è se il predetto quadro dell'ideale positivo<br />

scolastico esiga, o almeno permetta, per il vero vantaggio <strong>della</strong> teologia,<br />

un'incorporazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sostanzialmente più abbondante<br />

e specialmente qualitativamente migliore di quella che praticarono<br />

o praticano i teologi positivo-scolastici e in specie gli odierni<br />

manualisti. A questa questione mi pare dover rispondere senza esitazione<br />

di no.<br />

Ci si potrebbe chiedere se, eventualmente, nello schema positivo<br />

scolastico non si dovesse far ricorso alla <strong>liturgia</strong> subito dopo l'enunciazione<br />

<strong>della</strong> tesi, là dove si citano per lo più testi del magistero<br />

straordinario, concili o decisioni ex cathedra, per far vedere che la<br />

dottrina enunziata nella tesi è veramente la dottrina <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Infatti i positivo-scolastici ammettono che dalla <strong>liturgia</strong> si può conoscere<br />

la dottrina del magistero. Ma questi teologi non fanno ricorso<br />

alla <strong>liturgia</strong> a questo punto dell'argomentazione.<br />

Riflettendo a quanto abbiamo esposto nel capitolo precedente, si<br />

deve concedere che, nel negligere la <strong>liturgia</strong> in questo punto, i positivoscolastici,<br />

supposto il loro concetto di teologia, sono condotti da sicuro<br />

istinto. Infatti, abbiamo visto che la <strong>liturgia</strong> è bensì importante per conoscere<br />

il pensiero <strong>della</strong> Chiesa sopra una determinata dottrina, ma<br />

che questo pensiero non si trova in modo diretto e didatticamente preciso<br />

guardando alla sola <strong>liturgia</strong>. Per arrivare a tale precisione bisogna<br />

praticamente sempre ricorrere agli altri mezzi nei quali si esprime<br />

il magistero in modo diretto, principalmente alle decisioni del magistero<br />

straordinario. Quando, dunque, i positivo-scolastici, per provare<br />

che la dottrina espressa nella tesi con il grado d'autorità relativo è veramente<br />

oggi la dottrina <strong>della</strong> Chiesa, non ricorrono alla <strong>liturgia</strong><br />

ma ai documenti nei quali il magistero esprime direttamente e didatticamente<br />

il suo pensiero, principalmente alle decisioni dei concili<br />

e del magistero del Papa ex cathedra, sanno benissimo quello<br />

che fanno. La <strong>liturgia</strong>, in questo caso, sarebbe di nessuna o di pochissima<br />

utilità, poiché per stabilirne il <strong>senso</strong> e la portata didattica<br />

precisa in un determinato caso, bisogna comunque ricorrere a questi<br />

altri documenti 41 .<br />

Ed è per questo che nella positivo-scolastica la <strong>liturgia</strong>, per quel<br />

tanto che vi entra, vi entra normalmente come semplice elemento<br />

<strong>della</strong> prova dalla tradizione. Ora, sappiamo che il <strong>senso</strong> ultimo di<br />

41 È per questo che, nelle tesi che esprimono una dottrina di fede, i positivo-scolastici<br />

ricorrono alle decisioni del magistero straordinario, in specie<br />

al Tridentino nelle dottrine definite contro i protestanti, al Vaticano in quelle<br />

definite contro i razionalisti e i semirazionalisti, ai documenti antimodernisti<br />

contro i modernisti, alle decisioni ex cathedra nelle questioni dell'Immacolata<br />

Concezione, dell'Assunzione, ecc.


528 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

questa prova dalla tradizione nella positivo-scolastica è di fornire<br />

la dimostrazione apodittica per sola via storica dell'origine almeno<br />

sostanzialmente apostolica di una dottrina oggi insegnata come di<br />

fede dalla Chiesa. Ma cosa pensare dell'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> al predetto<br />

scopo? Si noti bene che si tratta di provare apoditticamente, per sola<br />

via storica e dalla sola <strong>liturgia</strong> l'apostolicità, almeno sostanziale, di<br />

un elemento o d'una dottrina. È dunque necessario che questa prova,<br />

perché sia valida, sia fatta secondo tutti i requisiti del metodo storjco.<br />

Non voglio affatto negare che tale prova possa effettivamente<br />

essere fatta dalla <strong>liturgia</strong>. Ma quanti sono i casi nei quali essa,<br />

dato lo stato effettivo delle fonti, sarà possibile? Che i positivo-scolastici<br />

nella polemica dei secoli XVI-XVIII, ed altri assieme ad essi,<br />

sia prima sia dopo, siano stati portati ad esagerarne il numero, è<br />

certo.<br />

Recentemente, un ottimo conoscitore di <strong>liturgia</strong> antica, di patristica<br />

e del metodo storico, il P. Abate Capelle, così riassumeva il<br />

suo pensiero a proposito di uno studio sulla stessa questione presso<br />

i Padri: che l'origine apostolica, per quanto riguarda gli elementi liturgici<br />

« sia stata troppo facilmente supposta e assai ingenuamente<br />

ammessa, talvolta fraudolentemente affermata 42 , è evidente.<br />

Però non tutto è immaginario in questa persuasione. Non c'è dubbio,<br />

per esempio, che il rituale elementare del battesimo e dell'eucaristia<br />

ha dovuto necessariamente esistere molto presto. Si notano sostanziali<br />

coincidenze tra i rituali arcaici di Roma, di Gerusalemme, di<br />

Antiochia e d'Alessandria. Per quanto riguarda la messa in specie:<br />

la lettura del vangelo, l'unione tra eucaristia e sinassi di preghiera 43 ,<br />

le orazioni solenni, il bacio di pace, la parte dei diaconi, l'Amen del<br />

popolo, l'invio dell'eucaristia agli assenti, sono altrettanti tratti comuni,<br />

estranei alla Scrittura e agli usi giudaici. Si può ritenere probabile<br />

che essi derivano dall'organizzazione primitiva del culto a<br />

Gerusalemme. La credenza a una tradizione apostolica, se è stata<br />

parecchie volte troppo generosamente accettata, si fonda pur tuttavia<br />

sopra una realtà primitiva, la cui importanza è incontrollabile » 44 .<br />

Sono stato io a sottolineare i passi in corsivo. Si deve notare infatti<br />

quella parola : probabile, e l'ultimo inciso ove si afferma che la realtà<br />

primitiva apostolica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei suoi elementi precisi è incontrollabile.<br />

Come si vede, a giudizio di un competente, se c'indirizziamo<br />

alla <strong>liturgia</strong> con lo scopo preciso di fornire per mezzo di essa<br />

sola la prova apodittica puramente storica dell'apostolicità delle<br />

dottrine oggi insegnate nella Chiesa, non potremmo non essere<br />

quasi sempre delusi.<br />

Naturalmente, se invece di argomenti apodittici, ci accontentiamo<br />

di argomenti probabili, potremo coglierne maggiore messe.<br />

42<br />

II P. Abate Capelle allude al caso dell'autore delle cosiddette Constitutiones<br />

apostolicae.<br />

13<br />

Le due parti <strong>della</strong> messa. La cosiddetta messa dei catecumeni e dei fedeli.<br />

44<br />

Autorité de la liturgie chez les Pères, in: Recherches de théol. ancienne<br />

et medievale 21 (1954) p. 20.


PROVA DELL'APOSTOLICITÀ DALLA LITURGIA 529<br />

E ancora più se, invece di pretendere di risalire fino agli apostoli, ci<br />

accontentiamo di arrivare a un'antichità più o meno remota. Ma,<br />

per dire la verità, anche così, il ricorso alla <strong>liturgia</strong>, nell'insieme<br />

dell'argomentazione teologica di tipo positivo-scolastico avrà una<br />

utilità assai modesta. Infatti, se non mi sbaglio, in tutti o quasi tutti<br />

i casi nei quali per mezzo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> si potrà dimostrare l'antichità<br />

di una dottrina proposta oggi dalla Chiesa, si potrà fare lo<br />

stesso e assai meglio con altri e più efficaci argomenti, come con<br />

testi dei Padri o dei concili, ecc. Per esempio, anche per la sola via<br />

storica si può dimostrare dalla sola <strong>liturgia</strong> del sacramentario leoniano<br />

la persuasione vigente nella Chiesa di Roma nel secolo V-VI<br />

del primato e dell'infallibilità <strong>della</strong> Chiesa romana; ma lo stesso<br />

potrà dimostrarsi con altrettanta, o anche con maggiore, efficacia<br />

dai testi stessi di S. Leone", dal concilio di Calcedonia, dalle affermazioni<br />

del legato Filippo nel concilio di Efeso, dai testi di Bonifacio I,<br />

di Zosimo, di Innocenzo I, ecc. Dai testi stessi delle liturgie si può<br />

certamente dimostrare, cominciando dal secolo IV-V, la fede <strong>della</strong><br />

Chiesa nella transustanziazione e nella presenza reale; ma altrettanto<br />

si può fare ricorrendo ai testi dei Padri <strong>della</strong> stessa epoca o<br />

anche anteriori. E così di seguito. Così, l'argomento liturgico non<br />

oltrepasserà il valore di una conferma.<br />

E in genere si può dire che tutte le tesi <strong>della</strong> positivo-scolastica<br />

potrebbero facilmente ornarsi, e come fiorirsi, di citazioni di testi<br />

e consuetudini liturgiche. Ma l'utilità di tale procedimento sarebbe<br />

quasi nulla. Sono queste, a mio parere, le ragioni che spiegano perché,<br />

nonostante lo sforzo dei liturgisti, come Zaccaria e altri, di<br />

preparare materiale liturgico di valore <strong>teologico</strong> a disposizione dei<br />

teologi dogmatici, la <strong>liturgia</strong>, in realtà, non è mai seriamente penetrata<br />

nella dogmatica. I manualisti positivo-scolastici odierni hanno<br />

seguito la logica intrinseca delle cose quando hanno in buona parte<br />

praticamente espulso dalla loro teologia quel poco di <strong>liturgia</strong> che<br />

Perrone, per esempio, cercava ancora di conservare.<br />

Con tutto questo diremo forse che la teoria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> locus<br />

theologicus praestans è una favola? Si scusi la mia ingenuità, ma<br />

non posso proprio trattenermi dal porre la questione: come si può<br />

dubitare, anche dopo la sola lettura di questi modesti saggi sul<br />

<strong>senso</strong> <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, che essa sia veramente carica e sovraccarica<br />

di materiale <strong>teologico</strong> di primissimo valore? E materiale<br />

<strong>teologico</strong>, si noti bene, dal quale, intorno al <strong>senso</strong> e alla forza <strong>della</strong><br />

rivelazione si viene a percepire qualcosa che non è dato dalle altre<br />

vie di conoscenza teologica. La conoscenza e l'approfondimento che<br />

delle verità rivelate di cui ho trattato, per esempio, nelle tre prime<br />

parti di questi saggi, si può ricavare dalla <strong>liturgia</strong>, non è una semplice<br />

ripetizione o solo conferma di quello che intorno ad esse si<br />

può ricavare dalla sola bibbia, o dai Padri o dai soli documenti del<br />

magistero direttamente didattico; tanto meno dalle speculazioni<br />

teologiche. La <strong>liturgia</strong> contribuisce con un quid proprium alla migliore<br />

conoscenza <strong>della</strong> stessa rivelazione che noi conosciamo per


530 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

le altre vie teologiche. Quale sia questo aspetto proprio, apparirà<br />

meglio in seguito. Se così è, la <strong>liturgia</strong> non può rimanere fuori<br />

<strong>della</strong> dogmatica, supposto che compito <strong>della</strong> dogmatica sia di usare<br />

tutte le luci che possono contribuire ad approfondire maggiormente<br />

la conoscenza scientifica del suo oggetto.<br />

Vuol dire che, se, nella teologia positivo-scolastica, il materiale<br />

<strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, nonostante le buone intenzioni e i saggi dei<br />

teologi positivo-scolastici, rimane essenzialmente e deve rimanere<br />

fuori <strong>della</strong> sintesi teologica, la causa vera non può essere perché<br />

questo materiale è inassimilabile in questa sintesi o non appartiene<br />

ad essa, o non ha valore per essa, ma perché vi è qualche<br />

imperfezione nel modo in cui questa sintesi teologica è concepita<br />

proprio nel concetto positivo-scolastico di teologia. È legge ferrea<br />

metodologica e storica: quando una realtà qualsiasi, debitamente<br />

costatata, non è organicamente incorporabile in una costruzione<br />

scientifica antecedente al cui oggetto pur appartiene, è segno che<br />

vi è qualche deficienza nel modo in cui è stata concepita ed eseguita<br />

la predetta sintesi. La realtà messa in luce obbliga lo-scienziato<br />

a ripensare e controllare la sua costruzione e il suo metodo.<br />

Assimilazione insufficiente del materiale liturgico nella positivoscolastica<br />

per esagerazione <strong>della</strong> preoccupazione apologetica<br />

Non è mia intenzione fare qui il processo in regola del concetto<br />

del -lavoro <strong>teologico</strong> nella positivo-scolastica. Si ricordi però che<br />

oggi non vi è competente in esegesi e teologia biblica che sia soddisfatto<br />

del modo in cui, assai spesso, il materiale <strong>teologico</strong> biblico<br />

viene usato e incorporato in questo tipo di teologia, in specie, nei<br />

nostri abituali manuali. E come dicevamo al principio di questo<br />

capitolo, ogni competente comprende che non si tratta semplicemente<br />

<strong>della</strong> quantità di citazioni bibliche; e nemmeno di sola<br />

esattezza di testi veramente appropriati; ma di un modo qualitativo<br />

di concepire il rapporto tra materiale <strong>teologico</strong> biblico e sintesi<br />

dogmatica.<br />

Lo stesso, a suo modo, dicasi <strong>della</strong> teologia patristica: non vi<br />

è oggi competente in patristica e nella storia dei dogmi e delle<br />

dottrine che rimanga soddisfatto del modo in cui, assai spesso,<br />

questo materiale storico <strong>teologico</strong> viene assimilato nella teologia<br />

dei manuali. Dico questo per far intendere la mia speranza di non<br />

far figura di cavaliere errante movendo alcuni appunti al modo<br />

in cui, in molti casi, la positivo-scolastica concepisce l'ideale <strong>teologico</strong>.<br />

L'appunto essenziale è che nell'ideale positivo-scolastico <strong>della</strong><br />

teologia vi è una certa esagerazione <strong>della</strong> preoccupazione apologetica<br />

e del compito di difesa contro gli avversari, reali o solo metodologici,<br />

compito che, peraltro, incombe ad ogni scienza. Questa<br />

esagerazione si manifesta in due campi. Anzitutto nell'ambito stesso


CRITICA DELLA POSITIVO-SCOLASTICA 531<br />

<strong>della</strong> problematica teologica. La scelta delle questioni trattate, la<br />

relativa importanza che si dà ad ognuna, l'aspetto preciso sotto il<br />

quale viene anzitutto considerata, il posto che le si concede nella<br />

sintesi generale, sono, in molti casi, troppo prevalentemente determinati<br />

dalla polemica contro i protestanti, alla quale si aggiunse in<br />

seguito quella contro gli illuministi, contro -i razionalisti liberali, tipo<br />

Harnack, e contro i modernisti. Così, l'antica problematica scolastica<br />

viene sviluppata in un <strong>senso</strong> dipendente più dalle idee degli avversari<br />

che era necessario confutare che dalle necessità intrinseche<br />

<strong>della</strong> materia considerata in se stessa.<br />

È certo che la positivo-scolastica ha avuto il merito di allargare<br />

e approfondire la problematica teologica <strong>della</strong> scolastica antica. Lo<br />

dimostra, per esempio, la creazione e l'inserzione nella sintesi teologica<br />

generale di tre nuovi trattati la cui materia veniva discussa<br />

dagli scolastici antichi con poche questioni, sovente sparse un po'<br />

dappertutto nella teologia: il trattato detto dei luoghi teologici o<br />

delle fonti <strong>della</strong> rivelazione; il trattato <strong>della</strong> Chiesa; il trattato dell'apologetica<br />

generale. Anche la problematica di altri trattati fu notevolmente<br />

ingrandita.<br />

Non è men certo tuttavia che questo allargamento è stato concepito<br />

con preoccupazione troppo esclusivamente polemica. Lo dimostra<br />

in primo luogo il fatto che non si manifesta quasi per niente<br />

nei trattati che toccano materie non messe direttamente in questione,<br />

o poco discusse, dai protestanti, o dagli illuministi, o dai<br />

liberali e dai modernisti : come il De Deo uno, la Trinità, gli angeli, la<br />

cristologia. Sebbene un contatto profondo con la Scrittura, la tradizione<br />

e, naturalmente, con la <strong>liturgia</strong>, ma fatto con la preoccupazione<br />

predominante di conoscere meglio il pensiero <strong>della</strong> rivelazione<br />

in se stessa, possa facilmente portare a un notevole allargamento e<br />

approfondimento <strong>della</strong> problematica anche in queste materie.<br />

Lo dimostra, in secondo luogo, il fatto che le nuove questioni<br />

introdotte dalla positivo-scolastica nella sintesi teologica generale<br />

sono appunto quegli aspetti delle cose negati dai protestanti, poi<br />

dagli illuministi e da ultimo dai razionalisti liberali e dai modernisti,<br />

e quasi nient'altro. È così che il trattato stesso <strong>della</strong> Chiesa vi<br />

si esaurisce tutto intorno alla difesa <strong>della</strong> sua visibilità, e in specie<br />

del primato e infallibilità del Romano Pontefice; la natura spirituale<br />

<strong>della</strong> Chiesa come corpo mistico è quasi dimenticata del tutto; è così<br />

ancora che l'apologetica generale, concepita anzitutto contro l'illuminismo,<br />

viene intesa quasi come ponte per condurre l'ateo alla<br />

teologia e che tutta l'impostazione è antilluminista e antiprotestante,<br />

mentre, in realtà, la questione dei nostri rapporti con le chiese<br />

orientali vi è trattata in modo nettamente inadeguato.<br />

<strong>Il</strong> trattato <strong>della</strong> grazia è quasi unicamente incentrato sulla questione<br />

<strong>della</strong> grazia attuale e del libero arbitrio, e l'aspetto di figliolanza<br />

divina e di deificazione, che è tuttavia l'aspetto certo predominante<br />

<strong>della</strong> Scrittura e <strong>della</strong> tradizione in queste materie, vi è relegato<br />

a un piano molto secondario; quello che se ne dice riguarda


532 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

ancora una questione discussa coi protestanti, quella <strong>della</strong> nostra<br />

giustificazione: se è intrinseca o puramente imputata. La problematica<br />

dei trattati dei sacramenti in genere e in specie (e il trattato<br />

dei novissimi) paragonata a quella <strong>della</strong> scolastica antica ha di nuovo<br />

solo i problemi discussi coi protestanti e coi razionalisti più recenti :<br />

anzitutto la questione <strong>della</strong> loro istituzione da Cristo. Anche il trattato<br />

dell'eucaristia è tutto in funzione di difesa contro le negazioni<br />

protestanti anzitutto intorno alla presenza reale e alla realtà del<br />

sacrifìcio "\<br />

<strong>Il</strong> secondo campo in cui si manifesta l'esagerazione <strong>della</strong> preoccupazione<br />

apologetica nella positivo-scolastica è il suo modo di usare,<br />

nelle singole questioni, le fonti proprie che contengono la rivelazione,<br />

ossia, la Scrittura e la tradizione, nella parte detta positiva<br />

del lavoro <strong>teologico</strong>. Come si è visto, quando la positivo-scolastica<br />

ricorre alla Scrittura e alla tradizione, lo fa con la preoccupazione<br />

diretta e di gran lunga predominante, di provare, per via puramente<br />

storica, contro i neganti reali o metodologici, che la dottrina oggi<br />

insegnata dalla Chiesa ed espressa nella tesi è veramente d'origine<br />

apostolica.<br />

Non nego affatto che questa prova per sola via storica in parecchi<br />

ed importantissimi casi possa essere veramente fatta, anzitutto<br />

nella questione del criterio prossimo <strong>della</strong> fede, nella quale si<br />

verifica l'errore primario del protestantesimo.<br />

È innegabilmente un notevole merito <strong>della</strong> positivo-scolastica<br />

di averla realizzata per i casi nei quali era possibile. Inoltre, quando<br />

si pensa alla leggerezza con la quale i primi protestanti assegnavano<br />

a tempi molto posteriori la data di « nascita » dei dogmi cattolici<br />

che non volevano ammettere, e quanto gli stessi protestanti e razionalisti<br />

siano ora divenuti immensamente più cauti nell'accusare<br />

la Chiesa cattolica di novità — si sa che Harnack stesso alla fine<br />

<strong>della</strong> vita riconobbe che gli elementi essenziali del cattolicesimo erano<br />

già presenti nella Chiesa alla fine del secolo primo e al principio<br />

del secondo — non si può non riconoscere che l'azione dei positivoscolastici<br />

è stata benefica e provvidenziale, anche quando non riuscì<br />

propriamente a dare la prova dell'apostolicità.<br />

Ma tuttavia è certo che la predetta mentalità di ricorrere alle<br />

fonti vedendovi troppo esclusivamente quello che da esse si può<br />

ricavare contro i protestanti, ecc. ha non pochi inconvenienti in teologia.<br />

Non sta a me in questa sede ad analizzarli tutti. Non intendo<br />

nemmeno insistere sul fatto che vi sono certamente dei casi — e sono<br />

più numerosi assai di quanto i positivo-scolastici siano stati propensi<br />

ad ammetterlo — in cui quella prova per sola via storica non si<br />

può fare 46 , e nei quali, per difendere la loro fede contro i prote-<br />

45 Naturalmente, non si nega l'inevitabile influsso <strong>della</strong> polemica nella stessa<br />

problematica di una scienza. Ma c'è modo e modo. L'antica scolastica, per esempio,<br />

non è prevalentemente polemica, ma irenica, espositiva, contemplativa.<br />

48 Per es., l'Assunzione; vedi DIEKAMP, Manuale... II p. 427: «Propostilo<br />

ex historia probari nequit »; i caratteri sacramentali cfr. ìbid. IV p. 28; il numero<br />

settenario dei sacramenti: ibid. p. 68.


CRITICA DELLA P0S1TIV0-SC0LASTICA 533<br />

stanti, i cattolici devono ricorrere ad altre vie: anzitutto alla questione<br />

fondamentale del criterio prossimo <strong>della</strong> fede, secondo la<br />

stessa Scrittura e tutta la tradizione esaminate anche solo storicamente:<br />

che, cioè, questo criterio prossimo non è la ragione individuale,<br />

né filosofica, né storica, ma il magistero infallibile <strong>della</strong> Chiesa<br />

gerarchica. È certo che più d'una volta l'esagerata ansiosità <strong>della</strong> prova<br />

storica diretta contro i protestanti, ecc. ha portato i positivo-scolastici<br />

a non riconoscere di buon animo questi casi, come se allora<br />

non esistesse altra via per difendere la Chiesa, e a diminuirne indebitamente<br />

il numero. Ciò comportò il pericolo non immaginario di<br />

esigere in quei casi dalla storia più di quello che essa può dare e di<br />

ammannire prove storicamente e criticamente insufficienti. Si cadeva<br />

così nello stesso pericolo in cui, non di rado, cadevano gli stessi<br />

avversari: si chiedeva troppo alla sola storia; si correva il rischio di<br />

suscitare dubbi negli stessi fedeli, i quali vedono che la prova è insufficiente,<br />

e di esporre la nostra fede al ridicolo presso i non credenti,<br />

i quali, come dice S. Tommaso, a proposito di prove insufficienti<br />

d'ordine filosofico, s'immaginano che noi crediamo per simili<br />

ragioni.<br />

Ma consideriamo piuttosto i casi nei quali effettivamente si può<br />

fare la prova apodittica dell'apostolicità per sola via storica. Anche<br />

in questi casi, l'angolo di visuale alquanto ristretto sotto il quale<br />

l'ideale positivo-scolastico porta a ricorrere alla Scrittura e alla<br />

tradizione in vista di fornire la predetta prova, fa sì che il teologo<br />

che lo segue, troppo spesso non dia debita attenzione all'aspetto<br />

dell'evoluzione dei dogmi e delle dottrine: evoluzione sia oggettiva<br />

nell'ambito stesso <strong>della</strong> Scrittura prima <strong>della</strong> morte dell'ultimo<br />

degli Apostoli, sia soggettiva o esplicitativa dopo la morte degli<br />

Apostoli. Questa evoluzione è reale e spetta al teologo di farcela<br />

conoscere e di spiegarcela nei singoli casi. <strong>Il</strong> positivo-scolastico<br />

invece mette facilmente tutti i testi <strong>della</strong> Scrittura dell'Antico<br />

Testamento o del- Nuovo che si riferiscono a una questione, sullo<br />

stesso piano e li usa frammischiandoli, badando poco o niente alla<br />

loro rispettiva epoca, ai loro diversi autori, alle differenti tendenze<br />

che manifestano, ecc.<br />

Per la tradizione poi, la preoccupazione <strong>della</strong> catena dei testimoni<br />

rischia facilmente di far sparire la prospettiva dell'evoluzione<br />

esplicitativa; di non spiegare perché in alcuni casi si ricorre<br />

alla testimonianza di uno scrittore: per esempio Tertulliano o Origene,<br />

mentre in altri si dichiara che non può essere ammesso come<br />

teste <strong>della</strong> fede <strong>della</strong> Chiesa; di portare testi avulsi dal loro contesto<br />

e quindi non convincenti.<br />

Ma l'inconveniente dell'esagerata prevalenza <strong>della</strong> visuale apologetica<br />

nella positivo-scolastica che maggiormente c'interessa anche<br />

dal punto di vista <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, è il seguente. Anche nei casi che<br />

per sola via storica si può fare la prova apodittica dell'apostolicità<br />

di una dottrina, se si ricorre alla Scrittura, alla tradizione, al magistero<br />

troppo presi dalla predetta mentalità, il contatto con le fonti


534 CAP. XVII - POSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

<strong>della</strong> rivelazione nella sua estensione e nella sua qualità, verrà determinato<br />

più dalla problematica degli avversari che dalla ricchezza teologica<br />

intrinseca delle fonti stesse.<br />

Nella Scrittura, nella tradizione, nella proposizione del magistero<br />

anche odierno, non si leggeranno tutti i dati che essi effettivamente<br />

contengono, ma solo alcuni, quelli cioè che interessano la discussione<br />

con gli avversari veri o fittizi in vista <strong>della</strong> prova dalle<br />

fonti; e questo solo sotto un aspetto determinato e ristretto, quello<br />

in cui gli avversari appunto hanno errato. Immense ricchezze<br />

contenute nelle fonti rimarranno inesplorate e non saranno assimilate<br />

nella sintesi teologica perché gli avversari le hanno ignorate<br />

o, comunque, la discussione con loro non verte sopra di esse.<br />

Ora è facile vedere che le fonti <strong>della</strong> rivelazione, per il teologo,<br />

non sono lì solo per permettergli di provare che gli avversari <strong>della</strong><br />

fede cattolica hanno errato, ma per insegnargli inoltre, anzi in primo<br />

luogo, moltissime ed importantissime altre cose di primario valore<br />

nella costruzione <strong>della</strong> sintesi teologica generale.<br />

La teologia è anzitutto e in primo luogo lo sforzo scientifico del<br />

credente stesso per penetrare e contemplare le ricchezze <strong>della</strong> rivelazione<br />

cui aderisce in tutta la loro larghezza e profondità. Questa<br />

funzione irenica, chiamiamola così, penetrativa, contemplativa, espositiva<br />

<strong>della</strong> teologia, deve essere necessariamente primaria e determinante<br />

rispetto alla funzione apologetica e difensiva.<br />

La funzione difensiva o apologetica appartiene bensì necessariamente<br />

ad ogni scienza, perché non si può dire che uno abbia penetrato<br />

e possegga scientificamente una materia fintanto che non sa<br />

anche rispondere ai dubbi o alle opposizioni dichiarate. Ma la funzione<br />

difensiva, che è piuttosto negativa, nella visione sintetica generale<br />

di ogni scienza 17 , deve essere in sottordine rispetto alla funzione<br />

semplicemente penetrativa o espositiva. Non è essa che può<br />

determinare in ultima analisi né quantitativamente, né qualitativamente,<br />

né la problematica, né il contatto con le fonti, né l'ossatura<br />

generale <strong>della</strong> costruzione sintetica. E il motivo ultimo di tutto questo<br />

è che la funzione apologetica si regola in modo essenziale anche<br />

dallo stato delle opinioni degli avversari, che è cosa variabile e puramente<br />

accidentale rispetto alla verità in sé, mentre la funzione penetrativa<br />

o contemplativa si regola unicamente sull'essere dell'oggetto<br />

<strong>della</strong> scienza. Ora è l'essere <strong>della</strong> cosa oggetto <strong>della</strong> scienza che, in<br />

ultima analisi, determina ogni scienza, poiché scienza non dice altro<br />

che un certo modo di conoscere l'essere dell'oggetto considerato.<br />

È dunque l'esagerata prevalenza dell'aspetto apologetico <strong>della</strong><br />

teologia positivo-scolastica nella sua parte detta positiva che è la<br />

radice di quella insoddisfazione che essa, in specie come è spesso<br />

* 7 Non parlo, naturalmente, di trattazioni monografiche, che, per definizione,<br />

considerano solo un aspetto o una parte di una questione, ma solo di<br />

trattazioni sintetiche. In un trattato monografico è lecito limitarsi anche all'aspetto<br />

semplicemente difensivo apologetico. Ma la teologia dogmatica è teologia<br />

sintetica non monografica.


GIUDIZIO CONCLUSIVO 535<br />

tradotta nei nostri manuali abituali, genera oggi in tutti i competenti<br />

di teologia biblica, di teologia storica e anche di teologia liturgica.<br />

La lettura e lo studio di queste fonti <strong>della</strong> teologia fatti, grazie<br />

a Dio, ormai sempre più generalmente, con l'intento primario di pe-.<br />

netrarne semplicemente, per quanto è possibile, tutte le ricchezze<br />

in se stesse e per se stesse considerate, rende acuta la percezione che<br />

la teologia positivo-scolastica, in specie dei manuali, anche a parte<br />

gli appunti d'ordine storico critico che le si possono muovere in diversi<br />

particolari, non assimila debitamente tutto il materiale a disposizione<br />

nelle fonti e non ne rende conto sufficiente nella sua<br />

sintesi generale.<br />

Giudizio conclusivo<br />

È in questa prospettiva generale che possiamo finalmente dare<br />

un giudizio sulla questione dell'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella teologia sintetica<br />

generale positivo-scolastica. A guardare le cose da vicino, la<br />

teologia positivo-scolastica ha considerato nella <strong>liturgia</strong> due sole<br />

questioni. Nel quadro <strong>della</strong> metodologia teologica generale di Melchior<br />

Cano si è chiesto che tipo di loàus theologicus sia la <strong>liturgia</strong>;<br />

e ha risposto in sostanza: la <strong>liturgia</strong> è un locus theologicus che è<br />

incluso in quello più generale del magistero ordinario; per mezzo<br />

del quale dunque, osservando certe regole, si può determinare ciò<br />

che intorno a una questione insegna il magistero ordinario e ciò<br />

che professa il popolo cristiano che accetta quel magistero. Poi,<br />

nel resto dei trattati teologici, la teologia positivo-scolastica si è<br />

interessata alla <strong>liturgia</strong> soltanto come a elemento <strong>della</strong> tradizione<br />

per mezzo del quale può essere possibile provare, per via puramente<br />

storica, in specie contro i protestanti, l'apostolicità di una<br />

data dottrina o di un dato uso nella Chiesa.<br />

Ora, è evidente da quanto abbiamo spiegato fin qui che vedere<br />

nella <strong>liturgia</strong> queste due sole questioni significa, tra le enormi ricchezze<br />

teologiche che essa racchiude, interessarsi a due aspetti reali<br />

ma secondari e, tutto sommato, di scarso valore e di scarsa utilità<br />

nella sintesi teologica. Sappiamo infatti che la <strong>liturgia</strong>, come elemento<br />

dal quale si possa determinare ciò che il magistero propone<br />

didatticamente, ha scarsa importanza perché ne è, per natura sua,<br />

una manifestazione assai indiretta, e che, per precisarne il <strong>senso</strong><br />

e il grado autoritativo è praticamente necessario, in ogni caso, ricorrere<br />

a tutte le altre fonti <strong>della</strong> teologia, in specie alle manifestazioni<br />

dirette dello, stesso magistero, specialmente nei suoi interventi<br />

straordinari e solenni.<br />

Sappiamo pure che la <strong>liturgia</strong>, come elemento per provare per<br />

sola via storica l'apostolicità di una dottrina o di un uso nella<br />

Chiesa, è di secondaria importanza e utilità nella sintesi teologica<br />

generale per le due ragioni principali che, o per la sola <strong>liturgia</strong> questa<br />

prova non si può fare, o, se si può fare, per lo più, si può fare anche


536 CAP. XVII - FOSITIVO-SCOLASTICA E LITURGIA<br />

e meglio ricorrendo alle altre vie, specialmente ai testi dei Padri<br />

e alla Scrittura.<br />

Se, dunque, nella prassi <strong>della</strong> teologia positivo-scolastica la <strong>liturgia</strong><br />

non appare affatto come locus theologicus praestans, la ragione<br />

ne è il modo troppo ristretto in cui questo genere di teologia<br />

considera la <strong>liturgia</strong>, in seguito alla sua mentalità generale nel concepire<br />

il lavoro <strong>teologico</strong>, troppo dominata dall'assillo di dover fornire<br />

per ogni dottrina e direttamente la prova apologetica storica dalle<br />

fonti. La deficienza dell'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella teologia positivo-scolastica<br />

è dunque una semplice conseguenza di una certa ristrettezza<br />

del punto di vista con cui essa considera le fonti proprie <strong>della</strong> teologia,<br />

in specie il magistero, la Scrittura, la tradizione patristica. Con<br />

questa aggravante però, che il magistero, la Scrittura, la tradizione<br />

patristica, anche considerati con la preoccupazione troppo ristretta<br />

di leggere in essi anzitutto ciò che può essere utile alla polemica<br />

antiprotestante, antirazionalista e antimodernista, hanno pur sempre<br />

un'importanza non solo considerevole, ma capitale, per il teologo<br />

sistematico; sebbene, questi, così facendo, sia ancora lontano<br />

dallo sfruttare tutte le ricchezze teologiche che queste fonti contengono.<br />

La <strong>liturgia</strong> invece, considerata nella stessa prospettiva, perde<br />

praticamente quasi ogni reale importanza al fine <strong>della</strong> sintesi teologica.<br />

Ma la <strong>liturgia</strong> si presenta al teologo sistematico non solo, né anzitutto,<br />

per fargli conoscere ciò che il magistero ordinario didatticamente<br />

propone; e non solo, né anzitutto come elemento di tradizione<br />

da cui egli possa ricavare, contro i protestanti o altri, una prova<br />

storica dell 'apostolici tà <strong>della</strong> dottrina <strong>della</strong> Chiesa. La <strong>liturgia</strong> si<br />

presenta al teologo anzitutto per insegnargli come la Chiesa — gerarchia<br />

e fedeli — sotto il velo dei segni sensibili ed efficaci, vive<br />

ogni giorno e ha vissuto nel passato la sua fede, nell'incontro attuale<br />

di santificazione e di culto con Dio e il mondo soprannaturale.<br />

È questa la specialità propria e la ricchezza propria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

che il teologo non può conoscere in nessuna altra fonte teologica,<br />

in nessun altro locus theologicus. Ora, conoscere come la Chiesa vive<br />

la sua fede, nell'incontro attuale con Dio sotto il velo dei segni sensibili<br />

ed efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto, ha, a proposito di<br />

ogni grande questione di cui deve trattare la teologia sintetica,<br />

un'importanza di cui il teologo sistematico non può fare a meno,<br />

perché manifesta orizzonti e profondità più grandi e propri intorno<br />

a quella stessa fede; orizzonti e profondità che non si possono scorgere,<br />

o non si possono scorgere bene, che nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Quali sono questi orizzonti e queste profondità <strong>della</strong> rivelazione<br />

che il teologo non può scoprire che nella <strong>liturgia</strong>? Nei capitoli che<br />

precedono mi sono sforzato di farne comprendere alcuni. Credo che<br />

si possa concludere che, negligendo la <strong>liturgia</strong>, il teologo sistematico<br />

o non vedrà, o non comprenderà e non esporrà in tutta la loro forza<br />

e portata reali, secondo la stessa rivelazione, i seguenti concetti, tra<br />

molti altri: la rivelazione anzitutto come storia sacra e la storia


GIUDIZIO CONCLUSIVO 537<br />

sacra come mistero <strong>della</strong> storia, mistero <strong>della</strong> Chiesa, mistero di<br />

Cristo sempre in atto; la via cristologico-trinitaria <strong>della</strong> derivazione<br />

di ogni bene da Dio e del suo ritorno a Dio, e quindi la forza <strong>della</strong><br />

vita trinitaria nella Chiesa e, in specie, la portata di quell'affermazione<br />

che ogni santificazione si fa in Spirita; la forza reale <strong>della</strong><br />

presenza attuale di Cristo nella Chiesa e la portata reale del suo<br />

sacerdozio sempre in atto; la realtà e il <strong>senso</strong> preciso del sacerdozio<br />

universale dei fedeli; tutta la portata <strong>della</strong> legge dell'incarnazione;<br />

la forza profonda delle realtà di popolo di Dio, di salvezza in comunità,<br />

di solidarietà, di comunione dei santi, di corpo mistico; l'unità<br />

reale del cosmo infraumano, umano, angelico e quindi la portata<br />

cosmica <strong>della</strong> redenzione; le implicazioni <strong>della</strong> natura corporeo-spirituale<br />

dell'uomo nell'unità sostanziale del suo essere; la tensione<br />

escatologica nella vita cristiana; la redenzione come lotta sempre<br />

in atto contro Satana; l'importanza <strong>della</strong> Scrittura nella vita cristiana<br />

e il modo cristiano di leggere l'Antico e il Nuovo Testamento e quindi<br />

l'attualità sempre viva, per ogni singolo fedele, di tutta la Scrittura<br />

anche dell'Antico Testamento e dei salmi in specie; la messa come<br />

centro di tutta l'economia sacra hic et nunc; la natura <strong>della</strong> Chiesa<br />

e in specie il culto a Dio come suo fine primario a cui sono ordinati<br />

tutti gli altri mezzi e poteri e da cui derivano tutte le sue energie.<br />

Non pretendo avere esaurito l'elenco: ho ricordato solo i punti<br />

salienti che si possono ricavare dai capitoli precedenti.<br />

Ma perché tutte queste cose il teologo non può comprenderle,<br />

o comprenderle bene, che nella <strong>liturgia</strong>? Perché il cattolicesimo è<br />

bensì una dottrina e un sistema; ma una dottrina e un sistema che<br />

è nello stesso tempo vita sempre in atto : Cristo vivente nella Chiesa;<br />

la Chiesa vivente in Cristo. Ora Cristo vivente nella Chiesa e la Chiesa<br />

vivente in Cristo è anzitutto e in prima linea la <strong>liturgia</strong> in atto.<br />

È per questo che le stesse dottrine del cattolicesimo non si possono<br />

penetrare a fondo negligendo la <strong>liturgia</strong>. Ma, naturalmente, per<br />

questo è necessario avvicinare la <strong>liturgia</strong> in primo luogo semplicemente<br />

con l'intento di trovarvi, a proposito di ogni grande questione,<br />

come la Chiesa, sotto il velo dei segni sensibili ed efficaci, ha vissuto<br />

e vive ogni giorno la sua fede nell'incontro attuale di santificazione<br />

e di culto con Dio e il mondo soprannaturale. Bisogna avvicinarla,<br />

dunque, con veduta più larga, meno direttamente polemica<br />

e più semplicemente positiva, penetrativa e contemplativa di quanto,<br />

per contingenze storiche <strong>della</strong> sua nascita e del suo sviluppo, ha<br />

potuto fare la teologia positivo-scolastica. Inutile aggiungere che<br />

la stessa polemica ci guadagnerà immensamente.


CAPITOLO XVIII<br />

<strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA IN S. TOMMASO<br />

Per rendersi sostanzialmente conto dei rapporti tra teologia e<br />

<strong>liturgia</strong> nella scolastica sembra sufficiente limitarsi in modo speciale<br />

a S. Tommaso, perché è in esso che il concetto stesso e la<br />

prassi teologica che furono propri <strong>della</strong> scolastica appaiono nel loro<br />

esemplare più puro e di maggior peso per l'influenza esercitata<br />

sui teologi posteriori.<br />

Ora, se si studia un po' da vicino il posto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella<br />

sintesi teologica di S. Tommaso dopo averlo studiato nella positivoscolastica,<br />

si ha la gradita sorpresa di costatare una situazione assai<br />

diversa, la quale, anche se ha notevole bisogno di essere approfondita<br />

e perfezionata, è nondimeno più ricca e feconda di quella<br />

<strong>della</strong> positivo-scolastica posteriore. Attraverso tutta la Somma, in<br />

specie, vi sono, per chi sa notarli,, elementi rilevantissimi di <strong>liturgia</strong><br />

teologica e spunti che rivelano una comprensione assai più profonda<br />

del posto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella teologia sistematica sintetica, anche se,<br />

oggettivamente parlando, non si possano ancora dire adeguatamente<br />

sviluppati\<br />

Questo materiale di teologia liturgica nella Somma si trova<br />

principalmente concentrato nel trattato sulla legge antica a proposito<br />

dei suoi precetti cerimoniali (I-II q 101-103); nel trattato <strong>della</strong><br />

religione e del culto in genere (II-II q 81-100) specialmente dove<br />

viene considerata la religione in se stessa e nei suoi atti (q 81-87);<br />

e in tutto il trattato dei sacramenti in genere e in specie (III q 60-90;<br />

Suppl. q 1-68). Inoltre, attraverso tutta la teologia di S. Tommaso<br />

la <strong>liturgia</strong> figura in varie questioni come una delle « autorità » nel<br />

quadro <strong>della</strong> « quaestio » e del procedimento dialettico del « sic<br />

et non ».<br />

1 Della <strong>liturgia</strong> in S. Tommaso hanno trattato: H. HERING, De loco theologico<br />

titurgiae apud S. Thomam, in: Pastor bonus 5 (1941) 456-64. C. M. TRAVERS,<br />

Valeur sociale de la liturgie d'après S. Thomas, Paris 1946. Buone osservazioni<br />

nelle note alla traduzione francese <strong>della</strong> Somma, ed. Revue des Jeunes, Les<br />

sacrements, Paris 1945 di A. M. ROGUET.


<strong>TEOLOGIA</strong> DELLA <strong>RELIGIONE</strong> 539<br />

Sembra si possa comodamente ripartire in tre punti lo studio<br />

di tutto questo materiale dal punto di vista che qui c'interessa:<br />

le nozioni generali fondamentali di S. Tommaso nella Somma, che<br />

possono dare l'avvio a un'elaborazione del concetto di <strong>liturgia</strong> e<br />

quindi servire di base alla costruzione di una <strong>liturgia</strong> teologica<br />

generale; gli spunti d'inserimento metodico dell'aspetto <strong>teologico</strong><br />

liturgico delle singole questioni trattate in teologia nel sistema<br />

generale <strong>della</strong> sintesi teologica in S. Tommaso; l'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

come « autorità » attraverso tutta la teologia in S. Tommaso.<br />

1. NOZIONI FONDAMENTALI DELLA SOMMA<br />

CHE POSSONO SERVIRE DI BASE<br />

A UNA LITURGIA TEOLOGICA GENERALE<br />

In quanto alla presenza in S. Tommaso di nozioni fondamentali<br />

che possono servire di base alla costruzione di una <strong>liturgia</strong> teologica<br />

generale, basti ricordare alcuni suoi concetti basilari nella<br />

teologia <strong>della</strong> religione e del culto in genere, in quella dei sacramenti<br />

in genere, e in quella del culto dell'Antico Testamento, e<br />

che noi stessi abbiamo preso spesso per base nella prima parte<br />

di questo lavoro intorno al concetto di <strong>liturgia</strong>.<br />

Teologia <strong>della</strong> religione e del culto<br />

Intorno alla religione e al culto (IMI q 81-87), S. Tommaso fa<br />

un'analisi accurata di questi due concetti nonché del concetto <strong>della</strong><br />

devotio (q 82), <strong>della</strong> preghiera, dei suoi diversi generi (q 83) e del<br />

sacrificio (q 85), tutte cose di somma importanza per l'inquadramento<br />

ideologico del concetto di <strong>liturgia</strong>. A parte alcuni punti particolari,<br />

intorno ai quali si può discutere, come l'inquadramento <strong>della</strong><br />

virtù di religione tra le semplici parti potenziali <strong>della</strong> virtù cardinale<br />

<strong>della</strong> giustizia, conservato da S. Tommaso secondo una tradizione<br />

di scuola ellenistica, queste analisi costituiscono il saldo<br />

fondamento generale di ogni <strong>liturgia</strong> teologica. Importante in specie<br />

il rilievo che S. Tommaso dà ovunque in questo trattato alla distinzione<br />

<strong>della</strong> religione considerata nel suo aspetto interno e la religione<br />

considerata nelle sue espressioni esterne giustificate dalla<br />

natura corporea spirituale nonché sociale dell'uomo, ma sempre<br />

relative all'atteggiamento interno dell'anima che costituisce la forza<br />

dinamica vivificatrice di ogni atto di religione.


540 CAP. XVIII - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA IN S. TOMMASO<br />

Teologia dei sacramenti in genere<br />

Intorno ai sacramenti in genere (III q 60-65) vi è anzitutto da<br />

rilevare il grande concetto di segno, quello appunto che è servito<br />

di base all'elaborazione del concetto di <strong>liturgia</strong> nella prima parte<br />

di questo lavoro. Non solo nelle opere di S. Tommaso vi è tutta<br />

una filosofia e teologia del segno 2 , ma non è esagerato dire che<br />

questo concetto rappresenta la chiave di volta <strong>della</strong> sua teologia<br />

matura in tutto il trattato dei sacramenti in genere e in specie.<br />

Giustamente questo fatto è fortemente messo in rilievo da quei<br />

commentatori recenti che si sono sforzati e si sforzano in qualche<br />

modo di costruire una <strong>liturgia</strong> teologica fondandosi su S. Tommaso<br />

specialmente dal P. Roguet 3 . In tutto questo S. Tommaso è l'erede<br />

e, in qualche modo, il perfezionatore del pensiero <strong>teologico</strong> di<br />

S. Agostino e, per mezzo di lui, di tutta la tradizione simbolica,<br />

teologica, liturgica <strong>della</strong> patristica antica nonché del pensiero del<br />

primo medioevo. Non solo S. Tommaso nella Somma, espressione<br />

matura del suo pensiero in questo punto, dice che il sacramento<br />

va posto nel genere del segno (III q 60 a 1), ma definisce addirittura<br />

il sacramento del Nuovo Testamento come « il segno di una cosa<br />

sacra in quanto è santificante per gli uomini » (a 2).<br />

Egli ha, inoltre, la dottrina <strong>della</strong> triplice dimensione del significato<br />

del segno sacramentale, nella quale riecheggia, sebbene non<br />

completamente elaborata ed evoluta, la grande visione simbolistica<br />

realistica dei Padri. « Sacramento, propriamente parlando, è detta<br />

una cosa ordinata a significare la nostra santificazione. Ora in<br />

questa possono considerarsi tre aspetti ossia: la causa stessa<br />

<strong>della</strong> nostra santificazione, che è la passione di Cristo; la forma<br />

<strong>della</strong> nostra santificazione che consiste nella grazia e nelle virtù;<br />

il fine ultimo <strong>della</strong> nostra santificazione, che è la vita eterna. Tutto<br />

questo è significato nei sacramenti. Perciò il sacramento è segno<br />

rimemorativo di quello che precedette, cioè <strong>della</strong> passione di Cristo;<br />

dimostrativo di quel che è operato in noi per la passione di Cristo,<br />

ossia <strong>della</strong> grazia; e prognostico, cioè preannunziativo, <strong>della</strong> futura<br />

gloria » (a 3).<br />

A questa stessa dottrina fondamentale del sacramento segno<br />

S. Tommaso riallaccia anche la sua spiegazione <strong>della</strong> composizione<br />

di ogni sacramento di una cosa sensibile ulteriormente determinabile<br />

(res) e di un elemento ulteriormente e specificamente determinante<br />

il suo significato speciale per ogni sacramento (verbo): il<br />

cosiddetto ilemorfismo applicato ai sacramenti (a 4-7); nonché la<br />

2 Vedi A. M. ROGUET, 1. e. nella nota precedente, pp. 257-346. Anche lo studio<br />

di Travers poggia tutto sulla nozione di segno. L'opera infatti si divide in due<br />

parti: valore sociale del segno; valore sociale dei segni cristiani.<br />

3 L. e. Così anche Travers. Vedi pure H. SCHILLEBEECKX, De sacramentele<br />

heilseconomie. Theologische bezinning op St. Thomas' sacramentenleer in het<br />

licht van de traditie en van hedendaagse sacramentenproblematik, Antwerpen 1952.


SACRAMENTI IN GENERE 541<br />

causalità dei sacramenti, per cui ogni sacramento è segno efficace<br />

che causa efficacemente quello appunto che significa (III q 62), o,<br />

come hanno detto i teologi posteriori, efficit quod figurat, oppure:<br />

significando causat. La spiegazione dei singoli sacramenti è tutta<br />

imperniata sul segno proprio a ognuno come espressione <strong>della</strong> grazia<br />

particolare che conferisce.<br />

Altro concetto base del trattato dei sacramenti in genere in<br />

S. Tommaso, anch'esso di rilevante importanza per la teologia<br />

liturgica, è quello del doppio inscindibile fine dei sacramenti: la<br />

santificazione e il culto, con il primato del culto sulla santificazione<br />

in quanto la santificazione è ordinata al culto (III q 60 a 5 corpo;<br />

q 63 a 6 corpo).<br />

Terzo concetto importante è quello che il culto, a cui sono<br />

diretti i sacramenti, è specificamente il culto cristiano, ossia quello<br />

iniziato da Cristo, specialmente sul Golgota, da Lui sempre continuato<br />

e al quale Egli associa i fedeli unendoli a sé e facendoli<br />

partecipi del suo culto a Dio; è dunque il culto di Dio in Cristo.<br />

Per S. Tommaso, appunto a questo culto di Dio in Cristo deputano<br />

specificamente i caratteri sacramentali, i quali « non sono altro<br />

che una certa partecipazione al sacerdozio di Cristo da Cristo stesso<br />

derivata » (III q 63 a 3): dal che risulta che tutto il culto cristiano<br />

non è altro che il culto di Cristo sempre in atto per mezzo <strong>della</strong><br />

Chiesa, con la Chiesa e per la Chiesa. Quest'ultimo concetto si<br />

precisa ancora in S. Tommaso per mezzo <strong>della</strong> dottrina dei sacramenti<br />

strumento separato <strong>della</strong> divinità in Cristo come la sua<br />

umanità ne è lo strumento congiunto.<br />

Finalmente, vi è in S. Tommaso il concetto che tutti i sacramentali<br />

e i riti liturgici diversi sono ordinati ai sacramenti come<br />

alla cosa principale (vedi, per es., <strong>Il</strong>i q 65 a 1 ad 6), mentre tra<br />

i sacramenti tutti sono ordinati all'eucaristia sacrificio e sacramento,<br />

la quale appare così come il centro e il sole di tutto il complesso<br />

del culto e <strong>della</strong> santificazione <strong>della</strong> Chiesa (III q 65 a 3).<br />

È vero che, in tutto questo, S. Tommaso parla direttamente<br />

dei sette sacramenti, ossia di quei riti maggiori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che<br />

sono d'istituzione divina ed operano ex opere operato, e non già<br />

di tutta la <strong>liturgia</strong>. <strong>Il</strong> trattato di S. Tommaso sui sacramenti in<br />

genere è direttamente ed esattamente un trattato dei sette sacramenti<br />

in genere e non già un trattato dei sacramenta, ossia praticamente<br />

di tutta la <strong>liturgia</strong> nel <strong>senso</strong> patristico.<br />

Questa precisa prospettiva comportava un certo pericolo tendenziale:<br />

quello che si arrivasse a costruire una teologia dei sette<br />

sacramenti separata dal suo quadro connaturale <strong>della</strong> teologia liturgica<br />

in genere e che anzi la <strong>liturgia</strong> fosse espulsa dalla sintesi teologica.<br />

In S. Tommaso stesso la cosa è in parte evitata, come si vedrà<br />

sotto; i teologi posteriori invece non seppero evitare il «pericolo.<br />

Ma è anche vero che l'aver messo in fortissimo rilievo i sette<br />

riti liturgici maggiori, di fronte al resto del complesso liturgico<br />

che li circondano nella vita pratica cultica <strong>della</strong> Chiesa, ha permesso


542 CAP. XVIII - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA IN S. TOMMASO<br />

agli scolastici, e in specie a S. Tommaso, di realizzare il notevolissimo<br />

e necessario progresso di determinare esattamente quello<br />

che, fra tutti i riti liturgici in genere, distingue specificamente i sette<br />

riti maggiori ed è loro proprio, specialmente rispetto alla loro istituzione,<br />

alla loro efficacia e alla loro necessità. La teologia conquistò<br />

così la coscienza riflessa e analitica <strong>della</strong> nostra distinzione, nel<br />

seno del complesso liturgico, tra sacramenti da una parte, e dall'altra<br />

sacramentali, riti liturgici e preghiera liturgica, distinzione<br />

che è di capitale importanza nello studio <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

come si è potuto vedere nella prima parte, mentre nella teologia<br />

precedente era rimasta ancora troppo indeterminata.<br />

Che poi i grandi concetti sopra recensiti e messi da S. Tommaso<br />

alla base <strong>della</strong> sua teologia dei sette sacramenti, mediante<br />

un opportuno e necessario allargamento e perfezionamento, richiesto<br />

dalla natura stessa delle cose, possano e debbano applicarsi<br />

a tutta la <strong>liturgia</strong>, salvo il modo speciale in cui essi si verificano<br />

nei sette sacramenti, lo abbiamo mostrato nella prima parte di questo<br />

lavoro.<br />

Teologia del culto <strong>della</strong> legge antica<br />

Un esempio tipico che, nella mente stessa di S. Tommaso,<br />

questi concetti, salve le differenze che richiede la materia nei singoli<br />

casi, ammettono un allargamento al di là <strong>della</strong> sfera ristretta<br />

dei sette sacramenti, si tia nel suo trattato sul significato <strong>teologico</strong><br />

del culto dell'antica legge (III q 101-103), specialmente a proposito<br />

del significato dei segni rituali <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dell'Antico Testamento<br />

(q 102). Qui S. Tommaso non solo applica a tutti i segni rituali<br />

dell'antica legge il principio da lui espresso a proposito del significato<br />

dei segni sacramentali <strong>della</strong> nuova: che, cioè, questi segni<br />

hanno un valore dimostrativo di una realtà spirituale presente,<br />

un valore rimemorativo di una realtà passata e un valore preannunziativo<br />

di una realtà futura, (III q 60 a 3), ma, con terminologia<br />

un po' diversa e derivata più direttamente dall'antica tradizione<br />

patristica, precisa i particolari delle singole parti.<br />

« <strong>Il</strong> fine dei precetti cerimoniali è doppio : erano infatti ordinati<br />

al culto di Dio, per quel tempo, ed a figurare Cristo... Dunque<br />

le ragioni dei precetti cerimoniali dell'antica legge si ricavano da<br />

una doppia considerazione: la prima, dal motivo del culto divino<br />

che si doveva allora osservare. Questo genere di ragioni l'indica<br />

la lettera stessa <strong>della</strong> Scrittura e sono dirette sia ad evitare il culto<br />

idolatrico, sia a ricordare alcuni benefici di Dio, sia ad inculcare<br />

l'eccellenza divina o anche ad esprimere la disposizione <strong>della</strong> mente<br />

che allora si richiedeva nei cultori di Dio. La seconda considerazione<br />

atta a indicare le ragioni delle leggi cerimoniali è in quanto sono<br />

ordinate a figurare Cristo. Così queste ragioni sono figurali e<br />

mistiche, sia rispetto a Cristo stesso e alla Chiesa, ciò che spetta<br />

all'allegoria; sia rispetto ai costumi del popolo cristiano, ciò che


CULTO NELL'ANTICA LEGGE 543<br />

spetta al significato morale, sia rispetto allo stato di futura gloria,<br />

in quanto vi siamo introdotti per Cristo, ciò che spetta al significato<br />

anagogico » (I-II q 102 a 2).<br />

Così, i precetti cerimoniali dell'antica legge avevano un significato<br />

rispetto ad una realtà presente, che era quella delle disposizioni<br />

d'animo interne in cui consisteva il culto a Dio, comprendenti<br />

l'allontanamento dal culto idolatrico e l'idea dell'eccellenza divina;<br />

un significato rispetto ad una realtà passata, che erano i benefici<br />

di Dio allora ricordati; un significato rispetto a una realtà futura<br />

che si suddivideva a sua volta in un triplice oggetto: Cristo stesso<br />

e la Chiesa, i costumi morali del popolo cristiano, la gloria futura<br />

finale. Sebbene tutto questo sia qui espresso da S. Tommaso in<br />

un modo alquanto involuto, per l'influsso <strong>della</strong> terminologia patristica<br />

sui diversi sensi <strong>della</strong> Scrittura, per cui la questione dell'articolo<br />

è « se i precetti cerimoniali abbiano una causa letterale oppure<br />

figurativa soltanto », nondimeno è assai facile riconoscere nelle sue<br />

osservazioni il fondamento di ciò che nella prima parte di questo<br />

lavoro abbiamo chiamato la quadruplice dimensione di significato<br />

di ogni segno liturgico.<br />

Effettivamente, S. Tommaso negli articoli <strong>della</strong> questione 102<br />

e 103 spiega il <strong>senso</strong> di tutta la <strong>liturgia</strong> dell'Antico Testamento secondo<br />

questa falsariga d'innegabile valore <strong>teologico</strong>, anche se, naturalmente,<br />

nell'assegnare nei particolari i significati figurativi dei<br />

singoli riti, egli cade abbondantemente nelle fantasie allegoriste<br />

d'origine filoniana e giudaica medievale (Mosè Maimonide è spesso<br />

citato in questi articoli) e in alcune d'origine patristica o medievale.<br />

Queste fantasie, come si sa, derivano dalla contaminazione del concetto<br />

biblico di tipologia e di figurazione con il concetto ellenistico<br />

di allegoria, e dal fatto che, già in parte i Padri, ma specialmente<br />

i medievali, avevano dimenticato la regola, che abbiamo a suo<br />

luogo spiegata: che, cioè, il significato preciso figurativo del rito<br />

liturgico (e questo vale anche per il rito liturgico dell'antica legge)<br />

è determinato dall'autorità competente che lo ha istituito e lo<br />

spiega attraverso i suoi organi competenti d'espressione (nel caso<br />

dell'Antico Testamento, dalla Scrittura e dalla Chiesa) e non già<br />

dall'arbitrio di un privato qualsiasi.<br />

Comunque, quanto abbiamo detto può bastare per convincerci<br />

dell'esistenza, nella teologia sintetica di S. Tommaso, dei princìpi<br />

essenziali che possono servire di base alla costruzione di una teologia<br />

liturgica fondamentale, specialmente del concetto base del rito<br />

liturgico come segno dalla quadruplice dimensione <strong>della</strong> santificazione<br />

e del culto.<br />

Che S. Tommaso, oltre la visione teoretica dei princìpi teologici<br />

fondamentali intorno alla natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, abbia avuto un <strong>senso</strong><br />

e come un istinto liturgico tradizionale sano e finissimo, ce lo<br />

dimostra con evidenza la messa e l'ufficiatura <strong>della</strong> festa del Corpus<br />

Domini se, come si ritiene, sono sua opera e nella quale è notevole,<br />

tra le altre cose, il <strong>senso</strong> simbolico realista o delle varie<br />

dimensioni del segno liturgico.


544 CAP. XVIII - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA IN S. TOMMASO<br />

2. SPUNTI D'INSERIMENTO METODICO DIRETTO<br />

DELL'ASPETTO TEOLOGICO LITURGICO<br />

NELLE SINGOLE QUESTIONI DI <strong>TEOLOGIA</strong> SINTETICA<br />

GENERALE IN S. TOMMASO<br />

Da quanto abbiamo esposto fin qui in quest'opera dovrebbe<br />

risultare in modo sufficiente che quasi tutte le questioni che costituiscono<br />

l'oggetto principale dei trattati abituali <strong>della</strong> nostra teologia<br />

sintètica hanno, tra gli altri, anche un aspetto liturgico, e, per<br />

così dire, una dimensione liturgica 4 . Ne segue che i singoli trattati<br />

teologici non possono essere integralmente elaborati — come trattati<br />

teologici, si badi bene — se, tra le altre cose, non viene in essi<br />

integrata la trattazione dell'aspetto <strong>teologico</strong> liturgico che implicano.<br />

La teologia sintetica è infatti obbligata ad assimilare nella<br />

sintesi di ogni trattato il materiale di valore <strong>teologico</strong> relativo —<br />

che si trova abbondantemente, come si è visto, nella <strong>liturgia</strong> —<br />

mediante il quale può conoscere un certo aspetto del suo oggetto<br />

che non può conoscere o, almeno conoscere in modo sufficiente<br />

o in modo simile, per altre vie. Chiediamoci ora come si comporta,<br />

da questo punto di vista, S. Tommaso nella sua sintesi teologica<br />

generale: se, cioè, e fino a qual punto, egli inserisce in questa<br />

sintesi l'aspetto <strong>teologico</strong> liturgico delle singole questioni.<br />

Consideriamo prima l'inserimento metodico e diretto; quello<br />

che avviene sporadicamente e per via indiretta ci sarà rivelato dall'uso<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in S. Tommaso come « autorità » attraverso<br />

tutta la teologia.<br />

L'inserimento metodico e diretto dell'aspetto liturgico nelle<br />

questioni che formano l'oggetto principale dei singoli trattati, praticamente<br />

non si realizza in S. Tommaso che in tre casi : anzitutto<br />

e in modo relativamente più perfetto, nel trattato dei sacramenti<br />

in specie; secondariamente nella teologia delle azioni umane dove<br />

tratta <strong>della</strong> virtù di religione in connessione con la virtù cardinale<br />

di giustizia; in terzo luogo, sempre nella teologia delle azioni umane,<br />

nel trattato <strong>della</strong> legge antica.<br />

Nel trattato dei sacramenti In specie<br />

Nella teologia dei sacramenti in specie, S. Tommaso ha avuto<br />

certamente la preoccupazione diretta d'inserire sistematicamente<br />

il materiale di valore <strong>teologico</strong> che, intorno a queste questioni, gli<br />

4 Dai temi trattati nei capitoli precedenti si può vedere che, fra i trattati<br />

che costituiscono l'insieme <strong>della</strong> nostra teologia dogmatica, per i seguenti esiste<br />

una questione liturgica: metodologia, Dio uni-trino, angeli, creatura infraumana,<br />

uomo, Cristo, Chiesa, sacramenti. Non sarebbe difficile fare la stessa dimostrazione<br />

per gli altri.trattati.


SACRAMENTI IN SPECIE 545<br />

parve disponibile dalla <strong>liturgia</strong>. Praticamente ha inteso spiegare<br />

i singoli sacramenti nel loro contesto del rituale liturgico. È così<br />

che, nella trattazione di ogni sacramento in particolare, non solo<br />

bada, naturalmente, a tutti quei particolari di natura anche liturgica<br />

che interessano la sostanza del sacramento, come la sua materia<br />

e la sua forma, ma, inoltre, inserisce una spiegazione del contesto<br />

liturgico nell'amministrazione di questo sacramento.<br />

Nel trattato del battesimo vi è un articolo speciale : « Se il rito<br />

che la Chiesa usa nel battesimo sia conveniente » 5 , in cui si spiegano<br />

i principali riti liturgici nell'amministrazione del battesimo.<br />

Nello stesso trattato è pure inserita la spiegazione dei punti essenziali<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> ad faciendum catechumenum e e del rito <strong>della</strong><br />

circoncisione come prefigurativa e preparativa del battesimo 7 . Alla<br />

fine del trattato sul sacramento <strong>della</strong> confermazione, c'è nello stesso<br />

<strong>senso</strong> un articolo : « Se il rito di questo sacramento sia conveniente<br />

» 8 .<br />

Nel trattato sull'eucaristia l'aspetto liturgico, più ancora che<br />

negli altri sacramenti, è preso in considerazione da S. Tommaso.<br />

Egli tratta: dell'uso dell'immissione dell'acqua nel vino all'offertorio<br />

9 ; dell'uso che si riscontra nell'antichità di allungare il vino<br />

consacrato con vino non consacrato affinché potesse bastare alla<br />

comunione dei fedeli 10 ; del digiuno eucaristico; <strong>della</strong> comunione<br />

di quelli che non hanno l'uso <strong>della</strong> ragione; <strong>della</strong> comunione frequente<br />

e quotidiana; <strong>della</strong> comunione sotto una specie n ; <strong>della</strong><br />

concelebrazione 12 ; <strong>della</strong> distribuzione <strong>della</strong> comunione dal sacerdote<br />

e dal diacono 13 ; dell'obbligo <strong>della</strong> comunione del sacerdote<br />

consacrante nella messa, e dell'obbligo per il sacerdote di celebrare<br />

14 ; finalmente e in modo speciale « dei riti di questo sacramento<br />

» ". Qui si parla : del tempo <strong>della</strong> celebrazione, del luogo<br />

<strong>della</strong> celebrazione e dei vasi sacri, di tutto l'ordo missae in quanto<br />

alle principali formule e in quanto ai principali riti, del modo di<br />

correggere i diversi difetti in cui si può incorrere nella celebrazione<br />

<strong>della</strong> messa.<br />

A proposito <strong>della</strong> penitenza, nell'ultimo articolo, si spiega la<br />

convenienza del rito liturgico <strong>della</strong> penitenza solenne ie . Anche nel<br />

sacramento dell'unzione dei malati c'è la spiegazione <strong>della</strong> convenienza<br />

che in esso siano unte le parti del corpo indicate dal rito litur-<br />

s III q 66 a 10.<br />

r> III q 71 a 2 e 3.<br />

? III q 70 a 3.<br />

» III q 72 a 12.<br />

» III q 74 a 6-8.<br />

III q 77 a 8.<br />

11 III q 80 a 8-12.<br />

'2 III q 82 a 2.<br />

>•' III q 82 a 3.<br />

« III q 82 a 4; a 10.<br />

" III q 83.<br />

lf! Suppl q 28 a 3.<br />

18-11 <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


546 CAP. XVIII - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA IN S. TOMMASO<br />

gico 17 . Alla fine del sacramento dell'ordine si spiega il significato<br />

delle vesti sacerdotali e delle insegne pontificali ,8 .<br />

Come si vede, nella teologia sintetica dei sacramenti in specie,<br />

S. Tommaso ha inserito un notevole materiale di natura liturgica.<br />

Questo materiale invece è escluso, mi pare unanimemente, dalle<br />

sintesi teologiche dei nostri odierni manuali, perché, senza dubbio,<br />

non ritenuto d'interesse <strong>teologico</strong>, ma se mai d'interesse liturgico<br />

allegorico, e non sempre <strong>della</strong> migliore specie, o liturgico rubricistico,<br />

o tutt'al più liturgico storico. S. Tommaso, invece, lo considera<br />

d'interesse propriamente <strong>teologico</strong>; interesse che scopre, per lo<br />

più, sotto l'angolo di visuale delle ragioni di convenienza in rapporto<br />

al fine dei riti liturgici di disporre convenientemente ai singoli sacramenti<br />

maggiori nella celebrazione dei quali intervengono. Anche<br />

le ragioni figurative dei diversi riti intervengono non di rado.<br />

Non voglio asserire che oggi, per ritrovare una più profonda<br />

unità tra teologia dei sacramenti e <strong>liturgia</strong> sacramentale in genere,<br />

basti ripetere semplicemente quello che S. Tommaso ha detto del<br />

relativo aspetto liturgico a proposito di ogni sacramento. E non<br />

voglio nemmeno insinuare che allo stesso scopo basti trasportare<br />

di peso nel trattato <strong>teologico</strong> sintetico dei sacramenti quello che<br />

i nostri liturgisti storici, rubricisti, o, se esistono ancora, allegoristi,<br />

dicono dei singoli sacramenti. Ma non si può non rilevare questo<br />

fatto che S. Tommaso, credendo di trovare nell'aspetto liturgico dei<br />

sacramenti un notevole interesse anche <strong>teologico</strong>, ha pensato essere<br />

compito <strong>della</strong> teologia sintetica di occuparsene.<br />

E innegabile inoltre, che le osservazioni di S. Tommaso nella<br />

spiegazione dei riti liturgici dei sacramenti, al di là delle ragioni di<br />

convenienza e dei rapporti figurativi ai quali si appella, raggiungono<br />

spessissimo degli autentici e profondi valori teologici. Valori teologici,<br />

inoltre, anche tradizionali. Infatti, negli articoli sopra elencati<br />

di S. Tommaso, convergono spesso un buon numero di temi teologici<br />

liturgici d'origine patristica, che i Padri erano soliti svolgere nelle<br />

loro opere di spiegazione dei riti dell'iniziazione cristiana ai catecumeni<br />

e ai neofiti. <strong>Il</strong> De Sacramentis di S. Ambrogio e diverse opere<br />

di S. Agostino sono citati più d'una volta da S. Tommaso in questo<br />

contesto. Anche la tradizione medievale su queste materie, convogliata<br />

spesso nelle opere di natura canonica come il Decretimi di<br />

Graziano, costituisce una fonte importante di questi articoli.<br />

Nel trattato <strong>della</strong> virtù di religione<br />

Un altro spunto d'inserimento sistematico dell'aspetto liturgico<br />

nella sintesi teologica di un trattato si ha in S. Tommaso nel trattato<br />

<strong>della</strong> virtù di religione. Una serie di articoli vi trattano dell'aspetto<br />

liturgico di questa virtù. Così quando si cerca: se la virtù di reli-<br />

17 Suppl q 32 a 6.<br />

18 Suppl q 40 a 7.


LITURGIA NELL'ANTICO TESTAMENTO 547<br />

gione abbia qualche atto esteriore 19 ; se la preghiera debba essere<br />

vocale 20 ; se convenientemente si possa dire che le parti <strong>della</strong> preghiera<br />

sono le suppliche, le orazioni, le domande e il ringraziamento 21 ;<br />

se l'adorazione implichi anche atti corporei 22 ; se richieda un luogo<br />

determinato 23 . Tutta la questione 85 <strong>della</strong> secunda secundae tratta<br />

del sacrifìcio come dell'atto sommo <strong>della</strong> virtù di religione. Anche la<br />

questione 86 intorno alle oblazioni e alle primizie tocca spesso la<br />

<strong>liturgia</strong>. I due articoli <strong>della</strong> questione 91 sono di natura direttamente<br />

liturgica trattando <strong>della</strong> lode vocale di Dio e del canto liturgico.<br />

Nella questione 94 a proposito dell'idolatria si tratta delle immagini<br />

nel culto.<br />

Nel trattato <strong>della</strong> legge antica<br />

Finalmente, nel trattato sulla legge antica S. Tommaso inserisce<br />

sistematicamente una trattazione del significato <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

dell'Antico Testamento considerando questa <strong>liturgia</strong> in se stessa,<br />

nelle sue ragioni o significati secondo il fine di ogni rito e prescrizione<br />

liturgica, e nella sua durata ed efficacia. Così, in una prima<br />

questione spiega la natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dell'antica legge in quanto<br />

destinata al culto di Dio direttamente o indirettamente come preparazione<br />

dei fedeli; poi spiega la proprietà di questa <strong>liturgia</strong> di<br />

essere figurativa di Cristo e <strong>della</strong> gloria futura 24 , la ragione in genere<br />

<strong>della</strong> molteplicità e diversità dei suoi riti 25 e la distinzione delle sue<br />

singole parti in sacrifici, sacramenti e osservanze sacre 2e .<br />

Nella seconda questione si spiega il significato di queste parti<br />

secondo la natura e il fine di ognuna. Un primo articolo stabilisce<br />

il fatto generale che questo significato deve esistere per ogni cosa<br />

nella <strong>liturgia</strong> anche dell'Antico Testamento "; poi, specificando<br />

quello che abbiamo chiamato le dimensioni significative dei segni<br />

liturgici, si mostra in genere che, per la <strong>liturgia</strong> dell'Antico Testamento,<br />

queste vanno ricercate nel <strong>senso</strong> letterale e nel <strong>senso</strong> figurativo<br />

dei testi 28 . Quindi si passa alla spiegazione del significato<br />

delle singole parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> secondo i predetti princìpi: spiegazione<br />

del significato dei sacrifici 29 : dei « sacra » ossia dei tempi<br />

sacri, dei luoghi sacri, dei vasi sacri, dei ministri sacri 30 ; dei sacra-<br />

] » IMI q 81 a 7.<br />

2» IMI q 83 a 12.<br />

« IMI q 83 a 17.<br />

" IMI q 84 a 2.<br />

»» IMI q 84 a 3.<br />

2 « MI q 101 a 1; a 2.<br />

« MI q 101 a 3.<br />

*« MI q 101 a 4.<br />

•* MI q 102 a 1.<br />

2 8 MI q 102 a 2.<br />

2» MI q 102 a 3.<br />

3 ° III q 102 a 4.


548 CAP. XVIII - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA IN S. TOMMASO<br />

menti: circoncisione, agnello pasquale, consacrazione dei sacerdoti<br />

(e qui si parla anche del significato delle vesti sacerdotali), oblazioni,<br />

purificazioni 31 ; spiegazione del significato delle sacre osservanze<br />

liturgiche, come <strong>della</strong> proibizione di mangiare certi cibi,<br />

certi animali, il sangue, ecc.<br />

Nella terza questione si parla <strong>della</strong> durata dei precetti cerimoniali<br />

liturgici dell'Antico Testamento, in quanto non esistevano per<br />

precetto di autorità legale, prima <strong>della</strong> legge 32 , e furono aboliti da<br />

Cristo 33 ; nonché dell'efficacia loro propria nel tempo dell'antica<br />

legge 3i . Come si vede, il complesso delle questioni trattate è assai<br />

esauriente.<br />

Non mi consta che fuori dei tre trattati dei sacramenti, <strong>della</strong><br />

virtù di religione e <strong>della</strong> legge antica, si trovi nella Somma alcunché<br />

di simile per l'inserimento sistematico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella sintesi<br />

teologica dei singoli trattati 35 .<br />

3. L'USO DELLA LITURGIA COME AUCTORITAS<br />

NEL QUADRO DELLA QUAESTIO E DEL METODO SIC ET NON<br />

ATTRAVERSO LA <strong>TEOLOGIA</strong> DI S. TOMMASO<br />

Non si vuol dire che negli altri trattati, che compongono la sintesi<br />

<strong>della</strong> Somma, la <strong>liturgia</strong> non figuri in nessun modo. Che anzi, percorrendo<br />

questi trattati-, si può spigolare un certo numero di ricorsi<br />

alla <strong>liturgia</strong>. Per capire però la visuale precisa nella quale si fanno<br />

31 MI q 102 a 5.<br />

32 MI q 103 a 1.<br />

33 MI q 103 a 3 e 4.<br />

34 MI q 103 a 2.<br />

35 Però alcune questioni e articoli di altri trattati, senza spiegare direttamente<br />

l'aspetto liturgico, toccano questioni e propongono concetti che spesso<br />

sono assai importanti per questo stesso aspetto. Così, nel trattato su Cristo e la<br />

Madonna, in una serie di questioni, si toccano idee di grande valore liturgico.<br />

Nella III parte la q 22 (del sacerdozio di Cristo) e 26 (di Cristo mediatore) sono<br />

importanti per il concetto di <strong>liturgia</strong> in genere e per chiarire il posto che in essa<br />

spetta a Cristo. La questione 25, specialmente gli articoli 3-6, è importante per<br />

il culto di Cristo (per es., Sacro Cuore, piaghe di Cristo), per quello delle immagini<br />

e delle reliquie. Importanti, per varie ragioni, sono pure le questioni seguenti:<br />

27: sulla santificazione <strong>della</strong> Madonna; 29: sul suo sposalizio; 30: sulla<br />

annunziazione. Le questioni seguenti sulla vita di Cristo, sono importanti per<br />

la teologia delle relative feste liturgiche; 35: <strong>della</strong> natività del Salvatore; 36:<br />

<strong>della</strong> manifestazione di Cristo dopo la sua nascita; 37: dell'osservanza dei precetti<br />

legali nel caso del bambino Gesù; 39: del battesimo di Cristo; 45: <strong>della</strong><br />

trasfigurazione di Cristo; 46: <strong>della</strong> passione di Cristo; 50: <strong>della</strong> morte di Cristo;<br />

51 : <strong>della</strong> sepoltura di Cristo; 52 : <strong>della</strong> sua discesa agli inferi; 53 : <strong>della</strong> risurrezione<br />

di Cristo; 57: dell'ascensione di Cristo; 58: <strong>della</strong> sua seduta alla destra del<br />

Padre. Nel Supplemento q 71, dove si parla dei suffragi per i defunti, vi sono<br />

parecchie osservazioni di teologia liturgica, come anche nella questione 72 dove<br />

si parla dell'invocazione dei santi.


LA QUAESTIO SCOLASTICA 549<br />

questi ricorsi e quindi i limiti del loro valore, bisogna tener presente<br />

il quadro generale scolastico <strong>della</strong> quaestio e del metodo<br />

sic et non 3e .<br />

L'« auctoritas » e la « quaestio » nel metodo scolastico<br />

È noto, infatti, che tutto il lavorio scolastico, sia filosofico che<br />

<strong>teologico</strong>, dal punto di vista del metodo, si sviluppa a partire da un<br />

dato positivo: le affermazioni o le opinioni, per lo più consegnate<br />

in testi scritti, degli autori antecedenti, che, nella materia presa in<br />

esame nei singoli casi, sono supposti fare in qualche modo autorità.<br />

I detti di questi autori, che riassumono in una determinata<br />

questione la loro rispettiva posizione, ed anche gli stessi autori che<br />

li hanno pronunciati, sono nominati appunto: auctorìtates.<br />

In filosofia Aristotele, il filosofo, a partire dal ritrovamento delle<br />

sue opere, è, naturalmente, la grande auctoritas. In teologia le<br />

auctorìtates sono svariatissime : la Scrittura, i Padri : « i santi »;<br />

i teologi più recenti: doctores; i concili, la Chiesa in genere, specialmente<br />

quella romana. La <strong>liturgia</strong>, sia nei suoi testi, sia nei suoi<br />

riti, sia nelle sue feste, è una tra le auctorìtates in teologia. Sebbene<br />

S. Tommaso non dica molto in proposito, sembra certo che per lui<br />

ì'auctoritas <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> si riduce all''auctoritas <strong>della</strong> Chiesa <strong>della</strong><br />

quale essa manifesta la consuetudo, specialmente nei riti e nelle<br />

feste, e quindi in qualche modo la fede, sia nei riti che nelle feste<br />

e nei formulari 37 .<br />

Dal punto di partenza dell'indagine costituito dalle auctorìtates,<br />

nel metodo scolastico sorge la quaestio, in quanto le auctorìtates<br />

contrastanti prò e contro una determinata soluzione (sic et non) in<br />

una certa materia sollevano, per il teologo, una questione, un dubbio,<br />

ed impongono un'alternativa nella sua soluzione a seconda che<br />

si segue una parte o l'altra delle auctorìtates. Nasce così naturalmente<br />

il noto sistema di esposizione scolastico in ogni dibattito.<br />

Esso consiste, in ogni articolo, nel proporre dapprima una questione<br />

(Quaeritur utrunt...). Quindi segue l'espressione del dubbio in una<br />

delle sue alternative (Et videtur quod...), affiancata subito da una<br />

serie di auctorìtates che sembrano militare in suo favore (...enint...<br />

e la serie delle obiectiones che appoggiano la prima alternativa).<br />

In quarto luogo segue una o anche più auctorìtates in favore <strong>della</strong><br />

se Vedi, per es., J. DE GHELLINCK, Le mouvement théologique du XII' siècle,<br />

2 ed. Bruges-Bruxelles-Paris 1948 p. 472 ss; M. D. CHENU, Introduction à l'étude de<br />

S. Thomas d'Aquin, Paris 1950 p. 106 ss.<br />

37 A proposito del ricorso all'auctoritas <strong>della</strong> festa liturgica <strong>della</strong> Concezione<br />

di Maria, S. Tommaso parla <strong>della</strong> consuetudo delle chiese che celebrano<br />

questa festa: III q 27 a 2 ad 3. Dell'autorità in teologia <strong>della</strong> consuetudine <strong>della</strong><br />

Chiesa in genere, S. Tommaso dice che essa è massima e deve prevalere su<br />

quella stessa dei Padri e dei dottori: IMI q 10 a 12 corpo. Vedi anche III q 78<br />

a 3 sed contra; Suppl q 29 a 8 sed contra 1 e nel corpo dell'articolo; Suppl. q 72<br />

a 2 sed contra 3.


550 CAP. XVIII - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA IN S. TOMMASO<br />

soluzione opposta (Sed cantra est). In quinto luogo la risoluzione<br />

del dubbio. (Respondeo. Dicendum). Infine, la spiegazione delle<br />

auctoritates contrarie alla soluzione scelta e che sono generalmente<br />

quelle esposte nella-prima serie ossia nelle obiectiones (Ad primum<br />

ergo. Dicendum).<br />

È noto pure che, nella soluzione centrale del dubbio, il punto<br />

di vista di gran lunga prevalente <strong>della</strong> scolastica, principalmente<br />

di S. Tommaso, e la preoccupazione primaria <strong>della</strong> quale si cerca<br />

lo scioglimento del problema, non è il trattamento filologico storico<br />

delle auctoritates contrastanti -con l'intento di cogliere semplicemente<br />

il pensiero storico di ognuna, o anche lo sviluppo storico<br />

di una dottrina nel tempo (sebbene questi aspetti non siano<br />

completamente assenti). <strong>Il</strong> punto di vista primario è la considerazione<br />

<strong>della</strong> realtà assoluta in se stessa come appare all'analisi<br />

delle cose mediante l'uso <strong>della</strong> filosofia e <strong>della</strong> dialettica. Da questa<br />

analisi si risolve il dubbio iniziale in un <strong>senso</strong> o in un altro.<br />

Anche in teologia, le auctoritates che sono sparse per i singoli<br />

articoli, sia nelle obiezioni iniziali, sia nel Sed contra, sia nel corpo<br />

stesso dell'articolo o nelle risposte alle obiezioni, hanno anzitutto<br />

una funzione dialettica ontologica, non direttamente storica né<br />

apologetica. Citando, per esempio, come autorità, un passo di Agostino<br />

o di Girolamo o di qualsiasi altro santo ò dottore, non si è<br />

presi anzitutto, come lo siamo noi oggi, dalla preoccupazione di conoscere<br />

in proposito il pensiero storico, e tanto meno tutto il<br />

pensiero storico, di questi Padri, o l'evoluzione generale di questo<br />

pensiero; e non si è nemmeno presi anzitutto, come lo sono i teologi<br />

positivo-scolastici, dalla preoccupazione di costruire una catena<br />

di testimonianze per dimostrare che la dottrina odierna <strong>della</strong> Chiesa<br />

è realmente contenuta nella tradizione o nella Scrittura. La preoccupazione<br />

primaria degli scolastici nel citare le auctoritates è semplicemente<br />

quella di sollevare un dubbio, una questione d'ordine<br />

ontologico dialettico, filosofico o <strong>teologico</strong>; quella di inclinare dall'esterno<br />

il ricercatore a una determinata soluzione dello stesso ordine;<br />

di appoggiare o confermare, almeno apparentemente, quella<br />

soluzione per autorità.<br />

Perciò, quando le auctoritates sono contrastanti tra loro o con<br />

la soluzione proposta, si ha cura, anzitutto mediante la distinzione<br />

dialettica di diversi punti di vista, dai quali si dice che ognuna di<br />

quelle auctoritates si è messa nelle sue affermazioni, di dimostrare,<br />

possibilmente, che il contrasto è solo apparente. Solo in estrema<br />

necessità si ammetterà che quel contrasto è reale e che quindi bisógna<br />

sacrificare una delle auctoritates. Ma si farà con grande ripugnanza<br />

e con modo di esprimersi sommamente rispettoso, preferendo,<br />

per Io più, con qualche adatto giro di parole o espressione<br />

dubitativa (expositio reverentialis), come coprire Vauctoritas presa<br />

in fallo 38 .<br />

38 Vedi Chenu,- opera citata nella nota 36, p. 126 ss.


LITURGIA COME AUCTORITAS 551<br />

Spigolature del ricorso alla <strong>liturgia</strong> nella Somma<br />

come a una « auctoritas » nel quadro <strong>della</strong> « quaestio »<br />

Tutto questo vale anche per la <strong>liturgia</strong>. È questo quadro delle<br />

auctoritates nella quaestio e nel sic et non che S. Tommaso, attraverso<br />

tutta la teologia, anche fuori dei trattati che sono stati più<br />

direttamente considerati sopra, fa un certo ricorso alla <strong>liturgia</strong>.<br />

<strong>Il</strong> P. Hering, nel suo articolo sulla <strong>liturgia</strong> come locus theologicus<br />

in S. Tommaso, rileva in tutta la Somma 57 simili ricorsi, 16 dei<br />

quali per i trattati dei sacramenti e 41 per il resto <strong>della</strong> teologia,<br />

compresa la morale. Non si può dire, come si vede, che questo<br />

ricorso sia molto abbondante.<br />

Comunque, eccone alcuni esempi. Nel trattato sull'unità di<br />

Dio, per arguire contro l'onnipotenza divina, si cita come autorità<br />

un'orazione del messale domenicano, in cui si dice che Dio dimostra<br />

la sua onnipotenza massimamente perdonando ed avendo<br />

compassione, ciò che sembra insinuare che non può fare più che<br />

perdonare; sull'incertezza del numero dei predestinati si richiama l'orazione<br />

Deus cui soli cognitus est numerus electorum in suprema felicitate<br />

locandus 39 . Nel trattato sulla Trinità, per appoggiare la tesi che<br />

in Dio le relazioni e l'essenza realmente s'identificano, si citano in un<br />

Sed contra le parole del Prefazio : «Ut in personis proprietas » e « in<br />

maiestate adoretur aequalitas » 40 . In favore <strong>della</strong> risposta positiva<br />

alla questione se un modo di dire esclusivo possa essere correttamente<br />

aggiunto a un termine che in Dio esprime una persona, si citano<br />

le parole del Gloria : « Tu solus altissimus Iesu Christe ». Nella risposta<br />

S. Tommaso fa osservare che il testo del Gloria aggiunge : « Cum<br />

Sancto Spiritu in gloria Dei Patris » 41 .<br />

Nel trattato degli angeli, in favore <strong>della</strong> tesi che gli angeli possono<br />

essere in un luogo, si cita, in un Sed contra, un testo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

domenicana in cui si prega Dio che gli angeli abitanti in questa casa<br />

ci proteggano 42 . Nel trattato sulla tristezza, in favore <strong>della</strong> tesi che<br />

la contemplazione <strong>della</strong> verità lenisce la tristezza e il dolore, si citano<br />

dalle lezioni del breviario le parole di S. Tiburzio che, camminando<br />

sui carboni ardenti, diceva : « Mi pare di camminare sopra rose » 4S .<br />

Nel trattato sul martirio, dibattendo le questioni se il martirio sia<br />

un atto di fortezza, se sia un atto di virtù, se richieda essenzialmente<br />

la morte, si ricorre ogni volta all'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 44 . In cristologia<br />

l'autorità dell'« O felix culpa... » del preconio pasquale è invocata .<br />

: "> I q 25 a 3 obiectio 3 e ad 3; I q 23 a 7 corpo.<br />

'" I q 28 a 2.<br />

41 I q 31 a 4 obiectio a e ad 4.<br />

•'- I q 52 a 1.<br />

•>* MI q 38 a 4 corpo. Vedi anche IMI q 123 a 6.<br />

14 IMI q 124 a 2 corpo; a 3 ad 1 e ad 2; a 4 nelle obiezioni e nelle risposte.


552 CAP. XVIII - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA IN S. TOMMASO<br />

per confermare la tesi che dopo il peccato la natura umana è stata<br />

elevata ad una dignità più grande di quella di cui godeva prima 45 ;<br />

la <strong>liturgia</strong> è ancora invocata in favore <strong>della</strong> tesi che in Cristo vi fu<br />

unione di anima e di corpo 16 e in favore <strong>della</strong> tesi che la croce deve<br />

essere adorata 47 . S. Tommaso interpreta il <strong>senso</strong> preciso del testo<br />

liturgico in cui si dice che il Verbo prese la carne da Maria 48 . Nel trattato<br />

<strong>della</strong> mariologia S. Tommaso, contrario all'Immacolata Concezione,<br />

discute l'autorità e il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> festa liturgica <strong>della</strong> Concezione di<br />

Maria 49 . Nel trattato dei novissimi si allude alle preghiere liturgiche<br />

per i defunti 50 e alla consuetudine <strong>della</strong> Chiesa d'invocare l'aiuto dei<br />

santi nelle litanie S1 . Naturalmente, anche in altre opere, fuori <strong>della</strong><br />

Somma, S. Tommaso fa ogni tanto ricorso all'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 32 ;<br />

né si dimentichi che questo ricorso si fa spesso anche in quei trattati<br />

sopra analizzati dei sacramenti in genere e in specie, <strong>della</strong> legge antica<br />

e <strong>della</strong> religione in genere, nei quali l'aspetto liturgico è più direttamente<br />

e sistematicamente inserito nella sintesi generale.<br />

Giudizio conclusivo<br />

Qual è, in conclusione, il giudizio che ci si può formare dei rapporti<br />

tra sintesi teologica e <strong>liturgia</strong> in S. Tommaso? <strong>Il</strong> posto che<br />

occupa la <strong>liturgia</strong> nella sintesi teologica di S. Tommaso è certamente<br />

degno <strong>della</strong> massima considerazione da parte dei teologi. Ma, prima<br />

costatazione : non è l'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come auctoritas attraverso tutta<br />

la teologia nel quadro <strong>della</strong> quaestio scolastica e del metodo sic et non<br />

che porta ad una sua immissione notevole nella sintesi di S. Tommaso.<br />

Se in questa sintesi vi sono, come vi sono realmente, dei punti nei<br />

quali la forza del valore <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è penetrata, ciò avviene<br />

sostanzialmente per i due fatti sopra analizzati, e cioè : perché S. Tommaso<br />

ha inserito sistematicamente l'aspetto liturgico nei tre trattati<br />

<strong>della</strong> religione in genere, <strong>della</strong> legge antica e dei sacramenti in genere<br />

e in specie, e molto più ancora perché in questi tre trattati egli analizza<br />

e mette fortemente in rilievo una serie di concetti basilari, primo<br />

fra tutti quello di segno, che possono servire di fondamento alla costruzione<br />

di una teologia liturgica fondamentale.<br />

È, sostanzialmente, in virtù di questi due fatti che in S. Tommaso<br />

« ni q l a 3.<br />

« III q 2 a 5.<br />

« 7 III q 25 a 4 corpo.<br />

« III q 31 a 5 obiectio 1 e ad 1.<br />

49 III q 27 a 1 sed contra; a 2 obiectio e ad 3.<br />

50 Suppl q 69 a 4 ad 2; 71 a 2 ad 4.<br />

11 Suppl q 72 a 2 ad 3.<br />

52 Per es. Opusc. de rationibus fiati 9: esistenza del purgatorio; opusc. de<br />

forma absolutionis 1: citazione di un inno; Quodlibeto 12 q 9 a 2: devozione ai<br />

santi; quodlibeto 6,7; In Gv 10 lect. 5: il significato simbolico dello spazio dell'edificio<br />

di una chiesa; sul significato simbolico del tempo e delle feste nella<br />

<strong>liturgia</strong>: quodl 3 q 13 a 29; quodl 5 q 13 a 28 (vedi anche III q 66 ad 1; HI q 103<br />

a 3 ad 4); sul santorale e sulla dedica di una chiesa: In Gv 10 lect. 5.


CONCLUSIONE 553<br />

il rapporto teologia sintetica e <strong>liturgia</strong> appare notevolmente più ricco<br />

e profondo che nella teologia positivo-scolastica posteriore. Anzi, qui<br />

possiamo meglio renderci conto dei motivi ultimi dell'inferiorità di<br />

questa teologia positivo-scolastica, specialmente di quella dei nostri<br />

odierni manuali, rispetto a quella di S. Tommaso nella questione che<br />

ci occupa. Questa teologia, cominciando dal secolo XVI, nel trattato<br />

dei sacramenti in genere e in specie, ha talmente relegato al secondo<br />

piano il concetto di segno, per insistere invece quasi unicamente su<br />

quello di efficacia, che l'ha praticamente dimenticato, o, per lo meno,<br />

l'ha lasciato inoperante. Si è continuato bensì a definire un sacramento:<br />

il segno efficace <strong>della</strong> grazia, ma, tutti presi dalla polemica<br />

contro le negazioni protestanti, i teologi si concentrarono sul concetto<br />

di efficacia ex opere operato e sull'istituzione divina dei sette sacramenti,<br />

badando poco all'aspetto segno. <strong>Il</strong> risultato pratico fu : l'oscuramento,<br />

nella psicologia dei teologi e dei fedeli, del valore simbolico<br />

realistico dei sacramenti e di tutta la <strong>liturgia</strong>; la separazione<br />

dello studio dei sette sacramenti dal loro connaturale complesso<br />

liturgico dei sacramenta; dapprima la considerazione dei riti liturgici<br />

dei sette sacramenti, a cui si continuò in principio a prestare una<br />

certa attenzione, in funzione puramente apologetica contro i protestanti,<br />

e poi la semplice esclusione di questa materia dalla sintesi<br />

teologica.<br />

Altra riduzione operata dalla positivo-scolastica fu l'esclusione<br />

dalla sintesi teologica del trattato di S. Tommaso sulla legge antica<br />

e specialmente sulla <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> legge antica, ritenuta materia,<br />

se mai, esegetica e oggetto, tutt'al più, di pie considerazioni allegoriche<br />

ma non scientifiche. Anche il trattato <strong>della</strong> religione e del<br />

culto fu espulso dalla sintesi dogmatica e demandato alla morale.<br />

Questa, a sua volta, venne sempre più concepita in <strong>senso</strong> casuistico<br />

e giuridico, per cui, trattando <strong>della</strong> religione e del culto lo si faceva<br />

molto più per indicare quali sono i peccati da evitare contro la religione<br />

e il culto che per mostrare qual è la portata positiva <strong>della</strong><br />

religione e del culto nella vita cristiana. Altra esclusione fu quella<br />

fatta dalla cristologia <strong>della</strong> sezione De vita Christi in cui S. Tommaso<br />

aveva sparso parecchie considerazioni di vero valore <strong>teologico</strong> liturgico.<br />

Rispetto alla posizione che occupa la <strong>liturgia</strong> nella sintesi teologica<br />

di S. Tommaso, quali sono i desiderata che oggi la teologia può<br />

esprimere? Oltre a molti altri particolari minori, è facile vedere<br />

che, fra i trattati teologici, sono ancora molti quelli per i quali<br />

nella Somma non c'è traccia di tentativo di assimilare organicamente<br />

l'aspetto liturgico. Come si è spesso rilevato, questo tentativo esiste<br />

solo nel trattato <strong>della</strong> religione, <strong>della</strong> legge antica e dei sacramenti e,<br />

se si vuole in qualche modo, ma molto imperfetto, nella cristologia.<br />

Perché questo stato di cose?<br />

Si può forse rispondere: perché S. Tommaso si è preoccupato,<br />

assai sistematicamente, di spiegare nella sua sintesi teologica generale<br />

soltanto i riti liturgici e, in qualche modo, il fatto liturgico


554 CAP. XVIII - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA IN S. TOMMASO<br />

in genere. Non così del pensiero <strong>teologico</strong> incluso, oltre che nei riti,<br />

in tutto il complesso liturgico, in specie anche nelle preghiere o<br />

formulari liturgici e nei cicli liturgici festivi. Perciò nel trattato <strong>della</strong><br />

legge antica, dei sette sacramenti <strong>della</strong> legge nuova e <strong>della</strong> religione<br />

in genere l'aspetto liturgico è assai sviluppato. Mentre non lo è<br />

negli altri numerosi trattati. Nella prima parte di questo lavoro mi<br />

sono invece sforzato di mostrare, con una serie di esempi, anche<br />

se non esaurienti, che anche per gli altri trattati vi è un ricco materiale<br />

liturgico di valore <strong>teologico</strong> che può e deve essere assimilato<br />

nella sintesi generale: come per il trattato di Dio, degli angeli buoni<br />

e cattivi, <strong>della</strong> creazione materiale, dell'uomo, di Cristo, <strong>della</strong> Chiesa,<br />

e non sarebbe difficile completare la materia per il trattato <strong>della</strong><br />

mariologia, <strong>della</strong> grazia, delle virtù e dei novissimi. In S. Tommaso,<br />

per questi trattati, l'aspetto liturgico non trova una certa eco che<br />

attraverso qualche insufficiente ricorso alla <strong>liturgia</strong> come auctoritas<br />

nel quadro <strong>della</strong> quaestio.<br />

Inoltre, è noto che nelle preoccupazioni <strong>della</strong> teologia sintetica<br />

di S. Tommaso predomina molto quella dell'analisi ontologica e<br />

quasi metafisica delle realtà di cui si occupa. Ma la prospettiva<br />

di storia sacra, come è stata spiegata nel primo capitolo di questa<br />

opera, assai ben conservata da S. Tommaso nei trattati sulla legge<br />

antica e sui sacramenti, in virtù appunto del valore ivi dato al<br />

concetto di segno, al simbolismo e all'aspetto liturgico in genere,<br />

è molto meno salvaguardata negli altri trattati, quelli appunto nei<br />

quali non è assimilato sistematicamente l'aspetto liturgico. Non<br />

a caso in questi altri trattati si osserva una deficienza parallela nel<br />

mettere in rilievo l'aspetto di storia sacra e nell'assimilare l'aspetto<br />

<strong>teologico</strong> liturgico. Fintanto che la prospettiva di storia sacra non<br />

è proposta come lo sfondo naturale e necessario nella spiegazione<br />

di ogni grande questione teologica, la <strong>liturgia</strong> non può esplicare<br />

tutte le sue virtualità nella sintesi teologica stèssa. Di questo fatto<br />

è facile rendersi conto dall'esame <strong>della</strong> parte II e III di quest'opera.<br />

Se, infatti, poniamo, il trattato <strong>della</strong> Trinità si limita essenzialmente<br />

alla considerazione delle questioni ontologiche intratrihitarie delle<br />

processioni, delle relazioni, delle persone, per questo trattato non<br />

ci sarà gran che da prendere dalla <strong>liturgia</strong>. Se la preoccupazione<br />

essenziale del trattato degli angeli è di considerarli come forme<br />

separate e di analizzare le conseguenze ontologiche che ne derivano<br />

rispetto al loro modo di agire, la <strong>liturgia</strong> non avrà gran che da dare<br />

all'angelologia teologica. E così del resto <strong>della</strong> teologia.<br />

Si può forse andare oltre e chiedersi perché in S. Tommaso<br />

questa deficienza oggettiva nell'assimilazione dell'aspetto di storia<br />

sacra, o di teologia <strong>della</strong> storia, nei predetti trattati? <strong>Il</strong> perché va<br />

ricercato nel suo modo di concepire l'ideale <strong>della</strong> teologia. Egli non<br />

solo seguì, giustamente ,i princìpi aristotelici del concetto di scienza<br />

e quindi, legittimamente e giustamente, perseguì l'ideale di una<br />

teologia come scienza, ma inoltre, conservando dallo stesso Aristotele<br />

alcune concezioni e indeterminazioni, niente affatto necessariamente


<strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA IN S. TOMMASO 555<br />

connesse con gli stessi princìpi, ritenne, più o meno coscientemente,<br />

che, in fondo, propriamente e strettamente parlando, solo la filosofia<br />

è scienza (a parte la matematica e, se mai, la fisica filosofica) e<br />

il metodo propriamente scientifico è il metodo deduttivo. L'induzione<br />

per lui non è che un momento prescientifico e preparatorio<br />

alla deduzione filosofica (e matematica) da non usarsi, logicamente,<br />

che in quella stretta misura che è utile a tale scopo.<br />

In specie né Aristotele né S. Tommaso arrivarono al concetto<br />

<strong>della</strong> storia come scienza propriamente detta. Applicando ciò alla<br />

teologia si ha non solo che questa viene concepita come scienza, ma<br />

esclusivamente, propriamente parlando, come scienza dell'aspetto<br />

ontologico o entitativo delle cose rivelate che si elabora essenzialmente<br />

mediante l'uso <strong>della</strong> filosofia e del metodo deduttivo. Perché<br />

la storia in questo concetto non è propriamente scienza, né il suo<br />

metodo un metodo propriamente scientifico avente già valore per se<br />

stesso, l'aspetto più propriamente temporale <strong>della</strong> rivelazione, quello<br />

che scientificamente si coglie solo mediante l'applicazione in teologia<br />

del metodo critico storico, e quindi la rivelazione come storia<br />

sacra e il suo riflesso in ogni grande concetto <strong>della</strong> nostra fede,<br />

rimane, propriamente e logicamente parlando, fuori <strong>della</strong> scienza<br />

teologica. Così tutto il metodo <strong>teologico</strong> viene troppo esclusivamente<br />

assimilato al metodo filosofico e la teologia stessa viene troppo esclusivamente<br />

ristretta alla considerazione dell'aspetto direttamente intemporale<br />

del dato rivelato 53 .<br />

Ecco perché il concilio vaticano II, per ritrovare l'unità tra teologia<br />

e <strong>liturgia</strong>, vuole che ogni ramo <strong>della</strong> scienza teologica elabori<br />

bene, secondo le esigenze del proprio oggetto, l'aspetto di storia <strong>della</strong><br />

salvezza 5J .<br />

53 Allora diventa impossibile assimilare in modo sufficiente nella costruzione<br />

teologica sintetica l'aspetto temporale <strong>della</strong> rivelazione in quanto è anzitutto<br />

una storia sacra. <strong>Il</strong> P. M. D. CHENU, nella sua opera: La théologie au XII*<br />

siede, Paris 1957, ritraccia il quadro generale <strong>della</strong> mentalità simbolista allegorica,<br />

e quindi del <strong>senso</strong> <strong>della</strong> rivelazione come storia sacra che il secolo XII<br />

conservava ancora dalla tradizione anteriore (1. e. pp. 159-220; 62-89). Ne indica<br />

l'origine, lo sviluppo e la decadenza per eccesso; il che provocò giustamente<br />

la reazione fattasi acuta al principio del secolo XIII. Questo praticamente<br />

espulse « la teologia simbolica » dal quadro <strong>della</strong> doctrina sacra concepita come<br />

teologia sistematica sintetica sulla base del concetto aristotelico di scienza.<br />

Tuttavia il P. Chenu, approvando la reazione contro gli eccessi, fa giustamente<br />

notare: 1. che una «teologia simbolica» sullo sfondo biblico <strong>della</strong> storia sacra<br />

è non solo legittima, ma necessaria anche in teologia sintetica, e che oggi giustamente<br />

si cerca di ritrovarla; 2. che gli stessi scolastici del secolo XIII, pur<br />

nella loro reazione, conservarono come dei blocchi di quella teologia tradizionale,<br />

per esempio, le questioni di cui abbiamo sopra parlato nella Somma di<br />

S. Tommaso (nonché in opere come il Breviloquium di S. Bonaventura e nei<br />

commenti alla Scrittura).<br />

« Lo Spirito è nella storia — è la lezione data da Origene, patrono di ogni<br />

allegorismo, e. che vale sempre — e tutti i risvegli biblici hanno fatto di questo<br />

concetto la legge <strong>della</strong> loro mistica come del loro metodo » (1. e. p. 209).<br />

" CL, art. 16.


CAPITOLO XIX<br />

<strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

Si potrebbe credere che, per risolvere la questione dell'inserimento<br />

organico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella teologia sintetica generale, non<br />

sia il caso di rivolgersi ai Padri. Infatti, si sa che i Padri non costruirono<br />

sintesi teologiche generali. Presso di essi si possono segnalare<br />

alcuni primi saggi, di natura del resto diversa, di esposizione compendiosa<br />

<strong>della</strong> dottrina cristiana, come il Peri archon di Origene,<br />

VEnchiridion di S. Agostino e il Pege gnoseos di Giovanni Damasceno.<br />

Tuttavia è certo, non solo che non hanno prodotto niente di paragonabile<br />

alle Somme medievali e tanto meno ai corsi o ai manuali<br />

teologici moderni, ma anche che, nelle loro svariatissime preoccupazioni<br />

teologiche e nell'abbondantissima produzione letteraria corrispondente,<br />

la cura di simili sintesi generali non fu affatto al primo<br />

piano <strong>della</strong> loro psicologia, come lo fu invece in quella dei teologi<br />

cominciando dalla fine del secolo XII.<br />

Però, anche se i Padri non hanno scritto Somme, non vuol dire<br />

che non siano arrivati ad una concezione teologica generale più o<br />

meno sintetica di tutte le cose, concezione che si può rilevare dalle<br />

loro opere e nella quale la <strong>liturgia</strong> ha il suo posto più o meno chiaramente<br />

segnato. È sotto questo aspetto che un'inchiesta delle relazioni<br />

tra teologia e <strong>liturgia</strong> nei Padri può esserci di vera utilità.<br />

È certo, infatti, che presso i Padri vi è una teologia liturgica<br />

notevolmente sviluppata sotto il doppio aspetto nel quale si svolge<br />

ogni teologia : quello irenico semplicemente espositivo <strong>della</strong> fede<br />

ai credenti e quello polemico <strong>della</strong> difesa e prova <strong>della</strong> stessa fede<br />

contro i non credenti reali o metodologici. Nel primo si espone semplicemente<br />

al credente la ricchezza teologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>; nel secondo<br />

si fa ricorso alla <strong>liturgia</strong> per provare la fondatezza e l'obbligatorietà<br />

di un punto <strong>della</strong> fede contro le negazioni o le obiezioni reali<br />

o metodologiche che le si muovono contro.


LETTERATURA MISTAGOGICA 557<br />

1. LETTERATURA PATRISTICA ESSENZIALE<br />

D'INTERESSE TEOLOGICO LITURGICO<br />

FINO AL SEC. XII IN OCCIDENTE E AL SEC. XVI IN ORIENTE<br />

La letteratura patristica d'interesse <strong>teologico</strong> liturgico può essere<br />

catalogata, dal punto di vista piuttosto estrinseco del genere letterario,<br />

in cinque gruppi principali 1 . Nel primo si possono mettere<br />

le catechesi ai catecumeni e ai neofiti intorno al significato dei riti<br />

dell'iniziazione cristiana: è la letteratura mistagogica o d'iniziazione<br />

propriamente detta. I riti principali il cui significato <strong>teologico</strong> viene<br />

spiegato in queste opere sono quelli <strong>della</strong> traditio e redditio symboli;<br />

<strong>della</strong> traditio orationis, ossia del Pater; i riti prebattesimali<br />

come insufflazioni, esorcismi, unzioni; i riti del battesimo; <strong>della</strong> confermazione;<br />

dell'eucaristia, inclusa la messa.<br />

In questa categoria si possono già contare i due opuscoli di<br />

Tertulliano: De baptismo e De oratione (tra il 200 e il 206). Del secolo<br />

IV, con il pieno sviluppo dell'organizzazione del catecumenato, si ha,<br />

in questo genere, un gruppo d'importantissime opere: le 18 Catechesi<br />

di S. Cirillo di Gerusalemme (del 384), più le cinque catechesi<br />

mistagogiche dello stesso Cirillo o, come alcuni ritengono, del suo<br />

successore sulla cattedra di Gerusalemme, Giovanni di Gerusalemme;<br />

il De mysteriis di S. Ambrogio (circa 387-91) e il De sacramentis,<br />

ormai, con sempre maggiore unanimità, riconosciuto dello stesso<br />

autore; le Omelie catechetiche di Teodoro Mopsuesteno del 392<br />

circa -; le due catechesi Ad illuminandos e le otto omelie battesimali<br />

recentemente ritrovate di S. Giovanni Crisostomo 3 e quello che ci<br />

rimane dell'insegnamento mistagogico di S. Agostino ai catecumeni<br />

e ai neofiti 4 .<br />

Questo tipo di opere liturgiche teologiche, si allargò assai dopo<br />

il secolo V, e si sviluppò ancora in seguito, anche con il decadere<br />

dell'istituto del catecumenato, fino a creare quello che si può ben<br />

dire un nuovo genere letterario: i trattati spiegativi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

in genere, sia che si tratti di opere di tipo sintetico o piuttosto di<br />

monografie su punti particolari.<br />

In questo genere letterario si verifica un doppio allargamento<br />

1 Parecchie di queste opere sono segnalate da J. DANIÉLOU, Bible et liturgie,<br />

La théologie biblique des sacrements et des fétes d'après les Pères de l'Église,<br />

2 ed. Paris 1951 p. 14 ss.<br />

2 Edizione recente di R. TONNEAU-R. DEVREESSE, Les homilies catéchetiques<br />

de Théodore de Mopsueste (Studi e testi 93) Città del Vaticano 1949.<br />

3 PG 49,223 ss. Forse del 383. J. CHRYSOSTOME, Huit homilies baptismales, ed.<br />

da A. Wenger, Paris 1958.<br />

4 Vedi i sermoni 212-216; 224-229; 272. Alla stessa attività si riferiscono il: De<br />

catechizandis rudibus e il De symbolo ad catechumenos.


558 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

rispetto al genere mistagogico precedente: i destinatari non sono<br />

più i soli catecumeni e neofiti ma tutti i fedeli; talvolta qualche<br />

gruppo più provetto di fedeli; spesso gli stessi chierici o i monaci;<br />

si spiegano non solo i riti dell'iniziazione ma anche, più o meno<br />

integralmente, le altre parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. In oriente, per esempio,<br />

ci si sofferma lungamente sulla spiegazione <strong>della</strong> consacrazione degli<br />

oli e del myron; ovunque si spiegano le ordinazioni dei vescovi,<br />

dei sacerdoti e dei diaconi; s'introduce poi la spiegazione di altri<br />

riti come <strong>della</strong> penitenza pubblica; degli sponsali; la consacrazione<br />

delle vergini, dei monaci; i riti <strong>della</strong> sepoltura; i riti <strong>della</strong> consacrazione<br />

di una chiesa. Anzi, il campo allargandosi sempre, si passò<br />

alla spiegazione del significato <strong>della</strong> disposizione e <strong>della</strong> suppellettile<br />

<strong>della</strong> chiesa; delle vesti sacerdotali e anche, di certe parti almeno,<br />

dell'ufficiatura canonica e dei tempi liturgici e feste liturgiche. Questo<br />

tipo di spiegazioni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> si protrasse sia in oriente che<br />

in occidente per tutto il medioevo.<br />

Nell'oriente di lingua greca, tra le produzioni di questo tipo<br />

sembra debbasi annoverare per prima il De ecclesiastica hierarchia<br />

dello Pseudo Dionigi \ opera che ebbe poi enorme influsso su quelle<br />

dello stesso genere che la seguirono. Tra queste vanno notate in<br />

specie la Mistagogia di Massimo confessore 6 , il Commentario liturgico<br />

sotto il nome di S. Sofronio di Gerusalemme 7 , la Rerum ecclesiasticarum<br />

contemplano attribuita a S. Germano di Costantinopoli<br />

e la Protheoria o Brevis Commentatio attribuita a Teodoro di Andida<br />

8 . Nel periodo bizantino posteriore, questo genere di letteratura<br />

è rappresentato principalmente dall'eccellente spiegazione <strong>della</strong> divina<br />

<strong>liturgia</strong> (messa) di Nicola Cabasila 9 e dalle opere <strong>teologico</strong>-liturgiche<br />

di Simeone di Tessalonica 10 .<br />

3 PG 3,369-584. Vedi R. ROOUES, L'univers dionysieri. Paris 1954, specialmente<br />

pagine 245-302.<br />

e PG 91,657-718.<br />

7 PG 87,3981-4002. L'essenziale di quest'opera sembra del secolo Vili.<br />

» Germano: PG 98,383453; Protheoria: PG 140,413-68. Su queste e altre mistagogie<br />

bizantine vedi F. E. BRIGHTMAN, The historia mystagogica and other greek<br />

commentaries on the byzantine liturgy, in: Journal of theological studies 9<br />

(1907-08) 248 ss; 347 ss.<br />

9 NICOLA CABASILA (m. dopo il 1363), Spiegazione <strong>della</strong> divina <strong>liturgia</strong><br />

(= messa), PG 150,367 ss. Vedine la buona traduzione francese con introduzione e<br />

note di S. SALAVILLE, N. C. Explication de la liturgie (Sources chrétiennes 4)<br />

Paris 1943. Anche la sua opera Della vita in Cristo, contiene molte cose di valore<br />

<strong>teologico</strong> liturgico e ascetico intorno ai sacramenti (PG 150,443-726). Vedi M. LOT-<br />

BORODINE, Un maitre de la spiritualité byzantine du XIV' siede : Nicolas Cabasilas,<br />

Paris 1958.<br />

10 Simeone di Tessalonica (m. 1429), specialmente nella sua opera Tractatus<br />

de sacramentis nec non de offlciis et ritibus ecclesiasticis (PG 155,176 ss) e nell'opuscolo<br />

: Del tempio divino, dei diaconi, dei sacerdoti, dei vescovi, degli ornamenti<br />

sacri che essi rivestono, del divin sacrificio e di tutto ciò che divinamente<br />

vi si compie (PG 155,697 ss). È. in stampa un'opera di R. BORNET, Introduction aux<br />

commentaires mystagogiques à la « divine liturgie » dans l'Église byzantine du<br />

VII' au XV siede, che porterà molta luce su questo gruppo di opere liturgicoteologiche,<br />

tanto sotto l'aspetto critico e storico (molte questioni si pongono in


SPIEGAZIONE DELLA LITURGIA 559<br />

Nella letteratura siriaca si hanno in questo campo le Omelie<br />

liturgiche di Narsete di Edessa n ; i commentari sulla <strong>liturgia</strong> di<br />

Giorgio vescovo degli arabi e di Mosè Bar Kepha 12 . Nel secolo VIII-<br />

IX il commentario di Giovanni di Darà alla Gerarchia ecclesiastica<br />

dello Pseudo Dionigi; nei secoli XII e XIII si hanno i trattati di Dionigi<br />

Bar Salibi, di Giacomo Severo Bar Shakko o di Edessa 13 e<br />

specialmente il grande commentario di Gregorio Barebreo 14 .<br />

In occidente, le spiegazioni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dello stesso tipo si<br />

svilupparono cominciando dal secolo VII con S. Isidoro di Siviglia "<br />

questo campo, specialmente intorno alle opere attribuite a Sofronio, a Germano<br />

e a Teodoro di Andida), quanto sotto quello del loro reale valore <strong>teologico</strong><br />

e spirituale.<br />

11 Morto dopo il 503. Spiegazione <strong>della</strong> divina eucaristia, del battesimo e del<br />

sacerdozio. Edizione di R. H. CONNOLY e E. BISHOP, The liturgical homilies of<br />

Narsai, Cambridge 1909.<br />

'- Di Giorgio vescovo degli arabi (m. 724) si ha una Spiegazione dei misteri<br />

<strong>della</strong> Chiesa; vedi R. H. CONNOLY e H. W. CODINGTRON, TWO commentaries on the<br />

jacobite liturgy by Georg bishop of the arabs and Moses Bar Kepha, London 1913.<br />

Di Moses Bar Kepha (m. 903) si ha il commentario sulla messa (vedi Connoly e<br />

Codingtron 1. e). W. DE VRIES, Sakramententheologie bei den syrischen monophysiten,<br />

Roma 1940 pp. 21 e 9-10 segnala, inoltre, altri trattati ancora inediti:<br />

Sul myron; Sui misteri non scritti che nella Chiesa si osservano secondo la tradizione<br />

dei santi Padri; Sui misteri <strong>della</strong> consacrazione; Sul battesimo.<br />

13 Per il commentario alla gerarchia ecclesiastica dello Pseudo Dionigi di<br />

Giovanni di Darà vedi ASSEMANI, Biblioteca orientalis II 211. Di Dionigi Bar Salibi<br />

(m. 1171) si ha una: Spiegazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> (Vedi H. LABOURT: D.B.S., Expositio<br />

<strong>liturgia</strong>e, in: Corpus scriptorum christianorum orientalium: Scriptores syri,<br />

series II 93, Paris 1903). DE VRIES /. e. p. 22, segnala come ancora inediti un commentario<br />

sulla consacrazione del myron e uno sui riti delle ordinazioni. Giacomo<br />

Bar Shakko (m. 1241) tratta <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella seconda parte <strong>della</strong> sua opera:<br />

Libro del tesoro (vedi ASSEMANI, Bibliotheca orientalis II 239).<br />

14 E, la sesta parte di una grande opera di dogmatica generale: Libro <strong>della</strong><br />

lampada del santuario. Questa sesta parte s'intitola: Sul sacerdozio terrestre.<br />

In essa si tratta dei gradi del sacerdozio terreno e delle consacrazioni. Queste<br />

consacrazioni sono le ordinazioni del vescovo, del sacerdote, del diacono; le<br />

ordinazioni inferiori che avvengono con la sola estensione <strong>della</strong> mano sopra l'ordinando;<br />

la consacrazione del myron; le unzioni del battesimo; vi si tratta anche<br />

<strong>della</strong> messa e dei funerali. Lo schema del trattato dogmatico generale è il seguente<br />

: Della « conoscenza » in genere; La natura del tutto; La natura di Dio;<br />

L'incarnazione; Gli angeli; <strong>Il</strong> sacerdozio terrestre; I demoni; L'anima razionale;<br />

La libertà; La prescienza e la predestinazione; I novissimi; la risurrezione e il<br />

paradiso. Come si vede, la trattazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è organicamente inclusa<br />

nel saggio di sintesi generale di tutto il dogma. Vedi R. KOHLHAYS, Jakobitische<br />

Sakramententheologie im 13 Jahrh. Der Liturgiekommentar des Gregorius Barhebraeus,<br />

Miinster i. W. 1960. R. H. CONNOLY ha edito una Expositio officiorum Ecclesiae<br />

Giorgio Arbelensi vulgo adscripta, nel: Corpus Scriptorum ecclesiasticorum<br />

orientalium, Roma 1913.<br />

15 Isidoro di Siviglia (m. 639). De ecclesiasticis officiis (PL 83,737 ss). Tra le<br />

altre cose, vi si tratta, nel libro primo: Degli elementi <strong>della</strong> preghiera liturgica:<br />

canti, formule, salmi, ecc.; Dell'ordine e preghiere <strong>della</strong> messa (mozarabica);<br />

Delle ore canoniche; Dei tempi liturgici e delle feste; Dei digiuni liturgici. Nel<br />

libro secondo si tratta: Dei diversi ordini dei fedeli: chierici, monaci, penitenti,<br />

vergini, vedove, ecc.; Del battesimo; Della crismazione; Della confermazione. Tra<br />

le esposizioni <strong>della</strong> messa gallicana, va segnalata quella falsamente attribuita a<br />

S. Germano di Parigi (PL 72,88 ss) <strong>della</strong> fine del secolo VII.


560 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

e sfociarono poi nell'abbondante letteratura degli allegoristi medievali<br />

16 il cui padre può essere detto Amalario di Metz 17 .<br />

In questa letteratura medievale prima <strong>della</strong> scolastica si può<br />

notare, per lo scopo nostro, il saggio di Rabano Mauro De clericorum<br />

institutione 18 nel quale egli si sforza di fare una specie di somma<br />

di tutto quello che un chierico doveva allora sapere. L'opera consta<br />

di tre libri. Mentre nel terzo libro si fa la teoria degli studi del clero<br />

in genere e <strong>della</strong> predicazione, nei due primi tutto quello che il clero<br />

deve sapere è praticamente esposto nel quadro <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel seguente<br />

ordine ispirato al De ecclesiastìcìs ofjìciis di Isidoro : I : La<br />

Chiesa e i diversi suoi ordini (cap. 1-13); le vesti sacerdotali (14-23);<br />

l'iniziazione cristiana: catecumenato, battesimo, cresima, eucaristia<br />

(24-33); II: Le ore canoniche (1-9); le preghiere non canoniche o<br />

private (10-16); digiuni, continenza, elemosina (17-28); penitenza pubblica,<br />

soddisfazione, riconciliazione dei peccatori (29-30); tempi liturgici<br />

e feste, ove si include anche la trattazione dei sacrifici per i defunti,<br />

<strong>della</strong> dedicazione delle chiese, ecc. (31-46); gli eleme'nti <strong>della</strong><br />

preghiera liturgica: cantici, salmi, inni, ecc. (47-55); regola di fede,<br />

simboli, catalogo delle eresie (56-58). Si parla <strong>della</strong> Scrittura a proposito<br />

delle lezioni dell'ufficiatura (II 53; 54) e <strong>della</strong> preparazione<br />

alla predicazione (III 1-15), al cui servizio è anche diretto tutto<br />

il trivium e il quatrivium (III 16 ss).<br />

Un altro genere letterario, che ha interesse per la teologia<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, sono le omelie intorno alle feste liturgiche. Le più<br />

antiche sono naturalmente intorno alla festa pasquale; ne abbiamo<br />

ancora una del secolo secondo, di Melitone di Sardi 19 e una, forse<br />

16 Per più particolari su questa letteratura liturgico-teologica medievale<br />

fino al secolo XII vedi RIGHETTI I 62-67 — elenco dei nomi e delle opere principali<br />

—. <strong>Il</strong> valore <strong>teologico</strong>-liturgico di queste opere ha bisogno di essere studiato<br />

più accuratamente di quanto sia stato fatto fin qui. A questo scopo è<br />

indispensabile l'opera di M. D. CHENU, La théologie au XII' siede, Paris 1957<br />

dove si fa un ottimo quadro generale culturale <strong>teologico</strong> del secolo XII. In<br />

modo speciale vedi i capitoli III (Coscienza <strong>della</strong> storia e teologia), VII (la<br />

mentalità simbolica), VIII (La teologia simbolica), IX (L'Antico Testamento nella<br />

teologia medievale). Chenu nota giustamente che « sarebbe grave errore storico<br />

e <strong>teologico</strong>, rigettare al margine dello sviluppo <strong>della</strong> teologia del secolo XII<br />

— come se appartenessero alla sola arte oratoria o poetica — le opere che, in<br />

più gran numero che nel secolo seguente, elaboreranno così (= mediante il metodo<br />

simbolico) il dato rivelato e il capitale tradizionale <strong>della</strong> fede » (p. 185).<br />

17 Le opere liturgiche di Amalario (m. 853) sono edite da J. M. HANSSENS,<br />

Amalarii episcopi opera liturgica omnia, 3 volumi, (Studi e Testi 138-40), Roma<br />

1948 ss. Le principali, d'interesse <strong>teologico</strong>-liturgico, sono : De ecclesiasticis officiis<br />

libri quatuor (anche PL 105,985 ss) in cui si tratta dell'anno liturgico, delle<br />

ordinazioni, <strong>della</strong> messa, dell'ufficio divino; De ordine antiphonarii, che contiene<br />

un'esposizione <strong>della</strong> struttura dell'ufficio canonico.<br />

« PL 107, 293 ss.<br />

19 Pubblicata da CAMPBELL BONNER, The homily on the Passion by Melito<br />

bishop of Sardes (Studies and documents) 1940. Edizione recente: M. TESTUZ,<br />

Papyrus Bodmer XIII. Méliton de Sardes, Homilie sur la Pàque. Manuscrit du<br />

III e siede, Genève 1960. Sulle recenti discussioni intorno a questa omelia vedi<br />

S. CZERWIK, Homilia paschalis apud Patres usque ad saeculum quintum, Roma<br />

1961, pp. 27-28.


TRATTATI E OMELIE 561<br />

del secolo III, che s'ispira al trattato di Ippolito romano sulla Pasqua<br />

-°. Cominciando dal secolo quarto, nella letteratura patristica ancora<br />

conservataci, abbondano le omelie sulle feste di tutto l'anno liturgico,<br />

a mano a mano che questo veniva allargandosi e determinandosi<br />

per prendere la sua fisionomia sostanzialmente definitiva verso il<br />

secolo VI-VII. Tra i greci, il P. Daniélou segnala specialmente quelle<br />

del gruppo cappadoce, principalmente alcuni sermoni di Gregorio<br />

Nazianzeno e del Nisseno 21 ; ma ce ne sono altre -. Tra i latini si possono<br />

segnalare i 93 sermoni di Zeno di Verona 23 ; i sermoni pasquali<br />

di Gaudenzio di Brescia e le omelie di S. Massimo di Torino o a lui<br />

attribuite 2i ; specialmente, i numerosi sermoni di S. Agostino sulle<br />

feste liturgiche del tempo e dei santi 25 ; tutte le omelie di S. Leone<br />

Magno 26 e molte di S. Gregorio Magno, senza contare gli autori<br />

medievali che, fino alla scolastica del sec. XIII, continuarono largamente<br />

il genere <strong>teologico</strong>-liturgico dei padri nell'omiletica sulle feste<br />

cristiane.<br />

Un genere <strong>teologico</strong>-liturgico a parte costituiscono le lettere pasquali<br />

che i patriarchi alessandrini erano soliti indirizzare ai loro<br />

fedeli al principio <strong>della</strong> quaresima. Se ne conservano di S. Atanasio<br />

27 e di S. Cirillo 28 .<br />

Finalmente, diverse opere teologiche patristiche di vario genere<br />

hanno, occasionalmente, interesse <strong>teologico</strong> liturgico talvolta notevole.<br />

Così, per esempio, in S. Agostino, lettere 54, 55; l'opera De cura<br />

prò mortuis gerenda. <strong>Il</strong> P. Daniélou attira anche l'attenzione sul<br />

De Trinitate di Didimo il Cieco 29 e sul trattato sullo Spirito Santo<br />

di S. Basilio 30 . Un interesse speciale hanno, talvolta, alcune opere<br />

20 Vedi P. NAUTIN, Une homilie pascale inspirée du tratte sur la Pàque d'Hippolyte,<br />

(Sources chrétiennes 27) Paris 1950. Vedi pure quelle pubblicate nella stessa<br />

collezione: n. 36 e 48.<br />

21 J. DANIÉLOU, Bible et liturgie, Paris 1951 p. 25.<br />

-'- Vedi, per es., EUSEBIO DI CESAREA, frammento di un'omelia sulla solennità<br />

<strong>della</strong> Pasqua (PG 24,693 ss); omelia In Epiphaniam sotto il nome di Tito di<br />

Bosra (vedi J. SICKENBERGER, in: Texte und Untersuchungen 21,1 (1901); Anfilochio,<br />

Omelie (PG 39,35 ss); Asterio di Amasea, Omelie (PG 40,163 ss); Eulogio Alessandrino,<br />

Omelia sulle palme (PG 86,2913 ss); Sofronio di Gerusalemme, Sermoni<br />

(PG 3201 ss).<br />

23 Principalmente sui misteri pasquali (PL 11,476 ss).<br />

24 Gaudenzio: PL 20,827 ss; Massimo, PL 57,221 ss. Per la questione critica<br />

vedi P. BOKGIOYAXXI, S. Massimo di Torino e il suo pensiero <strong>teologico</strong>, Torino<br />

1952; M. PELLEGRINO, Sull'autenticità di un gruppo di omelie e sermoni attribuiti<br />

a S. Massimo di Torino (Estratto degli Atti <strong>della</strong> Accademia delle scienze di<br />

Torino 99 (1955-56) Torino 1955.<br />

25 PL 38. Materiale anche tra i Sermones dubii o supposititii del tomo 39<br />

di Migne.<br />

26 PL 54-46. Vedi anche: S. Leon le grand, Sermons t. I. Trad. di R. Dolle,<br />

introduzione di J. Leclercq (Sources chrétiennes 22) Paris 1947. T. II ivi n. 49,<br />

1957. 27 Greche PG 26,1360 ss. In copto, ed. di L. TH. LEFORT, S. Athanase, lettres<br />

festales et pastorales en copte. Testo e trad. francese, in: Corpus Scriptorum<br />

Ecclesiasticorum Orientalium voi. 151; trad.: copti, tom. 20, Louvain 1955.<br />

-s PG 77,402 ss.<br />

2 » II 12-14. PG 39,668 ss.<br />

30 Cap. 25-27. PG 32,173 ss.


562 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADHI<br />

dogmatiche polemiche per il ricorso che in esse i Padri fanno alla<br />

<strong>liturgia</strong> nell'intento di provare contro i neganti o i dubitanti, un determinato<br />

punto delle fede cattolica. Sotto esamineremo a parte questo<br />

aspetto dell'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> presso i Padri. Le opere patristiche più<br />

importanti da questo punto di vista sono : di S. Agostino, il De peccatorum<br />

meritis 31 ; il De baptismo 32 ; l'Opus imperfectum 33 ; il De dono<br />

perseverantiae 34 ; De Genesi ad litteram 35 . Di S. Girolamo, il Dialogo<br />

contro i Luciferiani 3e ed il Contra Vigilantium. Probabilmente, sono<br />

di Prospero di Aquitania: Indiculus de grada Dei e il De vocatione<br />

omnium gentium 31 .<br />

Per avere un quadro assai completo <strong>della</strong> letteratura patristica<br />

d'interesse <strong>teologico</strong>-liturgico 38 bisogna non dimenticare che questa<br />

è l'età aurea e creativa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> stessa e che quindi dai testi<br />

liturgici è possibile percepire in che grado i loro compositori possedessero<br />

il <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

2. IL PUNTO DI VISTA ANZITUTTO TEOLOGICO IRENICO<br />

DELL'INTERESSE DEI PADRI PER LA LITURGIA<br />

È possibile da tutto questo materiale, coordinando i diversi elementi<br />

sparsi presso i singoli autori più che badando alla precisa posizione<br />

d'insieme dei singoli autori stessi, tracciare un quadro generale<br />

del posto che occupa la <strong>liturgia</strong> nella visione generale teologica<br />

dei Padri? Con le debite cautele questo sembra possibile e legittimo.<br />

Un'osservazione s'impone anzitutto: i Padri non s'interessano<br />

alla <strong>liturgia</strong> in primo luogo né dal punto di vista storico genetico, né<br />

da quello rubricistico come i moderni, ma da quello del suo valore<br />

<strong>teologico</strong>. Questo, inoltre, presso di essi, non solo non è disgiunto,<br />

ma è anzi intimamente connesso molto più che presso gli scolastici<br />

o i positivo-scolastici, con il punto di vista catechetico, ascetico, parenetico<br />

morale, anzi mistico. È già questo un tratto caratteristico<br />

delle relazioni tra <strong>liturgia</strong> e teologia presso i Padri. I moderni, infatti,<br />

s'interessarono fin qui alla <strong>liturgia</strong> sotto l'aspetto quasi esclusivamente<br />

rubricistico o storico. Gli scolastici e i positivo-scolastici vi<br />

s'interessarono bensì sotto quello <strong>teologico</strong>, ma è facile accorgersi<br />

che la prospettiva teologica degli scolastici e dei positivo-scolastici<br />

si I 23.63.<br />

32<br />

Per es., II 12.<br />

33<br />

Per es., II 181 e passim.<br />

« Per es., 15; 63.<br />

35<br />

Per es., X 63.<br />

36<br />

8.<br />

37<br />

PL 51,209 s; 664 s.<br />

38<br />

Per altre testimonianze patristiche di minore interesse, oltre il già citato<br />

trattato di S. Basilio sullo Spirito Santo, vedi, per es., K. FEDERER, Liturgie und<br />

Glaube, Freiburg i. S. 1950.


PUNTO DI VISTA DEI PADRI<br />

è molto meno immediatamente connessa con quella catechetica,<br />

parenetica, ascetica e mistica.<br />

Seconda osservazione: il punto di vista <strong>teologico</strong> che nella <strong>liturgia</strong><br />

interessa i Padri, è prevalentemente espositivo; intendi irenico e,<br />

per così dire, contemplativo che s'indirizza anzitutto ai credenti col<br />

semplice intento di spiegar loco positivamente il significato <strong>teologico</strong><br />

che ha la <strong>liturgia</strong> per il fedele che la pratica, nonché il suo valore<br />

ascetico morale. L'insieme <strong>della</strong> produzione liturgico-teologica sopra<br />

elencata si muove quasi esclusivamente in questa prospettiva; in<br />

essa sta la grande ricchezza del suo materiale <strong>teologico</strong> liturgico. <strong>Il</strong><br />

ricorso piuttosto apologetico alla <strong>liturgia</strong> in vista anzitutto di provare<br />

contro i non credenti o i dubbiosi, almeno per negazione o dubbio<br />

metodologico, l'obbligatorietà di tale o tale punto di dottrina<br />

insegnato dalla Chiesa, è bensì reale, ma molto secondario e occasionale<br />

nell'insieme dell'attenzione dei Padri. Quando essi s'interessano<br />

alla <strong>liturgia</strong> lo fanno anzitutto semplicemente per mostrare e<br />

spiegare le ricchezze <strong>della</strong> dottrina <strong>della</strong> Chiesa a coloro per i quali<br />

la fondatezza di questa dottrina è un fatto accettato e non discusso.<br />

A tale scopo mirano i trattati direttamente mistagogici, quelli spiegativi<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in genere, le omelie sulle feste liturgiche, le<br />

allusioni alla <strong>liturgia</strong> nelle lettere pastorali pasquali dei vescovi di<br />

Alessandria, ed anche una buona parte delle allusioni occasionali<br />

alla <strong>liturgia</strong> nelle opere varie e nei trattati dogmatici dei Padri.<br />

Perciò non può non destare meraviglia quando si vedono autori<br />

recenti, che vogliono investigare « il valore <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> » M ,<br />

limitare la loro indagine presso i Padri alla sola questione de « l'argomento<br />

liturgico presso i Padri »; ossia alla sola questione come e<br />

in che <strong>senso</strong> i Padri hanno fatto ricorso alla <strong>liturgia</strong> per provare<br />

contro chi lo nega o mette in dubbio, almeno dal punto di vista<br />

metodologico, la fondatezza di un determinato punto di dottrina insegnato<br />

dalla Chiesa. Questi recenti autori non dicono nemmeno<br />

una parola di tutte le altre prospettive <strong>teologico</strong>-liturgiche che s'incontrano<br />

nella letteratura patristica. Come se il valore apologetico<br />

fosse l'unico aspetto che interessa i Padri nella <strong>liturgia</strong>.<br />

E chiaro che una simile impostazione <strong>della</strong> ricerca è completamente<br />

insufficiente a farci intendere quale sia stato per i Padri il<br />

valore <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 40 . <strong>Il</strong> fatto sta che tutti gli autori recenti<br />

39 Per es., M. PINTO, O valor <strong>teologico</strong> da <strong>liturgia</strong>, Braga 1952.<br />

40 Siccome poi tutto il lavoro del P. Pinto si limita a questa sola questione:<br />

che valore ha la <strong>liturgia</strong> per provare, dalle fonti <strong>della</strong> rivelazione, un determinato<br />

punto <strong>della</strong> dottrina <strong>della</strong> Chiesa a chi realmente o metodologicamente lo nega<br />

o lo mette in dubbio, è chiaro che da tutta l'opera non si può avere un'idea<br />

adeguata del valore <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Agli aspetti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> più importanti<br />

e più ricchi di valore <strong>teologico</strong> non si fa nemmeno allusione. La stessa<br />

questione del valore <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> per provare dalle fonti <strong>della</strong> tradizione l'obbligatorietà<br />

di un determinato punto di dottrina, è la sola a cui s'interessa B.<br />

CAPELLE nel suo articolo: Autorità de la liturgie chez les Pères, in: Recherches<br />

de théologie ancienne et medievale 21 (1954) 522. Neppure in esso, quindi, si deve<br />

cercare un'idea alquanto adeguata dei rapporti tra teologia e <strong>liturgia</strong> nei Padri.<br />

Lo stesso dicasi dell'opera di K. Federer già citata, la quale, del resto, intende<br />

563


564 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

che si sono occupati dei rapporti tra teologia e <strong>liturgia</strong> presso i<br />

Padri, eccettuato, a mia conoscenza, il P. Daniélou, il quale, nelle<br />

diverse sue opere parte, più o meno coscientemente, da un altro<br />

punto di vista, l'hanno fatto presupponendo il concetto positivo-scolastico<br />

di teologia, come l'abbiamo sopra spiegato. In questo concetto,<br />

come è noto, per una forte prevalenza ed esagerazione <strong>della</strong><br />

visuale apologetica, l'essenza e la preoccupazione primaria del lavoro<br />

<strong>teologico</strong> sta nel provare contro chi lo nega, almeno dal punto<br />

di vista metodologico, la fondatezza, rispetto alle fonti, di un determinato<br />

punto <strong>della</strong> dottrina <strong>della</strong> Chiesa. Ma è cosa completamente<br />

gratuita supporre che tale sia stato appunto il concetto di teologia<br />

presso i Padri.<br />

L'attenzione che nella letteratura patristica si dà alla <strong>liturgia</strong> è,<br />

dunque, anzitutto teologica, e teologica irenica, espositiva, con forte<br />

connessione catechetica e parenetica, ascetica e mistica; diretta<br />

pertanto ai credenti, non in cerca di prove che la dottrina <strong>della</strong><br />

Chiesa è veramente nelle fonti, ma anzitutto in cerca di penetrazione,<br />

per così dire, contemplativa di questa dottrina, <strong>della</strong> sua<br />

portata anche pratica, <strong>della</strong> sua comprensività, <strong>della</strong> sua bellezza.<br />

3. INCENTRAMENE) DELLE SPIEGAZIONI<br />

TEOLOGICO-LITURGICHE DEI PADRI<br />

NEL CONCETTO DI MYSTERION, MYSTERIUM, SACRAMENTUM<br />

Ma si può dire qualcosa di più intorno alla natura intrinseca di<br />

questa teologia? Un grande concetto ne è la base generale e la determina<br />

tutta: il concetto di mysterion, mysterium, sacramentum. La<br />

<strong>liturgia</strong> è vista dai Padri nel quadro dei mysteria o sacramenta che<br />

dominano per essi tutta la rivelazione. La forma, sotto la quale<br />

il lettore moderno è colpito da questo fatto sin dal primo contatto<br />

con la letteratura liturgica patristica, è l'impressione poco gradita<br />

che in essa tutto sia sommerso nella spiegazione « allegorica ». Così<br />

dicendo, il lettore moderno esprime un giudizio completamente negativo.<br />

Per lui, spiegazione allegorica vuol dire spiegazione arbitraria<br />

e quindi anche senza vera utilità, nemmeno sotto l'aspetto semplicemente<br />

edificante, almeno oggi per noi.<br />

Ma, dopo quanto abbiamo detto nella prima parte di quest'opera<br />

intorno al concetto di <strong>liturgia</strong> e nella terza parte intorno a <strong>liturgia</strong> e<br />

bibbia, è chiaro che il lettore moderno deve rivedere la sua istintiva<br />

avversione all'allegorismo <strong>teologico</strong> liturgico dei Padri; metterci più<br />

sfumature e distinguere la parte d'indiscutibile valore <strong>teologico</strong> —<br />

molto più grande, non c'è dubbio, di quanto egli sia portato ad am-<br />

esplicitamente limitarsi alla spiegazione del principio legem credendi lex statua!<br />

supplicandi.


MYSTERION NEI PADRI 565<br />

mettere — dalle possibili, anzi reali, superfetazioni. Così obbligano<br />

a fare, tra le altre cose: l'esame del concetto di <strong>liturgia</strong> incentrato<br />

sul concetto di segno sensibile; la dottrina delle diverse dimensioni<br />

significative di questo segno; quella che l'esistenza e la<br />

portata precisa di questo segno nei singoli casi è determinata e quindi<br />

conoscibile in modo certo, dalla libera volontà di Dio a noi nota<br />

per rivelazione, o dalla volontà <strong>della</strong> Chiesa conoscibile secondo le<br />

vie ordinarie <strong>della</strong> teologia; finalmente, la dottrina dei rapporti intimi<br />

tra <strong>liturgia</strong> e bibbia nel quadro generale <strong>della</strong> storia sacra e<br />

<strong>della</strong> profonda unità che pervade le sue singole fasi.<br />

Comunque, almeno cominciando dal secolo III-IV, il concetto di<br />

mysterion, mysterium, sacramentum appare nettamente la chiave<br />

di tutta la visione teologica irenica espositiva <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella<br />

letteratura patristica. Nella prima parte di questo lavoro abbiamo<br />

accennato più d'una volta al contenuto di questo concetto presso<br />

i Padri.<br />

Orìgine e sviluppo del concetto di « mysterion »<br />

Le recenti ricerche 41 permettono ormai di farsi un'idea assai<br />

esatta sulle radici di questo concetto, sulla linea generale del suo<br />

sviluppo cominciando dalla sua formazione sostanzialmente definitiva<br />

come si manifesta, per esempio, in Origene, finalmente sul suo significato<br />

fondamentale comune nella patristica seguente.<br />

La radice ultima da cui proviene il concetto è il nocciolo <strong>della</strong><br />

dottrina scritturistica che a suo luogo abbiamo spiegata col nome<br />

di storia sacra, in quanto include una certa visione del mondo incentrata<br />

nei punti maggiori seguenti: tutto è visto come economia<br />

di Dio nel mondo ossia partendo dai suoi interventi nel cosmo e dagli<br />

effetti che provocano nella storia, che così è storia sacrale, storia di<br />

comunicazione di vita divina e di salvezza. Le diverse fasi di questa<br />

economia: tempo prima di Cristo; Cristo; storia e realtà cristiane<br />

ecclesiali; realtà escatologiche e celesti. I rapporti unitari che legano<br />

tra loro queste fasi come preparazione, figura, immagine, typos, simbolo<br />

e compimento. L'avvento di Cristo nella carne e gli eventi <strong>della</strong><br />

sua vita mortale come centro a cui tutto prima converge come pre-<br />

41 Dal momento che Casel lanciò la sua teoria (circa il 1923) a tutt'oggi,<br />

questa questione è stata oggetto di numerose ricerche. Oltre alle opere citate<br />

nella prima parte p. 43 s note 20 e 21 e p. 117 nota 13, vedi numerosa bibliografia<br />

in H. SCHILLEBEECKX, De sacramentele heilseconomie. Antwerpen 1952 p. XXV-XXVII.<br />

Lo stesso autore, pp. 35-106, dà un buon riassunto delle recenti conclusioni delle<br />

ricerche fatte intorno al concetto mysterion, mysterium, sacramentum nella<br />

bibbia e nei Padri. Dopo Schillebeeckx vedi: C. MOHRMANN, Sacramentum dans<br />

les plus anciens textes chrétiens, in: Hardward theol. rev. 47 (1954) 141-52.<br />

M. VERHEYEN, (ìuoxrjpiov, Sacramentum et la Synagogue, in : Rech. se. rei. 45 (1957)<br />

321-37. P. VISENTIN, Mysterion-sacramentum dai Padri alla scolastica, in: Stud.<br />

patavina 4 (1957) 394-414. J. GAILLARD, La théologie des mystères, in: Rev. thom.<br />

57 (1957) 510-51. P. TH. CAMELOT, « Sacramentum ». Notes de théologie sacramentaire<br />

augustinienne, ibid. 42949.


566 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

parazione e prefigurazione e da cui tutto, dopo di Lui, deriva come<br />

partecipazione. In specie la fase attuale, quella ecclesiale, come realizzazione<br />

partecipata negli uomini, fino alla fine del mondo, in<br />

seno alla Chiesa, delle realtà divine di Cristo, preparate e prefigurate<br />

prima di Cristo, realizzate in radice e plenariamente in Cristo stesso<br />

nella sua vita terrena; realizzazione preparante e prefigurante a sua<br />

volta le realtà escatologiche e celesti future.<br />

Di questo vasto panorama i diversi autori sacri del Nuovo Testamento<br />

accentuano ora l'uno, ora l'altro aspetto. I sinottici rilevano<br />

anzitutto il rapporto preparativo e prefigurativo Antico Testamento-Cristo.<br />

S. Paolo, meglio degli altri, abbraccia già tutto insieme<br />

e in questo contesto usa le parole: ombra, figura, typos e anche la<br />

parola mysterion. Ma mysterion, per S. Paolo, è semplicemente: il<br />

piano o consiglio eterno libero e amoroso di Dio, da Lui solo conosciuto<br />

e solo recentemente rivelato ai credenti, di salvare gli uomini<br />

appunto in Cristo e nelle realtà cristiane secondo lo schema predetto.<br />

Punto cruciale nel quale e dal quale S. Paolo volentieri contempla<br />

tutto questo « mysterion » <strong>della</strong> libera ed amorosa volontà di Dio<br />

(Ef 1,9) è, in specie, la vocazione dei gentili assieme ai Giudei a<br />

questa stessa salvezza, in un sol corpo, corpo di Cristo che è la<br />

Chiesa : mysterion <strong>della</strong> vocazione dei gentili assieme ai Giudei (Ef 1-3).<br />

E poiché S. Paolo non si stanca di ripetere che Cristo nella sua persona<br />

concreta è il centro e fulcro di tutto questo mysterion, consiglio<br />

di Dio, egli, almeno alla fine <strong>della</strong> sua vita, ebbe la tendenza a chiamare<br />

Cristo stesso nella sua persona e nella sua opera concreta:<br />

« il mistero », « il mistero <strong>della</strong> pietà » come dice 1 Tm 3,16. Vedi anche<br />

Col 2,2 secondo la lezione variante 8; che pare preferibile.<br />

Nei Padri apostolici si ripetono gli stessi concetti, con espressioni<br />

e modi di vedere sostanzialmente paolini, e vanno determinandosi ed<br />

estendendosi i singoli punti nei quali si crede che l'Antico Testamento<br />

è preparazione e figura delle realtà del Nuovo. Giustino, inoltre,<br />

applica già determinatamente, su scala notevole, il concetto di<br />

mysterion, a questa dimensione simbolica, allegorica e tipica dei<br />

testi, fatti e persone dell'Antico Testamento. Egli concepisce la dottrina<br />

tradizionale e scritturistica : che tutto l'Antico Testamento è<br />

preparazione e figura di Cristo e delle realtà cristiane, nella forma<br />

che tutto l'Antico Testamento è pieno di « misteri ». Sempre cominciando<br />

da Giustino, diventa certo che anche gli eventi storici <strong>della</strong> vita<br />

di Cristo sono chiamati mysteria, come l'incarnazione, la natività,<br />

la passione, la morte in croce, la risurrezione, l'ascensione.<br />

Dopo Giustino, pian piano, si tende ad esprimere tutto il panorama<br />

dell'economia di Dio nel mondo, come sopra è stato ricordato,<br />

sia nel suo insieme che nei suoi particolari, col concetto di mysterion<br />

: tutto ivi è mistero e misteri.<br />

Sembra innegabile che a questo risultato dell'evoluzione semantica<br />

di mysterion, abbia contribuito non poco la mente generale di<br />

tradizione platonica abituata a considerare la distinzione del mondo<br />

celeste e del mondo terreno e tutto il cosmo delle realtà sensibili


MYSTERION NEI PADRI 567<br />

come simbolo, immagine, ombra e segreta partecipazione delle realtà<br />

celesti invisibili, il cui motivo d'esistere sta tutto in questa sua funzione<br />

d'essere ombra ed immagine destinata a condurci alla contemplazione<br />

partecipativa delle realtà celesti invisibili. Già l'autore dell'epistola<br />

agli Ebrei esprimeva un po' in questa prospettiva la dottrina<br />

comune dei rapporti tra realtà dell'Antico Testamento e realtà<br />

di Cristo e cristiane, nonché i rapporti delle realtà cristiane con le<br />

realtà escatologiche e celesti 42 .<br />

II significato fondamentale di « mysterion » come appare,<br />

per esempio, in Origene<br />

Comunque, in Origene, che di questa mentalità platonica fu tutto<br />

imbevuto 43 , appare maturata la predetta tendenza di concepire la<br />

dottrina scritturistica e tradizionale <strong>della</strong> storia sacra, nel suo insieme<br />

e nel legame di corrispondenza unitaria che unisce le sue<br />

fasi, nonché gli oggetti, le persone e gli avvenimenti di ognuna di<br />

esse, sotto una serie di espressioni che sembrano incentrate in<br />

quella di mysterion a cui appaiono sempre più convergere i concetti<br />

affini di immagine, simbolo, ombra e verità, segno, tipo, lettera<br />

o corpo e spirito, ecc. 44 . Questa visuale è, in Origene, un punto di<br />

vista centrale intorno al quale organizza la sua visione del mondo.<br />

Per lui lo studio <strong>della</strong> dogmatica, <strong>della</strong> Scrittura, dell'ascetica e <strong>della</strong><br />

mistica, anzi l'oggetto stesso <strong>della</strong> conoscenza superiore o gnosi<br />

che ritiene il fine supremo del lavoro <strong>teologico</strong> e dèlia vita, è, praticamente,<br />

lo studio del mysterion, ossia di quelle relazioni di immagine,<br />

simbolo, ombra e verità, segno, tipo, lettera o corpo e spirito, ecc.,<br />

che legano le singole parti <strong>della</strong> storia sacra e delle cose ivi contenute.<br />

Se poi si cerca di determinare in Origene il significato fondamentale<br />

e generalissimo di mysterion e dei concetti connessi, si arriva<br />

alla conclusione che per lui mysterion simbolo, immagine, ecc., è semplicemente:<br />

una cosa sensibile che contiene in qualche modo nascosta<br />

in sé, manifesta a chi ha il <strong>senso</strong> per percepirla e comunica<br />

in qualche modo a chi vi è disposto, una realtà divina in rapporto<br />

all'economia di Dio nel mondo. È questo il significato fondamentale<br />

comune poi in tutta la patristica seguente.<br />

In questo concetto vi sono due termini: la cosa sensibile e la<br />

realtà divina. Due termini realmente distinti: la cosa sensibile non è<br />

semplicemente la realtà divina tale e quale. Due termini però inti-<br />

J2 Vedi, per es., C. SPICQ, Épltre aux hébreux, Paris 1952 I 73 ss.<br />

13 Vedi, per es., In Cant Corti. 2 ed. Baehrens 8,160; In Jo Com. 1,24 ed.<br />

Preuschen 4,31; In Gen Hom. 9,1 ed. Baehrens 6,88 s; In R Com. 3,7 PG 14,943;<br />

C. Cels. 7,31 ed. Koetschau 5,283; In Cant Com. 3 ed. Baehrens 8,208 ss; Peri Archon<br />

2,11,4 ed. Koetschau 5,18'/.<br />

41 Vedi lo studio fondamentale di H. VON BALTHASAR, Le mysterion d'Origene,<br />

in Recherches de science religieuse 26 (1936) p. 513ss; 27 (1937) p. 38ss. Inoltre:<br />

H. CROUZEL, Origene et « la connaissance mystique », Bruges 1960 pp. 21-209.


568 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

mamente uniti di un'unità di partecipazione. E in questo <strong>senso</strong> la<br />

cosa sensibile è già in qualche modo la realtà divina; lo è sotto un'altra<br />

forma, in un modo d'essere diverso e partecipato. Perciò tra i due<br />

termini i rapporti di unione sono rapporti d'immagine, in <strong>senso</strong> realistico,<br />

a realtà, verità; di manifestazione, significazione, comunicazione<br />

e partecipazione efficace; di tipo e antitipo; di segno e cosa<br />

significata, simbolo e cosa simbolizzata; preparazione, figura e compimento.<br />

<strong>Il</strong> mistero (e concetti affini) è sempre, per Origene e la<br />

patristica seguente, la manifestazione epifanica di una realtà divina<br />

dell'ordine <strong>della</strong> salvezza nella forma di una cosa sensibile, che in<br />

un <strong>senso</strong> la nasconde a chi non ha gli organi adatti a percepirla, ma<br />

in un altro la manifesta a chi ha quei sensi e la comunica perché, in<br />

qualche modo, realmente la contiene.<br />

Col predetto <strong>senso</strong> generale ci si può render conto dell'uso svariatissimo<br />

che Origene fa di quel concetto, sia con il termine mysterion<br />

sia con i termini equivalenti o connessi. H. von Balthasar 45<br />

così riassume quest'uso: il mysterion primordiale è Cristo stesso<br />

nella sua persona concreta: uomo e Dio. In Lui, massimamente, si<br />

verifica il caso di una cosa sensibile che, in qualche modo, contiene<br />

realmente in sé nascosta, manifesta al credente e comunica a chi<br />

è disposto, una realtà sacra divina in rapporto alla salvezza. Questa<br />

realtà sacra, in Cristo, è Dio, il Verbo stesso, la vita divina. Cristo,<br />

dice Origene, era segno a cui si contraddiceva, perché alius in eo<br />

videbatur et aliud intelligebatur. Caro cernebatur et Deus credebatur<br />

46 .<br />

Derivante dal mysterion di Cristo, si ha il mysterion delle Scritture,<br />

incarnazione sui generis del Verbo, che esse nello stesso tempo<br />

nascondono (a chi non ha il <strong>senso</strong> per capirle), manifestano (a chi<br />

le comprende spiritualmente) e comunicano a chi vi è preparato 47 .<br />

Nell'Antico Testamento, dice Origene a proposito di un caso particolare,<br />

in sacramentis enim fiunt cuncta quae fiunt " 8 . Per lui è questa<br />

una massima che vale per tutta la Scrittura. Se si aggiunge poi la<br />

sua persuasione che tutto quello che l'uomo può desiderare di conoscere<br />

di utile per raggiungere il suo fine è contenuto nelle Scritture<br />

e che si tratta solo di scoprirlo, ciò che costituisce appunto l'oggetto<br />

essenziale <strong>della</strong> gnosi o conoscenza superiore e salutare, si comprenderà<br />

facilmente perché, per Origene, tutto il lavoro di spiegazione<br />

<strong>della</strong> dottrina cristiana è sostanzialmente un lavoro di spiegazione<br />

del significato dei « misteri » contenuti nella Scrittura.<br />

Seconda derivazione del mysterion primordiale di Cristo : « il<br />

45 L. e.<br />

46 In R Corti. 4,2 PG 14,968. La carne in Cristo era indumento di cose<br />

spirituali (Peri Archon 4,2-8); le azioni umane di Cristo erano simboli delle sue<br />

azioni divine (In Mt Coni. 16,20). Vedi anche Schillebeeckx 1. e. p. 66 s. M. HARL,<br />

Origene et la fonction rivelatrice du verbe incarni, 2 voli. (Coli. Patristica sorbonensia)<br />

Paris 1958.<br />

47 Vedi, per es., In Mt Com. Ser. 27 ed. Klostermann p. 45.<br />

48 In Gen Hom. 9,1 ed. Baehrens p. 87, 18; cfr. pure In Gen Hom. 10, ibid. 95 :<br />

« Tutto è mistero ciò che è nella Scrittura ».


MYSTERION NEI PADRI 569<br />

mysterion <strong>della</strong> Chiesa «dalla quale dobbiamo evitare dal separarci<br />

,9 , perché « fuori di questa casa, ossia fuori <strong>della</strong> Chiesa, non<br />

c'è salvezza » 50 . Questo è vero perché nella Chiesa si realizza l'intera<br />

venuta e presenza di Cristo: Ecclesia... in qua tota totus est adventus<br />

Filli hominis 51 . Anche in essa, tutte le cose, oltre ad essere realmente<br />

quel che sono, hanno valore di mysterion, di simbolo, immagine, ecc.<br />

Così la gerarchia ecclesiastica. « È simbolo anche il vescovo, il sacerdote,<br />

il diacono, delle verità che corrispondono a questi nomi » 5 '-'.<br />

Questo avviene anche dei riti cultuali che costituiscono appunto<br />

la terza sfera del mysterion di Origene, derivata dalle due precedenti.<br />

Origene parla in questo <strong>senso</strong>, non solo del battesimo e dell'eucaristia<br />

53 , ma anche delle ecclesiasticae observationes in genere,<br />

comprendenti, come lo indica chiaramente il contesto, anche i riti<br />

liturgici in genere 54 .<br />

Così, dai Padri apostolici a Origene, si è allargata e determinata<br />

la grande visione scritturistica del mondo come storia sacra sempre<br />

in atto e <strong>della</strong> relazione di abbozzo, immagine, figura, preparazione,<br />

realizzazione, compimento, che unisce tra loro le diverse sue fasi:<br />

precristiana, eristica, ecclesiale, escatologica. Questa determinazione<br />

ed allargamento è consistito, pare, principalmente in tre punti:<br />

i Padri hanno allargato notevolmente, rispetto alla Scrittura, i particolari<br />

dell'Antico Testamento considerati come immagine, figura,<br />

tipo, ecc., delle realtà <strong>della</strong> nuova economia ed anzi dell'economia futura<br />

e celeste, vedendo, per conseguenza, sempre più i singoli particolari<br />

dell'economia eristica e cristiana sullo sfondo prefigurativo e<br />

preparatorio dell'Antico Testamento. In secondo luogo, nei particolari<br />

degli eventi sensibili <strong>della</strong> vita di Cristo sulla terra e negli aspetti<br />

sensibili <strong>della</strong> costituzione e <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> Chiesa i Padri, e Origene<br />

in specie, badano con sempre maggiore insistenza al loro valore sim-<br />

"bolico reale, espressivo d'una realtà spirituale presente. In terzo<br />

luogo, tutta questa tendenza di visione simbolica realista delle cose<br />

e <strong>della</strong> storia sacra viene espressa sempre più nel concetto generale<br />

di mysterion di cui gli altri concetti come immagine, simbolo, figura,<br />

segno, ecc., tendono a diventare aspetti particolari o sinonimi.<br />

1» In Job Selecta 20,15 (PG 12,1035).<br />

50 In Jes Nave Hom. 3,4-5 ed. Baehrens p. 304 ss.<br />

sl In Mt Com. Ser. 47 ed. Klostermann p. 98, 3 ss. Adventus può tradurre<br />

parusia o epidemia che implicano venuta e presenza.<br />

52 In Mt Com. 14,22 ed. Klostermann pp. 338,10 ss. Quali siano queste verità .<br />

vedi: In Mt Com. Ser. 10 ed. Klostermann p. 17ss, il sacrificio interno individuale<br />

e sociale; la gerarchia eterna celeste: il Signore, i patriarchi, gli arcangeli.<br />

53 Per il battesimo vedi, per es.. In lo Com. 6,17 ed. Preuschen 142 s. Già<br />

Clemente Alessandrino chiamava il battesimo mysterion, opponendolo ai falsi<br />

misteri pagani (vedi, per es., Protreptikos XII 118-120). Per l'eucaristia e la messa<br />

vedi, per es., In Ex Hom. 13,3 ed. Baehrens 6,274; In Lev Hom. 13,3 ed. Baehrens<br />

6,471 s; In Num Hom. 7,2 ed. Baehrens 7,39 ss; In Num Hom. 16,6 ibid. 151 ss; In<br />

Ps. Hom. 2,6 PG 12,1386 D.<br />

" In Num Hom. 5,1 ed. Baehrens p. 25 s.


570 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

Accettazione e applicazione generale del concetto di « mysterion »<br />

a tutta la <strong>liturgia</strong> dal secolo IV anche presso i Siri<br />

Comunque, cominciando dal secolo IV, tutto questo diventa un<br />

fenomeno nettamente caratterizzato sulla base del concetto generale<br />

del mysterion sopra spiegato e da tutti presupposto 55 . Nello stesso<br />

tempo, l'applicazione di mysterion si estende sempre maggiormente<br />

ai singoli particolari liturgici cosicché si comprendono esplicitamente<br />

sotto questa espressione non solo i riti essenziali dell'iniziazione cristiana:<br />

battesimo, confermazione ed eucaristia, compresa tutta la<br />

messa, ma anche i riti del catecumenato : come l'orazione domenicale,<br />

il credo, gli esorcismi, ecc.; poi, com'è stato già rilevato 58 , cominciando<br />

dal secolo V, e progressivamente: anche il myron, le ordinazioni, la<br />

consacrazione <strong>della</strong> chiesa, dei monaci, delle vergini, i funerali, le feste<br />

liturgiche, le ore canoniche. Alla fine di questo processo, praticamente,<br />

tutta la <strong>liturgia</strong> nel suo insieme e nei suoi particolari è esplicitamente<br />

compresa sotto il concetto di mysterion.<br />

La situazione è sostanzialmente la stessa nella chiesa sira. A tal<br />

punto che il P. De Vries, volendo trattare <strong>della</strong> teologia dei sacramenti<br />

presso i siri monofisiti è costretto a premettere che oggetto<br />

dei trattati dei siri dove egli prenderà il suo materiale è semplicemente<br />

la <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> Chiesa. Questi trattati s'intitolano : « Dei misteri<br />

<strong>della</strong> Chiesa ». Sotto questo concetto Mosè Bar Kepha, per<br />

esempio, comprende : « La rinunzia a satana, la confessione di Cristo,<br />

l'unzione col segno <strong>della</strong> croce, il battesimo, la confermazione col<br />

santo myron; le preghiere che si dicono nelle funzioni sacerdotali;<br />

perché non genuflettiamo la domenica e il giorno <strong>della</strong> Pentecoste;<br />

perché quando preghiamo guardiamo all'oriente; perché veneriamo<br />

la croce, ecc. Tutti questi sono misteri <strong>della</strong> Chiesa» 57 .<br />

Altri autori, oltre a tutti i riti dell'iniziazione, comprendono in<br />

queste spiegazioni dei « misteri * la consacrazione <strong>della</strong> chiesa, del<br />

myron, le vesti sacerdotali, le processioni, la professione o consacrazione<br />

dei monaci, i singoli oggetti che si trovano nella chiesa, come<br />

l'altare, i candelabri, il calice, la patena, ecc., i riti dei funerali, insomma<br />

tutta la <strong>liturgia</strong>. « Mistero per i teologi siri è ogni cosa o azione<br />

sensibile che, in modo misterioso, segreto, si riferisce a una cosa<br />

soprassensibile » 58 . « Ciò che è caratteristico in tutte queste trattazioni<br />

e dimostra il concetto fondamentale dei siri riguardo ai riti<br />

55<br />

Vedi i testi citati nella prima parte p. 43 s, per es. il concetto di S. Giovanni<br />

Crisostomo : « C'è mistero quando consideriamo delle cose sacre che vanno<br />

oltre quelle che vediamo » (In ep. 1 ad Cor Hom. 1,7), e quello di Teodoro di Mopsuestia<br />

: « Ogni mistero è l'indicazione in segni e simboli di cose invisibili e ineffabili<br />

» (Catech. XII 2).<br />

se Sopra p. 43 s, note 20 e 21.<br />

57<br />

W. DE VRIES, Sakramenten Theologie bei den syrischen Monophysiten,<br />

Roma 1940 p. 30 s.<br />

58<br />

L. e. 32. Bisognerebbe aggiungere, come lo stesso De Vries lo rileva alla<br />

p. 33, « ...e, in qualche modo, la causa ».


MYSTERIUM E SACRAMENTUM 571<br />

<strong>della</strong> Chiesa, dice ancora lo stesso autore, è che essi, a proposito di<br />

tutti i riti e oggetti cultuali, anzitutto e sempre si chiedono: cosa<br />

significano? Perché sono essi "un mistero"? Tutti questi trattati<br />

sono commentari <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, sono pieni di spiegazioni spesso complicate<br />

e peregrine, di cosa significano le singole cerimonie e i singoli<br />

oggetti del culto. Spiegare questi segreti significati è lo scopo principale<br />

di questi scritti » 39 .<br />

« Mysterlum » e « Sacramentum » presso i latini<br />

Lo stesso modo di considerare le cose prevalse nelle chiese latine<br />

che espressero identiche idee con i concetti di mysterium e di<br />

sacramentum. Mentre mysterium è la semplice latinizzazione <strong>della</strong><br />

parola greca mysterion e si trova già nelle antiche versioni latine<br />

<strong>della</strong> bibbia, sacramentum è d'origine latina: viene da sacrare e potrebbe<br />

significare: la cosa che sacra; la cosa sacrata; lo stesso atto<br />

di fare una cosa sacra 60 . Sacramentum fu anticamente anzitutto un<br />

termine militare: il sacramentum militiae che doveva subire ogni<br />

nuova recluta al suo ingresso nell'esercito romano. Si trattava di<br />

un rito religioso di iniziazione e consacrazione alle divinità protettrici<br />

dell'esercito, includente un giuramento di fedeltà <strong>della</strong> recluta.<br />

Questa parola, assieme a quella di mysterium, tradusse già nelle<br />

antiche versioni latine <strong>della</strong> bibbia il mysterion greco di cui parlava,<br />

per esempio, S. Paolo e poi anche il mysterion <strong>della</strong> letteratura ecclesiastica<br />

greca, conservando quindi lo stesso <strong>senso</strong> in tutti i casi.<br />

Solo che, almeno in Tertulliano, sacramentum mette fortemente in<br />

rilievo l'aspetto di impegno morale e di giuramento di fedeltà incluso<br />

già nel mysterion greco, sebbene assai secondariamente. Così sacramentum<br />

come sinonimo di mysterium fu usato per indicare le stesse<br />

cose che i greci indicavano con mysterion e fu connesso con gli<br />

stessi concetti coi quali era connesso mysterium come signum, figura,<br />

symbolum, imago.<br />

Si spiega così come il concetto fondamentale di mysterium e<br />

sacramentum presso i Padri latini sia lo stesso che quello di mysterion<br />

presso i greci. Parlando del pane e del calice eucaristico, S. Agostino<br />

può dire ai neofiti: Ista, fratres, ideo dicuntur sacramenta,<br />

quia in eis aliud videtur aliud intelligitur 61 . E può anche parlare « dei<br />

segni che, quando si riferiscono a cose divine, si dicono sacramenti<br />

» 82 .<br />

Anche gli oggetti ai quali si applicano le espressioni di mysterium<br />

e di sacramentum sono gli stessi che i greci e i siri chiamavano « misteri<br />

», « misteri <strong>della</strong> Chiesa », cioè non solo Cristo stesso, la Scrit-<br />

58 L. e. p. 32.<br />

00 Su mysterium e sacramentum presso i latini, vedi, per es., SCHILLEBEECKX,<br />

1. e, p. 89 ss.<br />

«" Sermo 272.<br />

»* Epist. 138,7.


572 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

tura nel suo <strong>senso</strong> tipico, allegorico o spirituale, e la Chiesa come<br />

tale, ma, inoltre, tutti i riti cultuali e praticamente tutta la <strong>liturgia</strong>:<br />

riti, preghiere, feste, prassi liturgiche, oggetti liturgici 63 .<br />

Riflessi di questa terminologia nelle liturgie<br />

Naturalmente, questa terminologia mysterion, mysterium, sacramentum,<br />

con i termini connessi d'immagine, segno, tipo, ombra, figura,<br />

ecc., è passata largamente nel vocabolario dei formulari liturgici delle<br />

liturgie storiche e attuali, che, come è noto, sono sostanzialmente il<br />

frutto <strong>della</strong> creatività liturgica dell'epoca patristica 64 .<br />

Ma, quello che è più importante ancora, è che la grande maggioranza<br />

delle composizioni liturgiche, anche se non hanno esplicitamente<br />

le parole di mysterion, mysterium, sacramentum, immagine,<br />

ecc., sono fondamentalmente strutturate nella prospettiva dell'ideologia<br />

che queste espressioni suppongono. Ossia, la predetta idea di mysterion,<br />

mysterium, sacramentum, ecc., o, se si vuole, l'idea che abbiamo<br />

chiamata a suo luogo storia sacra e segno efficace con le sue diverse<br />

dimensioni, costituisce lo sfondo naturale e la trama delle composizioni<br />

liturgiche stesse. Trama che si suppone, si ricorda in modo<br />

esplicito più o meno completamente, e che costituisce il punto di<br />

partenza delle considerazioni, <strong>della</strong> preghiera in tutte le sue forme<br />

di lode, adorazione, domanda, pentimento, nonché degli insegnamenti,<br />

degli ammonimenti, delle aspirazioni. La stessa trama serve<br />

di criterio per la scelta delle letture bibliche nella <strong>liturgia</strong> o, comunque,<br />

di criterio d'interpretazione di queste letture.<br />

Così, credo, si può tranquillamente asserire che lo sfondo delle<br />

composizioni liturgiche d'epoca patristica è sempre e dappertutto<br />

« 3 Per Agostino vedi sopra p. 43 s, note 20-21. <strong>Il</strong> De mysteriis di S. <strong>Il</strong>ario è un<br />

trattato sul significato tipologico, allegorico, spirituale dell'Antico Testaménto.<br />

Le due opere di S. Ambrogio: De mysteriis, De sacramentis, sono la spiegazione<br />

dei riti dell'iniziazione cristiana. Questo modo d'intenders i sacramente e i mysteria<br />

identificandoli con tutta la <strong>liturgia</strong> quando sono detti dei riti, rimase praticamente<br />

immutato in occidente fino al secolo XII (vedi A. MICHEL, Sacramentaux,<br />

in: Dict. de théol. cath. XIV 1 (1939) 467 ss; D. VAN DEN EYNDE, Les définitions<br />

des sacraments pendant la première perioda de la théologie scolastique,<br />

(1050-1240, Roma 1950), quando^ con l'introduzione <strong>della</strong> distinzione tra sacramenta<br />

e sacramentalia, dovuta, come pare, a Pietro Lombardo, si cominciò a portare<br />

direttamente l'attenzione sulla questione di ciò che distingue i nostri attuali sette<br />

sacramenti dal resto dei riti liturgici.<br />

64 È facile ora rendersi conto dell'abbondante uso di questa terminologia,<br />

per esempio nel sacramentario leoniano, consultando il glossario dell'edizione di<br />

Mohlberg alle voci mysterium, sacramentum (vedi anche figura, imago). Alcuni<br />

esempi tratti dal Leoniano e dal Gelasiano nelle edizioni di Mohlberg: Chiesa<br />

sacramentum: Gel. n. 432. Sacramentum e mysterium detti dell'eucaristia e <strong>della</strong><br />

messa: la stragrande maggioranza dei passi del Leoniano dove ricorrono queste<br />

voci. Detti del battesimo: Leon. 67, 23; Gel. nn. 485; 500; 508; 513. Detti delle feste<br />

e delle celebrazioni liturgiche, per es., Leon. 21, 12; 48, 22; Gel. nn. 456; 637. Del<br />

matrimonio: Leon. 138, 33. Del simbolo apostolico: Gel. n. 310. Dell'incenso: Gel.<br />

n. 429. Dell'acqua benedetta: Gel. nn. 444; 445.


SPIEGAZIONI PATRISTICHE 573<br />

il mysterion, mysterium, sacramentwn nel <strong>senso</strong> largo sopra spiegato<br />

e secondo tutte le sue dimensioni sempre supposte o anche<br />

più o meno completamente ricordate. Queste dimensioni del mysterion<br />

sono quelle stesse che nella prima parte abbiamo chiamato<br />

le dimensioni del segno liturgico: il riferimento alle realtà passate<br />

dell'Antico Testamento; agli avvenimenti storici <strong>della</strong> vita di Cristo;<br />

alle realtà divine <strong>della</strong> grazia che comunicano presenzialmente<br />

i riti liturgici; alle disposizioni di culto nell'animo dei fedeli con<br />

l'impegno morale che comportano; alle realtà escatologiche e celesti<br />

future. <strong>Il</strong> tutto legato dai rapporti di segno efficace, di immagine,<br />

di figura, di primo abbozzo e simili.<br />

La spiegazione teologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> presso i Padri,<br />

come spiegazione dei suoi « misteri »<br />

Così stando le cose, è facile capire come nella letteratura patristica<br />

la spiegazione teologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> non sia altro che la spiegazione<br />

dei « misteri », dei « sacramenti » o meglio ancora del « mistero<br />

» del « sacramento », che contiene la <strong>liturgia</strong> nel suo insieme<br />

e nelle sue singole parti; del suo significato mysticus come si<br />

diceva 65 , e, ciò in riferimento alle diverse dimensioni del mysterium<br />

sopra accennate. Ciò che notava P. De Vries a proposito dei Siri:<br />

che, cioè, caratteristica dei loro trattati sui « misteri <strong>della</strong> Chiesa »<br />

è la preoccupazione essenziale di chiedersi per ogni rito, gesto o<br />

oggetto liturgico, cosa esso « significa », perché e in qual <strong>senso</strong><br />

è esso un « mistero », va detto semplicemente di tutta la letteratura<br />

patristica in riferimento alla spiegazione irenica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Naturalmente, in questo stesso compito che si propongono<br />

i Padri, vi sono sfumature e tendenze diverse, a seconda dell'insistenza<br />

maggiore o minore ora sopra uno, ora sopra l'altro dei<br />

diversi aspetti del mistero. Da questo punto di vista, è ancora<br />

necessario uno studio comparativo d'insieme <strong>della</strong> letteratura <strong>teologico</strong>-liturgica<br />

dei Padri per scoprirne meglio e meglio caratterizzarne<br />

le diverse tendenze e tradizioni. Sembra però che la linea<br />

latina dei Padri, almeno prima del secolo VII, come Tertulliano,<br />

Ambrogio, Agostino, Leone Magno, Zeno e Gaudenzio, sia più unitaria,<br />

e in fondo anche più semplice, perché nella <strong>liturgia</strong> come<br />

mysterium e sacramentwn pare badare anzitutto ai suoi rapporti<br />

con le realtà dell'Antico Testamento 66 e di Cristo stesso, nonché<br />

al suo aspetto di impegno morale. Tra i latini, Agostino, com'era<br />

da aspettarselo, è colui che abbraccia più completamente con<br />

lo sguardo i diversi aspetti dell'intero mysterium anche liturgico.<br />

05 È noto che /xvaxixóì è l'aggettivo di uvortjoiov.<br />

m La spiegazione del mistero dei sacramenti e delle feste liturgiche nei loro<br />

rapporti all'Antico Testamento presso i Padri, sia greci che latini, è appunto<br />

l'oggetto dello studio di J. DANIÉLOU, Bible et liturgie. La théologie biblique des<br />

sacrements et des fètes d'après les Pères de l'Eglise, Paris 1951.


574<br />

CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

Egli, tra le altre cose, vi rileva con grande forza e insistenza la<br />

dottrina del corpo mistico. Ma, in genere, i latini sembrano attenersi<br />

assai da vicino ai grandi schemi <strong>della</strong> stessa storia sacra in<br />

quello che hanno di più dogmaticamente certo.<br />

Anche presso i Greci esiste la tradizione che il mysterion <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> bada anzitutto ai rapporti delle realtà liturgiche con l'Antico<br />

Testamento e con Cristo stesso. Origene vi aggiunge un prevalente<br />

interesse per il suo valore figurativo dei diversi gradi dell'ascensione<br />

dell'anima verso le altezze <strong>della</strong> perfezione gnostica. Ma,<br />

presso i Greci, ha avuto grande importanza la tendenza rappresentata<br />

tipicamente dallo Pseudo Dionigi.<br />

Si può dire che questa tendenza, nella <strong>liturgia</strong> come mysterion,<br />

relega al secondo piano i suoi rapporti con l'Antico Testamento,<br />

e in genere con l'aspetto temporale e storico <strong>della</strong> rivelazione, e<br />

considera invece anzitutto il suo valore d'immagine rispetto ai rapporti<br />

dell'uomo con Dio, visti in un piano quasi trascendente,<br />

astratto, più metafìsico nel <strong>senso</strong> neoplatonico. E il Dio trascendente<br />

e quasi metafisico, più che il Dio <strong>della</strong> storia sacra che si considera<br />

operante e che si cerca di raggiungere attraverso i segni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Non a caso questa tendenza è detta « teurgica ». Essa fa capolino<br />

in Teodoro di Mopsuestia, per la sua opposizione all'allegoria biblica<br />

storica; si sviluppa al sommo grado nello Pseudo Dionigi" 7 , passa<br />

quindi a tutti i Siri, che dallo Pseudo Dionigi dipendono fortemente,<br />

a Massimo confessore, e quindi, più o meno, a tutta la tradizione<br />

bizantina posteriore, compresi, sebbene, in modo assai sobrio<br />

e spoglio dek metafisicismo dionisiano, Nicola Cabasila e Simeone<br />

di Tessalonica.<br />

Discriminazioni da fare in queste spiegazioni:<br />

pregi e imperfezioni<br />

Presso questi Padri il concetto fondamentale di mysterion,<br />

come sopra è stato spiegato, è innegabilmente basato sulla salda<br />

roccia <strong>della</strong> Scrittura e del dogma. Noi stessi nella prima e nella<br />

terza parte di questo lavoro non abbiamo fatto altro che riprenderlo<br />

e tentare di rivalorizzarlo. È altrettanto certo però che, nei singoli<br />

particolari dei riferimenti figurali che essi hanno stabilito tra<br />

le diverse fasi di questo mistero, ed anzitutto con la fase dell'Antico<br />

67 Per la teologia liturgica dello Pseudo Dionigi e il suo inquadramento<br />

generale, vedi R. ROQUES, L'univers dionysien (Théologie 29) Paris 1954 pp. 92 ss;<br />

245-302. Nel mysterion pseudodionigiano, le realtà divine, di cui esso è segno<br />

sensibile e simbolo, sono essenzialmente: l'azione di purificazione, d'illuminazione<br />

e di perfezionamento che Dio, la somma Tearchia, esercita attraverso i<br />

diversi gradi <strong>della</strong> gerarchia celeste e terrestre. Tutta la sua visione del mondo<br />

è fortemente intemporale. L'aspetto storia sacra sparisce quasi.


PREGI E DIFETTI 575<br />

Testamento, tutti i Padri, chi più e chi meno, hanno ecceduto,<br />

cadendo non di rado nell'arbitrario.<br />

Rimane peraltro ancora da portare a compimento il lavoro<br />

di giudiziosa discriminazione in questa teologia liturgica figurativa<br />

<strong>della</strong> letteratura patristica intrapreso dal P. Daniélou es . Oltre a una<br />

ricerca storica dell'origine dei singoli riferimenti figurali e <strong>della</strong><br />

estensione che hanno avuto le singole opinioni in questo campo,<br />

il criterio fondamentale teorico di questa discriminazione deve<br />

essere il principio da noi stabilito nella prima parte di questo<br />

lavoro: i segni liturgici, in quanto significanti una realtà soprannaturale,<br />

non sono segni semplicemente naturali, ma liberi. Che<br />

dunque nella <strong>liturgia</strong> un oggetto, un gesto, una parola, un intero<br />

rito, sia « mistero » o segno di una realtà spirituale riferentesi all'azione<br />

di Dio nel mondo in Cristo e al culto che l'uomo rende a Dio,<br />

in Cristo; e di quale precisa realtà spirituale esso sia segno; e fino<br />

a qual punto e sotto quale preciso aspetto lo sia, tutto questo<br />

dipende unicamente dalla libera volontà dell'autorità competente<br />

che lo ha stabilito e da quella che ne fa uso, non da opinioni private.<br />

Ai privati qui non rimane che conoscere quella precisa volontà<br />

dell'autorità competente per la via ordinaria del metodo storico,<br />

critico, filologico, psicologico, filosofico, <strong>teologico</strong>. Che una cosa si<br />

presti naturalmente ad essere figura ed immagine di un'altra, non<br />

significa ancora affatto, in <strong>liturgia</strong>, che essa sia effettivamente figura<br />

o immagine o mistero di quest'altra. Bisogna ancora vedere se l'autorità<br />

competente, che ha stabilito e fa uso di quel punto di <strong>liturgia</strong>,<br />

abbia inteso effettivamente mettere tra le due cose quel nesso di<br />

segno o di mistero, e in che modo preciso e fino a qual punto.<br />

Sappiamo che, se si tratta <strong>della</strong> sostanza del sacrificio e dei<br />

sacramenti, l'autorità competente che li ha istituiti è solo Cristo.<br />

Quale siano dunque le realtà spirituali alle quali i sacramenti<br />

nella loro sostanza hanno riferimento come misteri nel <strong>senso</strong> sopra<br />

spiegato, dipende solo dalla volontà di Cristo che noi possiamo<br />

conoscere per le vie ordinarie che ci fanno conoscere la rivelazione.<br />

Lo stesso vale dei riferimenti dell'Antico Testamento alle realtà<br />

del Nuovo.<br />

Per le altre parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, l'autorità competente è la<br />

Chiesa, la cui intenzione riguardo alla portata precisa del « mistero »<br />

che ha ogni particolare liturgico, noi possiamo conoscere attraverso<br />

l'origine, la storia di questo particolare, i testi che lo accompagnano,<br />

ecc. È dunque necessario passare al vaglio di questo criterio<br />

tutta la teologia liturgica figurativa <strong>della</strong> letteratura patristica,<br />

e scartare senz'altro quei particolari che in essa non resistono<br />

a questo esame, anche se sono stati d'uso antico e più o meno<br />

comune tra i Padri stessi.<br />

<strong>Il</strong> frutto di questa discriminazione dovrebbe essere la rivalo-<br />

08 Principalmente nelle due opere: Sacramentum futuri e Bible et liturgie.<br />

Per la stessa discriminazione da fare nella letteratura <strong>teologico</strong>-liturgica del<br />

medioevo occidentale fino al secolo XII vedi sopra p. 560, nota 16.


576 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

rizzazione di una sana teologia liturgica figurativa e, in genere,<br />

del concetto del segno, figura, ecc. e quindi del simbolismo e del<br />

mysterium in teologia. Infatti, il concetto di segno e la possibilità<br />

<strong>della</strong> sua applicazione in tutta la teologia è il grande contributo<br />

patristico in questo campo. <strong>Il</strong> primo grande vantaggio di aver considerato<br />

la <strong>liturgia</strong> anzitutto così e, nella sua spiegazione, di avere<br />

sempre posto come prima questione quella del significato dei singoli<br />

segni, ossia del <strong>senso</strong> dei « misteri » ivi contenuti, è di averla perciò<br />

stesso considerata anzitutto sullo sfondo <strong>della</strong> storia sacra. <strong>Il</strong> secondo<br />

è di averla considerata nel suo insieme elaborando una<br />

teologia dei « sacramenti » o « misteri » <strong>della</strong> Chiesa in genere<br />

e analizzando la teologia dei sette sacramenti maggiori in questo<br />

quadro generale. <strong>Il</strong> che vuol dire che nei Padri, la teologia dei sette<br />

sacramenti è nel quadro connaturale <strong>della</strong> teologia liturgica in<br />

genere. Infatti, nei riti liturgici considerare anzitutto l'aspetto<br />

segno, o « mistero », o « sacramento » nel <strong>senso</strong> dei Padri, è considerare<br />

anzitutto quello che è comune a tutta la <strong>liturgia</strong>.<br />

Sappiamo anche che questi vantaggi furono pagati con uno<br />

svantaggio : quello di non arrivare ad una sufficiente distinzione<br />

dei nostri sette riti o sacramenti maggiori dal resto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

distinzione che riguarda essenzialmente la loro speciale origine,<br />

efficacia e necessità rispetto a tutti gli altri. E innegabile che nel<br />

concetto patristico di mysterìon, mysterium, sacramentum, primeggia<br />

a tal punto l'aspetto segno, che l'aspetto efficacia, pur<br />

realmente ivi contenuto e notato dai Padri, rimane tuttavia da<br />

loro poco analizzato nei suoi singoli aspetti 69 . Fu il grande merito<br />

<strong>della</strong> scolastica occidentale, in specie di S. Tommaso, di aver appunto<br />

elaborato nel concetto di sacramentum, mysterium, l'aspetto<br />

di efficacia lasciato ancora troppo indeterminato nella tradizione<br />

patristica, ciò che permise di riconoscere riflessivamente e pienamente<br />

ai nostri sette sacramenti il posto specialissimo che ad essi<br />

spetta nell'insieme <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Ma sappiamo ormai che, mentre in S. Tommaso stesso l'equilibrio<br />

tra i due aspetti: segno ed efficacia dei sacramenta era ancora<br />

notevole e quindi era ancora notevole l'immissione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

nella sintesi teologica, almeno nel trattato dei sacramenti, negli<br />

scolastici posteriori questo equilibrio venne meno: si badò talmente<br />

all'aspetto efficacia che l'aspetto segno venne troppo dimenticato<br />

e quindi la <strong>liturgia</strong> praticamente espulsa dalla sintesi teologica.<br />

Una più giusta rivalorizzazione dell'aspetto segno, imparata alla<br />

scuola dei Padri, ma nel rispetto di tutti i progressi posteriori<br />

<strong>della</strong> teologia, dell'esegesi e <strong>della</strong> storia, deve ricondurre a ritrovare<br />

una più intima unità tra <strong>liturgia</strong> e sintesi teologica in genere.<br />

00 Fatto significativo: Schillebeeckx, che nella sua opera analizza largamente<br />

l'aspetto di segno nei predetti concetti presso i Padri, non può indicare (p. 80 s)<br />

che relativamente poche e generali espressioni patristiche che riguardino l'aspetto<br />

dell'efficacia negli stessi concetti.


CONTROVERSIE E LITURGIA 577<br />

4. LA QUESTIONE DELL'AUTORITÀ DELLA LITURGIA<br />

E IL SUO USO POLEMICO PRESSO I PADRI<br />

Se il concetto di mysterìon, mysterium, sacramentum, è il<br />

centro a cui converge il massimo interesse dei Padri nella loro<br />

visione teologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, è vero tuttavia che essi hanno anche<br />

fatto ricorso alla <strong>liturgia</strong> come fonte di argomentazione teologica<br />

contro i dubbi o le negazioni intorno a un determinato punto <strong>della</strong><br />

dottrina <strong>della</strong> Chiesa. Essi hanno considerato la <strong>liturgia</strong> come una<br />

« autorità » 7CI per risolvere questi eventuali dubbi dei credenti e<br />

refutare le negazioni degli erranti. In quale estensione e in qual<br />

<strong>senso</strong> abbiano ciò fatto è stato sostanzialmente chiarito dagli studi<br />

recenti, anzitutto da quelli del Federer e del Capelle 71 . Basterà qui<br />

ricordarne in breve i risultati.<br />

L'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> per i Padri è tale da imporre l'obbligo<br />

dell'osservanza dei riti, parole e usi di cui si compone e dell'adesione<br />

alle credenze in essi implicate. I Padri fanno dunque ricorso<br />

alla <strong>liturgia</strong> quando credono opportuno inculcare tale obbligo. Questo<br />

ricorso, come è naturale, è specialmente notevole nelle controversie<br />

dottrinali. Basterà accennare alle principali.<br />

Le controversie nelle quali il ricorso alla<br />

<strong>liturgia</strong> fu notevole<br />

Già nella controversia antignostica del secolo secondo, S. Ignazio<br />

di Antiochia 72 e più sviluppatamente ancora S. Ireneo 73 fanno<br />

appello alla prassi eucaristica e al <strong>senso</strong> <strong>della</strong> presenza reale di Cri-<br />

70 S. Agostino, in specie, ha chiaramente connesso la questione del valore<br />

probativo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> con la questione àéWauctoritas, concetto questo che è,<br />

come è noto, di basilare importanza in tutto il procedimento di Agostino. Vedi,<br />

per es., M. LOEHHEH, Der Glaubensbegriff des heiligen Augustinus in seinen ersten<br />

Schriften bis zu den Confessiones, Einsiedeln 1955 p. 81 ss. Vedi anche A. H.<br />

WAGENWOORT, B. TELLENBACH, Auctoritas, in: Realenziklopedie fiir Antike und<br />

Christentum edita da T. Klauser, I (1950) 904-09.<br />

71 K. FEDERER, Liturgie und Glaube. Legem credendi lex statuat supplicando<br />

Eine theotogiegeschichtliche Vntersuchung. Freiburg 1950. Per chiarire la portata<br />

del principio dei capitoli pseudo celestiniani : legem credendi lex statuat supplicandi,<br />

ricerca l'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come prova <strong>della</strong> fede nelle questioni discusse<br />

coi non cattolici, presso Prospero di Aquitania, Agostino, Ambrogio, Optato di<br />

Milevi, Cipriano, Tertulliano e i Padri prima di Tertulliano. B. CAPELLE, Autorità<br />

de la liturgie chez les Pères, in: Recherches de théol. ancienne et medievale 21<br />

(1954) 5-22. Passa nuovamente in rassegna i testi dei padri intorno all'autorità<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come prova <strong>della</strong> fede, per rilevare più fortemente che, ai loro<br />

occhi, la <strong>liturgia</strong> ha tale autorità in virtù dell'universalità con cui è praticata<br />

nella Chiesa, la quale universalità, a sua volta, indica l'origine apostolica: ultimo<br />

fondamento dell'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, secondo i Padri.<br />

72 Vedi, per es., Smyrn. 7,1; Eph. 20,2.<br />

Vedi, per es., Haer. 1,3,1 (1,5); 4,18,15 (31,4); 5,2,2 s (2,1-3).<br />

19 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


578<br />

CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

sto che la Chiesa vi annette per refutare la dottrina gnostica dualistica<br />

dell'apparenza del corpo di Cristo e <strong>della</strong> perversità essenziale<br />

<strong>della</strong> materia con la conseguente impossibilità che il corpo partecipi<br />

alla vita divina, in specie nella risurrezione <strong>della</strong> carne ". Tertulliano,<br />

contro questo secondo punto <strong>della</strong> dottrina gnostica, desume<br />

l'argomento non solo dall'eucaristia, ma dall'intero rito dell'iniziazione<br />

cristiana ".<br />

Nella controversia sulla validità del battesimo conferito dagli<br />

eretici, che mise in opposizione S. Cipriano e S. Stefano Papa, uno<br />

dei punti essenziali, anzi forse addirittura il punto essenziale, fu<br />

appunto quello dell'autorità dell'uso liturgico relativo nelle rispettive<br />

chiese.<br />

Nelle liti trinitarie il ricorso all'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> ebbe una<br />

parte importante. Origene, per esempio, ricorreva alla prece anaforica<br />

nelle sue discussioni contro i modalisti 76 . <strong>Il</strong> ricorso ai testi<br />

liturgici trinitari fu all'ordine del giorno nella controversia tra ariani<br />

e antiariani. <strong>Il</strong> caso più celebre è la controversia sul <strong>senso</strong> <strong>della</strong><br />

dossologia liturgica come la conosciamo per mezzo del De Spirita<br />

Sancto di S. Basilio ". Non meno tipico il caso dell'anonimo ariano<br />

che ricordava ironicamente ai cattolici i testi <strong>della</strong> loro <strong>liturgia</strong>,<br />

implicanti, a suo parere, la dottrina ariana 78 . Abbiamo già accennato<br />

a suo luogo 79 ai riflessi che la stessa lite ariana ebbe nelle composizioni<br />

liturgiche fino al primo medioevo.<br />

Anche nella controversia donatista si trova qualche ricorso alla<br />

<strong>liturgia</strong> in Optato di Milevi 80 e in S. Agostino 8I . S. Girolamo, a sua<br />

volta, non mancò di ricorrere alla <strong>liturgia</strong> per difendere contro Vigilanzio<br />

il culto dei santi e delle reliquie 82 .<br />

Ma fu specialmente la controversia pelagiana e semipelagiana<br />

che dette larga occasione di ricorrere all'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Sant'Agostino<br />

lo fa praticamente in tutti i punti essenziali dibattuti con<br />

Pelagio e i semipelagiani : peccato originale e sue conseguenze, rela-<br />

74 L'argomento consiste nel rilevare ciò che implica rispetto alla bontà<br />

essenziale <strong>della</strong> materia, la prassi eucaristica <strong>della</strong> Chiesa, nella quale lo stesso<br />

nostro corpo riceve il corpo e il sangue di Cristo, e nel mostrare la contraddizione<br />

che c'è a seguire quella prassi e a negare la dottrina che implica.<br />

75 E celebre il testo del De carnis resurrectione 8: « La carne è il cardine<br />

<strong>della</strong> salvezza. Quando l'anima è toccata da Dio, è la carne che ne è lo strumento.<br />

La carne è lavata affinché l'anima sia purificata; la carne riceve l'unzione<br />

affinché l'anima sia consacrata; la carne è segnata (col segno <strong>della</strong> croce) affinché<br />

l'anima sia munita; la carne è obumbrata con l'imposizione delle mani affinché<br />

l'anima e lo spirito siano illuminati; la carne è nutrita del corpo e del sangue di<br />

Cristo affinché l'anima sia saziata di Dio. Non possono dunque essere separati<br />

nella ricompensa, uniti che sono nell'azione ». Vedi anche Adv. Marc. 1,14.<br />

78 Colloquio con Eraclide, ed. Scherer, Le Caire 1949 p. 128 s.<br />

77 Di questa controversia abbiamo parlato sopra p. 219 ss.<br />

78 Vedi i frammenti pubblicati la prima volta da Mai; nuova ed. in MOHL-<br />

BERG, Sacramentarium veronense, Roma 1956 p. 201 s.<br />

P. 219 ss.<br />

so Per es., Contra Parm. 2, 20; 3, 12.<br />

81 Per es., C. ep. Parm. 2, 10, 20; De bapt. 4, 23, 30; Epist. 185, 9, 39.<br />

82 Contra Vigilantium.


CONTROVERSIE E LITURGIA 579<br />

zion' tra grazia e libero arbitrio, predestinazione, perseveranza, in<br />

specie necessità <strong>della</strong> grazia per qualsiasi opera buona soprannaturale,<br />

anche nel suo principio 83 . Due punti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> servono<br />

specialmente ad Agostino come base delle sue argomentazioni. Nella<br />

questione del peccato originale: il battesimo dei bambini con i riti<br />

che lo precedono e ne rendono incontrovertibile il <strong>senso</strong> (che si<br />

tratta* veramente, anche nel caso dei bambini, del battesimo per<br />

la remissione dei peccati) in specie i riti degli esorcismi e <strong>della</strong><br />

exitfflatio*'; per la questione <strong>della</strong> necessità <strong>della</strong> grazia per ogni<br />

opera salutare anche nel suo inizio, nonché per la questione <strong>della</strong><br />

predestinazione e <strong>della</strong> perseveranza: le preghiere <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sia<br />

di domanda che di ringraziamento *"'. L'argomento contro i semipelagiani<br />

tratto dalle orazioni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è particolarmente sviluppato<br />

nell'epistola 217. È proprio quest'argomento che venne poi<br />

ripreso da Prospero aquitano allo stesso scopo, neHa polemica contro<br />

i semipelagiani sulla necessità <strong>della</strong> grazia anche per l'inizio dell'opera<br />

buona salutare e che passò così nell'Indiculus dove venne<br />

riassunto nella nota formula: legem credendi lex statuat supplicandi<br />

8e . È cosa conosciuta pure che la controversia antipelagiana<br />

e antisemipelagiana ha avuto un notevolissimo riflesso nelle composizioni<br />

liturgiche romane dei secoli V e VI s7 .<br />

Anche nelle controversie cristologiche la <strong>liturgia</strong> e l'argomento<br />

liturgico ebbe una certa importanza ss .<br />

Nell'ultimo periodo dell'età patristica e prima del secolo XIII<br />

in occidente e del XVI in oriente vi furono ancora una serie di<br />

controversie dogmatiche nelle quali il ricorso alla <strong>liturgia</strong> fu più<br />

o meno abbondante : la controversia delle immagini 89 ; quella suscitata<br />

dall'adozianismo spagnolo 90 ; la lunga controversia foziana<br />

53<br />

Vedi la documentazione particolareggiata in K. Federer, 1. e. 23 s.<br />

84<br />

Vedi, per es.( De peccai, mentis I 63, 34; Opus imperi. 2, 181; Epist. 194,<br />

43-46-10.<br />

5 5 In diversi testi Agostino ha direttamente di mira non solo le orazioni<br />

private, ma anche quelle liturgiche, per es., De dono pers. 15, 7; 33, 13; 63-65, 23.<br />

ss Vedi sopra p. 496 ss.<br />

87<br />

Per la controversia semipelagiana nel sacramentario leoniano, vedi C. VA-<br />

GAGGINI. La posizione di S. Benedetto nella questione semipelagiana, in: Studia<br />

benedictina in memoriam gloriosi transitus S. P. Benedicti (Studia anselmiana<br />

18-19), Roma 1947 pp. 46-53; C. MOHLBERG, Sacramentarium veronense... p. LXXIV.<br />

88<br />

Specialmente per le alterazioni e novità che i monofisiti introdussero nella<br />

<strong>liturgia</strong> nel sènso delle loro opinioni e le proteste degli ortodossi contro i cambiamenti<br />

introdotti nella messa da Nestorio e Teodoro di Mopsuestia; per l'alterazione<br />

del rito <strong>della</strong> commixtio presso gli eutichiani; per l'abbandono del rito<br />

<strong>della</strong> goccia d'acqua nel calice presso-gli armeni; per l'introduzione nel trisagio<br />

<strong>della</strong> clausola: qui crucifixus es prò nobìs, fatta da Pietro il follatore.<br />

S9<br />

Per il ricorso alla <strong>liturgia</strong> in S. Giovanni Damasceno vedi B. STUDER, Die<br />

theologische Arbeitsweise des Joannes von Damaskus, Ettal 1956 pp. 55-75, specialmente<br />

p. 62; 70.<br />

90<br />

Elipando e Felice di Urgel, per appoggiare la loro teoria adozianista, si<br />

appellarono ad alcuni testi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> mozarabica. <strong>Il</strong> concilio di Francoforte<br />

del 794 refuta questa opinione. Vedi sopra p. 478.


580 CAP. XTX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

e cerulariana, continuate poi in quella tra cattolici e chiesa greca<br />

dissidente 91 .<br />

Finalmente, un punto di dottrina che i Padri sin dall'antichità,<br />

ebbero più volte a difendere e per il quale ricorsero all'autorità<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> fu la liceità e l'utilità delle preghiere per i defunti e<br />

dell'offerta del sacrifìcio <strong>della</strong> messa per loro 92 .<br />

.1;''<br />

Unione nel pensiero dei Padri tra autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

e sua apostolicità e universalità.<br />

Indeterminazioni in questo campo<br />

Ma più che l'elenco delle controversie nelle quali si fece ricorso<br />

all'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, interessa la mente stessa in cui questo<br />

ricorso venne fatto. Fu dunque ammessa l'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

nel <strong>senso</strong> che, per il fatto stesso che essa contiene certe usanze e<br />

riti e implica certe dottrine, si ritenne che l'osservanza di queste<br />

usanze e di questi riti e la credenza a queste dottrine è obbligatoria.<br />

Ma, per i Padri, dove si fonda, in ultima analisi, questa obbligatorietà?<br />

Di che natura è? È essa dello stesso grado per tutti i riti,<br />

usanze e credenze in qualche modo implicate nella <strong>liturgia</strong>, oppure<br />

vi sono distinzioni e gradi da fare? E tra le stesse liturgie vi sono<br />

distinzioni e gradi? Se così è quale sarà il criterio per determinare<br />

tali distinzioni e gradi?<br />

Porsi tali o simili questioni a proposito dei Padri equivale nientemeno<br />

a chiedersi se e fino a qual punto e con quale successiva<br />

perfezione siano state precisate, nell'epoca patristica, le regole<br />

metodologiche generali per determinare l'autorità teologica <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> e in specie i suoi rapporti con la fede, sia in generale che<br />

nei singoli casi particolari. Equivale, cioè, a cercare nei Padri quelle<br />

regole metodologiche generali dei rapporti tra fede e <strong>liturgia</strong> che<br />

ci siamo sforzati di determinare teoricamente nel capitolo sedicc-<br />

91 I principali punti liturgici, sollevati da questa polemica, sono, come è<br />

noto: l'inserzione del filioque nel credo niceno-costantinopolitano che, in occidente,<br />

cominciò a essere cantato nella messa nel secolo VI; la liceità <strong>della</strong> lunga<br />

serie di usi liturgici che Cerulario e i controversisti greci dell'epoca rimproverarono<br />

alla chiesa occidentale, specialmente l'uso dell'azimo. Vedi, per es., M.<br />

JUGIE, Theologia dogmatica christianorum orientalìum I Paris 1926 p. 268 ss; 311 ss;<br />

M. GOROILLO, Compendium theologiae orìentalis 2 ed. Romae 1950 p. 168. Anche<br />

la questione dell'epiclesi ebbe, come si sa, una parte importante in questa controversia.<br />

Vedi, per es., M. GORDILLO 1. e. 174 ss. E in genere, per tutte le questioni<br />

discusse tra cattolici e foziani (compreso il primato del romano pontefice, l'immacolata<br />

concezione e le diverse questioni attinenti ai sacramenti e ai novissimi)<br />

il ricorso all'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> fu sempre assai abbondante da ambedue le<br />

parti fino a tempi recenti.<br />

92 Vedi, per es., CIRILLO DI GER. Catech. myst. V 9; EPIFANIO, Haer. 75 n. 8.9<br />

PG 42, 513 B; 516 A.B.; GIOVANNI CRISOST. In ep. ad Cor Hom. 41,5 PG 61, 361;<br />

In ep. ad Philem Hom. 3,4 pp. 62, 203 ss; In Act Hom. 21,4 PG 60, 170; EUSTAZIO di<br />

Costantinopoli (secolo VI), Sermo in eos qui dicunt animos humanos... PG 80,<br />

319-80; AGOSTINO, De haer. 53; Sermo 172,2,2; Enchiridion 110,29; De cura prò mortuis<br />

gerenda 3; 6.


NATURA DELL'AUTORITÀ DELLA LITURGIA 581<br />

simo. E chiaro però che la determinazione precisa di queste regole<br />

presuppone l'elaborazione particolareggiata dei grandi concetti che<br />

costituiscono la base <strong>della</strong> criteriologia teologica, come, per esempio,<br />

per enumerarne alcuni : i rapporti tra magistero e rivelazione, tra magistero<br />

e Scrittura, tra magistero e tradizione; la distinzione tra i diversi<br />

gradi autoritativi in cui il magistero propone ciò che propone;<br />

la distinzione tra materia di fede e costumi e materia non di fede né<br />

di costumi; la determinazione degli organi autentici del magistero; la<br />

posizione dei singoli vescovi e quella speciale <strong>della</strong> Chiesa romana e<br />

del vescovo di Roma in questo magistero; il fatto e il <strong>senso</strong> dell'evoluzione<br />

dei dogmi e delle dottrine. Vuol dire, in una parola, che cercare<br />

con quale mentalità i Padri fecero ricorso all'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

significa necessariamente toccare tutta la questione <strong>della</strong> criteriologia<br />

teològica nell'età patristica.<br />

La prima conseguenza di questa costatazione è che non dobbiamo<br />

aspettarci di trovare nel periodo patristico una netta e completa soluzione<br />

<strong>della</strong> questione, ma anzi successivi approcci e sfumature diverse,<br />

talvolta notevoli. La seconda è che la questione <strong>della</strong> natura dell'autorità<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel periodo patristico sarà intimamente connessa<br />

col concetto di tradizione, perché, come è noto, è nel quadro di<br />

questo concetto che i Padri, praticamente, svolgono ciò che elaborano<br />

<strong>della</strong> metodologia e <strong>della</strong> criteriologia teologica.<br />

Ora « tradizione » per i Padri può avere un significato generalissimo<br />

per indicare, oggettivamente parlando, tutto quello che di<br />

salutare la Chiesa viva di ogni tempo propone ai fedeli: insegnamenti,<br />

precetti, usi, e precisamente, in quanto la Chiesa l'ha ricevuto<br />

da Cristo, per mezzo degli Apostoli e, in virtù <strong>della</strong> successione apostolica<br />

che la connette con essi e dell'assistenza infallibile dello Spirito,<br />

l'ha conservato e lo trasmette fedelmente 93 . È cominciando da<br />

questo quadro che l'età patristica elaborò quanto propose intorno<br />

alla questione dell'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. La <strong>liturgia</strong> ha autorità<br />

perché fa parte <strong>della</strong> tradizione oggettivamente considerata. Ora<br />

tradizione, nel concetto patristico, implica questi elementi : Chiesa,<br />

Apostoli, successione apostolica, Spirito Santo. Ma non dico che<br />

quando si basava l'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sulla tradizione, si pensasse<br />

in modo ugualmente chiaro ad ognuno di questi elementi e,<br />

specialmente, che se ne facesse un'analisi profonda e si determinasse<br />

fino a qual punto i singoli particolari <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> impegnalo la<br />

Chiesa, derivano dagli Apostoli, sono frutto dell'assistenza dello Spirito<br />

Santo.<br />

<strong>Il</strong> modo di giustificare l'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel quadro generale<br />

del concetto di tradizione che, nei documenti a noi pervenuti,<br />

appare storicamente primo e rimane poi sempre fondamentale per<br />

tutta l'epoca patristica, è quello che la fonda sul fatto che è cosa<br />

dalla Chiesa ricevuta dagli Apostoli, ossia sulla sua apostolicità.<br />

Che sia antichissima «questa mente tendente a far risalire agli<br />

Apostoli, in modo generico e non altrimenti determinato, la prassi<br />

9 * Vedi, per es., A. DENEFFE, Der Traditionsbegrifj, Munster i. W. 1931.


582 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

liturgica e disciplinare <strong>della</strong> Chiesa non documentata dalla Scrittura,<br />

lo dimostrano già i titoli pseudo apostolici <strong>della</strong> prima letteratura<br />

d'interesse liturgico, come la Didaché o dottrina dei dodici<br />

apostoli, la Tradizione apostolica d'Ippolito, la Didascalia degli Apostoli,<br />

le Costituzioni apostoliche 94 .<br />

Comunque, quando, nei documenti che abbiamo, si comincia a<br />

giustificare esplicitamente l'autorità di una determinata prassi liturgica<br />

non consegnata nella Scrittura, si ricorre alla sua apostolicità,<br />

dimostrata, a sua volta, dall'universalità <strong>della</strong> sua osservanza nella<br />

Chiesa. Se una prassi liturgica è comunemente osservata nelle chiese,<br />

si conclude, senza ulteriori distinzioni, che è d'origine apostolica ed<br />

ha quindi l'autorità stessa degli Apostoli. Così fa Tertulliano 95 ; così<br />

fanno Origene 96 , Basilio 9 \ Agostino 98 , l'Indiculus BB .<br />

In alcune circostanze si fecero delle osservazioni che, approfondite,<br />

avrebbero potuto introdurre nel predetto concetto delle distinzioni e<br />

delle sfumature importanti. Ma questo approfondimento, rispetto<br />

alla <strong>liturgia</strong>, non si verificò. Così S. Ireneo, quando deve opporsi<br />

alla pretesa gnostica di una tradizione apostolica segreta, si richiama<br />

all'unanimità e universalità <strong>della</strong> fede nelle diverse chiese cristiane<br />

come prova <strong>della</strong> vera tradizione apostolica che esse realmente<br />

posseggono, mentre la mancanza dell'unanimità e dell'universalità<br />

tra gli eretici dimostra, a suo parere, la non apostolicità delle<br />

loro dottrine; ma quando si tratta di determinare un criterio sicuro<br />

nelle questioni o nelle prassi implicanti la fede e per le quali l'unanimità<br />

non esiste tra le stesse chiese cristiane, ricorre alla speciale<br />

autorità <strong>della</strong> chiesa di Roma fondata sopra un suo titolo speciale<br />

di apostolicità; mentre sa benissimo che, per prassi anche liturgiche<br />

nelle quali la fede non è implicata, come in quella <strong>della</strong> data<br />

<strong>della</strong> celebrazione <strong>della</strong> Pasqua, la mancanza di unanimità tra le<br />

chiese cristiane non ha conseguenza e che, anzi, prassi diverse possono<br />

talvolta appellarsi ugualmente a tradizioni apostoliche diverse<br />

10 °.<br />

94 Ammessa anche la realtà dell'evoluzione <strong>della</strong> disciplina e <strong>della</strong> prassi<br />

ecclesiastiche e quindi supposto che non si voglia far risalire direttamente agli<br />

Apostoli tutte le particolari prassi disciplinari e liturgiche in uso nella Chiesa,<br />

questa mentalità è perfettamente giustificata, in quanto vuol asserire che tutta la<br />

struttura <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> Chiesa risale agli Apostoli, direttamente o indirettamen<br />

te, immediatamente o mediatamente. <strong>Il</strong> Capelle 1. e. 10 s, fa giustamente notare<br />

che nelle tre prime opere sopra citate il titolo pseudoapostolico non sembra implicare<br />

altro, nella mente dei loro autori, che la persuasione dell'origine apostolica<br />

<strong>della</strong> vita <strong>della</strong> Chiesa in genere e che il vezzo di quei titoli pare essere stato<br />

solo un genere letterario. Invece, per le Costituzioni apostoliche, il Capelle stima<br />

che si tratti di una vera e propria frode.<br />

95 De corona 3 e 4.<br />

98 In Num Hom. V 1 ed. Baehrens p. 26.<br />

97 De Spiritu Sancto cap. 25-27.<br />

98 Per es., De baptismo 2, 12, 7; 4, 31, 24.<br />

99 Obsecrationum quoque sacerdotalium sacramenta respiciamus, quae ab<br />

Apostolis tradita, in toto mundo atque in orniti Ecclesia catholica uniformiter<br />

celebrantur. Dz. 246 (139). Vedi anche 247 (140).<br />

'"o Vedi, per es., Haer. <strong>Il</strong>i 3, 1; III, 3, 2; III, 4, 1; I 26, 12; V 20, 2. I testi


LITURGIA E UNANIMITÀ 583<br />

Anche nella discussione tra S. Cipriano e S. Stefano Papa sulla<br />

validità del battesimo degli eretici e sulla necessità o meno di ribattezzarli<br />

se tornano alla vera Chiesa, mancando l'unanimità <strong>della</strong><br />

prassi liturgica tra le chiese cristiane, fu necessario ricorrere ad<br />

un altro criterio per determinare quale era la vera tradizione apostolica<br />

in proposito. Si sa che Papa Stefano vede nuovamente questo<br />

criterio nella speciale autorità e apostolicità <strong>della</strong> chiesa di Roma 101 ,<br />

mentre S. Cipriano finì col rifugiarsi nel criterio carismatico dell'ispirazione<br />

che ogni vescovo riceve direttamente dallo Spirito<br />

Santo 10 -.<br />

Si osservò pure, in connessione con la questione dei criteri<br />

ultimi <strong>della</strong> fede cristiana, l'importanza <strong>della</strong> presenza viva dello<br />

Spirito Santo nella Chiesa 103 , ma non sembra che questa osservazione<br />

sia stata messa esplicitamente in rapporto con la questione<br />

dell'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Invece Cipriano 104 ed Agostino 105 , in rapporto alla stessa questione,<br />

accennarono all'argomento <strong>della</strong> santità <strong>della</strong> Chiesa: questa<br />

garantisce che quanto essa fa e dice nella <strong>liturgia</strong> non sono giuochi<br />

vuoti o cose vane.<br />

Si insistette pure talvolta sulla possibilità che diverse chiese seguissero<br />

prassi diverse in questioni che non intaccano l'unità <strong>della</strong><br />

fede 106 , osservazione che avrebbe potuto portare alla netta distinzione,<br />

tra le stesse pratiche liturgiche comuni a tutte le chiese, di<br />

quelle che implicano una dottrina di fede da quelle che non la implicano.<br />

Anche la prassi comune> seguita largamente in tutte le<br />

chiese fino al secolo quinto e sesto, d'introdurre nella <strong>liturgia</strong> composizioni<br />

nuove e riti nuovi, anche in cose importantissime e che,<br />

a prima vista, avrebbero potuto sembrare intangibili — come nella<br />

stessa anafora <strong>della</strong> messa e, fino a un certo segno, negli stessi riti<br />

dell'iniziazione cristiana — avrebbe potuto far scoprire alla riflessione<br />

teologica, più chiaramente ed insistentemente di quanto effettivamente<br />

avvenne, il fatto dell'evoluzione storica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

e il principio <strong>della</strong> liceità di tale evoluzione e adattamento a seconda<br />

delle circostanze e nella salvaguardia <strong>della</strong> fede. Di fatto però, la<br />

di Ireneo sulla speciale autorità <strong>della</strong> Chiesa di Roma sono noti. Per la posizione<br />

di Ireneo nella questione <strong>della</strong> data <strong>della</strong> Pasqua vedi EUSEBIO, Histor. eccl. V 23, 1.<br />

IDI Vedi CIPRIANO, ep. 74, 1 e FIRMILIANO, tra le epistole di Cipriano, 75, 5s.<br />

102 Per Cipriano la tradizione divina degli Apostoli rimane sempre il criterio<br />

ultimo; ma, in caso di dis<strong>senso</strong>, per riconoscere quale sia la vera tradizione degli<br />

Apostoli, ricorre allo Spirito Santo che guida ogni vescovo. Ciò vale, si noti bene,<br />

per i soli casi in cui l'unanimità non esiste tra le chiese, perché, se esiste l'unanimità,<br />

essa è, per Cipriano, segno <strong>della</strong> presenza dello Spirito e quindi <strong>della</strong><br />

vera tradizione. Vedi Ep. 68,5.<br />

103 Anzitutto IRENEO, Haer. 3, 24, 1. Anche TERTULLIANO, De praescript. 28.<br />

io4 Vedi in proposito le conclusioni di Federer 1. e. p. 74.<br />

io5 Agostino insiste molto sul fatto che ciò che fa la Chiesa non può essere<br />

un vano né fallace gioco. Vedi per es., De pece, mentis, 1, 63; Ep. 217,1-7.<br />

loe Ireneo sulla questione <strong>della</strong> Pasqua (vedi EUSEBIO, Hist. eccl., V 23, 1).<br />

Anche Firmiliano di Cesarea (tra le ep. di Cipriano 75, 6).


584 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

cosa, teoricamente parlando, fu più intravista, per esempio da San<br />

Basilio 10T , che chiaramente osservata dalla comune dei teologi.<br />

Parimenti, nell'antichità patristica si trovano solo pochi cenni<br />

al concetto, che ha grande importanza per la questione dell'autorità<br />

di singole parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, di una vera evoluzione degli stessi<br />

dogmi dopo la morte degli Apostoli, evoluzione che, senza essere trasformista,<br />

sia tuttavia qualcosa di più che una semplice diversa<br />

equivalente formulazione dei dogmi esplicitamente e chiaramente<br />

proposti sin dall'età apostolica 108 .<br />

Tutto sommato, dunque, dobbiamo anzitutto costatare il fatto<br />

che, nell'età patristica, si riconobbe sin dal principio e comunemente<br />

alla <strong>liturgia</strong> l'autorità per dirimere questioni messe in dubbio o<br />

discusse e che, effettivamente, nelle polemiche dottrinali, vi si fece un<br />

ricorso non indifferente. Ma, in quanto all'elaborazione riflessiva di<br />

regole che permettano di determinare nei casi particolari questa<br />

autorità e che rendano teologicamente conto <strong>della</strong> sua natura, sembra<br />

debbasi ammettere che si rimase ancora ad osservazioni generali<br />

che connettono questa autorità con l'autorità stessa <strong>della</strong> Chiesa,<br />

a sua volta fondata sugli Apostoli, senza andare molto oltre nell'analisi<br />

di questo concetto e dell'applicazione che se ne può fare alla<br />

<strong>liturgia</strong> in genere e alle sue singole parti storiche o attuali.<br />

La precedente conclusione c'induce ancora una volta ad affermare<br />

che, nella riflessione teologica dell'età patristica intorno alla<br />

<strong>liturgia</strong>, la questione <strong>della</strong> sua autorità per dirimere le questioni<br />

discusse non occupa affatto il primo posto e non è in questo punto<br />

che consiste principalmente la ricchezza <strong>della</strong> teologia liturgica dei<br />

Padri. Questa ricchezza consiste invece anzitutto nell'esposizione<br />

irenica che essi fanno ai fedeli del contenuto intrinseco <strong>teologico</strong> che<br />

la <strong>liturgia</strong> ha per il credente, il quale, avendo superato, o non avendo<br />

mai provato, la fase dei dubbi o delle discussioni, accetta pacificamente<br />

come incluso nelle fonti <strong>della</strong> rivelazione quello che la<br />

Chiesa propone e desidera solo contemplarne il contenuto e conformarvi<br />

meglio la vita. Questa ricchezza, come abbiamo dimostrato,<br />

è tutta incentrata sul concetto di mysterion, mysterium, sacramentutn.<br />

Per conoscerla, più che ai trattati polemici dei Padri, bisogna<br />

ricorrere alla loro letteratura mistagogica propriamente detta, alle<br />

loro spiegazioni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in <strong>senso</strong> più ampio, alle loro omelie<br />

sull'anno liturgico e avere il coraggio di affrontare la comprensione<br />

di quelle che a molti oggi sembrano le loro elucubrazioni allegoriche<br />

sul culto.<br />

107 Nella questione <strong>della</strong> nuova dossologia da lui introdotta: De Spiriti*<br />

Sancto 25-27.<br />

108 Come affermazioni del fatto dell'evoluzione dei dogmi si cita: ORIGENE,<br />

De Princ, Praef. 3 ss; S. GREGORIO NAZ., Oratio 31, 24; AGOSTINO, Sermo 294, 4; De<br />

civit. Dei 16, 2; De baptismo 2, 4, 5; C. Jul. I 6, 22; Enarr. in Ps. 52, 22; De prcedest,<br />

sanct. 14.


<strong>TEOLOGIA</strong> COME GNOSI 585<br />

5. L'IDEALE DELLA <strong>TEOLOGIA</strong> COME GNOSI,<br />

ULTIMA RADICE DELLA POSIZIONE DELLA LITURGIA<br />

NELLA <strong>TEOLOGIA</strong> DEI PADRI.<br />

ASPETTI POSITIVI E ASPETTI NEGATIVI<br />

Arrivati a questo punto ci si può chiedere perché sia proprio<br />

tale lo stato dei fatti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> teologica presso i Padri. Come,<br />

quando si trattò di trovare l'ultima radice che spiegasse la posizione<br />

effettiva <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nelle sintesi positivo-scolastiche e in quella<br />

di S. Tommaso, bisognò ricorrere a quello che fu il loro modo proprio<br />

di concepire la teologia, ossia l'ideale che in essa perseguirono,<br />

così per capire l'ultimo motivo perché nella teologia dei Padri la<br />

<strong>liturgia</strong> figura nel modo e nella prospettiva predetti, bisogna rifarsi a<br />

quello che fu il loro ideale nel lavoro <strong>teologico</strong>. L'ideale <strong>teologico</strong> di<br />

S. Tommaso fu determinato dall'ideale entitativo, ossia dall'ideale<br />

<strong>della</strong> scienza aristotelica delle essenze col presupposto che le scienze<br />

empiriche e, in specie, la storia, non sono vere e proprie scienze e<br />

quindi con una forte prevalenza dell'ideale filosofico, anzi metafisico,<br />

nel sapere scientifico. L'ideale positivo scolastico vi aggiunse e portò<br />

al primo piano la dimostrazione storico-apologetica dalle fonti.<br />

L'ideale patristico nei lavori espositivi e non direttamente polemici<br />

fu invece la gnosi, o, latinamente, la sapientia.<br />

Cenno sull'origine e la natura dell'ideale <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> gnosi<br />

Senza entrare nei particolari di questo concetto, basti accennare<br />

alle sue caratteristiche principali. L'origine ne è l'ideale biblico contenuto<br />

nell'espressione: conoscenza di Dio, iada Jahweh, gnosis tou<br />

Theou, o semplicemente: la conoscenza, la iada, la gnosis. Non si<br />

tratta affatto <strong>della</strong> sola conoscenza concettuale di Dio, del mondo<br />

e <strong>della</strong> vita, ma di una conoscenza religiosa, implicante un atteggiamento<br />

generale di tutta la persona ed anzitutto <strong>della</strong> volontà e degli<br />

affetti, e quindi di tutta la vita anche pratica. Nella iada Jahweh<br />

o gnosis tou Theou, l'amore di Dio, la conoscenza di Dio, il timore e<br />

la riverenza di Dio, l'osservanza dei suoi comandamenti, la sapienza,<br />

sono cose inseparabili. È dunque un atteggiamento generale di conoscenza<br />

e di amore affettivo ed effettivo, nel quale, secondo la generale<br />

mentalità ebraica, non ci si preoccupa di distinguere ed analizzare,<br />

con mente quasi filosofica, le diverse potenze e i diversi loro atti che<br />

entrano in gioco.<br />

L'uomo non può arrivare alla « conoscenza di Dio » senza la rivelazione,<br />

che è la manifestazione somma <strong>della</strong> gratuita benevolenza<br />

ed amore di Dio verso gli uomini. L'uomo, come dirà più tardi<br />

S. Paolo continuando esattamente la mentalità dell'Antico Testamento,<br />

non potrebbe conoscere Dio, se Dio per primo non avesse cono-


586 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

sciuto l'uomo 109 . E per questo che la Scrittura è il libro <strong>della</strong> conoscenza<br />

di Dio perché in esso l'uomo, attraverso gli interventi di<br />

Dio nella storia del mondo, può vedere e sperimentare come e<br />

quanto Dio ha conosciuto e conosce l'uomo e quindi sapere il valore<br />

religioso di tutte le cose e come l'uomo possa e debba conoscere<br />

Dio. Ne risulta che da'at Jahweh, gnosis tott Theou, meditazione e<br />

penetrazione <strong>della</strong> storia sacra nelle Scritture sono intimamente<br />

unite. L'assidua meditazione e penetrazione <strong>della</strong> storia sacra nelle<br />

Scritture è per l'uomo eminente sorgente di gnosis.<br />

Che la gnosis ellenistica, a parte la concezione d'un Dio personale<br />

e trascendente che, assieme a tutte le conseguenze che ciò implica,<br />

segna il punto di profondo divario tra il mondo ellenistico<br />

e il mondo ebraico, dimostri non solo una notevole coincidenza<br />

d'ideali con la gnosi giudaica, ma anche, per una parte essenziale,<br />

una derivazione storica da essa o da una sorgente comune, sembra<br />

ormai sempre più probabile ,10 .<br />

Comunque, quando, nell'età subapostolica, cominciò tra i cristiani<br />

il primo movimento notevole di maggiore approfondimento<br />

<strong>della</strong> semplice fede, questo ideale si formulò naturalmente in termini<br />

di gnosi che indicava, sia nella tradizione biblico-giudaica che<br />

nell'ambiente ellenistico dell'epoca, la conoscenza religiosa superiore,<br />

non d'ordine puramente concettuale, ma come stato psicologico<br />

complesso d'ordine volitivo ed affettivo nello stesso tempo, implicante<br />

preparazione e purificazione morale nel soggetto che a tale<br />

ideale tendeva come a scopo supremo <strong>della</strong> vita. Questo ideale di<br />

gnosi accanto ai punti generali comuni ebbe tra i cristiani le sue<br />

caratteristiche, che- lo distinguevano dai movimenti paralleli non<br />

cristiani, ed anche le sue diverse sfumature, tendenze e sviluppi<br />

successivi.<br />

Proprietà <strong>della</strong> gnosi cristiana furono l'incentramento <strong>della</strong> visione<br />

teoretica e pratica del mondo in Cristo e nelle realtà cristiane<br />

e la regola <strong>della</strong> fede o dei punti chiaramente ed esplicitamente proposti<br />

dalla predicazione ecclesiastica, come base insostituibile e<br />

norma invalicabile di ogni approfondimento di vera gnosi. Comune<br />

tra gnosi cristiana e gnosi di tradizione giudaica fu il connettere<br />

intimamente la gnosi con la conoscenza più profonda <strong>della</strong> storia<br />

sacra degli interventi di Dio nel mondo come è consegnata nelle<br />

Scritture.<br />

Sfumature, tendenze diverse e sviluppi successivi nel concepire<br />

l'ideale <strong>della</strong> gnosi tra gli stessi cristiani si ebbero per il fatto che<br />

alcuni, come Clemente Romano, lo pseudo Barnaba e l'epistola a<br />

Diogneto, sotto l'influsso più propriamente giudaico dell'ideale <strong>della</strong><br />

'o^Vedi Gal 4, 9. Lo stesso S. Paolo (£/ 1,1-9; 2,4-10) e S. Giovanni (1 Gv<br />

4,10-19) diranno, con simile mentalità, che l'amore dell'uomo per Dio, presuppone<br />

l'amore di Dio per l'uomo. Vedi J. DUPONT, Gnosis. La connaissance retigieuse<br />

dans les épltres de St. Paul, Louvain 1949 p. 51 ss.<br />

no Vedi E. PETERSON, Gnosi, in: Encicl. catt. VI (1951) 879ss. Meglio ancora<br />

J. DUPONT, Gnosis, Louvain 1949 pp. 347-367. I nuovi manoscritti scoperti presso il<br />

Mar Morto rendono la cosa sempre più sicura.


<strong>TEOLOGIA</strong> COME GNOSI 587<br />

gnosi, concepirono questa anzitutto come interpretazione delle Scritture<br />

in <strong>senso</strong>, beninteso, cristico e cristiano, in specie mediante una<br />

larga interpretazione tipologica e allegorica dell'Antico Testamento.<br />

A partire dagli Apologeti del secolo II si cominciò a includere<br />

nell'ideale gnostico cristiano un certo ricorso alla filosofia ellenistica,<br />

accentuando così l'aspetto concettuale discorsivo dell'approfondimento<br />

<strong>della</strong> fede cui si voleva tendere. Contro questa tendenza vi<br />

fu la vivace reazione d'Ireneo che, preoccupato degli eccessi a cui<br />

era arrivata nella gnosi propriamente ereticale e sincretistica, richiamò<br />

fortemente la regola <strong>della</strong> fede e <strong>della</strong> predicazione ecclesiastica<br />

come norma invalicabile <strong>della</strong> vera gnosi, non lontano da paventare<br />

ogni uso di speculazioni a tipo filosofico ellenistico nella vera gnosi<br />

cristiana.<br />

Ma questa posizione troppo severa, che tendeva a privare la<br />

vera gnosi dell'aiuto che poteva ricavare da un retto uso <strong>della</strong> filosofia,<br />

fu superata da Clemente Alessandrino e specialmente da Origene.<br />

Essi furono tutti intenti alla costruzione di un grande sistema<br />

gnostico cristiano nel quale l'elaborazione concettuale filosofica<br />

sulla base <strong>della</strong> regola di fede e <strong>della</strong> predicazione ecclesiastica fosse<br />

messa al servizio di quel fine ultimo d'ordine non solo concettuale<br />

ma anche volitivo ed affettivo, e, diremmo noi oggi, anche mistico,<br />

almeno in <strong>senso</strong> lato, come atto e stato d'adesione anche amorosa<br />

e fruitiva dell'uomo a Dio.<br />

Dall'inizio del secolo quarto, in oriente l'ideale <strong>teologico</strong> irenico<br />

espositivo rimane sostanzialmente quello d'Origene, ma corretto, in<br />

specie da quelle imperfezioni che, nella costruzione origeniana, derivavano<br />

dall'uso di una serie di concetti filosofici, presi nell'ambiente<br />

ellenistico, fondamentalmente inadatti a quel fine cui Origene stesso<br />

voleva pur farli servire. Del resto, le grandi lotte dogmatiche, dei<br />

secoli quarto fino all'ottavo, dettero alla produzione teologica di quell'epoca<br />

una forte preponderanza polemica mentre l'aspetto dell'ideale<br />

irenico espositivo e quindi gnostico si manteneva vivo principalmente<br />

nella letteratura omiletica, ascetica e liturgica.<br />

In occidente l'ideale gnostico <strong>della</strong> teologia rifulse principalmente<br />

in Agostino e per esso predominò negli autori posteriori fino<br />

alla nascita <strong>della</strong> scolastica. È la sapientia agostiniana come scopo<br />

cui, nel credente, tende ogni ricerca ed approfondimento <strong>della</strong> fede<br />

come ad intellezione fruitiva di Dio a carattere, almeno tendenzialmente,<br />

mistico, anche nel <strong>senso</strong> odierno <strong>della</strong> parola.<br />

In questo ideale <strong>della</strong> teologia come gnosi, due cose vanno accuratamente<br />

rilevate per lo scopo che qui perseguiamo. L'aspetto mistico<br />

e quindi sperimentale appartiene, nella mente degli antichi, all'ideale<br />

<strong>della</strong> gnosi quale suo coronamento supremo, intrinsecamente,<br />

per propria sua natura in quanto « conoscenza » religiosa superiore<br />

sui generis di Dio e delle altre cose nel loro valore religioso.<br />

Gli antichi non conobbero la distinzione aristotelico-scolastica del<br />

finis operis e del finis operantis; ma, ammessa questa distinzione, bisogna<br />

dire che, per loro, l'aspetto mistico fruitivo appartiene alla<br />

gnosi ex fine operis e non solo ex fine operantis, e che la conoscenza


588 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

puramente concettuale nel complesso <strong>della</strong> gnosi non è, per dirla<br />

ancora una volta con espressione scolastica posteriore, sui grafia,<br />

ma alterius grafia, ossia in vista di quella « conoscenza » superiore<br />

che è l'intelletto sapienziale di S. Agostino.<br />

Seconda osservazione: come nella tradizione giudaica, così anche,<br />

comunemente, nella tradizione cristiana <strong>della</strong> gnosi, non solo<br />

questa è intimamente connessa con la meditazione e l'interpretazione<br />

<strong>della</strong> Scrittura, e quindi essenzialmente scritturistica, ma inoltre,<br />

nella Scrittura stessa, considera anzitutto l'aspetto di storia sacra<br />

degli interventi di Dio nel mondo e <strong>della</strong> risposta dell'uomo a Dio<br />

che si concretizza principalmente nell'itinerario di ritorno dell'anima<br />

a Dio, il tutto considerato nella sua profonda unità. La gnosi dello<br />

pseudo Dionigi e la tradizione da lui dipendente è probabilmente<br />

quella che tende maggiormente a distaccarsi da questo punto di<br />

vista, per il suo carattere più spiccatamente metafisico, sebbene non<br />

di tradizione aristotelica, ma neoplatonica.<br />

Come la <strong>liturgia</strong> entri nel quadro <strong>della</strong> teologia come gnosi.<br />

Pregi e difetti<br />

Questo rapido cenno all'ideale <strong>della</strong> teologia come gnosi nell'età<br />

patristica ci aiuta, credo, a comprendere il posto che in essa occupa<br />

la <strong>liturgia</strong> e i pregi e i difetti <strong>della</strong> posizione dei Padri in questo<br />

campo. Anzitutto nella teologia come gnosi, il valore irenico espositivo<br />

<strong>della</strong> verità considerata è sempre al primo piano delle preoccupazioni,<br />

poiché la gnosi tende essenzialmente ed intrinsecamente ad attuare<br />

nel credente stesso un certo stato psicologico pratico che è un<br />

complesso conoscitivo ed affettivo nello stesso tempo. Le cose ivi considerate<br />

lo saranno dunque anzitutto in rapporto al valore che hanno<br />

per il credente stesso al fine predetto, che è un fine più contemplativo<br />

che difensivo, più intuitivo che semplicemente concettuale. È per questo<br />

che la teologia come gnosi s'interesserà alla <strong>liturgia</strong> anzitutto e in<br />

prima linea per il suo valore irenico positivo. In questo punto la<br />

posizione dei Padri coincide con quella di S. Tommaso e differisce<br />

da quella dei positivo-scolastici.<br />

In secondo luogo, la considerazione <strong>della</strong> realtà come mysterion<br />

è connaturalmente un punto essenziale di ogni gnosi e quindi <strong>della</strong><br />

teologia come gnosi. Infatti, nella gnosi di tradizione più spiccatamente<br />

giudaica, è oggetto essenziale <strong>della</strong> considerazione la storia<br />

sacra degli interventi di Dio nel mondo e <strong>della</strong> risposta dell'uomo<br />

a questi interventi, tutte cose che, dal punto di vista propriamente<br />

cristiano, s'incentrano in Cristo. Ma questo costituisce appunto il,<br />

nucleo essenziale del concetto di mysterion in S. Paolo e poi nella<br />

parte maggiore <strong>della</strong> tradizione teologica posteriore, nella quale<br />

l'oggetto principale del mysterion rimane sempre la storia sacra<br />

nell'unità e nella corrispondenza reciproca delle sue diverse fasi.<br />

È vero che nel concetto di mysterion <strong>della</strong> tendenza rappresentata<br />

dallo Pseudo Dionigi e dagli autori da lui dipendenti, la storia sacra


PREGI E DIFETTI 589<br />

passa alquanto al secondo piano e primeggia invece una visione più<br />

metafisica delle cose. Ma, come abbiamo detto, in essa non si<br />

tratta di visione metafisica di tipo aristotelico, bensì di tipo neoplatonico.<br />

Di un tipo, quindi, nel quale è fortemente al primo piano<br />

una visione del mondo incentrata sui concetti di simbolo, immagine,<br />

partecipazione ecc. Ora, come sappiamo, anche questo aspetto è una<br />

delle caratteristiche essenziali del concetto di mysterion. Ne risulterà<br />

che, nella teologia concepita come gnosi, l'interesse che si porterà<br />

alla <strong>liturgia</strong> sarà connaturalmente incentrato nel suo valore di<br />

mysterion, come effettivamente avviene nella teologia patristica.<br />

Ma il concetto di teologia come gnosi, come viene applicato nell'età<br />

patristica, oggettivamente parlando, ha anche i suoi innegabili<br />

difetti. <strong>Il</strong> principale pare consista nel fatto che rimane indeterminata<br />

ed effettivamente manchevole, la parte che, nel complesso totale<br />

<strong>teologico</strong> gnostico, spetta al procedimento propriamente scientifico,<br />

come fu in specie approfondito, anche se non portato a perfezione,<br />

da S. Tommaso sulle basi aristoteliche del concetto di scienza. Voglio<br />

dire che, paragonando l'ideale <strong>della</strong> teologia come gnosi, come fu<br />

praticato nell'età patristica, all'ideale <strong>della</strong> teologia come scienza,<br />

come fu sviluppato da S. Tommaso, ci si accorge che nella prima il<br />

processo scientifico, considerato in se stesso, vi rimane notevolmente<br />

manchevole.<br />

A parte la legittimità, l'utilità, anzi, sotto un certo aspetto, la necessità<br />

di una teologia concepita come pura e semplice scienza, non<br />

si vuole tuttavia accusare l'ideale patristico <strong>della</strong> teologia di non<br />

essere stato un ideale unicamente e puramente scientifico, nel <strong>senso</strong>,<br />

per esempio, di S. Tommaso, o di avere ordinato l'ideale puramente<br />

scientifico a qualcosa di extra o soprascientifico. Lo si vuole solo<br />

accusare di essere stato, oggettivamente parlando, ancora assai imperfetto<br />

in quel procedimento scientifico che pur usava e ordinava<br />

a un fine ulteriore.<br />

Infatti, non si vede come si possa mettere in questione la legittimità<br />

dell'ideale patristico dell'approfondimento <strong>della</strong> fede culminante<br />

nell'attuazione non puramente concettuale, ma intuitiva e<br />

volitivo-affettiva del soggetto e, a questo stesso scopo, ricorrente<br />

anche alla ricerca concettuale non già come fine a se stessa, ma<br />

ordinandola, appunto, come parte nel tutto, a quel fine superiore.<br />

Senonché, dal momento che si ricorre alla ricerca concettuale di<br />

tipo scientifico, diventa indispensabile che questa, prima di essere<br />

usata e ordinata a un fine diverso da se stessa e che la sorpassa,<br />

venga attuata in modo possibilmente perfetto e secondo le regole<br />

imposte dalla sua natura. Invece è proprio in questo che la teologia<br />

patristica, oggettivamente parlando, rimane ancora imperfetta, paragonata,<br />

per esempio, a ciò che in questo campo realizzò più<br />

tardi S. Tommaso. La distinzione aristotelica del finis operis e del<br />

finis operantis è, oggettivamente, indispensabile, perché facendo comprendere<br />

che il processo scientifico può essere ordinato a qualcosa<br />

di diverso da se stesso non per fine dell'opera ma per fine dell'operante,<br />

ricorda quali sono le esigenze del processo scientifico in se


590 CAP. XIX - <strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA NEI PADRI<br />

stesso considerato e quello che richiede per essere perfetto in se<br />

stesso prima di essere usato per altro scopo.<br />

Questa imperfezione nella teologia patristica si manifesta principalmente<br />

in due punti. L'analisi scientifica entitativa del dato di<br />

fede, ossia dell'aspetto e delle basi filosofiche in esso implicate,<br />

rimane ancora generalmente assai imperfetta. L'approfondimento<br />

di questo aspetto <strong>della</strong> fede non può realizzarsi senza lo strumento<br />

di un'elaborata filosofia cristiana che, per sua intrinseca verità, sia<br />

unitaria e coincida con le profonde esigenze, sia esplicite sia implicite,<br />

<strong>della</strong> stessa fede. Ora, nella gnosi patristica, lo strumento<br />

filosofico, nonostante i notevoli progressi realizzati anche in questo<br />

campo dai Padri, è tutto sommato deficiente. I Padri in filosofia<br />

sono eclettici e procedono più per sondaggi occasionali che con<br />

metodo sistematico. Inoltre, nel loro eclettismo filosofico predominano<br />

concetti di tipo neoplatonico. A questi essi, per lo più, aderirono<br />

non solo perché così comportava tutta la tendenza dell'epoca,<br />

ma anche per l'afflato religioso che li pervade e che, a,prima vista,<br />

poteva sembrare molto conforme allo spirito cristiano, ma le cui<br />

radici, logicamente considerate, gli sono, invece, profondamente contrarie.<br />

I Padri evitarono la difficoltà, ora interpretando il neoplatonismo<br />

in <strong>senso</strong> cristiano, contro la logica <strong>della</strong> sua intima natura,<br />

ora non seguendolo nelle sue logiche conseguenze m . Comunque, non<br />

arrivarono mai all'elaborazione sistematica di una filosofia cristiana<br />

che rispondendo all'intrinseca verità delle cose, fosse valido strumento<br />

nell'approfondimento delle questioni d'ordine ontologico che<br />

pone la fede.<br />

Ulteriore conseguenza fu che l'elaborazione e l'ordinamento sistematici<br />

dello scibile <strong>teologico</strong> rimasero sempre imperfetti nell'età<br />

patristica. Si rimase sostanzialmente alle monografie e ai saggi occasionati<br />

e limitati più dalle circostanze contingenti <strong>della</strong> pastorale<br />

e <strong>della</strong> difesa <strong>della</strong> fede che dal desiderio di elaborare integralmente<br />

e ordinatamente lo scibile <strong>teologico</strong> in se stesso, secondo le sue<br />

esigenze intrinseche e sotto tutti i suoi aspetti.<br />

Questi due difetti si riflettono anche nell'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella<br />

teologia dei Padri. Anzitutto nel fatto che quest'uso non è sistematicamente<br />

esteso alla trattazione di tutte le questioni teologiche nelle<br />

quali potrebbe e dovrebbe avere la sua parte. Essendo deficiente lo<br />

sforzo di sintesi teologica non appare sufficiente il posto che in<br />

simile sintesi può e deve occupare la <strong>liturgia</strong>. Nell'epoca patristica<br />

la <strong>liturgia</strong> teologica si esaurisce in monografie.<br />

In secondo luogo, nel fatto che i fondamenti d'ordine piuttosto<br />

filosofico che sono alla base <strong>della</strong> stessa <strong>liturgia</strong> sono poco elaborati.<br />

Qui si deve tuttavia eccettuare S. Agostino, presso il quale, più che<br />

in tutti gli altri Padri, si trovano, in questo campo, preziose osservazioni<br />

che saranno poi largamente usate da S. Tommaso, come sul<br />

concetto di segno, immagine, di partecipazione, di culto, di sacrificio.<br />

ni Per questo punto vedi, per es., R. ARNOU, Platonisme des Pères, in:<br />

Dici, de théol. cath. XII 2 (1935) 2258 ss.


CAPITOLO XX<br />

SUGGERIMENTI PER L'INCLUSIONE SISTEMATICA<br />

DELL'ASPETTO TEOLOGICO LITURGICO<br />

NELLE SINGOLE QUESTIONI<br />

DI <strong>TEOLOGIA</strong> SINTETICA GENERALE<br />

La precedente rassegna <strong>della</strong> posizione che occupa la <strong>liturgia</strong> nei<br />

diversi tipi storici di teologia, deve naturalmente coronarsi almeno<br />

di un abbozzo di soluzione positiva <strong>della</strong> questione come assimilare<br />

organicamente nella sintesi teologica generale il materiale di valore<br />

<strong>teologico</strong> incluso nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Poiché teoricamente per la natura stessa delle cose e storicamente,<br />

come ci siamo sforzati di dimostrare nei precedenti capitoli, la soluzione<br />

è influenzata in modo essenziale dal concetto di teologia, è necessario<br />

partire da questo concetto per vedere come l'aspetto liturgico<br />

dell'approfondimento <strong>della</strong> fede possa essere valorizzato nei singoli<br />

trattati <strong>della</strong> teologia sintetica generale. Infine faremo alcune<br />

osservazioni sulla questione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei programmi dell'insegnamento.<br />

1. NOTE TEORICHE SUL CONCETTO DI <strong>TEOLOGIA</strong><br />

Nei precedenti capitoli mi sono sforzato di caratterizzare i tre<br />

maggiori modi nei quali si concretizzò l'ideale <strong>della</strong> teologia lungo<br />

la storia del pensiero cristiano: la teologia come gnosi-sapienza<br />

nel periodo patristico; la teologia come scienza dell'aspetto entitativo<br />

del rivelato presso gli scolastici e massimamente in S. Tommaso;<br />

la teologia primariamente come dimostrazione apologeticostorica<br />

dalle fonti e secondariamente come illustrazione dell'aspetto<br />

entitativo <strong>della</strong> fede presso i positivo-scolastici.<br />

La questione dell'atteggiamento da adottare verso questi tipi<br />

di teologia e delle correzioni e perfezionamenti da apportarvi, è.


592 CAP. XX - LITURGIA E SINTESI TEOLOGICA<br />

in fondo, al centro di tutto il lavorio che oggi la travaglia. Si può<br />

dire che si è alla ricerca di un ideale <strong>teologico</strong> proprio, almeno nel<br />

<strong>senso</strong> che si sente il bisogno di fare certe correzioni e portare certi<br />

perfezionamenti a quello che la tradizione teologica precedente ci<br />

ha tramandato in questo campo. Succede oggi nella storia <strong>della</strong><br />

teologia qualcosa di simile a quello che avvenne nei secoli II-III<br />

quando si elaborò l'ideale <strong>della</strong> teologia come gnosi-sapienza; nei<br />

secoli XI-XIII quando si fissò ,1'ideale <strong>della</strong> teologia come scienza<br />

entitativa del rivelato; e nei secoli XV-XVII quando si formò l'ideale<br />

positivo scolastico <strong>della</strong> teologia. Attenendomi ai capisaldi indispensabili<br />

e senza entrare in particolari troppo tecnici, riservati a un<br />

altro lavoro, mi pare che in proposito le seguenti osservazioni bastino<br />

per il nostro scopo.<br />

Si deve prendere come base il concetto di teologia come scienza<br />

Anzitutto è indispensabile prendere come base l'ideale di teologia<br />

come scienza. Qui siamo con S. Tommaso e i positivo-scolastici<br />

e ci dipartiamo, in un certo <strong>senso</strong>, dal concetto patristico <strong>della</strong><br />

teologia come gnosi. In un certo <strong>senso</strong>. Infatti, come abbiamo accennato<br />

sopra, non si può mettere in dubbio la legittimità e, sotto<br />

un certo aspetto e in certe circostanze, anche l'utilità e la necessità<br />

di concepire l'approfondimento <strong>della</strong> fede in modo tale da far convergere<br />

tutto il processo allo scopo preciso di un'attuazione del<br />

soggetto non puramente concettuale, ma intuitiva e pratico-affettiva<br />

e d'indirizzare a questa lo stesso lavorio concettuale.<br />

Ma la legittimità di simile processo, che è la gnosi stessa, non<br />

toglie niente alla legittimità, all'utilità e, sotto un certo aspetto,<br />

alla necessità di un approfondimento <strong>della</strong> fede di tipo essenzialmente<br />

concettuale, che sia di questa fede una conoscenza concettuale,<br />

superiore, mediata, certa ed evidente, ciò che s'intende appunto<br />

per conoscenza scientifica. Anzi, la distinzione del fine dell'opera<br />

e del fine dell'operante è indiscutibile: il fine dell'opera essendo<br />

il fine intrinseco ed essenziale dell'opera stessa, come il fine<br />

di dipingere è di fare delle pitture e nient'altro che questo;<br />

mentre il fine dell'operante è un fine estrinseco ed accidentale all'opera<br />

stessa, che l'operante può stabilire a suo talento, come<br />

il pittore può esercitare la sua pittura con il fine di acquistarsi<br />

gloria o semplicemente di guadagnare. Così stando le cose, è giocoforza<br />

concludere che il fine dell'opera del processo scientifico è<br />

semplicemente e nient'altro che conoscere concettualmente in modo<br />

mediato, certo ed evidente.<br />

Vuol dire che, se qualcuno indirizza la conoscenza concettuale<br />

scientifica ad un fine diverso, come quello di un'attuazione intuitiva<br />

e pratico-affettiva del soggetto, come avviene appunto nella gnosi,<br />

questo fine converrà al processo scientifico per fine dell'operante<br />

e non semplicemente per fine dell'opera stessa. Ne risulta che


<strong>TEOLOGIA</strong> COME SCIENZA 593<br />

il processo <strong>della</strong> gnosi, come l'intendono i Padri è, nella sua totalità,<br />

dal punto di vista dell'analisi filosofica, un processo di natura mista,<br />

composto di un aspetto scientifico e di un aspetto extrascientifico.<br />

Ma il genere misto suppone il genere puro, come la pluralità suppone<br />

l'unità. Perciò lo stesso processo <strong>della</strong> gnosi, per ottenersi in<br />

modo possibilmente perfetto, suppone uno sviluppo possibilmente<br />

perfetto del processo scientifico in se stesso. Così la teologia come<br />

gnosi non solo non pregiudica in nulla la legittimità, l'utilità e la<br />

necessità <strong>della</strong> teologia concepita come pura scienza, ma anzi la<br />

esige e la suppone.<br />

A parte dunque la legittimità, utilità o anche necessità di una<br />

teologia come gnosi, gli scolastici, ed anzitutto S. Tommaso, partendo<br />

dalle basi aristoteliche del concetto di scienza, furono condotti<br />

da sicuro istinto quando, per perfezionare l'eredità teologica<br />

patristica, si accinsero a sviluppare e perfezionare tecnicamente<br />

una teologia come scienza. Solo questa, tra le altre cose, può dare<br />

all'approfondimento <strong>della</strong> fede una consistenza sistematica. È per<br />

questo che, dopo che gli scolastici, ed anzitutto S. Tommaso, ebbero<br />

rivendicato questo aspetto delle cose, nonostante le critiche che<br />

sono state e sono tuttora indirizzate alla loro teologia, nessun teologo<br />

che si propone come fine la sintesi generale sistematica dello<br />

scibile <strong>teologico</strong>, ha potuto mai rinunziare al punto di vista <strong>della</strong><br />

teologia come scienza. Chi dunque vuol determinare il posto <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> nella sintesi teologica generale, deve essere chiaramente<br />

cosciente che si tratta di determinare le relazioni tra <strong>liturgia</strong> e teogia<br />

concepita come scienza.<br />

Bisogna includere come parte integrale nella teologia come scienza<br />

non solo l'indagine dell'aspetto entitatlvo ma anche quella<br />

dell'aspetto empirico storico avente valore scientifico già per se stessa<br />

Ma questo non vuol dire affatto che l'ideale <strong>della</strong> teologia debba<br />

essere puramente e semplicemente quello di S. Tommaso o dei positivo-scolastici,<br />

per il fatto che ambedue partono dal concetto di<br />

teologia come scienza. Sappiamo che per Aristotele e per gli scolastici<br />

scienza propriamente detta è solo la filosofia, in specie la metafisica;<br />

la matematica, in specie la geometria; e, se mai, la fisica<br />

filosofica; ossia la scienza, strettamente parlando, è solo la scienza<br />

deduttiva. Si ammette bensì l'induzione, ma, teoricamente parlando,<br />

solo come momento prescientifico e semplicemente preparatorio<br />

alla scienza deduttiva, considerata la sola vera scienza.<br />

Per essi il processo empirico induttivo non può avere valore<br />

scientifico proprio. In specie la storia, e quindi la filologia e la critica,<br />

non sono scienze propriamente parlando. Non dico già che tale<br />

posizione sia necessariamente connessa coi princìpi basilari del<br />

concetto di scienza posti da Aristotele e giustamente accettati da<br />

S. Tommaso. Anzi ritengo che quei principi non implichino affatto


594 CAP. XX - LITURGIA E SINTESI TEOLOGICA<br />

tale conseguenza. Ma Aristotele e gli scolastici non pensarono così;<br />

o, per lo meno, non videro chiaramente la cosa.<br />

Conseguenza ne fu anzitutto il prevalere dispotico dell'ideale<br />

deduttivo, ed anzi filosofico ossia ontologico, entitativo, in tutto il<br />

campo <strong>della</strong> ricerca scientifica. Questo si verificò già in qualche modo<br />

in Aristotele stesso, nonostante la tendenza sperimentale ed empirica<br />

cui, nella prassi, lo spingeva la sua intima natura; ma specialmente<br />

e clamorosamente, in una buona parte dei suoi discepoli medievali,<br />

per i quali basti solo accennare alla loro fisica ed astronomia<br />

deduttive. Ne risultò una notevole deficienza nel cogliere, nella realtà<br />

effettiva, l'aspetto più individuale, concreto, empirico e temporale.<br />

Infatti, le scienze empiriche e la storia con il loro metodo essenzialmente<br />

induttivo, hanno appunto per missione specifica di cogliere<br />

tale aspetto più profondamente <strong>della</strong> filosofia, la quale si limita<br />

all'aspetto ontologico e quindi universale e intemporale dell'essere,<br />

senza che per altro le stesse scienze empiriche e storiche possano<br />

cogliere l'individuo come tale, oggetto diretto dei sensi e non di<br />

conoscenza intellettuale.<br />

Questo stato di cose intorno all'ideale <strong>della</strong> scienza ebbe il suo<br />

contraccolpo nel modo concreto in cui gli scolastici e lo stesso<br />

S. Tommaso attuarono il loro ideale <strong>della</strong> teologia. Si ebbe così<br />

non solo un ideale di teologia come scienza, ma come scienza ontologica<br />

o entitativa, con metodo, non solo essenzialmente ma quasi<br />

esclusivamente deduttivo nel <strong>senso</strong> almeno che anche nel campo <strong>teologico</strong><br />

l'induzione — e quindi lo studio <strong>della</strong> Scrittura, <strong>della</strong> tradizione,<br />

del magistero, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> — non è considerata come avente<br />

valore scientifico in sé, ma solo valore prescientifico, e quindi pre<strong>teologico</strong>,<br />

preparatorio alla deduzione d'ordine entitativo.<br />

Siccome poi il processo induttivo, per adempiere unicamente una<br />

funzione prescientifica preparatoria alla deduzione, non ha affatto<br />

bisogno, per lo più, di essere molto profondo ed accurato — essendo<br />

la base necessaria per le deduzioni teologiche d'ordine entitativo,<br />

per lo più, facilmente e presto ottenuta con una considerazione<br />

anche assai superficiale <strong>della</strong> Scrittura, <strong>della</strong> tradizione o <strong>della</strong><br />

dottrina del magistero — ne segue che l'elaborazione dell'aspetto<br />

individuale, empirico e temporale delle cose <strong>della</strong> fede, che avrebbe<br />

potuto essere ottenuta molto più accuratamente e profondamente<br />

mediante l'applicazione propriamente scientifica del metodo empirico<br />

e storico, nella teologia concepita come scienza entitativa rimane<br />

notevolmente deficiente. La teologia e il suo metodo vengono<br />

esageratamente assimilati alla filosofia, in specie alla metafisica e al<br />

suo metodo e così si prende in considerazione troppo esclusiva<br />

l'aspetto ontologico, intemporale <strong>della</strong> fede, a detrimento del suo<br />

aspetto più concreto, empirico, individuale e temporale.<br />

Per l'assimilazione organica e sistematica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella<br />

sintesi teologica generale, questo fatto ha grande importanza. Infatti,<br />

la <strong>liturgia</strong>, come la Scrittura, la tradizione, il magistero, dipende in<br />

gran parte dall'aspetto concreto, empirico e temporale <strong>della</strong> fede.<br />

Pertanto, per questa stessa parte, essa è conoscibile scientificamente


<strong>TEOLOGIA</strong> COME SCIENZA 595<br />

solo attraverso il metodo empirico, filologico, critico, storico, considerato<br />

non già come semplice fase prescientifica, preparatoria al<br />

metodo deduttivo, ma come metodo scientifico a sé, applicato ai riti,<br />

alle formule, agli oggetti liturgici.<br />

Consideriamo i saggi fatti nella seconda parte di quest'opera<br />

intorno a una serie di temi come : la Trinità nella <strong>liturgia</strong>; Cristo nella<br />

<strong>liturgia</strong>; la <strong>liturgia</strong> e il mondo infraumano; la <strong>liturgia</strong>, gli angeli e<br />

i demoni; la <strong>liturgia</strong> e l'uomo; la <strong>liturgia</strong> e la Chiesa. È facile, credo,<br />

rendersi conto che le conclusioni ivi ottenute: sono anzitutto di valore<br />

propriamente <strong>teologico</strong>, in quanto manifestano in modo proprio<br />

un certo aspetto <strong>della</strong> fede, perché fanno meglio capire certi suoi<br />

aspetti intorno alla Trinità, a Cristo, agli angeli ecc. In secondo luogo<br />

che quegli stessi risultati non sono ottenibili per semplice via ontologico-deduttiva,<br />

né per semplice induzione considerata solo come<br />

fase prescientifica, preparatoria alla deduzione di tipo ontologico,<br />

ma solo per metodo induttivo storico avente valore propriamente<br />

scientifico già per se stesso. Chi, dunque, nega il valore propriamente<br />

scientifico del metodo induttivo e <strong>della</strong> storia e asserisce che solo<br />

la filosofia è scienza propriamente detta (e la matematica e la fisica<br />

filosofica, le quali non hanno speciale interesse in teologia), e il metodo<br />

scientifico propriamente detto è il solo metodo deduttivo, se è<br />

logico con se stesso, non potrà assimilare organicamente nella sua<br />

sintesi generale molti valori teologici che la <strong>liturgia</strong> invece contiene<br />

in abbondanza.<br />

La seconda conclusione che si deve ritenere nella questione che<br />

ci occupa è dunque questa: si deve prendere bensì come base il concetto<br />

di teologia come scienza, ma non limitare la scienza alla sola<br />

scienza entitativa e il suo metodo proprio al metodo deduttivo, ma<br />

intenderla tanto <strong>della</strong> scienza empirico-storica quanto <strong>della</strong> scienza<br />

entitativa; si deve ritenere metodo scientifico tanto quello empirico<br />

storico induttivo, quanto quello entitativo deduttivo e non concepire<br />

il metodo induttivo come semplice fase prescientifica e preparatoria<br />

del metodo deduttivo.<br />

Bisogna concepire il processo scientifico come costante di una<br />

doppia fase, non semplicemente riducibile l'una all'altra, ma integrantesi<br />

a vicenda e contribuenti l'una e l'altra a costituire insieme<br />

la conoscenza scientifica integrale di un oggetto qualsiasi: la fase<br />

empirico-induttiva, propria delle scienze empirico-storiche, e la fase<br />

ontologico-deduttiva propria <strong>della</strong> filosofia. La scienza teologica deve<br />

essere quindi concepita come un tutto costante di due momenti integrali:<br />

il momento empirico storico induttivo e il momento ontologico<br />

propriamente deduttivo 1 .<br />

1 Queste due fasi, che nel campo delle scienze profane costituiscono due<br />

generi di scienze e di metodi specificamente diversi, in teologia non sono che due<br />

momenti o parti integrali di un'unica scienza e di un unico metodo, perché<br />

ambedue le fasi sono rese formalmente teologiche dalla luce formale specificamente<br />

unica, la quale unifica formalmente in sé ciò che nel campo profano cade<br />

sotto scienze specificamente diverse. Vedi S. TOMMASO, Summa I q 1 a 3 ad 2.


596 CAP. XX - LITURGIA E SINTESI TEOLOGICA<br />

L'elaborazione del valore <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella teologia<br />

sintetica generale rientra in gran parte nell'elaborazione dell'aspetto<br />

empirico storico del dato di fede e quindi nella prima fase o momento<br />

del metodo integrale <strong>della</strong> teologia come scienza. Questa prima<br />

fase comprende, tra le altre cose: l'elaborazione scientifica del<br />

pensiero biblico sotto tutti gli aspetti che interessano la teologia intorno<br />

a una determinata questione; l'elaborazione scientifica del<br />

modo in cui, dopo gli Apostoli, la fede venne e viene: a) difesa;<br />

b) esplicitata; e) studiata e spiegata dai Padri e dai teologi; d) proposta<br />

in modo direttamente didattico dal magistero; e) vissuta da<br />

tutta la Chiesa nell'incontro tra Dio e gli uomini sotto il velo dei<br />

segni sacri sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto. Quest'ultimo<br />

compito è appunto il compito dell'elaborazione scientifica<br />

del valore <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> mediante il metodo empirico<br />

storico.<br />

In tutto questo ritengo che non si debba far altro che portare<br />

a compimento gli stessi princìpi aristotelico-tomisti del concetto<br />

di scienza e <strong>della</strong> sua applicazione alla teologia, allargando il<br />

modo troppo stretto in cui Aristotele stesso e gli scolastici l'avevano<br />

limitato alla scienza entitativa (e matematica) e al metodo deduttivo.<br />

2. POSTO GENERALE<br />

DELL'ELABORAZIONE DELL'ASPETTO LITURGICO<br />

NELL'INDAGINE TEOLOGICA COSI CONCEPITA<br />

Differenza dalla posizione positivo-scolastica, scolastica, patristica<br />

Un ultimo richiamo per distinguere la nostra posizione da quella<br />

dei positivo-scolastici. Anche la positivo-scolastica parte dal punto di<br />

vista <strong>della</strong> teologia come scienza e si preoccupa di includervi l'aspetto<br />

storico critico; ma in questo aspetto storico critico il positivo scolastico<br />

dà un'esagerata prevalenza alla preoccupazione <strong>della</strong> prova<br />

apologetica <strong>della</strong> fede dalle fonti <strong>della</strong> Scrittura e <strong>della</strong> tradizione.<br />

Nel capitolo XVII abbiamo spiegato lungamente come ciò avvenga<br />

e perché, oggettivamente, costituisca una deficienza che ha le sue<br />

non piccole conseguenze nel modo in cui la positivo-scolastica ricorre<br />

alle fonti <strong>della</strong> teologia compresa la <strong>liturgia</strong>.<br />

In breve: la scienza essendo semplicemente una conoscenza dell'essere<br />

delle cose: concettuale, mediata, certa, evidente, regola la<br />

sua problematica, la sua sistemazione e, in genere, tutte le sue esigenze,<br />

in prima linea ed essenzialmente sull'essere stesso delle cose<br />

e non già sulle disposizioni del soggetto, le quali, rispetto ad esso,<br />

sono accidentali e possono variare all'infinito secondo le circostanze<br />

di tempo e di luogo. E per questo che la funzione irenica, contemplativa,<br />

semplicemente espositiva dell'essere delle cose come è in


METODO D'INDAGINE 597<br />

sé nella sua integralità, è necessariamente primaria in ogni scienza<br />

rispetto alla funzione difensiva, la quale, invece, dipende essenzialmente<br />

anche dalle disposizioni del soggetto contro il quale avviene.<br />

Così in ogni scienza e così anche nella teologia come scienza.<br />

Bisogna dunque che nella scienza teologica venga messa in prima<br />

linea, come determinante tutto il processo, la funzione semplicemente<br />

contemplativa dell'essere delle cose rivelate come è in se<br />

stesso nella sua integralità, e solo in seconda linea e subordinatamente<br />

ad essa la funzione difensiva contro le obiezioni <strong>della</strong> pura<br />

ragione d'avversario reale o metodico.<br />

In questo modo di concepire l'ideale <strong>della</strong> teologia, la <strong>liturgia</strong><br />

viene considerata e indagata: primo: anzitutto nel suo valore <strong>teologico</strong><br />

e non soltanto storico, tanto meno rubricistico. In questo si<br />

seguono i Padri, gli scolastici, gli stessi teologi positivo-scolastici,<br />

superando la posizione dei moderni liturgisti solo storici, per non<br />

dire storicisti, tanto più la posizione dei liturgisti rubricisti.<br />

Secondo: in prima linea nel suo valore <strong>teologico</strong> semplicemente<br />

irenico, espositivo, in quanto nella <strong>liturgia</strong> si vede come la Chiesa,<br />

sotto il velo dei segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione e del<br />

culto, visse e vive ogni giorno ciascun punto <strong>della</strong> sua fede come storia<br />

sacra sempre in atto e incontro in Cristo tra Dio e gli uomini. Dunque<br />

la <strong>liturgia</strong> viene considerata anzitutto nel suo valore di mysterion,<br />

tnysterium, sacramentum. Qui ritroviamo la posizione dei Padri, e un<br />

po' dello stesso S. Tommaso, e ci differenziamo dalla posizione dei positivo-scolastici.<br />

Infatti, la considerazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come autorità<br />

per provare contro le obiezioni reali o metodiche che una determinata<br />

dottrina è contenuta nelle fonti <strong>della</strong> rivelazione, nel predetto<br />

modo di concepire la teologia, è reale, ma secondaria.<br />

Terzo: non solo nei suoi fondamenti entitativi mediante l'analisi<br />

di tipo filosofico e il metodo deduttivo, come fa in specie egregiamente<br />

S. Tommaso, ma anche nel suo effettivo stato più concreto e<br />

temporale, mediante l'uso scientifico <strong>della</strong> storia e scienze affini e del<br />

metodo induttivo. Questo permette la scoperta nella stessa <strong>liturgia</strong>,<br />

sotto il vélo dei segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione e del<br />

culto, delle supreme costanti e come delle supreme leggi <strong>della</strong> libera<br />

economia di Dio nel mondo e del ritorno dell'uomo a Dio, ossia <strong>della</strong><br />

storia sacra, a proposito di ogni grande questione di cui si occupa<br />

la teologia sintetica generale. Ne abbiamo dato degli esempi nella<br />

seconda parte di questo lavoro. In questo punto si perfeziona e si<br />

integra la posizione di S. Tommaso, assimilando nella teologia come<br />

scienza la grande visione <strong>della</strong> storia sacra, che fa la ricchezza <strong>della</strong><br />

teologia liturgica nella tradizione patristica.<br />

L'esposizione<br />

Mettendo in pratica l'ideale di teologia che qui si suggerisce, nei<br />

singoli trattati di questa teologia lo schema espositivo stesso, e quindi<br />

ciò che a prima vista colpisce in ogni tipo di teologia, differirà non


598 CAP. XX - LITURGIA E SINTESI TEOLOGICA<br />

di rado, anche notevolmente, sia dalla monografia patristica, sia<br />

dallo schema scolastico <strong>della</strong> quaestio e deìl'articulus, sia da quello<br />

<strong>della</strong> « tesi » positivo-scolastica. Lo schema espositivo in ogni tipo<br />

di scienza, e come la veste estrinseca in cui essa, a prima vista, si presenta,<br />

tende, naturalmente, a farsi lo strumento preciso dell'ideale<br />

intrinseco che le è proprio. La monografia teologica irenica espositiva<br />

dei Padri, col suo sapore fortemente concreto, parenetico e<br />

retorico, serve assai bene all'ideale <strong>della</strong> teologia come gnosi. La<br />

quaestio scolastica è strumento tecnicamente elaborato dell'ideale<br />

<strong>della</strong> teologia come scienza con prevalenza quasi esclusiva dell'elaborazione<br />

dell'aspetto ontologico e intemporale <strong>della</strong> fede. La « tesi »<br />

positivo-scolastica, nella quale viene enunziata la dottrina da tenersi<br />

e a cui segue il « probatur » ex Scriptura, ex traditione, ex ratione<br />

theologica, specchia invece molto bene l'ideale prevalentemente apologetico<br />

storico dalle fonti dei positivo-scolastici.<br />

Quali saranno le tendenze che si manifesteranno nella veste espositiva<br />

dell'ideale di teologia sopra suggerito? Perseguendo un ideale<br />

strettamente scientifico, la veste espositiva sarà sistematica e non<br />

monografica, né parenetica né retorica, come avviene invece nei<br />

Padri.<br />

Ma lo schema espositivo dei trattati rifletterà il contatto, molto<br />

più integrale che nella scolastica, con l'aspetto empirico storico <strong>della</strong><br />

rivelazione nelle sue fonti proprie, Scrittura, tradizione, magistero<br />

direttamente didattico, <strong>liturgia</strong>. L'esposizione tenderà a mettere in<br />

rilievo il fatto che l'elaborazione di questo aspetto più direttamente<br />

empirico storico del dato rivelato è ritenuta aver valore propriamente<br />

scientifico già per se stessa e non semplicemente come momento<br />

prescientifico e preparatorio all'elaborazione ontologica. Per<br />

questo, non solo si farà una larga analisi dell'aspetto empirico storico<br />

del rivelato senza limitarlo all'utilità che può avere per l'ulteriore<br />

analisi e deduzione ontologica, ma anche, conseguentemente, nella<br />

stessa esposizione, all'interno dei singoli trattati, per lo più, la si<br />

separerà più nettamente dall'analisi ontologica.<br />

Anzi, si tenderà a premettere l'analisi empirico storica del rivelato,<br />

sviluppata e distinta come si è detto, alla sua analisi entitativa.<br />

Questo perché la rivelazione si presenta anzitutto come una storia<br />

sacra e l'aspetto entitativo, per quanto importante e basilare vi<br />

è presentato come la base remota e come sullo sfondo al secondo<br />

piano di attenzione, e perché, nel ciclo integro <strong>della</strong> conoscenza<br />

scientifica, il moto naturale è dal concreto e temporale all'astratto e<br />

universale intemporale.<br />

Tutto questo rende inadatto lo schema scolastico dell'esposizione<br />

nella quaestio e nell'articulus concepiti essenzialmente per un<br />

ideale di scienza nel quale la conoscenza empirico-storica vi entra<br />

solo come momento prescientifico e preparatorio alla deduzione<br />

ontologica e non interessa, in massima, che per quel tanto che è<br />

utile a quel fine.<br />

Anche lo schema <strong>della</strong> « tesi » positivo-scolastica, come schema


TRATTATI TEOLOGICI E LITURGIA 599<br />

di esposizione abituale, apparirà inadatto, perché è uno schema<br />

d'ideale direttamente e prevalentemente apologetico. Lo schema positivo<br />

scolastico <strong>della</strong> tesi che si « prova » dalle fonti sarà sostanzialmente<br />

conservato solo quando entrerà in giuoco la difesa apologetica<br />

e nei casi in cui la prova storica diretta ed apodittica dalle<br />

fonti può effettivamente essere fatta.<br />

Insomma, invece <strong>della</strong> monografìa patristica dal forte carattere<br />

parenetìco e retorico si avranno i trattati sistematici e scientifici.<br />

In essi, invece delle « tesi » positivo-scolastiche, si avranno anzitutto<br />

i capitoli d'impostazione semplicemente irenica espositiva del dato<br />

rivelato, frammischiati, in sott'ordine e secondo le necessità <strong>della</strong> polemica<br />

metodica o reale, da spunti, talvolta anche da veri capitoli,<br />

di carattere più direttamente apologetico. E questi capitoli, invece<br />

di essere ciascuno una quaestio scolastica con una serie di articuli<br />

dello stesso genere, come indagine essenzialmente ontologica in cui<br />

l'aspetto empirico storico non interessa che come momento prescientifico<br />

e preparatorio, saranno: ora, per lo più in primo luogo,<br />

un'indagine largamente condotta, dell'aspetto empirico storico del<br />

rivelato, per il valore scientifico che ha in se stesso come si manifesta<br />

nella Scrittura, nei Padri, nel magistero didattico diretto, nella <strong>liturgia</strong>,<br />

e ora un'indagine direttamente ontologica dello stesso dato.<br />

La struttura interna dei singoli capitoli non seguirà nessuno<br />

schema rigido, ma sarà determinata, volta per volta, dalla materia<br />

concreta che ivi si dovrà organizzare ed esporre. Nello stesso modo<br />

S. Tommaso non segue schemi rigidi nel corpo dei singoli articoli.<br />

Invece non è priva di gravi inconvenienti la tendenza allo schematismo<br />

rigido nelle « tesi » <strong>della</strong> positivo-scolastica.<br />

In quanto all'esposizione <strong>della</strong> materia <strong>teologico</strong>-liturgica in<br />

specie, ne seguirà che essa figurerà per lo più nei singoli trattati, in<br />

capitoli speciali, di tipo anzitutto empirico storico ed irenico positivo,<br />

accanto a capitoli simili sul pensiero biblico ed eventualmente<br />

tradizionale intorno alla materia che costituisce l'oggetto di ogni<br />

singolo trattato.<br />

3. L'ASPETTO LITURGICO DEI SINGOLI TRATTATI<br />

DI <strong>TEOLOGIA</strong> GENERALE<br />

A questo punto si può tentare di precisare quale sarà l'aspetto<br />

liturgico dei singoli trattati teologici <strong>della</strong> teologia scientifica sinte-.<br />

tica generale, concepita nella prospettiva sopra spiegata. Determinato<br />

l'ordine generale dei trattati - si può vedere, credo, con relativa<br />

- Ordine dice disposizione di anteriorità e posteriorità rispetto a un principio.<br />

Presentandosi la rivelazione anzitutto come una storia sacra ed essendo la<br />

teologia lo studio scientifico <strong>della</strong> rivelazione, nella teologia sintetica generale<br />

come scienza, il principio <strong>della</strong> distribuzione dello scibile deve essere preso dal-


600 CAP. XX - LITURGIA E SINTESI TEOLOGICA<br />

facilità, in un certo numero di casi, come la <strong>liturgia</strong> entra in ognuno<br />

di essi, riferendosi ai saggi che abbiamo svolti in quest'opera. Per<br />

altri trattati, invece, non si è in grado di dare più che dei suggerimenti<br />

generici, poiché la loro determinazione richiede, come è ovvio,<br />

l'esecuzione di tutto il programma di cui qui si vogliono solo indicare<br />

i princìpi.<br />

La metodologia teologica generale, che ha per compito di spiegare<br />

la natura <strong>della</strong> teologia, il suo metodo proprio, le sue fonti e<br />

i suoi criteri, tra queste fonti deve necessariamente trattare <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>. Fatto un cenno alla sua specifica natura, deve spiegare in<br />

qual <strong>senso</strong> essa è fonte dello scibile <strong>teologico</strong>, sotto quale prospettiva<br />

propria Io scibile <strong>teologico</strong> si riflette nella <strong>liturgia</strong> e in<br />

che modo il teologo deve farne uso. Insomma, la metodologia teologica<br />

generale deve spiegare i princìpi generali "dell'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

nella teologia scientifica sintetica generale, ciò che comporta,<br />

praticamente, un breve cenno alla materia da noi trattata nella<br />

prima parte di quest'opera sulla natura propria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e un<br />

riassunto dei capitoli <strong>della</strong> presente quarta parte su <strong>liturgia</strong>, fede e<br />

teologia.<br />

Nel trattato su Dio unitrino 3 il teologo deve mostrare in un capitolo<br />

a sé come e sotto quale precisa visuale la Chiesa nella <strong>liturgia</strong><br />

visse sempre e vive la sua fede nel Dio unitrino. Si tratta, praticamente,<br />

di quella materia che abbiamo spiegata nel capitolo VII <strong>della</strong><br />

seconda parte di quest'opera nel saggio sulla <strong>liturgia</strong> e la legge<br />

cristologico-trinitaria dell'economia di Dio nel mondo.<br />

Nel trattato sugli angeli buoni e cattivi va inserita praticamente<br />

la sostanza dei nostri saggi su <strong>liturgia</strong> e angeli e su <strong>liturgia</strong> e lotta<br />

contro Satana; e nel trattato sulla creatura infraumana la materia<br />

del nostro saggio su <strong>liturgia</strong> e creatura infraumana.<br />

Nel trattato sull'uomo, la sua origine, la sua natura e la sua<br />

storia prima di Cristo, va praticamente inserita la materia del nostro<br />

saggio sulla <strong>liturgia</strong> e l'attuazione plenaria di tutto l'uomo. Inoltre,<br />

nella parte di questo trattato dove si spiega teologicamente la storia<br />

dell'umanità dopo il peccato di Adamo fino a Cristo, e dunque anche<br />

il significato <strong>teologico</strong> generale dell'Antico Testamento, si deve spiegare<br />

il significato <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dell'antica legge. Così, si reintegra<br />

nuovamente e con criteri moderni nella sintesi teologica generale,<br />

quella materia intorno al significato <strong>teologico</strong> generale dell'Antico<br />

Testamento che S. Tommaso, per istinto <strong>teologico</strong> e per tradizione<br />

precedente, aveva ancora giustamente conservato e che i posteriori<br />

teologi invece espulsero dalla loro sintesi.<br />

Nel trattato su Cristo deve essere inserita la materia del nostro<br />

l'oggetto stesso <strong>della</strong> teologia consideralo secondo la rispettiva successione nella<br />

storia sacra. Cosi, sostanzialmente, si ottiene il seguente ordinamento: metodologia<br />

teologica; Dio unitrino; creazione in genere; angeli; creatura infraumana;<br />

uomo nella sua origine, natura e storia prima di Cristo; Cristo e la sua Madre;<br />

la grazia di Cristo e le virtù infuse; la Chiesa di Cristo; i sacramenti <strong>della</strong> Chiesa<br />

di Cristo; le azioni del cristiano; i novissimi.<br />

;l Concepito come un unico trattato in due parti.


TRATTATI TEOLOGICI E LITURGIA 601<br />

saggio sul Kyrios e l'unico liturgo e l'unica <strong>liturgia</strong>; anzi, tutta quella<br />

materia, svolta un po' dappertutto in quest'opera, che mette in rilievo<br />

la parte di Cristo nella <strong>liturgia</strong> e in che modo nella <strong>liturgia</strong> la Chiesa<br />

vive la sua fede in Cristo. Anche nella mariologia un capitolo speciale<br />

deve essere consacrato a Maria nella <strong>liturgia</strong>; e dove si tratta<br />

del significato e <strong>della</strong> legittimità del culto dei santi bisogna spiegare<br />

la teologia liturgica dei santi.<br />

Anche nel trattato sulla grazia di Cristo e le virtù infuse si deve<br />

spiegare, in un capitolo a sé, in che modo e sotto quale prospettiva<br />

propria questo aspetto <strong>della</strong> realtà cristiana viene attuato nella<br />

<strong>liturgia</strong>.<br />

Nel trattato <strong>della</strong> Chiesa, concepito come unico trattato, e precisamente,<br />

come tutti gli altri, di natura dogmatica, ma includente,<br />

anche come tutti gli altri trattati dogmatici, una serie di questioni<br />

d'ordine apologetico, un capitolo deve essere riservato alla trattazione<br />

<strong>della</strong> Chiesa nella <strong>liturgia</strong>. In esso, tra le altre cose, si deve<br />

spiegare la <strong>liturgia</strong> come atto comunitario ecclesiale, attuazione somma<br />

<strong>della</strong> Chiesa stessa e riferirsi alla <strong>liturgia</strong> nei suoi rapporti con<br />

la legge dell'incarnazione e <strong>della</strong> salvezza in comunità, come abbiamo<br />

spiegato negli appositi capitoli <strong>della</strong> seconda parte.<br />

<strong>Il</strong> posto proprio, nella sintesi teologica generale, dove deve essere<br />

direttamente spiegata ex professo la natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> — dunque<br />

tutta la materia <strong>della</strong> prima parte di quest'opera — è il trattato ora<br />

detto dei sacramenti in genere. Ma l'impostazione che questo trattato<br />

ha ricevuto nella tradizione scolastica e che i positivo-scolastici, come<br />

si è visto, hanno ancora ristretta, va notevolmente allargata. Bisogna<br />

costruire un trattato che non sia solo un trattato dei sette sacramenti<br />

maggiori in genere, ma un trattato dei « sacramenta » o dei<br />

« mysteria » in genere nel <strong>senso</strong> patristico. In esso, quello che spetta<br />

in proprio ai sette riti maggiori, in specie riguardo alla loro istituzione<br />

da Cristo, alla loro efficacia ex opere operato e alla loro speciale<br />

necessità per la salvezza, deve avere, beninteso, il suo debito<br />

posto, salvaguardando quelle nette distinzioni tra gli stessi sacramenta<br />

che furono il progresso realizzato dagli scolastici in confronto<br />

alla teologia anteriore in questa materia. Però è necessario riporre<br />

molto più strettamente la teologia dei sette riti maggiori in genere<br />

nel suo quadro generale dei sacramenta o mysteria in genere, ossia<br />

appunto, nel quadro <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> generale. Ciò deve salvaguardare<br />

più perfettamente di quanto fece lo stesso S. Tommaso, ma specialmente<br />

la teologia posteriore, il grande concetto patristico e radicalmente<br />

biblico, di mysterium o sacramentum come l'humus connaturale<br />

dove cresce e fruttifica tutto il complesso dei segni sensibili<br />

sacri <strong>della</strong> santificazione del culto 4 . <strong>Il</strong> trattato dei sacramenta in<br />

genere deve essere dunque un trattato <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in<br />

genere.<br />

4 L'opera di H. SCHILLKBEECKX, Da sacrameniele heilseconomie Antwerpcn<br />

1952, segna certamente, in questo <strong>senso</strong>, uno sforzo che va proseguito e perfezionato.


602 CAP. XX - LITURGIA E SINTESI TEOLOGICA<br />

Nel trattato dei sacramenti in specie, per ogni singolo sacramento<br />

va ripresa e perfezionata, con criteri moderni, la spiegazione<br />

del valore <strong>teologico</strong> del quadro liturgico <strong>della</strong> celebrazione ed amministrazione<br />

di ognuno di essi, materia questa che S. Tommaso aveva<br />

ancora conservata e che fu eliminata dalla teologia posteriore.<br />

Nel trattato delle azioni del cristiano, ossia in quella che oggi<br />

si dice comunemente teologia morale, almeno in quella parte che<br />

tratta <strong>della</strong> perfezione cristiana da raggiungere e che oggi è comunemente<br />

detta teologia <strong>della</strong> perfezione cristiana o ascetica e mistica,<br />

bisogna inserire la questione : <strong>liturgia</strong> e spiritualità, che sarà qui trattata<br />

nel capitolo seguente.<br />

Nel trattato dei novissimi deve entrare la trattazione <strong>della</strong> fede<br />

dei novissimi nella <strong>liturgia</strong> ricavata in modo speciale dall'analisi del<br />

valore <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dei defunti.<br />

4. OSSERVAZIONI SUI PROGRAMMI<br />

E L'INSEGNAMENTO DELLA LITURGIA<br />

NEI SEMINARI E NELLE FACOLTÀ TEOLOGICHE<br />

In fine di questo capitolo sembra opportuno fare, intorno all'insegnamento<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei programmi dei seminari e delle facoltà<br />

teologiche, alcune osservazioni suggerite immediatamente da quanto<br />

è stato detto fin qui.<br />

Lo stato di fatto<br />

All'insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei programmi dei seminari e<br />

delle facoltà teologiche sono assegnate generalmente, come corso<br />

obbligatorio per tutti gli studenti in teologia, un'ora o due ore alla<br />

settimana per un anno intero. Agli alunni che s'interessassero particolarmente<br />

alla <strong>liturgia</strong> si dà, per lo più, nelle facoltà teologiche, la<br />

possibilità di seguire in questa materia dei corsi speciali facoltativi.<br />

Questi corsi di <strong>liturgia</strong> erano concepiti una volta come corsi di rubriche.<br />

Oggi sono concepiti essenzialmente come corsi di storia <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>. Se esistono eccezioni in proposito non devono essere ancora<br />

molto numerose.<br />

Che questo modo di studiare la <strong>liturgia</strong> sia legittimo e necessario,<br />

ma che nello stesso tempo, se limitato a se stesso, sia completamente<br />

insufficiente a scoprire le ricchezze integrali <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, si può dire<br />

che tutta quest'opera ha per scopo di dimostrarlo. <strong>Il</strong> vero valore <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> è il suo valore <strong>teologico</strong>, com'è stato dimostrato fin qui, e<br />

quindi, il suo valore ascetico e pastorale, come sarà dimostrato nei<br />

capitoli seguenti. Si deve dunque dire che, fintanto che l'insegnante<br />

non ha condotto gli alunni nel santuario <strong>teologico</strong>, ascetico e pasto-


L'INSEGNAMENTO DELLA LITURGIA 603<br />

rale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, non può illudersi di averli nemmeno introdotti<br />

nel vero mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Una sola introduzione storica, se<br />

ad essa non si aggiunge in qualche modo un'introduzione teologica,<br />

ascetica e pastorale, è ben lungi da ottenere questo effetto. È per<br />

questo che gli studenti in teologia, nella stragrande maggioranza<br />

dei casi, escono dai seminari e dalle falcoltà teologiche senza essere<br />

stati introdotti veramente nella <strong>liturgia</strong>. Questa mancanza non proviene<br />

essenzialmente dall'insufficienza del numero dei corsi che hanno<br />

ascoltati in questa materia, ma dal modo qualitativo di concepire<br />

questi corsi. La questione dell'insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei seminari<br />

e nelle facoltà teologiche sembra dunque sia la questione <strong>della</strong><br />

introduzione degli alunni alla <strong>liturgia</strong> teologica e, conseguentemente,<br />

ascetica e pastorale, di cui in quest'opera ci sforziamo appunto di<br />

spiegare i fondamenti.<br />

Conseguenza dell'unità del sapere <strong>teologico</strong> e in specie<br />

dell'unità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> teologica con la teologia sintetica generale<br />

e la Scrittura<br />

Ora, in proposito, una prima osservazione s'impone. Abbiamo<br />

avuto spesso occasione di costatare la profonda unità del mondo <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> come è concepita in questo saggio, col mondo <strong>della</strong> bibbia e<br />

col mondo di quella che si dice generalmente teologia dogmatica. Anzi,<br />

sotto un certo aspetto, scopo di quest'opera era appunto di ritrovare<br />

questa unità. Per l'insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei seminari e nelle<br />

facoltà teologiche segue subito una conseguenza di grande importanza :<br />

per iniziare gli alunni a questo mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, i professori di<br />

dogmatica e di Sacra Scrittura hanno per lo meno altrettanta importanza<br />

quanto il professore stesso di <strong>liturgia</strong>.<br />

Se a questo si aggiunge, ciò che apparirà meglio in seguito, la<br />

profonda unità tra perfezione cristiana e <strong>liturgia</strong> e tra pastorale e<br />

<strong>liturgia</strong>, e quindi allo stesso scopo generale dell'introduzione degli<br />

alunni alla <strong>liturgia</strong>, la non minore importanza dei professori di queste<br />

materie, si deve dire che la natura stessa delle cose esige che, praticamente,<br />

tutto l'insegnamento <strong>della</strong> teologia sia come naturalmente immerso<br />

in un'atmosfera liturgica. Questo è vero perché le principali<br />

materie di questo insegnamento hanno una certa loro dimensione<br />

liturgica, la quale, sviluppata secondo le esigenze intrinseche di queste<br />

stesse discipline, costituisce nell'insegnamento <strong>teologico</strong> un continuo<br />

legame con la <strong>liturgia</strong>. In qualche modo prepara ad essa e la fa apparire,<br />

ciò che realmente è sotto un certo aspetto, un punto di convergenza<br />

di tutta la fede e di tutta la vita cristiana e quindi anche di<br />

quei diversi rami <strong>della</strong> scienza che ha per oggetto appunto lo studio<br />

di questa fede e di questa vita.<br />

Da quanto è stato spiegato fin qui, deve apparire in modo speciale<br />

l'importanza di un certo modo di concepire l'insegnamento <strong>della</strong><br />

dogmatica e <strong>della</strong> Scrittura per la formazione liturgica degli studenti<br />

in teologia. Per la dogmatica la cosa è stata sufficientemente spiegata


604 CAP. XX - LITURGIA E SINTESI TEOLOGICA<br />

quando si è fatta la critica dei diversi tipi di teologia in rapporto alla<br />

loro possibilità di assimilazione organica del materiale <strong>teologico</strong> liturgico.<br />

Per l'insegnamento <strong>della</strong> Scrittura i fondamenti sono stati posti<br />

nella terza parte di quest'opera, dove si è trattato dei rapporti tra<br />

bibbia e <strong>liturgia</strong>, come anche nella seconda parte dove sono stati spiegati<br />

i rapporti tra la <strong>liturgia</strong> e le grandi leggi dell'economia di Dio nel<br />

mondo. Lì si è potuto fare questa costatazione: che i grandi temi<br />

liturgici teologici non sono altro che i grandi temi biblici teologici;<br />

oppure che i grandi temi intorno al modo in cui l'economia di Dio<br />

nel mondo e i rapporti tra Dio e l'uomo appaiono nella <strong>liturgia</strong>, non<br />

sono altro, sostanzialmente, che i grandi temi dell'economia di Dio<br />

nel mondo e dei rapporti tra Dio e l'uomo come appaiono nella bibbia.<br />

Basta ricordarne alcuni : tutta la visione del mondo come stona sacra<br />

degli interventi di Dio e <strong>della</strong> risposta dell'uomo; l'unità di tutte le<br />

fasi di questa storia sacra e quindi il grande concetto che la domina di<br />

preparazione, ombra, partecipazione, compimento, immagine, tipo<br />

e antitipo, ecc.; la legge dell'oggettività, del movimento cristologicotrinitario;<br />

l'incentramento di tutta l'economia in Cristo; la legge dell'unitotalità<br />

cosmica, dell'incarnazione, <strong>della</strong> salvezza in comunità; la<br />

lotta tra le due città.<br />

Queste prospettive che costituiscono i fondamenti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

sono visuali tipicamente bibliche. Così la <strong>liturgia</strong> appare realmente<br />

f-nme un certo modo in cui la visione biblica del mondo si concretizza<br />

e viene vissuta sotto i veli dei segni sensibili efficaci <strong>della</strong> santificazione<br />

e del culto. Di qui l'importanza, per la formazione liturgica degli alunni,<br />

che nel corso di Scrittura queste e simili prospettive siano non<br />

solo studiate, ma messe in quel rilievo primario che hanno nel pensiero<br />

scritturistico.<br />

Così si arriva alla stessa conclusione cui conducono tante altre<br />

considerazioni intorno alla necessità che lo studio e l'insegnamento<br />

<strong>della</strong> Scrittura anzitutto trascenda la fase <strong>della</strong> preoccupazione<br />

troppo esclusivamente apologetica e si lanci nella considerazione<br />

positiva e quasi contemplativa di tutte le ricchezze <strong>della</strong> bibbia<br />

in se stesse considerate; e, secondariamente, pur basandosi sopra un<br />

indispensabile fondamento critico, filologico e storico, si innalzi alla<br />

visione propriamente teologica biblica delle cose.<br />

Così nello studio <strong>della</strong> dogmatica, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e <strong>della</strong> bibbia si<br />

osserva un movimento che le spinge tutte a una considerazione più<br />

semplicemente irenica, contemplativa e integrale del loro oggetto<br />

nel debito rilievo dato in ognuna di queste discipline ai grandi tèmi<br />

<strong>della</strong> storia <strong>della</strong> salvezza. Altrettanto si potrebbe dire <strong>della</strong> morale,<br />

<strong>della</strong> ascetica e mistica e <strong>della</strong> pastorale.<br />

I rami del sapere <strong>teologico</strong>, su questa base del compito comune<br />

di illustrare scientificamente, ognuno a suo modo secondo le esigenze<br />

del proprio oggetto, la storia sacra <strong>della</strong> salvezza, ritrovano il loro<br />

connaturale rapporto con la <strong>liturgia</strong> e la loro connaturale e reciproca


L'INSEGNAMENTO DELLA LITURGIA 605<br />

unità con il massimo beneficio dell'insegnamento <strong>della</strong> teologia e dell'unità<br />

stessa <strong>della</strong> formazione ecclesiastica.<br />

È quanto ha ribadito il concilio vaticano II. Ciò che abbiamo detto<br />

sopra può essere considerato come un commento alle parole dell'articolo<br />

16 <strong>della</strong> Costituzione sulla <strong>liturgia</strong> : « i professori delle altre<br />

materie, sopratutto <strong>della</strong> teologia dommatica, <strong>della</strong> Sacra Scrittura,<br />

<strong>della</strong> teologia spirituale e pastorale, abbiano cura di mettere in rilievo,<br />

secondo le intrinseche esigenze di ogni disciplina, il mistero di Cristo<br />

e la storia <strong>della</strong> salvezza in modo che risulti chiara la loro connessione<br />

con la <strong>liturgia</strong> e l'unità <strong>della</strong> formazione sacerdotale ».<br />

C'è forse chi paventerà in questo modo di vedere una confusione<br />

di oggetto tra le discipline teologiche. Si risponde che tra teologia<br />

detta comunemente dogmatica, e che meglio si direbbe semplicemente<br />

teologia sintetica generale — nella quale vanno compresi tutti<br />

i cosiddetti trattati dogmatici più la teologia morale e <strong>della</strong> perfezione<br />

cristiana — e gli altri rami del sapere <strong>teologico</strong>, in programma nei seminari<br />

e nelle facoltà teologiche, compresa la bibbia e la <strong>liturgia</strong>, il<br />

rapporto non è come tra parte e parte d'un tutto, ma come tra il tutto<br />

sinteticamente considerato ed esposto, ed una monografìa intesa ad<br />

esporre in modo più analitico e particolareggiato un aspetto o una<br />

parte di questo tutto. I corsi di bibbia e di <strong>liturgia</strong> sono dunque dei<br />

corsi monografici di fronte al corso di teologia sintetica generale e trattano<br />

monograficamente e analiticamente un aspetto che è naturalmente<br />

obbligo <strong>della</strong> stessa teologia sintetica generale di trattare, sebbene<br />

sinteticamente. Così si deve salvare l'unità del sapere <strong>teologico</strong><br />

assieme ad una doverosa distinzione di compiti nel suo insegnamento.<br />

Relazione reciproca e dosatura rispettiva dell'aspetto storico,<br />

giuridico, <strong>teologico</strong>, ascetico, mistico e pastorale<br />

In un'iniziazione generale integra alla <strong>liturgia</strong><br />

La presente opera non vuole essere una <strong>liturgia</strong> fondamentale<br />

integra o un'introduzione integrale alla <strong>liturgia</strong>. Essa ha per scopo<br />

di far vedere l'aspetto <strong>teologico</strong> di una <strong>liturgia</strong> fondamentale o di una<br />

introduzione generale alla <strong>liturgia</strong>. Non rientra quindi nel nostro compito<br />

tracciare e discutere un programma preciso d'insegnamento <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>. Pur tuttavia, poiché, secondo l'opinione che tutta l'opera si<br />

sforza di provare, quest'aspetto <strong>teologico</strong> costituisce la parte essenziale<br />

e di gran lunga prevalente <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, può essere utile indicare<br />

quali siano le pratiche conseguenze di questo modo di vedere<br />

sul programma del suo insegnamento concepito come iniziazione completa<br />

a tutta la materia.<br />

A parte la questione delle ore complessive che si hanno a disposizione<br />

per l'insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e quindi a parte le riduzioni<br />

di programma alle quali si sarà praticamente obbligati; a parte anche<br />

gli spostamenti secondari di materie e la loro distribuzione pratica<br />

che talvolta potrà effettuarsi in modi alquanto diversi, rimane il fatto


606 CAP. XX - LITURGIA E SINTESI TEOLOGICA<br />

fondamentale che un insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, che abbia il valore<br />

di un'iniziazione generale completa, comprende questi quattro capisaldi:<br />

introduzione generale, o <strong>liturgia</strong> fondamentale che si voglia<br />

dire; i cicli liturgici; la messa; gli altri sacramenti e i sacramentali.<br />

Altro punto fermo è che, in ogni ipotesi, un'iniziazione integrale alla<br />

<strong>liturgia</strong> deve necessariamente trattare i predetti quattro punti sotto<br />

l'aspetto storico e <strong>teologico</strong> e ascetico e pastorale e giuridico 5 . La<br />

questione verte soltanto sulla relazione reciproca di questi aspetti e<br />

sulla loro dosatura rispettiva nell'insieme.<br />

Da tutta quest'opera segue la tesi <strong>della</strong> necessaria prevalenza del<br />

punto di vista <strong>teologico</strong> come punto di vista determinante, sintetizzante<br />

e coordinativo anche per l'insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che voglia<br />

essere un'iniziazione integrale a questa materia nei suoi diversi aspetti<br />

secondo la relativa importanza oggettiva di ognuno nell'insieme. <strong>Il</strong><br />

punto di vista storico, in questa prospettiva, non può essere che la<br />

base e il presupposto in vista dell'elaborazione del pensiero liturgico<br />

che si ottiene nella trattazione teologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Sopra di esso,<br />

in un'iniziazione generale alla <strong>liturgia</strong>, ci si dovrà fermare solo nella<br />

precisa misura che è necessario o utile all'induzione del pensiero<br />

liturgico <strong>teologico</strong> dai testi e dai fatti nei quali è incarnato.<br />

L'aspetto ascetico e pastorale, a sua volta, vi dovrà entrare come<br />

conseguenza dell'aspetto <strong>teologico</strong>. Concretamente, l'aspetto ascetico<br />

mistico, o semplicemente il valore di vita spirituale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, a<br />

parte un'ampia trattazione <strong>della</strong> questione nella <strong>liturgia</strong> teologica generale,<br />

deve risultare, in ogni questione particolare, dalla stessa sua<br />

trattazione liturgico-teologica. Basterà, presentandosene l'occasione,<br />

sottolinearlo opportunamente. Se dalla trattazione teologica di un<br />

punto di <strong>liturgia</strong>, come <strong>della</strong> messa, dell'anno liturgico nel suo insieme<br />

o nelle sue singole parti, dei sacramenti o dei sacramentali, non apparisse<br />

subito e ovviamente il suo valore di vita spirituale, ma,<br />

alla fine di simile trattazione si sentisse il bisogno, per raggiungere<br />

questo fine, di aggiungere una specie di fervorino ascetico, simile a<br />

quegli scholia pielatis con i quali alcuni teologi credono opportuno di<br />

coronare le loro « tesi », si può star sicuri che la supposta spiegazione<br />

teologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è radicalmente manchevole almeno per qualche<br />

congenito difetto. <strong>Il</strong> punto di vista <strong>teologico</strong> liturgico di una questione,<br />

indissolubilmente connesso con il punto di vista biblico <strong>della</strong> stessa<br />

— non essendo la <strong>liturgia</strong>, come è stato spesso ripetuto, che una concretizzazione<br />

sui generis, sotto il velo dei segni sensibili ed efficaci<br />

<strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa, del concetto biblico <strong>della</strong><br />

storia e <strong>della</strong> vita — è sempre e necessariamente per se stesso vitale.<br />

Anche l'aspetto pastorale in <strong>liturgia</strong> non può essere che la conseguenza<br />

dell'aspetto <strong>teologico</strong> scoperto con l'aiuto anche dell'indagine<br />

storica. Scoperto il carattere comunitario <strong>della</strong> messa, ne deriva spontaneamente<br />

una serie di questioni come ricondurre la massa dei fedeli<br />

a viver nuovamente la messa come atto comunitario. E in genere, sco-<br />

5 Anche questo è stato ribadito dal Concilio Vaticano II, CL, art. 16.


L'INSEGNAMENTO DELLA LITURGIA 607<br />

perta la vera natura e la ricchezza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e costatata la separazione<br />

tra popolo e <strong>liturgia</strong>, si pone necessariamente la questione come<br />

ricondurre il popolo alla <strong>liturgia</strong> e la <strong>liturgia</strong> al popolo. Così è inevitabile<br />

che, sia nella <strong>liturgia</strong> generale, sia nella trattazione dei cicli<br />

liturgici o <strong>della</strong> messa o degli altri sacramenti e dei sacramentali, dopo<br />

l'esposizione <strong>della</strong> base storica e del nucleo <strong>teologico</strong>, sia anche prospettata<br />

la conseguenza pastorale. Questo avviene perché la scienza<br />

liturgica ha per oggetto un'azione, la <strong>liturgia</strong> essendo un'azione; ora<br />

la scienza di un'azione comporta necessariamente lo studio, almeno<br />

teorico, del modo in cui realizzarla all'atto pratico. Su questo punto<br />

dovremo ritornare ancora.<br />

A sua volta, lo studio <strong>della</strong> legislazione positiva in questa prospettiva<br />

non può essere inteso che come sussidiario allo studio del<br />

pensiero liturgico <strong>teologico</strong> e quindi dei problemi pastorali che solleva<br />

la <strong>liturgia</strong>. Ossia, bisognerà fermarsi alle leggi del culto per quel tanto<br />

che in esse è implicato in un caso particolare qualche valore <strong>teologico</strong><br />

o pastorale. Per il resto, alla loro necessaria conoscenza bisogna iniziare<br />

il giovane clero in altra sede, principalmente per via pratica.<br />

Così stando le cose, se qualcuno mi chiedesse se la materia spiegata<br />

nella presente opera possa essere considerata come costituente<br />

un vero corso integro di <strong>liturgia</strong> fondamentale, o introduzione generale<br />

alla <strong>liturgia</strong>, risponderei di sì con la sola aggiunta, forse, di alcune<br />

brevi nozioni sul diritto liturgico e le rubriche ° e certamente di un<br />

considerevole capitolo storico. In questo capitolo si dovrebbe proporre<br />

un panorama schematico, secondo le più recenti ricerche, dello<br />

sviluppo storico genetico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> cristiana nel suo insieme, rilevando<br />

i documenti essenziali e i tratti caratteristici del contributo che<br />

ogni epoca ha dato alla sua formazione. Questo capitolo può essere<br />

premesso a tutta la trattazione 7 .<br />

6 Vedi, per es., PH. OPPENHEIM, Tractatus de iure liturgico, 2 voli. Marietti<br />

1939. Simili brevi nozioni essenziali possono facilmente inserirsi, per es., alla fine<br />

del nostro cap. 9 sulla <strong>liturgia</strong> e la legge <strong>della</strong> salvezza in comunità.<br />

7 Esso dovrebbe comprendere i seguenti punti: il termine a quo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>:<br />

quello che fece Gesù; la <strong>liturgia</strong> degli Apostoli fino a Costantino Magno<br />

nel 314; dalla pace costantiniana a Gregorio Magno; il medioevo in occidente da<br />

Gregorio Magno al Concilio di Trento; la formazione dei riti orientali odierni;<br />

la <strong>liturgia</strong> in occidente dal Concilio di Trento al principio del secolo XIX; il<br />

movimento liturgico odierno.


20-11 <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...<br />

PARTE QUINTA<br />

LITURGIA E VITA


CAPITOLO XXI<br />

LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

Come il ciclo ascendente <strong>della</strong> vita si compie nell'unione con Dio<br />

più perfetta possibile quaggiù, a cui, perché il bene tende naturalmente<br />

a comunicarsi, segue il ritorno verso gli uomini per aiutarli a<br />

salire anch'essi all'alta meta: così il ciclo <strong>della</strong> scienza si compie in<br />

una spiritualità, come dottrina di vita per raggiungere quella massima<br />

unione, a cui segue una pastorale, come teoria del ritorno verso gli<br />

uomini per aiutarli a raggiungere la stessa. In una teoria <strong>della</strong> spiritualità<br />

e <strong>della</strong> pastorale la scienza raggiunge il massimo contatto con<br />

la vita che le sia consentito rimanendo scienza. Al di là, è la vita<br />

stessa vissuta in atto concreto e individuale, dominio <strong>della</strong> prudenza e<br />

dell'arte di ogni genere che dirigono l'atto singolo nella concretezza<br />

delle circostanze individuali, ciò che a nessuna scienza è consentito<br />

di fare.<br />

Così <strong>della</strong> scienza in genere; così anche <strong>della</strong> scienza liturgica in<br />

specie. È per questo che una <strong>liturgia</strong> teologica generale, come parte<br />

generale di una scienza liturgica integrale, deve compiersi nell'esposizione<br />

di una spiritualità liturgica a cui faccia seguito quella di una<br />

pastorale liturgica. Nella teoria dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e spiritualità<br />

e tra <strong>liturgia</strong> e pastorale, la scienza liturgica raggiunge il massimo<br />

contatto che le sia consentito con la vita.<br />

1. LA SPIRITUALITÀ E LE SPIRITUALITÀ<br />

Abbiamo detto che una spiritualità come dottrina è la dottrina<br />

del modo di raggiungere l'unione con Dio più perfetta possibile quaggiù.<br />

Precisiamo questa nozione, ricordando alcuni concetti generali<br />

necessari per determinare quello di spiritualità liturgica.


612 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

La nozione di spiritualità<br />

Spiritualità non coincide semplicemente con dottrina <strong>della</strong> vita<br />

cristiana. La dottrina <strong>della</strong> vita cristiana include anche la dottrina del<br />

modo di ottenere la prima volta e di conservare la grazia santificante<br />

per quel tanto che è indispensabile per salvarsi. La spiritualità, come<br />

s'intende qui, supponendo la vita cristiana in atto, si occupa solo <strong>della</strong><br />

tendenza alla perfezione.<br />

Perfezione dice lo stato di una cosa alla quale non manca nulla<br />

di quello che deve avere. La perfezione dell'uomo può essere considerata<br />

nell'ordine <strong>della</strong> natura e nell'ordine <strong>della</strong> soprannatura, e in<br />

ambedue i casi si può considerare sia la linea dell'essere che la linea<br />

dell'agire. L'agire segue l'ordine dell'essere e lo suppone; ma, specialmente<br />

quando si tratta di azioni .libere, non sempre l'agire segue le esigenze<br />

o le possibilità superiori dell'essere; quando non ne segue<br />

le esigenze è un agire peccaminoso; quando non ne segue le possibilità<br />

superiori è un agire imperfetto. La spiritualità, di cui qui<br />

parliamo, considera la perfezione da raggiungersi dall'uomo nell'ordine<br />

soprannaturale — presupponente tuttavia la natura — e ciò sia<br />

nell'essere che nell'agire.<br />

L'essere cristiano è la grazia come partecipazione <strong>della</strong> natura<br />

divina; l'agire specificamente cristiano, che corrisponde al predetto<br />

essere, sono le azioni delle virtù infuse cristiane, morali e teologali :<br />

fede, speranza e carità, massimamente le azioni <strong>della</strong> carità, la somma<br />

delle virtù *. L'unione con Dio nell'essere si fa per la grazia santificante;<br />

quella nell'agire, si fa, quaggiù, principalmente per l'atto di<br />

carità. Tanto grazia santificante che atto di carità possono essere<br />

posseduti o fatti in grado maggiore o minore, e, quaggiù, sono<br />

sempre perfettibili e diminuibili. <strong>Il</strong> loro aumento dipende da Dio<br />

che li infonde e dal merito che, dopo la prima grazia, ognuno può<br />

e deve acquistarsi agendo con essa.<br />

<strong>Il</strong> grado massimo, rispetto al quale si desume per ognuno la più<br />

o meno grande perfezione <strong>della</strong> sua grazia santificante e <strong>della</strong> sua<br />

carità attuale, dipende dalla libera positiva volontà di Dio, il quale<br />

per ognuno ha stabilito il grado finale di grazia che deve raggiungere<br />

in fin di vita con le corrispondenti azioni <strong>della</strong> carità, nonché il grado<br />

<strong>della</strong> stessa grazia e carità che ognuno ad ogni momento <strong>della</strong> sua<br />

vita dovrebbe avere. La perfezione cristiana quaggiù è, dunque, per<br />

ognuno, di avere ad ogni momento <strong>della</strong> vita quel grado di grazia<br />

santificante e di carità anche attuale che Dio ha stabilito per lui in<br />

quel momento. Ma, tra le pure creature, solo la Vergine, quaggiù, fu<br />

perfetta in questo <strong>senso</strong>. Per gli altri non si può trattare che di tendenza<br />

e di avvicinamento alla perfezione. Tendere alla perfezione è<br />

tendere ad avere ogni momento quel grado di grazia santificante che<br />

1 Non è necessario toccare qui la questione dei doni dello Spirito Santo<br />

perché non tutti i teologi ammettono trattarsi di abiti specificamente diversi<br />

da quelli delle virtù infuse.


TENDENZA ALLA PERFEZIONE 613<br />

Dio esige per ognuno: tendenza, per ognuno, alla perfezione del suo<br />

essere cristiano; e ad agire ogni volta con il grado di carità attuale<br />

corrispondente al grado d'essere: tendenza, per ognuno, alla perfezione<br />

del suo agire cristiano. Nell'uno e nell'altro consiste l'unione<br />

con Dio e l'imitazione di Cristo o l'assimilazione a Cristo, le quali<br />

non sono che altri concetti per esprimere, con alcune sfumature<br />

proprie, la stessa cosa.<br />

In questa tendenza alla perfezione cristiana dell'essere e dell'agire,<br />

l'uomo, sorretto da Dio, da Cristo, dalla Vergine, dagli angeli<br />

e dai santi, è ostacolato dal demonio e da tutto ciò che mette in<br />

opera in noi stessi e fuori di noi, ha a sua disposizione una serie di<br />

mezzi, dati in parte dalla natura stessa delle cose e in parte imposti<br />

dalla libera positiva volontà di Dio, che egli deve debitamente usare<br />

per raggiungere il fine. Questi mezzi sono ordinati al predetto duplice<br />

scopo: alla perfezione dell'essere cristiano, per l'aumento <strong>della</strong> grazia<br />

santificante che Dio ha connesso in qualche modo al loro uso;<br />

alla perfezione corrispondente dell'agire cristiano, nell'esercizio delle<br />

virtù morali e teologali, massimamente <strong>della</strong> carità, in connessione<br />

con una più profonda conoscenza vitale di Dio e delle altre<br />

cose, anzitutto di noi stessi, in rapporto a Lui, e nella purificazione<br />

dai vizi e dalle tendenze imperfette.<br />

La tendenza alla perfezione, l'avvicinamento alla meta, come<br />

cosa viva, è sottoposta allo sviluppo, con progresso successivo e anche<br />

possibilità di regressi, temporanei o definitivi; Dio, da parte sua,<br />

rispetta questa legge <strong>della</strong> natura, pur senza legarsi assolutamente<br />

ad essa. Vi è dunque un termine a quo e un termine ad quem. <strong>Il</strong> termine<br />

a quo è il peccato e l'imperfezione, il termine ad quem una<br />

sempre maggiore grazia santificante e carità attuale. <strong>Il</strong> movimento<br />

verso la perfezione connessa con l'aumento delle altre virtù, include,<br />

dunque, in ogni punto <strong>della</strong> sua traiettoria, un distacco sempre<br />

maggiore, una purificazione sèmpre più intensa dal peccato e<br />

dall'imperfezione e un aumento continuo, almeno nel suo insieme,<br />

<strong>della</strong> grazia santificante e <strong>della</strong> carità anche attuale, nonché delle<br />

altre virtù. Soggetto di questa purificazione e di questo miglioramento<br />

è tutto l'uomo nel suo essere e nelle sue varie facoltà.<br />

Siccome poi in ogni movimento da un termine a quo verso un<br />

termine ad quem altro è nel suo essere e nel suo agire lo stato generale<br />

di colui che si trova ancora vicino al termine di partenza, altro invece<br />

lo stato generale di colui che si avvicina notevolmente al termine di<br />

arrivo, ed altro ancora lo statoci colui che si trova in una posizione<br />

intermedia, giustamente gli autori, anche nella via verso la perfezione<br />

cristiana, distinguono i principianti, i progredienti e i perfetti.<br />

Questa distribuzione non vuole indicare cori taglio netto il passaggio<br />

da uno stato ad un altro, ma la distinzione di stato generale, a un<br />

certo momento sufficientemente netta nel suo insieme. Le tre fasi<br />

sono anche dette, con terminologia derivata dallo Pseudo Dionigi:<br />

fase purgativa, illuminativa, unitiva. E certo, infatti, che nei principianti<br />

ancora relativamente vicini al punto di partenza, predomina


614 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

abitualmente il travaglio di purificazione e di distacco dal peccato<br />

e dall'imperfezione, mentre in quelli relativamente vicini alla meta,<br />

l'attrazione unitiva a Dio è, abitualmente, assai più potente.<br />

Inoltre, nel cammino progressivo verso la perfezione, in ogni<br />

azione e in ogni punto <strong>della</strong> via, l'uomo, sotto diversi aspetti, è<br />

sempre attivo e passivo nello stesso tempo e Dio è sempre attivo.<br />

Infatti, ogni azione soprannaturale è sempre e nello stesso tempo,<br />

sebbene sotto diversi aspetti, tutta intera dell'uomo e tutta intera<br />

di Dio. Dio, per la grazia, sempre agisce nell'uomo e per l'uomo,<br />

altrimenti l'azione non sarebbe soprannaturale; e sotto questo aspetto<br />

l'uomo è sempre passivo in quanto sempre riceve. Ma nello stesso<br />

tempo è l'uomo che agisce veramente e in tutto in quell'azione, diversamente<br />

non sarebbe l'azione dell'uomo e l'uomo la riceverebbe<br />

come un morto. Quindi in ogni azione l'uomo sotto un certo aspetto<br />

è sempre attivo. È tutto il problema <strong>della</strong> grazia e <strong>della</strong> libertà che<br />

qui si pone.<br />

A noi non spetta spiegare come, in qualche modo, quella doppia<br />

asserzione si possa conciliare. Interessa invece di notare che, a diversi<br />

momenti del progresso complessivo verso la perfezione, la grazia<br />

di Dio può agire con maggiore o minore intensità e l'uomo può anche<br />

essere più o meno cosciente di questa più intensa azione <strong>della</strong><br />

grazia in sé 2 . A certi momenti e in certe occasioni questa azione <strong>della</strong><br />

grazia può essere di tale qualità e così intensa e l'uomo può averne<br />

una tale coscienza che ha netta impressione che l'azione che ne<br />

segue è fatta da Dio in lui in modo superiore all'ordinario piuttosto<br />

che fatta da lui stesso con il concorso ordinario di Dio. L'uomo allora,<br />

psicologicamente parlando, si sente più passivo che attivo. Ma, in<br />

realtà, non si tratta mai di una passività assoluta, come se l'uomo ricevesse<br />

l'azione di Dio in sé simile a un morto o a una cosa inerte,<br />

nel qual caso l'azione che emette non sarebbe in nessun modo la<br />

sua azione. Anzi, quella cosiddetta passività è una vita intensa, ma<br />

che opera a una profondità delle potenze, immensamente superiore<br />

all'ordinaria attività di supeficie, la quale comporta sempre un certo<br />

travaglio e una certa pena di sforzo 3 . Vi possono essere dei periodi<br />

di vita spirituale nei quali l'azione <strong>della</strong> grazia è di tale qualità ed<br />

è così notevolmente intensa, che quel modo più passivo che attivo domina<br />

abitualmente nel suo agire. In altri periodi invece, l'uomo è<br />

lasciato al suo modo ordinario di agire con l'ordinario concorso <strong>della</strong><br />

grazia di Dio, e con maggiore realtà e coscienza psicologica delle<br />

difficoltà più o meno gravi che deve superare.<br />

Un ragionamento simile si può fare riguardo ai due modi di agire<br />

dell'intelletto : il discorsivo o l'intuitivo per modo di semplice sguardo<br />

2 Intorno a questa coscienza, vedi, per es., J. DE GUIBERT, Theologia spirititalìs<br />

ascetica et mystica, 2 ed. Roma 1939 p. 356 ss, n. 399403.<br />

3 Vedi, per es., S. GIOVANNI DELLA CROCE, Salita (ed. it. Opere, Roma 1940)<br />

II 13 n. 2 p. 107; II 11 n. 7 p. 96; n. 10; II 12 n. 5 p. 101 s. (Ed. critica del<br />

P. Crisogono de Jesus, Vida y obras de S. Juan de la Cruz, Madrid 1955, II 15<br />

n. 2; II 12 n. 8; II 14 n. 6).


DIVERSE SPIRITUALITÀ CATTOLICHE? 615<br />

sperimentale e diretto. In ogni atto soprannaturale di fede c'è, accanto<br />

all'aspetto discorsivo, un certo aspetto di sperimentalità diretta<br />

e non discorsiva. Senonché l'aspetto intuitivo di semplice sguardo,<br />

in certi atti, sotto l'influsso <strong>della</strong> grazia, la quale, come partecipazione<br />

<strong>della</strong> natura divina, dà per ciò stesso una certa connaturalità<br />

e sintonia con le cose divine, può aumentare e prevalere sull'aspetto<br />

discorsivo. Allora l'uomo, psicologicamente parlando, avverte appena<br />

o anche quasi non avverte affatto il discorso, mentre nella sua<br />

coscienza psicologica domina la conoscenza di tipo intuitivo sperimentale<br />

e diretto. E questo fatto in certi periodi di vita può diventare<br />

anche relativamente abituale.<br />

Uniamo le tre precedenti osservazioni: predominio dell'attrazione<br />

unitiva a Dio nella carità sul travaglio purificatore dal peccato<br />

e dall'imperfezione; predominio psicologico <strong>della</strong> sensazione di<br />

passività su quella di attività operosa e penosa; predominio <strong>della</strong><br />

coscienza intuitiva su quella discorsiva: è questa la base <strong>della</strong> distinzione<br />

comune tra atto ascetico e atto mistico, vita abitualmente ascetica<br />

e vita abitualmente mistica. Appare così che questa distinzione<br />

tradizionale poggia sopra una realtà indiscutibile.<br />

Diverse spiritualità In seno al cattolicesimo<br />

<strong>Il</strong> nostro scopo è di determinare il concetto di spiritualità liturgica.<br />

Ora, dire spiritualità liturgica sembra restringere il concetto di<br />

spiritualità cattolica in genere ad un ben determinato tipo di spiritualità.<br />

Vi sono dunque diverse spiritualità cattoliche? Infatti, gli<br />

autori parlano di diverse « scuole di spiritualità ». Così, in specie,<br />

si parla di spiritualità benedettina, francescana, domenicana, ignaziana,<br />

carmelitana, salesiana, berulliana. E oggi, da un punto di vista<br />

un po' diverso, si fa un gran parlare di spiritualità per il clero diocesano<br />

e di spiritualità per i laici. Queste denominazioni non sono<br />

arbitrarie.<br />

In che <strong>senso</strong>, dunque, nel seno dell'unica spiritualità cattolica<br />

si può parlare di diverse spiritualità? E poi: la <strong>liturgia</strong> è una spiritualità,<br />

o, almeno, include una spiritualità che possa essere detta<br />

spiritualità liturgica? E, se si ammette l'esistenza di una spiritualità<br />

liturgica, si tratta forse di una tra le tante scuole di spiritualità? una<br />

scuola di spiritualità casualmente dimenticata dagli autori di ascetica<br />

e mistica? Oppure, spiritualità liturgica è solo un altro nome di<br />

quella che gli autori chiamano spiritualità benedettina? Ecco altrettante<br />

questioni che bisogna chiarire.<br />

In primo luogo è certo che non si potrà, comunque, parlare di<br />

diverse spiritualità cattoliche o di diverse scuole cattoliche di spiritualità,<br />

che entro ben determinati limiti, che sono gli elementi necessariamente<br />

comuni ad ogni spiritualità cattolica. Nella questione<br />

del concetto di diverse spiritualità, nonché in quella <strong>della</strong> natura<br />

propria di ognuna rispetto alle altre, appare così di capitale impor-


CAP. XXI - LITURGIA E" SPIRITUALITÀ<br />

tanza precisare anzitutto quali sono gli elementi necessariamente<br />

comuni. Questi elementi riguardano il fine e i mezzi <strong>della</strong> spiritualità.<br />

<strong>Il</strong> fine comune a ogni spiritualità cattolica. — Mentre il fine assolutamente<br />

ultimo e comune ad ogni cosa creata è la gloria di Dio,<br />

il fine ultimo specifico di ogni spiritualità è, come abbiamo detto<br />

sopra, l'avvicinamento alla perfezione dell'essere cristiano nella<br />

grazia santificante e dell'agire cristiano corrispondente nelle virtù<br />

cristiane, principalmente nella carità. Questo significa che, se diversità<br />

vi saranno tra le spiritualità cattoliche, potranno esistere<br />

solo in ciò che, rispetto al predetto fine, ha natura di mezzo.<br />

Bisogna dunque precisare la natura e la relativa necessità dei<br />

singoli mezzi rispetto al predetto fine per poter distinguere dove,<br />

in ogni spiritualità cattolica, ci deve essere accordo e dove, invece,<br />

entro i limiti dell'accordo generale, esiste un margine di possibili<br />

diversità.<br />

I mezzi comuni, se considerati genericamente. — Infatti, i mezzi<br />

per tendere alla perfezione cristiana devono distinguersi in mezzi<br />

comuni, necessari a tutti, e in mezzi speciali, il cui uso per raggiungere<br />

lo stesso scopo non è necessario per tutti ma può esserlo per alcuni,<br />

almeno in certe circostanze. Però, a guardarci bene, si può dire che<br />

i mezzi per tendere alla perfezione cristiana sono per tutti gli stessi<br />

e necessari se vengono formulati genericamente, e diventano invece<br />

mezzi speciali necessari ad alcuni ma non a tutti se quella formulazione<br />

generica viene specificata e concretizzata. Inoltre, i mezzi,<br />

se considerati in quella loro genericità, sono bensì necessari per tutti<br />

e invariabili, ma non è invariabile la proporzione dell'uso relativo e<br />

dell'importanza psicologica relativa che si dà a ognuno di essi nell'insieme<br />

di tutto il complesso. Queste distinzioni, di grande importanza<br />

per il nostro scopo, sono chiarite dall'enumerazione delle due<br />

categorie di mezzi.<br />

Base e punto di partenza per la tendenza verso la perfezione<br />

è l'essere in stato di grazia. Perciò tutti i mezzi necessari per conservare<br />

questo stato sono, a fortiori, mezzi necessari per tendere<br />

alla perfezione <strong>della</strong> vita cristiana. Primo tra tutti l'osservanza dei<br />

comandamenti di Dio e <strong>della</strong> Chiesa. Tra i comandamenti <strong>della</strong> Chiesa<br />

ora c'è anche quello dell'assistenza al sacrificio <strong>della</strong> messa le<br />

domeniche e i giorni di precetto, nonché quello <strong>della</strong> comunione e<br />

<strong>della</strong> confessione pasquale. Ci si può chiedere se una maggiore frequenza<br />

<strong>della</strong> partecipazione al sacrificio <strong>della</strong> messa e ai sacramenti<br />

in genere sia da annoverarsi senz'altro tra i mezzi necessari per<br />

tutti perché vi possa essere vera tendenza alla perfezione cristiana.<br />

Si obietterà forse il caso di alcuni santi antichi per i quali<br />

sembra difficile poter dimostrare che — anche senza esservici stati<br />

costretti da circostanze indipendenti dalla loro volontà — abbiano<br />

frequentato molto l'eucaristia ed eventualmente la penitenza, specialmente<br />

in certi periodi <strong>della</strong> loro vita, pur ritenuti fervorosi.


I MEZZI COMUNI 617<br />

Senza mettere in dubbio la retta coscienza soggettiva di questi<br />

santi e la loro buona volontà nelle predette circostanze, si tratta<br />

tuttavia di casi anormali. Essi si spiegano non solo, eventualmente,<br />

con lo sviluppo <strong>della</strong> prassi sacramentaria nella Chiesa, ma anche<br />

con il venir meno in certi individui, o in alcuni ambienti e in determinate<br />

epoche, <strong>della</strong> coscienza esplicita dell'importanza nella vita<br />

cristiana <strong>della</strong> partecipazione al sacrificio eucaristico ed eventualmente<br />

al sacramento <strong>della</strong> penitenza.<br />

L'anomalia appare se si riflette che, per avere la grazia, è necessario<br />

almeno il voto implicito dell'eucaristia, come sopra si è<br />

spiegato 4 . Ciò significa che a tale fine è necessaria, almeno in voto<br />

implicito, la partecipazione al sacrificio eucaristico — e, in caso di<br />

peccato mortale, al sacramento <strong>della</strong> penitenza — poiché la partecipazione<br />

all'eucaristia è sempre la partecipazione al sacrificio. Si<br />

comprende così quanto sia anormale in una persona il fiorire di una<br />

intensa vita di grazia con riferimento di solo voto implicito al sacrificio<br />

eucaristico (ed eventualmente alla penitenza) senza che tale<br />

voto si sia frequentemente tradotto anche in partecipazione reale.<br />

Mezzi per tutti indispensabili perché vi possa essere tendenza<br />

alla perfezione cristiana sono invece certamente i seguenti: un notevole<br />

spirito di preghiera e di orazione in genere, esercitato non<br />

solo nell'azione liturgica, ma anche fuori, in tutta la vita. Un notevole<br />

spirito ed esercizio di meditazione come considerazione discorsiva<br />

intorno a Dio e alle altre cose, noi stessi in specie, in rapporto<br />

a Dio, anzitutto intorno a Cristo e a tutta l'opera <strong>della</strong> salvezza, in<br />

vista di atti di volontà e di affetto. La meditazione e la preghiera implicano,<br />

in specie, che si porti l'attenzione vitale e l'affettività su<br />

tutto il campo <strong>della</strong> rivelazione, sebbene ciò possa avvenire con<br />

tante sfumature diverse. Altri mezzi indispensabili sono il frequente<br />

esame <strong>della</strong> propria vita e dei propri modi di agire; il compimento<br />

più esatto possibile dei doveri del proprio stato nonché dei doveri<br />

di giustizia e carità verso il prossimo secondo gli obblighi di ognuno;<br />

il desiderio <strong>della</strong> perfezione con spirito di fervore sostanziale<br />

<strong>della</strong> volontà nel tendervi; la docilità alle ispirazioni <strong>della</strong> grazia;<br />

un certo spirito di mortificazione.<br />

La messa in opera di questi mezzi anche formulati genericamente<br />

come sopra, richiede praticamente, sebbene a gradi e con sfumature<br />

diverse per ognuno, l'impegno di tutte le facoltà dell'uomo: intelligenza,<br />

volontà, affettività, ecc. Essa è necessariamente nello stesso<br />

tempo esercizio delle virtù teologali e morali e purificazione dalle<br />

tendenze cattive o imperfette, ciò che implica sempre una lotta più<br />

o meno penosa.<br />

Diversità possibili intorno all'ulteriore specificazione e concretizzazione<br />

degli stessi mezzi. Esempi. — Se i predetti mezzi comuni<br />

nella loro formulazione generale sono certamente necessari a tutti,<br />

1 Pp. 178-79.


618 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

non così un'ulteriore specificazione e concretizzazione degli stessi.<br />

Qui dunque, nell'ambito <strong>della</strong> stessa spiritualità cattolica, vi sarà<br />

largo margine per differenziazioni anche notevoli. Ed è qui che s'innesta<br />

la possibilità di diverse scuole o tendenze di spiritualità. Esse<br />

nascono essenzialmente dall'impiego, per raggiungere lo scopo a tutte<br />

comune, di mezzi diversi, in quanto specificazioni e concretizzazioni<br />

diverse dei mezzi comuni necessari per tutti. Una serie di esempi<br />

farà meglio capire di che cosa si tratta.<br />

Un certo uso e frequenza dei sacramenti, in specie dell'eucaristia<br />

è mezzo comune e necessario per qualsiasi tendenza alla perfezione<br />

cristiana. Ma l'intensità di questa frequenza e di quest'uso, nonché<br />

l'importanza psicologica che gli si darà, può variare immensamente<br />

da uno all'altro in un determinato modo complessivo di tendere concretamente<br />

alla perfezione.<br />

Una certa partecipazione alla <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> Chiesa, almeno a<br />

quella del sacrificio <strong>della</strong> messa, è pure mezzo comune e necessario<br />

per tutti, ma, anche qui, la frequenza di questa partecipazione e<br />

l'importanza psicologica che le si darà tra gli altri mezzi per tendere<br />

alla perfezione, può variare anche moltissimo.<br />

L'esatto compimento dei doveri del proprio stato è mezzo indispensabile.<br />

Ma lo stato di vita, per ognuno, entro un larghissimo margine,<br />

è oggetto di libera scelta. Sebbene in ogni stato di vita per se<br />

onesta si debba servire Dio e tendere alla perfezione cristiana, tuttavia<br />

ogni stato di vita tende a un suo fine particolare, che, rispetto al<br />

fine comune <strong>della</strong> perfezione cristiana, fa funzione di mezzo particolare.<br />

Altro è il fine proprio dello stato coniugale, altro quello del<br />

sacerdote diocesano, altro quello del religioso e <strong>della</strong> religiosa, e<br />

tra gli stessi religiosi altrettanti sono i fini propri quanti gli ordini.<br />

<strong>Il</strong> mezzo comune e necessario del compimento dei doveri del proprio<br />

stato può dunque specificarsi e concretizzarsi in una grande varietà.<br />

E poiché il compimento dei doveri del proprio stato è certamente<br />

un elemento di grande importanza nella spiritualità in genere, ecco<br />

che la varietà dei diversi stati di vita influirà non poco come elemento<br />

diversificatore di spiritualità entro i limiti generali comuni <strong>della</strong><br />

spiritualità cattolica.<br />

Con i doveri particolari di ogni stato è anche connesso un particolare<br />

quadro di vita che determina in modo essenziale una serie<br />

di punti nella vita particolare di ognuno come: i rapporti con gli<br />

altri in quanto alla loro quantità e frequenza, in quanto allo spirito<br />

con il quale verranno fatti, e in quanto alle persone che saranno<br />

frequentate; l'orario <strong>della</strong> giornata e <strong>della</strong> notte; la quantità di tempo<br />

assegnata a ogni dovere e, in specie, ai doveri di pietà; le preoccupazioni<br />

dominanti di ognuno; il genere di lavoro. In questi punti<br />

è molto diverso il quadro di vita nel quale deve vivere e santificarsi<br />

poniamo un parroco, un commerciante, un eremita, un missionario<br />

in paese pagano, un assistente d'azione cattolica, una monaca di<br />

clausura, una suora ospedaliera, un giornalista. E ovvia l'importanza<br />

dei diversi quadri di vita che si avranno specialmente di mira per


ELEMENTI DIVERSIFICATIVI 619<br />

determinare le singole spiritualità. Quando oggi, per esempio, si parla<br />

<strong>della</strong> necessità di una spiritualità per i laici e di una spiritualità per<br />

il clero diocesano si vuole semplicemente attirare l'attenzione sulla<br />

necessità che si tenga debitamente conto dei doveri di stato particolari<br />

e del quadro di vita proprio del laicato e del clero diocesano<br />

nel modo specifico di concepire e di presentare loro il dovere e la<br />

via <strong>della</strong> tendenza alla perfezione cristiana.<br />

La meditazione e la preghiera, anzi un notevole spirito di meditazione<br />

e di preghiera in tutta la vita, sono mezzi a tutti comuni e<br />

necessari nella tendenza alla perfezione cristiana. Ora meditazione<br />

e preghiera implicano un certo concentramento di attenzione vitale<br />

e di affettività sull'insieme delle verità presentate dal dogma cattolico.<br />

Sebbene il cattolico debba accettare tutto il dogma nel suo<br />

insieme e, in qualche modo, debba anche vivere di tutte le verità<br />

da esso proposte, tuttavia, in un determinato individuo o gruppo di<br />

individui, l'attenzione psicologica e l'affettività può concentrarsi piuttosto<br />

sopra un punto che sopra un altro. Così nella sua attenzione<br />

vitale il primo punto sarà direttamente al primo piano e costituirà<br />

il grande dinamismo <strong>della</strong> vita, mentre gli altri saranno considerati<br />

e vissuti partendo dal primo. Questo è tanto più legittimo in quanto il<br />

dogma cattolico è un insieme vitale le cui singole parti sono intimamente<br />

connesse, per cui chi vive a fondo un punto qualsiasi è portato<br />

necessariamente a viverli tutti, sebbene, per così dire, in un certo<br />

ordine e come in una certa sintesi propria partendo dal primo punto.<br />

Così è possibile dare la massima attenzione vitale al dogma dell'inabitazione<br />

delle persone <strong>della</strong> Trinità nell'anima di ogni giusto e,<br />

da questo dogma, considerare vitalmente e vivere realmente gli altri,<br />

in modo da fare di esso il grande dinamismo verso la perfezione. Così<br />

fece, per esempio, Suor Elisabetta <strong>della</strong> Trinità. Ma. altrettanto si<br />

può fare partendo dal dogma dell'adozione a figli di Dio, come fa<br />

Dom Marmion; o partendo dal dogma degli stati d'animo del Verbo<br />

incarnato, come fa la cosiddetta scuola francese di spiritualità. L'attenzione<br />

vitale più intensa data a un dogma o a un gruppo di dogmi<br />

rispetto agli altri, può dunque essere sorgente di notevoli sfumature<br />

e come di tonalità diverse nel seno <strong>della</strong> stessa spiritualità cattolica.<br />

Si può dire altrettanto considerando i diversi aspetti di un singolo<br />

dogma. Nella Trinità, poniamo, uno può concentrarsi più sulla<br />

vita trinitaria interna e un altro più sul movimento cristologico-trinitario<br />

degli interventi di Dio nel mondo, com'è stato spiegato nel capitolo<br />

VII. In Cristo si può considerare maggiormente il Dio, anziché<br />

l'uomo, e nell'uomo si può partire ora da Gesù che nacque, visse, patì<br />

e morì in Palestina, e ora piuttosto dal Kyrios del mistero pasquale<br />

come si è detto al capitolo Vili.<br />

Nell'eucaristia si può mettere l'accento ora sul sacrificio, e specialmente<br />

sul sacrificio <strong>della</strong> Chiesa, e ora sulla presenza reale.<br />

Con i fenomeni precedenti è connesso quello delle devozioni<br />

particolari e delle pratiche devozionali. Mi pare si possano chiamare<br />

devozioni, nel <strong>senso</strong> medievale e moderno, delle abituali attenzioni


620 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

psicologiche preferenziali personali di individui o di gruppi privati,<br />

assieme ad una preferenziale corrispondente concentrazione affettiva,<br />

date a un certo aspetto <strong>della</strong> rivelazione, o a una sua concretizzazione<br />

specifica, più forti di quelle a cui induce, per se stessa, la presentazione<br />

di questo aspetto come avviene nella proposizione generale<br />

e relativa dei singoli dogmi fatta ufficialmente dal magistero, in specie<br />

nel panorama generale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Dalle devozioni in questo <strong>senso</strong><br />

derivano prassi ed esercizi devozionali extraliturgici di pietà, nei<br />

quali si esprime e si nutre la predetta speciale attenzione ed affettività.<br />

Così, per esempio, la devozione all'eucaristia come presenza reale<br />

sarà, in un individuo, una sua concentrazione abituale di attenzione<br />

vitale e di affetto sul dogma <strong>della</strong> presenza reale di Cristo nell'eucaristia,<br />

concentrazione che in questo individuo è di particolare intensità<br />

rispetto all'attenzione abituale vitale e all'affetto che dà agli altri<br />

dogmi, mentre a tale particolare e preferenziale concentrazione non<br />

induce per sé il rilievo relativo dato a questo dogma rispetto agli altri<br />

nella presentazione ufficiale che ne fa il magistero, per esempio, nella<br />

<strong>liturgia</strong>. La devozione al Sacro Cuore è, invece, non solo una concentrazione<br />

preferenziale di attenzione vitale e di affetto sul dogma dell'amore<br />

di Cristo e di tutta la vita intima <strong>della</strong> sua persona, ma anche<br />

la concretizzazione di questo dogma nel simbolo di quel membro del<br />

suo corpo che è il suo Cuore di carne. Le visite private al Santissimo<br />

o l'uso dei nove primi venerdì del mese sono, per esempio, delle pratiche<br />

devozionali nelle quali si esprimono o si nutrono le predette<br />

devozioni. È chiaro che anche le devozioni e le pratiche devozionali<br />

nel loro oggetto proprio, nell'intensità e nell'importanza che assumono<br />

nel complesso totale <strong>della</strong> vita spirituale, sono elementi notevolmente<br />

differenziatori di diversi tipi di spiritualità.<br />

Altri elementi differenziatori possono essere i « metodi » psicologici<br />

di meditazione, di preghiera, di esami di coscienza, ecc., come concretizzazioni<br />

specifiche dei mezzi generali comuni <strong>della</strong> preghiera, delle<br />

meditazioni, dell'esame di se stesso. Le letture e le conferenze spirituali<br />

sono anch'esse concretizzazioni particolari del mezzo generale<br />

<strong>della</strong> meditazione, <strong>della</strong> preghiera, dell'esame di se stesso, e sono elemento<br />

diversificativo tra i diversi tipi di spiritualità, per gli autori<br />

raccomandati, per i temi preferiti, per i metodi seguiti.<br />

Altro elemento diversificativo di notevole importanza è l'equilibrio<br />

specifico che in un determinato tipo di spiritualità si dà in tutto il<br />

complesso <strong>della</strong> vita spirituale all'esercizio delle diverse facoltà<br />

psicologiche umane, specialmente intelletto, volontà, affetto. Sebbene<br />

in ogni spiritualità cattolica tutte queste facoltà dovranno in qualche<br />

modo essere esercitate, tuttavia l'importanza relativa che nel complesso<br />

si dà ora all'una e ora all'altra può essere assai diversa. Così<br />

si avranno spiritualità di tipo prevalentemente intellettuale come nello<br />

Pseudo Dionigi o in Taulero, altre di tipo prevalentemente volontarista,<br />

come in S. Ignazio di Loyola, altre di tipo prevalentemente<br />

affettivo come in S. Bernardo o in S. Francesco d'Assisi. E in ognuno<br />

di questi tipi vi potranno essere ulteriori e notevoli sfumature.


ELEMENTI DIVERSIFICATIVI 621<br />

Ogni spiritualità cattolica deve necessariamente basarsi sul fatto<br />

che nell'atto soprannaturale devono intervenire tanto Dio che l'uomo,<br />

tanto la grazia che lo sforzo umano. Ma, anche qui, le sfumature<br />

psicologiche nel badare con una certa insistenza ora più all'uno o<br />

ora più all'altro dei due fattori, possono avere conseguenze non piccole<br />

nel carattere che avrà una spiritualità. In una potrà dominare<br />

la coscienza e la preoccupazione dello sforzo umano da farsi, sebbene<br />

con la grazia, e in un'altra la coscienza <strong>della</strong> grazia divina cui deve<br />

cooperare lo sforzo umano.<br />

Similmente, vedendo la cosa sotto l'aspetto del binomio oggettosoggetto,<br />

non c'è spiritualità cattolica che non debba considerare e<br />

tenere in debito conto sia l'uno che l'altro. Ma, anche qui, ci possono<br />

essere sfumature diverse. L'abbiamo già spiegato nel capitolo VI:<br />

alcuni possono mettere l'accento sull'oggetto, altri invece sul soggetto,<br />

o almeno dare al soggetto un'attenzione diretta assai più intensa<br />

degli altri.<br />

Lo stesso si dica del binomio: individuo-comunità. Ogni spiritualità<br />

cattolica deve essere nello stesso tempo e fondamentalmente<br />

individuale e comunitaria. Ma gli uni baderanno anzitutto alla comunità<br />

nella quale e per la quale deve salvarsi l'individuo; gli altri<br />

all'individuo che deve salvarsi nella comunità e per la comunità.<br />

In ogni spiritualità cattolica vi deve essere un intenso esercizio<br />

di virtù morali e teologali nonché la persuasione <strong>della</strong> superiorità<br />

delle teologali. Ma, anche qui, entro i limiti dell'ortodossia, vi possono<br />

essere diversità di accenti che possono costituire elementi non<br />

trascurabili di differenziazione tra diversi tipi di spiritualità. Vi può<br />

essere una psicologia che si preoccupa anzitutto dell'esercizio delle<br />

virtù morali che hanno per oggetto immediato non Dio stesso, il fine<br />

ultimo di tutte le virtù, ma una certa materia umana da usare concretamente<br />

in modo debito come mezzo per arrivare al fine. Dio, raggiunto<br />

immediatamente dalle sole virtù teologali. Chi è dominato<br />

da questa psicologia si preoccupa per prima cosa di rettificare se<br />

stesso verso le cose umane badando anzitutto, per così dire, a porre<br />

il saldo fondamento <strong>della</strong> rettificazione dei suoi appetiti nell'uso delle<br />

cose create per poter quindi meglio comportarsi verso Dio nell'esercizio<br />

spedito delle virtù teologali e massimamente <strong>della</strong> carità.<br />

Altri, invece, possono mettere l'accento psicologico sull'esercizio delle<br />

virtù teologali, che hanno Dio per oggetto immediato. Essi si preoccuperanno<br />

anzitutto di raggiungere questo sommo oggetto nel modo<br />

migliore, avendolo molto insistentemente in vista anche quando esercitano<br />

le preparatorie virtù morali e facendo non poco affidamento<br />

sulla forza, indirettamente e come di riflesso, rettificatrice e purificatrice<br />

delle stesse virtù teologali rispetto agli appetiti umani verso<br />

le cose create.<br />

Inoltre, tra le stesse virtù morali ci si può concentrare ora<br />

maggiormente sull'una e ora maggiormente sull'altra e farne, in certo<br />

modo, il pernio di tutto il dinamismo verso la perfezione, come, per<br />

esempio, sull'ubbidienza, sulla penitenza, sulla povertà, sull'umiltà.


622 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

È vero che quando una tale virtù tende seriamente ad essere in qualcuno<br />

un notevole centro unificatore e coordinatore di tutta la psicologia<br />

spirituale, essa tende, con ciò stesso, ad allargarsi, fino a unire<br />

fortemente, e quasi confondere, il proprio concetto con quello delle<br />

altre virtù, specialmente teologali, o anche di tutta la vita spirituale.<br />

È quanto avviene, per esempio, al concetto penthos o compunctio<br />

nella tradizione monastica antica; a quello di « umiltà » in S. Benedetto<br />

e di « povertà » in S. Francesco d'Assisi.<br />

E questo è naturale ed inevitabile, a causa, appunto, <strong>della</strong> profonda<br />

unità delle virtù e <strong>della</strong> vita spirituale, per cui, chi ne approfondisce<br />

vitalmente una, ritrova necessariamente tutte le altre. Ma,<br />

tuttavia, rimane vero che tale ritrovamento e tale sintesi si fa in<br />

questo caso partendo da una ben determinata virtù morale, per cui<br />

il risultato finale, nel suo complesso, ha un carattere ben distinto<br />

da altre sintesi vitali, fatte, con gli stessi materiali, da altri punti<br />

di vista.<br />

Ma anche tra coloro che mettono l'accento sull'esercizio delle<br />

virtù teologali vi possono essere differenze talvolta marcate, sia perché<br />

fede, speranza (identificata si noti bene con fiducia o sentimento<br />

fiduciale) e carità sono virtù diverse, sia anche perché la stessa carità<br />

teologica ha per oggetto materiale primario Dio stesso e secondario<br />

ogni creatura razionale capace <strong>della</strong> beatitudine eterna. Mettendo<br />

l'accento psicologico ora su Dio direttamente, ed ora sulla creatura<br />

amata per Dio come oggetto materiale secondario <strong>della</strong> carità teologica,<br />

si avranno sintesi di vita spirituale notevolmente diverse, come<br />

sono diverse, per esempio, la spiritualità certosina dalla spiritualità<br />

apostolica, poniamo, di S. Vincenzo de' Paoli o quella preconizzata<br />

per il clero parrocchiale dal Thils o dal Michonneau.<br />

Finalmente, abbiamo visto che aspetto ascetico e aspetto mistico<br />

<strong>della</strong> vita spirituale, con gli stati corrispondenti, sono distinzioni non<br />

solo legittime, ma necessarie. Dalla loro distinzione e dalla loro intima<br />

unione nessuna spiritualità cattolica può fare astrazione, anche a parte<br />

la posizione che si adotta intorno alla questione dibattuta delle relazioni<br />

tra perfezione cristiana e vita mistica e <strong>della</strong> chiamata universale<br />

alla vita mistica. Tuttavia resta evidente che tutta la spiritualità,<br />

come dottrina <strong>della</strong> tendenza alla perfezione cristiana, avrà un colore<br />

notevolmente diverso a seconda dell'atteggiamento generale che si<br />

prende nelle predette questioni. Si avrà cioè : sia una spiritualità notevolmente<br />

incentrata sull'aspetto ascetico, come quella, per esempio,<br />

di S. Ignazio di Loyola o di S. Vincenzo de' Paoli, sia una spiritualità<br />

nella quale tutto il complesso è francamente indirizzato verso l'esperienza<br />

mistica, come, per esempio, in S. Teresa, in S. Giovanni <strong>della</strong><br />

Croce e in genere nella tradizione carmelitana che ne è derivata.


COSA DETERMINA UNA SPIRITUALITÀ 623<br />

Conclusione<br />

Questi sembrano gli elementi diversificatori di maggiore impor<br />

tanza che, nel seno <strong>della</strong> stessa spiritualità cattolica, possono dare<br />

origine a diverse spiritualità. È chiaro perciò che, a distinguere una<br />

spiritualità da un'altra nel <strong>senso</strong> <strong>della</strong> spiritualità cattolica non è<br />

il fatto che in una siano presenti elementi assenti in un'altra, se tali<br />

elementi vengono considerati e formulati in modo generico. Quello<br />

che distingue una spiritualità da un'altra è semplicemente la concretizzazione<br />

diversa degli stessi elementi comuni generici dogmatici,<br />

morali, ascetici, mistici, liturgici, biblici, devozionali e, specialmente,<br />

l'equilibrio armonico totale diverso ottenuto dall'ordinamento sintetico<br />

vitale diverso di quegli stessi elementi, per la prevalenza psicologico-vitale<br />

data ora all'uno e ora all'altro. Un po' come, per riprendere<br />

il giusto paragone del P. De Guibert 5 , con gli stessi fiori, specialmente<br />

se numerosi e vari, come appunto numerosi e vari sono gli<br />

elementi componenti una spiritualità, si possono fare tanti mazzi<br />

d'aspetto diverso; o ancora come con le stesse pietre di costruzione<br />

e rispettando le esigenze fondamentali di una casa, si possono costruire<br />

case di stile diverso e i cui ambienti siano anche diversamente<br />

ordinati, secondo i bisogni o i gusti particolari.<br />

Diciamo, secondo i bisogni e i gusti particolari. Qui si tocca la<br />

questione <strong>della</strong> causa che, nei singoli individui o gruppi d'individui,<br />

dà origine ad una determinata spiritualità piuttosto che ad un'altra.<br />

E questa è, appunto, l'insieme diverso costituito da diversità di natura,<br />

d'indole, di educazione, di circostanze speciali <strong>della</strong> vita, di<br />

vocazione diversa, di diversi doni <strong>della</strong> grazia, dei diversi stati e<br />

quadri di vita che si hanno specialmente di mira; dalle diverse necessità<br />

<strong>della</strong> Chiesa. E chiaro che in questa materia, le creazioni vengono<br />

da esperienze vitali e non da costruzioni artificiose o cerebrali. Quindi<br />

l'importanza, in questo campo, di grandi personalità religiose, come<br />

fondatori d'ordini, o di movimenti religiosi nel loro periodo creativo<br />

e di fervore.<br />

Non è nostro compito entrare ulteriormente nella determinazione<br />

delle diverse scuole o tendenze storiche o attuali di spiritualità, che<br />

nacquero e, in parte, fioriscono tuttora nella Chiesa. Specialmente<br />

non è nostro compito distinguerle e caratterizzarle sufficientemente<br />

le une di fronte alle altre. Compito difficile, non solo perché i lavori<br />

fin qui fatti in proposito sono pochi e condotti spesso con criteri<br />

tutt'altro che soddisfacenti 6 , ma anche perché, come in tutte le cose<br />

5 En quoi diffèrent réellement les diverses écoles catholiques de spirìtualité?<br />

in: Gregorianum 19 (1938) 263-76. Dello stesso autore: La spirìtualité de la compagnie<br />

de Jesus, Roma 1953 p. XVII ss.<br />

6 Ottima l'opera del P. DE GUIBERT, La spirìtualité de la compagnie de Jesus,<br />

Roma 1953. Poco soddisfacenti, invece, in questo campo, i tentativi di opere in<br />

collaborazione, nelle quali si è affidato l'incarico di fare un profilo delle singole<br />

spiritualità a uno dei loro supposti rappresentanti. <strong>Il</strong> risultato ne è spesso che


624 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

vitali, se in certi estremi le differenze sono abbastanza accusate, in<br />

molti altri casi ci si trova di fronte a limiti indistinti come i limiti<br />

tra i colori di un arcobaleno.<br />

2. NOZIONE E CARATTERISTICHE GENERALI<br />

DELLA SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

Le precendenti osservazioni intorno al concetto di spiritualità<br />

in genere e a quello di diverse spiritualità pur nell'unica spiritualità<br />

cattolica, hanno lo scopo di permetterci di chiarire il concetto di<br />

spiritualità liturgica.<br />

Nozione<br />

Cos'è, dunque, la spiritualità liturgica? Possiamo ora rispondere<br />

in breve: la spiritualità liturgica è quella spiritualità nella quale la<br />

concretizzazione specifica e il relativo ordinamento sintetico proprio<br />

dei diversi elementi comuni ad ogni spiritualità cattolica come mezzi<br />

verso la perfezione cristiana, sono determinati dalla stessa <strong>liturgia</strong>.<br />

Non sarebbe necessario, ma per tranquillizzare i timorosi si può aggiungere<br />

: ... determinati dalla stessa <strong>liturgia</strong> vissuta da ognuno secondo<br />

le convenienze del proprio stato. Alcune osservazioni faranno<br />

capire meglio la portata di questa nozione.<br />

Anzitutto non dovrebbe essere necessario fare nuovamente osservare<br />

che, quando si dice che la spiritualità liturgica è quella determinata<br />

dalla <strong>liturgia</strong>, s'intende <strong>liturgia</strong> nel <strong>senso</strong> plenario che tutta<br />

quest'opera ha per scopo di spiegare e non, per esempio, nel <strong>senso</strong><br />

di rubriche o di apparato esterno dei riti. Se si ritiene <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

il concetto rubricistico o ritualistico, parlare di spiritualità liturgica<br />

è poco meno che assurdo.<br />

Inoltre, dopo quanto è stato sopra chiarito, dovrebbe apparire<br />

una verità lapalissiana che una spiritualità liturgica non solo non ha<br />

uno scopo diverso da quello comune ad ogni spiritualità e che è<br />

di tendere alla perfezione cristiana dell'essere nella grazia e dell'agire<br />

nella carità, ma contiene anche necessariamente, se formulati nella loro<br />

genericità, tutti gli elementi comuni di ogni spiritualità cattolica,<br />

i singoli hanno descritto la spiritualità del proprio gruppo per elementi generici<br />

e quindi comuni. E non di rado ci si trova più di fronte a un panegirico <strong>della</strong><br />

propria spiritualità che a una seria determinazione. Vedi, per es., LE SCUOLE<br />

CATTOLICHE DI SPIRITUALITÀ, Settimana di spiritualità promossa dall'università del<br />

S. Cuore, Roma, Aprile 1943, 3 ed. Milano, Vita e pensiero 1949. Sopra un argomento<br />

particolare: IL SACERDOTE E LA SPIRITUALITÀ. Ciclo di lezioni all'università<br />

Gregoriana, nel 1945, Roma 1946; J. GAUTIER, avec la collaboration de..., La spiritualità<br />

catholique, Paris 1953; SEID VOLLKOMMEN, Formen und Fùhrung christlicher<br />

Aszese, herausg. K. RUDOLF, Wien 1955.


NOZIONE DELLA SPIRITUALITÀ LITURGICA 625<br />

come mezzi comuni nella tendenza alla stessa perfezione. Verità<br />

lapalissiana, ma, perciò stesso, tanto più importante anche nel campo<br />

pratico per impedire, per esempio, che qualcuno — sia esso sostenitore<br />

o nemico del movimento liturgico — s'immagini che la spiritualità<br />

liturgica è la spiritualità di colui che ritiene bastare, per tendere<br />

efficacemente alla perfezione cristiana, l'uso dei mezzi che ci offre<br />

l'azione liturgica stessa; intendendo con ciò che non è necessario,<br />

per esempio, coltivare fuori dell'azione liturgica un generale desiderio<br />

<strong>della</strong> perfezione, lo spirito di preghiera e di meditazione con la<br />

debita attenzione vitale ai singoli dogmi <strong>della</strong> fede, il controllo di se<br />

stesso e delle proprie tendenze, lo spirito di mortificazione, uno spirito<br />

di sostanziale fervore <strong>della</strong> volontà, la docilità alle ispirazioni <strong>della</strong><br />

grazia, senza parlare del compimento dei doveri del proprio stato e<br />

dell'esercizio, anche penoso e purificatore, delle virtù morali '.<br />

Nella pratica gli sviamenti più o meno coscienti sono sempre<br />

possibili. Che, comunque, non sia inutile premunire contro tali sviamenti<br />

sulle soglie stesse di un discorso intorno alla spiritualità liturgica,<br />

basterebbero a dimostrarlo certune di quelle tendenze che si<br />

manifestarono prima dell'enciclica Mediator Dei e contro le quali<br />

l'enciclica stessa dovette intervenire 8 . Sia dunque ben chiaro che<br />

la spiritualità liturgica è una spiritualità che si estende non solo<br />

a quei momenti nei quali il fedele partecipa all'azione liturgica, ma<br />

a tutta la sua vita anche fuori dell'azione liturgica, impegnandola interamente<br />

nella tendenza verso la perfezione cristiana ed estendendo<br />

alla vita intera l'uso di quei mezzi comuni che a questo scopo sono<br />

indispensabili in ogni spiritualità cattolica.<br />

Quello che è proprio <strong>della</strong> spiritualità liturgica è semplicemente<br />

che, sia nella stessa azione liturgica, sia fuori di essa, la concretizzazione<br />

specifica e l'ordinamento sintetico relativo di quei mezzi comuni<br />

è determinato dalla <strong>liturgia</strong> stessa. Questo significa che il modo in cui<br />

gli elementi comuni di ogni spiritualità cattolica sono praticamente<br />

presentati, realizzati e vissuti nella <strong>liturgia</strong>, sia singolarmente in se<br />

stessi, sia nell'importanza relativa che viene loro data, è accettato<br />

non solo come il modo concreto di vedere e vivere la realtà cristiana<br />

e di tendere alla perfezione durante i momenti dell'azione liturgica,<br />

ma anche in tutto il resto <strong>della</strong> vita fuori dell'azione liturgica. Per<br />

cui la forma mentis, per così dire, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> si riflette in tutto<br />

il resto <strong>della</strong> vita come tendenza alla perfezione e lo determina.<br />

Non già nel <strong>senso</strong> che non siano ammessi elementi che non si trovano<br />

affatto nella <strong>liturgia</strong>. Questo irriplicherebbe, per esempio, che<br />

una spiritualità liturgica esclude la prassi del rosario o <strong>della</strong> via<br />

crucis o delle penitenze corporali perché non si trovano nella <strong>liturgia</strong>!<br />

Ma nel <strong>senso</strong> che tutto quello che è assunto nella spiritualità<br />

• Così, per esempio, intende la spiritualità liturgica F. VINCENT, La spiritualité<br />

salesienne, in: J. GAUTIER, La spiritualité catholique, Paris 1953 pp. 211-212.<br />

Dopo di che, naturalmente, è un gioco da bambino per il grave autore deridere<br />

tale « spiritualità ».<br />

" N. 121-135; 171-183.


626 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

liturgica è intonato allo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, è messo in connessione<br />

con esso, è regolato dallo stesso nella quantità e nella qualità.<br />

Regolato da esso vuol dire ordinato e subordinato alla <strong>liturgia</strong> i cui<br />

valori sono ritenuti fonte e sole di tutta la vita nella tendenza alla<br />

perfezione.<br />

L'ordinamento e il subordinamento di tutto il resto alla <strong>liturgia</strong>,<br />

nella spiritualità liturgica, vuol dire che tutto il resto, fuori <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, è considerato e vissuto o come preparazione all'azione liturgica<br />

o come suo derivamento e ampliamento. Così la preghiera e<br />

la meditazione privata, le devozioni private e gli altri esercizi pii<br />

fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>; così le mortificazioni private, le letture e lo studio,<br />

il compimento dei doveri del proprio stato, il ministero apostolico, ecc.<br />

Si è détto che nella spiritualità liturgica l'ordinamento e la qualità<br />

degli elementi che compongono la vita spirituale vengono determinati<br />

dalla <strong>liturgia</strong> vissuta da ognuno secondo le convenienze<br />

del proprio stato. Ciò per chiarire sin dal principio che la spiritualità<br />

liturgica non richiede affatto un particolare stato di vita piuttosto<br />

che un altro ma si adatta a tutti gli stati e di conseguenza non<br />

può essere un fattore di livellamento delle varietà e delle diverse caratteristiche<br />

che questi legittimamente comportano.<br />

Pertanto il predominio che nella spiritualità liturgica esercita<br />

la stessa azione liturgica sul resto dell'attività umana nella tendenza<br />

alla perfezione, è un predominio qualitativo, non necessariamente<br />

anche quantitativo. <strong>Il</strong> predominio anche quantitativo dell'azione liturgica<br />

nella vita si ha quando nell'orario stesso di una giornata, o<br />

<strong>della</strong> vita in genere, la quantità di tempo assegnata alla partecipazione<br />

nell'azione liturgica è tanto notevole da predominare anche<br />

estensivamente sulle altre preoccupazioni almeno spirituali. Invece,<br />

il predominio qualitativo si ha quando anche se, estensivamente<br />

parlando, le occupazioni non liturgiche costituiscono la maggior<br />

parte delle occupazioni abituali di un uomo, tuttavia vengono in<br />

modo tale sintonizzate alla mente <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> da essere vissute in<br />

uno spirito di preparazione all'azione liturgica principalmente <strong>della</strong><br />

messa, o come derivazione da essa.<br />

<strong>Il</strong> predominio quantitativo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in una vita, per esempio<br />

presso persone che hanno la vita corale, per quanto la cosa possa<br />

essere strana e anormale, non porta con sé automaticamente anche<br />

il suo predominio qualitativo. Purtroppo, non è tanto straordinario<br />

il caso di persone che passano una buona parte <strong>della</strong> loro vita<br />

nell'adempimento degli uffici liturgici, le quali, anche dopo tanti<br />

anni, non hanno ancora scoperto la <strong>liturgia</strong>.<br />

Quanto detto fin qui non fa altro che rilevare idee nettamente<br />

affermate o implicate negli articoli 9-12 <strong>della</strong> Costituzione sulla Liturgia<br />

del Concilio Vaticano II. Le seguenti due proposizioni sono<br />

determinanti.<br />

Primo, il principio generale che: «La sacra <strong>liturgia</strong> non esaurisce<br />

tutta l'azione <strong>della</strong> Chiesa » 9 . Questo principio, nello stesso<br />

» Art. 9.


TRATTI DELLA SPIRITUALITÀ LITURGICA 627<br />

articolo, è dapprima applicato alle azioni di ministero e di apostolato.<br />

Poi, nell'articolo 10, viene esteso alla vita spirituale in genere : « La<br />

vita spirituale tuttavia non si esaurisce nella sola partecipazione alla<br />

<strong>liturgia</strong>. <strong>Il</strong> cristiano, infatti, benché chiamato alla preghiera in ce?<br />

mune, è sempre tenuto a entrare nella sua stanza per pregare il<br />

Padre in segreto; anzi, secondo l'insegnamento dell'Apostolo, è tenuto<br />

a pregare incessantemente. <strong>Il</strong> medesimo Apostolo poi ci insegna<br />

a portare continuamente nel nostro corpo i patimenti di Gesù<br />

morente, affinché la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale.<br />

È per questo che nel sacrificio <strong>della</strong> Messa preghiamo il Signore<br />

che « accettando l'offerta spirituale » faccia « di noi stessi un'offerta<br />

eterna ».<br />

In secondo luogo, la proclamazione del principio ugualmente<br />

generale che : « Nondimeno la <strong>liturgia</strong> è il culmine verso cui tende<br />

l'azione <strong>della</strong> Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la<br />

sua virtù » 10 . Ed anche questo principio è applicato dapprima, nello<br />

stesso articolo 10, alle azioni di ministero e di apostolato, e poi,<br />

nell'articolo 13, alle azioni di pietà e di ascesi propriamente dette<br />

che si compiono fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e sono dette appunto « pii esercizi<br />

». I quali sono vivamente raccomandati, a patto però che si armonizzino<br />

con la <strong>liturgia</strong> in modo tale che « da essa traggano in<br />

qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua natura di gran lunga<br />

superiore, conducano il popolo cristiano ».<br />

Anche nel campo <strong>della</strong> vita spirituale propriamente detta la<br />

<strong>liturgia</strong> viene dunque proposta dal concilio non già come l'elemento<br />

assorbitore, ma come il fattore ordinatore e informatore di tutto<br />

il resto: in una parola, come culmine verso cui tende l'insieme e<br />

nello stesso tempo come fonte da cui promana tutta la sua virtù.<br />

È esattamente il concetto di spiritualità liturgica sopra delineato.<br />

Alcune caratteristiche generali <strong>della</strong> spiritualità liturgica<br />

considerate nell'azione liturgica stessa<br />

Tale essendo la natura generica <strong>della</strong> spiritualità liturgica, quali<br />

sono, viste un po' più da vicino, le principali sue caratteristiche?<br />

Queste caratteristiche si devono determinare anzitutto nell'azione<br />

liturgica stessa e vederne poi i riflessi nelle forme extraliturgiche<br />

<strong>della</strong> pietà, dei pii esercizi e dell'attività in genere.<br />

La caratteristica <strong>della</strong> spiritualità liturgica che colpisce in primo<br />

luogo e come di primo acchito, è, probabilmente, il forte accento che<br />

mette sull'aspetto comunitario ecclesiale <strong>della</strong> salvezza. Ogni spiritualità<br />

cattolica, come si è detto, è necessariamente e nello stesso<br />

tempo individuale e comunitaria. Ma, poiché nella spiritualità liturgica<br />

è proprio l'azione liturgica che determina qualitativamente<br />

l'equilibrio speciale, nel quale sono considerati e vissuti tutti gli eie-<br />

") Art. 10.


628 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

menti comuni di ogni spiritualità e tale azione liturgica si presenta<br />

anzitutto come azione comunitaria, non solo nella sua essenza per<br />

così dire recondita, ma, connaturalmente, anche nella sua espressione<br />

estrinseca e nella sua più intima psicologia, l'aspetto comunitario<br />

nella spiritualità liturgica è necessariamente al primo piano.<br />

Non comunitario di massa informe e confusionariamente ugualitaria,<br />

ma comunitario gerarchico, secondo la stessa struttura <strong>della</strong><br />

Chiesa. Ne segue che una spiritualità liturgica senza una psicologia e<br />

una sensibilità religiosa comunitaria non è possibile, anche se il<br />

fedele fosse, per caso, un assiduo <strong>della</strong> chiesa e delle formule liturgiche.<br />

Per formare alla spiritualità liturgica bisogna dunque porre<br />

la massima cura a creare e plasmare questa sensibilità religiosa e<br />

questa psicologia spirituale comunitaria. <strong>Il</strong> pericolo per eccesso che<br />

si dovrà evitare sarà qui di trascurare la sintonia personale dell'individuo<br />

alle realtà oggettive e comunitarie.<br />

Come si è spiegato, uno dei punti importanti di differenziazione<br />

d'una spiritualità è l'equilibrio relativo in cui sono presentati e vissuti<br />

i diversi dogmi <strong>della</strong> fede. Quale sia l'equilibrio proprio <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> in questo campo, già lo conosciamo, specialmente dalla seconda<br />

parte di questo lavoro. Ricordiamoci il panorama: dai sacramenta,<br />

specialmente dalla messa, e dall'assemblea del popolo di Dio<br />

vissuti in atto, si sale al quadro generale dei rapporti tra Dio e<br />

l'uomo e alla storia come storia sacra, profondamente unitaria in<br />

tutte le sue fasi, dalla creazione e dall'Antico Testamento alla Gerusalemme<br />

celeste; storia sempre in atto che, investendo l'individuo,<br />

si compie sempre hic et nunc sotto il velo dei segni sacri sensibili ed<br />

efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa, anzitutto nella<br />

messa, e quindi nella corrispondente sintonia morale ascetica e mistica<br />

di ognuno. Poi : il movimento cristologico trinitario che da Dio<br />

scende all'uomo e dall'uomo risale a Dio nella formula dal Padre,<br />

per il Figlio, nello Spirito Santo, al Padre, Trinità beata, un solo Dio<br />

in tre persone.<br />

L'affascinante e sempre presente mediazione di Cristo Dio e<br />

uomo, nostro capo e grande sacerdote, che visse sulla terra e patì<br />

e morì, compiendo sul Golgota il sacrificio di se stesso, ma risuscitato<br />

e ora glorioso alla destra del Padre non solo intercede continuamente<br />

per noi, ma opera la nostra assimilazione a se stesso morto e<br />

risorto per nostra attrazione nel mistero pasquale. Di modo che per<br />

noi non vi è grazia da Dio e ritorno a Dio e gloria a Dio che per Lui,<br />

con Lui e in Lui, il Kyrios morto e risorto, in partecipazione a ciò<br />

che Egli è e fa. <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> comunitario ecclesiale, socialmente strutturato,<br />

incarnato, dei nostri rapporti con Dio in Cristo. <strong>Il</strong> <strong>senso</strong><br />

dell'unità intensiva ed estensiva di tutto il cosmo negli stessi nostri<br />

rapporti con Dio: nella totalità dell'essere umano; nella connessione<br />

con il mondo infraumano; solidali con i membri del corpo mistico<br />

sulla terra, con i santi — anzitutto con Maria — e le anime del purgatorio,<br />

concittadini degli angeli, in marcia verso la Gerusalemme<br />

celeste, la nostra patria comune dove è già in atto la <strong>liturgia</strong> celeste


TRATTATI DELLA SPIRITUALITÀ LITURGICA 629<br />

e cosmica di cui la nostra quaggiù non è che un'ombra e una lontana<br />

anticipazione.<br />

La coscienza che, intanto, facciamo parte del dramma cosmico<br />

delle due città in lotta ab initio mundi, è che il nostro combattimento<br />

non è solo contro la carne e il sangue, ma anche e soprattutto<br />

contro Satana e i suoi satelliti.<br />

È questa la prospettiva propria nella quale la <strong>liturgia</strong> propone<br />

e fa vivere a suo modo tutto il dogma. Prospettiva, per altro, così<br />

ricca da lasciare larghe possibilità ad ognuno che l'avvicina di concentrarsi<br />

a sua volta con maggiore o minore insistenza ora nell'uno<br />

e ora nell'altro dei suoi tanti aspetti.<br />

Altro elemento distintivo <strong>della</strong> spiritualità liturgica riguarda il<br />

suo modo di prospettare e di vivere il binomio oggetto-soggetto. Abbiamo<br />

già toccato questa questione nel capitolo VI dove si è insistito<br />

sul fatto che, tra le varie possibilità di atteggiamenti ortodossi in<br />

questo campo, la posizione propria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è di porre l'oggetto<br />

al primo piano incentrando su di esso l'attenzione del soggetto e<br />

operando lo stimolamento e, se occorre, la guarigione del soggetto,<br />

anzitutto attraverso il suo concentramento sull'oggetto. Perciò, come<br />

più d'una volta è stato rilevato, la spiritualità liturgica, pur preoccupandosi<br />

di stimolare il soggetto a sintonizzarsi moralmente con<br />

l'oggetto, è notevolmente sobria, se paragonata, per esempio, con<br />

alcune spiritualità nate, o almeno definitivamente costituitesi come<br />

tipo a sé, nel secolo XVI, nell'indurre direttamente il soggetto a ritorni<br />

introspettivi su se stesso e ad analisi psicologiche dei propri stati.<br />

Ciò non significa che in spiritualità liturgica non si annetta importanza<br />

agli esami di coscienza e al controllo generale di se stesso.<br />

È questo un elemento di cui nessuna spiritualità cattolica può fare<br />

a meno sotto una forma o sotto un'altra. Ma vi possono essere modi<br />

diversi di controllarsi e psicologie diverse nel farlo. La spiritualità<br />

liturgica è sobria nell'auto-analisi psicologica dei propri stati e nel<br />

computo dei propri pensieri e atti. Non ne segue che analisi introspettive<br />

anche assai spinte siano semplicemente inutilizzabili in<br />

clima di spiritualità liturgica, ma solo che, in questo clima, esse<br />

saranno sempre temperate dalla maestà dell'oggetto che impera fortemente<br />

nel centro <strong>della</strong> psicologia. Anzi, nella spiritualità liturgica,<br />

i tratti caratteristici e come la luce sotto la quale questo stesso oggetto<br />

(Dio, Cristo, l'eucaristia, la Madonna, ecc.) è presentato alla<br />

considerazione del soggetto, sono imposti dal di fuori, cioè dalla<br />

<strong>liturgia</strong> stessa e, sotto la sua luce, dalla bibbia e dal dogma in genere.<br />

Anche in questo, più che in altre spiritualità, è chiesto al soggetto<br />

anzitutto di vedere e di ascoltare e quindi di accettare e di<br />

sintonizzarsi.<br />

Di qui nella spiritualità liturgica l'importanza <strong>della</strong> comprensione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, dei suoi riti, dei suoi testi, delle sue feste. Ed è<br />

facile accorgersi che quasi tutta la letteratura di spiritualità liturgica<br />

consiste anzitutto in queste spiegazioni dell'oggetto stesso <strong>della</strong>


630 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

<strong>liturgia</strong>, molto più che in descrizioni di stati soggettivi, o in esortazioni<br />

o in risoluzioni.<br />

Si potrebbe dire che la spiritualità liturgica è più e-statica che<br />

in-statica, intendendo questi vocaboli nel loro <strong>senso</strong> strettamente<br />

etimologico.<br />

La questione del modo proprio in cui la <strong>liturgia</strong> realizza, psicologicamente<br />

parlando, l'equilibrio del binomio: Dio-uomo, graziasforzo<br />

umano, essendo assai connessa con quella dell'equilibrio del<br />

binomio: oggetto-soggetto, è risolta nello stesso <strong>senso</strong>: la <strong>liturgia</strong> dà<br />

il predominio alla considerazióne e alla coscienza di Dio e <strong>della</strong><br />

grazia. Che ciò non significhi affatto la rinunzia, in qualche modo,<br />

alla preoccupazione di richiamare e di stimolare la cooperazione<br />

morale del soggetto, lo si vedrà ancor meglio dove tratteremo esplicitamente<br />

dell'esercizio delle virtù morali in clima di spiritualità<br />

liturgica. Tuttavia, è certo anche qui, che il modo proprio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

di stimolare la cooperazione morale del soggetto è più di<br />

concentrare la sua attenzione su Dio e sulla grazia che su se stesso<br />

e sulle proprie possibilità, sia pure aiutate dalla grazia. Appunto<br />

perché la <strong>liturgia</strong> suole concentrare l'attenzione, la volontà e l'affetto<br />

dell'uomo in tutte le loro sfumature, più su Dio che l'uomo<br />

conosce ed ama che sull'uomo che conosce ed ama Dio. Questa considerazione<br />

sarà completata da quello che si dirà ancora sulla netta<br />

prevalenza in <strong>liturgia</strong> delle virtù teologali sulle morali, prevalenza<br />

non solo teorica ed entitativa, che nessuna spiritualità cattolica si<br />

sogna di negare, ma anche psicologica e di esercizio.<br />

Un'altra nota caratteristica <strong>della</strong> spiritualità liturgica riguarda<br />

l'equilibrio relativo in cui mette in opera le diverse facoltà psicologiche<br />

dell'uomo: intelletto, volontà, affetto. Anche questo aspetto<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, che tocca un criterio di non poca importanza nel determinare<br />

una spiritualità, è stato precedentemente chiarito nel<br />

capitolo XI. Si è vista la costante cura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> di considerare<br />

e trattare l'uomo come totalità ed unità sostanziale somatica, psichica,<br />

spirituale. La sua larga utilizzazione anche dei sensi esterni<br />

nonché del <strong>senso</strong> estetico ai fini dell'attuazione spirituale di tutto<br />

l'uomo. <strong>Il</strong> suo modo d'indirizzarsi all'intelletto più intuitivamente e<br />

ammirativamente che discorsivamente e analiticamente, come può<br />

avvenire invece quando, per esempio, ci si concentra sull'aspetto<br />

metafisicamente costitutivo degli esseri o sui motivi formali filosofici<br />

delle singole virtù ed azioni, o sulla ponderazione prudenziale delle<br />

azioni secondo il prò e il contro. <strong>Il</strong> che, del resto, non impedisce alla<br />

<strong>liturgia</strong> di tenere sempre presente all'intelletto il panorama dogmatico<br />

nel quadro <strong>della</strong> storia sacra sopra riferito. Si è visto pure a<br />

suo luogo la cura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> di far sfociare, dolcemente e quasi<br />

intuitivamente, ma costantemente e quasi immediatamente, ogni<br />

attualizzazione delle facoltà in un atteggiamento generale di tipo<br />

volitivo affettivo secondo tutte le sfumature <strong>della</strong> preghiera, <strong>della</strong><br />

compunctio e <strong>della</strong> lirica.<br />

Ogni spiritualità cattolica, in qualche modo, è necessariamente


TRATTI DELLA SPIRITUALITÀ LITURGICA 631<br />

teocentrica e, sotto un altro aspetto, cristocentrica, ed è ancora<br />

dogmatica, ecclesiale, biblica. Dico, in qualche modo e sotto un certo<br />

aspetto. Con questo si vuol dire che simili note, formulate genericamente,<br />

non sono distintive tra spiritualità e spiritualità in campo<br />

cattolico. È per questo che significa fare opera perfettamente vana,<br />

allo scopo di caratterizzare una spiritualità di fronte ad un'altra,<br />

ricorrere, come spesso succede, a simili note nella loro genericità,<br />

e dire, per esempio, che tale spiritualità si distingue per il suo amore<br />

di Dio, servizio di Dio, amore di Cristo, servizio di Cristo, imitazione<br />

di Cristo, oppure perché è una spiritualità che segue in tutto l'insegnamento<br />

<strong>della</strong> Chiesa, che non ha altro codice che il vangelo, ecc. ecc.<br />

Tutto questo, formulato genericamente, è comune a tutte le spiritualità<br />

nel seno <strong>della</strong> Chiesa. Se, per caratterizzare una spiritualità<br />

di fronte ad un'altra, si vuole partire da simili punti di vista, è necessario<br />

far vedere in che modo specifico e concreto, quasi nei particolari,<br />

tale spiritualità è teocentrica, cristocentrica, cerca unicamente<br />

l'amore di Dio, l'imitazione di Cristo, il servizio di Dio, ecc.<br />

Così anche per la spiritualità liturgica.<br />

<strong>Il</strong> modo speciale <strong>della</strong> spiritualità liturgica di essere dogmatica<br />

è non solo di porre costantemente dinanzi agli occhi del fedele la rivelazione<br />

proposta dalla Chiesa, ma, inoltre, di proporla in quella<br />

proporzione sintetica propria e in quel colore concreto proprio, a<br />

partire dai sacramenta, nel quadro generale <strong>della</strong> storia sacra, nel<br />

movimento cristologico trinitario, ecc., come sopra si accennava.<br />

Psicologicamente parlando, questo modo si distingue da diversi altri<br />

modi possibili o anche esistenti.<br />

<strong>Il</strong> teocentrismo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è quello che risulta concretamente<br />

dal suo atteggiamento nel modo di vivere il binomio : oggetto-soggetto,<br />

Dio-creatura; dalla psicologia derivata dall'universale formula-realtà:<br />

dal Padre, per il Figlio, nello Spirito Santo, al Padre, beata Trinità<br />

un solo Dio; dalla notevole prevalenza, anche psicologica e pratica,<br />

data all'esercizio delle virtù teologiche; dallo spirito di adorazione,<br />

ringraziamento e lode che ovunque e in prima linea la pervade.<br />

<strong>Il</strong> modo proprio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> di essere cristocentrica si riallaccia<br />

ugualmente all'universale formula-realtà: Per Christutn Dominwn<br />

nostrum; Per ipsum, cum ipso et in ipso est Ubi Deo Patri omnipotenti...<br />

Al fatto che i tratti di Cristo sono visti partendo dal Kyrios<br />

del mistero pasquale. La spiritualità basata sulla <strong>liturgia</strong> è ecclesiale<br />

nel <strong>senso</strong> preciso che in essa si vive concretamente la vita cristiana<br />

e la tendenza alla perfezione nel quadro reale e psicologico del popolo<br />

di Dio come mistero <strong>della</strong> Chiesa sempre in atto sotto il velo dei<br />

segni sensibili ed efficaci, e che questo modo di vivere la vita cristiana<br />

e la tendenza alla perfezione non è altro, come meglio sotto<br />

si chiarirà, che il modo stesso di viverle proposto dalla Chiesa come<br />

suo a un titolo che non appartiene a nessun altro. La spiritualità<br />

liturgica è una spiritualità biblica nel <strong>senso</strong> concreto che tutta la<br />

vita cristiana e la tendenza alla perfezione sono vissute come mistero<br />

di Cristo, <strong>della</strong> Chiesa, <strong>della</strong> storia, attraverso la continua messa in


632 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

opera <strong>della</strong> bibbia sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, come<br />

espressione sempre attuale ed efficace delle stesse realtà sempre<br />

in atto, come è stato spiegato in modo speciale nella parte terza e<br />

anche nella seconda.<br />

In qual <strong>senso</strong> concreto la spiritualità liturgica possa e debba<br />

essere considerata a titolo specialissimo una spiritualità sacrificale<br />

e sacramentale non occorre più spiegarlo dopo la nozione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

che abbiamo esposto nella prima parte e quello che abbiamo<br />

detto, in specie nel capitolo V, intorno alla messa come realizza»<br />

zione ed espressione sintetica di tutto il complesso liturgico e quindi<br />

centro e sole dello stesso.<br />

In questo sfondo si comprende pure il modo proprio in cui la<br />

spiritualità liturgica è spiritualità eucaristica. L'eucaristia vi è sempre<br />

vista nel suo contesto organico connaturale, che è quello sacrificale.<br />

La comunione è in primo luogo la partecipazione sacramentale<br />

al sacrificio per la manducazione <strong>della</strong> Sacra Vittima che vi s'immola<br />

per noi. La presenza reale ci è data in primo luogo perché<br />

possa compiersi il sacrificio e la comunione sacramentale allo stesso.<br />

La Riserva viene conservata per l'eventuale comunione di chi non<br />

può partecipare al sacrificio. Naturalmente, la spiritualità liturgica<br />

deve fare quel conto cui ogni cattolico è tenuto, di ciò che oggi si<br />

dice culto e devozione eucaristica, cioè culto e devozione di Nostro<br />

Signore presente nella Santa Riserva. Solo che insiste sul fatto che<br />

il primo dovere di ogni cristiano è di partecipare attivamente e plenariamente<br />

al Sacrificio e di comunicarvisi n .<br />

Spiritualità liturgica e forme extraliturgiche di pietà<br />

I tratti precedentemente esposti <strong>della</strong> spiritualità liturgica sono<br />

rilevati direttamente dalla stessa azione liturgica. Ma abbiamo anche<br />

detto che a questa non si limita la spiritualità centrata sulla <strong>liturgia</strong>.<br />

Come si esprime quindi e si realizza tale spiritualità nelle forme<br />

éxtraliturgiche di pietà o « pii esercizi »?<br />

Semplicemente nel modo che la Costituzione del concilio vaticano<br />

II, riassumendo in poche parole ciò che in questo campo<br />

aveva più lungamente spiegato l'enciclica Mediator Dei 12 , così enun-<br />

II Manifestazione di questo s --inlo nella Costituzione De sacra Liturgia è<br />

l'articolo 55, dove « si raccomanda rr.i. to quella partecipazione alla Messa, per<br />

la quale i fedeli, dopo la e jiunione del s; cerdote, ricevono il Corpo del Signore<br />

dal medesimo sacrificio » cioè con ostie .. onsacrate al medesimo sacrificio cui<br />

partecipano), e s'introduc nuovamente la omunione sotto le due specie anche<br />

ai fedeli in diversi casi. PT la storia dei riti e usi in questo campo vedi A. G.<br />

MARTIMORT, La Chiesa in ; reghiera, ed. it. 1963 pp. 454-503. H. FISCHER, Eucharistie-Katechese<br />

una liturgische Erneuervng, Dusseldorf 1959.<br />

'- Specialmente n. 170-183. '.Wir'clica insisteva un po' polemicamente su<br />

questo punto per via di certi abusi che in Germania si erano manifestati in<br />

questo campo. Vedi M. KASSIEPE, Irrwege unii Umwege im Fròmmigkeitsleben<br />

der Gegenwart, 2 ed. Wiirzburg 1940. Ma Kassiepe va Ietto con cautela perché


LITURGIA E PII ESERCIZI 633<br />

zia : « I pii esercizi del popolo cristiano, purché siano conformi alle<br />

leggi e alle norme <strong>della</strong> Chiesa, sono vivamente raccomandati... Bisogna<br />

però che tali esercizi, tenendo conto dei tempi liturgici, siano<br />

ordinati in modo da essere in armonia con la sacra <strong>liturgia</strong>, da essa<br />

traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua natura<br />

di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano » ".<br />

Tra i pii esercizi si possono computare anche la meditazione,<br />

l'esame di coscienza, i ritiri e gli esercizi spirituali. Di questi parleremo<br />

in seguito perché più immediatamente connessi con lo sforzo<br />

ascetico nella tendenza alla perfezione.<br />

Tra quelli che qui più direttamente interessano si possono nominare:<br />

pratica del rosario, del mese del Sacro Cuore, del mese di<br />

Maria, i tridui, le novene, la via crucis, ed altre simili.<br />

Anzitutto bisogna affermare non solo la loro legittimità e la loro<br />

raccomandabilità entro le debite condizioni, per il popolo cristiano<br />

in genere, ma anche, con i debiti accorgimenti, che una pastorale<br />

incentrata sulla <strong>liturgia</strong> ha il compito di precisare, la possibilità,<br />

quando determinate circostanze lo richiedono, di utilizzarli con<br />

frutto anche in clima di spiritualità nettamente liturgica.<br />

Perché ciò avvenga bisogna che tali pii esercizi « siano ordinati<br />

», specialmente riguardo al tempo in cui si fanno, riguardo alla<br />

loro quantità e alla loro qualità, « in modo da essere in armonia<br />

con la sacra <strong>liturgia</strong> ».<br />

Questa armonia però, non va intesa nel <strong>senso</strong> di una semplice<br />

giustapposizione: come se si trattasse di due vie indipendenti e di<br />

ugual valore per andare a Dio, lasciate alla libera scelta di ognuno<br />

con la sola restrizione che non si pongano tra l'una e l'altra artificiosi<br />

antagonismi. L'armonia di cui si parla è un'armonia di subordinazione<br />

sotto il primato <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> « data la sua natura di gran<br />

lunga superiore » e deve manifestarsi nel fatto che i pii esercizi<br />

« da essa (<strong>liturgia</strong>) traggano in qualche modo ispirazione e ad essa<br />

conducano ». Non si poteva essere più netti. È l'inevitabile conseguenza<br />

del principio che la <strong>liturgia</strong>, pur non esaurendo in sé tutta<br />

l'azione <strong>della</strong> Chiesa, ne è tuttavia il culmine cui tutto tende e la<br />

fonte da cui tutto deriva.<br />

In sostanza, tali sono, in clima di spiritualità liturgica, i rapporti<br />

tra <strong>liturgia</strong> e pratiche di pietà extraliturgica: niente ostracismo<br />

delle pratiche di pietà extraliturgica da parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

ma semplicemente loro plasmazione e loro ordinamento, nella loro<br />

relativa quantità e qualità, dallo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come preparazione<br />

a vivere più intensamente la <strong>liturgia</strong> e come ampliamento<br />

ed esuberanza extraliturgica <strong>della</strong> stessa vita liturgica.<br />

Due cose in questo campo sono dunque certe: primo che una<br />

forte vita di pietà, anche fuori dei momenti nei quali si assiste alla<br />

<strong>liturgia</strong>, pietà interna e anche in certo modo esternamente espressa,<br />

in non pochi punti sconfina e colpisce ingiustamente anche il più autentico<br />

movimento liturgico.<br />

13 Art. 13.


634 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

è necessaria in chiunque vuole tendere seriamente alla perfezione<br />

cristiana. Secondo: che, in clima di spiritualità liturgica, il modo<br />

specifico in cui si concretizza nella sua quantità e nella sua qualità<br />

quella vita di pietà extraliturgica è subordinato alla <strong>liturgia</strong> e determinato<br />

dal suo spirito, come preparazione alla vita liturgica e ampliamento<br />

<strong>della</strong> stessa.<br />

In quanto alle ulteriori determinazioni particolari delle condizioni,<br />

perché nei singoli casi si verifichi, quantitativamente e qualitativamente,<br />

quel retto ordinamento per subordinazione, è questione<br />

di tatto prudenziale soprannaturale la cui soluzione dipende<br />

dai bisogni concreti degli individui o di gruppi d'individui, con riguardo<br />

al grado di sviluppo spirituale, alla cultura, al temperamento,<br />

ai tempi, ai luoghi. È quanto giustamente fa notare l'enciclica Mediator<br />

Dei 14 .<br />

Vero buon giudice nei singoli casi sarà solo colui il quale ha<br />

simultaneamente le tre seguenti qualità: abbia penetrato realmente<br />

il mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>; sia egli stesso abitualmente penetrato da un<br />

forte spirito di preghiera; abbia esperienza pastorale delle anime.<br />

Niente di più deplorevole in questo campo di quei pretesi apostoli<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, i quali, credendo aver penetrato lo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

ma, comunque, mancando notevolmente di abituale spirito di<br />

preghiera e, per di più, anche di vera esperienza pastorale delle<br />

anime, si credono autorizzati, sotto pretesto di spirito liturgico, non<br />

solo a fare a meno di qualsiasi prassi extraliturgica di pietà, ma,<br />

inoltre, a disprezzarle, o peggio ancora, a combatterle negli altri.<br />

Peraltro è certo che le prassi extraliturgiche devono essere ordinate<br />

per subordinazione allo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. È dunque evidente<br />

che il fatto che una prassi extraliturgica di pietà si dimostra<br />

genericamente benefica allo spirito religioso di un individuo e di un<br />

gruppo d'individui perché, date le loro particolari condizioni, li aiuta<br />

in qualche modo a pregare, non può essere, per coloro che ne hanno<br />

la responsabilità, un comodo pretesto che li dispensi dall'obbligo di<br />

penetrare e vivere il mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e di condurvi con adatta<br />

catechesi ed educazione coloro dei quali hanno incarico.<br />

Spiritualità liturgica e attività extraliturgiche<br />

In modo del tutto simile si risolve in clima di spiritualità liturgica<br />

la questione dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> ed attività extraliturgiche.<br />

E anche qui non siamo lasciati al nostro arbitrio. <strong>Il</strong> concilio<br />

vaticano II ha spiegato tutto compiutamente. Bisogna rileggere ancora<br />

questi testi sotto l'aspetto che qui c'interessa.<br />

« La sacra <strong>liturgia</strong> non esaurisce tutta l'azione <strong>della</strong> Chiesa. Infatti,<br />

prima che gli uomini possano accostarsi alla <strong>liturgia</strong> bisogna<br />

che siano chiamati alla fede e si convertano... Per questo motivo la<br />

i* N. 107; 177.


ATTIVITÀ EXTRALITURGICHE 635<br />

Chiesa annunzia il messaggio <strong>della</strong> salvezza a coloro che ancora non<br />

credono... Ai credenti poi essa ha sempre il dovere di predicare la<br />

fede e la penitenza, deve inoltre disporli ai sacramenti, insegnar loro<br />

ad osservare tutto ciò che Cristo ha comandato, ed incitarli a tutte<br />

le opere di carità, di pietà e di apostolato » 15 .<br />

« Nondimeno la <strong>liturgia</strong> è il culmine verso cui tende l'azione <strong>della</strong><br />

Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù. Poiché<br />

il lavoro apostolico è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante<br />

la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio<br />

nella Chiesa, prendano parte al Sacrificio e alla mensa del Signore.<br />

« A sua volta, la <strong>liturgia</strong> spinge i fedeli, nutriti dei "sacramenti<br />

pasquali" a vivere "in perfetta unione" e domanda che "esprimano<br />

nella loro vita quanto hanno ricevuto mediante la fede". La rinnovazione<br />

poi dell'alleanza di Dio con gli uomini nell'eucaristia introduce<br />

ed accende i fedeli nell'impellente carità di Cristo. Dalla <strong>liturgia</strong><br />

dunque e particolarmente dall'eucaristia, deriva in noi, come da<br />

sorgente, la grazia e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione<br />

degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale<br />

convergono come a loro fine, tutte le altre attività <strong>della</strong> Chiesa » 1S .<br />

Questi due articoli del concilio sono la magna charta <strong>della</strong> spiritualità<br />

liturgica nella questione dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e attività<br />

extraliturgiche di ogni genere.<br />

È evidente che l'attività, sia del cristiano che <strong>della</strong> Chiesa, non<br />

si esaurisce tutta nell'azione liturgica. Che anzi, tutto sommato, nell'insieme<br />

<strong>della</strong> vita dello stesso clero in genere, l'azione liturgica<br />

propriamente detta non può avere, rispetto alle altre occupazioni,<br />

nemmeno la prevalenza quantitativa di tempo. Spiritualità liturgica<br />

dunque non può significare, nemmeno per lo stesso clero, assorbimento<br />

materiale delle altre attività ecclesiastiche dall'azione liturgica. E<br />

nemmeno, per la stragrande maggioranza dello stesso clero, prevalenza<br />

materiale abituale dell'attività liturgica propriamente detta<br />

sulle altre attività ecclesiastiche pastorali come l'insegnamento,<br />

l'amministrazione, l'organizzazione, la direzione, la penetrazione e<br />

la salvaguardia degli interessi religiosi e la conquista degli estranei<br />

alla fede.<br />

E tuttavia la spiritualità liturgica, appunto perché spiritualità<br />

completa, che investe tutta la vita, determina a suo modo anche queste<br />

attività convogliandole in uno spirito unitario alla perfezione<br />

cristiana nell'edificazione <strong>della</strong> Chiesa e nel perfezionamento degli<br />

individui. La spiritualità liturgica considera dunque queste attività<br />

e le vive come mezzi preparanti alla vita liturgica e come effetti<br />

derivanti dalla stessa.<br />

Così, in clima di spiritualità liturgica, il missionario svolge la<br />

sua attività missionaria in vista di condurre colui che è estraneo alla<br />

fede a vivere la vita cristiana ed a viverla plenariamente, ciò che<br />

avviene nell'azione liturgica, in specie nella partecipazione attiva<br />

« CL, art. 9.<br />

'« Ibid., art. 10.


636 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

e anche psicologicamente plenaria al sacrificio comunitario <strong>della</strong><br />

messa. Ciò facendo il missionario edifica la Chiesa contribuendo<br />

per parte sua a condurla alla pienezza dell'età di Cristo nell'azione<br />

liturgica.<br />

Considerando la cosa sotto l'aspetto <strong>della</strong> tendenza alla perfezione<br />

del missionario stesso, si dirà che egli si dà alla sua azione<br />

missionaria come al compimento dei doveri del proprio stato che<br />

gli competono nella vigna del Signore, in vista di poter vivere plenariamente<br />

l'incontro con Dio nell'azione liturgica, principalmente nel<br />

sacrifìcio <strong>della</strong> messa. Sotto un altro aspetto si dirà ancora che<br />

il missionario, avendo vissuto l'incontro con il Signore nell'azione<br />

liturgica, specialmente <strong>della</strong> messa, si dà conseguentemente all'azione<br />

missionaria per adempiere alle esigenze che comporta la vita<br />

liturgica: adempiere con generosità ai doveri del proprio stato e<br />

partecipare agli altri, secondo la propria vocazione, i tesori di vita<br />

che Dio ci ha mostrati e ci ha fatti vivere nell'azione liturgica. Così,<br />

e in tutti i modi, l'azione liturgica, massimamente la messa, pur<br />

non diminuendo in niente la molteplice attività extraliturgica del<br />

missionario, ma anzi potenziandola al massimo, perché le dà una<br />

incomparabile chiarezza e unità d'intenti assieme ad un potente<br />

dinamismo soprannaturale di realizzazione, domina qualitativamente<br />

e plasma di se stessa tutta la sua vita unificandone ed animandone<br />

i diversi ingranaggi. In questo <strong>senso</strong> tutta la sua vita è una vita<br />

liturgica; intendiamo qualitativamente liturgica. Quanto si è detto<br />

dell'attività extraliturgica del missionario vale altrettanto di tutte<br />

le altre attività extraliturgiche nella Chiesa sia <strong>della</strong> gerarchia come<br />

tale che dei singoli fedeli.<br />

In tutto questo niente di straordinario. Tutta l'attività <strong>della</strong><br />

Chiesa senza eccezione è diretta alla santificazione delle anime nel<br />

contatto, almeno in voto, con i sacramenti. Tuttavia, sebbene santificazione<br />

e culto siano inscindibili, la santificazione stessa è ordinata<br />

al culto di Dio e non inversamente. <strong>Il</strong> sommo culto di Dio, sia <strong>della</strong><br />

Chiesa come tale sia dei singoli individui, avviene nella <strong>liturgia</strong>,<br />

massimamente nella messa, supponendo sempre la piena sintonia<br />

morale del soggetto. Tutto, dunque, nella Chiesa è ordinato alla<br />

<strong>liturgia</strong>, principalmente alla messa.<br />

Inoltre, nessuna attività ha valore soprannaturale senza là grazia.<br />

Ma, come, insieme col catechismo del concilio Tridentino, abbiamo<br />

spiegato a suo luogo a proposito <strong>della</strong> messa centro <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

ogni grazia deriva dall'eucaristia sacrificio e sacramento, come<br />

i singoli ruscelli dimanano dalla loro comune sorgente. Tutta l'attività<br />

soprannaturale del mondo deriva dunque dalla <strong>liturgia</strong>, massimamente<br />

dalla messa ed è diretta alla <strong>liturgia</strong>, massimamente alla<br />

messa. La spiritualità liturgica, centrando tutta la vita cristiana e<br />

la tendenza alla perfezione sulla <strong>liturgia</strong>, non fa altro che prendere<br />

coscienza di questo fatto e sforzarsi di vivere in conseguenza.<br />

Che poi questo modo di vedere le cose non abbia piccole conseguenze<br />

anche molto pratiche fin nello spirito e nel metodo con il


SPIRITUALITÀ DELLA CHIESA 637<br />

quale si compiranno tutte le varie attività, sembra cosa ovvia e<br />

investe direttamente la questione <strong>della</strong> pastorale liturgica. Basta<br />

riflettere, per il momento, che, se la <strong>liturgia</strong> è la fonte da cui nella<br />

Chiesa deriva ogni attività e il fine a cui tende ogni attività, non può<br />

essere metodo raccomandabile nell'esecuzione pratica di questa<br />

attività perdere praticamente troppo di vista che essa deriva dalla<br />

partecipazione attiva alla <strong>liturgia</strong> e deve condurre alla partecipazione<br />

attiva alla <strong>liturgia</strong>, anzitutto alla messa.<br />

Spiritualità liturgica una tra le tante scuole di spiritualità?<br />

Per comprendere la natura e le caratteristiche generali <strong>della</strong><br />

spiritualità liturgica, abbiamo cominciato questo capitolo spiegando<br />

cos'è la spiritualità in genere e in qual <strong>senso</strong>, nel seno dell'unica<br />

spiritualità cattolica, si può parlare di diverse spiritualità. Da questo<br />

modo di prospettare la questione si potrebbe facilmente venire alla<br />

conclusione che, qualunque sia il valore <strong>della</strong> spiritualità liturgica,<br />

questa non è che una spiritualità tra le tante altre esistenti nella<br />

Chiesa cattolica. Una scuola spirituale accanto alle tante altre scuole.<br />

In fondo, la scuola spirituale benedettina.<br />

È tempo ora di dissipare questa illusione. La spiritualità liturgica<br />

non è una tra le tante altre scuole di spiritualità ammesse o<br />

anche raccomandate dalla Chiesa; tanto meno essa s'identifica con<br />

la spiritualità benedettina. Ma è la spiritualità <strong>della</strong> Chiesa a un<br />

titolo che non conviene a nessun'altra.<br />

Intanto il lettore ha certamente osservato che parlando <strong>della</strong><br />

nozione e delle caratteristiche generali <strong>della</strong> spiritualità liturgica<br />

non abbiamo fatto altro che commentare gli articoli 9-13 <strong>della</strong><br />

Costituzione del concilio vaticano II sulla <strong>liturgia</strong>. A tal punto che<br />

si può dire che la spiritualità liturgica è semplicemente quella descritta<br />

nei detti articoli.<br />

La costatazione è di peso; perché è evidente che il concilio<br />

non si preoccupa affatto di proporre alla Chiesa una nuova scuola<br />

di spiritualità tra le tante già esistenti. <strong>Il</strong> suo intento è solo di porre<br />

dei princìpi di vita e d'azione validi per tutti nella Chiesa. Vuol<br />

dire dunque che se questi princìpi equivalgono ad una spiritualità,<br />

questa non può in nessun modo considerarsi come una tra le tante.<br />

Come? Ricordiamoci anzitutto di quello che abbiamo detto a proposito<br />

del concetto di opus operantis Ecclesiae, intorno ai diversi gradi<br />

nei quali la Chiesa come tale è, per così dire, impegnata in quello<br />

che viene pur fatto nel suo seno, per esempio in una preghiera.<br />

Ogni preghiera, fatta da un individuo qualsiasi nel seno <strong>della</strong> Chiesa,<br />

ossia, purché il tale individuo sia unito in fede, in sacramenti e<br />

in ubbidienza alle legittime gerarchie, è in modo realissimo, preghiera<br />

<strong>della</strong> Chiesa. È la Chiesa, corpo di Cristo, è Cristo stesso che<br />

prega nella preghiera di quell'individuo. <strong>Il</strong> quale, dunque, non è


638 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

mai considerato, tanto meno ascoltato, da Dio separatamente dal<br />

corpo <strong>della</strong> Chiesa, anzi da Cristo stesso, nel quale è inserito.<br />

Tuttavia, le diverse preghiere fatte nel seno <strong>della</strong> Chiesa e che,<br />

dunque, in un certo <strong>senso</strong> sono tutte preghiere <strong>della</strong> Chiesa, la<br />

Chiesa stessa come tale le fa sue e le considera sue in gradi diversi<br />

e a titoli diversi. Così tutte le preghiere fatte nel seno <strong>della</strong> Chiesa<br />

sono bensì preghiere <strong>della</strong> Chiesa, ma non lo sono tutte nello stesso<br />

grado e allo stesso titolo perché la Chiesa, e Cristo stesso, pur ammettendole<br />

tutte come sue, vi annette gradi diversi d'impegno e<br />

d'autenzia dinanzi a Dio. Nel caso, per esempio, da noi altrove<br />

riferito, che, in una parrocchia, la comunità parrocchiale, sotto la<br />

presidenza e la guida del parroco e dietro raccomandazione, o<br />

anche esplicito comando, dell'autorità ecclesiastica competente, recita<br />

solennemente il rosario o fa lina solenne Via crucis, si ha la preghiera<br />

<strong>della</strong> Chiesa a un titolo diverso e a un grado ben superiore,<br />

con un grado corrispondente di efficacia ex opere operantis Ecclesiae<br />

ben superiore di quello che avviene nel caso di un semplice<br />

fedele che recita privatamente una preghiera anche molto lodata e<br />

raccomandata dalle autorità ecclesiastiche, per esempio il rosario<br />

e l'Anima Christi.<br />

Però, la recita del rosario in chiesa anche sotto la guida ufficiale<br />

del parroco e dietro raccomandazione o comando delle autorità<br />

competenti, non essendo considerata come un atto propriamente<br />

liturgico, almeno per ora, deve essere ritenuta preghiera <strong>della</strong> Chiesa<br />

in un grado e a un titolo diverso e inferiore, con una corrispondente<br />

efficacia ex opere operantis Ecclesiae inferiore a tutte le preghiere<br />

liturgiche propriamente dette. La preghiera liturgica è preghiera<br />

<strong>della</strong> Chiesa corpo di Cristo e sposa di Cristo e quindi preghiera<br />

di Cristo stesso nella sua Chiesa, per mezzo <strong>della</strong> sua Chiesa e a<br />

favore <strong>della</strong> sua Chiesa, a un grado e a un titolo eminente che non<br />

compete alle altre preghiere fatte nella Chiesa, dalla Chiesa legittimamente<br />

riconosciute o anche caldamente raccomandate.<br />

La preghiera liturgica non è semplicemente uno dei tanti modi<br />

di pregare legittimamente riconosciuti e usati nella Chiesa, ma è<br />

una preghiera che rispetto alle altre è fuori serie per dignità ed<br />

efficacia. È semplicemente la dottrina <strong>della</strong> dignità maggiore <strong>della</strong><br />

preghiera liturgica rispetto a quelle private. È quanto afferma esplicitamente<br />

il concilio vaticano II : « Perciò ogni celebrazione liturgica,<br />

in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è<br />

la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e^e^sun^altra azione <strong>della</strong><br />

Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia l'efficacia » ".<br />

Pio XII aveva detto : « Senza dubbio, la preghiera liturgica, essendo<br />

pubblica supplica dell'inclita Sposa di Gesù Cristo, ha una dignità<br />

maggiore di quella delle preghiere private » ". « Questa forma (privata)<br />

di culto, la Chiesa non soltanto la tollera, ma la riconosce<br />

" CL, art. 7.<br />

i* MD, n. 37.


SPIRITUALITÀ DELLA CHIESA 639<br />

pienamente e la raccomanda, senza tuttavia recar alcun pregiudizio<br />

alla preminenza del culto liturgico » lu .<br />

Arrivati a questo punto il ragionamento è facile: come la preghiera<br />

liturgica non è semplicemente una delle tante preghiere<br />

legittimamente riconosciute, usate o anche raccomandate dalla Chiesa,<br />

ma è preghiera <strong>della</strong> Chiesa stessa a un titolo che non compete alle<br />

altre, ciò che, pur senza antagonismo e contraddizioni, per dignità<br />

ed efficacia la pone, rispetto a queste, fuori serie: così la spiritualità<br />

che s'incentra sulla preghiera liturgica non è semplicemente una<br />

tra le tante spiritualità riconosciute o anche raccomandate dalla<br />

Chiesa, ma è invece, a un titolo che non compete alle altre, la spiritualità<br />

<strong>della</strong> Chiesa, pur senza antagonismi o contraddizioni con<br />

le altre vigenti nella Chiesa e da essa riconosciute o anche racco-<br />

\ mandate.<br />

La Chiesa, dunque, come ha la sua preghiera ufficiale che è<br />

preghiera sua a titolo speciale, pur ammettendo e raccomandando<br />

altre forme di preghiera, così anche ha la sua spiritualità ufficiale,<br />

che è la sua spiritualità a titolo speciale, determinata appunto da<br />

quella preghiera ufficiale, pur ammettendo e raccomandando altre<br />

forme di spiritualità. La Chiesa non solo traccia le linee maestre e<br />

i limiti comuni ad ogni spiritualità cattolica, lasciando libertà di<br />

ulteriori specificazioni e concretizzazioni entro questi stessi limiti,<br />

ma, inoltre, essa stessa propone una specificazione e concretizzazione<br />

che considera sua a titolo speciale. Proprio nello stesso modo<br />

che non solo determina quali sono i caratteri essenziali che deve<br />

avere ogni preghiera cattolica, ma inoltre, specifica e concretizza<br />

quei caratteri in una preghiera ufficiale e sua a titolo eminente, pur<br />

ammettendo e riconoscendo altri modi di specificare e concretizzare<br />

i caratteri generali <strong>della</strong> preghiera cattolica.<br />

Si è visto sopra che la Chiesa ammettendo, o anche raccomandando<br />

caldamente, certe forme extraliturgiche di pietà, intende<br />

tuttavia che queste si armonizzino con lo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e che<br />

questa armonia, nella mente <strong>della</strong> Chiesa, è un'armonia di subordinazione<br />

e non di semplice giustapposizione. È logico pensare che<br />

tale sia pure il pensiero <strong>della</strong> Chiesa riguardo alle spiritualità in<br />

qualche modo diverse dalla sua spiritualità ufficiale che è quella<br />

liturgica. Che la Chiesa, cioè, riconoscendo la legittimità e l'utilità<br />

di queste altre spiritualità, o anche raccomandandole, intenda sempre<br />

ciò fare con il presupposto <strong>della</strong> loro armonizzazione con lo spirito<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Un'obiezione potrebbe sorgere a questo punto. Se si dice che<br />

la Chiesa, ammettendo forme di spiritualità oltre la forma liturgica<br />

ufficiale, intende, tuttavia, che si armonizzino con lo spirito<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, non si viene con ciò stesso ad affermare che la Chiesa<br />

intende togliere a queste spiritualità le loro note caratteristiche per<br />

cui differiscono dalla spiritualità liturgica e ridurle così alla sola<br />

spiritualità ufficiale?<br />

»» Discorso del 22 Sett. 1956. AAS 48 (1956) 714.


640 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

Certo, una tale riduzione non può corrispondere alla mente<br />

<strong>della</strong> Chiesa la quale, riconoscendo da una parte la possibilità di<br />

diverse forme di spiritualità nel seno <strong>della</strong> stessa spiritualità cattolica,<br />

non può esigere dall'altra che vengano soppresse quelle note<br />

che sono appunto caratteristiche di quelle spiritualità rispetto alla<br />

spiritualità liturgica. Ma tale conclusione non segue dall'esigenza<br />

che tutte le spiritualità siano intonate allo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Perché questa armonizzazione può avere forme e gradi diversi, e<br />

la Chiesa non esige certamente che sia spinta a tal punto da adottare<br />

semplicemente tutte quelle caratteristiche che sopra sono state indicate<br />

come proprie <strong>della</strong> spiritualità liturgica.<br />

Sembra che quella armonizzazione delle spiritualità non propriamente<br />

liturgiche con lo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, richiesta dalla Chiesa,<br />

sia sufficiente se in queste altre spiritualità si ha cura reale che,<br />

per ripetere le parole di Pio XII, « il culto divino sia sempre più<br />

amato ed ampiamente promosso e i fedeli siano sollecitati da un<br />

intenso desiderio alla partecipazione ai sacramenti » 20 principalmente<br />

al sacrifìcio eucaristico, e intendono tale partecipazione nel<br />

<strong>senso</strong> del concilio vaticano II : cioè come partecipazione « piena,<br />

consapevole ed attiva » 21 nonché comunitaria 22 .<br />

Naturalmente, un tale impegno, se preso sul serio, non può<br />

non ripercuotersi sensibilmente attraverso tutta una spiritualità.<br />

Ma, ciò ammesso, possono rimanere ancora larghi margini di differenziazione<br />

dalla spiritualità liturgica ufficiale propriamente e strettamente<br />

detta, sufficienti sembra, pur nell'armonizzazione di tutte<br />

le spiritualità con lo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, a salvaguardare in ognuna<br />

quei tratti caratteristici che fanno la loro legittima personalità.<br />

Proprio come la necessaria armonizzazione delle svariatissime forme<br />

di pietà privata e degli esercizi nei quali si esprimono, con lo spirito<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, non toglie a queste forme le loro note legittime distintive<br />

dalla forma liturgica propriamente e strettamente detta <strong>della</strong><br />

pietà. In nessun caso armonizzazione, sia pure per subordinazione,<br />

equivale semplicemente ad assorbimento.<br />

Tanto meno da una desiderata seria penetrazione dello spirito<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in tutte le spiritualità c'è da temere che si voglia instaurare<br />

l'inammissibile monopolio di una scuola nel campo <strong>della</strong> spiritualità<br />

o mettere in pericolo, in questa materia, il necessario principio<br />

di una larga libertà ricordato da Pio XII a proposito del modo<br />

concreto di fare i ritiri e gli esercizi spirituali :<br />

« Quanto poi ai vari modi con i quali si sogliono praticare questi esercizi,<br />

sia ben noto e chiaro a tutti che nella Chiesa terrena, come in quella celeste,<br />

vi sono molte dimore; e che l'ascetica non può essere monopolio di alcuno.<br />

Uno è lo Spirito che, però, spira dove vuole; e con diversi doni e per diverse<br />

••"> MD, n. 79.<br />

21 CL, art. 14.<br />

22 Ibid., art. 26.


SPIRITUALITÀ BENEDETTINA? 641<br />

vie dirige le anime da lui illuminate al conseguimento <strong>della</strong> santità. La loro<br />

libertà e l'azione soprannaturale dello Spirito Santo in esse sia cosa sacrosanta,<br />

che a nessuno è lecito, a nessun titolo, turbare e conculcare » - 3 .<br />

Spiritualità liturgica spiritualità benedettina?<br />

É da notare, in fine, che la spiritualità liturgica strettamente<br />

detta ammette nel proprio seno sfumature e diversità assai maggiori<br />

di quanto possono ammettere, a quanto mi consta, le diverse<br />

scuole di spiritualità. E questo proviene dal fatto che la spiritualità<br />

liturgica è molto meno legata all'esperienza di una persona o di<br />

un determinato gruppo di persone e a un determinato quadro di<br />

vita. <strong>Il</strong> P. De Guibert, che più e meglio degli altri ha studiato la<br />

questione di quello che, in genere, determina la distinzione tra<br />

le diverse spiritualità, crede dover mettere al primo piano tra questi<br />

fattori distintivi l'esperienza personale di qualche grande personalità<br />

o santo. Un fondatore d'ordine, per esempio, per circostanze<br />

di temperamento, d'ambiente, di vocazione e doni speciali, realizzando<br />

nella propria vita una determinata concretizzazione e un<br />

determinato equilibrio dei fattori comuni ad ogni spiritualità, mostra<br />

con ciò stesso la validità di tale formula e dà così origine a<br />

una spiritualità distinta nel seno <strong>della</strong> spiritualità cattolica generale<br />

21 . Questo, comunque, non vale <strong>della</strong> spiritualità liturgica propriamente<br />

detta, alla cui origine non sta l'esperienza di un santo<br />

e nemmeno di un gruppo di santi, o di un certo movimento locale<br />

o temporalmente determinato nella Chiesa, ma semplicemente l'istinto<br />

soprannaturale e l'esperienza continua <strong>della</strong> Chiesa come tale<br />

in quello che ha di più ufficialmente autentico.<br />

Inoltre, a mio parere, il P. De Guibert non dà sufficiente importanza,<br />

tra i fattori che sono all'origine di diverse scuole di spiritualità,<br />

al quadro speciale di vita per il quale furono concepite, o, se si vuole,<br />

ai doveri di stato specifici che le diverse scuole hanno effettivamente,<br />

molto spesso, di mira e attraverso il cui compimento più<br />

perfetto possibile intendono condurre i loro adepti verso la perfezione<br />

cristiana.<br />

Così lo stesso P. De Guibert mette giustamente in rilievo l'importanza<br />

basilare che ha nella spiritualità ignaziana il concetto di<br />

« servizio » di Dio, o di Cristo, Ma non mi consta che egli rilevi<br />

mai esplicitamente in modo sufficiente, sebbene implicitamente la<br />

cosa sia ovunque evidente, che questo servizio di Cristo, nella spiritualità<br />

ignaziana — principalmente fuori degli Esercizi, i quali, come<br />

è noto, intendono indurre direttamente a una scelta di stato —<br />

non rimane affatto un concetto generico. <strong>Il</strong> concetto di servizio<br />

inteso genericamente si ritrova in tutte le spiritualità, per esempio<br />

in quella di S. Benedetto. In quanto tratto distintivo <strong>della</strong> spiritualità<br />

ignaziana, esso ha un significato ben concreto perché significa<br />

MD, n. 177.<br />

a-i Vedi i due studi citati sopra p. 623 nota 5.<br />

21 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


642 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

il servizio di Cristo nelle svariate forme di apostolato alle quali<br />

si dedicano i gesuiti nel quadro di vita, ordinamento del tempo e<br />

ambienti da loro praticati. <strong>Il</strong> servizio di Cristo significa concretamente<br />

questo servizio nei doveri di stato del gesuita. Così il concetto<br />

diventa veramente determinante per quella spiritualità, come molto<br />

giustamente avverte il P. De Guibert. Altrettanto si dovrebbe dire,<br />

credo, per tutte le grandi scuole di spiritualità, almeno per le maggiori,<br />

nelle quali il quadro di vita specifica e i doveri di stato propri<br />

avuti di mira sembrano un elemento costitutivo di primaria importanza.<br />

E questo è probabilmente il motivo per cui si pone sempre un<br />

problema delicatissimo e che, a lungo andare, può portare a reali<br />

disagi, quando Una determinata spiritualità è adottata da uno che<br />

vive in un quadro di vita notevolmente differente. Lo stesso avviene<br />

quando, ciò che accade molto più frequentemente, un individuo o<br />

una comunità si dà a un tipo di attività, o comunque di vita, che<br />

comporta doveri di stato notevolmente differenti da quelli che sono<br />

stati contemplati nel tipo di spiritualità nel quale pur continua<br />

a vivere.<br />

Comunque, tutto questo vale certamente per le diverse scuole<br />

di spiritualità, ma non per la spiritualità liturgica. Questa, come non<br />

proviene dall'esperienza di una personalità determinata, così non<br />

è stata concepita dalla Chi esa per un determinato gruppo di uomini<br />

e per determinate circostanze, ma per essere realizzata nei quadri<br />

di vita più disparati e in persone che sono tenute a doveri di stato<br />

i più diversi: dall'eremita come dal missionario, dalla monaca di<br />

clausura come dalla madre di famiglia o dall'uomo di affari, dal<br />

monaco come dal parroco, dal contadino e dall'operaio come dal<br />

professore universitario, dal medico e dallo studente. La Chiesa,<br />

proponendo la messa e i sacramenti come centro anche psicologico<br />

di vita cristiana e dinamismo ordinatore anche soggettivo <strong>della</strong> tendenza<br />

verso la perfezione, s'indirizza a tutti e ha di mira tutti gli<br />

stati di vita. Essa invita ognuno a dedurre anche psicologicamente<br />

e soggettivamente tutte le conseguenze connaturali dal fatto che<br />

la messa, alla quale deve comunque assistere, e i sacramenti, che<br />

deve comunque ricevere, sono oggettivamente, in regime ecclesiale<br />

e cattolico, il fulcro e il centro dei suoi rapporti con Dio. La Chiesa<br />

dice a tutti: vivete intensamente e fino in fondo anche nella vostra<br />

psicologia soggettiva, la messa e i sacramenti nel quadro e nello<br />

spirito che io vi propongo e ai quali, in ogni ipotesi, voi dovete<br />

partecipare, e non solo la vostra vita cristiana, ma anche la vostra<br />

tendenza verso la perfezione sarà assicurata.<br />

Ciò significa che la spiritualità liturgica, anche strettamente detta,<br />

dovrà ammettere notevoli sfumature di varia realizzazione concreta<br />

e di applicazione pratica a diversi generi di vita, pur essendo costituita<br />

sempre ed ovunque dal predominio qualitativo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

come elemento determinante l'equilibrio generale dei diversi mezzi<br />

comuni verso la perfezione e la loro concretizzazione specifica.


SPIRITUALITÀ BENEDETTINA? 643<br />

È da segnalare, in specie, quel tipo particolare di realizzazione<br />

concreta di spiritualità liturgica propriamente detta ottenuto quando<br />

alla <strong>liturgia</strong> si dà nella vita non solo la prevalenza qualitativa, ma<br />

anche quantitativa, come avviene in coloro che danno al coro la prevalenza<br />

anche quantitativa, o almeno una parte di tempo notevole,<br />

rispetto alle altre occupazioni. Tale tipo di spiritualità liturgica<br />

propriamente detta non è possibile che in un ben determinato quadro<br />

di vita e non può affatto, in quello che ha di specifico, essere proposto<br />

a tutti.<br />

È uso tra gli autori, quando parlano di diverse scuole di spiritualità,<br />

di annoverare tra queste quella che chiamano: la scuola<br />

benedettina. Non è mio intento discutere qui fino a qual punto la<br />

Regola di S. Benedetto e la storia <strong>della</strong> spiritualità tra i monaci che<br />

nel corso di ormai quattordici secoli hanno seguito in qualche modo<br />

questa regola, autorizzino a parlare di una scuola benedettina di spiritualità.<br />

È molto probabile che un'accurata ricerca dimostrerebbe<br />

come, quando si parla di « benedettini » come di un'unità intendendo<br />

istintivamente « l'ordine » benedettino, in questo campo, come in<br />

molti altri, non si può farlo che grazie a molte e generali semplificazioni<br />

e più o meno arbitrarie assimilazioni dell'« ordo monachorum »<br />

a un ordine moderno.<br />

Comunque, prendendo le cose come sono oggi tra i benedettini<br />

confederati, si può dire realmente che tra essi, cominciando dagli ultimi<br />

decenni del secolo XIX, sotto l'impulso dato da Dom Guéranger,<br />

regna una forte tendenza a una spiritualità comune di tipo strettamente<br />

liturgico, determinata però non solo dalla prevalenza qualitativa<br />

data alla <strong>liturgia</strong>, ma anche dalla sua prevalenza quantitativa, o<br />

almeno dalla parte di tempo notevole che le vien data rispetto alle<br />

altre occupazioni. Dal fatto poi che alcuni di questi monasteri benedettini,<br />

dal tempo di Dom Guéranger, sono stati gli iniziatori del<br />

movimento liturgico in diversi paesi, e, fino alla seconda guerra mondiale,<br />

i suoi massimi e più effettivi promotori, è nato il concetto che<br />

assimila semplicemente spiritualità liturgica con spiritualità benedettina.<br />

Ma una simile identificazione è ambigua e pericolosa per la<br />

<strong>liturgia</strong>. La spiritualità benedettina è un determinato tipo di spiritualità<br />

liturgica, ma non s'identifica con la spiritualità liturgica; non<br />

l'esaurisce affatto tutta intera. Chi non lo vede chiaro arriva istintivamente<br />

a credere che la <strong>liturgia</strong> e la spiritualità liturgica siano<br />

roba di benedettini, pressappoco come, volgarmente, si è arrivati<br />

a credere che tale devozione è roba di tale ordine, tale pratica pia<br />

roba di tal altro. Ne segue l'istintivo sospetto che gli sforzi per far<br />

conoscere e vivere la <strong>liturgia</strong> debbano ridursi agli sforzi che fa ogni<br />

ordine quando predica per la propria cappella. E così la <strong>liturgia</strong><br />

viene abbassata, nell'opinione di alcuni, ai mezzi di fratesco antagonismo<br />

tra cappella e cappella, cenacolo e cenacolo!<br />

Finalmente, nel migliore dei casi, identificando spiritualità liturgica<br />

e spiritualità benedettina, si è portati a credere che spirito


644 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

liturgico e spiritualità liturgica non possano essere per i comuni<br />

mortali; ma che richiedano ambienti ristretti, culturalmente e spiritualmente<br />

scelti, sensibili alle raffinatezze estetiche del canto gregoriano,<br />

dove esista la possibilità di numerosi inservienti intorno all'altare<br />

per poter svolgere i sacri riti in tutta la loro ampiezza e<br />

con tutto il loro decoro, ecc. ecc. In specie, si crederà che il vescovo<br />

nelle difficoltà pratiche di una diocesi da cristianizzare nuovamente,<br />

il missionario, il parroco di campagna tra i contadini, quello di città<br />

a capo di una parrocchia operaia, non hanno niente da guadagnare<br />

a mettersi loro stessi e ad indirizzare i loro sudditi alla scuola <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>.<br />

Quanto tutto questo sia contrario alla verità, si vedrà ancor<br />

meglio nei capitoli sulla <strong>liturgia</strong> e la pastorale. Per buona fortuna<br />

il movimento liturgico, dalla seconda guerra mondiale a questa parte,<br />

è definitivamente uscito dai monasteri benedettini ed è, su larga<br />

scala, in mano d'insigni pastori d'anime impegnati in una lotta sommamente<br />

concreta ed eminentemente ecclesiale ed universale per<br />

la cristianizzazione o ricristianizzazione del mondo. <strong>Il</strong> frutto di<br />

questa pastoralizzazione e universalizzazione del movimento liturgico<br />

si è visto nel concilio vaticano II. Così lo vuole lo spirito <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>. Niente di più grato poteva essere fatto a quei benedettini<br />

che hanno veramente penetrato questo spirito.<br />

3. LO SFORZO ASCETICO NELLA TENDENZA ALLA PERFEZIONE<br />

E LA SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

Parlando <strong>della</strong> nozione generale di spiritualità abbiamo anche<br />

ricordato il <strong>senso</strong> preciso e la necessità <strong>della</strong> distinzione tra aspetto<br />

ascetico e aspetto mistico <strong>della</strong> tendenza verso la perfezione cristiana.<br />

Sappiamo che questa distinzione, presupponendo la comune parte<br />

tanto di Dio e <strong>della</strong> grazia che dell'uomo e dello sforzo umano,<br />

in ogni azione soprannaturale, si fonda, in primo luogo, sulla diversa<br />

intensità, forse anche psicologicamente avvertita, ora dello sforzo<br />

umano e <strong>della</strong> sua penosità, sebbene sempre aiutato dalla grazia,<br />

e ora dell'azione di Dio con la conseguente maggiore passività dell'uomo<br />

e facilità dell'atto; in secondo luogo sulla prevalenza o meno<br />

dell'aspetto intuitivo su quello discorsivo. Ognuno dei due aspetti<br />

comporta simultaneamente valore purificativo dal peccato e dall'imperfezione<br />

e valore unitivo a Dio. Dopo aver esaminato la nozione<br />

e le caratteristiche generali <strong>della</strong> spiritualità liturgica, è necessario<br />

ora considerarla più in particolare sotto questo doppio aspetto<br />

ascetico e mistico nella tendenza verso la perfezione.


LITURGIA E ASCESI 645<br />

La spiritualità liturgica e lo sforzo ascetico in genere<br />

Non dovrebbe essere necessario avvertire esplicitamente che<br />

nella spiritualità liturgica lo sforzo ascetico nella via verso la perfezione<br />

è realmente ed è coscientemente ritenuto indispensabile non<br />

meno che in qualsiasi altra spiritualità cattolica.<br />

Non può trattarsi che di un grossolano inganno se alcuni, sotto<br />

il pretesto di spirito liturgico e di spiritualità liturgica, sono venuti<br />

ad una disistima teorica o ad una trascuranza pratica dell'inderogabile<br />

necessità dello sforzo ascetico, sotto tutte le sue forme, nell'opera<br />

<strong>della</strong> santificazione. A questi tali, se ce ne sono, bisogna ricordare<br />

semplicemente il catechismo che insegna che lo stesso opus operatimi<br />

dei sacramenti richiede in ogni adulto per ottenere i suoi<br />

frutti di santificazione, le buone disposizioni morali e quindi la sua<br />

cooperazione 25 .<br />

E, poiché questi tali ci tengono alla <strong>liturgia</strong> e allo spirito liturgico,<br />

si può far loro osservare quanto strana sia la dimenticanza<br />

e la disistima dello sforzo ascetico in chi si gloria di <strong>liturgia</strong> mentre<br />

la <strong>liturgia</strong> non cessa, in tutti i modi, di ricordarlo, per esempio<br />

durante tutta la quaresima e in tante altre occasioni che avremo<br />

agio di conoscere meglio. Anzi, è qui il momento di ricordarci di<br />

quanto abbiamo spiegato a suo luogo intorno alla dimensione morale<br />

ed impegnativa di ogni segno liturgico; dalla quale dottrina<br />

è facile vedere quanto morale e <strong>liturgia</strong> siano connesse per via di<br />

intrinseca costituzione e non solo per via di esortazioni e di vaghi<br />

ammonimenti.<br />

Volere dunque, non dico contrapporre, ma sia pur soltanto<br />

separare vita ascetica e pietà liturgica è tale un'aberrazione, che,<br />

dal punto di vista teorico, non vale nemmeno la pena di fermarsi<br />

a confutarla, tanto è evidente il suo carattere appunto di aberrazione<br />

per ignoranza <strong>della</strong> natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e dei princìpi più<br />

elementari di vita spirituale in genere 2 ".<br />

Ci si può solo chiedere come sia possibile l'esistenza di una<br />

sia pur vaga tendenza teorica a considerare come effettivamente<br />

25 La Costituzione inculca esplicitamente il principio che « ad ottenere<br />

però questa piena efficacia (<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>), è necessario che i fedeli si accostino<br />

alla sacra <strong>liturgia</strong> con rette disposizioni d'animo, conformino la loro mente alle<br />

parole che pronunziano e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano<br />

» (Art. 11). Vedi anche i richiami <strong>della</strong> MD, n. 28-37.<br />

26 Vedi la conclusione dell'enciclica in questa materia : « Perciò nella vita<br />

spirituale nessuna opposizione o ripugnanza può esservi tra l'azione divina, che<br />

infonde la grazia nelle anime per continuare la nostra redenzione, e l'operosa<br />

collaborazione dell'uomo, che non deve render vano il dono di Dio; tra l'efficacia<br />

del rito esteriore dei sacramenti che proviene dall'intrinseco valore di esso<br />

(ex opere operato) e il merito di chi li amministra o li riceve (opus operantis);<br />

tra le orazioni private e le preghiere pubbliche; fra l'etica e la contemplazione;<br />

fra la vita ascetica e la pietà liturgica; fra il potere di giurisdizione e di legittimo<br />

magistero, e la potestà eminentemente sacerdotale che si esercita nello<br />

stesso sacro ministero » (n. 36).


646 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

separate queste realtà: ascesi e spirito liturgico, o, per lo meno,<br />

come solo tenuemente connesse. Essa, a quanto si dice, si è manifestata<br />

presso alcuni che la pretendono a liturgisti, quasi per accettare<br />

questo preteso fatto ed accomodarsene tranquillamente.<br />

La stessa, non di rado, fa certo capolino presso altri, diffidenti verso<br />

il movimento liturgico, per rafforzare vieppiù i loro sospetti e persuaderli<br />

che, comunque, l'entusiasmo per la <strong>liturgia</strong>, nel migliore<br />

dei casi, non dà alla vita spirituale dei fedeli e del clero serie e<br />

solide basi, quelle, appunto, di un realista e forte sforzo ascetico 27 .<br />

Credo che, nell'uno e nell'altro caso, il motivo sia proprio lo<br />

stesso, e cioè, il considerare arbitrariamente la spiritualità liturgica<br />

in una quanto mai incompleta e falsa visuale: come se la spiritualità<br />

liturgica fosse la spiritualità che si accontenta <strong>della</strong> sola azione liturgica<br />

strettamente detta, quella fatta nei momenti quando si sta in<br />

chiesa, senza preoccuparsi del prima e del dopo. Sebbene nella stessa<br />

azione liturgica l'aspetto di sforzo ascetico sia tutt'altro che assente,<br />

come meglio vedremo, tuttavia, se s'intende spiritualità liturgica<br />

come quella che si limita alla sola azione liturgica senza preoccuparsi<br />

del prima e del poi, è evidente che in simile « spiritualità liturgica »<br />

lo sforzo ascetico sarebbe completamente insufficiente, per il fatto<br />

stesso che tale « spiritualità liturgica » sarebbe cosa contraddittoria.<br />

Come se fosse possibile vivere spiritualmente sul serio l'azione liturgica<br />

senza preoccuparsi del prima e del poi! E come se vi possa<br />

essere spiritualità che non estenda il suo influsso a tutta la vita<br />

dell'uomo per convogliarne tutte le energie e tutte le azioni alla<br />

tendenza verso la perfezione cristiana! Dovrebbe bastare, dunque,<br />

un semplice richiamo alla nozione di spiritualità liturgica, come sopra<br />

l'abbiamo spiegata, per disingannare gli uni e rassicurare gli altri.<br />

Lo sforzo ascetico nella via verso la perfezione si manifesta<br />

principalmente nell'attività meditativa discorsiva, a cui si annettono<br />

gli esami di se stesso e i ritiri spirituali, e nella pratica laboriosa<br />

delle virtù teologali e morali. Passiamo in rassegna questi aspetti dal<br />

punto di vista <strong>della</strong> loro realizzazione in clima di spiritualità liturgica<br />

sia nell'azione liturgica propriamente detta, sia nella vita ordinaria<br />

del cristiano fuori di essa.<br />

<strong>Il</strong> valore di meditazione discorsiva incluso nell'azione liturgica<br />

È nota la parte dello sforzo meditativo discorsivo nella tendenza<br />

verso la perfezione. Esso deve occupare i sensi esterni e la fantasia,<br />

persuadere l'intelligenza, plasmare la sensibilità affettiva e principalmente<br />

accendere la volontà, intorno a Dio e alle cose divine. La<br />

quale volontà, a sua volta, così fortificata, diriga poi più facilmente<br />

l'intelligenza e più profondamente domini la sensibilità affettiva e<br />

27 Vedi il fatto narrato dal P. Abate CAPELLE, Liturgie et progrès moral, in:<br />

Travaux liturgiques, Louvain I (1955) p. 78.


LA MEDITAZIONE 647<br />

comandi alla fantasia, ai sensi esterni, al corpo tutto per sottomettere<br />

sempre più intensamente l'uomo intero a Dio.<br />

<strong>Il</strong> fulcro <strong>della</strong> meditazione discorsiva è l'esercizio <strong>della</strong> fantasia<br />

e del ragionamento come fase di avviamento alla preghiera e all'accendimento<br />

dell'affetto volitivo intorno a Dio. Questo affetto<br />

volitivo comprende risoluzioni pratiche <strong>della</strong> volontà su punti determinati<br />

— come quando, uno decide di abbandonare tale peccato o<br />

di fare tale atto di virtù in tale prossima occasione — e semplici<br />

affetti volitivi di compiacenza in Dio. <strong>Il</strong> semplice affetto volitivo di<br />

compiacenza, rispetto alle risoluzioni determinate <strong>della</strong> volontà rivolte<br />

al nostro agire pratico, ha ragione di fine.<br />

Raggiunto, più o meno rapidamente, talvolta anche molto rapidamente,<br />

attraverso il discorso, ed eventualmente, attraverso determinate<br />

risoluzioni <strong>della</strong> volontà, quell'accendimento del semplice affetto<br />

volitivo, si rimane in esso come nella méta che si cercava. Quel rimanere<br />

in esso non è più discorso meditativo propriamente detto, ma<br />

il suo fine che è semplice unione non discorsiva. E si rimane così<br />

fintanto che perdura il semplice affetto volitivo; il che può essere<br />

per brevissimo intervallo ma anche per tempo assai lungo. Appena<br />

decaduto l'affetto volitivo semplice si ritorna alla preghiera e allo<br />

sforzo discorsivo tutto il tempo che è necessario per riaccenderlo. E<br />

così si passa il tempo tra il discorrere, pregare, fare atti di volontà e<br />

risoluzioni pratiche e l'amare con semplice sguardo.<br />

La differenza tra i principianti e quelli che non lo sono ormai<br />

più è che nei primi, abitualmente e non solo in singole occasioni,<br />

predomina lo sforzo discorsivo e risolutivo e che solo relativamente<br />

di rado e per breve tempo arrivano al riposo del semplice affetto,<br />

mentre nei secondi avviene il contrario. In certe fasi di vita spirituale<br />

questi, spesso, anche appena iniziano qualche considerazione discorsiva<br />

per fantasia o per ragionamento intorno a Dio e alle altre cose<br />

in rapporto a Dio, o appena cominciano qualche risoluzione volitiva,<br />

passano subito alla semplice volizione e vi rimangono anche per tempo<br />

assai lungo. Però in tutte le fasi dello sviluppo <strong>della</strong> vita spirituale<br />

lo sforzo meditativo discorsivo è a suo modo presente, e può essere<br />

più o meno necessario farvi ricorso.<br />

I temi sui quali può portare lo sforzo meditativo di fantasia, di<br />

ragionamento, di formulazione di preghiere, di risoluzioni di volontà,<br />

sono vasti quanto il campo del dogma, <strong>della</strong> vita di Cristo, degli<br />

esempi dei santi, delle virtù da praticare e dei vizi e delle imperfezioni<br />

da evitare.<br />

Tutto questo deve verificarsi e si verifica a suo modo nella spiritualità<br />

liturgica, sia nella stessa azione liturgica sia fuori. Che la<br />

stessa azione liturgica comprenda un abbondante esercizio di attività<br />

meditativa discorsiva è facile rendersene conto. Basta per questo<br />

riferirsi a quanto abbiamo detto nel capitolo XI intorno all'attualizzazione<br />

plenaria di tutto l'uomo nella <strong>liturgia</strong>, in modo speciale intorno<br />

all'attuazione dei sensi esterni, <strong>della</strong> fantasia, del <strong>senso</strong> estetico,<br />

dell'intelligenza discorsiva, <strong>della</strong> volontà, dell'affetto.


648<br />

CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

<strong>Il</strong> valore di meditazione discorsiva incluso in ogni orazione liturgica<br />

si dimostra anche dal fatto che lo schema tipico che fu poi<br />

« riscoperto » dai sistemi di orazione metodica (preparazione-corpoconclusione)<br />

è sempre stato, in sostanza, quello <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Così<br />

nella prima parte <strong>della</strong> messa si ha: a) un'introduzione: canto d'ingresso,<br />

colletta, che hanno per scopo di creare la prima atmosfera<br />

generale e di mettersi alla presenza di Dio nel <strong>senso</strong> di quello che<br />

poi seguirà; b) un corpo: letture bibliche e loro spiegazione intercalate<br />

con ragionamenti, affetti, colloqui, petizioni: omelia e canti<br />

di salmi nel graduale, nell'alleluia; e) chiusura: Credo, orazione dei<br />

fedeli con conclusione del presidente.<br />

È stato fatto osservare 28 che lo schema tipico dell'orazione metodica<br />

presenta un notevole parallelismo con quello dell'ufficio di<br />

mattutino: raffigurazione del luogo e orazione preparatoria: invitatorio<br />

e inno; tre punti di meditazione: tre notturni con relative lezioni;<br />

affetti e colloqui dopo ogni punto: responsori; rendimento<br />

di grazie : Te Deum. Non manca nemmeno la preparazione dei punti :<br />

primi vespri <strong>della</strong> solennità.<br />

Ma non occorre tanto dimostrare il fatto che nell'azione liturgica<br />

è esercitata l'attività meditativa discorsiva, quanto far vedere quali<br />

speciali sfumature ivi prenda questa attività.<br />

In primo luogo è da osservare che l'azione liturgica stessa ha<br />

bensì valore meditativo discorsivo, ma rimane anzitutto azione ed<br />

azione comunitaria di tutta la Chiesa, nel <strong>senso</strong> spiegato nel capitolo<br />

XVI. <strong>Il</strong> concetto di azione include, ma nello stesso tempo<br />

oltrepassa, quello di attività meditativa discorsiva. Diciamo dunque<br />

per intenderci, che l'azione liturgica stessa ha anche valore di meditazione<br />

discorsiva, ma di meditazione-azione. L'azione liturgica non<br />

può quindi concepirsi soltanto, e nemmeno prevalentemente, come<br />

un semplice quadro più o meno comodo di meditazione sostanzialmente<br />

privata. La meditazione discorsiva che deve pur in qualche<br />

modo avverarsi in ognuno nell'azione liturgica, deve sostanzialmente<br />

rimanere, secondo lo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, nel quadro di un'azione<br />

comunitaria, a cui si prende parte attiva nella sintonia di se stesso<br />

più completa possibile.<br />

<strong>Il</strong> quadro temporale dell'attività meditativa discorsiva nell'azione<br />

liturgica è, naturalmente, segnato dal quadro temporale <strong>della</strong><br />

stessa azione. Avrà quindi il suo centro nella messa, nelle ore canoniche,<br />

nelle feste, nei cicli liturgici annuali. Ma ci sarà notevole differenza<br />

secondo i diversi quadri di vita nei quali la spiritualità liturgica<br />

viene attuata. Per coloro che ammettono la prevalenza anche<br />

quantitativa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella loro vita, come coloro che vivono<br />

in un quadro di vita corale, tutto il giorno è scandito da azioni<br />

liturgiche e perciò stesso dall'attività meditativa discorsiva secondo<br />

il succedersi delle ore canoniche. Ma per questo si suppone che le<br />

ore canoniche non vengano così accumulate da non fare più apparire<br />

il loro predominio quantitativo e qualitativo su tutta la giornata.<br />

2S G. M. BRASÒ, Liturgia e spiritualità, ed. it. Roma 1958 pp. 196-97.


MEDITAZIONE NELLA LITURGIA 649<br />

In ogni esercizio di attività meditativa si deve provvedere a un<br />

certo raccoglimento dei sensi esterni. Anche l'azione liturgica lo fa<br />

a suo modo. Normalmente, l'ambiente stesso di luogo sacro, di comunità<br />

sacra e di separazione anche fisica dal profano tende già a<br />

questo raccoglimento. Però nell'ambito stesso dell'azione liturgica<br />

un ulteriore raccoglimento dei sensi esterni non avviene, per lo più,<br />

per via di soppressione più completa possibile dei loro atti, come<br />

quando si bada a non guardare e a non ascoltare quello che avviene<br />

intorno a noi. Anzi l'azione liturgica invita a vedere, ad ascoltare<br />

tutto quello che in essa si esprime e si verifica; invita a recitare, a<br />

cantare, a seguire i movimenti di tutta la comunità. Bisogna dunque<br />

dire che, nell'azione liturgica, quel raccoglimento dei sensi esterni,<br />

necessario in ogni azione che abbia valore meditativo, per condurre<br />

l'uomo intero alla sintonia totale con il divino, avviene piuttosto<br />

per loro connaturale convogliamento verso gli oggetti sacri che per loro<br />

soppressione.<br />

Tuttavia, a chi si trova attualmente o abitualmente in stato di<br />

profondo raccoglimento interiore — ciò che comincia a verificarsi<br />

nella preghiera di semplice sguardo — è connaturale e niente affatto<br />

impossibile, pur partecipando normalmente ai movimenti, alla recitazione,<br />

ai canti comuni, chiudere più o meno ininterrottamente gli<br />

occhi, oppure, tenendoli aperti, non fissarli sopra oggetti precisi di<br />

attenzione e seguire così più facilmente il ritmo del raccoglimento<br />

interno. È per questo che presso gli antichi monaci era norma che<br />

ognuno, quanto prima, conoscesse il salterio a memoria, di modo<br />

che, mentre la lettura materiale occupava il meno possibile gli occhi,<br />

il monaco, dal suo raccoglimento interno, potesse recitare o cantare<br />

i salmi come se li componesse.<br />

Comunque, si vede di qui l'importanza che nell'azione liturgica<br />

tutto sia fatto con semplice calma e raccoglimento e che sia da tutti<br />

accuratamente evitato ciò che, in qualche modo, può rompere questo<br />

clima sacro <strong>della</strong> presenza di Dio e distogliere i sensi e l'attenzione.<br />

Di qui pure^i capisce l'importanza che le rubriche, le cerimonie,<br />

i movimenti del coro e del popolo, ed anzitutto la recitazione comune<br />

e il canto, siano così ben conosciuti e così connaturalmente eseguiti<br />

da tutti, che la loro esecuzione non costituisca per i celebranti un'assillante<br />

preoccupazione e una causa di continua tensione psicologica,<br />

e per i fedeli un'occasione di continue distrazioni.<br />

I temi che l'azione liturgica propone abitualmente all'intelligenza<br />

discorsiva e il suo modo proprio di presentarli in una sintesi totale,<br />

già li conosciamo dalla seconda e terza parte di quest'opera e dalla<br />

seconda parte di questo capitolo : si va dal segno sensibile ed efficace<br />

e dalla realtà comunitaria, al movimento cristologico-trinitario, a<br />

Cristo unico liturgo nostro capo e mediatore, ecc. Non si dimentichino<br />

i grandi temi più direttamente morali e antropologici, abbondantemente<br />

inclusi in quel panorama: creazione, novissimi, fine <strong>della</strong><br />

vita, elevazione, caduta, corruzione <strong>della</strong> natura per il peccato ori-


650 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

ginale, peccato in genere, lotta contro il peccato e il diavolo, buone<br />

opere, penitenza e mortificazione.<br />

È degno di nota il modo con cui questi temi sono proposti dalla<br />

<strong>liturgia</strong>: in quanto sono sempre presentati nel quadro <strong>della</strong> storia<br />

sacra, come storia degli interventi di Dio e <strong>della</strong> risposta, o mancata<br />

risposta, dell'uomo; dunque in modo concreto, intuitivo, anche perché<br />

sempre incentrati nella persona di Gesù, Verbo Incarnato, la cui<br />

vita, quello che fece e patì ed è ora nella carne, serve per così dire,<br />

di concretizzatore e condensatore a questi temi, sia direttamente<br />

dogmatici sia direttamente morali. Quindi in <strong>liturgia</strong>, nella vita, passione,<br />

morte, risurrezione e stato glorioso di Cristo la meditazione<br />

può sempre prendere il suo punto di partenza. In sottordine a Cristo<br />

la stessa funzione hanno la Madonna e i santi. Conosciamo pure la<br />

prevalenza che la <strong>liturgia</strong>, nel modo di presentare l'insieme del dogma,<br />

dà alla considerazione di Dio e dell'oggetto sull'uomo e sul soggetto.<br />

Questi temi considerati come materiale meditativo si caratterizzano,<br />

tra gli altri motivi, per la loro ampiezza, varietà e visione sintetica.<br />

L'aspetto delle risoluzioni pratiche nell'esercizio <strong>della</strong> volontà è<br />

ovunque presente nell'azione liturgica, ma, abitualmente, in modo più<br />

indiretto che diretto. Non è lo stile abituale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> terminare<br />

le considerazioni con una risoluzione <strong>della</strong> volontà nella forma di:<br />

voglio, vogliamo, prometto, promettiamo, ecc., ma/con una preghiera :<br />

Signore concedi che possiamo vivere rettamente, dacci la grazia di<br />

evitare il peccato, di esercitare con frutto il digiuno, di praticare la<br />

carità, ecc. E questo è naturale in una forma mentis in cui Dio è<br />

sempre nel centro <strong>della</strong> coscienza. In alcune occasioni solenni però,<br />

quelle che sono in modo speciale impegnative di tutta la vita, la <strong>liturgia</strong><br />

conosce ed esprime solennemente la forma: voglio, vogliamo,<br />

promettiamo: nel battesimo, nella rinunzia a Satana e nell'adesione<br />

a Cristo, nella rinnovazione delle promesse del battesimo inclusa ora<br />

felicemente nel rito <strong>della</strong> notte del sabato santo, nella professione<br />

religiosa, nella benedizione dell'abate, nella consacrazione delle<br />

vergini, nel rito degli ordini sacri.<br />

L'attuazione <strong>della</strong> volontà in semplice affetto di ammirazione,<br />

gratitudine, compiacenza in Dio, nella <strong>liturgia</strong> è ovunque e continuamente<br />

frammischiata a tutto il complesso, anzitutto nelle preghiere<br />

di ringraziamento e di lode e nel <strong>senso</strong> generale di compunzione<br />

presente in tutta la <strong>liturgia</strong>, ed è favorita dal suo stile per lo più<br />

leggermente retorico e lirico. Tutto questo dà all'azione liturgica considerata<br />

come esercitazione meditativa discorsiva una nota più affettiva<br />

volitiva che volontarista.<br />

Obiezioni e risposte<br />

Ma qui, appunto, sorgono una serie di obiezioni contro la reale<br />

efficacia dell'attività meditativa discorsiva nell'azione liturgica. Tutto<br />

il sistema, considerato da questo preciso punto di vista, può parere


PERSONALIZZAZIONE DELLA LITURGIA 651<br />

troppo impersonale per essere realmente efficace. La <strong>liturgia</strong>, a prima<br />

vista e direttamente, per il fatto stesso che è proposta a tutti e<br />

parla in nome di una comunità e non già, per lo più, di una persona,<br />

non sembra impegnare in modo abbastanza individuale la singola<br />

persona, perché si attiene piuttosto a un livello comune a tutti, in<br />

una sfera che sembra impersonale. Inoltre, come metodo di meditazione<br />

discorsiva, sembra presentare alla considerazione un materiale<br />

troppo abbondante e tutto assieme, mentre l'individuo che<br />

segue l'azione liturgica non ha agio di fermarsi a volontà sopra un<br />

punto determinato. Tutta diretta all'omaggio, alla lode, al ringraziamento<br />

e gli occhi sempre fìssi direttamente in Dio, sembra favorire<br />

poco la conoscenza di se stesso ed eccitare poco la volontà alle<br />

risoluzioni pratiche per l'emendamento <strong>della</strong> vita e l'acquisto preciso<br />

di tale virtù. Finalmente, obbligando a considerare determinati<br />

temi in determinate occasioni, sembra non lasciare sufficiente libertà<br />

alla scelta dell'individuo, le cui disposizioni, nelle stesse occasioni,<br />

richiederebbero forse tutt'altri temi, come per esempio, la passione<br />

di nostro Signore nelle vicinanze immediate <strong>della</strong> festa di Natale o<br />

la considerazione di Gesù bambino nella settimana di Pentecoste.<br />

Queste considerazioni, anzitutto, non sono precise. L'imprecisione<br />

proviene dal fatto che minimizzano troppo la reale possibilità<br />

di personalizzazione che la <strong>liturgia</strong> intrinsecamente contiene. Questa<br />

possibilità è connessa con quella dimensione anche personale di ogni<br />

segno liturgico sulla quale più d'una volta abbiamo richiamato l'attenzione<br />

nella prima e nella terza parte.<br />

Sebbene la prospettiva di storia sacra, mistero di Cristo, come<br />

è presentata nella <strong>liturgia</strong>, abbia direttamente valore universale trascendente<br />

un individuo, pur tuttavia in essa l'individuò non viene<br />

affatto assorbito e nemmeno negletto, ma viene considerato come<br />

incluso quale parte nel tutto. Le leggi generali delle relazioni tra<br />

l'uomo e Dio, come si riflettono nella storia sacra, si concretizzano<br />

e vengono vissute nell'azione liturgica, hanno anche valore per i singoli<br />

individui perché le relazioni che Dio ha con i singoli sono sostanzialmente,<br />

per sua libera volontà che segue certe linee costanti, quelle<br />

stesse che Egli ha con l'insieme e vengono espresse nella bibbia e<br />

nei salmi in particolare. Così, nella storia generale e nelle sue leggi,<br />

ogni individuo può e deve vedere la propria sua storia personale e<br />

le costanti che la determinano.<br />

Per esempio, come a suo luogo si disse, ogni individuo che vive<br />

la <strong>liturgia</strong> può e deve prolungare i temi dei salmi fino al piano personale.<br />

I salmi che cantano la misericordia di Dio verso Israele,<br />

il fedele deve intenderli prolungandoli o approfondendoli fino a<br />

vedervi non solo la misericordia di Dio più sublime e mirabile verso<br />

la Chiesa come tale, ma anche verso se stesso personalmente, pensando<br />

alla sua vocazione in Cristo, alla sua vita cristiana nella Chiesa<br />

e alle grazie di cui è stato personalmente ricolmato da Dio. E così<br />

di tutti gli altri temi che la <strong>liturgia</strong> propone alla meditazione discorsiva:<br />

il movimento cristologico-trinitario nello schema a, per, in,


652 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

ad, l'universale Per Christum Domìnum nostrum; il tema dell'elezione,<br />

separazione, condotta pedagogica; quello del peccato; gli eventi<br />

dell'Antico Testamento come prefigurativi e preparativi delle realtà<br />

cristiane; l'impegno morale contenuto in ogni nostro contatto con<br />

Dio; la tensione escatologica di aspettativa, ecc. ecc. In tutto questo,<br />

sempre e dappertutto, ogni individuo che vive l'azione liturgica deve<br />

vedere anche se stesso. E ciò non per arbitraria supposizione, ma<br />

perché ogni individuo vi è effettivamente contenuto a suo modo.<br />

Trattandosi di cose che investono anche lui personalmente e di cui<br />

egli stesso fa parte, la sua vita, dal punto di vista spirituale, non è<br />

che un certo riflesso e una particolare concretizzazione di queste<br />

realtà.<br />

Nel secondo capitolo dove si trattò <strong>della</strong> quadruplice dimensione<br />

del segno liturgico, si concluse che la <strong>liturgia</strong>, nella sua strutturazione<br />

interna, è come uno specchio straordinario in cui si riflettono e<br />

si compendiano, come reali e presenti, tutte le relazioni tra Dio e<br />

gli uomini. Questo va inteso non solo delle relazioni generali e comuni<br />

tra Dio e gli uomini, ma anche delle relazioni personali di ogni<br />

individuo con Dio. Nella <strong>liturgia</strong>, intorno alla conoscenza di noi stessi,<br />

alla quale tuttavia ci conduce facendoci badare anzitutto a Dio, può e<br />

deve verificarsi quello che S. Gregorio Magno diceva <strong>della</strong> scrittura —<br />

che costituisce, appunto, una buona parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> — : « La Sacra<br />

Scrittura ci è posta dinanzi agli occhi come uno specchio nel quale<br />

possiamo contemplare la nostra faccia interna. Lì scorgiamo il bello<br />

e il brutto che è in noi: lì sentiamo quanto progrediamo e quanto<br />

siamo ancora lontani dalla perfezione » 29 .<br />

Per lo stesso motivo ogni individuo nell'azione liturgica deve ritenere<br />

rivolti a sé gli ammonimenti morali, le esortazioni alle buone<br />

opere; quindi deve prendere decisioni/pratiche riguardanti la propria<br />

vita, e può e deve pregare come sui personali preghiere gli inni di<br />

ringraziamento, di ammirazione, pi lode, di pentimento, di richiesta<br />

d'aiuto per evitare il peccato,^praticare la virtù e tutte le preghiere<br />

che in qualsiasi modo la <strong>liturgia</strong> innalza a Dio.<br />

Questo fenomeno di personalizzazione di tutta la <strong>liturgia</strong> prende<br />

un significato tanto più vivo e profondo quanto più intensamente<br />

l'individuo vive la vita spirituale in genere. Della <strong>liturgia</strong> si deve<br />

dire ciò che lo stesso Gregorio dice <strong>della</strong> Scrittura: crescit cum legente<br />

30 . E questo spiega perché questa personalizzazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

raggiunge il suo sommo grado di perfezione nella vita mistica<br />

propriamente detta di colui che vi partecipa, come meglio si vedrà.<br />

In quanto al fatto che il materiale di meditazione discorsiva presentato<br />

all'individuo nell'azione liturgica è abbondantissimo, è da<br />

osservare che, affinché avvenga la sintonia meditativa del soggetto<br />

con le cose proposte, non è affatto necessario, né praticamente possibile,<br />

che egli segua con uguale chiarezza di coscienza i singoli punti<br />

che gli vengono proposti. Un'attenzione generale ma profonda del-<br />

=» Moralia II 1,1.<br />

Ibid., XX 1,1.


LITURGIA E MEDITAZIONE 653<br />

l'anima a Dio, oppure quella che prende lo spunto da un concetto<br />

più particolare senza seguire con uguale chiarezza tutti gli altri, costituiscono<br />

ottime sintonizzazioni dell'anima all'azione liturgica.<br />

Si può finalmente osservare che il sottoporre, fino a un certo<br />

punto, l'individuo alla meditazione di temi obbligati in certi giorni<br />

di festa e periodi dell'anno non sembra avere poi inconvenienti talmente<br />

grandi, poiché vediamo che la cosa è praticata anche in quei<br />

metodi di meditazione nei quali, sotto questo aspetto, domina una<br />

somma cura che potrebbe dirsi — non in <strong>senso</strong> peggiorativo — personalista<br />

e individualista. Negli esercizi di S. Ignazio, per esempio,<br />

si chiede all'esercitante di seguire in modo assai rigido i temi assegnati<br />

per le singole settimane e i singoli giorni, né se ne permette<br />

l'intercambio a volontà. Anzi, da questo punto di vista, bisognerebbe<br />

dire che la <strong>liturgia</strong> è notevole per la sua varietà e flessibilità.<br />

È vero, tuttavia, che il suo modo speciale di indurre il soggetto<br />

individuo a considerare se stesso è, ancora una volta, d'insegnargli<br />

a considerarsi sullo sfondo delle leggi-generali oggettive e comunitarie<br />

<strong>della</strong> storia sacra, come parte/di un immenso tutto. E questo<br />

spiega anche perché, nell'azione liturgica, almeno come è ora, non<br />

si lascia ai singoli individui la libertà di fermarsi al momento che<br />

ognuno vuole per considerare in silenzio e quanto tempo vuole il<br />

punto preciso che più personalmente in questo stesso momento lo<br />

aggrada. Si ha di mira la comunità come tale nel suo insieme e le<br />

esigenze dell'azione pubblica.<br />

Le osservazioni contro l'efficacia dell'azione liturgica nel suo valore<br />

di meditazione discorsiva, erano dunque imprecise ed esagerate.<br />

Tuttavia, è innegabile che contengono qualcosa di vero: il singolo<br />

individuo non è preso direttamente di mira; non è completamente<br />

libero nella scelta del tema di meditazione che più l'aggrada in questo<br />

determinato momento; non gli è permesso di fermare tranquillamente<br />

e quanto tempo vuole la sua immaginazione, il suo pensiero<br />

e il suo affetto sopra un punto determinato senza badare a quello<br />

che si fa o si dice intorno a lui. Si dirà forse che queste possibilità<br />

non avrebbero qualche grande vantaggio e che non sono, almeno in<br />

certi momenti, anche delle esigenze imprescindibili? Non lo credo.<br />

La stessa storia <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dimostra che queste esigenze sono<br />

state sempre sentite e che anticamente se ne è tenuto conto nella<br />

stessa azione liturgica assai più di quanto si faccia ora. È il fenomeno<br />

dell'intercalamento di momenti più o meno lunghi di preghiera<br />

e meditazione individuale e silenziosa nella stessa azione liturgica.<br />

Così si voleva dare soddisfazione, nella stessa azione pubblica e comunitaria,<br />

alle esigenze più individuali delle singole persone. Questi<br />

intercalamenti nella messa avvennero specialmente al momento <strong>della</strong><br />

grande intercessione. <strong>Il</strong> celebrante, esortando tutti a pregare, esprimeva<br />

anche l'intenzione ogni volta determinata per la quale bisognava<br />

farlo; il diacono nei giorni di penitenza invitava a mettersi<br />

in ginocchio: flectamus genua, dando poi anche il segnale di rialzarsi:<br />

levate; il celebrante faceva seguire una breve orazione comu-


654 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

ne come per riassumere ufficialmente le preghiere private prima fatte.<br />

L'antico schema eucologico era: lettura-omelia-salmo-preghiera privata<br />

in silenzio-orazione conclusiva del preside. Si sa che, nella<br />

<strong>liturgia</strong> romana attuale, l'unico vestigio di questa prassi è il flectamus<br />

genua e il levate che quasi subito gli fa seguito il venerdì santo e<br />

nelle messe delle quattro tempora. Nella tradizione monastica, nell'ufficio<br />

corale, si aggiunse l'intercalamento di momenti più o meno<br />

lunghi di orazione-meditazione privata dopo ogni salmo o qualche<br />

gruppo di salmi, preghiera privata conchiusa con un'orazione detta<br />

ad alta voce a nome di tutti dal presidente dell'assemblea — orazione<br />

detta salmica — 31 . Se il sistema degli intercalamenti decadde assai<br />

presto lo si deve probabilmente alla sua poca praticità effettiva<br />

rispetto alle esigenze di un'azione comunitaria, ma non già al fatto<br />

che non fosse un tentativo di rispondere a un vero bisogno. Comunque,<br />

decaduto il sistema, allo stesso bisogno non può rispondere che<br />

la meditazione e la preghiera privata fuori dell'atto liturgico.<br />

La meditazione discorsiva fuori dell'azione liturgica<br />

'in clima di spiritualità liturgica<br />

Si vuol dunque dire semplicemente, per ripetere ancora una<br />

volta ciò che tante volte si è già detto, che la spiritualità liturgica non<br />

può affatto ritenere che, nella vita <strong>della</strong> tendenza alla perfezione<br />

cristiana, si possa sufficientemente adempiere alla necessità <strong>della</strong><br />

meditazione discorsiva accontentandosi di quell'esercizio meditativo<br />

discorsivo realmente implicato nella stessa azione liturgica come è<br />

attualmente strutturata, se, nello stesso tempo, non si cerca di preparare<br />

e di prolungare questo esercizio fuori dei momenti nei quali si<br />

partecipa alla <strong>liturgia</strong> 32 .<br />

Questa meditazione fuori degli stessi momenti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è<br />

tanto più necessaria anche per uno che pur nella <strong>liturgia</strong> incentra<br />

tutta la sua spiritualità, quanto più vive in un ambiente o è personalmente<br />

impegnato in un lavoro meno connesso con le cose di Dio<br />

e meno abitualmente raccolto.<br />

In quanto alla forma precisa e ai metodi determinati di darsi<br />

a questa meditazione, mi pare che tutte le forme e tutti i metodi<br />

suggeriti dagli autori spirituali di provata fama possano essere<br />

buoni a seconda delle circostanze e dei bisogni personali e anche<br />

temporanei degli individui. Per chi vive una vita abitualmente raccolta,<br />

l'esercizio di meditazione discorsiva fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> può<br />

anche, se occorre e quanto occorre, prendere la forma semplice e<br />

31 Vedi CASSIANO, Inst. II 3. Vedi anche Dictionnaire de spiritualità, s. v.<br />

Contemplano», II 2 (1953) p. 1931; 1932; 1941 e L. Buou, The psalter collects, London<br />

1949; M. COUNE, Les oraisons psalmiques, in: Paroisse et liturgie 39 (1957)<br />

306-24. Vedi un tentativo di ripristinarle in clima moderno nel Salterio corale<br />

<strong>della</strong> L.D.C. Torino 1965.<br />

32 L'enciclica Mediator Dei ribadisce l'utilità e le necessità di questa meditazione:<br />

n. 32; 37; 172.


LITURGIA E MEDITAZIONE 655<br />

molto elastica di lettura-meditazione, secondo l'antico metodo monastico<br />

<strong>della</strong> lectio divina. Per altri sarà necessario o utile, secondo i<br />

tempi e le disposizioni, anche una forma più schematicamente rigida<br />

e analitica, come quelle suggerite, per esempio, da S. Ignazio. Questo<br />

potrà verificarsi specialmente a certi momenti <strong>della</strong> vita per dominare<br />

più facilmente immaginazione e sensibilità, se per esperienza<br />

si è riconosciuto che, diversamente, sono difficilmente domabili, in<br />

vista di ottenere quel raccoglimento indispensabile all'esercizio.<br />

Per i temi di queste meditazioni nella spiritualità liturgica è<br />

chiaro che nessuno di tutti quelli che presentano il dogma e la morale<br />

cattolica è escluso, sia pure la riflessione quasi solo filosofica dei doveri<br />

<strong>della</strong> creatura verso il Creatore e la meditazione dei novissimi.<br />

Anche qui i singoli bisogni sono determinanti. Ma è anche ovvio che<br />

i temi scelti saranno visti particolarmente alla luce <strong>della</strong> visione del<br />

mondo come la dà la <strong>liturgia</strong>. Quindi, anzitutto, si tratterà, connaturalmente,<br />

dei temi connessi comunque con la messa, con i sacramenti,<br />

i sacramentali e in modo speciale con le feste e periodi liturgici,<br />

e il tutto visto sia nel messale, sia nel breviario, sia nel pontificale<br />

e nel rituale, sia anche nella Scrittura.<br />

I libri liturgici stessi e la Scrittura in connessione con la <strong>liturgia</strong>,<br />

eventualmente anche qualche brano di scritto patristico, sempre in<br />

connessione con la <strong>liturgia</strong>, sono, anche fuori dell'azione liturgica,<br />

i connaturali libri di meditazione in clima di spiritualità liturgica.<br />

Qui, oltre a una buona traduzione dei testi, per chi non capisce il<br />

latino — e non di rado, per la difficoltà intrinseca dei testi, anche<br />

per chi lo capisce — saranno di somma utilità e, per molti, necessari<br />

in vista di una progressiva introduzione al mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, brevi<br />

commenti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> stessa, anzitutto di quella del messale. Per<br />

il messale, appunto, ne esistono ormai diversi assai buoni. Commenti<br />

simili, per il rituale e il breviario, esistono solo, per quanto<br />

mi consta, per alcune parti. Inutile dire quanto sarebbero necessarie,<br />

per rendere la <strong>liturgia</strong> efficace fonte di vita anzitutto al clero<br />

stesso e quindi anche ai fedeli, edizioni integre del breviario e del<br />

rituale con simili brevi commenti come si fa per il messale, e nei<br />

quali, fatti, se occorre, brevissimi cenni all'aspetto storico, si rilevasse<br />

anzitutto il valore <strong>teologico</strong>, biblico, ascetico dei riti e dei testi.<br />

Possono essere anche assai utili per la meditazione in clima di<br />

spiritualità liturgica, delle meditazioni scritte, tirate appunto dalla<br />

<strong>liturgia</strong>. Esistono, come è noto^ opere diverse di questo tipo come la<br />

stessa Année liturgique di Dom Guéranger che può ancora oggi avere<br />

la sua utilità, per esempio, nella riduzione in cinque volumi 33 ; il<br />

Liber sacramentorum del cardinale Schuster, e opere di simile<br />

genere 34 . Ottime opere di meditazione e lettura spirituale nello spirito<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sono quelle ormai classiche di Dom Marmion.<br />

Naturalmente, fuori dell'azione liturgica la meditazione anche<br />

in clima di spiritualità liturgica può e deve prendere un andamento<br />

33 Trad. ital. ed. paoline.<br />

34 Per es., P. PARSCH, L'anno liturgico, trad. ital. Milano 1956.


656 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

più libero e personale che nella stessa azione. Principalmente per<br />

quanto riguarda il tranquillo soffermarsi a proprio agio su particolari<br />

considerazioni che maggiormente rispondono alle necessità<br />

o alle ispirazioni del momento, nonché alle applicazioni e alle risoluzioni<br />

personali.<br />

Esercizi spirituali in clima di spiritualità liturgica<br />

Con gli esercizi di meditazione discorsiva fuori dell'azione liturgica<br />

sono connessi quelli degli esami di coscienza e dei ritiri periodici<br />

di ricollezione. Non è necessario insistere sull'utilità o anche<br />

necessità degli uni e degli altri. Dal nostro punto di vista basti notare<br />

che la prassi di tempi anche periodici di ricollezione, o anche di<br />

esercizi propriamente detti, in clima di spiritualità liturgica, viene<br />

naturalmente fatta coincidere, in quanto è possibile, con la preparazione<br />

alle grandi feste liturgiche.<br />

Nella spiritualità ufficiale <strong>della</strong> Chiesa la quaresima è stata appunto<br />

concepita, in modo specialissimo, come i santi annui spirituali<br />

esercizi del popolo cristiano in preparazione al triduo pasquale.<br />

Potrà essere che, per qualche giusto e proporzionato motivo — da<br />

non presumersi molto alla leggera, come invece, troppo spesso accade<br />

— la settimana o i tre giorni di annui esercizi nel <strong>senso</strong> moderno, di<br />

uso ormai generale, non possano farsi durante la quaresima. In ogni<br />

ipotesi, ci si guardi bene, in clima di spiritualità liturgica, da lasciar<br />

passare questo tempo spiritualmente inosservato, in stridente contrasto<br />

con le messe che il sacerdote dice allora ogni giorno e il breviario<br />

che ogni giorno pur deve recitare. Altro tempo con carattere<br />

in qualche modo simile è quello dell'avvento in preparazione a Natale.<br />

Così, in spiritualità liturgica, il triduo pasquale e Natale, il mistero<br />

di Cristo come incarnazione o venuta epifanica del Signore<br />

e come redenzione, rinnovantesi ogni giorno e ogni anno sotto il<br />

velo dei segni sensibili ed efficaci, costituiscono i due grandi fari<br />

dell'anima anche fuori dell'azione liturgica propriamente detta. Le<br />

altre grandi feste, come Ascensione, Pentecoste, Assunzione, Ognissanti,<br />

costituiscono altrettanti punti di riferimento con i quali si connettono<br />

naturalmente i periodi scelti per una maggiore ricollezione.<br />

Naturalmente, in clima di spiritualità liturgica, i giorni degli<br />

esercizi hanno per centro la partecipazione attiva e comunitaria alla<br />

<strong>liturgia</strong>, anzitutto alla messa.<br />

Spiritualità liturgica ed esercizio operoso<br />

delle virtù teologali e morali<br />

Lo sforzo ascetico nella via verso la perfezione, oltre che nell'attività<br />

meditativa discorsiva, negli esami di coscienza e nella prassi dei<br />

ritiri spirituali, si manifesta in primo luogo nella pratica operosa delle


ESERCIZIO DELLE VIRTÙ TEOLOGALI 657<br />

virtù teologali e morali. Come avviene questo nella spiritualità liturgica,<br />

sia nella stessa azione liturgica sia fuori di essa? Per chiarire<br />

questa questione dobbiamo prendere lo spunto semplicemente dalla<br />

nozione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, spiegata nella prima parte, come complesso<br />

dei segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong><br />

Chiesa. Sotto il doppio aspetto di santificazione che Dio fa <strong>della</strong><br />

Chiesa e di culto che la Chiesa rende a Dio, la <strong>liturgia</strong> è sì intimamente<br />

connessa con l'esercizio operoso delle virtù teologali e morali<br />

che la spiritualità che si incentra in essa e da essa prende il suo colore<br />

proprio, è, necessariamente, una spiritualità dove l'esercizio operoso<br />

di queste virtù occupa un posto eminente.<br />

La prima cosa da osservare in proposito è che l'azione liturgica<br />

stessa, in quanto santificazione che Dio fa <strong>della</strong> Chiesa, è il luogo<br />

privilegiato dove l'uomo, nei sacramenti, ottiene da Dio la grazia<br />

santificante ex opere operato e, nei riti d'istituzione eccfesiastica, la<br />

grazia attuale ex opere operantis Ecclesice. Ora, grazia santificante e<br />

attuale costituiscono l'essere e il dinamismo divino indispensabili all'uomo<br />

per avere e mettere comunque in opera qualsiasi virtù teologale<br />

o morale. È evidente così che la spiritualità incentrata nella<br />

<strong>liturgia</strong>, per il fatto stesso che si preoccupa con somma cura di attingere<br />

più continuamente, costantemente e immediatamente possibile<br />

alle massime e più efficaci sorgenti <strong>della</strong> grazia, ha pure somma e<br />

costante cura di fondare saldamente, non solo in realtà ma anche<br />

nella coscienza del fedele, la pratica delle virtù e dello sforzo morale<br />

verso la perfezione, sulla indispensabile e primaria base dell'apporto<br />

di Dio compenetrante completamente anche le nostre azioni libere<br />

e meritorie.<br />

L'azione liturgica e l'esercizio <strong>della</strong> fede, <strong>della</strong> speranza e <strong>della</strong><br />

carità nel quadro <strong>della</strong> virtù di religione. — Che poi in questa spiritualità<br />

vi sia abbondante esercizio operoso delle virtù teologali e<br />

morali, lo si può vedere considerando in primo luogo la stessa azione<br />

liturgica in quanto culto. Si può dire brevemente: nell'azione liturgica<br />

in quanto culto vi è eminente e continuo esercizio attuale <strong>della</strong><br />

fede, <strong>della</strong> speranza e <strong>della</strong> carità anzitutto rispetto al suo oggetto<br />

primario che è Dio. Questo avviene nel quadro dell'esercizio attuale<br />

<strong>della</strong> virtù di religione, compenetrata di sentimenti di umiltà, riverenza,<br />

sottomissione, compunzione, sfocianti a loro volta nel sentimento<br />

di adorazione con preghiera di lode, di domanda, di ringraziamento.<br />

Inoltre, nella stessa azione liturgica in quanto culto, vi è<br />

continua considerazione, esortazione, promessa e preghiera a Dio<br />

intorno all'esercizio extraliturgico di tutte le altre virtù, in specie:<br />

delle opere di carità di ogni genere verso il prossimo e delle altre<br />

virtù morali.<br />

La chiave per intendere questo asserto è semplicemente quanto<br />

abbiamo detto nel capitolo IV intorno alla singolare natura <strong>della</strong><br />

virtù di religione — la cui massima attuazione avviene appunto nell'azione<br />

liturgica come culto — e ai suoi rapporti con le virtù<br />

teologali e morali. Ricordiamoci i tre punti fondamentali sui quali


658 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

i teologi sono d'accordo: il <strong>senso</strong> generale <strong>della</strong> virtù di religione<br />

nella vita cristiana come risposta dell'uomo a un suo profondo debito<br />

verso Dio principio, sommo governatore e fine di tutti gli esseri; la<br />

trascendenza <strong>della</strong> virtù di religione sopra tutte le altre virtù morali<br />

per una sua molto più intima vicinanza a Dio stesso; l'intima connessione<br />

e parentela tra virtù di religione e virtù teologali, non solo<br />

perché queste sono la sorgente più immediata ed efficace <strong>della</strong> virtù<br />

di religione e la virtù di religione è un terreno d'elezione nel quale<br />

si esercitano, prosperano e si sviluppano le virtù teologali, ma,<br />

inoltre, perché gli atti medesimi delle virtù teologali sono come<br />

la materia più nobile e più ricercata di cui si serve la virtù di religione<br />

per attuare se stessa. Questo ci spiega come la natura intrinseca<br />

dell'azione liturgica, in quanto attuazione cultica <strong>della</strong> virtù di religione,<br />

comporta necessariamente una continua messa in opera <strong>della</strong><br />

fede, speranza e carità considerata anzitutto nel suo oggetto materiale<br />

primario che è Dio.<br />

Infatti, la religione è la virtù che rende a Dio l'omaggio a Lui<br />

dovuto quale creatore, sommo governatore e ultimo fine delle creature.<br />

Come la virtù naturale di religione presuppone che si creda<br />

nell'esistenza di Dio, nell'essere Egli creatore, governatore e fine<br />

supremo, che si spera che accetterà i nostri omaggi, e che si vuol<br />

essere concordi con la sua volontà, che è carità naturale di Dio, così<br />

l'esercizio <strong>della</strong> virtù soprannaturale <strong>della</strong> religione presuppone la<br />

fede, la speranza e la carità soprannaturali. Fede, speranza e carità<br />

imperano l'atto d'omaggio dovuto a Dio; suo imperio causant la religione,<br />

come diceva S. Tommaso. Già per questo verso si vede come<br />

fede, speranza e carità di Dio sono sempre e ovunque in opera nell'azione<br />

liturgica come attuazione cultica <strong>della</strong> virtù di religione.<br />

Esse sono l'inesauribile lago interno da cui perennemente sgorga<br />

l'azione liturgica, la quale senza di esse verrebbe subito a inaridire<br />

quale fonte viva di culto vivo.<br />

Ancora: l'omaggio che la virtù di religione rende a Dio quale<br />

sommo creatore, governatore e fine delle cose, ha per materia essenziale<br />

e primaria le disposizioni e atti d'animo interni dell'uomo nei<br />

quali consistono le diverse virtù. Perché ogni disposizione e atto di<br />

virtù, oltre ad essere quello che è considerato in se stesso nella propria<br />

materia, ha anche un valore di omaggio che l'uomo può e deve<br />

rendere al creatore, sommo governatore e fine di ogni cosa. L'atto di<br />

temperanza nell'uso del cibo e delle bevande, per esempio, è un<br />

atto di una certa misura nel bere e nel mangiare. Ma l'uomo può e<br />

deve fare atto di temperanza non solo per la bellezza che c'è nel conservare<br />

quella retta misura, ma anche per rendere così il dovuto<br />

omaggio a Dio, riconoscendo in Lui il creatore, sommo governatore<br />

e fine supremo delle cose a cui devono essere liberamente sottoposte<br />

e ordinate tutte le azioni dell'uomo. Così facendo, in quell'atto,<br />

l'uomo attua non solo la virtù di temperanza, ma anche di religione;<br />

o meglio: la virtù di religione si serve come di materia dell'atto di<br />

temperanza per attuare se stessa offrendo l'atto di temperanza come<br />

debito omaggio al creatore.


CULTO E CARITÀ 659<br />

Poiché il culto è anzitutto una disposizione d'animo interna, la<br />

materia che offre in omaggio a Dio sono anzitutto quelle disposizioni<br />

e quegli atti d'animo interni nei quali consistono le virtù. Ma,<br />

tra essi, primeggiano al sommo grado la disposizione d'animo e gli<br />

atti interni nei quali consistono le tre virtù teologali: fede, speranza<br />

e carità. Le quali, più di ogni altra virtù o disposizione d'animo,<br />

hanno valore religioso, appunto perché più d'ogni altra virtù e disposizione<br />

d'animo, oltre ad essere quello che sono secondo il loro oggetto<br />

formale proprio, hanno valore d'omaggio al creatore, sommo<br />

governatore e fine di tutte le cose. Esse, infatti, e anzitutto la carità,<br />

implicano più d'ogni altra virtù quel riconoscimento riverenziale,<br />

quella umiltà e sottomissione, quella dedizione completa di se stesso<br />

con sentimento d'adorazione e di lode che costituiscono come l'atmosfera<br />

psicologica generale <strong>della</strong> virtù di religione. È dunque nell'offerta<br />

a Dio dell'atto di fede, di speranza, ed anzitutto di carità,<br />

come sommo omaggio a Lui dovuto perché creatore, sommo governatore<br />

e fine di ogni cosa, che si realizza, in prima linea, l'atto <strong>della</strong><br />

virtù di religione e quindi il sommo culto.<br />

Bisogna aggiungere però che, se nell'offerta <strong>della</strong> fede, <strong>della</strong><br />

speranza ed anzitutto <strong>della</strong> carità, si realizza il sommo culto a Dio,<br />

la somma fede, la somma speranza e la somma carità che viene<br />

offerta in culto a Dio su questa terra è, appunto, la fede, la speranza<br />

e la carità di cui Gli si fa omaggio nell'azione cultica cristiana,<br />

in prima linea <strong>della</strong> messa; per cui l'azione cultica cristiana, in prima<br />

linea <strong>della</strong> messa, è, appunto, il sommo culto reso a Dio su questa<br />

terra.<br />

Questo perché la fede, la speranza e la carità che viene offerta<br />

in omaggio a Dio nell'azione liturgica, è, a un titolo superiore che<br />

non possiede nessun altro atto di fede, di speranza o di carità, fatto<br />

da qualsiasi individuo o gruppo d'individui, sia pure nella Chiesa, la<br />

fede, la speranza e la carità <strong>della</strong> Chiesa stessa, come corpo mistico<br />

integro di Cristo, capo e membra. Nello stesso modo che la preghiera<br />

liturgica ufficiale, perché, a un titolo speciale che non possiede<br />

nessun altra preghiera, è la preghiera <strong>della</strong> Chiesa come tale,<br />

integro corpo mistico di Cristo capo e membra, ed è perciò, d'una<br />

dignità ed efficacia che trascende quaggiù ogni altra preghiera; così<br />

l'atto di fede, di speranza e di carità, di cui quella stessa preghiera<br />

liturgica non è che l'espressione, trascende per dignità ogni altro<br />

atto di fede, speranza e carità su questa terra, perché è atto di fede,<br />

speranza e carità preso a proprio conto a un titolo eminente dalla<br />

Chiesa come tale, dallo stesso suo capo Gesù Cristo, e a questo titolo<br />

speciale, presentato in omaggio cultuale a Dio.<br />

E la dottrina generale <strong>della</strong> trascendenza <strong>della</strong> preghiera e del<br />

culto liturgico sulla preghiera e sul culto non liturgico, spiegata a<br />

proposito del concetto di opus operantis Ecclesiae. Ricordiamoci:<br />

nessuna preghiera e nessun culto su questa terra è accetto al Padre<br />

se non presentato da Cristo stesso e considerato in qualche modo<br />

da Lui come atto proprio. Agli occhi del Padre, nessuna cosa fatta dagli


660 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

uomini ha valore soprannaturale ed è a Lui accetta se non è fatta<br />

in unione con Cristo e con Lui, attraverso Lui : per ipsum, cum ipso<br />

et in ipso. Così, qualsiasi preghiera e qualsiasi atto di virtù. Ma nella<br />

Chiesa vi sono diversi gradi in cui questo può avvenire, come lo dimostra<br />

il concetto stesso di opus operantis Ecclesiae. <strong>Il</strong> sommo grado<br />

in cui questo si verifica dopo l'opus operatum è appunto quello che<br />

si compie nella <strong>liturgia</strong>. Lì si verifica al sommo grado consentito<br />

l'identificazione dell'individuo, che si sintonizza interiormente con<br />

la <strong>liturgia</strong>, e dei suoi atti di preghiera, di fede, di speranza e di<br />

carità, con Cristo stesso e i suoi atti di culto al Padre; l'individuo<br />

si unisce a un titolo specialissimo a Cristo e ai suoi atti; meglio ancora,<br />

è Cristo stesso che attrae a sé a un titolo specialissimo, nel<br />

culto che rende al Padre, quell'individuo e i suoi atti di fede, di speranza,<br />

di carità come atti resi in omaggio cultico al Padre.<br />

Da questo si può vedere non solo quanto l'esercizio delle virtù<br />

teologali sia strettamente connesso con il culto liturgico per intima<br />

sua natura, ma anche come questo loro esercizio raggiunga quaggiù<br />

il suo sommo grado di valore dinanzi a Dio proprio nell'azione liturgica.<br />

In questa prospettiva prende tutto il suo valore la dottrina di<br />

S. Agostino per cui egli riteneva che il <strong>senso</strong> profondo del culto, anzi<br />

di tutta la Chiesa, sia appunto l'edificazione, su questa terra, <strong>della</strong><br />

fede, <strong>della</strong> speranza e <strong>della</strong> carità: aedifìcatio fidei, spei et caritatis 35 ,<br />

principalmente <strong>della</strong> carità, la quale, una volta edificata non sarà più<br />

distrutta.<br />

Dopo di che non fa più meraviglia che fede, speranza e carità si<br />

mostrino ovunque presenti nella <strong>liturgia</strong> anche ad un'analisi superficiale.<br />

Basti solo riflettere che lo sfondo naturale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, sempre<br />

presupposto e in qualche modo esplicitato, è la storia sacra degli<br />

interventi di Dio nel mondo come mistero di Cristo sempre in atto<br />

secondo i suoi diversi piani: quello storico di preparazione e attuazione<br />

passata, quello misterico di attuazione presente per partecipazione<br />

di grazia al mistero di Cristo nella <strong>liturgia</strong> e nella vita morale<br />

fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, e quello escatologico futuro come mèta ultima cui<br />

tutto il complesso è indirizzato.<br />

È facile vedere come il piano storico di preparazione e di attuazione<br />

passata, nonché il piano misterico di partecipazione presente<br />

sia tutto e necessariamente oggetto di fede. Non può essere percepito<br />

che per fede : il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> storia prima di Cristo come preparazione<br />

a Cristo; il significato reale divino <strong>della</strong> vita di Cristo dall'incarnazione<br />

al Golgota, alla risurrezione, alla seduta alla destra del<br />

Padre e alla missione dello Spirito; il significato <strong>della</strong> vita attuale<br />

come partecipazione di grazia ai misteri di Cristo sotto il velo dei<br />

segni sensibili e nell'intimità <strong>della</strong> vita individuale.<br />

35 Vedi D. GRABNER, S. Augustine's doctrine concerning the edification of<br />

faith, hope and charity and its place in his theology of the liturgica! year. Tesi<br />

mss. difesa a S. Anselmo, Roma 1956. A S. Agostino stesso mancò la prospettiva<br />

dell'opus operantis Ecclesiae senza la quale non si può scorgere il valore proprio<br />

dell'esercizio <strong>della</strong> fede, speranza e carità nel quadro dell'azione liturgica.


LITURGIA E VIRTÙ TEOLOGALI 661<br />

È altrettanto facile vedere come la realizzazione del piano escatologico<br />

futuro fino alla risurrezione gloriosa dei corpi e l'instaurazione<br />

definitiva del regno di Dio nella Gerusalemme celeste, piano<br />

pur sempre insistentemente presente nella prospettiva liturgica, come<br />

a suo luogo è stato dichiarato, non possa essere che oggetto di fede<br />

e di speranza nello stesso tempo. Come è oggetto di speranza il soccorso<br />

<strong>della</strong> grazia che la <strong>liturgia</strong> continuamente aspetta ed implora<br />

da Dio per raggiungere felicemente il fine beato che le sta sempre<br />

dinanzi agli occhi. Chi dice tensione verso un bene futuro, difficile a<br />

raggiungersi, ma pur raggiungibile, almeno con l'aiuto di un altro,<br />

dice speranza. È appunto il caso dei beni futuri soprannaturali cui<br />

continuamente indirizza la <strong>liturgia</strong>.<br />

Non meno chiaro è che la presentazione continua di questi<br />

piani, dai quali prendono spunto letture, orazioni di domanda, ringraziamenti,<br />

adorazioni, esortazioni, professioni di fede, ecc., insomma<br />

tutto quello che costituisce il complesso dei testi liturgici, è indirizzata<br />

sempre, in ultima analisi, come a suo ultimo fine, all'attuazione<br />

dell'amore di Dio come ultima risposta, sola meno inadeguata,<br />

dell'uomo all'amore preveniente e paterno di Dio; il quale, a sua<br />

volta, è l'ultima parola che sola spiega i suoi interventi amorosi,<br />

gratuiti e sempre in atto nella storia per attrarre l'uomo a sé.<br />

È, in sostanza, quanto osserva anche l'enciclica Mediator Dei<br />

sulle orme di S. Agostino: « <strong>Il</strong> culto che essa (la Chiesa) rende a<br />

Dio, è come insegna S. Agostino, una continua professione di fede<br />

cattolica e un esercizio <strong>della</strong> speranza e <strong>della</strong> carità: "Dio — così<br />

egli dice — si deve onorare con la fede, la speranza e la carità" » 36 .<br />

Nella sacra <strong>liturgia</strong> facciamo esplicita professione di fede, non soltanto<br />

con la celebrazione dei divini misteri, con il compimento<br />

del sacrificio e l'amministrazione dei sacramenti, ma anche recitando<br />

e cantando il simbolo <strong>della</strong> fede, che è come il distintivo e<br />

la tessera dei cristiani, con la lettura di altri documenti e delle sacre<br />

lettere, scritte per ispirazione dello Spirito Santo. Tutta la <strong>liturgia</strong><br />

ha, dunque, un contenuto di fede cattolica, in quanto attesta pubblicamente<br />

la fede <strong>della</strong> Chiesa... Lo stesso deve dirsi anche quando<br />

si tratta delle altre virtù teologiche: « Nella fede... nella speranza<br />

e nella carità preghiamo sempre con desiderio continuo » 37 . In conclusione,<br />

si costata che nell'azione liturgica, l'esercizio <strong>della</strong> fede,<br />

speranza e carità verso Dio è così eminente e continuo, che questa<br />

caratteristica non può non improntare profondamente di sé tutta<br />

la spiritualità che nell'azione liturgica s'incentra.<br />

Non meno caratteristico però è il fatto che nell'azione liturgica<br />

fede, speranza e carità sono così profondamente messe in esercizio<br />

perché vengono attuate dalla virtù di religione e nel quadro<br />

<strong>della</strong> virtù di religione che si esprime direttamente nella <strong>liturgia</strong><br />

come culto. Computata generalmente tra le virtù morali che hanno<br />

per oggetto una certa misura da stabilire nelle azioni umane, la reli-<br />

36 S. AGOSTINO, Enchiridion cap. 3.<br />

37 S. AGOSTINO, ep. 130 Ad Probam 18. MD, 46; 47.


662 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

gione è, comunque, da tutti giustamente ritenuta non solo la somma<br />

tra le virtù morali, ma anche la più teologica e disinteressata o teocentrica<br />

di tutte. Appunto, perché le azioni umane che regola sono<br />

quelle dove si esprime il nostro debito verso Dio come sommo<br />

creatore, governatore e fine delle cose. Anche dal punto di vista<br />

dell'esercizio delle virtù morali appare quindi chiaro come la <strong>liturgia</strong><br />

del binomio uomo-Dio si concentra più direttamente su Dio che<br />

sull'uomo; infatti, tra le stesse virtù morali, dà enorme rilievo a<br />

quella che, fra tutte, è più direttamente concentrata su Dio e le cui<br />

caratteristiche sono: i sentimenti di ammirazione, di riverenza, di<br />

sottomissione, di lode, di adorazione, di devotio come totale dedizione<br />

di se stesso: tutti sentimenti che riguardano direttamente Dio.<br />

L'azione liturgica e l'esercizio <strong>della</strong> « compunctio ». — Ma non<br />

già, ancora una volta, che l'azione liturgica, nell'esercizio delle virtù<br />

morali, che in essa trovano immediata operosità, si concentri tanto<br />

su Dio da dimenticare l'uomo. Anche qui l'uomo è tenuto ben presente,<br />

ma come di riflesso all'attenzione portata direttamente su Dio.<br />

Ora il sentimento specifico che di riflesso l'uomo ha di se stesso<br />

mentre concentra direttamente la sua attenzione sull'eccellenza di<br />

Dio quale creatore, sommo governatore e fine di tutte le cose, è<br />

quello che gli antichi chiamavano il penthos, la compunctio, compunzione:<br />

sentimento generale fatto di umiltà, di pentimento e dolore<br />

delle proprie offese e deficienze, di disprezzo di se stesso, temperato<br />

dalla fiduciosa considerazione <strong>della</strong> misericordia di Dio 38 . La <strong>liturgia</strong><br />

è un ottimo campo dove naturalmente germoglia la compunctio.<br />

Valga a questo proposito l'aneddoto di un antico asceta palestinese.<br />

« Un fratello incontrò uno degli anziani nella laura di Soucas sopra Gerico,<br />

e gli chiese: «come stai, padre?». L'anziano rispose: «male». <strong>Il</strong> fratello gli<br />

disse : « perché abate? ». L'anziano disse : « ecco trent'anni che passo- in piedi<br />

tutti i giorni dinanzi a Dio nella preghiera. Delle volte maledico me stesso<br />

quando dico a Dio: non avere pietà di tutti quelli che fanno l'iniquità; oppure:<br />

maledetti tutti coloro che si allontanano dai tuoi comandamenti, mentre io<br />

stesso me ne allontano e faccio l'iniquità. Talvolta ancora dico a Dio: perderai<br />

tutti coloro che dicono menzogne; e io mentisco tutti i giorni. Mentre nel mio<br />

cuore ho pensieri perversi, dico a Dio: la meditazione del mio cuore è sempre<br />

dinanzi a te. Io che non digiuno affatto, dico : le mie ginocchia si sono indebolite<br />

per il digiuno. E ancora, mentre porto rancore al mio fratello, dico a Dio: perdonaci<br />

come noi perdoniamo. Mentre non penso ad altro che mangiare il mio<br />

pane, dico: ho dimenticato di mangiare il mio pane. Io che dormo fino al mattino,<br />

dico nel salmo: alla metà <strong>della</strong> notte mi sono alzato per confessare il tuo<br />

nome. Mentre non ho affatto compunzione, dico: sono addolorato e gemo e<br />

le lacrime sono state il mio pane giorno e notte. Pieno di orgoglio e delle comodità<br />

carnali mi rendo ridicolo quando canto: guarda la mia umiltà e il mio<br />

dolore e rimetti tutti i miei peccati. Non sono affatto pronto, e dico: il mio<br />

cuore è pronto, o Dio. In una parola, tutta la mia <strong>liturgia</strong> e la mia preghiera<br />

mi si sono cambiate in rimprovero e in vergogna ». <strong>Il</strong> fratello disse : « credo,<br />

38 Vedi I. HAUSHEHR, Penthos. La doctrine de la componction dans l'Orient<br />

chrétien, Roma 1944.


FORZA MORALIZZATRICE DELLA LITURGIA 663<br />

padre, che David ha detto tutto questo per se stesso ». Ma l'anziano disse gemendo:<br />

« cosa dici, fratello? certamente, se non osserviamo quello che cantiamo,<br />

andiamo a perdizione ».<br />

<strong>Il</strong> P. I. Hausherr, che trascrive l'episodio 39 , osserva che l'asceta<br />

che prendeva sul serio la <strong>liturgia</strong> non vi trovava soltanto occasioni<br />

ad estasi e che, comunque, il buon vegliardo, in un punto almeno<br />

esagerava il suo stato, quando diceva, cioè, di non avere la compunzione.<br />

Tutto il passo, infatti, dimostra il contrario. E dimostra pure<br />

come proprio dalla <strong>liturgia</strong> si possa meravigliosamente nutrire questo<br />

prezioso stato d'animo. Supponendo, naturalmente, che si prenda<br />

la <strong>liturgia</strong> sul serio. Come, del resto, bisogna prendere sul serio<br />

l'esercizio <strong>della</strong> cosiddetta orazione mentale o quello <strong>della</strong> meditazione<br />

ascetica, per farne un vero dinamismo di forza morale e di<br />

pratica effettiva <strong>della</strong> virtù.<br />

La forza moralizzatrice dell'azione liturgica in vista dell'esercizio<br />

delle opere di carità verso il prossimo e delle virtù morali nella vita<br />

pratica. — Con tutto questo è innegabile che l'azione liturgica considerata<br />

in se stessa, dal punto di vista dell'esercizio operoso delle<br />

virtù teologali e morali, ha i suoi limiti. Lo stesso esercizio <strong>della</strong><br />

carità teologica vi è in qualche modo limitato perché la carità ivi<br />

fortemente ed eminentemente esercitata si porta direttamente anzitutto<br />

su Dio stesso, oggetto primario di questa virtù teologica. Le<br />

creature amate per Dio, oggetto secondario <strong>della</strong> stessa virtù, sono<br />

bensì anch'esse notevolmente, sebbene secondariamente, oggetto d'amore<br />

nell'azione liturgica, ma sotto forma di preghiera, di auguri, di<br />

desideri. Vi manca, invece, notevolmente e necessariamente l'esercizio<br />

delle opere esterne di carità e di misericordia verso il prossimo; specialmente<br />

per il semplice fedele, mentre lo stesso sacerdote, dirigendo<br />

quell'azione, compie in modo eminente questo esercizio nell'amministrare<br />

i sacramenti, nell'insegnare, nel dirigere la preghiera. Ma,<br />

anche dal sacerdote, numerose opere di carità verso il prossimo,<br />

che è pur suo dovere esercitare, non vengono esercitate nell'azione<br />

liturgica stessa. Principalmente, l'esercizio di molte virtù morali,<br />

come <strong>della</strong> penitenza, <strong>della</strong> castità, <strong>della</strong> temperanza, dell'obbedienza,<br />

dell'umiltà, <strong>della</strong> fortezza nelle sue forme di coraggio, di perseveranza,<br />

ecc., non può farsi che in modo irrilevante nella stessa azione<br />

liturgica.<br />

Riconoscere questi limiti equivale forse a dire che l'azione liturgica<br />

non ha notevole efficacia moralizzatrice rispetto alla pratica<br />

delle opere di carità e all'esercizio delle numerose altre virtù morali<br />

fuori <strong>della</strong> religione, e che, quindi, l'azione liturgica non ha forza<br />

moralizzatrice notevole nella pratica ordinaria <strong>della</strong> vita? Niente<br />

affatto. È vero, invece, che l'azione liturgica, malgrado i predetti<br />

limiti, possiede tuttavia una forza moralizzatrice eminente anche<br />

rispetto alla vita extraliturgica e quindi all'esercizio delle opere di<br />

3 » Ibid. p. 46 s.


664 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

carità verso il prossimo e delle altre virtù morali nella vita pratica.<br />

Questo per diversi motivi. Anzitutto, per cominciare dal più<br />

generico, perché la <strong>liturgia</strong> tiene continuamente presente dinanzi<br />

agli occhi quello che si può chiamare il quadro generale completo<br />

<strong>della</strong> situazione religiosa dell'uomo nel giusto equilibrio <strong>della</strong> rispettiva<br />

parte che vi spetta all'uomo e a Dio : creazione, elevazione, paradiso<br />

terrestre, caduta, natura corrotta, peccato, novissimi, diavolo,<br />

debolezza dell'uomo, necessità <strong>della</strong> grazia, restaurazione solo in<br />

Cristo, scopo <strong>della</strong> vita cristiana: rivestire Cristo, imitare Cristo, per<br />

ipsum, cum ipso et in ipso, comunione dei santi, <strong>senso</strong> comunitario<br />

e coscienza acuta del corpo mistico di Cristo. E in tutto questo:<br />

necessità <strong>della</strong> cooperazione e dello sforzo ascetico. Nel quale sforzo<br />

il fedele è così sempre avvertito che non approderebbe a nulla se<br />

non si appoggiasse a Cristo e non fosse semplicemente un atomo,<br />

sebbene cosciente e libero, trascinato nella grande corrente di vita<br />

divina che da Cristo scende al mondo e dal mondo per Cristo sale<br />

a Dio. Questa visione è apportatrice di forza dinamica nella vita<br />

e nello sforzo perché è apportatrice di certezza e di ottimismo: la<br />

certezza <strong>della</strong> speranza e l'ottimismo <strong>della</strong> nostra partecipazione<br />

comunitaria alla vittoria di Cristo.<br />

In secondo luogo, la <strong>liturgia</strong>, anche psicologicamente, è piena<br />

di forza moralizzatrice <strong>della</strong> vita anche extraliturgica, perché, incessantemente,<br />

fa presente la necessità dello sforzo ascetico nella pratica<br />

delle virtù in tutta la vita, vi incita ovunque, prega ovunque Dio di<br />

darne la forza per realizzarlo. E questo la <strong>liturgia</strong> lo fa considerando<br />

la pratica <strong>della</strong> virtù in tutta la vita sia come necessaria preparazione<br />

per una degna partecipazione alla <strong>liturgia</strong>, sia come necessaria conseguenza<br />

di avervi preso parte.<br />

Questa che si può chiamare la catechesi psicologico-moralizzatrice<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, non è cosa che abbia in essa poco rilievo, come<br />

prova il fatto fondamentale già spiegato <strong>della</strong> dimensione morale ed<br />

impegnativa di ogni segno liturgico. In particolare: i periodi prefestivi,<br />

anzitutto la quaresima, l'avvento e le vigilie, hanno per scopo<br />

eminente la preparazione morale <strong>della</strong> vita del cristiano in vista<br />

<strong>della</strong> celebrazione degna <strong>della</strong> prossima festa. <strong>Il</strong> tema delle buone<br />

opere da compiere vi è quindi sempre in forte rilievo. Uno dei grandi<br />

temi dei postcommunio è la preghiera a Dio che la partecipazione<br />

al sacramento, or ora avvenuta, frutti ai fedeli una vita virtuosa<br />

corrispondente alle esigenze dell'essere cristiano, per poter felicemente<br />

arrivare un giorno al fine <strong>della</strong> vita nella visione beata.<br />

Un altro grande tema, in specie <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dei santi, è quello<br />

dell'imitazione delle loro virtù e dei loro lavori per la causa di Dio 40 .<br />

io per questi temi vedi, per es., seconda domenica d'avvento: orazione;<br />

prima messa di Natale: postcommunio; seconda messa di Natale: orazione; lunedì<br />

santo: segreta; martedì di Pasqua: orazione; giovedì di Pasqua: orazione;<br />

venerdì di Pasqua: orazione; domenica in albis: orazione; festa di S. Francesco<br />

Saverio, 3 Dicembre: orazione; S. Raimondo di Penafort, 23 Gennaio: orazione;<br />

S. Giovanni Bosco, 31 Gennaio: orazione.


FORZA MORALIZZATRICE DELLA LITURGIA 665<br />

Altro esempio tipico <strong>della</strong> forza moralizzatrice <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sono<br />

le esortazioni che accompagnano il conferimento degli ordini (imitamini<br />

quod tractatis), la consacrazione delle vergini, la benedizione<br />

degli abati, la professione monastica. Senza contare i numerosissimi<br />

passi scritturistici letti nell'azione liturgica che contengono, e spesso<br />

sono essenzialmente, ammonimenti morali messi direttamente in<br />

relazione con la situazione liturgica che si compie ".<br />

Un'ulteriore causa per cui l'azione liturgica possiede una forza<br />

psicologica moralizzatrice molto seria è perché nella <strong>liturgia</strong>, e<br />

nella spiritualità liturgica in genere, la necessità dell'azione morale<br />

in tutta la vita è proposta dal punto di vista del motivo specifico<br />

dell'onore e dell'omaggio da rendere a Dio, che è, appunto, il motivo<br />

proprio <strong>della</strong> religione. Ora, questo è il motivo più nobile, più disinteressato<br />

e quanto mai psicologicamente efficace in vista dell'azione.<br />

È noto quanto siano importanti nella vita morale i motivi psicologici<br />

per animare e sostenere lo sforzo: per esempio, la magnanimità<br />

ci spinge -ed incoraggia allo sforzo, entusiasmandoci per un alto<br />

ideale * 2 .<br />

« Più alto e più immediatamente adattato alle esigenze soprannaturali<br />

del nostro progresso morale è il motivo <strong>della</strong> virtù di religione:<br />

i nostri obblighi verso Dio e l'onore che è a Lui dovuto. Qui<br />

gloriatur in Domino glorietur: vuol dire dare un grande sostegno<br />

al nostro sforzo morale, considerare la perfezione che dobbiamo conquistare,<br />

non soltanto come una grandezza umana degna di lode,<br />

ma come una realizzazione in cui è impegnato l'onore di Dio... Sarebbe<br />

particolarmente interessante analizzare le condizioni psicologiche<br />

<strong>della</strong> magnanimità e mostrare il potente dinamismo che essa<br />

trova nella virtù di religione. La stabilità e la fermezza <strong>della</strong> nostra<br />

vita morale sarà invero tanto più assicurata quanto il nostro ideale<br />

sarà più alto ed unificante e la nostra fiducia più serena. La religione<br />

che ci fa considerare l'onore di Dio, dà alla concentrazione di tutte<br />

le nostre forze morali il più alto ideale. Ed anche il più disinteressato.<br />

È questo che dà all'anima religiosa la sua fiduciosa stabilità.<br />

Siamo sicuri di non essere delusi se lavoriamo non per la nostra<br />

gloria, ma per quella di Dio. Notiamo che S. Tommaso stesso ha<br />

segnalato (a proposito <strong>della</strong>- magnificenza, ma la cosa vale anche<br />

per la magnanimità) questa connessione psicologica. « La magnificenza<br />

ha per scopo di fare opera grande. Le opere fatte dall'uomo<br />

sono ordinate a qualche fine. Ma nessun fine delle opere umane è<br />

tanto grande quanto l'onore di Dio. E quindi la magnificenza fa<br />

opera grande anzitutto in ordine all'onore di Dio. Per cui il filosofo<br />

dice nel quarto dell'Etica che: spese onorevoli sono anzitutto quelle<br />

che riguardano i sacrifici divini. L'uomo magnifico ha a cuore anzitutto<br />

questi. E perciò la magnificenza è unita alla santità, perché<br />

41 Esempi tipici: molte epistole di S. Paolo. Per es., prima domenica di<br />

avvento; Natale, prima messa; sabato santo notte; Pasqua. Vedi nello stesso<br />

<strong>senso</strong> molte letture dell'Antico Testamento nelle messe di quaresima.<br />

« Vedi S. TOMMASO, Summa IMI 129.


666 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

i suoi effetti sono diretti principalmente alla religione ossia alla<br />

santità » 43 .<br />

Bisogna aggiungere, è vero, che il motivo specificamente religioso<br />

dell'onore e omaggio di Dio può essere usato, ed effettivamente lo è non<br />

di rado, in modo più o meno intenso, come dinamismo e leva psicologica<br />

in vista di galvanizzare l'uomo nella pratica delle virtù e nell'azione<br />

caritativa, anche da metodi e scuole che alla <strong>liturgia</strong> non<br />

danno particolare rilievo. Ma è anche vero che una spiritualità nettamente<br />

incentrata sulla <strong>liturgia</strong> non difetta di questa potente leva psicologica<br />

in funzione mox alizzatrice e di spronamento all'esercizio delle<br />

virtù nella vita pratica; anzi essa, per il fatto stesso di essere incentrata<br />

nella <strong>liturgia</strong>, che, in quanto culto, è direttamente il sommo esercizio<br />

<strong>della</strong> virtù di religione, possiede in modo diretto e trascendente<br />

quella stessa leva.<br />

La precedente considerazione è connessa con un'altra costatazione,<br />

convergente anch'essa a far capire meglio la forza moralizzatrice <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>. Ed è che nella <strong>liturgia</strong>, come nella stessa Scrittura e secondo<br />

lo stile stesso <strong>della</strong> Scrittura, i motivi immediati delle singole azioni<br />

morali sono presi abitualmente non tanto dalla considerazione filosofico-ontologica<br />

<strong>della</strong> natura delle cose, quanto dalla storia sacra, ossia<br />

dagli interventi concreti e liberi di Dio nel mondo. La cosa è stata abbastanza<br />

spiegata nel primo capitolo. Ora il motivo specificamente<br />

cristiano e la visione sempre soprannaturale delle cose è, evidentemente,<br />

una leva potentissima per l'esercizio delle virtù nella vita<br />

pratica.<br />

Finalmente, l'efficacia moralizzatrice dell'azione liturgica risulta<br />

dalla connessione tra il culto e la devotio. La devotio, come si è fatto<br />

notare nel capitolo IV, è un atteggiamento generale e radicale <strong>della</strong><br />

volontà sempre pronta al servizio di Dio e a tutto quello che concerne<br />

il suo onore. Questo atteggiamento fondamentale è come l'humus immediato<br />

su cui germoglia e cresce il culto. Ora, è proprio da questo<br />

stesso atteggiamento di devotio che proviene la forza e l'efficacia di<br />

ogni orazione, meditazione, risoluzione in vista dell'espressione effettiva<br />

<strong>della</strong> carità attraverso l'esercizio delle virtù nella vita pratica.<br />

Così l'azione liturgica, essendo, come culto, devotio in atto, anzi nel<br />

suo sommo atto, comporta nello stesso tempo come una carica dinamica<br />

generale se si vuole, ma non meno effettiva, che induce efficacemente<br />

a mettere a disposizione tutta la vita pratica al servizio di Dio<br />

in omaggio a Lui dovuto. Questo atteggiamento, anche se non portasse<br />

su qualche punto particolare di esercizio di una virtù determinata,<br />

quando sarà necessario « feconderà tutte le risoluzioni particolari<br />

che l'esercizio stesso <strong>della</strong> nostra vita morale, quando è riflessivo,<br />

ci può suggerire, ed anche le trascenderà tutte in quanto al potere di<br />

progresso » 44 .<br />

43 I. MENNESIER, St. Thomas d'Aq., Somme théol. (ed. Revue des jeunes).<br />

La religion, I Paris, 1932 pp. 333-35. L'ultima frase è di S. TOMMASO, Stimma IMI<br />

q 134 a 2 ad 2.<br />

44 Ibid. p. 331.


LITURGIA E VITA PRATICA 667<br />

L'analisi <strong>della</strong> forza psicologica moralizzatrice dell'azione liturgica,<br />

anche rispetto a quell'esercizio di opere di carità e di virtù morali che<br />

in essa non trovano immediata notevole applicazione pratica, ci porta<br />

lontani dall'opinione di taluni, non ben ragionata del resto, che cioè,<br />

fuori <strong>della</strong> funzione strettamente cultuale di adorazione e di lode,<br />

la <strong>liturgia</strong> non è cosa che possa incidere seriamente nel lavoro morale<br />

ascetico dell'uomo su se stesso e in quello apostolico e caritativo<br />

verso gli altri.<br />

Spiritualità liturgica ed esercizio effettivo delle virtù nella vita<br />

pratica extraliturgica. — Per completare questo quadro dell'esercizio<br />

ascetico delle virtù teologali e morali in clima di spiritualità liturgica,<br />

basta aggiungere che la spiritualità liturgica tiene conto, naturalmente,<br />

<strong>della</strong> necessità, in vista di un'efficace tendenza alla perfezione<br />

cristiana, di un largo esercizio delle virtù teologali e morali in<br />

campo extraliturgico. Non è necessario insistere ancora una volta sul<br />

fatto che la spiritualità liturgica non è affatto una spiritualità che<br />

stima tutto esaurirsi nell'azione liturgica; ma una spiritualità nella<br />

quale lo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, senza sopprimere la necessità <strong>della</strong> vita<br />

extra liturgica, per esempio, appunto, per l'esercizio delle opere di<br />

carità e delle virtù morali, che non hanno occasione di esercitarsi<br />

nell'azione liturgica, tuttavia imbeve tutto lo sforzo verso la perfezione<br />

cristiana, anche quello che si deve necessariamente fare fuori<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Ma cosa vuol dire che in clima di spiritualità liturgica anche l'esercizio<br />

operoso delle virtù teologali e morali fuori dell'azione liturgica è<br />

imbevuto dello spiritò <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>? Vuol dire, di nuovo, che questo<br />

esercizio extraliturgico è psicologicamente considerato come preparazione<br />

necessaria alla futura prossima partecipazione attiva alla <strong>liturgia</strong><br />

e come prolungamento e necessaria conseguenza <strong>della</strong> partecipazione<br />

attiva alla stessa già avvenuta. Fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e nel<br />

quadro dei doveri del proprio stato, si praticano le virtù cristiane, specialmente<br />

quelle appunto che trovano la loro occasione normale di esecuzione<br />

solo fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, affine di poter partecipare più fruttuosamente<br />

possibile alla <strong>liturgia</strong> e perché la partecipazione alla <strong>liturgia</strong><br />

già avvenuta esige, come necessaria conseguenza, che si pratichino<br />

tali virtù nella vita cristiana. Così, senza cadere in una deleteria ristrettezza<br />

d'orizzonti, né limitare la vita cristiana all'azione liturgica,<br />

si ha l'immenso vantaggio di conservare la necessaria e quanto mai<br />

benefica unità dell'attività e di tutto lo sforzo verso la perfezione,<br />

incentrandolo, anche psicologicamente, in quello che la teologia dice<br />

essere il centro <strong>della</strong> vita e la Chiesa ci propone come tale, cioè, nell'azione<br />

liturgica, principalmente <strong>della</strong> messa.<br />

Un insigne esempio di profondo reciproco influsso tra azione liturgica<br />

ed esercizio delle virtù, in specie morali, nella vita ordinaria<br />

fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, ce lo dà la Chiesa stessa nel modo ufficiale in cui<br />

concepisce e propone a vivere la quaresima come periodo di annui<br />

esercizi e di vita spirituale più intensa del popolo cristiano. Vita spi-


668 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

rituale più intensa che, pur avendo il suo forte centro irradiatore ed<br />

attrattore nell'azione liturgica stessa durante questo periodo, si integra<br />

però, nella mente <strong>della</strong> Chiesa, con una larga prassi extraliturgica<br />

di ogni specie di virtù, principalmente opere di carità verso il prossimo<br />

(l'elemosina è fortemente messa in onore) e opere di penitenza, temperanza,<br />

perseveranza, incentrate principalmente sul digiuno. Alla<br />

quaresima, sotto questo aspetto, vanno assimilati, nello spirito <strong>della</strong><br />

Chiesa, i periodi delle quattro tempora e le vigilie.<br />

Conclusione<br />

A conclusione di questo articolo intorno allo sforzo ascetico in<br />

clima di spiritualità liturgica, si può tranquillamente asserire che la<br />

<strong>liturgia</strong> stessa e la spiritualità che in essa s'incentra, per loro intrinseca<br />

natura, comportano un grandissimo esercizio di virtù teologali e<br />

morali ed implicano perciò uno sforzo ascetico quanto mai impegnativo<br />

ed efficacemente moralizzatore anche nella pratica dell'intera<br />

vita. La <strong>liturgia</strong> e la spiritualità liturgica, pur mostrandosi ovunque,<br />

come abbiamo avuto occasione via via di rilevare, fortemente teologali<br />

e teocentriche, non sono quietistiche, né semiquietistiche, né<br />

estetizzanti ed estraenti dal sano realismo <strong>della</strong> vita pratica. Pur<br />

avendo gli occhi fissi sempre in Dio non dimenticano l'uomo e le sue<br />

debolezze, che anzi pretendono sanarlo e rivelarlo meglio a se stesso<br />

inducendolo, appunto, a un forte concentramento in Dio.<br />

Se di tutto questo alcuni diffidenti verso il movimento liturgico<br />

hanno dubitato, è semplicemente per insufficiente conoscenza <strong>della</strong><br />

natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>; mentre se alcuni che si pretendono liturgisti,<br />

nella loro vita pratica, o anche in alcune loro affermazioni o non<br />

chiare tendenze, sono sembrati avvalorare il predetto dubbio, è perché<br />

nemmeno loro sapevano bene cos'è esattamente la <strong>liturgia</strong> e forse<br />

non avevano idee chiare nemmeno intorno alla questione generale<br />

cosa è la spiritualità. Urge quanto mai dissipare questi equivoci, perché<br />

tutti possano accedere senza reticenze ed attingere largamente alla<br />

« sorgente primaria del vero spirito cristiano ».<br />

Qualcuno forse dirà: ma, nella spiritualità liturgica, non vi possono,<br />

almeno, essere dei pericoli, in <strong>senso</strong> estetizzante o ritualista<br />

o di insufficiente impegno morale? A questo si risponde semplice-<br />

'mente che ovunque entra qualcosa di umano, per l'uomo che può<br />

abusare di tutto, vi possono essere dei pericoli; che, anzi, in ogni<br />

cosa ove entra alcunché d'umano vi sono effettivamente dei pericoli<br />

specifici per l'uomo che può abusarne, dai quali egli deve accuratamente<br />

guardarsi. Da questo non è esclusa la stessa messa e gli stessi<br />

sacramenti anche in quello che hanno d'istituzione divina. Tanto più<br />

si dovrà dire che in ogni spiritualità, intesa come concretizzazione<br />

particolare dei mezzi comuni per tendere alla perfezione cristiana,<br />

vi possono essere, ed anzi vi sono, dei pericoli specifici dai quali<br />

l'uomo deve particolarmente guardarsi. Sul piano storico succede<br />

inevitabilmente che qualche persona, effettivamente, vi cada.


PERICOLI NELLA SPIRITUALITÀ LITURGICA? 669<br />

Ogni spiritualità ha trovato, se non proprio i suoi censori, almeno<br />

chi con insistenza ha rilevato i suoi pericoli propri. Così non è<br />

mancato chi, a proposito di certa spiritualità che insiste direttamente<br />

e notevolmente sull'aspetto di autodeterminazione volontaria o anche<br />

volontarista in vista <strong>della</strong> pratica morale del bene, <strong>della</strong> correzione<br />

dei difetti, del servizio apostolico, ha parlato di moralismo, psicologismo,<br />

tecnicismo e cose simili. Altri, a proposito di tal altra spiritualità<br />

che intende indirizzare nettamente tutto lo sfòrzo all'esperienza<br />

mistica, ha parlato di introspezionismo, di sperimentalismo<br />

e via dicendo. A proposito dell'uno e dell'altro tipo di spiritualità<br />

si è parlato spesso di individualismo e di mancanza di <strong>senso</strong> ecclesiale<br />

comunitario nella pietà. Accuse vere? È facile dimostrare di<br />

no. Indizio di certi pericoli insiti nelle dette spiritualità per chi<br />

non sapesse usarne bene, sebbene niente affatto necessari? Non<br />

credo che chi lo riconoscesse mancherebbe necessariamente di rispetto<br />

verso le dette spiritualità, o comunque, ne diminuirebbe il<br />

reale valore. Lo ripeto: ogni cosa che ha alcunché d'umano, per l'uomo<br />

che è capace di abusare di tutto, comporta i suoi pericoli specifici.<br />

Così anche la spiritualità ufficiale e fuori serie <strong>della</strong> Chiesa stessa.<br />

Perché questa possibilità di abusi nella stessa <strong>liturgia</strong> in <strong>senso</strong><br />

di esteriorismo ed estetismo contrario al necessario e sano sforzo<br />

ascetico personale nella vita spirituale? Perché la <strong>liturgia</strong> comporta<br />

necessariamente ed essenzialmente nello stesso tempo culto interno<br />

e sua esteriorizzazione. Ora il culto interno, in se stesso considerato,<br />

non è sottoposto a misura né in esso vi può essere eccesso, che<br />

anzi la sua misura è di essere senza misura, perché l'uomo non può<br />

mai onorare internamente abbastanza Dio quanto Dio è degno di<br />

onore. Ma l'esteriorizzazione del culto interno — come l'esteriorizzazione<br />

<strong>della</strong> stessa carità — è sottoposta alla retta misura, secondo<br />

che lo comporta la natura dell'uomo, le prescrizioni <strong>della</strong> Chiesa, le<br />

circostanze di persona, di luogo e di tempo. Qui vi può essere abuso<br />

sia per eccesso che per difetto. Nei singoli casi deve dunque intervenire<br />

la prudenza che regoli l'esteriorizzazione del culto e, secondo<br />

i predetti criteri, impedisca l'abuso. <strong>Il</strong> culto esterno è al servizio<br />

dell'interno come sua espressione e suo incitamento. Chi, nella situazione<br />

concreta delle circostanze che sono le sue, non si serve del<br />

culto esterno in modo che gli sia mezzo per esprimere e per eccitare<br />

maggiormente il suo culto interno, abusa del culto esterno.<br />

Gli ammonimenti che alcuni si compiacciono di indirizzare ai<br />

cultori di <strong>liturgia</strong>, hanno dunque il loro fondamento; come non sono<br />

destituiti di fondamento quelli che altri danno ai cultori di altri indirizzi<br />

di spiritualità affinché non cadano nel moralismo, nello psicologismo,<br />

nell'introspezionismo, nello sperimentalismo e nell'individualismo.<br />

Riconosciamo dunque che il pericolo di esteriorismo, di<br />

mancanza di serio impegno morale, talvolta di estetismo, può minacciare<br />

chi, non comprendendo la <strong>liturgia</strong> e la spiritualità su di<br />

essa basata, ne abusa anziché usarne rettamente, e che per evitare<br />

tale pericolo basta comprenderla e, così compresa, viverla sul serio.


670 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

4. VITA MISTICA E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

Non vi è spiritualità come dottrina completa del modo di tendere<br />

alla perfezione cristiana, che non debba occuparsi dell'aspetto mistico<br />

che questa tendenza riveste o può rivestire. Non è nostro compito<br />

esporre ex professo il concetto di mistica e la sua parte specifica<br />

nello sviluppo <strong>della</strong> vita cristiana. Lasciando da parte, o accennando<br />

appena, se occorre, alle questioni discusse tra gli stessi teologi<br />

cattolici in questo campo, basta per noi partire dai punti accettati<br />

da tutti e chiarire le questioni che pongono in spiritualità liturgica.<br />

Richiamo di alcuni punti di dottrina intorno alla vita mistica<br />

Questi punti sono principalmente i seguenti. L'essenza dell'atto<br />

mistico come atto soprannaturale di amorosa conoscenza di Dio<br />

(contemplazione), trascende le forze nonché il modo ordinario di agire<br />

dell'uomo anche aiutato dalla grazia, è d'ordine più istintivo o di<br />

semplice intuizione che discorsivo e in esso l'uomo è — ed, in un<br />

certo modo, si sente — psicologicamente più passivo che attivo, nel<br />

<strong>senso</strong> che nello stesso gli viene risparmiata la fatica dell'atto. Si potrebbe<br />

anche dire che l'atto mistico è un atto infuso di conoscenza ed<br />

amore di Dio d'ordine più intuitivo che discorsivo e più passivo che<br />

attivo, e, in un certo modo, psicologicamente percepito come tale<br />

(contemplazione infusa).<br />

<strong>Il</strong> secondo punto da ricordarsi è la diversità dei gradi di contemplazione<br />

infusa o degli atti mistici. Per descriverli nei particolari,<br />

oggi, generalmente, si prendono come base le descrizioni che fece Santa<br />

Teresa, da un punto di vista psicologico, delle sue personali esperienze,<br />

completate per lo più da alcune osservazioni di S. Giovanni <strong>della</strong><br />

Croce. Ma mentre, secondo le descrizioni dei mistici, sono assai chiare<br />

le caratteristiche dell'inizio <strong>della</strong> contemplazione infusa ed è certo<br />

il fatto generale dell'esistenza in essa di gradi diversi d'intensità e<br />

perfezione, è assai meno certa la questione dei singoli gradi in particolare,<br />

delle loro note distintive, <strong>della</strong> loro rispettiva perfezione e<br />

del loro ordine di successione. In questo campo S. Teresa non pretende<br />

altro che descrivere la sua personale esperienza e noi siamo<br />

naturalmente tentati di prenderla per punto di riferimento universale<br />

a causa delle meravigliose e non facilmente superate descrizioni<br />

psicologiche che la santa ce ne ha lasciate e per le quali le ha messe<br />

in qualche modo a nostra portata. Ma è spesso difficilissimo, appena<br />

si entra nei particolari, ridurre agli schemi di S. Teresa quello che<br />

gli altri mistici ci hanno detto delle loro esperienze; e non pare che<br />

l'unico motivo sia perché questi altri non abbiano saputo darcene una<br />

descrizione psicologica altrettanto precisa, ma anche perché gli schemi


MISTICA E LITURGIA : QUESTIONE 671<br />

di S. Teresa non sembrano dover essere intesi come aventi valore<br />

assoluto e universale.<br />

<strong>Il</strong> terzo punto da non perdere mai di vista è la netta distinzione<br />

ormai acquisita, tra l'essenza del fenomeno mistico e gli epifenomeni<br />

accidentali che possono, ma non devono necessariamente, accompagnarlo.<br />

Tra questi vanno computati non solo le visioni, rivelazioni,<br />

locuzioni interne, i fenomeni somatici esterni dell'estasi, levitazioni<br />

e cose simili, ma anche parecchi altri fatti fisico-psichici, come<br />

determinate reazioni <strong>della</strong> sensibilità affettiva, la sospensione di<br />

movimenti somatici, la sospensione <strong>della</strong> parola, dell'attività esteriore<br />

dei sensi esterni, dell'immaginazione. L'essenza del fenomeno<br />

mistico non consiste in queste cose. Se, tuttavia, lo accompagnano<br />

è o perché il soggetto, secondo il suo temperamento, così reagisce<br />

a quello che quel fenomeno ha d'essenziale, senza che queste reazioni<br />

siano prodotte direttamente da Dio, o perché Dio stesso le produce<br />

bensì direttamente ma come fenomeni secondari accompagnanti il<br />

fenomeno mistico essenziale e tenendo sempre conto del temperamento<br />

del soggetto e delle circostanze.<br />

È noto che si discute tra i teologi la questione dei rapporti precisi<br />

tra grazie mistiche e perfezione cristiana: se questa sia raggiungibile<br />

o meno senza quelle. Vi si connette l'altra questione dèlia chiamata<br />

generale alla vita mistica, nonché quella <strong>della</strong> desiderabilità o<br />

meno delle grazie che la caratterizzano. Comunque, ci si può in<br />

qualche modo disporre a quelle grazie e, quando a Dio piace di<br />

gratificarne qualcuno, è suo grave dovere non ostacolare l'opera divina.<br />

Perciò in spiritualità liturgica, come in qualsiasi altra spiritualità,<br />

non si può evitare la questione dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e<br />

mistica 45 .<br />

La questione<br />

Ora, la natura e lo stile <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> può sollevare una questione<br />

di compatibilità, o, per lo meno, di buona armonia, con l'esperienza<br />

mistica. Sembrerebbe, a prima vista, che la spiritualità liturgica<br />

escluda, o, per lo meno, ostacoli notevolmente, la nascita e lo sviluppo<br />

degli atti e degli stati mistici.<br />

La spiritualità liturgica, specialmente nella <strong>liturgia</strong> stessa, è attivamente<br />

comunitaria; implica un abbondante uso di segni sensibili,<br />

di preghiere anche vocali, nonché l'esercizio notevole dei sensi esterni<br />

e <strong>della</strong> fantasia. Tutto questo sembra poco conciliabile con l'atto<br />

mistico, o, per lo meno, poco adatto a creare un'atmosfera favorevole<br />

alla mistica.<br />

Ci sarà chi noterà come, effettivamente, grandissimi mistici parlino<br />

poco <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>: per esempio, S. Teresa, ed ancora meno<br />

15 Vedi anche R. HOORNAERT, Liturgie ou contemplation, in: Études carmetitaines<br />

17 (1932) voi. I pp. 177-215.


672 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

S. Giovanni <strong>della</strong> Croce 46 . Anzi, sembra che quello che essi dicono<br />

intorno agli atti e agli stati mistici e specialmente al modo in cui<br />

l'uomo deve comportarsi tanto per prepararsi ad essi, quanto per<br />

non ostacolarli quando Dio li ha concessi, sia notevolmente contrario<br />

allo stile <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Si tratta in modo particolare degli avvertimenti<br />

che danno a coloro che cominciano a ricevere la grazia<br />

<strong>della</strong> contemplazione mistica, quando cominciano a sperimentare<br />

quello che S. Teresa chiama l'orazione di quiete, che è il primo passo<br />

nello stato mistico propriamente detto. È il momento in cui la meditazione<br />

discorsiva comincia a divenire penosa, perché l'anima è<br />

chiamata a un modo di conversare con Dio sempre più semplice,<br />

come in un semplice sguardo amoroso e di riposo in Lui, senza<br />

notizia distinta di oggetti particolari, ma con una semplice attenzione<br />

amorosa generale, senza sforzo di sensi, immaginazione o discorso<br />

intellettivo. Allora, infatti, si raccomanda all'anima anzitutto di non<br />

impacciarsi con ragionamenti, preghiere vocali, immaginazioni determinate,<br />

atti di volontà su oggetti precisi, e tanto meno attività<br />

determinate di sensi. Ma, riconosciuti i segni veraci <strong>della</strong> chiamata,<br />

si raccomanda di lasciare la via <strong>della</strong> meditazione discorsiva e di starsene<br />

tranquillo in quella notizia generale confusa di Dio la quale<br />

è un atto vitale assai superiore a tutti gli altri. Si ricordi, per esempio,<br />

il passo seguente di S. Giovanni <strong>della</strong> Croce:<br />

« Pertanto, molte volte l'anima si troverà in questa amorosa e pacifica<br />

avvertenza, senza nulla operare con le potenze circa atti particolari, non operando<br />

attivamente, ma solo ricevendo; e molte altre volte avrà bisogno di aiutarsi<br />

per mezzo del discorso, ma con moderazione e senza sforzo, per stabilirsi<br />

nella notizia. Però, avvenuto ciò, l'anima non opera niente con le sue potenze;<br />

anzi allora, a dir vero, la celeste e saporosa intelligenza viene operata nell'anima,<br />

mentre questa non fa nient'altro che fissare un'amorosa attenzione in Dio senza<br />

voler sentire e vedere alcuna cosa. Quindi Dio le si comunica passivamente,<br />

come chi ha gli occhi aperti riceve passivamente la luce, non facendo altro che<br />

tenerli aperti. <strong>Il</strong> ricevere la luce soprannaturalmente è intendere passivamente;<br />

perciò si dice che l'anima non opera, non già perché non intenda, ma perché<br />

ciò che intende non è frutto <strong>della</strong> sua industria, e consiste nel solo ricevere<br />

quel che le danno, come accade nelle illustrazioni o ispirazioni divine. Malgrado<br />

che la volontà riceva liberamente la notizia generale e confusa di Dio, tuttavia,<br />

per ricevere più semplicemente e abbondantemente questa luce, è necessario<br />

che non frapponga altre luci più palpabili e sensibili di estranee notizie o forme<br />

di discorso; perché niente di tutto questo è simile a quella serena e limpida<br />

luce. E però, se allora volesse intendere e considerare cose particolari, quantunque<br />

spirituali, impedirebbe la luce chiara, semplice e generale dello spirito,<br />

intromettendovi quelle nubi; non altrimenti che si impedirebbe la luce e la<br />

vista degli oggetti a chi si mettesse una benda o altro ostacolo davanti agli<br />


MISTICA E LITURGIA : QUESTIONE 673<br />

occhi. È evidente, quindi, che non appena l'anima sarà riuscita a ben purificarsi<br />

e vuotarsi di tutte le forme e immagini apprensibili rimarrà in quella pura e<br />

semplice luce, trasformandosi in essa in stato di perfezione. Quella luce non<br />

manca mai nell'anima, ma le forme e i veli delle creature, nei quali ella è avvolta<br />

e imbarazzata, le impediscono di diffondersi. Che se l'anima finisse di togliere<br />

ogni velo o impedimento, rimanendosene nella sua pura nudità e povertà<br />

di spirito, subito ella, già semplice e pura, si trasformerebbe nella semplice e<br />

pura Sapienza, che è il Figlio di Dio. Venendo a mancare nell'anima innamorata<br />

quanto vi era di naturale, subito le s'infonde il divino soprannaturalmente, perché<br />

in natura il vuoto ripugna. Dunque, l'uomo spirituale procuri di starsene<br />

con avvertenza amorosa in Dio, e con riposo dell'intelletto quando non può<br />

meditare, quantunque gli sembri di non far nulla. A poco a poco e molto presto<br />

gli s'infonderà nell'anima una celeste pace, con ammirabili e sublimi notizie di<br />

Dio rivestite di amore divino. E non s'impacci con immaginazioni o meditazioni<br />

o discorsi di sorta, a fine di non disturbare l'anima e non strapparla dalla sua<br />

quiete e dal suo contento; e non la trascini dove non trova altro che ripugnanza<br />

e pena » 47 .<br />

A questo passo e a tanti altri di simile tenore, si aggiunga la<br />

grande e ben nota insistenza di S. Giovanni <strong>della</strong> Croce nel raccomandare<br />

all'uomo spirituale che vuol tendere verso la perfezione<br />

di « spogliare l'anima dalle apprensioni naturali degli oggetti esteriori<br />

» e di « vuotare » l'immaginazione o la fantasia, « dì tutte le<br />

forme e apprensioni immaginarie che possono in esso (<strong>senso</strong>) entrare<br />

naturalmente » 48 , e di applicare lo stesso trattamento di svuo-<br />

47 Salita II 13 n. 2-4 (ed. ital. Opere, Roma 1940, p. 107 s; ed. critica spagnola<br />

del P. Crisogono de Jesus, Vita y obras de S. Juan de la Crux, 3 ed.<br />

Madrid 1955, Subida II 15 n. 2-5 p. 595 s).<br />

48 Vedi Salita, il capitolo undici n. 1 (ed. ital. Opere, Roma 1940, p. 92; ed.<br />

critica spagn. cit., Subida II 12 p. 582 s). Dello spogliare l'anima dalle apprensioni<br />

dei segni esteriori tratta il libro 1 <strong>della</strong> Salita; del vuotare la fantasia<br />

tratta il libro II capitolo undici. Nella stessa opera, libro III cap. 34-43 (secondo<br />

l'ediz. ital., Opere, Roma 1940; ed. critica spagn. cit., Subida III 35-44 p. 734 ss)<br />

si parla assai a lungo delle immagini, oratori, chiese, luoghi, cerimonie, per<br />

ammonire come l'uomo spirituale deve comportarsi in tutto questo. San Giovanni<br />

ha di mira la tendenza all'esteriorismo, al fasto e, talvolta, anche alla<br />

superstizione che in queste cose vedeva intorno a sé nella Spagna del secolo<br />

XVI. È quindi unicamente intento a premunire contro i pericoli che in queste<br />

cose, invece di nutrire una profonda devozione, non si faccia altro che alimentare<br />

i gusti sensibili delle cose esteriori e visibili, ciò che, nel migliore dei casi,<br />

impedisce di arrivare alla vera unione con Dìo in nudità di spirito. In quanto<br />

alla preghiera nelle chiese e negli oratori, pur riconoscendo ripetutamente che<br />

« il luogo conveniente e destinato all'orazione siano le chiese e gli oratori, e<br />

l'immagine serva di motivo » (III 39, 1; ed. crit. spagn. cit., <strong>Il</strong>i 40, 1 p. 744),<br />

non si stanca di consigliare all'uomo spirituale di scegliere per affare di tanta<br />

importanza « quel luogo che meno occupi e attragga il <strong>senso</strong>. <strong>Il</strong> luogo non deve<br />

essere delizioso (come alcuni vogliono procurarlo), perché, altrimenti, invece di<br />

raccogliere lo spirito, non farebbe altro che ricreare il <strong>senso</strong>. Sono invece molto<br />

adatti i luoghi solitari e anche alpestri, ove lo spirito seriamente e direttamente<br />

sale a Dio, non impedito o trattenuto da cose visibili, le quali alcune volte si,<br />

aiutano ad innalzare lo spirito, ma solo se le dimentichiamo subito, per restarcene<br />

unicamente in Dio » (III 38, 2; ed. crit. spagn. cit., III 39, 2 p. 743). « Scegli<br />

il luogo più appartato e solitario possibile... » (III 39, 2; ed. crit. spagn. cit.,<br />

<strong>Il</strong>i 40, 2 p. 745). « Per incamminare lo spirito a Dio in questo genere di mezzi<br />

conviene avvertire che ai principianti si concede, ed è pure necessario, che<br />

trovino qualche piacere sensibile circa le immagini, gli oratori, e le altre cose<br />

22 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


674 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

tamento alla memoria e all'intendimento discorsivo come spiega<br />

nel II e III libro <strong>della</strong> Salita.<br />

Con tutto questo non voglio affatto insinuare che S. Giovanni<br />

<strong>della</strong> Croce, e ancora meno S. Teresa, ritenga positivamente la franca<br />

accettazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come centro di vita spirituale una via inadatta<br />

allo sviluppo <strong>della</strong> vita mistica, per il motivo che la <strong>liturgia</strong>,<br />

assai legata ai sensi, ai riti esteriori, alle manifestazioni comunitarie<br />

di pietà, sarebbe da essi stimata poco adatta ad alimentare quella<br />

nudità di spirito che è pur essenziale in quella vita. Voglio solo far<br />

notare che nei grandi dottori mistici del secolo XVI, i quali, con il<br />

loro concentramento sull'aspetto psicologico e descrittivo dell'unione<br />

con Dio, fecero fare tanto progresso alla dottrina mistica, non viene<br />

spiegato quale posto abbia o possa avere la <strong>liturgia</strong> nell'esperienza<br />

contemplativa. Che anzi, le loro descrizioni psicologiche di questa<br />

esperienza sollevano addirittura una questione intorno alla compatibilità<br />

tra mistica e vita liturgica e comunitaria pienamente accettata.<br />

Un testo di Cassiano<br />

Per risolvere questa questione hanno capitale importanza, come<br />

sempre quando si tratta di mistica, l'esperienza e la testimonianza<br />

precisa degli stessi mistici. La prima cosa da vedere è dunque se<br />

nella storia <strong>della</strong> mistica vi siano delle testimonianze nelle quali mistica<br />

e <strong>liturgia</strong> appaiano in qualche modo normalmente unite. Questi<br />

casi esistono e dimostrano, per via di fatto, che <strong>liturgia</strong>, spiritualità<br />

e mistica possono andare benissimo insieme ed anche insieme rigogliosamente<br />

prosperare. Questi casi e queste testimonianze, allargando<br />

e completando la nostra informazione intorno all'esperienza<br />

mistica, ci impediscono di dedurre da certe affermazioni, come quelle<br />

sopra citate di S. Giovanni <strong>della</strong> Croce, giudizi e conclusioni ingiustificate.<br />

<strong>Il</strong> caso storico più completo di perfetto connubio tra <strong>liturgia</strong>,<br />

spiritualità liturgica e mistica pare quello di S. Gertrude. Ma perché<br />

devote visibili, perché non hanno ancora divezzato il palato dalle cose del secolo;<br />

e quindi mediante il gusto delle cose sante più facilmente lasciano tutti<br />

gli altri gusti; come facciamo con un bambino, al quale, se vogliamo togliere<br />

una cosa, gliene diamo un'altra, affinché non resti a mani vuote e non pianga.<br />

Però, se vuol progredire, l'uomo spirituale si deve spogliare anche dei suddetti<br />

gusti ed appetiti in cui la volontà può dilettarsi. <strong>Il</strong> puro spirito molto poco si<br />

attacca ad alcunché di quelle cose, ma soltanto si fonda nel raccoglimento interiore<br />

e nel tratto mentale con Dio; e quantunque si giovi delle immagini e<br />

degli oratori, lo fa molto di passaggio, elevandosi subito a Dio e dimenticando<br />

tutto ciò che è sensibile. Pertanto, benché sia meglio pregare nei luoghi più<br />

adatti, ciò nonostante è da scegliersi quel luogo ove il <strong>senso</strong> e lo spirito saranno<br />

meno impediti di sollevarsi al Signore » (III, 38, 1; ed. crit. spagn. cit.. <strong>Il</strong>i 39, 1<br />

p. 743). Sta il fatto che San Giovanni non parla dell'orazione liturgica, né dei<br />

sacramenti e delle cerimonie, ecc., se non in rapporto al pericolo che alimentino<br />

gusti sensibili di cose esteriori e visibili e così impediscano la nudità dello spirito<br />

necessaria alla vera contemplazione. Vedi anche, per es., S. TERESA, Cammino<br />

di perfezione 26-29; 31.


LA X COLLAZIONE DI CASSIANO 675<br />

è un esempio di spiritualità liturgica che può essere studiato con<br />

profitto sotto diversi aspetti, mi propongo di trattarlo più ampiamente<br />

a parte nel capitolo seguente. Qui farò ricorso ad altre testimonianze.<br />

Ora, tra queste, ve ne sono alcune, antiche e moderne, consistenti<br />

in descrizioni psicologiche di atti e stati mistici sperimentati<br />

così caratterizzate, da non lasciare adito al minimo dubbio sul fatto<br />

fondamentale <strong>della</strong> perfetta possibilità dell'atto di contemplazione<br />

mistica propriamente detta nella stessa azione liturgica comunitaria,<br />

mentre il mistico prende ad essa parte attiva con comportamento<br />

esteriore perfettamente normale.<br />

Anzitutto, trascrivo ed analizzo un testo di Cassiano, nella X collazione<br />

(cap. 11), dove riferisce la seconda conferenza dell'Abate<br />

Isacco sull'orazione. <strong>Il</strong> testo tratta direttamente di quella che Cassiano<br />

chiama l'orazione perfetta che rappresenta per lui nient'altro<br />

che lo stesso culmine <strong>della</strong> contemplazione mistica. Si tenga presente<br />

il contesto generale. Le collazioni IX e X parlano dell'orazione<br />

come fine <strong>della</strong> vita monastica. La IX parla dell'orazione in genere,<br />

delle sue diverse specie e dei suoi presupposti, ossia <strong>della</strong> purificazione<br />

ascetica di tutta la vita come fondamento indispensabile dell'orazione.<br />

Si parla anche dei diversi gradi di orazione; in specie si fanno<br />

allusioni al più sublime di essi : l'orazione « pura », pura et sincera<br />

oratio, l'orazione infuocata, perfetta: ignita oratio, perfecta oratio<br />

(IX, 25-27). La X collazione, dopo aver refutato l'errore degli Antropomorfìti,<br />

i quali ritenevano che Dio avesse una certa forma umana,<br />

ciò che alcuni di loro stimavano importante per poterselo rappresentare<br />

nell'orazione, tocca la questione <strong>della</strong> via o metodo per salire<br />

alla perfezione dell'orazione. Una via facile, molto raccomandata,<br />

è quella delle orazioni giaculatorie, nelle quali si può raggiungere un<br />

altissimo grado di orazione: pura et brevis oratio. Si raccomanda a<br />

questo proposito il versetto: Deus in adiutorium meum intende, che<br />

può servire a realizzare in qualche modo l'orazione perpetua, la iugis<br />

oratio, cioè uno stato in cui l'anima rinnovando in sé con grandissima<br />

frequenza la coscienza <strong>della</strong> presenza di Dio : perpetua Dei memoria,<br />

si innalza di continuo a Lui con pura e breve orazione. Tutto questo,<br />

naturalmente, presuppone la purificazione morale <strong>della</strong> vita nello<br />

sforzo ascetico.<br />

A questo punto (cap. 11) si torna nuovamente a parlare <strong>della</strong><br />

orazione perfetta come del santuario interiore al quale tutte le precedenti<br />

purificazioni e orazioni hanno per scopo di servire d'introduzione.<br />

« Chiunque sarà arrivato e prenderà le mosse da questo stato (<strong>della</strong> purificazione<br />

e <strong>della</strong> perpetua memoria di Dio) nel quale non solo possiede la semplicità<br />

dell'innocenza, ma, inoltre, dotato <strong>della</strong> virtù <strong>della</strong> discrezione è diventato<br />

sterminatore dei serpenti velenosi tenendo satana sotto i suoi piedi, pervenuto<br />

che è, per alacrità <strong>della</strong> mente, allo stato di spirituale cervo, troverà il suo pascolo<br />

sui monti dei profeti e degli apostoli, cioè nei loro altissimi e sublimi<br />

misteri.<br />

Fortificato dal loro continuo nutrimento, egli farà anche suoi tutti gli af-


676<br />

CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

fetti dei salmi e comincerà a cantarli in modo tale che, con profonda compunzione<br />

di cuore, li pronunzierà non già come composti dal profeta, ma usciti da<br />

se stesso, come propria orazione. O per lo meno, crederà che sono stati fatti<br />

proprio per sé, riconoscendo che quello che vi si dice non si è avverato soltanto<br />

allora per il profeta o nel profeta, ma avviene e si compie ogni giorno in se<br />

stesso. Infatti, le divine Scritture, solo allora ci sono chiaramente manifeste e<br />

si apre a noi per così dire la loro vena e le loro midolla, quando la propria<br />

nostra esperienza non solo ne percepisce il <strong>senso</strong>, ma lo anticipa, e che il significato<br />

delle parole ci è manifestato non già per mezzo di spiegazioni, ma per<br />

riscontro di propria esperienza. Allora, mentre rinnoviamo in noi lo stesso<br />

affetto interiore con il quale ogni salmo fu cantato o scritto, ne diventiamo<br />

noi stessi come gli autori e ne precediamo il <strong>senso</strong> anziché seguirlo. Ossia,<br />

conoscendo quello a cui vitalmente corrispondono le parole già prima di capirle<br />

concettualmente, quando veniamo a meditarle, ci ricordiamo, per così dire,<br />

quello che è avvenuto in noi o avviene ogni giorno. Mentre cantiamo ci ricorderemo:<br />

gli effetti delle nostre negligenze e le conquiste <strong>della</strong> nostra operosità;<br />

i benefici <strong>della</strong> divina provvidenza e le perdite causateci dall'istigazione del nemico;<br />

i danni <strong>della</strong> mobile e lieve smemoratezza, le conseguenze dell'umana<br />

fragilità e gli inganni delia nostra imprevidente ignoranza. Tutti questi effetti<br />

li troveremo, infatti, espressi nei salmi, tanto che, ivi considerando come in uno<br />

specchio purissimo tutto quello che ci è accaduto, lo riconosceremo più efficacemente.<br />

Di modo che, così ammaestrati dall'esperienza, queste cose non le conosceremo<br />

come per averle udite, ma palpandole come presenti e le emetteremo<br />

dall'interno affetto del cuore non come dalla memoria ma come insite in noi<br />

per loro stessa natura, penetrandone il <strong>senso</strong> non per lettura di testo ma sotto<br />

la guida dell'esperienza che precede.<br />

A tal punto che la nostra mente perviene così a quella pura orazione di cui<br />

abbiamo parlato nel trattato precedente quanto il Signore ci ha concesso di<br />

farlo. La quale, non solo non si ferma alla considerazione di nessuna immagine,<br />

ma, inoltre, non si formula in nessuna espressione di voce o di parole, ma con<br />

inesauribile gioia dello spirito, si esprime in infuocata tensione <strong>della</strong> mente con<br />

ineffabile rapimento (excessus) dell'anima, e che la mente, uscendo fuori da<br />

tutti i sensi e cose visibili, effonde dinanzi a Dio con gemiti e sospiri inenarrabili ».<br />

Notiamo anzitutto che il passo vuole certamente indicare come<br />

il monaco può salire al sommo gradino di quella perfetta orazione<br />

<strong>della</strong> quale si tratta appunto nell'ultimo capoverso del testo. Pura<br />

orazione di cui si era fatto parola nella collazione IX, 25-27; orazione<br />

infuocata, nel rapimento dell'anima: excessus mentis, al di là delle<br />

immagini e delle parole. Che si tratti di orazione contemplativa e<br />

propriamente mistica di un altissimo grado, è evidente dalla descrizione<br />

che Cassiano ne fa nella collazione IX al capitolo 25, dove le<br />

attribuisce le seguenti note: di fatto solo da pochi conosciuta 49 ; conoscibile<br />

solo per esperienza 50 ; per esperienza non discorsiva ma<br />

di tipo intuitivo, con notizia generale senza oggetti particolari 51 ; non<br />

si distingue o caratterizza per suono di voce, movimento di lingua<br />

o pronunziamento di parole 52 ; è infusa per illustrazione di divina<br />

luce 53 ; si nota il carattere subitaneo e improvviso di questa illu-<br />

49 Perpaucis cognitam. Vedi anche X 10.<br />

50 Vedi anche X 9.<br />

51 Otnnem transcendens humanum sensum... conglobatis sensibus...<br />

52 Nullo non dicam sono vocis, vel tinguae motu, vel ulta verborum pronuntiatione<br />

distinguitur... ntens... non humanis atque angustis designat eloquiis.<br />

53 ... quam mens infusione coelestis illius luminis illustrata, non humanis<br />

designat eloquiis.


LA X COLLAZIONE DI CASSIANO 677<br />

minazione : che colpisce la mente : stupor subitae illuminationis 54 ;<br />

dura poco "; l'anima, quando la riceve esce come fuori di sé, e al suo<br />

cessare, ritorna in sé: in semetipsam reversam, e al suo modo ordinario<br />

di discorrere; ma, anche allora, non può con il raziocinio analizzare<br />

la sua esperienza né parlarne perché resta ineffabile.<br />

Altrove Cassiano indica alcuni degli effetti causati dall'orazione<br />

ignita: talvolta la gioia che infonde all'anima è tanta e di tal natura<br />

che questa esce in esclamazioni, sospiri e grida che non può contenere;<br />

tal altra invece l'anima, per il grande stupore che ne risente,<br />

è gettata come in un profondo silenzio che le impedisce o le toglie<br />

ogni parola e lascia posto solo ad un'ineffabile conversazione infuocata<br />

con Dio; altre volte ancora solo le lagrime possono, in qualche<br />

modo, dare qualche sollievo alla gioia che causa 56 .<br />

In fondo, l'orazione ignita indica per Cassiano quei brevi momenti<br />

in cui l'anima, sotto l'influsso di una particolare grazia divina,<br />

innalzandosi al disopra del suo stesso stato abituale, anche se di continua<br />

memoria di Dio e, in qualche modo, di continua orazione, tocca<br />

il vertice dell'unione attuale con Lui.<br />

Nel capitolo 26 <strong>della</strong> collazione IX Cassiano parla delle diverse<br />

occasioni che possono dare origine a questa orazione ignita. <strong>Il</strong> terreno<br />

naturale dove nasce è la compunctio nel <strong>senso</strong> larghissimo degli<br />

antichi. Perciò le diverse cause che danno origine a diverse compunzioni<br />

sono altrettante occasioni per cui « l'anima infiammata e<br />

infuocata è incitata alle pure e ferventissime orazioni » ".<br />

Tra queste occasioni si notano: esortazioni e conferenze spirituali;<br />

morte di una persona cara; il canto di qualche versetto di<br />

salmo : « Talvolta, infatti, mentre cantavamo, il versetto di un qualche<br />

salmo ha dato in noi occasione all'orazione ignita » 5S . Si noti<br />

bene la connessione tra orazione ignita e la partecipazione attiva<br />

normale al canto dei salmi. « Talvolta, invece, è stata la modulazione<br />

<strong>della</strong> voce canora di un fratello che ha eccitato gli animi degli<br />

stupefatti ascoltatori ad intensa applicazione » 59 . Qui l'orazione ignita<br />

è occasionata dalla semplice ascoltazione del canto fatto con bella<br />

voce da altri. « Sappiamo anche che la recitazione distinta e grave<br />

di colui che salmeggiava ha infuso grande fervore ai presenti ». Questi<br />

particolari completano bene il testo sopra citato dove si fa parola<br />

dell'orazione ignita solo in connessione con la recitazione e il canto<br />

di salmi di colui stesso che ne è favorito.<br />

Lo sviluppo verso questo culmine dell'orazione perfetta, che è<br />

la mèta cui mira il testo del capitolo 11 <strong>della</strong> X collazione, vi è segnato<br />

come segue: si presuppone la purificazione morale già acquisita;<br />

M IX 27.<br />

55 ... in ilio brevissimo temporis puncto...<br />

« IX 27.<br />

" Coli IX 26.<br />

58 Nonnumquam etenitn psalmi cuiuscutnque versicultus occasionem orationis<br />

ignitae decantantibus nobis praebuit,<br />

'9 Ibid.


678 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

quindi diventa possibile la lezione e la meditazione continua delle<br />

Scritture con vero profitto per l'anima e con l'intelletto dei loro misteri;<br />

a questo punto, lo stesso canto e recitazione dei salmi prende<br />

una forza di spirituale orazione tutta speciale; e così si arriva al<br />

sommo grado dell'orazione ignita.<br />

Anche l'orazione speciale che avviene nella terza fase, durante<br />

il canto e la recitazione dei salmi, è certamente un'orazione di natura<br />

propriamente mistica. Lo prova il suo carattere personale, sperimentale,<br />

intuitivo, trascendente e precedente la conoscenza semplicemente<br />

discorsiva, in cui l'anima, sotto l'influsso attuale <strong>della</strong><br />

grazia mistica, canta i salmi come se li componesse lì per lì, perché<br />

la vera fonte donde le viene l'intelletto profondo delle loro parole<br />

è la stessa sua disposizione sintonica interna che precede il pronunziare<br />

<strong>della</strong> bocca e l'afferrare concettuale discorsivo dell'intelletto.<br />

Le parole dei salmi suscitano allora nell'anima echi di vita ben al di<br />

là dei semplici concetti del raziocinio in cerca di spiegazioni e di comprensione.<br />

Qui avviene la somma personalizzazione <strong>della</strong> Scrittura<br />

nell'azione liturgica. II canto stesso come uno specchio straordinario<br />

diventa per l'orante una rassegna vitale del suo stato, in cui l'anima<br />

non solo ascolta, ma vede e palpa le proprie sue più intime relazioni<br />

con Dio.<br />

Ci si può chiedere se, secondo Cassiano, l'orazione dei salmi ora<br />

descritta sia semplicemente da identificarsi con l'orazione perfettissima,<br />

o orazione infuocata di cui parla alla fine dello stesso testo,<br />

oppure se l'orazione infuocata sia per lui una forma d'orazione superiore.<br />

Credo che, per Cassiano, l'orazione perfettissima sia una forma<br />

superiore a quella ora descritta a proposito dei salmi, perché, quando<br />

parla dell'orazione perfettissima insiste sempre sul fatto che questa<br />

trascende le immagini e le paiole, mentre quella precedentemente<br />

descritta sembra in qualche modo esprimersi nelle parole stesse dei<br />

salmi.<br />

Ma è anche certo che per Cassiano il canto e la recita dei salmi<br />

può essere occasione dalla quale si sprigiona l'orazione perfetta, infuocata,<br />

tanto che questa può avvenire in colui stesso che canta<br />

mentre canta: interdum etenim psalmi cuiuscumque versicutus occasionem<br />

orationis ignitae decantantibus nobis praebuit ao . Credo,<br />

dunque, che, per Cassiano, l'orazione infuocata è il grado supremo<br />

di orazione mistica da lui conosciuto, trascendente, per sé, nella<br />

sua semplicità, ogni immagine e parola ma che può anche avvenire<br />

e continuare in qualcuno mentre canta o recita i salmi, ed è di tanta<br />

intensità che talvolta — Cassiano pensa al monaco nella sua cella —<br />

provoca anche sospensione delle parole e delle altre attività dello<br />

spirito al .<br />

eo Coli. IX 26.<br />

61 Nonnumquam vero tanto silentio mens intra secretum profundae taciturnitatis<br />

absconditur, ut omnem poenitus sonum vocis stupor subitae illuminationis<br />

includat omnesque sensus attonitus spiritus vel contineùt intrinsecus<br />

vel amittat. Coli. IX 27. <strong>Il</strong> contesto mostra che Cassiano parla del monaco nella


MARIA DELL'INCARNAZIONE, ORSOLINA 679<br />

In ogni ipotesi, due cose sono certe secondo l'esperienza riferita<br />

da Cassiano: primo, che nella partecipazione, anche attiva e normale,<br />

all'azione liturgica, si può verificare la contemplazione mistica<br />

propriamente detta; secondo, che la stessa azione liturgica è un terreno<br />

molto favorevole in cui, dalla compunzione, si può sviluppare la<br />

predetta contemplazione, anche fino a trovare in essa l'occasione<br />

di raggiungere il grado più alto.<br />

Così per Cassiano, il canto e la recitazione comunitaria dei salmi,<br />

lungi dall'essere un impedimento all'esperienza mistica, sono un<br />

terreno naturale dal quale — presupposta la purificazione morale<br />

<strong>della</strong> vita e l'abitudine <strong>della</strong> lezione e meditazione vitale <strong>della</strong> Scrittura<br />

nonché <strong>della</strong> continua presenza di Dio, alimentata, in modo speciale,<br />

dall'abito delle orazioni giaculatorie — ci s'innalza al più alto<br />

grado di contemplazione, i cui effetti sono, tra gli altri, ora gioia<br />

incontenibile, ora stupore tutto interno, ora abbondanti lagrime<br />

anche esterne.<br />

È, in riassunto, il panorama <strong>della</strong> vita ascetico-mistica così familiare<br />

a tutta l'antica tradizione monastica. In esso, lungi da dimenticare<br />

la <strong>liturgia</strong> nella salita verso la perfezione, le si assegna sempre<br />

il suo connaturale posto in tutto l'insieme. <strong>Il</strong> venerabile Guigone I,<br />

grande priore e legislatore <strong>della</strong> Certosa (m. 1136), così compendiava<br />

i principali aspetti di questa spiritualità, pur senza enumerarli<br />

nel loro ordine logico: suavitates psalmodiarum, studia lectionum,<br />

fervores orationum, subtilitates meditationum, excessus contemplationum,<br />

baptismata lacrymarum 62 . L'ordine logico sarebbe : studia<br />

lectionum, subtilitates meditationum, jervores orationum, suavitates<br />

psalmodiarum, excessus contemplationum, baptismata lacrymarum 63 .<br />

La testimonianza <strong>della</strong> venerabile Maria dell'Incarnazione, orsolina<br />

Intorno alla stessa questione dei rapporti tra vita liturgica e vita<br />

mistica, è sommamente istruttiva la testimonianza di Maria dell'Incarnazione,<br />

orsolina francese del secolo XVII 6I . Questa mistica, che<br />

sua cella quando, talvolta, sotto la stessa grazia, prorompe in gemiti e clamori<br />

di gioia uditi dal vicino di cella.<br />


680 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

vissfe dopo S. Teresa d'Avila, <strong>della</strong> quale, del resto, lesse assai presto<br />

gli scritti e di cui subì certamente l'influenza, ha, in un grado niente<br />

affatto inferiore a S. Teresa stessa, uno straordinario dono <strong>della</strong><br />

descrizione spesso raffinatissima dei propri stati psicologici nelle<br />

grazie di unione e di contemplazione.<br />

Ma ci dà, inoltre, qualcosa che né S. Teresa, né S. Giovanni <strong>della</strong><br />

Croce ci possono dare: l'esempio di un'intensissima vita mistica<br />

anche molto continua e nei suoi più alti gradi, vissuta dapprima undici<br />

anni nel mondo, in pieno frastuono di affari e, dopo la parentesi<br />

di otto anni di tranquilla vita claustrale dalle Orsoline di Tours,<br />

per ben 33 anni in piena attività missionaria nel Canada dei primi<br />

fortunosi tempi <strong>della</strong> colonizzazione, sempre in circostanze esteriori<br />

quanto mai lontane da quelle che, troppo facilmente, si credono<br />

essere indispensabili al pieno fiorire <strong>della</strong> vita mistica. Circostanze,<br />

invece, molto più vicine alla vita reale <strong>della</strong> quasi totalità dei fedeli.<br />

Da questo punto di vista, Maria dell'Incarnazione, nello stesso campo<br />

dell'esperienza e <strong>della</strong> dottrina mistica, è un indispensabile complemento<br />

a S. Teresa e a S. Giovanni <strong>della</strong> Croce.<br />

Complemento anche dal punto di vista dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e<br />

vita mistica. Di questi, infatti, si parla negli scritti di Maria dell'Incarnazione<br />

in passi relativamente rari, ma quanto mai significativi.<br />

Essa stessa nota che sin dalla sua infanzia e nelle stesse circostanze<br />

delle cure di donna sposata, la <strong>liturgia</strong> fu per lei sorgente di profonda<br />

vita religiosa:<br />

« Una delle cose che mi hanno molto giovato allo spirito di devozione sono<br />

state le cerimonie <strong>della</strong> Chiesa, che, sin dalla mia infanzia, attirarono potentemente<br />

il mio spirito. Le trovavo tanto Delle e tanto sante che non vedevo nulla<br />

di paragonabile. Cresciuta poi e diventata capace di comprenderne il significato,<br />

il mio amore era accresciuto dall'ammirazione che ne concepivo vedendo la<br />

santità e la maestà <strong>della</strong> Chiesa. Questo aumentava anche la mia fede e mi legava<br />

a nostro Signore in modo affatto straordinario. Mi effondevo in ringraziamenti<br />

per essersi Egli degnato di farmi nascere da genitori cristiani e di avermi chiamato<br />

alla vocazione di figlia <strong>della</strong> Chiesa. Più progredivo in conoscenza più<br />

sentivo commozione ed amore per queste sante cerimonie <strong>della</strong> Chiesa... Avevo<br />

una fede sì viva per tutto quello che fa la Chiesa che mi pareva essere questa<br />

la mia vita e il mio nutrimento. Una volta, pensavo di essere soffocata nella<br />

processione generale d'un giubileo. Allora mi trovavo tra le prime ad entrare<br />

nelle chiese per vedervi le cerimonie e l'ufficio solenne che si facevano in questa<br />

occasione. Tutta la mia occupazione era interna, riguardante quello che vedevo<br />

e ascoltavo. In occasione di una processione del Santissimo Sacramento, il mio<br />

cuore e il mio spirito erano tanto rapiti in Dio, riguardo a questo sacramento d'amore,<br />

da non vedere che mi si conduceva. Avevo la vista corta di modo che camminavo<br />

a caso come una persona che ha troppo bevuto. Non so se se ne accorgessero<br />

e cosa se ne potesse pensare. In questo stato credevo essere in vera<br />

devozione perché non sapevo che ve ne fosse altra fuorché quella di pregare Dio<br />

rose lettere d'indole spirituale e altre di sommo interesse storico anche civile<br />

per i primi tempi del Canada, hanno particolare interesse, dal punto di vista<br />

mistico, due relazioni generali <strong>della</strong> sua vita e delle grazie che Dio le fece, da<br />

lei scritte, una nel 1633, l'altra nel 1654, per ordine dei suoi confessori. Edizione<br />

critica di A. JAMET, Marie de Vlncarnation, ursuline de Tours, Écrits spirituets<br />

et historiques, 4 volumi, Paris-Quebec 1929-39.


MARIA DELL'INCARNAZIONE, ORSOLINA 681<br />

e servirlo frequentando i sacramenti e non commettere peccati volontari. Così<br />

quando mi confessavo mi trovavo ben giusta e il mio spirito provava soddisfazione<br />

da una confessione all'altra. Ma lo Spirito di Dio mi spingeva a confessarmi<br />

di tutti i miei trascorsi d'infanzia. Come l'ho detto, voleva da me una<br />

grande purezza che io non comprendevo, né capivo lo scopo per il quale la<br />

voleva » 65 .<br />

Così Maria, ripensando più tardi a quella prima fase <strong>della</strong> sua<br />

vita spirituale, preparatoria alle future e ben più sublimi comunicazioni<br />

di Dio, si rendeva benissimo conto dell'importante parte che in<br />

essa ebbe la <strong>liturgia</strong> e la partecipazione attiva alle cerimonie.<br />

Due anni appena dopo il matrimonio, contratto per volontà dei<br />

genitori, le muore il marito, nel 1619, lasciandola con un bambino di<br />

sei mesi e la cura di un'azienda di seta. Maria segue ormai interamente<br />

la china <strong>della</strong> vita interiore dove l'attrae lo Spirito. Ma rimane<br />

nel mondo, in mezzo alle difficoltà economiche, alle umiliazioni, ai<br />

pensieri per il figliolo, alle occupazioni quanto mai umanamente assorbenti<br />

e distraenti. Perde praticamente tutti i suoi averi, liquida<br />

l'azienda di seta, si ritira a vita isolata di preghiera e di penitenze.<br />

Nel 1620, in una visione dove si vede come immersa nel sangue<br />

di Cristo, è chiamata ed entra decisamente nella vita mistica propriamente<br />

detta e, sin dal principio, vi riceve altissime grazie. Ma,<br />

spinta ancora dallo Spirito, allo scopo di umiliarsi più profondamente<br />

e praticare la carità, dal 1621, fa da aiutante e, praticamente,<br />

da serva, negli affari domestici e commerciali di una numerosa<br />

azienda di trasporti, alla sua sorella e al di lei marito, nonché ai numerosi<br />

operai dell'azienda : carrettieri e facchini. E tutta occupata di<br />

cucina, di clienti, di merci da caricare e scaricare al porto fluviale,<br />

spesso anche fino a mezzanotte, delle camere da letto, dei malati,<br />

di magazzini, di stalle e perfino di cinquanta o sessanta cavalli, di<br />

cui, dice, « devo occuparmi ».<br />

In mezzo a questo incredibile frastuono, dove Maria è giorno e<br />

notte all'opera, le grazie di vita interiore la incalzano sempre più profondamente<br />

e costantemente. Nel suo interno non perde mai di vista<br />

Dio che le è sempre presente. Dapprima questo avviene molto dolcemente.<br />

Ma poi le sue chiamate si fanno più intense e violente, con<br />

momenti di attrazioni sì forti che, appena si disponeva a fare orazione,<br />

doveva ritirarsi in un luogo nascosto e mettersi a sedere, che,<br />

diversamente, sarebbe caduta in presenza di altri. Un giorno, in questo<br />

stato generale, ebbe la promessa di spirituale sposalizio: ti sposerò<br />

nella fede, ti sposerò per sempre (Osea 2,19). Intanto in quelle<br />

occasioni :<br />

« Mi sentivo potentemente attratta in un momento, senza avere agio né<br />

potere di fare alcun atto interiore o esteriore. Mi pareva essere inabissata in<br />

Dio che mi toglieva ogni potere di agire... Mi era impossibile di fermarmi a<br />

volontà sopra nessuna cosa, a causa di quella occupazione interna che mi attirava<br />

così fortemente. Essa mi toglieva il potere di fare preghiere vocali. Se<br />

volevo dire il rosario, mi trasportava lo spirito e mi toglieva la parola e di<br />

65 Relazione del 1654 ed. Jamet II p. 170 ss.


682 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

rado potevo dirlo. Era lo stesso per l'ufficio 66 . Senonché, talvolta, il <strong>senso</strong> dei<br />

salmi mi era manifesto con una dolcezza che non saprei esprimere e, in questi<br />

casi, avevo la libertà di recitarlo » 67 .<br />

Qui, insomma, Maria si trova in quello stato abituale che i mistici<br />

dissero fidanzamento spirituale. Ha dei momenti di violenta<br />

e subitanea attrazione in Dio. Questa allora talvolta le toglie il potere<br />

di preghiere vocali, di dire rosari, salmi; ma tal altra non solo la<br />

lascia libera per recitarli, ma, inoltre, le dà un'ineffabile intelligenza<br />

sperimentale del loro <strong>senso</strong>. Si noti sempre che si tratta di recitazione<br />

privata. L'esperienza a cui allude brevemente Maria dell'Incarnazione<br />

coincide assai bene con quanto diceva Cassiano a proposito<br />

dell'orazione ignita.<br />

Prima di arrivare allo stato di unione perfetta con Dio, permanente<br />

e, nell'apice o nel fondo dell'anima, sempre tranquilla pur in<br />

mezzo alle sofferenze di ogni sorta, bisogna passare, dicono i mistici,<br />

attraverso le purificazioni passive dei sensi e <strong>della</strong> mente, affinché<br />

le potenze siano ridotte a perfetta semplicità e malleabilità nelle<br />

mani di Dio nel loro modo di operare circa le stesse cose più divine.<br />

Circa le stesse cose più divine: anche circa gli oggetti che queste potenze<br />

hanno nella <strong>liturgia</strong>. Quando Maria dell'Incarnazione, nel 1645,<br />

scrisse la seconda relazione <strong>della</strong> sua vita, fece alcune osservazioni<br />

interessanti in questa materia. Le purificazioni passive, nota Maria,<br />

avvengono per il fatto che Dio gradatamente « sospende » l'operazione<br />

dei sensi, dell'immaginazione, <strong>della</strong> memoria, dell'intelletto discorsivo<br />

e <strong>della</strong> stessa volontà.<br />

« In seguito a questa operazione tanto crocifiggente per potenze sì nobili,<br />

cosa accade? Si crede forse che potranno rimanere fisse e ferme, come morte?<br />

È incredibile quanto questa amputazione riesca loro penosa, specialmente nelle<br />

solennità che si fanno nella Chiesa, dove si presentano i misteri <strong>della</strong> nostra<br />

redenzione, i quali, per l'innanzi, erano stati per esse delizioso nutrimento, e<br />

in cui grandemente si compiacevano... per i lumi che lo Spirito Santo comunicava<br />

loro sopra ognuno dei santi misteri. E ora non è loro possibile di potervisi<br />

fermare. Talvolta, chi è condotto per questa via, entra in timori, non potendo<br />

comprendere essere nel vero cammino mentre non può fermarsi in quello<br />

che vi è di più santo e di più solenne nella Chiesa. Allora si fa violenze, volendo<br />

strappare l'intelletto alla prigrizia in cui pensa che sia caduto. Ma invano;<br />

tutto questo non è che ignoranza e imperfezione. Dopo reiterate violenze in<br />

diverse occasioni, sperimenta che, avendo le potenze dell'anima perduto il loro<br />

uso naturale per via soprannaturale, non c'è niente da guadagnare a fare tanti<br />

sforzi » 68 .<br />

Bisogna aspettare che Dio stesso vi porti rimedio. Si noti che in<br />

simili, sempre più profonde, « sospensioni » dei sensi, del discorso e<br />

<strong>della</strong> volontà, intorno agli oggetti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come intorno agli<br />

altri oggetti, quello che costituisce impedimento ed ha bisogno di<br />

0B II piccolo ufficio <strong>della</strong> Madonna che Maria recitava spesso.<br />

67 Relazione del 1633, ed. cit. I 159. Vedi anche Relazione del 1654 ibid.<br />

ij II 227 s.<br />

8* Relazione del 1654, ed. cit. II 458 s.


MARIA DELL'INCARNAZIONE, ORSOLINA 683<br />

purificazione non è il fatto che le potenze si occupano degli oggetti<br />

loro presentati dalla <strong>liturgia</strong>, ma il modo in cui se ne occupano. Quella<br />

passività non è mai assoluta, come abbiamo rilevato a suo luogo.<br />

Le potenze purificate nel loro agire intorno all'oggetto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

non sono le potenze inattive e come morte, ma le stesse potenze<br />

agenti in un modo più sublime intorno a questi oggetti.<br />

Intanto, mentre Maria era ancora in casa <strong>della</strong> sua sorella, non<br />

molto tempo dopo quello stato transitorio di fidanzamento spirituale,<br />

sempre in mezzo alle occupazioni e al frastuono più inverosimile,<br />

riceve le grazie più sublimi di conoscenza sperimentale del Verbo<br />

Incarnato e <strong>della</strong> Trinità. Inoltre, cominciando dal 1628, riceve la grazia<br />

di uno stato di unione con Dio profondo e continuo — il matrimonio<br />

mistico — nel quale la sua anima, almeno nella parte più profonda<br />

di se stessa, rimase in seguito sempre immersa anche quando,<br />

nella parte inferiore, ebbe ancora a passare grandi prove e tentazioni,<br />

o, comunque, terribili sofferenze 69 .<br />

Nel 1631 Maria entra dalle Orsoline di Tours, mentre si trova in<br />

uno stato di unione mistica abituale già molto perfetta. Due mesi<br />

dopo la sua entrata ha, per la terza volta nella sua vita, una visione<br />

<strong>della</strong> SS. Trinità durante la quale le tre persone divine prendono<br />

sommo possesso <strong>della</strong> sua anima ed ella possiede le tre persone:<br />

« nell'ampiezza <strong>della</strong> partecipazione dei tesori <strong>della</strong> magnificenza<br />

divina » 70 . Era la somma delle grazie ricevute da Maria, il più forte<br />

presentimento <strong>della</strong> visione beatifica, come dice ". Ma la parte inferiore<br />

dell'anima dovette passare ancora tre anni in grandissime<br />

sofferenze morali, finché, una sera, per opera di Dio, tutte si dileguarono<br />

come se non le avesse mai avute, mentre essa ne aveva<br />

ricavato grandissimi vantaggi spirituali di purificazione sempre più<br />

perfetta. Così entra in uno stato di sempre più abituale e profonda<br />

unione con Dio.<br />

Ormai le occupazioni più varie e le sofferenze più forti, scalfendo,<br />

per così dire, solo la superficie dell'anima, non la distraggono<br />

dalla sua unione fondamentale e permanente con Dio. Riceve il<br />

<strong>senso</strong> sperimentale per comprendere la Scrittura ,2 . Maria ha descritto<br />

con grande finezza i movimenti anche più sottili <strong>della</strong> propria<br />

psicologia in questo stato abituale di somma contemplazione mistica.<br />

E, in specie, ci ha dato due descrizioni di grande efficacia,<br />

e che si completano a vicenda, dei movimenti <strong>della</strong> sua psicologia<br />

in questo grado di unione con Dio ai momenti <strong>della</strong> recitazione del-<br />

69 In queste sofferenze, la salmodia, non di rado, rimaneva il suo unico<br />

conforto : « La sola cosa che mi desse riposo era la salmodia, che sembrava<br />

scacciare tutte le mie pene, e che mi riempiva di sì eccessiva gioia interna che<br />

il <strong>senso</strong>, le parole e le frasi me ne erano manifeste e talvolta ne trasalivo nel<br />

mio interno, e credo che la mia gioia apparisse anche al di fuori » (Retaz. del<br />

1633 ed. cit. 1 p. 313).<br />

70 Relazione del 1654, ed. cit. II 286.<br />

" Relazione del 1633, ed. cit. I 299; Relazione del 1654, ibid. II 286.<br />

" Relazione del 1633, ed. cit. I 301-303; Relazione del 1654, ibid. II 288.


684 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

l'ufficio corale. Questi testi sono importanti per il nostro scopo.<br />

Non credo che esista una testimonianza psicologicamente più convincente<br />

<strong>della</strong> possibilità e del fatto del perfetto connubio tra la<br />

partecipazione normalmente attiva all'azione liturgica e l'unione<br />

mistica abituale al suo sommo grado.<br />

« Per quanto concerne la mia unione con Dio, scrive Maria nella sua relazione<br />

del 1633, in mezzo a tutte le mie croci, quando, al sommo delle mie<br />

sofferenze, vo per la casa o cammino per il giardino per ubbidienza, sento il<br />

mio cuore premuto da continui slanci di amore vivi e infuocati e, talvolta,<br />

sembra che questo cuore debba slanciarsi e come uscire dal suo posto per<br />

perdersi in Colui che è la sua vita. Sebbene la parte inferiore patisca molto, la<br />

superiore si sente più vigorosa e capace di agire con più grande purezza e delicatezza,<br />

perché non è imbarazzata da nessuna cosa che l'impedisce e che non<br />

manda nulla ai sensi, ma che ritiene tutto nel suo fondo. Quando sono al refettorio,<br />

la lettura ferma i sensi e questo fa sì che sono in continua attenzione a<br />

Dio e non mi ricordo di averla mai perduta sia pur minimamente... In ricreazione,<br />

sebbene mi ricrei con le mie consorelle, il mio cuore tuttavia non vi è<br />

meno attento. Quando sono al lavoro, la cosa più capace di distrarre che abbia<br />

avuto a fare fin qui, non sento questa occupazione interna a modo di forti<br />

e ardenti slanci come quando vado girando per la casa, ma sento il mio cuore<br />

dolcemente attento e aspirante a Dio, e talvolta mi accorgo che questo è più<br />

frequente dei punti d'ago che faccio: perché, come ho detto, lo trovo sempre<br />

attento anche quando mi trovo nel bel mezzo delle mie croci. Queste non fanno<br />

niente contro la mia attenzione alla divina Maestà, ma, anzi, mi eccitano e mi<br />

spingono a parlargli ancora di più secondo i bisogni in cui mi trovo.<br />

Quando assisto al coro, alla salmodia, mentre una parte recita il suo versetto,<br />

sono in familiarità con nostro Signore riguardo al <strong>senso</strong> di quello che<br />

si dice, oppure seguo l'occupazione che Egli mi dà, e quando la nostra parte<br />

recita il suo, passo dall'atto interiore a quello esteriore e così, l'uno corrispondendo<br />

all'altro, non esco dall'intimità con questa divina Maestà. Tuttavia, non<br />

sento a tal punto la familiarità con nostro Signore, a causa dell'applicazione<br />

<strong>della</strong> voce, come quando l'altro coro recita. Ma il mio spirito non vien meno<br />

per questo. In uno ho la libertà di parlare interiormente e nell'altro bisogna<br />

che la voce agisca e questo fa sì che sento meno quello che avviene nell'interno.<br />

Quando il <strong>senso</strong> dei salmi o delle altre cose che cantiamo in coro, mi è<br />

svelato, me ne prende una contentezza che non posso dire, perché mi sento<br />

trasportata in ogni modo, cioè interiormente ed esteriormente, da uno spirito<br />

di allegrezza simile a quello di David quando saltava dinanzi all'arca dell'alleanza.<br />

Questo mi succede specialmente alle lodi, dove tutte le cose sono invitate,<br />

l'una dopo l'altra, a lodare Dio e desidero che il mio spirito si trasfonda<br />

tutto intero in queste lodi divine.<br />

Quando sono fortemente presa dalle mie croci, non sento questi movimenti<br />

di gioia, ma soltanto una semplice attenzione a Dio, al quale parlo delle mie<br />

sofferenze, secondo quello che recitiamo, che, talvolta, è molto a proposito di<br />

quello che soffro, tanto per la conformità che bisogna avere alla divina volontà,<br />

quanto per tirarne forze in vista delle sue sante promesse. In una parola, vi<br />

trovo nutrimento per ogni cosa.<br />

Ho spesso delle distrazioni nell'immaginazione, specialmente quando sono<br />

nella croce, perché essendo allora tutta ritirata nel fondo dell'anima, parlando<br />

con Dio nel modo che ho detto, con grande semplicità e senza nessun sentimento,<br />

l'immaginazione, non potendo pascersi di cose spirituali, corre da una<br />

parte all'altra, ricordando diversi oggetti per occuparsi. Questo m'importuna<br />

molto, sebbene non abbia la forza di distaccarmi dall'unione con Dio che ha il<br />

sopravvento » »*.<br />

« Relazione del 1633, ibid. I 336 ss.


ORAZIONE DI QUIETE E LITURGIA 685<br />

Questo passo Maria dell'Incarnazione l'ha scritto nel 1633, al<br />

momento stesso in cui si trovava nelle disposizioni qui analizzate.<br />

Ha dunque un valore documentario di primaria importanza. Nella<br />

relazione del 1654, a più di vent'anni di distanza, parla ancora <strong>della</strong><br />

stessa cosa e chiarisce, con particolari interessanti, alcuni punti<br />

toccati nella relazione precedente.<br />

« Intendevo il francese di tutto quello che cantavo e recitavo in latino nel<br />

coro. E questo trasportava il mio spirito di modo che, se non avessi fatto violenza<br />

all'esterno, sarebbe apparso. Cantando, mi sollevava e dava aria al mio<br />

spirito e toccava i sensi. Questi partecipavano a quel bene, di modo che avevo<br />

dei potenti movimenti a saltare e a battere le mani e a incitare tutto il<br />

mondo a cantare le lodi d'un Dio sì grande, degno che tutte le cose si consumino<br />

per il suo amore e servizio, e a fare come la sposa: rallegrarsi e saltare<br />

di contentezza al ricordo delle mammelle dello sposo (Cn 5,14), come io<br />

gustavo per la virtù di queste divine parole. Avevo dei movimenti a incitare<br />

tutto il mondo a cantare un Eructavit per proclamare le grandezze e le prerogative<br />

del mio Sposo le cui parole mi erano spirito e vita, con una esuberanza<br />

indicibile.<br />

Nella salmodia vedevo le sue giustizie, i suoi giudizi, le sue grandezze, il<br />

suo amore, la sua equità, le sue bellezze, le sue magnificenze, le sue liberalità<br />

e, finalmente, che agli occhi <strong>della</strong> Chiesa, la sua Sposa, Egli aveva: le mani<br />

fatte al tornio tutte piene di giacinti (Cn 5,14) ed altre cose adatte per trasfondere<br />

la loro pienezza di purità nelle anime sue amanti. Vedevo che la bontà<br />

di questo Sposo divino mi aveva messa in un pascolo grasso e fertile, che teneva<br />

l'anima mia in buono stato e ne aveva di sopravvanzo, perché non potevo tacere...<br />

<strong>Il</strong> mio spirito era tanto pieno e fecondo riguardo a tutto quello che si<br />

cantava nel coro, che, giorno e notte, questo formava il mio colloquio con il<br />

mio Sposo celeste. E ciò mi metteva fuori di me, tanto che, andando per il<br />

convento, ero in continuo trasporto. Così anche quando ero al lavoro. Talvolta<br />

era sulla purezza d'ella legge di Dio, e come tutte le cose proclamano la sua<br />

gloria. <strong>Il</strong> salmo: coeli enarrant gloriam Dei ecc., aveva delle attrattive che mi<br />

ferivano il cuore e mi incitavano lo spirito: « Sì, sì, amore mio, le vostre testimonianze<br />

sono vere; si giustificano da se stesse, rendono sapienti gli stolti;<br />

mandatemi per tutto il mondo ad insegnarlo a coloro che le ignorano ». Avrei<br />

voluto che tutti le conoscessero e gustassero le delizie che ne provava l'anima<br />

mia. Da questo punto il mio spirito era portato a un altro. Era una catena che<br />

non finiva. Una volta, in questi sentimenti, dissi in francese invece che in latino;<br />

era mentre lodavo in me stessa la sacra persona del Verbo, per la quale tutte<br />

le cose son state fatte. Era un Laudate, negli impeti che mi causava la salmodia<br />

» 74 .<br />

Liturgia e orazione di quiete<br />

Gli esempi suddetti dimostrano come sia possibile la buona<br />

armonia tra vita liturgica e i gradi più alti dell'esperienza mistica.<br />

<strong>Il</strong> caso di Maria dell'Incarnazione si riferisce certamente al matrimonio<br />

mistico. Le esperienze di cui parlano Cassiano e S. Gertrude<br />

sembrano piuttosto avvicinarsi a ciò che S. Teresa chiama « gli<br />

sponsali spirituali » o « l'unione intensa » e S. Giovanni <strong>della</strong> Croce<br />

i « tocchi divini » ".<br />


686 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

Potrebbe sussistere ancora un dubbio se la stessa armonia sia<br />

possibile al principio <strong>della</strong> vita mistica, in ciò che S. Teresa chiama<br />

orazione di quiete e sonno delle potenze 76 .<br />

In questi casi si comincia a sperimentare ciò che in mistica<br />

si dice « legatura » o « sospensione » delle potenze, e questa sembra<br />

difficilmente conciliarsi con la partecipazione attiva alla <strong>liturgia</strong>.<br />

I consigli che danno gli autori spirituali a coloro che entrano nella<br />

vita mistica di non impacciarsi con ragionamenti, con preghiere<br />

vocali, ecc., si riferiscono anzitutto proprio a questi gradi iniziali.<br />

Tuttavia l'esempio dei mistici dimostra che anche l'orazione<br />

di quiete e quelle del sonno delle potenze, malgrado la « legatura »<br />

che le accompagna, non fanno eccezione alla regola generale di poter<br />

lasciare abbastanza liberi per poter partecipare attivamente e in<br />

modo esteriormente normale all'azione liturgica. ,<br />

La stessa S. Teresa nota esplicitamente che nell'orazione di<br />

quiete e del sonno mistico, nonostante la sospensione delle potenze,<br />

accade spesso che l'anima non perde affatto il potere di dedicarsi<br />

normalmente alle azioni esterne, anche se ingombranti, specialmente<br />

se tali azioni si riferiscono alle cose sante o all'esercizio <strong>della</strong> carità.<br />

Allude anzi direttamente alla recita del salterio in questo stato ".<br />

Ecco, comunque, due esempi nettamente caratterizzati. Sono<br />

presi dalla vita di Maria Cecilia Baij, abbadessa di S. Pietro di Montefiascone,<br />

mistica, morta nel 1766. Mentre stava sicuramente in<br />

questi stati di orazione, una volta recitò terza con le altre monache<br />

e un'altra volta accompagnò normalmente con l'organo il canto <strong>della</strong><br />

comunità.<br />

« Sono andata in coro a dire l'ora di Terza. Gesù stava appresso a me.<br />

Io dicevo Terza con la bocca ma non sapevo dove mi fossi. Non ho aperto mai<br />

gli occhi; ma una volta che li ho aperti mi pareva di essere in altro luogo.<br />

Per verità ero tutta fuori di me. Avevo perso tutti i sensi. Mi diceva Gesù<br />

che mi appoggiassi a Lui, e piegando il capo dalla sua parte l'ho fatto, né mi<br />

sono ritirata, quantunque io vedessi lo Sposo tanto nobile, bello e gentile, con<br />

una chioma inanellata e come fili d'oro, che faceva restare per stupore. Mi riposavo<br />

tanto bene. Egli diceva a non so chi: Innixa super dilectum suum. Intanto<br />

io dormivo con grande quiete. Mi dava però fastidio il pensiero di essere<br />

osservata e di non soddisfare l'Officio divino, benché io dicevo benissimo...<br />

Intanto finì Terza e io ho dormito. Dormito, no; ho goduto una grande quiete...<br />

Io, per dirvi il vero. Padre, non so dove sia stata e che sia stato di me. Non<br />

sapevo dove ero, eppur non ho dormito, perché ho detto Terza con le altre<br />

monache, ben vero a occhi chiusi e come un sacco di paglia » 78 .<br />

« In un subito mi sono trovata unita con Gesù perfettamente. Stava Lui<br />

con me, occupandomi tutta; e benché fosse tutto in me e come un altro me,<br />

tanto lo vedevo benissimo in me stessa: si riposava in me riempiendomi tutta...<br />

spagnuola di P. Crisogono de Jesus, 3 ed. Madrid 1955, Subida II 27 n. 4-6 p. 653 s);<br />

Ibid., 30 (ed. it. cit. p. 190 ss; ed. spagnuola cit. II 32 p. 664 ss); Cant. 25 n. 4-7<br />

(ed. it. cit. p. 553 ss; ed. spagnuola cit. Cant. 25 n. 5-8 p. 1035 ss); Ibid., 26 n. 2<br />

(ed. it. cit. p. 558 s; ed. spagnuola cit. p. 1040 s).<br />

" Vedi Vita 14-17.<br />

77 Vita 15 n. 8. Vedi anche 15 n. 1 e 17 n. 4.<br />

78 Vedi P. BERGAMASCHI, Vita <strong>della</strong> serva di Dio Maria Cecilia Baij, Viterbo<br />

II 1925 pp. 282-83.


ORAZIONE DI QUIETE E LITURGIA 687<br />

Ero sazia e piena di tutto ciò che poteva bramare, riposandomi in una pienezza<br />

di godimento; e questo godimento non mi apportava alcuna agitazione di allegrezza,<br />

ma una somma quiete. Tutte le potenze dell'anima erano nell'istesso<br />

godimento, incapaci di ricevere alcuno oggetto. Non ero capace di sapere allora<br />

che cosa fosse la miseria e la gravezza umana, mentre l'umanità ancora stava<br />

tutta abbandonata nell'istessa quiete e godimento. Non ero soggetta a pena alcuna<br />

né a distrazione. Ero tutta in me, eppure ero priva affatto di tutto ciò<br />

che porta in sé la nostra umanità. Insomma, non sapevo capir altro che un<br />

sommo godimento e una quiete perfettissima, incapace di poter bramare cosa<br />

alcuna. Solo vedevo Gesù in me che tutto mi riempiva. In questa visione, in<br />

questa quiete, sono stata un grande tempo senza poter dire una minima parola<br />

allo Sposo, perché non ero capace di altro che di stare così godendo. Nel tempo<br />

che sono andata a suonare non sono rimasta priva; solo i sensi corporali si<br />

sono impiegati, tornando dopo ancor loro all'istessa quiete » 7t >.<br />

Dinanzi a questi esempi si dirà forse: sono casi eccezionali,<br />

quasi miracolosi! Proprio il contrario è vero. Bisogna dire invece<br />

che questo è il caso normale, per lo meno quando si tratta <strong>della</strong><br />

partecipazione alla vita liturgica.<br />

A tale conclusione induce, comunque, l'inchiesta fatta su questo<br />

punto dal P. Poulain. Al capitolo XIV <strong>della</strong> sua classica opera Des<br />

gràces d'oraison egli tratta del fenomeno <strong>della</strong> « legatura » e <strong>della</strong><br />

« sospensione » delle potenze nella vita mistica.<br />

Definisce tale fenomeno: un impaccio a produrre volontariamente<br />

atti « addizionali » all'unione mistica, cioè atti che non sono<br />

la stessa unione, né sua causa, né sua necessaria conseguenza, specialmente:<br />

discorso d'intelletto, immaginazioni, atti esterni.<br />

Questa legatura è evidente nell'estasi e, analogamente, più o<br />

meno anche nell'orazione di quiete, che è come una piccola estasi<br />

parziale.<br />

Ma Poulain nota che l'esperienza dei mistici obbliga a distinguere<br />

come tre casi in questa quiete. Li chiama: quiete pregante,<br />

quando il mistico nello stesso tempo è spinto a pregare anche con<br />

formule; quiete di giubilo: quando sente il bisogno di espandersi<br />

in ardenti colloqui, o anche di cantare; quiete operante: quando il<br />

mistico può dedicarsi nello stesso tempo anche ad opere esterne.<br />

Dal che, ancora una volta si vede che la grazia mistica di quiete,<br />

in ciò che ha d'essenziale, non si oppone affatto alla partecipazione<br />

anche attiva ai sacri riti. Lo stesso autore osserva che nella quiete<br />

vi può essere facilità di recitare preghiere ad alta voce. « Generalmente<br />

i sacerdoti non provano serie difficoltà a recitare le preghiere<br />

<strong>della</strong> messa » 80 .<br />

Stessa costatazione per la recita o il canto dell'ufficio in coro.<br />

« Volendo rendermi conto dei fatti — invece di abbandonarmi a idee<br />

aprioristiche — ho fatto su questa materia parecchie inchieste in<br />

conventi contemplativi. La risposta più generale è stata che c'è<br />

un piccolo impaccio, ma facile a superare. Per lo meno, si aggiungeva,<br />

si può arrivare a recitare materialmente le parole: l'attenzione<br />

'» Ibid. pp. 280-81.<br />

so L. e. cap. XIV n. 18.


688 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

principale restando fissa sull'azione divina interna. Con grande eccezione<br />

soltanto, altri hanno dichiarato che l'impaccio poteva essere<br />

fortissimo; altri, infine, tutto all'opposto, che non avevano mai sentito<br />

questa difficoltà » 81 .<br />

Perché esperienza mistica e partecipazione attiva<br />

all'azione liturgica vanno ottimamente insieme<br />

Consta dunque il fatto che la partecipazione attiva esteriormente<br />

normale, all'azione liturgica può andare benissimo d'accordo<br />

con l'esperienza mistica a tutti i suoi gradi. Quale ne è il motivo?<br />

La chiave <strong>della</strong> risposta a questo problema è la distinzione tra<br />

l'essenza dell'atto mistico e i fenomeni accidentali che, in certe<br />

circostanze e in certe persone, possono talvolta accompagnarlo.<br />

La cosiddetta « sospensione » delle potenze, e specialmente dei<br />

sensi esterni ed interni, nella misura in cui ha per effetto d'inibire<br />

il loro normale impiego esterno richiesto dalla partecipazione attiva<br />

alla <strong>liturgia</strong>, non è, quando si produce, l'essenza dell'atto mistico,<br />

in nessuno dei gradi di questo, ma un epifenomeno accidentale che<br />

talvolta lo accompagna in certi soggetti a causa del loro particolare<br />

stato.<br />

<strong>Il</strong> fatto di andarvi soggetto dipende, in massima parte, dall'educazione<br />

<strong>della</strong> sensibilità religiosa ancora più che dall'innato temperamento<br />

di ognuno 82 . Avviene normalmente che, quando questa<br />

sensibilità è stata plasmata in <strong>senso</strong> liturgico e comunitario, la partecipazione<br />

attiva e normale all'azione liturgica non è turbata dall'invasione<br />

mistica, o lo è molto poco.<br />

È noto che i fenomeni esteriori paralizzanti dell'estasi sono semplici<br />

epifenomeni accidentali e non necessari alla grazia mistica che<br />

il soggetto riceve in queste occasioni; che diminuiscono e poi anche<br />

spariscono completamente man mano che il fisico di questi vi si<br />

abitua.<br />

È noto pure che nei più alti gradi dell'unione mistica, e in specie<br />

nel matrimonio spirituale, l'unione anche abituale con Dio non<br />

impedisce affatto di dedicarsi nello stesso tempo ad affari esterni,<br />

anche profani e molto assorbenti. Sono note su questo punto le<br />

affermazioni di S. Teresa 83 . Le descrizioni che fa Maria dell'Incarnazione<br />

di questo stesso suo stato sono ancora più rilevanti per la<br />

si Ibid. n. 19 e 20.<br />

82 Così si spiegano i casi di alcuni santi come di S. Giuseppe da Copertine<br />

di S. Filippo Neri, di S. Ignazio di Loyola. Vedi Poulain ibid., n. 16. Gli storici<br />

<strong>della</strong> spiritualità non hanno mancato di notare invece la mancanza quasi totale<br />

dei fenomeni inibitori dell'uso esteriore normale dei sensi nelle mistiche di<br />

Helfta, Metilde, Gertrude, la cui sensibilità religiosa è notevolmente plasmata<br />

nello stile <strong>della</strong> partecipazione attiva all'azione liturgica. Vedi per fi., Diction.<br />

de spiritualité, s. v. Contemplation p. 1989.<br />

•» Castello VII 4.


SOSPENSIONE DEI SENSI E LITURGIA 689<br />

loro raffinatezza psicologica e per il fatto che si riferiscono tanto<br />

all'unione permanente del matrimonio spirituale 81 , quanto a uno<br />

stato anteriore 8S .<br />

Del resto si è visto sopra l'affermazione molto esplicita di Santa<br />

Teresa intorno alla possibilità di dedicarsi normalmente ad affari<br />

esteriori nonostante la sospensione delle potenze nell'orazione di<br />

quiete e del sonno mistico. Se tale possibilità esiste nel riguardo<br />

di affari esteriori anche profani, quanto più, possiamo dire, è possibile<br />

quando si bratta <strong>della</strong> partecipazione attiva all'azione liturgica! 8C .<br />

81 Lettere di coscienza, ed. Janet I 360.<br />

85 Essa descrive il proprio stato mentre si trovava nel frastuono dei facchini,<br />

dei carrettieri e delle occupazioni di sovrintendente a una azienda di<br />

trasporti fluviali. In mezzo a tutto questo « sperimentavo che nostro Signore<br />

voleva che fossi così impegnata, ed Egli leniva il mio dolore con il ricordo<br />

delle sue parole: il mio giogo è dolce e il mio fardello soave (Mt 13,11). Poi<br />

infondeva nella mia anima l'effetto e l'efficacia di queste divine parole, ciò che<br />

calmava il mio dolore e faceva percorrere all'anima le sue vie tra le cose più<br />

grossolane e materiali nelle quali il corpo era applicato, mentre lo spirito era<br />

legato al superadorabile Verbo Incarnato. Se l'orologio suona, l'anima è costretta<br />

a contare sulle dita, perché questo intervallo di contare, pur per necessità,<br />

interrompe il suo colloquio amoroso con l'Amato. Se è necessario parlare<br />

al prossimo, lo sguardo dell'anima non esce da Colui che ama; quando<br />

il prossimo risponde, il suo colloquio ricomincia e l'attenzione a quello che è<br />

necessario non le toglie la propria. Lo stesso accade nello scrivere in cui l'attenzione<br />

è doppia: al suo divino oggetto e alla cosa di cui tratta. Quando bisogna<br />

attingere inchiostro con la penna, questo tempo è prezioso, perché lo spirito<br />

e il cuore fanno il loro colloquio. Anche se tutti sono presenti niente può distrarla<br />

» (Relazione del 1654, ed. cit. II 230 s).<br />

86 Si può notare come fa H. BRÉMOND (Histoire littéraire du sentiment<br />

religieux en trance, VI p. 146 ss) a proposito appunto di Maria dell'Incarnazione,<br />

come la lettura attenta dei mistici dimostri quanto sia falsa l'opinione che dietro<br />

l'espressione « sospensione » dell'intelletto e <strong>della</strong> volontà sospetta nientemeno<br />

che una specie di vuoto, di sonno o insensibilità per mancanza di vita.<br />

È proprio il contrario che è vero: si tratta di una vita sotterranea sì e superiore,<br />

ma quanto mai reale ed intensa delle stesse potenze, al di là del discorso<br />

dell'intelletto e degli atti determinati ad oggetti singoli e precisi <strong>della</strong> volontà.<br />

Lo stesso deve dirsi dell'espressione « passività » delle potenze superiori,<br />

le quali nella contemplazione mistica sono sommamente attive; ma di un'attività<br />

che non è l'agitazione e lo sforzo del loro modo ordinario di agire, perché<br />

nella contemplazione mistica ricevono la loro azione, sebbene si tratti di un<br />

ricevere che è immensamente attivo.<br />

Quando l'intelletto e la volontà sono così « sospesi » non è affatto necessario<br />

che siano per questo incapaci di prestare il loro servizio ai sensi per il<br />

disimpegno esteriormente normale delle azioni esterne. Anzi « i sensi sono talmente<br />

liberi che l'anima, pervenuta a questo stato, vi può agire senza distrazione<br />

negli affari in cui la sua condizione l'impegna » (Ibid. 166). Allora l'occupazione<br />

esterna, sia pure profana, anziché impedire l'anima in quella unione<br />

che nel fondo di se stessa la lega a Dio, « la solleva, perché essendo i sensi<br />

occupati ed attratti, l'anima ne rimane più libera » (Ibid. 167). Ossia, come<br />

osserva lo stesso autore (Ibid.) « durante questa unione, il centro dell'anima non<br />

ha più la briga di dominare, di afferrare, le facoltà di superficie, sensibilità,<br />

intelligenza, queste essendo occupate in altri oggetti ». Quanto più, aggiungiamo<br />

ancora una volta, l'anima, mentre i sensi sono esternamente occupati, rimarrà<br />

più libera di darsi alla sua unione superiore con Dio, se gli oggetti sui quali<br />

i sensi sono occupati sono quelli <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>!


690 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

Contemplazione nella <strong>liturgia</strong> e contemplazione fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

A proposito di <strong>liturgia</strong> e contemplazione Giacomo Maritain, in<br />

chiave polemica contro il movimento liturgico e con l'intento di<br />

difendere l'ideale contemplativo extraliturgico da lui ritenuto minacciato,<br />

ha sostenuto la tesi seguente: la contemplazione è un fine<br />

superiore al culto e dunque alla <strong>liturgia</strong>, e questa è ordinata alla<br />

contemplazione * 7 .<br />

Bisogna rispondere che la tesi formulata in questo modo è<br />

semplicemente ambigua. È falsa se con tale affermazione s'intende<br />

dire che la contemplazione in atto puramente privato e fuori <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> è superiore al culto liturgico e che fine di questo è dunque<br />

di condurre a tale contemplazione privata. È vera invece nel <strong>senso</strong><br />

che il culto liturgico è ordinato alla contemplazione nella <strong>liturgia</strong><br />

stessa come alla perfezione interiore <strong>della</strong> partecipazione attiva,<br />

normalmente interiore ed esteriore, all'azione liturgica.<br />

In altre parole: quando l'unione interiore, che deve realizzarsi<br />

in ogni vera partecipazione attiva alla <strong>liturgia</strong>, arriva alla sua perfezione,<br />

essa diventa nello stesso tempo contemplazione o partecipazione<br />

contemplativa. La <strong>liturgia</strong> è certamente ordinata a tale contemplazione<br />

come alla propria perfezione interiore, non già per<br />

cessare di essere <strong>liturgia</strong>, ma per diventare <strong>liturgia</strong> contemplativa.<br />

Invece, la contemplazione fatta fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in atto puramente<br />

privato, è ordinata al culto liturgico e, sotto un altro aspetto,<br />

deve derivare da lui.<br />

. Per comprendere questo, senza entrare nei particolari discussi<br />

tra gli stessi teologi, partiamo dall'ipotesi più svantaggiosa alla<br />

<strong>liturgia</strong>. Supponiamo cioè che mentre la contemplazione è un atto<br />

infuso di carità, il culto, secondo l'opinione di S. Tommaso e dei<br />

tomisti, è formalmente un atto <strong>della</strong> virtù di religione, essa stessa<br />

virtù morale, parte potenziale <strong>della</strong> giustizia.<br />

Anche in questa ipotesi l'esercizio <strong>della</strong> virtù di religione non<br />

può avverarsi senza che essa offra in omaggio a Dio, come creatore<br />

e somma provvidenza, l'atto di qualche altra virtù, che le serva cosi<br />

come di materia nella quale possa attualizzarsi 88 .<br />

È vero che può esistere un reale culto, sebbene molto imperfetto,<br />

anche senza la carità: come in colui che assiste alla messa in stato<br />

di peccato mortale, il quale offre a Dio la sua fede e la sua speranza<br />

morte. Non si offrirebbe nulla a Dio se non si credesse in Lui e<br />

s ' JACQUES e RAISSA MARITAIN, Liturgia e contemplazione, ed. it. Torino Boria<br />

1960. Vedi, per esempio, pp. 14-21. Quanto segue riassume ciò che ebbi a scrivere<br />

in Rivista ascetica e mistica 7 (1962) 8-34: Contemplazione nella <strong>liturgia</strong> e contemplazione<br />

fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

»* Vedi S. TOMMASO, Summa IMI q 82 a 2 ad 2; In Boetii de Trin. lect.<br />

I q 1 a 2.


CONTEMPLAZIONE NELLA LITURGIA 691<br />

non si sperasse che accetti i nostri omaggi 88 . Ma è anche vero che<br />

la carità è la più nobile materia che l'atto di religione possa<br />

offrire a Dio e nel quale possa attualizzare se stessa. Ed è vero che<br />

la carità è sempre inclusa nell'atto concreto di culto di colui che è<br />

in stato di grazia, e più quest'atto di culto è perfetto più esso esige<br />

che la carità in esso offerta sia perfetta.<br />

S. Agostino ha detto a proposito del canto dei salmi : « Qui cantat<br />

laudem non solum cantat sed et amat eum auem cantat. In laude<br />

confitentis est precatio, in cantico amantis affectio » 90 . Ciò vale di<br />

ogni azione liturgica per colui che la compie in stato di grazia.<br />

<strong>Il</strong> fatto poi che nel culto la virtù di religione offre a Dio la<br />

carità, non toglie affatto a questa la sua natura propria; non la declassa<br />

al rango di virtù morale. L'offerta, in questa prospettiva di<br />

analisi degli aspetti ontologici delle cose, è bensì formalmente atto<br />

<strong>della</strong> religione e non <strong>della</strong> carità, ma la cosa offerta è atto di carità<br />

e non di una virtù morale.<br />

Se dunque si suppone che la contemplazione è un atto infuso<br />

di carità, si deve dire che non si può dare partecipazione piena e<br />

perfetta alla <strong>liturgia</strong> se non è nello stesso tempo partecipazione contemplativa.<br />

Ecco in che <strong>senso</strong> la <strong>liturgia</strong> è ordinata alla mistica<br />

come a un aspetto essenziale di se stessa.<br />

Ricordiamoci ora la dottrina <strong>della</strong> superiorità <strong>della</strong> preghiera<br />

liturgica su quella puramente privata, in virtù, almeno, dell'opus<br />

operantis Ecclesiae, e comprenderemo perché la contemplazione in<br />

atto puramente privato è inferiore in dignità ed ordinata a quella<br />

contemplazione che è l'aspetto interiore <strong>della</strong> partecipazione attiva<br />

alla <strong>liturgia</strong>.<br />

Ricordiamoci pure i tre princìpi che il Concilio Vaticano II pone a<br />

fondamento dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e non <strong>liturgia</strong> nella vita <strong>della</strong><br />

Chiesa: 1. «Ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo<br />

h » Vedi S. TOMMASO, In Boetii de Trin., lect. I q 1 a 2.<br />

00 Enar. in Ps. 72,1. Di qui anche si può rispondere al sofisma che spesso<br />

si propone in questa materia. Si dice: la contemplazione è formalmente atto<br />

di carità, regina delle virtù. La <strong>liturgia</strong> è formalmente atto di religione, virtù<br />

morale. Dunque la contemplazione (e s'intende quella fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>) è<br />

superiore alla <strong>liturgia</strong>. La risposta è che l'azione liturgica nella sua concretezza<br />

non si esaurisce mai nell'esercizio <strong>della</strong> sola e nuda virtù di religione, poiché<br />

questa non può attualizzarsi senza avere quasi per materia l'atto di qualche<br />

altra virtù. Quando poi l'azione liturgica è fatta in stato di grazia, concretamente<br />

essa include sempre la carità e se si tratta di una partecipazione perfetta alla<br />

<strong>liturgia</strong>, essa include necessariamente una carità perfetta. Tale azione liturgica,<br />

nella sua concretezza, non è dunque inferiore alla contemplazione non liturgica,<br />

ma superiore alla stessa. Infatti, include la carità e qualcosa di più: ossia la<br />

sua offerta cultica di quel culto molto speciale, e superiore a ogni culto privato,<br />

che è la <strong>liturgia</strong>. Anche se dunque, astrattamente parlando, nella scala delle<br />

entità (formalmente parlando direbbero gli scolastici) la carità è superiore al<br />

culto, concretamente parlando (per accidens direbbero gli scolastici, ciò che<br />

non significa affatto che in realtà ciò non sia vero), quando la <strong>liturgia</strong> è fatta<br />

con carità, essa non è inferiore, ma superiore alla contemplazione fuori <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>. É incredibile gli scherzi che gioca quella mentalità pseudo metafisica<br />

che a forza di astrattismo perde il <strong>senso</strong> del concreto e del reale totale.


692 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

sacerdote e del suo Corpo che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza,<br />

e nessun'altra azione <strong>della</strong> Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso<br />

grado, ne uguaglia l'efficacia » 91 . — 2. « La <strong>liturgia</strong> non esaurisce<br />

tutta l'azione <strong>della</strong> Chiesa... Nondimeno la <strong>liturgia</strong> è il culmine verso<br />

cui tende l'azione <strong>della</strong> Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana<br />

tutta la sua virtù » 92 . — 3. « I pii esercizi del popolo cristiano... sono<br />

vivamente raccomandati... Bisogna però che tali esercizi, tenendo<br />

conto dei tempi liturgici, siano ordinati, in modo da essere in armonia<br />

con la sacra <strong>liturgia</strong>, da essa traggano in qualche modo ispirazione,<br />

e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano<br />

il popolo cristiano » 93 . La contemplazione privata fuori <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> non fa eccezione a queste regole.<br />

Conclusione su <strong>liturgia</strong> e mistica<br />

In conclusione, non è un paradosso affermare che <strong>liturgia</strong> e<br />

mistica possono andare benissimo insieme ed anche, insieme, rigogliosamente<br />

prosperare. Proprio come alla fine del precedente articolo<br />

si concludeva intorno all'ottimo connubio che può e deve esserci<br />

tra <strong>liturgia</strong>, spiritualità liturgica e sforzo ascetico operoso verso la<br />

perfezione. Ma come alla fine di quell'articolo si riconoscevano lealmente<br />

i pericoli specifici che in <strong>liturgia</strong> e in spiritualità liturgica —<br />

come in qualsiasi altro tipo di spiritualità — vi possono essere contro<br />

la seria operosità ascetica nella tendenza alla perfezione, così altrettanto<br />

si riconoscono taluni pericoli specifici <strong>della</strong> spiritualità liturgica<br />

— di nuovo, come di qualsiasi altra spiritualità — nel campo<br />

<strong>della</strong> mistica, dai quali il cultore di <strong>liturgia</strong> dev'essere sempre sollecito<br />

di guardarsi.<br />

S. Giovanni <strong>della</strong> Croce non è certamente completo nel modo<br />

di considerare la parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella vita mistica. Tuttavia,<br />

per lo stesso cultore di <strong>liturgia</strong> e di spiritualità liturgica, tutt'altro<br />

che inutile sarà il forte ammonimento che proclamano i suoi scritti<br />

sulla necessità per l'uomo spirituale, sollecito di disporsi alle grazie<br />

di unione mistica con Dio, di non fermarsi all'esteriorità dei riti e<br />

ai gusti sensibili degli apparati esteriori del culto, ma, con seria<br />

preparazione di vita mortificata, di usarli come mezzo per cogliere<br />

sollecitamente l'interiorità alla quale devono condurre e che essi,<br />

con la loro stessa presenza ed azione continua nell'azione liturgica,<br />

devono nutrire e sostenere.<br />

A parte le sfumature proprie in cui si realizzerà in spiritualità<br />

liturgica, la nudità di spirito rimane in essa un assioma, come in<br />

qualsiasi altra spiritualità, per disporsi, o essere disposti, all'unione<br />

mistica. Vuol dire che, riguardo all'uso delle cose esterne e all'impegno<br />

che avrà in esse, sia pure trattandosi di culto, il mistico,<br />

si CL, art. 7.<br />

o- Ibid., art. 9 e 10.<br />

81 Ibid., art. 13.


CONCLUSIONE 693<br />

in spiritualità liturgica, come in qualsiasi altra spiritualità, deve<br />

realizzare come un paradosso: essere molto presente ed impegnato,<br />

e, nello stesso tempo, essere molto assente e libero. Presente, non<br />

solo allo spirito, o contenuto dei riti : Dio, Cristo, la Chiesa, il corpo<br />

mistico dei fratelli, gli atti di fede, speranza e carità; ma anche presente<br />

di corpo e con il normale uso esterno dei sensi, all'esterna<br />

comunità e all'esterna azione comunitaria a cui partecipa attivamente.<br />

Eppure: assente, perché l'esteriorità, che usa e in cui si<br />

immette, egli, nello stesso tempo che la usa e che in essa s'immette,<br />

deve trascenderla. Che il paradosso non sia che apparente e che<br />

quell'atteggiamento sia' possibile — o meglio: che Dio possa metterci<br />

in questo atteggiamento — vedi, per esempio, Maria dell'Incarnazione<br />

e quello che sopra si è detto.<br />

S. Giovanni <strong>della</strong> Croce richiama dunque il cultore di <strong>liturgia</strong><br />

che vuole disporsi all'unione mistica, alla trascendenza, sulle esteriorità<br />

del culto. Ed ha ragione, perché, da questa parte, il cultore<br />

di <strong>liturgia</strong> potrebbe essere minacciato. Come non senza ragione lo<br />

stesso S. Giovanni <strong>della</strong> Croce e S. Teresa, proponendo un tipo di<br />

spiritualità che non dà particolare risalto alla <strong>liturgia</strong>, ma ne dà<br />

uno grandissimo all'interiorizzazione individuale, non si stancano<br />

di ammonire i discepoli contro l'ansia possibile di sperimentalismo<br />

o gusti spirituali e contro il possibile desiderio di visioni e cose<br />

simili. Perché tanta insistenza? Perché sentivano istintivamente che<br />

un inesperto discepolo di quella forte interiorizzazione individuale,<br />

non particolarmente incentrata nella <strong>liturgia</strong>, può correre pericoli<br />

da questa parte iH .<br />

Conclusione del capitolo:<br />

spiritualità liturgica ed (Ispirazioni odierne<br />

Così la <strong>liturgia</strong> ci è apparsa capace di essere il centro di una<br />

dottrina spirituale completa e quindi il fulcro di uno stile di vita<br />

cristiana completo fino a condurre alla più alta perfezione. È la<br />

spiritualità liturgica, la spiritualità ufficiale che la Chiesa come tale<br />

propone a tutti i suoi figli. I consigli pratici, da dare concretamente<br />

nei singoli casi per condurre le anime per questa via, spettano all'applicazione<br />

e quasi all'arte <strong>della</strong> spiritualità liturgica. Se ne può<br />

costituire una specie di direttorio teorico pratico che comprenderà<br />

il fondo comune ad ogni direzione spirituale in ogni spiritualità<br />

'•>' Non si creda che questa particolare insistenza di S. Teresa e di S. Giovanni<br />

<strong>della</strong> Croce contro l'ansia possibile di sperimentalismo di visioni ecc., si<br />

spieghi tutta dalla necessità di mettere in guardia contro l'atmosfera del falso<br />

misticismo degli alumbrados allora imperversante nella Spagna. S. Ignazio di<br />

Loyola viveva alla stessa epoca e nello stesso ambiente, ma non sente affatto<br />

in modo simile la necessità di premunire i suoi discepoli contro l'ansia di sperimentalismo<br />

o contro il desiderio di visioni e cose simili. Infatti, non pare che<br />

sia proprio il pericolo di falso misticismo che, in spiritualità, minacci il discepolo<br />

del Loyola.


694 CAP. XXI - LITURGIA E SPIRITUALITÀ<br />

cattolica ma visto sempre in rapporto all'incentramento di tutta<br />

la vita nella <strong>liturgia</strong>.<br />

È certo anche che, nel suo insieme, la spiritualità liturgica è<br />

nettamente caratterizzata. E non è men certo che oggi molti scoprono<br />

nuovamente la spiritualità liturgica e la sentono confacente<br />

alle loro più profonde aspirazioni. Aspirazioni all'essenzialità, che<br />

è nello stesso tempo considerazione dei singoli valori nella loro<br />

oggettività unitaria e gerarchicamente relativa e un certo andare<br />

diretto al nucleo centrale delle cose; aspirazione alla comunitarietà<br />

e all'inquadramento dell'individuo nell'organicità dell'insieme da cui<br />

dipende e che a sua volta vivifica; aspirazione al contatto immediato<br />

con le sorgenti prime <strong>della</strong> vita cristiana, in specie con la vita<br />

ecclesiale in atto e con il mondo <strong>della</strong> bibbia con il colore e le<br />

sfumature proprie che ha nella bibbia stessa; aspirazione all'unità<br />

tra vita spirituale, biblica, teologica, apostolato: unità, che, come<br />

apparirà ancor meglio nei capitoli intorno a <strong>liturgia</strong> e pastorale,<br />

trova il suo connaturale legame appunto nella <strong>liturgia</strong> 95 .<br />

Sta il fatto che molti credono sinceramente che la scoperta<br />

<strong>della</strong> spiritualità liturgica sia una delle grandi leve <strong>della</strong> rinascita<br />

di vita cristiana che oggi viviamo. In Francia un ottimo conoscitore<br />

dello stato d'animo di quel paese e in specie dei giovani, il canonico<br />

E. Masure, direttore del seminario maggiore di Lille, sin dal 1953<br />

riduceva a tre le cause donde la spiritualità contemporanea trae<br />

le sue caratteristiche: il movimento <strong>teologico</strong> biblico, il movimento<br />

liturgico, il movimento d'azione cattolica. Sull'importanza del movimento<br />

liturgico per la pietà contemporanea non esita a scrivere:<br />

« <strong>Il</strong> movimento liturgico ha provocato non già precisamente una<br />

rivoluzione (usiamo a torto questa parola perché questo movimento<br />

è eminentemente tradizionale), ma una risurrezione; e questa dà<br />

ora alla Chiesa contemporanea e alla pietà moderna un'anima interiore<br />

tutta rinnovellata, dove il gesto sacro e comunitario ha ripreso<br />

tutta la sua importanza » ".<br />

Che anche in Italia l'ondata <strong>della</strong> spiritualità liturgica non passi<br />

inosservata ne dava sin dal 1956 una dimostrazione palmare l'inchiesta<br />

fatta dal P. Colosio su Rivista di ascetica e mistica a proposito<br />

degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio. Si può leggere ivi la conclusione<br />

dell'inchiesta intorno alla tredicesima domanda : « Quale posto<br />

dare alla <strong>liturgia</strong> durante gli esercizi ». <strong>Il</strong> P. Colosio, tra le altre<br />

cose, dice:<br />

« ...E assai difficile riassumere le risposte. Si potrebbe dire che il 60 per<br />

cento sono propensi a considerare in via di massima la preghiera liturgica come<br />

elemento essenziale di un corso di Esercizi, mentre i rimanenti, generalmente,<br />

ignaziani puri, sostengono che la <strong>liturgia</strong> è una bellissima e santissima cosa,<br />

ma in rapporto agli Esercizi, che di suo sono incentrati sulle meditazioni e<br />

9,i Vedi anche S. EM. CARDINALE G. LERCAHO, Attualità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, Atti <strong>della</strong><br />

prima settimana liturgica nazionale, Parma 1949, pp. 81-89.<br />

96 Les tendances de la spiritualité contemporaine, in: La spìritualité catholique<br />

par J. Gautier, avec la cotlaboration de... Paris, 1953 p. 272.


CONCLUSIONE 695<br />

sugli esami di coscienza, è un elemento marginale da usarsi con la massima<br />

discrezione, per non togliere tempo ai compiti specifici di intensa concentrazione<br />

su un determinato e chiuso schema di temi di orazione. A chi non è addentro<br />

al sistema ignaziano questo discorso apparirà oscuro, ostico, inaccettabile, quasi...<br />

eretico, specialmente se appassionato di <strong>liturgia</strong>. In realtà, è fondato sulla<br />

costatazione che il tempo e le forze psicologiche sono limitate e che quindi, per<br />

impedire dispersioni di energie, bisogna scegliere una determinata forma di orazione.<br />

Qui non si tratta di discutere in astratto se la preghiera liturgica sia<br />

superiore a quella privata, si tratta solo di proporzionare i mezzi al fine. Dal<br />

loro punto di vista hanno ragione. I liturgisti — che sono la maggior parte —<br />

partono da un altro presupposto. I giorni di Esercizi sono giorni di preghiera;<br />

ora la preghiera per eccellenza è la solenne preghiera liturgica, quindi...<br />

Naturalmente, gli ignaziani distinguono la maggiore dicendo che la preghiera<br />

« eserciziale » è una preghiera qualificata, con un particolare contenuto e con<br />

lo scopo di piegare l'anima a raggiungere determinati fini. Se uno non si rende<br />

conto <strong>della</strong> particolare fisionomia e struttura degli Esercizi ignaziani, non capirà<br />

mai la riduzione al minimo che essi fanno <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> solenne durante gli<br />

Esercizi... Questo è un punto critico di frizione, uno degli aspetti che rende a<br />

tanti poco simpatici gli Esercizi ignaziani» 97 .<br />

Cito questo testo unicamente per far vedere che esistono effettivamente<br />

sfumature e diversità tra spiritualità e spiritualità 98 e<br />

specialmente per rilevare — questo è, infatti, il fatto nuovo, dal<br />

punto di vista che c'interessa, nelle conclusioni dell'autore — che<br />

tra noi, dove il movimento liturgico, pur rispettabile, non ha avuto<br />

fin qui un carattere proprio straordinario, coloro che o vedono,<br />

o intuiscono, o confusamente sentono il bisogno <strong>della</strong> spiritualità<br />

liturgica sono certamente più numerosi di quanto comunemente<br />

si crede.<br />

Un autore tedesco, al congresso di Lugano del 1953, trattando<br />

appunto dei vari tipi di spiritualità nei secoli e volendo caratterizzare<br />

il nostro tempo, intitolò il suo rapporto addirittura : « L'èra<br />

liturgica nella vita <strong>della</strong> Chiesa » ". Ma, è vero, si tratta di un liturgista<br />

convinto. Senonché, l'autore non ha detto niente di più di quanto<br />

ha affermato il Concilio Vaticano II :<br />

« L'interesse per l'incremento e il rinnovamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è giustamente<br />

considerato come un segno dei provvidenziali disegni di Dio sul nostro tempo,<br />

come un passaggio dello Spirito Santo nella sua Chiesa: esso imprime una nota<br />

caratteristica alla sua vita, anzi a tutto il modo di sentire e di agire religioso<br />

del nostro tèmpo » 10 °.<br />

97 La nostra inchiesta. Risultati e conclusioni: in Rivista di ascetica t<br />

mistica, (anno 26 di Vita cristiana) 1 (1956) p. 393 s.<br />

9 « Chi ne dubitasse ancora potrà leggere l'intera predetta inchiesta e le<br />

risposte ivi pubblicate.<br />

99 E. FISCHER, L'era liturgica <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> Chiesa, in: Partecipazione attiva<br />

alla <strong>liturgia</strong>, Atti del III congresso... Lugano 1953 pp. 55-71.<br />

100 CL, art. 43. Sono, quasi testualmente, le parole di Pio XII, nel Discorso<br />

del 22 Sett. 1956.


CAPITOLO XXII<br />

L'ESEMPIO DI UNA MISTICA:<br />

SANTA GERTRUDE E LA SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

Quando si tratta di spiritualità, gli esempi hanno una loro particolare<br />

importanza per integrare la teoria. Per quanto riguarda la<br />

spiritualità liturgica in specie, sembra che, tra gli scritti degli autori<br />

spirituali, l'esempio più completo che permetta di considerare concretamente<br />

in una sola persona una realizzazione viva di spiritualità<br />

liturgica, almeno sotto i più importanti dei suoi vari aspetti, sia<br />

ancora quello di S. Gertrude, detta la grande, la mistica di Helfta, nata<br />

nel 1256 e morta nel 1302-1303 >.<br />

Naturalmente, si tratta di un esempio vivo, nel quale, come in<br />

tutti gli esempi vivi in materia di spiritualità, specialmente quando<br />

si volesse prenderli come guida pratica, bisogna saper leggere con<br />

prudenza e discrezione. Voglio dire che anche in Gertrude studiata<br />

dal punto di vista <strong>della</strong> spiritualità liturgica, bisogna saper distinguere<br />

quello che vi appare di caratteristico di ogni spiritualità liturgica<br />

e quello che vi è di particolare alla persona che l'incarna ed<br />

è dovuto al suo sesso, alla sua indole personale, al quadro speciale<br />

1 Si discute se fosse cistercense o semplicemente benedettina. Ma, anche<br />

se il monastero di Helfta, presso Eisleben, in Germania, non fosse giuridicamente<br />

aggregato all'ordine cistercense, è certo, comunque, che lo spirito e l'influenza<br />

di S. Bernardo erano fortissimi nella tonalità spirituale di quella casa.<br />

Nello stesso convento, oltre alla nostra S. Gertrude, fiorirono contemporaneamente<br />

tre altre notevoli mistiche: Gertrude di Hackborn, abbadessa; sua sorella<br />

S. Metilde o Matilde di Hackborn, e Gertrude di Magdeburgo. Le due<br />

opere di S. Gertrude conservateci sono: Legatus divinae pietatis, o Rivelazioni,<br />

di cui scrisse di proprio pugno il libro II, mentre dettò a una sua confidente<br />

i libri III, IV, V e questa confidente, a sua volta, vi aggiunse, dopo la morte<br />

di Gertrude, il libro I che premise a tutta l'opera come introduzione; gli Exercitia<br />

spirìtualia. Edizione critica dei monaci di Solesmes: Revelatìones gertrudianae<br />

et mechtildianae I. Sanctae Gertrudis Magnae... Legatus divinae pietatis.<br />

Accedunt eiusdem: Exercitia spirìtualia. Editore Oudin, Poitiers-Paris 1875. Traduzione<br />

italiana: S. GERTRUDE, Le rivelazioni, 2 volumi, a cura di D. Cecilia Ti<br />

rone, ed. Cantagalli, Siena, 2 ed. 1957. S. GERTRUDE LA GRANDE, Gli esercizi, a curo<br />

delle benedettine di Sorrento, ed. Cantagalli, Siena 1956. Cito secondo l'edizione<br />

solesmense.


PREMESSE 697<br />

di vita che fu il suo, all'epoca in cui visse e che essa, a suo modo,<br />

riflette, nonché alla grazia particolare e alla missione propria che<br />

ebbe da Dio. Non già che questa seconda serie di fatti non abbia<br />

importanza nella questione che ci occupa. Si tratta, è vero, di cose<br />

che non entrano per sé nella spiritualità liturgica e che quindi non<br />

devono necessariamente — anzi, spesso, non possono nemmeno —<br />

essere desiderate e tanto meno imitate da chi, tra noi, vuole intonare<br />

la sua vita spirituale alla <strong>liturgia</strong>. Tuttavia la loro presenza<br />

di fatto in S. Gertrude ci aiuta a capire meglio come una spiritualità<br />

autenticamente liturgica, senza richiederle necessariamente, non è<br />

loro affatto contraria. Anzi, come una spiritualità liturgica è capace<br />

di ammetterle e di assimilarle.<br />

Bisogna anche badare, sin dal principio, che, portando S. Gertrude<br />

come esempio di spiritualità liturgica, si ha coscienza che nemmeno<br />

essa è un esempio totalmente completo come noi oggi lo vorremmo<br />

avere. Alla spiritualità liturgica <strong>della</strong> stessa Gertrude, pur<br />

così varia e completa come esperienza di vita totale, mancano, in<br />

specie, due cose che per noi oggi hanno giustamente grande importanza<br />

: quella <strong>della</strong> sua applicazione sperimentale in un quadro di vita<br />

come lo conosce oggi il cristiano che vive nel mondo e quella di una<br />

grande esperienza pastorale comunitaria nel seno di una parrocchia<br />

o dei grandi movimenti e raggruppamenti, per esempio di azione<br />

cattolica, come oggi siamo abituati a conoscere. Ma questo significa<br />

semplicemente che nessun esempio del passato, tanto meno un<br />

esempio del medioevo, per quanto istruttivo, potrà dispensare i nostri<br />

contemporanei dal realizzare essi stessi,-con la propria ricerca<br />

e a propri rischi, non solo una spiritualità liturgica in genere, ma<br />

quella spiritualità liturgica che sia connaturata ai nostri speciali<br />

bisogni di uomini del secolo XX.<br />

1. PREMESSE<br />

Liturgia e spiritualità nelle opere di S. Gertrude in genere<br />

Gertrude come esempio di spiritualità liturgica significa anzitutto<br />

il fatto generale, che colpisce sin dal primo momento il lettore,<br />

anche superficiale, dei suoi scritti, che la visione liturgica del mondo<br />

costituisce effettivamente in lei la forma primaria ed unificatrice<br />

del suo modo di vivere in profondità la vita dello spirito. La <strong>liturgia</strong>,<br />

come azione liturgica <strong>della</strong> messa e <strong>della</strong> comunione, delle ore canoniche,<br />

delle feste, dei periodi liturgici, costituisce il quadro non solo<br />

esterno ma anche interno, psicologico, d'attenzione, di desiderio,<br />

d'amore, di coordinamento entro il quale si svolge la sua vita come<br />

ricerca di Dio, come unione fruitiva con Lui e come ritorno verso<br />

gli uomini per condurli a Lui. In questa vita tutto è : o azione vissuta


698 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

delle realtà <strong>della</strong> messa e <strong>della</strong> comunione, delle ore canoniche, delle<br />

feste e dei periodi liturgici; o preparazione alla vita in atto di queste<br />

realtà nella <strong>liturgia</strong>; o prolungamento e conseguenza delle stesse.<br />

Nel Legatus divini amoris si tratta solo di quello che avviene a<br />

Gertrude nella messa, comunione, mattutino, ore canoniche, e feste;<br />

o di quello che le avviene nella sua preparazione alle stesse; o di<br />

quello che le avviene ancora in conseguenza delle stesse e comunque<br />

in connessione con le stesse. Se si eccettuano i diciassette capitoli del<br />

primo libro d'indole biografica generale scritti dalla sua confidente,<br />

tra i 199 capitoli dei quattro rimanenti libri del Legatus pochi sono<br />

quelli ove non ci sia riferimento o alla messa, o alla comunione, o<br />

alle ore canoniche, o alle feste, o a qualche atto liturgico e non molto<br />

più numerosi quelli ove si parla di qualcosa che non avviene o durante<br />

queste azioni liturgiche o in preparazione ad esse, o in conseguenza<br />

di esse.<br />

Nell'altra opera di Gertrude, gli Esercizi, gli oggetti essenziali<br />

di cui si occupa sono: l'iniziazione cristiana: battesimo, cresima,<br />

comunione; l'anniversario <strong>della</strong> presa dell'abito religioso; quello <strong>della</strong><br />

consacrazione verginale; quello <strong>della</strong> professione monastica; il suo<br />

rinnovamento: il tutto in stretto riferimento alle rispettive azioni<br />

liturgiche. C'è poi un esercizio in forma quasi di ore canoniche per<br />

prepararsi alla morte, e due altri per eccitarsi all'amore divino e<br />

ringraziare Dio.<br />

Inoltre, il Legatus e gli Esercizi, sono, anche nella loro composizione<br />

ed espressione letteraria, tutti imbevuti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> perché<br />

tutti cosparsi di passi e di reminiscenze liturgiche. A tal segno che,<br />

in specie in alcuni passi degli Esercizi, quest'espressione prende<br />

l'aspetto di centone dalla <strong>liturgia</strong> e dalla Scrittura, essa stessa, assai<br />

spesso, per il tramite <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Senso e valore che Gertrude dava alle sue visioni immaginative<br />

Ma non dobbiamo tacere due difficoltà che rendono assai difficile<br />

l'interpretazione e la retta ponderazione del valore reale degli scritti<br />

gertrudiani, tanto che, sin. dal primo contatto, possono allontanarne<br />

più d'un lettore o, comunque, nascondergli i veri tesori che contengono.<br />

La prima è che nel Legatus si parla ovunque di visioni e di<br />

locuzioni ritenute divine. In tutta l'opera sembra non si faccia altro<br />

che riferire senza fine cose e scene viste e parole supposte udite<br />

in queste visioni. Inoltre, alcune di queste visioni sono riferite in<br />

complessi immaginativi che ci sembrano strani, di rappresentazione<br />

difficile o anche urtante : come quella in cui le membra di Cristo<br />

fioriscono in altrettanti rami che crescono e si spandono, o quella<br />

del cuore di Gesù come palazzo con altrettante camere, o quella del<br />

suo corpo nella metà destra vestito di splendidi paramenti e nella<br />

sinistra nudo e tutto ulceroso. Tutto ciò indispone molti lettori che<br />

al primo contatto hanno l'impressione di trovarsi in un'atmosfera


VISIONI IMMAGINATIVE 699<br />

d'ingenuo visionarismo, il quale, si è portati a pensare, anche se riferisce<br />

cose realmente accadute, lascia l'impressione sgradevole che<br />

proprio in esso si faccia consistere la santità e l'ideale di vita che si<br />

propone.<br />

La seconda è che queste visioni e locuzioni, nonché i sentimenti<br />

che ne accompagnano l'espressione, si rivestono su larga scala di<br />

immagini derivate dai rapporti amorosi sponsalizi e matrimoniali tra<br />

uomo e donna o, comunque, di espressioni ed immaginazioni denotanti<br />

una sensibilità femminile tale che, il moderno lettore, non potendo<br />

dimenticare completamente la psicanalisi, è facilmente tentato<br />

di tacciare di sensualità e di erotismo più o meno nascosto e sublimato<br />

'-'. L'uno e l'altro fatto producono facilmente sul lettore moderno<br />

una prima sgradevole impressione che può impedirgli di<br />

arrivare al vero midollo degli scritti gertrudiani.<br />

Ma, com'è vero che quella prima impressione non è puramente<br />

soggettiva, così non è men certo che fermarsi ad essa e basarvi il<br />

giudizio definitivo degli scritti gertrudiani significa commettere un<br />

grossolano errore. Certo, in tale aberrazione non cadrà quel lettore<br />

il quale avendo spogliato se stesso e sperimentato la carità, sa benissimo<br />

in che cosa consiste la perfezione cristiana e la verità del detto<br />

paolino: omnia munda mundis. Egli ab intrinseco risolve senza difficoltà<br />

la questione. Ma in tale grossolano errore non dovrebbe nemmeno<br />

cadere un lettore semplicemente intelligente, se ha cura d'informarsi<br />

anzitutto qual era, per Gertrude stessa e per la confidente<br />

alla quale ha dettato o narrato le sue esperienze, il valore reale che<br />

annetteva a queste visioni.<br />

Negli scritti gertrudiani c'è una serie di osservazioni di massima<br />

su questa precisa questione del <strong>senso</strong> e valore delle visioni. Anzitutto<br />

notiamo ciò che Gertrude, sebbene per incidenza, dice indirizzandosi<br />

al Signore a proposito di una grazia mistica di unione e di visione<br />

di particolare grandezza dopo la quale si meravigliava di poter ancora<br />

continuare a vivere : « Non ignoro che la tua inscrutabile onnipotenza<br />

per l'abbondanza <strong>della</strong> tua pietà, è solita di temperare molto congruentemente<br />

la visione, ì'amplexus e Yosculum nonché gli altri segni<br />

d'amore, secondo il luogo, il tempo e la persona » 3 . Preziosa osservazione<br />

di portata generale che ci fa comprendere come alla riflessione<br />

di Gertrude non fosse sfuggita la legge <strong>della</strong> condiscendenza divina<br />

la quale, nelle stesse grazie mistiche, adatta il suo modo di comunicarle<br />

al luogo, al tempo e alla persona.<br />

Più precisamente ancora, a proposito delle grazie mistiche delle<br />

quali Gertrude fu gratificata, ella stessa, e anche la sua confidente,<br />

fanno ripetutamente una netta distinzione tra ciò che in quelle grazie<br />

vi è di più sublime e d'inesprimibile e l'aspetto immaginativo che ne<br />

viene riferito nelle descrizioni. L'aspetto immaginativo è come la parte<br />

- Vedi per es.. <strong>Il</strong>i 18 pp. 151-157; III 21 p. 165 s; III 29 p. 175; III 38 p. 201 :<br />

IH 42; III 45; III 50; III 63 p. 236; HI 71 p. 253.<br />

1 II 21 p. 101 s. Vedi, inoltre, IH 48.


700 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

inferiore di quelle grazie, e per quanto non dubitassero che anche<br />

quest'aspetto, in Gertrude, provenisse veramente da Dio che in essa<br />

formava tali immagini 4 , tuttavia ritenevano che queste avessero<br />

unicamente un valore simbolico per lo scopo didattico dell'istruzione<br />

del prossimo affinché, mediante immagini e simboli, il lettore fosse<br />

attirato pian piano alle esperienze più segrete dell'unione con Dio.<br />

Un giorno, nella festa dell'Annunziazione, mentre la comunità,<br />

in occasione di certe difficoltà, recitava il salmo Misererà in onore<br />

<strong>della</strong> Madonna, Gertrude vede la Madonna stessa che teneva nel suo<br />

seno un certo numero di scatoline di profumi e le ornava poi con<br />

gemme che il Signore le porgeva. Gertrude è istruita da nostro Signore<br />

che quelle scatole di profumi significano le difficoltà che la<br />

comunità aveva sopportate con pazienza e le gemme significavano<br />

le preghiere che la stessa comunità offriva alla Madonna.<br />

« Mentre Gertrude si chiedeva per quale motivo il Signore la istruisse allora<br />

con tanto materiale visione e spessissimo facesse in modo simile, il Signore le<br />

propose quel responsorio, che si canta nella stessa festa, sulla porta chiusa che<br />

il profeta Ezechiele vide in ispirito, e le disse: « come un giorno il modo e<br />

l'ordine <strong>della</strong> mia incarnazione fu mostrato ai profeti per mezzo di simboli mistici,<br />

d'immagini e di similitudini; così anche ora, le cose spirituali e invisibili<br />

non possono esprimersi alla portata dell'umano intelletto che per mezzo di similitudini<br />

di cose conosciute. Nessuno deve dunque disprezzare quello che è mostrato<br />

per immaginazioni di cose corporee, ma ognuno deve studiarsi, per mezzo<br />

d'immagini di cose materiali, di meritare di gustare il soave intelletto dei piaceri<br />

spirituali » 5 .<br />

Oltre al motivo <strong>della</strong> lode di Dio, è per questo scopo di condurre<br />

gli altri per mezzo di queste descrizioni immaginative, come per<br />

mezzo di immagini dipinte, a gustare un giorno quei più alti segreti<br />

dell'unione divina, che Gertrude, per ubbidire al preciso comando<br />

di Dio e contro il suo proprio gusto 6 , ha acconsentito a scrivere e<br />

a dettare.<br />

« Ne sei tu stesso testimone che desidero veramente che tu sia lodato e<br />

ringraziato per il fatto che la tua sovrabbondante pietà non è rifuggita dalla<br />

mia indegnità. E desidero anche che tu sia lodato in questo: che alcuni, leggendo<br />

questo scritto, prendano diletto nella dolcezza <strong>della</strong> tua pietà, e quindi,<br />

così attratti, facciano maggiori esperienze nella tua intimità. Nel modo che gli<br />

studenti, passando per l'alfabeto, arrivano un giorno alla logica, così essi, per<br />

queste immaginazioni come dipinte, siano condotti a gustare in se stessi quella<br />

manna nascosta che non può sperimentarsi per nessuna composizione di immaginazioni<br />

corporee e che solo colui che ne ha gustato desidera ancora » T .<br />

•< La confidente di Gertrude, parlando di questo aspetto immaginativo, cita<br />

(IV 25 p. 382) un testo di S. Bernardo (in Cant. 42) il quale, distinguendo nell'atto<br />

di contemplazione mistica tra la contemplazione propriamente detta e le immaginazioni<br />

che l'accompagnano, dice che la prima viene da Dio, mentre stima<br />

che le seconde sono formate in noi dal ministero degli angeli. Tuttavia è chiaro<br />

che la confidente di Gertrude era persuasa che in lei quelle stesse immagini non<br />

provenissero affatto dalla sua industria, ma dall'infusione divina: I 1 p. 10.<br />

' IV 12 p. 334.<br />

fi Vedi II 5 p. 70 s.<br />

7 II ?4 p. 113.


VISIONI IMMAGINATIVE 701<br />

Le stesse idee sono ripetute con insistenza dalla confidente di<br />

Gertrude 8 .<br />

Quindi, per Gertrude, è importante la spiegazione del significato<br />

delle singole visioni. È in questa spiegazione che stava per lei tutto<br />

il loro succo e tutta la loro utilità. Non omette mai di farla, almeno<br />

brevemente.<br />

Ma credeva Gertrude che queste spiegazioni fossero ispirate da<br />

Dio? La consorella che ha scritto il primo libro del Legatus ne era<br />

persuasa, né ammetteva che vi si potesse vedere il frutto <strong>della</strong> semplice<br />

industria di Gertrude stessa ,J . Ma la santa sembra essere stata<br />

assai più cauta. Nel libro quarto, per ben due volte si pone esplicitamente<br />

la questione se quelle spiegazioni che proponeva delle sue<br />

visioni immaginative non dovessero, per caso, ritenersi frutto <strong>della</strong><br />

sua propria industria. E la risposta, che riferisce come avuta da<br />

Cristo stesso, è, nei due casi, molto prudente. Una volta, nella vigilia<br />

<strong>della</strong> Natività, durante i vesperi, mentre all'inno si cantava la dossologia:<br />

Gloria tibi Domine, Gertrude vide una moltitudine di angeli<br />

che volavano per tutta la cappella intorno alle suore e cantavano con<br />

loro. Chiese allora al Signore il significato di questo fatto.<br />

« Ma non otteneva nessuna risposta dal Signore. Anzi si affannava maggiormente<br />

nella sua ricerca. Finalmente, per ispirazione divina, capì che, quando<br />

gli angeli sono presenti nei nostri uffici liturgici quaggiù, pregano il Signore<br />

che si degni di fare simili a loro nella vera purezza di cuore e di corpo coloro<br />

che si studiano di imitarli nella devozione ».<br />

Così Gertrude aveva finalmente trovato il significato di quella<br />

visione: ma, lo sentì bene, non senza avere essa stessa cercato con<br />

un certo affanno. Perciò ebbe un dubbio:<br />

« Quindi cominciò a temere, come è umano, di avere trovato questo significato<br />

non già per ispirazione divina, ma per proprio intelletto. E intorno a<br />

questo ricevette da Dio questa consolante risposta: "Non temere. La tua volontà<br />

è pienamente unita alla mia e non può volere altro che ciò che io voglio,<br />

per cui in ogni cosa desidera la mia lode. Così tutti gli spiriti angelici sono<br />

talmente sottomessi alla tua pia volontà, che anche se non avessero pregato<br />

per voi, come hai mentalmente capito che fanno, per il fatto stesso che desideri<br />

che Io facciano, loro, senza dubbio, si studierebbero subito di farlo con grande<br />

zelo. Anzi perché tu sei stata fatta Imperatrice da me Imperatore, tutti i miei<br />

celesti principi sono talmente disposti ad obbedirti, che, se tu dicessi che essi<br />

fanno qualcosa che non avrebbero ancora fatto, subito, affinché le tue parole<br />

siano veridiche, con grande prontezza si studierebbero di compiere zelantemenlc<br />

il tuo beneplacito" » 10 .<br />

<strong>Il</strong> che pur tuttavia, diciamo noi, non impedirebbe che le predette<br />

spiegazioni che Gertrude, per supposta ispirazione divina, avrebbe<br />

dato delle sue visioni, in realtà sarebbero state frutto <strong>della</strong> sua umana<br />

industria e non di una speciale ispirazione divina propriamente<br />

s Per es., Prologo p. 4; I 1 p. 10; IV 25 p. 381 s; IV 48 p. 435; V 36 p. 613; ecc.<br />

" I 1 p. 10.<br />

IV 2 p. 297.


702 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

detta. Gertrude non si spaventa affatto di questa conclusione, o,<br />

comunque, il Signore l'ammonì di non spaventarsene. Perché, in<br />

un'altra occasione, in cui era tormentata dallo stesso dubbio intorno<br />

all'origine divina delle sue spiegazioni, Cristo le risponde:<br />

« Perché, dunque, si dovrebbe disprezzare questo mio dono per il fatto<br />

che lo avessi fatto per più sottile via, per mezzo delle tue facoltà naturali che<br />

mi sono create perché mi servissero? È più mirabile e accettabile che per creare<br />

l'uomo dicessi deliberando: facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza<br />

(Gn 1,26) di quello che dissi creando le altre cose: sia fatta la luce, sia fatto<br />

il firmamento (Gn 1) ».<br />

Gertrude non si sentì del tutto appagata, poiché osservò : « Chiunque,<br />

lavorando di proprio <strong>senso</strong>, potrebbe proporre diverse considerazioni<br />

da lui stesso trovate, e così difenderle per l'autorità <strong>della</strong><br />

Scrittura, anche senza averle conosciute per l'influsso <strong>della</strong> tua grazia<br />

». Ma, purché si verifichino certe determinate previe condizioni,<br />

il Signore non trova inconvenienti in questa conseguenza:<br />

«Rispose il Signore: "aggiungi questo criterio: se qualcuno, tutto considerato,<br />

ha coscienza che la sua volontà è talmente unita alla mia che in nessuna,<br />

sia pur minima cosa e in nessuna occasione, sia favorevole che contraria, può<br />

volere discordare dal mio beneplacito; se, inoltre, in tutto quello che fa o soffre,<br />

desidera con tale purezza la mia sola lode e gloria, che in ogni cosa rinuncia<br />

totalmente alla propria utilità e al proprio vantaggio; costui, con sicurezza, può<br />

affermare qualsiasi buona cosa che ha trovata per esercizio delle proprie facoltà<br />

accompagnato da interno sapore, purché non manchi l'appoggio <strong>della</strong> testimonianza<br />

delle sacre Scritture e possa essere utile al prossimo" » ' '.<br />

Come si vede, le precauzioni sono molte. Comunque, verificatesi<br />

queste precauzioni, la questione di sapere se le spiegazioni proposte<br />

siano state veramente ispirate per grazia speciale oppure siano frutto<br />

del naturale lavorio di colui che le dà, perde tutta la sua importanza.<br />

A noi preme rilevare che tutto questo Gertrude lo sapeva benissimo e<br />

che quindi era molto lontana da attribuire importanza decisiva all'origine<br />

propriamente soprannaturale o solo naturale delle lezioni che<br />

andava ricavando dalle sue visioni.<br />

Ed è certo che teneva moltissimo a quegli ammaestramenti impartiti<br />

agli altri. A tal punto che, in un'occasione in cui il Signore le<br />

lasciò la scelta di essere illuminata o per via completamente superiore<br />

e più profonda, ma incomunicabile agli altri, o per via inferiore,<br />

ma comunicabile, preferì questa seconda perché più utile al prossimo.<br />

« Aveva infatti due modi di fruire di Dio. Uno nel quale, per eccesso di<br />

mente era portata in modo così totale in Lui che poi poteva narrarne pochissimo<br />

ad utilità del prossimo. L'altro modo consisteva in questo che, affilando<br />

i suoi sensi nella meditazione delle Scritture, con la cooperazione del Signore,<br />

ne acquistava intelletto spirituale con mirabile sapore e dilettazione, come se<br />

giocasse a faccia a faccia con il Signore, come un amico talvolta gioca a tavola<br />

solo a solo con un suo intimo amico. In questo secondo modo le era possibile<br />

essere utile agli altri. Era questo che il Signore le chiedeva domandando se<br />

ii IV 14 p. 343 ss.


IMMAGINI NUZIALI 703<br />

preferisse che Egli la servisse nel primo modo, oppure che lei stessa lo servisse<br />

nel secondo modo. Ma lei, non cercando il proprio vantaggio ma il vantaggio<br />

di Gesù Cristo, preferì servire nel lavoro alla sua lode, che soddisfare al<br />

proprio gusto lasciando stare il resto e gustando quanto è dolce il Signore» 12 .<br />

Tutto questo pare si riferisca direttamente a quelle spiegazioni<br />

dottrinali che Gertrude impartiva agli altri a proposito delle sue<br />

visioni immaginative. Non mi consta che abbia avuto dei dubbi sull'origine<br />

propriamente soprannaturale di quelle stesse visioni anche<br />

nel loro apparato immaginativo. Tuttavia non ne esagerava affatto<br />

l'importanza. Comprendiamo meglio la sua sincerità quando le riteneva<br />

« immaginazioni dipinte », tutte al servizio didattico degli altri<br />

per attirarli a ben più segreta manna « quasi per ascensorios gradus<br />

imaginationum » dice la sua confidente i:ì . Dunque, in Gertrude, niente<br />

visionarismo in <strong>senso</strong> peggiorativo.<br />

Ci si può chiedere allora, perché quella esuberanza di visioni immaginative.<br />

La risposta ce la dà il principio stesso di Gertrude che<br />

citavamo poche pagine innanzi: Dio contempera il suo modo di comunicarsi<br />

al luogo, al tempo, alla persona. Gertrude è una medievale.<br />

La sete di simbolismo nella pietà medievale, e non solo nella<br />

pietà, è fenomeno ben noto e troppo generale a quell'epoca perché<br />

sia necessario insistere 14 .<br />

Espressioni ed immagini di vita nuziale<br />

Lo stesso principio che Dio contempera il modo di comunicare<br />

i suoi doni al luogo, al tempo, alla persona, ci farà comprendere, e<br />

ridurre alle sue giuste proporzioni, l'altro fenomeno, urtante, al primo<br />

contatto, negli scritti gertrudiani: le espressioni e le immaginazioni<br />

di evocazione erotica. Gertrude s'inserisce indiscutibilmente nella<br />

tradizione mistica detta « nuziale » perché vive e spiega i rapporti<br />

mistici dell'unione dell'anima con Dio nel quadro immaginativo e nel<br />

vocabolario desunti dai rapporti sponsalizi e matrimoniali, seguendo<br />

l'esempio del Cantico dei cantici e applicando il sistema non solo ai<br />

rapporti tra la Chiesa e Dio ma anche ai rapporti delle singole anime<br />

con Dio. Tutte le mistiche di Helfta, come parecchie altre mistiche<br />

germaniche del secolo XIII I5 , vivono in questa atmosfera.<br />

L'hanno imparato anzitutto da S. Bernardo. S. Gertrude per<br />

parte sua, rincara la dose. Certo, vale qui, se mai altrove: omnia<br />

12 IV 2 p. 290.<br />

13 V 36 p. 613. E, in sostanza, la nota dottrina alla quale S. Giovanni <strong>della</strong><br />

Croce doveva dare un'espressione classica, Salita II 15, specialmente n. 3, 4, 9<br />

(secondo l'ed. it., Opere, Roma 1940 p. 116 ss. Secondo l'ed. critica spagnuola<br />

di P. Crisogono de Jesus, Madrid 1945, Subida II 17 p. 602 ss).<br />

14 Vedi per es., M. D. CHENU, La théologie an XII e siede, Paris 1957 pp.<br />

159-220.<br />

15 Vedi, per es., in Diction. de spirituatité, II (1953) s. v. Contemplation,<br />

col. 1972 s.


704 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

munda 7nundis. È legittimo però aggiungere un'osservazione. Non<br />

si vuole in nessun modo misconoscere la legittimità, in S. Gertrude,<br />

come in tanti altri santi e sante, messi al sicuro dalla loro stessa<br />

eminente santità, di rappresentarsi ed esprimere gli arcani più alti<br />

dell'unione mistica con Dio, trascendenti ogni immaginazione e sensibilità,<br />

con le immagini e il vocabolario nuziale.<br />

Tuttavia è certo anzitutto che questo modo di fare non è necessariamente<br />

connesso con la mistica. Ci sono autentici mistici che<br />

l'ignorano completamente, per esempio S. Ignazio di Loyola. Inoltre,<br />

è indubbio che la presenza in un mistico o in una mistica di quel<br />

modo di rappresentazione, e specialmente la sua intensità ed insistenza,<br />

dipende, in fin dei conti, da fattori naturali di sesso, di sensibilità,<br />

di temperamento, di educazione, ai quali fattori, se mai,<br />

Dio si adatta, usando di essi come di tutti gli altri elementi <strong>della</strong> natura<br />

buoni in se stessi. Da questo è facile dedurre che nella lettura<br />

di scritti nei quali questi elementi rappresentativi ed espressivi hanno<br />

qualche consistenza, ognuno, a seconda del proprio temperamento,<br />

può tranquillamente passarci sopra, o anche, secondo i casi, deve<br />

passarci sopra. L'essenziale è di non lasciarsi impedire da quegli<br />

ascensorii gradus imaginationum, che negli scritti gertrudiani urtano<br />

in qualche modo la nostra sensibilità legittimamente diversa, di<br />

arrivare, come diceva la confidente di Gertrude, a quelle intimità<br />

più segrete e alle fonti più pure ed eccellenti <strong>della</strong> sapienza, che<br />

sgorgano abbondanti da questi scritti, e che non possono in nessun<br />

modo comunicarsi per via d'immaginazione a chi non ne ha l'esperienza<br />

le .<br />

Quadro <strong>della</strong> vita esterna di Gertrude<br />

Finalmente, un cenno al quadro esterno in cui visse Gertrude.<br />

Presentandola, infatti, come un buon esempio di spiritualità liturgica,<br />

non possiamo dimenticare, anche per capire bene sin dal principio<br />

i limiti di questo esempio, il quadro speciale di vita che fu il suo.<br />

Questo quadro fu quello d'un monastero di monache benedettine. La<br />

caratteristica dell'ordinamento di simile vita è, come si sa, di essere<br />

appunto incentrata nel compimento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>: messa e ufficio<br />

divino. Le ore dell'Opus Dei danno il ritmo a tutta la giornata, le<br />

feste liturgiche all'intero anno. Così il calendario liturgico è il calendario<br />

reale non solo esterno, ma anche interno di questa vita. Ciò<br />

appare in modo caratteristico appunto in Gertrude, la quale, per<br />

situare nel tempo le grazie mistiche di cui parla, non considera<br />

l'anno che in riferimento alle feste e ai cicli liturgici, e la giornata che<br />

in riferimento alle ore dell'Opus Dei. Si tratta dunque di un quadro<br />

di vita nel quale la <strong>liturgia</strong> domina non solo qualitativamente, ma<br />

anche quantitativamente.<br />

io Vedi V 36 p. 613.


QUADRO DI VITA ESTERNA 705<br />

<strong>Il</strong> resto delle occupazioni nel monastero di Helfta era costituito<br />

dal disimpegno ordinario degli uffici necessari per l'andamento di<br />

una comunità e dallo studio. Gli studi umanistici erano in onore, ma<br />

piuttosto come fase preparatoria e per l'istruzione delle bambine<br />

che ricevevano nel monastero la loro educazione. Lo studio specificamente<br />

monastico era la lectio divina: studio meditato <strong>della</strong> Scrittura,<br />

dei Padri e anche di autori più recenti, in rapporto ai grandi<br />

temi <strong>della</strong> vita spirituale e liturgica. La lectio divina così intesa preparava<br />

immediatamente a vivere la vita liturgica in profondità. <strong>Il</strong><br />

passaggio dalla lectio alla contemplazione era cosa considerata naturale<br />

e continua.<br />

La scala di questa ascensione, ben nota nella tradizione monastica,<br />

era : lectio, meditatio, contemplano, oppure più completa : lectio,<br />

meditatio, oratio (giaculatorie), contemplano 17 . Gli scritti gertrudiani<br />

vi fanno spesso allusione. Così alla fine di tutta l'opera, la confidente<br />

di Gertrude, dopo averne indicato lo scopo e la natura di<br />

primo avviamento « per la scala delle immaginazioni corporee »<br />

verso l'esperienza mistica, così conclude:<br />

« Intanto, i lettori più semplici di questo libro, i quali non sono capaci di<br />

nuotare da soli nell'onda <strong>della</strong> pietà divina, si mettano almeno in cammino<br />

usando questo mezzo, e avviati dal diletto dei benefici che sono stati fatti al<br />

prossimo, si diano alla lezione, alla meditazione, alla contemplazione e comincino<br />

così, finalmente, a gustare da se stessi quanto dolce è il Signore e quanto<br />

sia realmente fortunato colui che spera in lui e mette in lui tutto il suo pensiero<br />

» 18 .<br />

In questo quadro di vita del suo monastero Gertrude non sembra<br />

avere mai ricoperto uffici amministrativi di qualche importanza.<br />

Non vi si fa mai allusione nei suoi scritti. Forse aiutava S. Metilde<br />

nella direzione del canto 19 . Nell'osservanza di tutti gli esercizi<br />

regolari e dei lavori ordinari fu esattissima : « Osservava gli statuti<br />

dell'ordine con tanta dilettazione di mente, come la frequenza del<br />

coro, i digiuni, le opere comuni, che non le ometteva mai se non<br />

per motivo di grave malattia » 20 . Sin da bambina fu di mente sveglia,<br />

superiore alla media : « Amabile, abile e faconda, e talmente docile<br />

che chi l'ascoltava ne rimaneva meravigliato. In scuola brillava per<br />

tanta vivacità d'intelligenza e ingegno di mente da superare di molto<br />

tutte le coetanee e le altre compagne in ogni genere di sapere » 21 .<br />

Quando si svegliò in lei l'interesse per lo studio vi si dette con avidità<br />

e passione. Dopo, la sua conversione a una vita più perfetta, considererà<br />

sempre con rammarico di essersi lasciata prendere, negli anni<br />

<strong>della</strong> sua adolescenza, da un <strong>senso</strong> troppo umano nello studio. Anche<br />

dopo la sua entrata nella vita mistica, lo studio, o più esattamente<br />

" Vedi, per es., Dict. de spìritualité, II (1953) s. v. Contemplation,<br />

p. 1946; 1960.<br />

'8 V 36 p. 613.<br />

»9 Vedi V 1 p. 510.<br />

2» I 11 p. 32.<br />

2' I 1 p. 7.<br />

23 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


706 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

la lectio, <strong>della</strong> Scrittura e dei Padri, rimase sempre oggetto delle sue<br />

vivissime cure ".<br />

Nel monastero di Gertrude il contatto con il mondo esteriore<br />

era molto scarso. Nel caso di Gertrude stessa fu ridotto al minimo.<br />

Entrata bambina, a cinque anni, nell'alunnato del monastero, sembra<br />

aver perduto molto presto i genitori o, comunque, in convento fu<br />

« esule dai genitori », né ebbe, almeno nelle vicinanze, parenti o amici<br />

dei quali godesse l'affetto naturale. All'età di 34 anni circa, e forse<br />

anche più, non ricordava di aver mai visto una mamma che accarezza<br />

il suo bambino 23 . Tutto questo non le impedì di avere un<br />

<strong>senso</strong> ecclesiale avvertito rendendosi conto benissimo dei diversi<br />

generi di vita e delle diverse necessità nella Chiesa 21 .<br />

Questi cenni possono bastare come preparazione a comprendere<br />

gli scritti gertrudiani in genere. Per studiarli più da vicino nel quadro<br />

di una spiritualità liturgica, li esamineremo dal punto di vista<br />

<strong>della</strong> purificazione ascetica e dell'esercizio delle virtù, dell'attenzione<br />

vitale relativa data ai diversi dogmi <strong>della</strong> fede, <strong>della</strong> vita mistica propriamente<br />

detta, e finalmente <strong>della</strong> preghiera extraliturgica e delle<br />

devozioni.<br />

2. PURIFICAZIONE, ESERCIZIO DELLE VIRTÙ<br />

E VITA LITURGICA DI GERTRUDE<br />

In genere<br />

L'aspetto di purificazione nella vita spirituale perdura a suo<br />

modo tutta la vita, anche quando l'anima ha raggiunto le più alte<br />

vette. In Gertrude non si tratta di lotte drammatiche contro i vizi<br />

e le cattive inclinazioni. Entrata da bambina in convento e non più<br />

uscitane, vi menò sempre una vita di straordinaria limpidità e purezza<br />

anche nel primo periodo, quello che fu di una religiosa semplicemente<br />

onesta e lodevole, appassionata per lo studio, senza<br />

essere spiritualmente molto fervorosa.<br />

La conversione alla vita spirituale fervorosa avvenne all'età di<br />

ventisei anni in seguito a un turbamento di coscienza che durava da<br />

un mese e specialmente per una visione, avuta la sera, verso il crepuscolo,<br />

dopo compieta, nel dormitorio, e dove Cristo le fece capire<br />

che la voleva tutta a sé. Questa conversione è semplicemente il momento<br />

in cui Cristo, per attirarsela, la libera definitivamente dall'affetto<br />

troppo naturale che aveva fino allora nutrito per lo studio e<br />

la conduce a una vera conoscenza di se stessa, infondendole nello<br />

=2 Vedi I 1 p. 8 s; I 4 p. 18.<br />

Vedi I 16 p. 52; III 30 p. 130.<br />

•" Vedi per es., <strong>Il</strong>i 69; III 89; III 90.


LA COMPUNCTIO 707<br />

stesso tempo un vivo sentimento delle sue imperfezioni e inordinatezze<br />

rispetto alla somma purezza di vita che Dio esige 25 . Allora<br />

comincia sempre più a riflettere al come dovrebbe corrispondere alle<br />

grazie di Dio e vivere una vita d'unione con Lui:<br />

« M'ispirasti che se io, con la dovuta gratitudine, riversassi continuamente<br />

in te, come acqua che fluisce, le grazie che tu m'infondi, e che se, a questo<br />

scopo, esercitandomi ognor più nella virtù, fiorissi come un albero nelle buone<br />

opere; e che se, inoltre, disprezzassi le cose terrene e con libero volo, come<br />

una colomba, desiderassi le celesti e cosi, alienando i miei sensi corporei dal<br />

tumulto delle cose esteriori, mi occupassi interiormente totalmente di te, il<br />

mio cuore ti offrirebbe una piacevolissima dimora » - 6 .<br />

Allora Cristo le dà la grazia di un sentimento superiore e continuo<br />

<strong>della</strong> sua presenza in lei, sentimento che, come essa attesta dopo<br />

nove anni, non perdette più in seguito, eccettuato una volta per la<br />

durata di undici giorni, per essersi lasciata andare a una conversazione<br />

troppo mondana, come credeva 27 . Da quel momento Gertrude<br />

aderì a Cristo con un distacco totale, con un meraviglioso stato<br />

di libertà da tutto il resto, per cui : « In ogni momento è pronta a<br />

ricevere i miei doni, diceva Cristo, perché non permette mai che<br />

il suo cuore aderisca a qualcosa che me ne impedirebbe » 28 . Difetti<br />

e imperfezioni le rimasero ancora, naturalmente. Dio permettendolo<br />

a salvaguardia <strong>della</strong> sua umiltà 29 . Ma furono bruciati sempre più<br />

profondamente nella loro stessa radice, anzitutto da un profondo<br />

sentimento <strong>della</strong> propria indegnità e <strong>della</strong> bontà, misericordia e amabilità<br />

di Dio, sentimento che accompagnò sempre ogni nuova grazia<br />

che riceveva.<br />

La « Compunctio »<br />

È così che un profondo e sincero sentimento di compunzione,<br />

mai diviso dall'ardente sentimento di gratitudine a Dio, pervade gli<br />

scritti di Gertrude, indice sicuro del suo continuo stato d'animo.<br />

<strong>Il</strong> secondo libro del Legatus, scritto da essa stessa, si apre con<br />

questa esclamazione:<br />

« L'abisso dell'increata sapienza invochi l'abisso <strong>della</strong> mirabile onnipotenza<br />

per esaltare una così stupenda benevolenza che, per la sovrabbondanza <strong>della</strong><br />

sua misericordia, fluì fino alle basse valli <strong>della</strong> mia miseria » 30 .<br />

Arrivata alla fine dello stesso libro, in un capitolo riassuntivo,<br />

all'elenco dei maggiori benefìci ricevuti, non omette di aggiungere<br />

« Vedi II 1; 2.<br />

28 II 3 p. 63.<br />

2 ' Ibid. p. 64.<br />

2 « I 11 p. 35.<br />

2 » Vedi I 3 p. 17.<br />

a» II 1 p. 59.


708 'CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

un elenco delle sue ingratitudini 31 , e finisce il tutto con la seguente<br />

preghiera :<br />

« Concedi a tutti coloro che leggeranno questo scritto con umiltà, che<br />

abbiano compassione <strong>della</strong> mia indegnità e compunzione per il proprio progresso,<br />

di modo che dagli incensieri aurei dei loro cuori caritatevoli salga a<br />

te profumo così soave che supplisca con abbondanza ad ogni mio difetto d'ingratitudine<br />

e di negligenza » 32 .<br />

La confidente di Gertrude e testimone <strong>della</strong> sua vita, che magnifica<br />

a gara il suo <strong>senso</strong> <strong>della</strong> giustizia, l'ardente suo zelo per la salvezza<br />

delle anime e la gloria di Dio, la sua esattezza negli esercizi<br />

regolari, la sua compassionevole e discreta carità, il suo <strong>senso</strong> di<br />

delicata purezza e la sua straordinaria fiducia e confidenza in Dio,<br />

fra tutte le sue virtù morali esalta però come la più notevole la<br />

sua umiltà:<br />

« Tra le molte splendenti virtù, di cui Dio, come di chiare stelle, la decorò<br />

mirabilmente per abitare in lei, in essa risplendette principalmente l'umiltà,<br />

che è il ricettacolo di tutte le grazie e la salvaguardia di tutte le virtù. Per cui<br />

si reputava così indegna dei doni di Dio, che non potè in nessun modo ammet-<br />

*ere di ricevere un dono a suo profitto, ma si stimava come un canale, per<br />

mezzo del quale, per qualche misteriosa disposizione divina, la grazia voleva<br />

raggiungere gli eletti di Dio. Ma essa stessa se ne reputava indegnissima e credeva<br />

di riceverli del tutto infruttuosamente. Solo che si sforzava, sia per iscritto<br />

che a voce, di distribuirli ad utilità del prossimo... Non stimava nessuno tanto<br />

vile da non credere che il dono di Dio fosse riposto in lui più fruttuosamente<br />

che in se stessa. Pur tuttavia non rifuggiva minimamente da questi doni, ma in<br />

tutti i momenti si teneva pronta a ricevere qualsiasi, dono di Dio e poi ad erogarlo<br />

ad utilità del prossimo, come se .fosse cosa non tanto sua quanto degli<br />

altri che la ricevevano per il racconto che essa ne faceva loro... Per cui, una<br />

volta, mentre camminava per il grande abbassamento di se stessa disse<br />

al Signore: "stimo, o Signore, che il più grande dei tuoi miracoli sia anzitutto<br />

questo che la terra mi porti, peccatrice indegna qual sono" » 3i .<br />

È certo che in Gertrude il sentimento <strong>della</strong> sua indegnità e <strong>della</strong><br />

misericordia e bontà di Dio fu il grande strumento <strong>della</strong> sua sempre<br />

più profonda purificazione. Per lunghi anni la malattia la consumò<br />

e la tenne spessissimo a letto, ciò che, naturalmente, fu nelle mani di<br />

Dio uno strumento per raggiungere lo stesso scopo <strong>della</strong> sua purificazione.<br />

Ma da quanto si può vedere attraverso i suoi scritti, anche<br />

in questo caso, più che per mezzo del dolore come tale, lo scopo era<br />

raggiunto per mezzo di un approfondimento sempre più intenso<br />

<strong>della</strong> bontà e amabilità di Dio e <strong>della</strong> indegnità propria, sentimento<br />

che Dio le infondeva nelle grazie di unione che le accordava in occasione<br />

<strong>della</strong> stessa malattia.<br />

Ora, tutto questo in Gertrude avviene sempre in stretto rapporto<br />

con la vita liturgica. Cosicché in essa: grazie di intensa unione con<br />

Dio, sentimento profondo <strong>della</strong> propria indegnità, conoscenza e cor­<br />

si II 24 p. 109-112.<br />

32 II 25 p. 113 s.<br />

« I 11 p. 31-33.


PURIFICAZIONE 709<br />

rezione dei propri difetti, vita liturgica, sono cose inscindibili. È visitata<br />

da Dio la vigilia dell'Annunziazione, mentre si fa il capitolo<br />

<strong>della</strong> comunità dopo le lodi:<br />

« In qual modo allora tu mi visitasti dall'alto, o Oriente, per le viscere<br />

<strong>della</strong> tua pietà e <strong>della</strong> tua dolcezza, nessuna scrittura può esprimerlo. Concedimi,<br />

tu datore di ogni dono, d'immolarti un sacrificio di giubilo sull'altare<br />

del mio cuore, affinché io ottenga, tanto per me che per tutti i tuoi eletti, di<br />

sperimentare spesso quella dolce unione e quella dolcezza unitiva che mi era<br />

sconosciuta prima di quell'ora. Ripensando alla mia vita, sia precedente che<br />

seguente, confesso in tutta verità che si tratta di una grazia altrettanto gratuita<br />

quanto immeritata. Da quel momento tu mi gratificasti di una conoscenza<br />

di te più chiara <strong>della</strong> luce, e in essa l'amore soave <strong>della</strong> tua amicizia mi ha<br />

attirato più potentemente di quanto mi abbia mai corretta la severità delle<br />

pene che ho meritate. Ma non ricordo di avere avuto la fruizione di tali grazie<br />

fuori di quei giorni nei quali tu mi chiamavi alle delizie <strong>della</strong> tua mensa<br />

regale » 34 .<br />

Si notino queste ultime parole: la conoscenza di Dio e l'amore<br />

<strong>della</strong> sua amicizia sperimentati nelle grazie di unione hanno attratto<br />

più potentemente Gertrude degli altri mezzi di correzione, e tutto<br />

questo connesso con l'azione liturgica, in specie nei giorni di comunione.<br />

È significativo del suo modo generale di progredire nella<br />

purificazione.<br />

Purificazione da tendenze meno buone<br />

Ma negli scritti di Gertrude, in questo campo, non si hanno solo<br />

delle affermazioni generali. Più d'una volta si fa allusione alla purificazione<br />

nel quadro <strong>della</strong> vita liturgica di ben determinate tendenze<br />

meno perfette. Diverse volte si fa parola di una certa tendenza di<br />

Gertrude all'impazienza 35 .<br />

Ecco un incidente:<br />

« Circa la festa di S. Bartolomeo, per una inordinata tristezza e impazienza<br />

nello stesso tempo, incorse in tante tenebre che credeva di aver perduta in<br />

gran parte la gioia <strong>della</strong> divina presenza. Questo durò fino al momento che,<br />

un sabato, ebbe a rallegrarsi di sentirsele addolcite per l'intervento <strong>della</strong> verginale<br />

Madre di Dio, mentre in suo onore si cantava l'antifona: Stella maris<br />

Maria. La Domenica dopo, mentre si rallegrava che, per divina benignità, le<br />

si usava più dolcezza, e ricordava la precedente sua impazienza e gli altri suoi<br />

difetti, cominciò ad avere di se stessa un gran dispiacere ed a supplicare il<br />

Signore per la sua correzione con tanto abbassamento di spirito, a causa <strong>della</strong><br />

molteplicità e <strong>della</strong> grandezza dei difetti che costatava in sé, che diceva al Signore<br />

quasi con disperazione: "Deh! misericordiosissimo Signore, metti fine<br />

ai miei mali ai quali io non metto né fine né misura: Ubera me et pone me<br />

iuxta te et cuiusvis manus pugnet contra me" ».<br />

« II 2. Vedi anche II 24 p. 107.<br />

« Per es., II 15; II 16 p. 144; III 4. Vedi I 11 p. 35; I 12 p. 39; I 16 p 51;<br />

III 30 p. 191; III 55 p. 229; III 63 p. 237; IV 2 p. 288.


710 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

<strong>Il</strong> Signore allora le fa capire che non deve disperarsi; che queste<br />

difficoltà e difetti non significano che essa non abbia la carità e che la<br />

carità ricopre la moltitudine dei peccati, mentre Egli suole angustiare<br />

per il rimorso la coscienza dei suoi eletti affine di distaccarli dalle<br />

cose terrene 39 .<br />

Gertrude, intelligente e già appassionata per le lettere e lo studio,<br />

possedeva inoltre un naturale dono di bella facondia. Era una di<br />

quelle persone che quando parlano di qualche soggetto che le interessa<br />

lo sanno fare con tanto segreto ardore d'animo e con tanta<br />

discrezione nello stesso tempo che incantano naturalmente gli ascoltatori<br />

37 . Dopo la sua conversione alla vita perfetta si serviva di<br />

questo dono per fare del bene agli altri 38 . Ma ci poteva essere<br />

qualche pericolo di vanità e di compiacenza in se stessa. Un giorno<br />

si accorge che non riesce più a parlare e ad attrarre gli altri come<br />

una volta. Lo dice al Signore:<br />

« Come potrai attirartene alcuni per mio tramite, indegna che sono, se in<br />

gran parte ho perduto quel dono di parlare e di istruire gli altri che prima<br />

avevo?». E il Signore le risponde: «se tu avessi il dono del bel parlare, penseresti<br />

forse che è per la tua eloquenza che riesci ad attirarmi gli uomini. Te<br />

l'ho dunque tolto affinché tu sappia che non è per tua virtù ma per mia speciale<br />

grazia che riesci a tanto » 39 .<br />

Gertrude aveva naturalmente un animo delicato, sensibile alle<br />

bellezze <strong>della</strong> natura 40 . I suoi scritti, in modo speciale le immagini<br />

nelle quali, come per misterioso riflesso delle grazie più sublimi sulla<br />

stessa immaginazione e sensibilità, si traduce in qualche modo la<br />

sua esperienza dell'unione mistica, dimostrano un fondo di temperamento<br />

naturale delicato e ardente, tale che, se non fosse stato tutelato<br />

dall'ambiente e specialmente protetto, fortificato, purificato<br />

e sublimato dalla grazia, avrebbe anche potuto sviare nella sensualità<br />

41 . Questo sviamento, certamente, non avvenne affatto 42 . Ma si<br />

capisce che una tale natura, abituata da bambina alle bellezze degli<br />

uffici corali, abbia potuto, anche dopo la sua completa dedizione a<br />

Dio nella vita perfetta, gustare nella <strong>liturgia</strong> oltre che la manna di<br />

vita spirituale che Dio in essa continuamente le somministrava,<br />

anche l'aspetto di bellezza artistica. Questo vale specialmente per<br />

3 « IH 4 p. 121 s.<br />

37 I 1 p. 9.<br />

38 Vedi, per es., I 1 p. 8s.<br />

oo IV 30.<br />

«° Vedi, per es., II 3; I 8 p. 26.<br />

41 È il fatto, cui abbiamo accennato sopra, dell'uso del vocabolario a evocazione<br />

erotica in Gertrude. Si noti che il fenomeno non si spiega abbastanza<br />

per l'influsso dello stile del Cantico dei cantici. Questo libro, come ha ben<br />

osservato il P. DOYÈRE, Le mémorial spirituel de S. Gertrude, Paris 1953 p. 31,<br />

non è affatto una sorgente essenziale d'ispirazione del Legatus, specialmente nel<br />

libro II scritto da Gertrude stessa. Anche quel poco posto che, in fondo, occupa<br />

negli scritti di Gertrude, il Cantico l'ottiene probabilmente più per il tramite<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che in modo diretto.<br />

« Vedi I 9. ;


PURIFICAZIONE 711<br />

il canto gregoriano, la cui forza estetica è cosa riconosciuta dagli<br />

intenditori.<br />

È certo che Gertrude amò profondamente l'assistenza agli uffici,<br />

specialmente i giorni di festa, e che fu per lei grandissima mortificazione<br />

esserne non di rado privata dalla malattia 43 . Sembra anzi che<br />

proprio in questo campo abbia avuto a subire quelle purificazioni<br />

passive per le quali devono passare le anime chiamate alle più alte<br />

vette. Comunque, il Signore le faceva capire che l'essere privata degli<br />

uffici a causa <strong>della</strong> malattia giovava grandemente alla sua santificazione<br />

per purificarla da ogni affetto puramente naturale 44 .<br />

È certo pure che amò profondamente il canto gregoriano " 5 . Ma<br />

anche qui Dio badava a purificarla da un compiacimento di <strong>senso</strong><br />

troppo umano.<br />

« In un certa festa, mentre era impedita di cantare da un male di capo,<br />

domandò al Signore perché lasciasse che ciò le avvenisse più spesso proprio<br />

nelle feste; e su ciò ebbe questa risposta : « per impedire che, elevata per il piacere<br />

nella modulazione del canto, tu sia meno idonea alla mia grazia ». Ed essa :<br />

« la tua grazia, o Signore, potrebbe premunirmi da questo difetto ». <strong>Il</strong> Signore :<br />

« conviene più al vantaggio dell'uomo che l'occasione di cadere gli sia tolta<br />

per l'aggravio di qualche male. Così ne acquista il doppio merito <strong>della</strong> pazienza<br />

e dell'umiltà » 4e .<br />

« Mentre aveva assolte tutte le lodi con devota attenzione, cominciò a riflettere<br />

se non avesse meritato per qualche sua incuria di non aver ricevuto<br />

illuminazioni tanto eccellenti come era solita ricevere dalle cose dette con tanta<br />

devozione come aveva detto queste lodi. Dio la istruì con queste parole: « giustamente<br />

sei stata privata dell'interna dolcezza dell'illuminazione spirituale perché<br />

lasciandoti andare alla propria volontà, ti sei compiaciuta umanamente<br />

nella modulazione del canto. Sappi tuttavia che il merito <strong>della</strong> futura ricompensa<br />

ti è stato aumentato nel grado che al mio servizio hai anteposto il tuo<br />

pròprio comodo» 47 .<br />

Appaiono anche chiare tracce in Gertrude di un fondo di carattere<br />

che avrebbe potuto svilupparsi in fierezza anche con scatti di<br />

risentimento e d'ira 48 . Una sera si lascia andare a una commozione<br />

di collera. La mattina seguente, nell'orazione, Cristo le si mostra in<br />

una forma compassionevole, ciò che eccita in lei un forte rimorso<br />

di coscienza e la risoluzione di preferire piuttosto che Cristo non<br />

le si mostri affatto anziché mostrarsi in un momento « quando<br />

abbia negletto di combattere il nemico che mi spinge a cose che ti<br />

sono tanto contrarie » 49 . Un'altra volta si risente fortemente dell'osservazione<br />

fattagli da una consorella che per trovare veramente Gesù<br />

dovrebbe vigilare sui suoi sensi e sentimenti come un pastore sul<br />

suo gregge.<br />

43 Vedi, per es., <strong>Il</strong>i 30 p. 189; IV 9 p. 324 e spesso nel libro IV.<br />

44 Vedi, per es., <strong>Il</strong>i 30 p. 189.<br />

45 Vedi, per es., II 16 p. 87; III 30 n. 17 p. 85 s; III 59; IV 14; IV 41 p. 417;<br />

IV 46 p. 426.<br />

4 « III 30 p. 185 s.<br />

47 IV 41 p. 418.<br />

48 Vedi, per es., II 12; II 13; II 1, verso la fine; cervicem meam indomitam...<br />

« II 12.


712 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

« Accettai l'osservazione con poca gratitudine giudicandola molto incongrua<br />

per me sapendo che tu mi avevi plasmato la mente altrimenti che per servirti<br />

come un mercenario serve il suo padrone. Ruminai la cosa nel mio petto con<br />

abbassamento di spirito dalla mattina fino alla sera ».<br />

La sera però, alla fine di compieta, mentre si raccoglie in orazione,<br />

Cristo le fa capire che in quel paragone non vi è niente di sconveniente,<br />

ma che anzi calza assai bene.<br />

« E aggiungesti che ogni volta che qualcosa vorrebbe attirare i miei affetti<br />

sia a destra, come il gaudio e la speranza, sia a sinistra, come il timore, il dolore<br />

o l'ira, usassi subito la verga del tuo timore, e, dominando i sensi, offrissi<br />

quei sentimenti, cotti nel calore del cuore, come un tenero agnello appena nato,<br />

in cibo a te » 50 .<br />

In modo simile Dio la istruisce sulla necessità del disinteresse<br />

anche nelle preghiere 51 e sulla necessità elei desiderio di patire 52 .<br />

Forza purificatrice <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

Così in Gertrude, come ci appare nel Legatus e negli Esercizi,<br />

non scorgiamo niente di quella lotta penosa e drammatica delle<br />

purificazioni attive e passive che ci è dato di vedere nella vita di<br />

tanti santi e di tanti mistici in particolare. Essa, dal primo momento<br />

che possiamo seguirla, ci appare come un'acqua di cristallina purezza,<br />

solo intaccata qua e là di qualche crespa 53 . <strong>Il</strong> progresso di<br />

purificazione, che ha dovuto certamente verificarsi anche in lei, dal<br />

momento <strong>della</strong> sua entrata nella vita mistica, dai documenti che abbiamo,<br />

non appare con grande rilievo. Ne abbiamo rilevato le nette<br />

tracce che incontriamo nei suoi scritti.<br />

Ma quello che qui c'interessa è di costatare che quest'aspetto<br />

di purificazione s'inserisce naturalmente e senza complicazioni, come<br />

gli altri elementi <strong>della</strong> sua santità, nel quadro <strong>della</strong> sua vita liturgica<br />

che è quello <strong>della</strong> sua vita dello spirito. Le grazie d'unione e d'illuminazione,<br />

ricevute in stretta connessione con la sua vita liturgica,<br />

esercitano naturalmente la loro forza purificatrice sulle scorie che<br />

ancora in qualche modo la macchiano e di cui si rende conto appunto<br />

attraverso la luce di queste grazie. Così il suo sforzo morale prende<br />

un aspetto niente affatto complicato, ma semplice ed efficace nello<br />

stesso tempo.<br />

Non vediamo penitenze straordinarie di nessuna sorta. Né me-<br />

'o II 13.<br />

» II 16 p. 87.<br />

" III 5.<br />

53 Vedi le parole di Cristo: « Fin dalla sua infanzia io l'ho come portata e<br />

allevata fra le mie braccia, conservandola immacolata fino al momento in cui<br />

essa spontaneamente si unì a me con tutta la forza <strong>della</strong> sua volontà. E allora,<br />

a mia volta, mi son dato tutto a lei con la mia virtù divina » (I 3).<br />

v


COSCIENZA DELLA GRAZIA 713<br />

todi complicati o semplicemente molto studiati per Tesarne <strong>della</strong><br />

propria coscienza e la pratica delle virtù morali. Vediamo in essa<br />

semplicemente un grande amore alla lectio divina : studio meditativo<br />

dei Padri spirituali e specialmente <strong>della</strong> Scrittura che essa « da grammatico<br />

diventata teologo, non si stancava mai di ruminare... ritenendola<br />

miele per la bocca, armonia per le orecchie, spirituale giubilo<br />

per il cuore » M ; un grande zelo per la buona osservanza del suo monastero<br />

", per l'orazione, per il mattutino e per gli esercizi e le pratiche<br />

regolari, dalle quali come abbiamo visto, non si dispensava<br />

mai che per motivo di grave malattia 58 . Vediamo specialmente Gertrude<br />

tutta protesa con il pensiero e il desiderio agli incontri d'amore<br />

con Dio nell'azione liturgica. Questi incontri sono il grande dinamismo<br />

<strong>della</strong> sua vita spirituale anche per lo sforzo ascetico e purificatore<br />

del suo interno, perché da essi prende luce e forza per vedere<br />

sempre meglio le sue imperfezioni, per detestarle, desiderare di<br />

esserne liberata e fare il proposito di lavorare a questo scopo.<br />

In modo speciale, la preparazione alle feste liturgiche e alla<br />

partecipazione al sacrificio <strong>della</strong> messa nella comunione hanno per<br />

essa importanza morale ed ascetica grandissima. Vuole venire preparata<br />

all'incontro con Dio. Quindi il desiderio di essere illuminata<br />

da Dio stesso per prepararsi nel modo che a Lui è più gradito ".<br />

Quindi gli esercizi che faceva per prepararvisi e le preghiere rivolte<br />

a Dio perché Egli stesso ve la preparasse con ogni specie di virtù 58 .<br />

Quindi le grazie d'illuminazione sui propri difetti in queste stesse occasioni<br />

59 .<br />

Sforzo ascetico e coscienza <strong>della</strong> grazia. La « suppletio »<br />

Quindi anche il timore di arrivare al momento <strong>della</strong> comunione<br />

o <strong>della</strong> festa non abbastanza preparata. Ma chi, confidando nei propri<br />

sforzi, può stimarsi abbastanza preparato all'incontro con Dio? Gertrude<br />

lo sa benissimo. A cosa ricorre allora? Alla sua costantissima<br />

pratica <strong>della</strong> suppletio, ossia di pensare ai meriti di Gesù Cristo, ai<br />

dolori, ai desideri, alle preghiere, all'amore <strong>della</strong> sua santissima<br />

umanità; di unirsi ad essi e di offrirli al Padre perché suppliscano<br />

alla sua indegnità, alle sue negligenze, ai suoi difetti, ai suoi peccati<br />

60 . Spesso Gertrude ricorre nello stesso modo anche ai meriti<br />

<strong>della</strong> Madonna e dei santi.<br />

Fatto questo, nonostante la forte coscienza <strong>della</strong> sua indegnità<br />

e del poco valore dei suoi sforzi ascetici nel prepararsi all'incontro<br />

>* I 1 p. 8.<br />

« I 8 p. 24.<br />

5 « I 11 p. 34.<br />

« Vedi, per es., IV 20; IV 21; IV 23.<br />

'8 Per es., IV 37; IV 38.<br />

»» Per es., IV 2 p. 288; IV 7 p. 319.<br />


714 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

con Dio nell'azione liturgica, è pienamente tranquilla. Neppure la<br />

minima traccia in essa non solo di mente giansenistica o pelagiana<br />

o semipelagiana, ma neppure di subcosciente sovrastima dello sforzo<br />

volontaristico dell'uomo nei nostri rapporti con Dio. Senza neo di<br />

tendenza lassistica o quietistica, nella sua psicologia domina tranquillamente<br />

la coscienza <strong>della</strong> sovranità <strong>della</strong> grazia e <strong>della</strong> suppletio<br />

che Cristo fa ai poveri sforzi umani di tutti coloro che gli sono uniti<br />

con sincera buona volontà e purezza di cuore.<br />

« Per la predetta sua fiducia in Dio, ebbe tale un dono riguardo alla comunione<br />

che non potè mai leggere qualcosa nella Scrittura o ascoltare qualche<br />

discorso degli uomini intorno al pericolo di comunicare indegnamente, che la<br />

impedisse di comunicare volentieri fondata sulla ferma fiducia nella pietà del<br />

Signore. Stimò di così piccolo conto e di quasi nessun valore ì suoi sforzi, che<br />

non omise mai di comunicarsi per il motivo <strong>della</strong> negligenza nelle orazioni<br />

o in simili esercizi con i quali ci si prepara abitualmente alla comunione. Stimava<br />

che rispetto a quell'eccellentissimo e gratuito dono ogni umano sforzo è<br />

come una piccola goccia in seno a tutto il mare. E sebbene non riuscisse a<br />

vedere nessun modo abbastanza degno per prepararsi a riceverlo, tuttavia, fiduciosa<br />

nella impareggiabile munificenza di Dio, più che fondarsi su qualsiasi preparazione,<br />

si studiava di ricevere lo stesso sacramento con cuore puro e devoto<br />

amore. Tutti i doni spirituali che ricevette, li attribuiva alla sola fiducia, stimandoli<br />

tanto più gratuiti quanto più sapeva che aveva ricevuto dal donatore<br />

di ogni grazia veramente gratuito e senza suo merito quel nobile dono <strong>della</strong><br />

fiducia » el .<br />

Dal che si può vedere quanto fosse eminentemente positivo, cristocentrico<br />

e teocentrico l'ascetismo di Gertrude. È uno dei frutti<br />

<strong>della</strong> sua formazione alla scuola <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. La quale nel binomio<br />

inscindibile Dio-uomo, grazia-sforzo umano, concentra l'attenzione<br />

più su Dio e sulla grazia che sull'uomo e lo sforzo umano e il cui<br />

modo proprio di guarire l'uomo e stimolare lo sforzo umano è appunto<br />

di portare la sua attenzione e il suo amore anzitutto sulla grazia,<br />

su Cristo e su Dio.<br />

Amore come incessante omaggio di lode e di ringraziamento<br />

Quindi è che, in fatto di esercizio di -virtù, la vita di Gertrude,<br />

dai suoi scritti, appare immersa anzitutto nell'esercizio delle virtù<br />

teologali, in prima linea dell'amore di Dio, esercitato continuamente<br />

come incessante omaggio di lode e di ringraziamento, spronato dal<br />

ricordo <strong>della</strong> sua grandezza e <strong>della</strong> sua bontà, sperimentate sempre<br />

più profondamente nelle grazie ricevute. Amore sempre in atto come<br />

incessante omaggio di lode e di ringraziamento: sembra questa la<br />

formula che esprime veramente la nota dominante di questa vita<br />

come lirismo a Dio. Dominante che, naturalmente, accompagnano e<br />

nutrono molte altre armoniche, tra le quali un profondo sentimento<br />

di compunzione <strong>della</strong> propria miseria. <strong>Il</strong> secondo libro del Legatus<br />

«' I 10 p. 29 s.


ATTENZIONE AI DOGMI 715<br />

e gli Esercizi, le opere scritte di propria mano da Gertrude, sono<br />

caratteristiche sotto questo aspetto. E la stessa fisionomia non può<br />

non riflettersi anche nei libri III, IV e V del Legatus da essa dettati.<br />

Ora questa fisionomia è tipica dello spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, spirito di<br />

amore adoratore e di « eucaristia » per eccellenza che determina<br />

la stessa purificazione dalle scorie e l'acquisizione delle virtù.<br />

3. L'ATTENZIONE VITALE RELATIVA DATA AI DIVERSI DOGMI<br />

DELLA FEDE E LA VITA LITURGICA IN GERTRUDE<br />

Per rendersi conto del carattere liturgico di una spiritualità, non<br />

meno importante <strong>della</strong> considerazione come sono concepiti in essa<br />

la purificazione e l'esercizio <strong>della</strong> virtù, è il vedere quali siano tra<br />

le verità <strong>della</strong> fede quelle che effettivamente dominano, in un determinato<br />

individuo, l'attenzione vitale esplicita, o anche la psicologia<br />

subcosciente, e quale importanza relativa ognuna vi ottenga. Conosciamo<br />

abbastanza quale sia l'equilibrio speciale che, in questo campo,<br />

la <strong>liturgia</strong> propone alla psicologia del credente. Ora, è notevole<br />

come, in Gertrude, la grande ossatura <strong>della</strong> visione liturgico-dogmatica<br />

del mondo, spiegata nelle tre prime parti di quest'opera, si riproduca<br />

in modo assai fedele, salvo, per difetto, alcuni tratti meno o<br />

punto rilevati — anzitutto la visione <strong>della</strong> storia sacra nella sua<br />

preparazione nell'Antico Testamento mancante, credo, del tutto, e<br />

la lotta contro Satana, appena rilevata 62 — e salvo, come per eccesso,<br />

un notevole prolificare in Gertrude di una serie di devozioni già<br />

nel <strong>senso</strong> moderno, le cui relazioni con il quadro liturgico saranno<br />

studiate più avanti.<br />

Comunque, sia chiaro sin d'ora, che queste considerazioni devozionali<br />

come il Sacro Cuore di Gesù, la passione di Cristo, le<br />

membra di Cristo, le sue piaghe, per quanto possano colpire a prima<br />

vista un lettore moderno delle Rivelazioni e degli Esercizi e per<br />

quanto, effettivamente, gli storici <strong>della</strong> spiritualità, alla ricerca <strong>della</strong><br />

nascita e dello sviluppo <strong>della</strong> pietà moderna, si compiacciano di rilevarle,<br />

non rompono nella psicologia di Gertrude l'equilibrio rispettivo<br />

dei dogmi secondo la visione proposta dalla <strong>liturgia</strong>. Si subordinano,<br />

si integrano, o, se si vuole, si amalgamano con esso, ma non lo soffocano.<br />

Tanto meno lo soffoca, come abbiamo visto a suo luogo, quello<br />

che un lettore moderno delle Rivelazioni potrebbe essere tentato di<br />

chiamare, un po' affrettatamente, l'esagerata importanza data alle<br />

visioni e alle rivelazioni nel concetto <strong>della</strong> vita spirituale che risulta<br />

da queste opere.<br />

Considerando invece le cose in profondità, ci si accorge senza<br />

«2 Vedi, per es., IV 49 p. 481 s; V 32 p. 606; Esercizi I p. 619 s, 625; V p. 671.


716 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

difficoltà che quello che, effettivamente, domina la psicologia <strong>della</strong><br />

nostra mistica non è altro, nella sua essenza, che la grande visione<br />

dogmatica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. La <strong>liturgia</strong> così non è solo il quadro esterno<br />

<strong>della</strong> vita di Gertrude, ma la forma interna e determinante <strong>della</strong><br />

sua visione dei dogmi e del relativo posto che attribuisce ad ognuno<br />

nell'insieme.<br />

La Trinità<br />

Nel Legatus e negli Esercizi la prima cosa che s'incontra è sempre<br />

e dappertutto Cristo. Ma è facile accorgersi che Cristo è anzitutto<br />

il mediatore. Da Cristo si sale incessantemente al Padre, alla Trinità,<br />

e, sebbene più raramente, a Dio. <strong>Il</strong> centro e il vertice dell'attenzione<br />

di Gertrude non è né semplicemente Cristo, né semplicemente la<br />

Trinità, ma la sua mente segue un movimento cristologico-trinitario.<br />

<strong>Il</strong> pensiero di Gertrude va incessantemente da Cristo alla Trinità<br />

a proposito <strong>della</strong> quale usa spesso la formula: fulgida semperque<br />

tranquilla Trinitas 64 e alla quale ama riferirsi con le formule liturgiche<br />

<strong>della</strong> sua festa. Questa festa, con il suo modo di considerare<br />

il mistero anzitutto dal punto di vista intratrinitario^e le sue formule<br />

fortemente ammirative e contemplative, sembra essere stata<br />

molto cara a Gertrude 6 \ Le sue visioni hanno appunto molto spesso<br />

per oggetto quello che avviene in cielo al cospetto <strong>della</strong> Trinità.<br />

Spesso si vede dinanzi al Padre al quale Cristo la presenta 60 . Talvolta<br />

è la Madonna o il suo angelo custode che fa lo stesso ufficio S7 .<br />

Spessissimo contempla Cristo che supplica il Padre per lei stessa o<br />

per gli uomini e gli offre i suoi meriti a supplenza dei loro peccati e<br />

difetti 68 . Alla festa dell'Assunzione :<br />

« Mentre, ai vesperi, nell'antifona: Haec est dies, si cantavano le parole<br />

Hodie Deus homo factus e che la comunità, per riverenza verso la degnissima<br />

incarnazione del Signore, si prosternava a terra, quasi commosso a quelle parole,<br />

il Figlio di Dio e sommo re, ricordandosi come, spinto dall'amore, si fece<br />

uomo per noi, con concitazione si alzò dal suo trono regale, e, stando con<br />

riverenza davanti a Dio Padre, disse: "i miei fratelli sono venuti a me" (Gn<br />

46,31) » e».<br />

Oppure ancora il tratto seguente:<br />

« Nella Domenica Invocavi, mentre Gertrude si sentiva meno preparata a<br />

ricevere il corpo del Signore, lo pregava con cuore devoto, che a supplenza del<br />

«a Vedi, per es., II 5 p. 70 s; II 7 p. 73; III 12 p. 336; IV 2 p. 290 s; IV 12<br />

p. 336; IV 35 p. 399; specialmente IV 41.<br />

" Per es., II 7 p. 73; II 11 p. 80.<br />

a» Vedi, per es., IV 41.<br />

se Per es.. <strong>Il</strong>i 17 p. 147; III 17 tutto il capitolo, in specie p. 159; III 30<br />

p. 177 ss; IV 19 p. 360.<br />


LA TRINITÀ 717<br />

difetto per cui ella, a causa <strong>della</strong> malattia corporale, era costretta a non osservare<br />

il digiuno <strong>della</strong> quaresima, si degnasse di accordarle il suo santissimo digiuno<br />

con il quale, sulla terra, per la nostra salvezza, si macerò per quaranta<br />

giorni e quaranta notti. A questa petizione il Figlio di Dio, alzandosi subito<br />

con volto gioioso e genuflettendo con riverenza davanti al Dio Padre, disse:<br />

"io, il tuo unigenito, coeterno e consustanziale a te, per la inscrutabile mia sapienza,<br />

conosco meglio i difetti dell'umana fragilità di quanto possa conoscerli<br />

costei o qualsiasi altro uomo. Avendo grande compassione <strong>della</strong> sua molteplice<br />

fragilità, ti offro, o Padre santo, la preziosa astinenza <strong>della</strong> mia santa bocca<br />

per emendare e supplire tutti i difetti di cui è colpevole in atti o omissioni<br />

nelle inutili conversazioni. Ti offro anche, o Padre santo, l'astinenza delle mie<br />

santissime orecchie per tutti i peccati da essa commessi per le orecchie. Ti<br />

offro anche l'astinenza dei miei occhi per tutte le macchie da essa contratte<br />

per qualche illecito sguardo. Ti offro anche l'astinenza delle mie mani e dei<br />

miei piedi per tutti i peccati da essa commessi nell'operare e nel camminare.<br />

Padre amatissimo, ti offro finalmente il mio Cuore deificato per tutti i peccati<br />

da essa comunque commessi con i pensieri, con i desideri o con la volontà".<br />

Allora la sua anima, stando dinanzi a Dio Padre, sembrava rivestita d'indumenti<br />

bianchi e rossi, come una figlia, mirabilmente ornata di vari ornamenti » 70 .<br />

« Quindi, lo Spirito Santo Paraclito, facendosi innanzi e stando davanti<br />

all'anima, irraggiava del mirabile suo splendore divino quella parte dell'anima,<br />

nella quale essa stessa, come si è detto sopra, vedeva la grandezza <strong>della</strong> propria<br />

viltà. E così, in virtù <strong>della</strong> luce divina, quell'anima, spogliata del tutto <strong>della</strong><br />

sua viltà, fu immersa felicemente nello stesso fonte <strong>della</strong> luce eterna » ".<br />

Nella stessa occasione poi, durante la Messa, all'epistola, il Signore<br />

la istruisce che le parole ivi ricorrenti: in Spirita Saneto, significano<br />

che la buona volontà per praticare le virtù ci viene data<br />

dallo Spirito Santo.<br />

Altre volte ancora è Gertrude stessa che offre tutto al Padre per<br />

mezzo del Figlio, o per mezzo del Figlio e dello pirito Santo, come<br />

in questa formula : « Signore, ti offro quest'opera per mezzo del tuo<br />

unico Figliolo, nella virtù dello Spirito Santo, in lode eterna » 72 . Oppure<br />

offre al Padre lo stesso Figlio e i suoi meriti o l'ostia santa 73 .<br />

Altre volte ancora è il Padre che parla a Gertrude o, comunque, la<br />

benedice o l'orna di virtù 74 . Tal altra è lo Spirito Santo che le appare<br />

operante in lei o in altri 73 . A proposito dello Spirito Santo è notevole<br />

in Gertrude la formula che usa spesso : in Spirita Sancto; in virtute<br />

Spiritus Sancti. Più d'una volta, finalmente, Gertrude contempla in<br />

cielo la Trinità che infonde gioia e delizie nei santi.<br />

« Nella festa di tutti i santi, conobbe in spirito i misteri intorno alla gloria<br />

<strong>della</strong> sempre veneranda Trinità, e come la beata e gloriosa Trinità, in se stessa<br />

senza principio e senza fine, sovrabbondante di ogni dolcezza, gaudio e beatitudine,<br />

somministri a tutti i santi gaudio, gloria e beatitudine eterna. Ma, impedita<br />

dall'umana fragilità, di quello che vide così chiaramente nello specchio<br />

<strong>della</strong> luce divina non potè spiegare niente alla portata dell'umana intelligenza,<br />

"> IV 17 p. 354 s.<br />

» Ibid. p. 357.<br />

" III 30 p. 184.<br />

73 Per es., <strong>Il</strong>i 18 p. 153; IV 25; IV 39 p. 412.<br />

Per es., IV 2 p. 288 s, 292.<br />

" Per es., <strong>Il</strong>i 48; IV 17 p. 357.


718 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

eccettuate le poche seguenti cose che potè appena e sconnessamente proferire<br />

per mezzo di qualche similitudine» 76 .<br />

Con queste ultime espressioni si allude chiaramente, come ci renderemo<br />

meglio conto quando studieremo direttamente la questione,<br />

a una visione ineffabile <strong>della</strong> Trinità, considerata dagli autori mistici<br />

come la grazia più alta che si possa avere quaggiù.<br />

Cristo mediatore<br />

Rimane tuttavia verissimo che Gertrude sale alla Trinità attraverso<br />

Cristo; attraverso Cristo uomo e Dio, con particolare accento<br />

sulla sua umanità, unita in lui alla divinità e come mediatrice tra<br />

Dio e gli uomini ". Un testo caratteristico :<br />

« Nella solenne festa <strong>della</strong> fulgida e sempre tranquilla Trinità, per riverenza<br />

ad essa, Gertrude leggeva questo versetto: "sia gloria a te, imperiale,<br />

eccellentissima, gloriósissima, nobilissima, dolcissima, benignissima, fulgida e<br />

sempre tranquilla ed ineffabile Trinità, uguale ed unica deità, prima di tutti i<br />

secoli adesso e sempre". Mentre offriva questa preghiera al Signore, le apparve<br />

il Figlio di Dio nella sua umanità, nella quale, dice la Scrittura, è minore del<br />

Padre. Esso stava dinanzi alla veneranda Trinità, in primaverile dolcezza di<br />

fiorentissima gioventù. Ed aveva su ogni membro un fiore di tanta bellezza e<br />

splendore da non trovar nessun paragone tra le cose visibili e materiali. Per<br />

questo si significava che poiché la nostra umana piccolezza non può nemmeno<br />

arrivare all'irraggiungibile lode dell'eccellentissima Trinità, Cristo Gesù, nella<br />

sua umanità, nella quale si dice che è inferiore al Padre, ha preso sopra di sé<br />

il nostro piccolo sforzo, e nobilitandolo in sé, ne ha fatto un degno olocausto<br />

alla somma e indivisibile Trinità.<br />

« Mentre poi s'intonavano i vesperi, il Figlio di Dio, tenendo, con ambo le<br />

mani, il suo degnissimo Cuore in forma di cetra, lo presentava dinanzi alla gloriosissima<br />

Trinità. Per esso, così, tutte le parole che venivano cantate in quella<br />

festa risonavano soavissimamente dinanzi a Dio. <strong>Il</strong> canto di coloro che senza<br />

speciale devozione cantavano per semplice consuetudine o per umano diletto,<br />

quali grosse corde, mandavano un sommesso mormorio di note basse. Ma quelli<br />

che intendevano cantare con devozione la lode <strong>della</strong> veneranda Trinità mandavano,<br />

come con note superiori, chiara modulazione con soavissima musica. Poi,<br />

mentre si cantava l'antifona : Osculetur. me, una voce dal trono disse : si avvicini<br />

il mio Figlio diletto nel quale io in ogni cosa mi sono sommamente compiaciuto<br />

e dia, a me delizioso, un soavissimo bacio. Allora il Figlio di Dio, in<br />

forma umana, avanzandosi, dette un soavissimo bacio all'incomprensibile divinità,<br />

alla quale sola la sua santissima umanità ottenne felicemente di essere<br />

unita con vincolo d'inseparabile unione... Capì pure Gertrude che ogni volta<br />

che in quella festa si nominava la persona del Figlio, Dio Padre, in modo incomprensibile<br />

e ineffabile, accarezzava l'amatissimo Figlio. Da quella carezza<br />

l'umanità di Gesù Cristo veniva mirabilmente chiarificata; e da quella chiarificazione<br />

dell'umanità di Cristo tutti gli eletti percepivano una nuova conoscenza<br />

dell'incomprensibile Trinità.<br />

«Durante l'ufficio del mattino, mentre alle Laudi si cantava l'antifona:J££<br />

jure laudant, Gertrude, con tutte le sue forze, con la stessa antifona lodava la veneranda<br />

Trinità, con l'intenzione che, se fosse possibile cantare, al momento<br />

<strong>della</strong> sua morte, la stessa antifona con tanta devozione da perdere la vita con-<br />

7 « IV 55 p. 471. Vedi anche IV 12 p. 334 s.<br />

'' Vedi, per es., <strong>Il</strong>i 20 p. 162; IV 35 p. 406; IV 41.


LITURGIA CELESTE 719<br />

sumando tutte le sue forze nella lode di Dio, lo farebbe molto volentieri. Allora<br />

le sembrò che la tutta fulgida e sempre tranquilla Trinità, con grande benignità<br />

si degnava di inchinarsi al degnissimo Cuore di Gesù, il quale, come una<br />

cetra, vibrava mirabilmente e risuonava dolcemente in sua presenza. E la Trinità<br />

pose in esso tre corde che senza interruzione dovessero supplire ogni difetto<br />

di Gertrude con l'insuperabile onnipotenza di Dio Padre, la sapienza del Figlio<br />

di Dio e la benevolenza dello Spirito Santo secondo il beneplacito <strong>della</strong> Trinità<br />

santissima » 7S .<br />

Quando si pensa che testi di simile tenore sono sparsi attraverso<br />

tutta l'opera di Gertrude; che allo stesso concetto in essi espresso<br />

si riallaccia il tema <strong>della</strong> suppletio per mezzo di Cristo, così centrale<br />

nella spiritualità delle mistiche di Helfta e così importante, in specie,<br />

nella nostra Gertrude; che gli stessi temi del Sacro Cuore, <strong>della</strong><br />

passione di Cristo, delle sue piaghe, dell'eucaristia come presenza<br />

reale, così rilevanti in lei, si connettono intimamente a quello <strong>della</strong><br />

suppletio per mezzo di Cristo e sono come altrettante scale per<br />

le quali Gertrude, per Cristo, sale al Padre; che finalmente, come<br />

meglio apparirà in seguito, nelle stesse grazie mistiche <strong>della</strong> più alta<br />

contemplazione appare in Gertrude continuamente la mediazione di<br />

Cristo, si può comprendere quanto la santa abbia profondamente<br />

vissuto il Per Dominum nostrum Jesum Christum Filium tuum<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Liturgia celeste<br />

Altro pensiero centrale nella spiritualità di Gertrude è l'abitudine<br />

di considerare dietro le azioni liturgiche le realtà celesti che vi<br />

corrispondono; di passare dalla <strong>liturgia</strong> terrestre alla <strong>liturgia</strong> celeste,<br />

dalla <strong>liturgia</strong> degli uomini a quella di Cristo, degli angeli e<br />

dei beati. Molte sue visioni hanno per oggetto appunto quello che<br />

accade in cielo mentre si fa la <strong>liturgia</strong> sulla terra. I testi fin qui citati<br />

intorno alla Trinità e a Cristo ne sono altrettanti esempi. Ma ve ne<br />

sono altri caratteristici, come la visione del mattutino dell'Assunta<br />

cantato in cielo da Cristo, dagli angeli e dai beati mentre la comunità<br />

lo canta sulla terra 79 . Degna pure di nota la visione <strong>della</strong> messa<br />

celebrata da Cristo in cielo, con gli angeli e i beati, e a cui Gertrude<br />

assiste in spirito, mentre in terra la sua comunità canta la messa<br />

Gaudete in Domino a cui, impedita dalla malattia, essa non può<br />

essere presente. Tutte le parti di una messa vennero cantate in<br />

questa occasione da Cristo, dagli angeli e dai santi. Dopo il Sanctus,<br />

per esempio, quando i santi ebbero finito di cantare: Dominus Deus<br />

sabaoth,<br />

« il Signore Gesù, vero Sacerdote e Pontefice sommo, alzandosi dal suo<br />

soglio imperiale, ed elevando il suo santissimo Cuore, che appariva in somiglianza<br />

di un altare d'oro, sembrava presentarlo con le proprie mani a Dio Padre, ed<br />

iv 41 p. 415 s.<br />

7 ° IV 48 p. 434 ss.


720 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

immolare se stesso in modo così incomprensibile ed ineffabile che nessuna<br />

creatura, per quanto degna, può aspirare a comprenderlo, sia pure in qualche<br />

modo. Nello stesso momento che il Figlio di Dio offrì il suo Cuore divino a<br />

Dio Padre, sonava la campana per l'elevazione dell'ostia nella chiesa. E così<br />

avvenne che nello stesso momento il Signore compì in cielo ciò che si faceva<br />

sulla terra per il ministero del sacerdote, mentre Gertrude ignorava completamente<br />

che ora fosse o ciò che si cantasse in chiesa » 80 .<br />

Si ammirerà il profondo concetto <strong>teologico</strong> e tradizionale, spiegato<br />

a suo luogo, subiacente a queste rappresentazioni immaginative.<br />

Lo stesso concetto è presente in altre visioni dove appare Cristo<br />

mentre presiede alla messa o agli uffici liturgici che si compiono<br />

nella chiesa o nel capitolo delle monache 81 . Tra queste visioni, notevolissima<br />

quella di Cristo, sempre circondato dagli angeli e dai santi,<br />

che presiede in persona il rito che la vigilia di Natale si svolge nel<br />

capitolo <strong>della</strong> comunità 82 .<br />

L'unitotalità del cosmo<br />

È acuto in Gertrude e ben specificamente derivato dalla <strong>liturgia</strong>,<br />

il <strong>senso</strong> dell'unità di tutto il cosmo: angeli, santi, anime del purgatorio,<br />

uomini o Chiesa sulla terra, unità massimamente concretizzata<br />

e realizzata appunto nell'azione liturgica.<br />

Maria. — <strong>Il</strong> posto di Maria nella spiritualità di Gertrude è indubbiamente<br />

grande, come era da aspettarselo specialmente in una<br />

anima vivente nella primitiva tradizione cistercense. Gertrude ricevette<br />

da Cristo stesso Maria come sua speciale protettrice e guida 83 .<br />

Perciò alla fine del secondo libro del Legatus nel capitolo riassuntivo<br />

delle grazie fino allora ricevute dice : « Per colmare i tuoi benefici<br />

vi aggiungesti anche questo che mi desti la tua dolcissima Madre,<br />

la beatissima Vergine Maria, per procuratrice e mi raccomandasti<br />

spesso amichevolmente al suo affetto cori tanta diligenza come mai<br />

nessuno sposo fedele potè raccomandare là sposa alla sua propria<br />

madre » 84 . <strong>Il</strong> Natale, le feste di Maria nel ciclo dell'anno liturgico, in<br />

specie la Purificazione, l'Annunziazione, l'Assunzione, sono sempre<br />

per Gertrude momenti di intensa preparazione spirituale e di grandi<br />

grazie. E, in genere, tutti i testi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> che si riferiscono a<br />

Maria le sono occasione di elevarsi a lei con il pensiero e con<br />

l'affetto. Maria occupa sempre un posto d'onore nel quadro in cui<br />

Gertrude, in queste occasioni, riceve le sue grazie. Ecco, come esem-<br />

80 IV 59 p. 490 s. Similmente S. METILDE, II libro <strong>della</strong> grazia speciale II 5.<br />

8 » Per es., IV 59; III 17.<br />

82 IV 2 p. 293 ss. Stesso fatto nel Libro <strong>della</strong> grazia speciale di S. Metilde<br />

I 7.<br />

8 » III-l.p. 118.<br />

«« II 23 p. 108.


MARIA, ANGELI<br />

pio, un testo caratteristico del concetto che essa si faceva del<br />

posto di Maria in cielo e sulla terra: nella festa dell'Annunziazione:<br />

« Durante mattutino, mentre si cantava l'invitatorio Ave Maria, Gertrude<br />

vide tre efficacissimi fasci di luce derivanti dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito<br />

Santo, penetrare con impeto soavissimo il cuore <strong>della</strong> Vergine Madre e, dal<br />

suo cuore, risalire nuovamente con efficace impetuosità al loro luogo d'origine.<br />

Da questo influsso <strong>della</strong> Santissima Trinità fu dato alla beata Vergine di essere<br />

potentissima dopo il Padre, sapientissima dopo il Figlio e benignissima dopo<br />

lo Spirito Santo. Gertrude conobbe anche che ogni volta che la salutazione<br />

angelica, cioè Ave Maria, è recitata con devozione dai fedeli sulla terra, i predetti<br />

fasci di luce sovrabbondando, investono la beatissima Vergine con impeto<br />

maggiore, rifluiscono in <strong>senso</strong> inverso dal suo cuore santissimo e così, con<br />

mirabile diletto, ritornano alla loro sorgente. Da quella ridondanza alcuni ruscelli<br />

di gaudio, di diletto e d'eterna salvezza sono come spruzzati in tutti i<br />

santi e tutti gli angeli ed anche su quelli che in terra recitano la salutazione.<br />

Così in ognuno viene rinnovato tutto il bene che ciascuno ha mai ottenuto<br />

dalla salutifera incarnazione del Figlio di Dio » 8r >.<br />

Angeli. — Non meno forte è il <strong>senso</strong> di Gertrude dell'unità con<br />

il mondo angelico. Abbiamo visto che nelle visioni di quello che avviene<br />

in cielo intorno alla Santissima Trinità, o in quelle di Cristo<br />

che presiede invisibilmente agli uffici liturgici <strong>della</strong> terra, gli angeli<br />

sono sempre presenti come la corte intorno al re. Questo non è che<br />

un punto nel quale si manifesta il <strong>senso</strong> di Gertrude per l'unità con<br />

gli angeli. Ve ne sono ancora altri che dimostrano che questa unità<br />

era per lei una realtà profondamente vissuta. Nel capitolo riassuntivo<br />

<strong>della</strong> fine del libro secondo del Legatus, ringrazia Dio non solo<br />

perché le ha dato per speciale protettrice la Madonna, ma anche<br />

perché le ha accordato la costante protezione degli angeli:<br />

« Inoltre, spesso mi hai deputato a speciale servizio i più nobili prìncipi<br />

del tuo palazzo, non solo dai cori degli angeli e degli arcangeli, ma anche dai<br />

più alti cori secondo che la tua pietà, o benignissimo Dio, giudicava che mi<br />

convenisse maggiormente, con l'intento, inoltre, che mi spronassero ad essere<br />

loro più ossequiente negli spirituali esercizi » 86 .<br />

L'angelo custode ha un posto speciale nell'attenzione di Gertrude.<br />

Una volta:<br />

« Siccome Gertrude assisteva alla messa più devotamente che poteva, arrivati<br />

al Kyrie eleison, le sembrò che l'angelo, assegnatole da Dio come custode,<br />

la ricevesse come una bambina nelle sue braccia e la presentasse a Dio Padre,<br />

dicendo: Signore Dio Padre, benedici questa tua figliola... Dopo di che Io stesso<br />

angelo similmente la presentò a Dio Figlio dicendo: o Figlio del Re, benedici<br />

questa sorella... Finalmente la presentò allo Spirito Santo, dicendo: o amatore<br />

degli uomini, benedici questa tua sposa » S7 .<br />

Un'altra volta a Gertrude pare di vedere il suo angelo custode<br />

in cielo stare tra la sua anima e Dio, dietro a loro, e « abbracciare<br />

con somma riverenza e delicatezza, con un braccio il Signore e con<br />

ss IV 12 p. 334 s.<br />

86 II 23 p. 108. Vedi anche Eserciti I p. 622 s; II p. 627 s; IV p. 686, 688.<br />

s' III 24 p. 167 s.<br />

721


722 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

l'altro l'anima stessa » scusandosi di questo gesto familiare in virtù<br />

del suo ufficio per cui spesso porta Dio a quest'anima 88 .<br />

Fu nella stessa occasione che :<br />

« Un giorno, all'avvicinarsi <strong>della</strong> festa dell'arcangelo Michele, mentre stava<br />

per comunicarsi, ricordando di aver ottenuto, essa indegna, dalla divina liberalità,<br />

il benevolissimo ministero degli altri spiriti beati, e desiderando a sua<br />

volta ricompensarli, offrì lo stesso vivifico sacramento del corpo e del sangue<br />

del Signore, dicendo: in onore dei tuoi così grandi principi, amatissimo Signore,<br />

ti offro questo mirabile sacramento in lode eterna e in aumento del loro gaudio,<br />

<strong>della</strong> loro gloria e <strong>della</strong> loro beatitudine. Allora il Signore, attraendo in<br />

modo mirabile nella sua divinità e unendosi il Sacramento offertogli, da esso<br />

•somministrava ai beati spiriti angelici tanti ineffabili diletti, che anche se prima<br />

non avessero avuta nessuna beatitudine, sembravano esserne ora abbondantemente<br />

letificati e sovrabbondare di tutte le delizie. Allora gli angeli santi secondo<br />

i loro ordini, con grandissima riverenza genuflettevano davanti a Gertrude... » 89 .<br />

Così la ringraziavano. Si ritrova pure in Gertrude la persuasione<br />

tradizionale che negli uffici liturgici gli angeli sono presenti. Per la<br />

presenza degli angeli nella messa si veda quello che abbiamo riportato<br />

sopra a proposito delle visioni di Cristo celebrante la messa.<br />

Ecco un esempio per la presenza degli angeli nella salmodia <strong>della</strong><br />

vigilia di Natale:<br />

« Ai vesperi, mentre nell'inno si cantava : Gloria Ubi Domine, vide una<br />

grande moltitudine di angeli svolazzanti sopra le comunità, che, assieme con essa,<br />

facevano risonare lo stesso versetto con voci canore e giubilanti. Allora chiese<br />

al Signore che profitto abbiano gli uomini dal fatto che i santi angeli, unendosi<br />

alle loro lodi, salmodiano insieme con loro. E siccome a questa domanda non<br />

riceveva nessuna risposta dal Signore, ma si affannava con diligenza nella sua<br />

ricerca, finalmente, ispirata da Dio, capì che quando i santi angeli sono presenti<br />

alle nostre solennità sulla terra, supplicano il Signore perché si degni di conformare<br />

a loro nella vera purezza del cuore e del corpo, tutti coloro che si<br />

sforzano di conformarsi ad essi nella devozione » 90 .<br />

Santi. — Come Gertrude tenesse costantemente presente il pensiero<br />

dei santi lo dimostra il fatto che, nelle visioni del cielo, contempla<br />

sempre i santi che, assieme agli angeli, sono intorno a Cristo<br />

e alla Trinità, e, insieme con gli angeli, assistono Cristo che ivi dice la<br />

messa o presiede invisibilmente alla <strong>liturgia</strong> di quaggiù. Lo dimostra,<br />

inoltre, la serie non piccola delle rivelazioni, riferite specialmente<br />

nel libro quarto del Legatus, avute per la festa di tanti santi e intorno<br />

ad essi, nello svolgersi dell'anno liturgico. Gertrude mostra<br />

un affetto speciale per S. Giovanni evangelista, ricevuto dal Signore<br />

come suo speciale protettore 91 , per S. Benedetto, S. Bernardo,<br />

S. Agostino e S. Gregorio.<br />

Anime del Purgatorio. — È rilevata dagli storici <strong>della</strong> spiritualità<br />

la tenera sollecitudine di Gertrude per le anime del purgatorio.<br />

ss IV 53 p. 466.<br />

s" IV 53 p. 465 s.<br />

»o IV 2 p. 297.<br />

"' IV 4.


CORPO MISTICO 723<br />

Ogni giorno si sforzava di venir loro in aiuto con la sua preghiera<br />

nel fare la quale trovava grande profitto anche per se stessa. Così,<br />

un giorno .di Natale, durante la messa Dominus dixit, si sforzava di<br />

rianimare il suo fervore, ma senza riuscirvi, fino al momento che<br />

si mise a pregare per i peccatori, per le anime del purgatorio o per<br />

coloro che sono in qualche modo afflitti. Di questa preghiera Gertrude<br />

sentì subito essa stessa l'effetto. Ed era cosa assai abituale.<br />

Ricordava specialmente a questo proposito una certa sera quando<br />

si risolse, in ogni memoria che farebbe delle anime dei defunti,<br />

ad anteporre le anime di tutti i fedeli defunti recitando la colletta:<br />

Omnipotens sempiterne Deus, cui numquam sine spe misericordiae...,<br />

alla memoria che era solita fare dei suoi genitori recitando l'orazione:<br />

Deus qui nos patrem et matrem... Del che Cristo mostrò di<br />

compiacersi grandemente 9 -. Ma è principalmente durante la <strong>liturgia</strong>,<br />

specialmente alla messa, che Gertrude pregava per i defunti. Così,<br />

un giorno nella vicinanza dell'Ascensione:<br />

« All'elevazione dell'ostia, pregava il Signore per le anime di tutti i fedeli<br />

defunti affinché si degnasse di sollevare le loro miserie anche per il gaudio<br />

<strong>della</strong> sua gioiosa ascensione. Allora vide il Signore stendere nel purgatorio come<br />

una lunga verga d'oro con tanti uncini quanti erano gli affetti che erano stati<br />

diretti a Lui per le anime. Per ogni uncino alcune anime venivano estratte<br />

fuori dei luoghi di pena nei piacevoli prati dei riposo. Da ciò comprese che<br />

ogni volta che in spirito di carità si fa la preghiera comune per le anime, viene<br />

liberata la massima parte di coloro che mentre vivevano nella carne si esercitarono<br />

maggiormente nelle opere di carità» 93 .<br />

Chiesa militante come corpo mistico e comunione dei santi. —<br />

Tutto questo dice abbastanza che viva realtà fosse nella psicologia di<br />

Gertrude il concetto di corpo mistico di Cristo come unione, sotto<br />

Cristo stesso, <strong>della</strong> Chiesa militante con gli angeli, i santi e le anime<br />

purganti. Ma non meno acuto è in Gertrude il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> Chiesa militante<br />

considerata in se stessa, come corpo mistico di Cristo e comunione<br />

dei santi, con vari membri, varie funzioni, vari bisogni;<br />

nella quale, dal punto di vista soprannaturale, per libera accettazione<br />

di Dio, gli uni sono in qualche modo solidali con gli altri, dal momento<br />

che Dio accetta gli interventi e i meriti degli uni a benefìcio<br />

degli altri, e ognuno ha precisi doveri verso gli altri a beneficio di<br />

tutto il corpo. <strong>Il</strong> concetto di Cristo che, in qualche modo, si identifica<br />

con gli stessi fedeli suoi membri anche meno perfetti o addirittura<br />

peccatori, trova, per esempio, forte espressione in quella<br />

visione dove a Gertrude parve di vedere il Signore :<br />

« <strong>Il</strong> quale nella forma del suo stesso corpo dava a vedere il suo corpo mistico<br />

che è la Chiesa, di cui Egli si è degnato di dirsi e di essere lo sposo e il<br />

capo. Sembrava, infatti, che nella parte destra del suo corpo fosse insignito di<br />

regali solenni paramenti e che invece nella sinistra fosse nudo e quasi tutto<br />

pieno di ulcere. Gertrude capì che per la parte destra si intendevano tutti quegli<br />

eletti del Signore nella Chiesa che furono da Lui prevenuti in dolci benedi-<br />

92 II 16 p. 87.<br />

3 IV 35 p. 404.


724 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

zioni di grazia speciale e di meriti di virtù, mentre per la sinistra si figuravano<br />

tutti gl'imperfetti che sono ancora nei loro difetti » 04 .<br />

Tutta la visione vuole inculcare la necessità che ogni cristiano<br />

tratti con grande prudenza e carità ogni singolo membro di Cristo,<br />

non solo i buoni ma anche i peccatori:<br />

« Se dunque il Signore Gesù Cristo, si osserva alla fine dello stesso capitolo,<br />

per questa rivelazione dimostra di identificarsi in tal modo con la Chiesa che i<br />

buoni sono la parte destra del suo corpo e gli imperfetti la parte sinistra, ogni,<br />

cristiano deve badare con somma cura in che modo serve i membri sia sani<br />

che infermi di Cristo» 95 .<br />

La verità <strong>della</strong> partecipazione dei meriti e delle preghiere tra<br />

i membri <strong>della</strong> Chiesa militante era fortemente sentita da Gertrude<br />

come lo dimostra il seguente testo:<br />

« Siccome una certa altra persona si era molto devotamente raccomandata<br />

a Gertrude, essa come al solito, quanto prima venne a pregare, desiderava<br />

ottenere dal Signore che facesse la stessa persona partecipe di tutto quello che<br />

Egli degnerebbe di operare per mezzo di sé, indegna, nelle veglie, nei digiuni,<br />

nelle orazioni e nelle altre opere di pietà. <strong>Il</strong> Signore le rispose : " Certamente le<br />

comunicherò tutti i benefici che continuamente la degnazione <strong>della</strong> mia divinità<br />

opera gratuitamente in te ed opererà fino alla fine ". Ed ella : " Tutta la tua<br />

santa Chiesa partecipa a tutto quello che tu ti degni di operare sia in me e per<br />

mezzo di me indegna, sia per mezzo degli altri tuoi eletti. Cosa dunque dovrà<br />

ricevere di speciale quella persona da questa tua pietà, per il fatto che io desidero,<br />

con speciale affetto, farla partecipe di tutti i benefici accordatimi da te? ".<br />

<strong>Il</strong> Signore risponde: "...sebbene tutta la Chiesa partecipi dei singoli benefici<br />

accordati a un qualsiasi fedele, tuttavia colui che li ricevè ne ha il massimo<br />

profitto e dunque colui al quale egli desidera comunicarli con speciale affetto<br />

ne riceve anche un maggiore frutto e progresso " » 96 .<br />

Quindi Gertrude sentiva la necessità di pregare per tutta la<br />

Chiesa militante e di supplire alle negligenze e alle offese che vi si<br />

fanno contro il Signore. <strong>Il</strong> Signore stesso le insegnò più d'una volta<br />

come fare, come quando le disse di dividere, a questo scopo, la<br />

giornata in tre parti:<br />

« Dal mattino fino a nona, rendi, da parte di tutta la Chiesa, lodi e ringraziamenti<br />

dall'intimo del cuore per tutti i benefici, che, dall'inizio del mondo fino<br />

a oggi, furono mai dati agli uomini, e specialmente per quel beneficio degno di<br />

venerazione, per cui, ogni giorno dallo spuntar del sole fino a nona, senza interruzione,<br />

sono immolato a Dio Padre sull'altare per la salvezza degli uomini. Ma<br />

gli uomini, disprezzando questo beneficio, si danno alla gola e all'ubriachezza,<br />

mostrandosi completamente ingrati per i miei favori. Per le mancanze dei quali<br />

studiati con affetto di offrire per loro la tua gratitudine... Poi, dall'ora di nona<br />

fino alla sera, ogni giorno studiati di esercitarti nelle buone opere in unione con<br />

quella santissima mia intenzione per cui io compii tutte le opere <strong>della</strong> mia<br />

umanità per supplire a quella negligenza universale con cui tutto il mondo tralasciò<br />

di rispondere con i dovuti ossequi ai benefici che io gli ho accordati.<br />

...La sera poi ripensa nell'amarezza del tuo cuore all'empietà degli uomini<br />


SENSO ECCLESIALE 725<br />

con la quale non solo tralasciano di ripagarmi, come in prezzo di debito servizio,<br />

degli infiniti benefici da me ricevuti, ma, inoltre, ogni giorno si studiano<br />

di provocarmi alla collera con diversi generi di peccati. Per la loro emendazione<br />

offrimi le pene e le amarezze <strong>della</strong> mia innocentissima morte» 91 .<br />

In questa mente Gertrude si studiava spesso, con le sue preghiere,<br />

le sue buone opere e principalmente con il suo amore, di supplire<br />

ai peccati e alle negligenze che si compiono nella Chiesa 98 .<br />

Fortissima era, in questo contesto, la coscienza in Gertrude che<br />

l'ufficio divino, recitato ufficialmente nella Chiesa, ha un particolare<br />

valore di impetrazione dinanzi a Dio perché, fatto per mandato <strong>della</strong><br />

Chiesa come tale, chi lo adempie lo fa in persona Ecclesiae e Dio,<br />

a questo titolo, accetta quelle suppliche a beneficio di tutta la<br />

Chiesa. Un giorno, mentre pregava per una persona che si era raccomandata<br />

alle sue preghiere perché potesse disimpegnare degnamente<br />

l'ufficio di ebdomadario nella lettura dei salmi per tutta la<br />

sua comunità :<br />

« Vide in ispirilo il Figlio di Dio prendere con sé quella persona davanti al<br />

trono del Dio Padre e pregare il suo Padre celeste che le desse, a suo aiuto e a<br />

raggiungimento di tutti i suoi desideri, quella intenzione di fedeltà e d'amore<br />

con la quale Egli stesso, il Figlio di Dio, desiderò la lode di Dio Padre e la salvezza<br />

del genere umano. Appena il Figlio del sommo Padre ebbe così pregato,<br />

la persona per la quale Gertrude pregava le apparve subitamente ornata delle<br />

stesse vesti di Cristo stesso. Per cui nello stesso modo che il Figlio di Dio sta<br />

dinanzi al Padre placandolo per la Chiesa, così anche questa persona, simile<br />

alla regina Ester, stava dinanzi al Signore Dio Padre con il suo Figlio per<br />

pregare per il popolo, cioè per la comunità. E mentre così essa adempiva l'ohbligo<br />

del suo salterio, il Padre celeste ne accettava le singole parole sotto un<br />

(loppio aspetto: come un padrone che accetta da un fideiussore i debiti che<br />

questi paga per i debitori, e come lo stesso che accetta grato da un suo procuratore<br />

i denari che gli offre per distribuire ai suoi carissimi amici. <strong>Il</strong> Signore<br />

sembrava anche accordare alla predetta persona tutto quello che essa desiderava<br />

ottenere nelle sue orazioni per la sua comunità » ".<br />

Tutta la creazione. — <strong>Il</strong> concetto dell'unità anche <strong>della</strong> creatura<br />

inferiore nella grande visione del regno di Dio, senza avere negli<br />

scritti gertrudiani un rilievo molto accentuato, vi è espresso con sufficiente<br />

chiarezza. Nel passo seguente si può vedere l'ansia di Gertrude<br />

di ricondurre tutto il creato ad ossequio del creatore: in una<br />

festa dell'Epifania:<br />

« Mentre nel vangelo si leggeva: Et procidentes adoraverunt eum, ecc., Gertrude,<br />

spinta dall'esempio dei beatissimi magi, infervorata nello spirito, con devotissima<br />

devozione si prostrò ai piedi del Signore Gesù adorandolo da parte<br />

di tutte le cose celesti, terrestri e infernali. E siccome non trovava nulla che potesse<br />

degnamente offrirgli, con ansioso desiderio cominciò a passare in rassegna<br />

tutto il mondo, cercando in ogni creatura se potesse almeno trovare qualcosa<br />

da offrire degnamente al suo unico diletto. E mentre, così eccitata ed anelante,<br />

correva con il pensiero in sete di fervente desiderio, trovò alcuni oggetti che<br />

ogni creatura dovrebbe giustamente disprezzare perché non vanno a lode e glo-<br />

•i' IV 14 p. 343.<br />

a» Vedi, per es., IV 21 p. 362-64.<br />

» III 82 p. 275.


726 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

ria del Salvatore. Ma Gertrude avidamente usurpandoseli si studiava di ricondurli<br />

a quella stessa lode e gloria cui ogni creatura deve servire. Così attrasse<br />

nel suo cuore per fervente desiderio ogni pena, timore, dolore ed ansietà che<br />

una creatura mai sostenne non già per lode del Creatore, ma per vizio di propria<br />

infermità. E l'offrì al Signore come mirra di qualità. Poi trasse in sé ogni<br />

simulata santità e devozione di ostensione degli ipocriti, farisei, eretici e simili.<br />

Ed anche questa similmente offrì al Signore in luogo di sacrificio di fragrantissimo<br />

incenso. In terzo luogo si sforzava di attrarre nel suo cuore tutti gli affetti<br />

degli uomini e l'amore falso ed impuro di tutte le creature. E l'offrì al<br />

Signore come oro prezioso. E tutte queste cose insieme, completamente purificate<br />

da ogni scoria e mirabilmente nobilitate nel suo cuore per l'ardore di amante<br />

desiderio come oro purificato nel crogiuolo, sembravano presentate al Signore<br />

» I0 °.<br />

Come questa ansia di Gertrude di ricondurre tutte le creature<br />

a lode e gloria del Signore si estendesse alle creature inferiori, lo vediamo<br />

anche nel suo sesto Esercizio, quello in cui l'anima si incita<br />

a lodare e ringraziare il Signore. In questo, tra le altre cose, Gertrude<br />

così ammonisce la lettrice:<br />

« Quasi rapita fuori di te dinanzi all'immensità delle ricchezze e <strong>della</strong> beatitudine<br />

del tuo Dio, alla bellezza inestimabile <strong>della</strong> sua lode, alla gloria dei beati<br />

e allo splendore dolce del suo volto glorioso invita tutte le creature a lodare<br />

Dio con l'inno: Benedicite omnia opera Domini Domino» 1 .<br />

La confidente di Gertrude, rilevando con insistenza il suo profondo<br />

<strong>senso</strong> di compassionevole carità per tutte le sofferenze, aggiunge<br />

che estendeva questo sentimento anche a tutte le creature<br />

inferiori :<br />

« Aveva grande <strong>senso</strong> di pietà non solo per gli uomini, ma anche per tutte<br />

le creature. A tal punto che se vedeva una qualsiasi creatura, uccello o pecora<br />

che fosse, patire qualche incomodo di fame, di sete o di freddo, subito, dall'intimo'<br />

del suo cuore compativa alla fattura del suo Signore e, con devozione, si<br />

studiava di offrire a lode eterna del Signore quell'incomodo <strong>della</strong> creatura irrazionale,<br />

in unione a quella dignità per cui ogni creatura in Lui è sommamente<br />

perfetta e nobilitata, desiderando che il Signore, avendo pietà <strong>della</strong> sua creatura,<br />

si degnasse di alleviare i suoi difetti » I0 ".<br />

Quanto facilmente la preghiera di Gertrude avesse quel <strong>senso</strong><br />

cosmico generale abbracciante cielo e terra, lo dimostra per esempio,<br />

un passo come questo. Durante una messa :<br />

« Nel modo a lei consueto, al primo Agnus Dei pregava per tutta la Chiesa<br />

affinché il Signore la dirigesse in ogni cosa. Al secondo Agnus Dei chiese per le<br />

anime di tutti i fedeli defunti che il Signore, misericordiosamente, le sollevasse<br />

dalle pene. Al terzo Agnus Dei desiderava che il Signore aumentasse i meriti di<br />

tutti i santi e gli eletti che già regnano con Lui nei cieli » 10:l .<br />

""• IV 6 p. 316 s.<br />

"» P. 684.<br />

*° 2 I 8 p. 26.<br />

,M IV 39 p. 414. Vedi anche IV 13 p. 399; IV 55 p. 471 s.


LA MESSA 727<br />

La messa<br />

Gli autori <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> spiritualità rilevano unanimemente<br />

l'importanza dell'eucaristia nella spiritualità di S. Gertrude e spiegano<br />

giustamente questo fatto riferendosi alla grande corrente di<br />

pietà eucaristica sviluppatasi nel secolo XIII e culminante nella istituzione<br />

<strong>della</strong> festa liturgica del Corpus Domini. Infatti, non si può<br />

non essere colpiti dal posto eminente che nella vita spirituale di<br />

Gertrude occupa l'eucaristia. Basterebbe solo pensare alla sua affermazione<br />

molto esplicita per cui, dopo nove anni dal suo ingresso<br />

nella vita mistica, diceva di non ricordare che le grandi e frequenti<br />

grazie d'unione le fossero state accordate fuori dei giorni nei quali<br />

si era comunicata 104 . La cosa è confermata dalla sua biografa quando<br />

parla dello straordinario desiderio che Gertrude ebbe sempre di comunicarsi<br />

e <strong>della</strong> fiducia che portava nel farlo 105 . Sappiamo pure<br />

l'importanza che aveva per essa la questione <strong>della</strong> preparazione alla<br />

comunione 106 . Non meno notevole è l'importanza psicologica che ha<br />

per Gertrude il momento dell'elevazione dell'ostia nella messa 107 .<br />

A noi preme di rilevare anzitutto che questa pietà eucaristica<br />

di Gertrude rimane fortemente incentrata sulla messa e in secondo<br />

luogo che la messa stessa — il sole <strong>della</strong> vita spirituale <strong>della</strong> nostra<br />

santa — è da lei sentita e vissuta come sacrificio e non solo come<br />

momento in cui avviene la presenza reale di Cristo sotto le specie<br />

eucaristiche. Caratteristica l'affermazione esplicita di Gertrude che la<br />

sua somma preparazione alla comunione suole essere l'assistenza alla<br />

messa. Perciò un giorno che era impedita di assistervi si lamenta<br />

con il Signore:<br />

« Ecco, mio amatissimo, non posso attribuire che alla tua preordinazione<br />

il fatto che oggi non posso assistere alla messa. E come posso ora prepararmi<br />

a ricevere il tuo sacratissimo corpo e il tuo sangue, mentre, come mi pare,<br />

la somma mia preparazione suole essere sempre l'assistenza alla messa? » 108 .<br />

Dal che si vede bene l'intima unione nella psicologia di Gertrude<br />

tra la comunione e la messa. La messa stessa poi è per lei anzitutto il<br />

sacrificio in cui Cristo s'immola ineffabilmente sull'altare al Padre<br />

per il ministero del sacerdote, per la sua Chiesa. In esso considera<br />

anzitutto il valore di ringraziamento, di espiazione, di propiziazione,<br />

di supplenza. Un giorno dell'Assunta Gertrude, all'elevazione dell'ostia,<br />

intende il Signore che dice : « Vengo per immolarmi a Dio<br />

Padre per i miei membri » 10 °. Un'altra volta, sempre al momento<br />

dell'elevazione,<br />

'"• li 2 p. 62.<br />

,05 I 10 p. 29 s.<br />

">° Vedi, per es., <strong>Il</strong>i 18.<br />

"" Vedi, per es., <strong>Il</strong>i 15 p. 141; III 18 p. 153; III 30 p. 190.<br />

">s HI 8 p. 126.<br />

"» III 16 p. 146.


728 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

«Mentre offriva al Padre la stessa ostia sacrosanta in degna espiazione di<br />

tutti i peccati e per supplire a tutte le negligenze, conobbe che la sua anima<br />

era presentata dinanzi alla divina maestà oggetto di quel beneplacito divino<br />

di cui era oggetto il Cristo Gesù, splendore ed immagine <strong>della</strong> paterna gloria,<br />

Agnello di Dio senza macchia, che nello stesso momento si offrì al Padre sull'altare<br />

per la salvezza universale. Perché, Dio Padre, attraverso l'innocentissima<br />

umanità di Gesù Cristo, considerava Gertrude pura ed immacolata da ogni<br />

peccato, e per la sua divinità la guardava arricchita ed ornata di ogni virtù<br />

che in Gesù la stessa gloriosa divinità produsse nella sua santissima umanità...<br />

Allora Dio le dette di capire che ogni qualvolta uno assiste con devozione alla<br />

messa, considerando Dio che lì offre se stesso in sacramento per la salvezza<br />

comune dell'universo, è veramente considerato da Dio Padre secondo il beneplacito<br />

che Egli ha nell'ostia santa che gli viene offerta » ,10 .<br />

Secondo lo stesso spirito, nel settimo Esercizio, Gertrude loda<br />

la bontà, pietà, e liberalità di Dio per il grande dono del sacrificio<br />

eucaristico :<br />

« O bontà, o pietà, o dolce liberalità di Dio, tu conservi riposto nel tuo<br />

tesoro un dono meraviglioso che fa stupire il cielo e suscita l'ammirazione<br />

<strong>della</strong> terra, e non se ne trova altro uguale attraverso i secoli. Tu per me offri<br />

ogni giorno sull'altare a Dio Padre tale sacrificio, tale profumo di olocausto<br />

che supera ogni merito e può veramente soddisfare tutti i miei debiti. Tu presenti<br />

al Padre il Figlio nel quale pone le sue compiacenze, per offrirgli riparazione<br />

e riconciliarmi con Lui. Oh, per questo mistero che può supplire nel<br />

modo più completo a ogni mia imperfezione e riparare tutte le mie deficienze,<br />

rinnova la mia vita... » ln .<br />

4. VITA MISTICA E VITA LITURGICA IN GERTRUDE<br />

Vita mistica : aspetto principale in Gertrude<br />

S. Gertrude è anzitutto una mistica. Quando iniziò la stesura<br />

dei suoi scritti erano già passati nove anni dacché aveva cominciato a<br />

ricevere le grazie mistiche più insigni. Ne ricevette poi ininterrottamente<br />

negli anni che seguirono alla redazione del secondo libro<br />

del Legatus fino alla sua morte. Al lettore alquanto al corrente <strong>della</strong><br />

letteratura mistica non è difficile riconoscere negli scritti gertrudiani<br />

molte grazie di quella che oggi diciamo contemplazione propriamente<br />

detta.<br />

Riconoscere, almeno nel <strong>senso</strong> di intravvedere. Perché Gertrude<br />

non fa quasi mai una descrizione psicologica meno che elementare di<br />

questi stati. Ancora meno si preoccupa di distinguerne i gradi e le<br />

sfumature o di spiegarli dal punto di vista <strong>teologico</strong>, sia pure sommariamente.<br />

Niente di paragonabile alle introspezioni psicologiche<br />

e alle analisi così acute di una S. Teresa d'Avila. Gertrude, come<br />

no III 18 p. 153.<br />

'»• Esercizi VII p. 714.


VITA MISTICA 729<br />

tutta la tradizione anteriore, specialmente occidentale ,12 , accenna<br />

appena al momento soggettivo dell'atto e dello stato propriamente<br />

contemplativo e mistico delle sue esperienze. Si preoccupa invece<br />

tutta di lodarne Dio e di riferire di quelle grazie ineffabili ciò che ha<br />

potuto in qualche modo riflettersi nella sua immaginazione e nel suo<br />

intelletto discorsivo, descrivendo le persone, gli oggetti, le scene, le<br />

cui immagini le si presentavano nelle « visioni » e deducendone<br />

ammonimenti e direttive di vita a profitto degli altri.<br />

Ma qui ricordiamoci di ciò che dicevamo al principio di questo<br />

capitolo a proposito del valore che Gertrude attribuisce alle sue<br />

visioni immaginative e alle interpretazioni che ne propone. Sa benissimo<br />

che quello che riferisce, nelle « visioni » che descrive, nonché<br />

i pensieri che ne deduce, è solo la parte minima e inferiore delle<br />

grazie ricevute; quello che in qualche modo se ne può comunicare.<br />

Cose, dice, che possono servire solo come primi rudimenti e allettamenti<br />

per attirare in qualche modo i lettori e indurli a fare i<br />

primi passi in vista di arrivare un giorno, a sperimentare i gusti<br />

ineffabili <strong>della</strong> vera manna la quale trascende ogni umana rappresentazione.<br />

Si ricordi che Gertrude ha scritto quelle cose<br />

« affinché alcuni di coloro che le leggeranno prendano diletto nella dolcezza<br />

<strong>della</strong> tua pietà e così attratti, facciano esperienze maggiori nella tua intimità.<br />

Come gli studenti passando per l'alfabeto un giorno arrivano alla logica, così<br />

essi, per queste immaginazioni come dipinte siano condotti a gustare in se<br />

stessi quella manna nascosta che non può sperimentarsi per nessuna composizione<br />

di immaginazioni corporee, e che solo colui che ne ha gustato desidera<br />

ancora » n3 .<br />

La manna nascosta sta dunque molto al di là delle descrizioni<br />

immaginative e degli stessi concetti discorsivi.<br />

Dalle brevi ma assai frequenti allusioni che vi si fanno negli<br />

scritti gertrudiani, comprendiamo che si tratta di grazie mistiche<br />

propriamente dette e, in specie, di contemplazione propriamente<br />

detta con i caratteri comuni che le ha riconosciuto tutta la tradizione<br />

e con i colori propri <strong>della</strong> tradizione cistercense cui appartiene Gertrude.<br />

Sono quei momenti che Gertrude descrive con le solite note<br />

di straordinaria coscienza <strong>della</strong> presenza di Dio; di unione con Lui<br />

percepita sperimentalmente; caratterizzata dal suo irrompere subitaneo<br />

nell'anima e dalla sua ineffabilità — perché al di sopra delle<br />

immagini e dei concetti discorsivi — e quindi dalla sua incomprensibilità<br />

fuorché per chi ne ha fatto l'esperienza.<br />

11 - Vedi, per esempio, Diction. de spiritualità II (1953) s. v. Contemplatimi<br />

col. 1929 ss.<br />

"» II 24 p. 113.


730 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

Grazie mistiche senza tensioni psicologiche<br />

o sfasamenti con la vita liturgica<br />

A noi interessa specialmente sapere quale sia in Gertrude il rapporto<br />

di questa vita mistica con la sua vita liturgica. Ora, nella nostra<br />

santa costatiamo non solo la convergenza di fatto di tante ed altissime<br />

grazie mistiche in una persona la cui spiritualità era centrata<br />

nella <strong>liturgia</strong>, ma vediamo, inoltre, che queste grazie mistiche più<br />

alte e la contemplazione propriamente detta più sublime si verificano<br />

su larga scala nel bel mezzo dell'azione liturgica comunitaria o in<br />

stretta connessione con essa. E ciò senza che l'invasione mistica sia comunque<br />

di nocumento alla sua partecipazione comunitaria pubblica<br />

all'azione liturgica e senza che la sua partecipazione comunitaria e<br />

pubblica all'azione liturgica sia d'impedimento all'invasione mistica.<br />

Che, anzi, si sorreggono ed alimentano a vicenda.<br />

L'invasione mistica avviene in Gertrude durante le processioni,<br />

durante la messa, durante la recitazione corale delle ore canoniche,<br />

durante una predica in cappella, durante gli uffici liturgici che la<br />

comunità svolge nella sala del capitolo; e ciò, indifferentemente,<br />

mentre si canta, mentre si recita, anzi mentre essa stessa canta,<br />

recita, o negli intervalli di silenzio che si ritrovano in queste<br />

stesse azioni. Oppure avviene prima e dopo questa azione liturgica,<br />

magari continuando quello che ivi già cominciò o cominciando quello<br />

che poi in essa continua. E dai testi non si ricava nessuna tensione<br />

psicologica, nessuno sfasamento in Gertrude tra l'invasione mistica<br />

e la sua partecipazione attiva all'azione liturgica.<br />

Più precisamente questa tensione, negli scritti gertrudiani, è rilevata,<br />

per quanto mi consta, una sola volta, quando un giorno in<br />

coro, ad un tratto, la presenza mistica di Dio la soggiogò talmente<br />

che non seguì più esattamente i movimenti rituali <strong>della</strong> comunità.<br />

Ma il fatto è rilevato per dire che fu l'unica volta. Nel libro IV, capitolo<br />

15 del Legatus la cosa è così raccontata: nella domenica di<br />

quinquagesima in cui la messa comincia con le parole: Esto mihi:<br />

« Nella messa, mentre Gertrude, per mezzo dell'introito, invocava il Signore,<br />

il Signore stesso si appropriò di quell'introito come se quelle parole<br />

sembrassero convenire maggiormente a Lui a causa delle offese che riceveva<br />

in quei giorni 114 . E disse a Gertrude: « mi sii tu, o mia diletta, da protettrice,<br />

facendo il proposito che se tu lo potessi, volentieri mi proteggeresti contro le<br />

offese che mi si fanno specialmente in questi giorni. Cacciato dagli altri e desiderando<br />

riposarmi, mi rifugio in te ». Gertrude allora, stringendolo con tutte<br />

le sue forze, si sforzava di introdurlo nella sua intimità. Ed ecco che subitamente<br />

essa si trovò talmente astratta dai sensi corporei e unita interiormente<br />

a Dio che non si conformava più ai movimenti <strong>della</strong> comunità quando questa<br />

sedeva o si alzava. Avvertita da una consorella, capì che non faceva come le<br />

altre. E pregò il Signore di potere con il suo aiuto comandare al corpo di modo<br />

carnevale.<br />

114 Vedi nello stesso cap. 15 p. 148 s. Si allude anche ai divertimenti di


ESPERIENZE MISTICHE NELLA LITURGIA 731<br />

che non si notasse alcuna singolarità. <strong>Il</strong> Signore le rispose : « lascia con me<br />

quella tua affezione: l'amore, affinché presso di me faccia le tue veci, e tu<br />

bada a comandare il corpo ».<br />

E Gertrude:<br />

« 0 amatissimo Dio, sé una mia potenza può tare le mie veci, desidero<br />

piuttosto che il comando del mio corpo sia affidato alla mia ragione e che io,<br />

con più libertà, possa totalmente occuparmi di te ». Da quel momento attenne<br />

questo dono che anche unita internamente in grado altissimo a Dio, non fu mai<br />

impedita di eseguire con correttezza le cose da farsi esternamente » "'.<br />

A impedimenti simili durante l'azione liturgica, negli scritti di<br />

Gertrude, per quanto mi consta, non c'è allusione, né prima di quella<br />

Domenica, né dopo.<br />

Principali grazie mistiche ricevute da Gertrude<br />

nell'azione liturgica stessa o in connessione con essa<br />

Eppure in Gertrude simili grazie d'unione e contemplazione avute<br />

durante l'azione liturgica comunitaria furono frequenti e anche di<br />

altissimo grado sin dal principio <strong>della</strong> sua entrata nella vita mistica.<br />

Come sappiamo, in lei, secondo la tradizione più spiccatamente cistercense<br />

inaugurata da S. Bernardo, queste grazie si espressero<br />

spessissimo nella forma del mistico sposalizio derivato dal Cantico<br />

dei Cantici, e coi temi dello sguardo amoroso, delì'amplexus, dell'osculum<br />

e simili ne . Quanto spesso simili grazie avvenissero in<br />

Gertrude, con maggiore o minore intensità e proprio durante l'azione<br />

liturgica, lo dimostra la seguente sua dichiarazione generale:<br />

« Io so, diceva rivolgendosi al Signore, che la tua inscrutabile onnipotenza<br />

per la tua abbondante pietà, suole molto opportunamente temperare secondo<br />

il luogo, il tempo e le persone, lo sguardo, Vamplexus, ì'osculum e le altre<br />

dimostrazioni d'amore. Ed io ho spesso sperimentato — per la qual cosa ti ringrazio<br />

in unione del mutuo amore alla sempre veneranda Trinità — il dono<br />

gratuito del tuo soavissimo osculum; talmente che talvolta mentre sedevo e nel<br />

mio intimo badavo a te recitando le ore canoniche o le veglie per i defunti,<br />

115 IV 15 p. 349s. L'ultima frase in latino è: « Quod ex tunc dono accepit<br />

quod numquam sic iuit Deo unita interius, qain recto moderamine exterius<br />

facienda sequeretur ». Questa frase va certamente tradotta come ho fatto. Non<br />

si vuol dire che, da quel momento, Gertrude non ebbe più favori simili di<br />

unione interna con Dio ma doni inferiori che le lasciavano libero uso del corpo.<br />

Infatti, il fatto qui narrato è lo stesso di quello narrato a II 8 oppure a II 14.<br />

Ma, dopo i fatti a cui si allude a II 8 o a II 14', Gertrude ricevette certamente<br />

grazie altrettanto grandi. Vedi, per es., II 16 (vedi II 23 p. 108); II 21; II 22;<br />

IV 25; V 25. La confidente di Gertrude vuol dunque dire semplicemente che le<br />

grazie d'unione che essa ricevette dopo quella domenica Esto mihi, sebbene<br />

fossero non minori, tuttavia non le impedirono mai più di fare correttamente<br />

i movimenti esterni necessari, come invece glielo avevano impedito quella domenica.<br />

no Vedi, per es., cenni in J. DÉCHANET, La contemplation au XII' s., in:<br />

Dici, de spiritualité, II (1953) s. v. Contemplation, col. 1954.


732 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

spesso nel corso di un solo salmo, dieci volte, o anche più, hai stampato il<br />

praedulce osculimi sulle mie labbra, quelVosculum che eccede ogni aroma e ogni<br />

miele; e spessissimo ho osservato il tuo amichevolissimo sguardo sopra di me<br />

ed ho sentito il tuo strettissimo amplexus nell'anima mia» 117 .<br />

Né si, creda che le specie più profonde di quell'unione nella forma<br />

dello sguardo, ecc., non si realizzassero in Gertrude nella stessa<br />

azione liturgica e mentre vi partecipava attivamente come le altre<br />

sue consorelle. Lo stesso capitolo 21 del libro secondo ne dà, tra<br />

tanti altri, un esempio chiarissimo. Una volta di quaresima:<br />

« Nella seconda domenica, mentre, prima <strong>della</strong> messa, cominciava la processione<br />

e si cantava il responsorio: Vidi Dominum facie ad faciem ecc., l'anima<br />

mia s'illuminò di "un fulgore incomprensibile nella luce divina che si manifestava.<br />

E mi apparve come una faccia che si applicava alla mia faccia: «non<br />

formata, ma informante, come dice Bernardo, non riverberante gli occhi del<br />

corpo, ma letificante il volto del cuore, piacevole, non per il colore, ma per il<br />

dono dell'amore» 118 . In questa visione dolce come il miele, mentre i tuoi occhi<br />

di sole sembravano direttamente applicati sui miei occhi, in che modo allora<br />

la tua soave dolcezza penetrasse non solo la mia anima ma anche il mio cuore<br />

e tutte le mie membra, è solo a te noto, e finché vivrò, in gratitudine, te ne<br />

servirò con dedizione... Sentii che dai tuoi occhi divini una luce incomprensibile<br />

e soave entrava nei miei occhi e, penetrando in tutta me stessa, operava nelle<br />

mie membra una virtù oltremodo mirabile. Dapprima essa svuotò, per cosi dire,<br />

tutte le midolla delle mie ossa; poi annichilò le stesse ossa insieme alla carne,<br />

a tal punto che tutta la mia sostanza non sentiva d'essere altra cosa che quello<br />

splendore divino, il quale, giocando in se stesso, dette alla mia anima una incomprensibile<br />

gioia di serenità. E cosa dirò ancora di questa dolcissima visione?<br />

Per dire il vero, mi pare che l'eloquenza di tutte le lingue, per l'intera durata<br />

<strong>della</strong> mia vita, non mi avrebbe mai persuaso la possibilità di un tale insigne<br />

modo di vederti, nemmeno nella gloria celeste, se la tua degnazione, mio Dio,<br />

unica salvezza dell'anima mia, non mi ci avesse condotta per esperienza. Mi piace<br />

però di aggiungere che, se nelle cose divine avvenisse come nelle umane —<br />

ma la virtù del tuo occhio eccede immensamente quello che io stessa penso<br />

di questa visione — veramente, quell'anima alla quale tale visione è concessa,<br />

sia pure per un momento, non potrebbe rimanere nel corpo se la virtù divina<br />

non ve la trattenesse » 119 .<br />

Gertrude aggiunge che fino al momento in cui scriveva, in nessun'altra<br />

occasione le fu concesso di sperimentare la virtù divina<br />

come in quell'eccellentissimo sguardo d'amore di Dio sopra di sé.<br />

Grazia molto simile a questa Gertrude l'aveva ricevuta già prima,<br />

una notte di Natale.<br />

« 0 inaccessibile altezza dell'ammirabile potenza. O profondità abissale dell'inscrutabile<br />

sapienza. 0 immensa larghezza <strong>della</strong> desiderabile carità... Anche a<br />

me, nell'esilio del mio pellegrinaggio, è concesso il permesso e la gioia di riferire,<br />

nella misura <strong>della</strong> mia piccola capacità, sulle primizie di quelle giocondissime<br />

delizie e dolcissime soavità nelle quali l'anima mia, unita a Dio, diventa<br />

un solo spirito con Lui. Di questa beatitudine il sovrappieno si è infatti così<br />

abbondantemente diffuso all'esterno che anche a me, misera polvere, ha concesso<br />

l'audacia di lambirne qualche gocciola nel modo seguente.<br />

117 II 21 p. 101 s.<br />

118 S. BERNARDO, In cant. 31, specialmente n. 6.<br />

"» II 21 p. 100 ss.


ESPERIENZE MISTICHE NELLA LITURGIA 733<br />

Nella sacratissima notte, quando, per la dolce rugiada <strong>della</strong> divinità, per<br />

tutto il mondo i cieli hanno come stillato miele, l'anima mia, come vello irrorato<br />

sull'aia <strong>della</strong> carità, si sforzò, per la meditazione, di tenersi presente a<br />

Quel parto sovraceleste in cui la vergine partorì, come un raggio, il suo figlio,<br />

vero Dio e vero uomo, e di mostrarvisi servizievole per l'esercizio <strong>della</strong> devozione.<br />

Come in un subitaneo prodigio compresi che all'anima mia era offerto,<br />

ed essa riceveva come nel cuore, un tenero bambino nato allora allora, nel quale,<br />

certamente, era nascosto il dono sommo e veramente ottimo. Mentre l'anima<br />

mia lo teneva in sé, subitamente apparve tutta mutata nello stesso colore di<br />

Lui, se tuttavia si può chiamare colore ciò che non può essere paragonato a<br />

nessuna cosa visibile. Allora l'anima mia ebbe una ineffabile intelligenza di quelle<br />

dolcissime parole: Dio sarà tutto in tutti (1 Cor 15,28), mentre sentiva di<br />

contenere il suo diletto, sceso nei suoi precordi, e si rallegrava che non le mancasse<br />

la grata presenza dello sposo dalle giocondissime carezze. Per cui l'anima<br />

mia beveva con insaziabile avidità alle seguenti parole come a una coppa di<br />

miele offerta dal Signore : « Come io nella mia divinità sono la figura <strong>della</strong><br />

sostanza del Padre, così tu sarai nella tua natura umana, la figura <strong>della</strong> mia<br />

sostanza, perché riceverai nella tua anima deificata le emissioni <strong>della</strong> mia divinità<br />

come l'aria riceve i raggi solari; e così penetrata fino alle midolla da questa<br />

forza unitiva, sarai fatta capace di un'unione più familiare con me » ,2 °.<br />

Gertrude, alla fine del II libro del Legatus 121 conta esplicitamente<br />

questa grazia tra le più grandi da lei allora ricevute assieme<br />

con quella <strong>della</strong> domenica Esto mihi e un'altra ricevuta una domenica<br />

dopo Pentecoste. Di queste tutte assieme dice:<br />

« Mi attirasti a una tale unione con te, che io mi meraviglio di più che di<br />

un miracolo che, dopo quei momenti, abbia potuto ancora vivere come uomo<br />

tra gli uomini ».<br />

Nelle due precedenti descrizioni di grazie d'unione mistica nell'azione<br />

liturgica, si notino, tra gli altri, i seguenti caratteri del fatto :<br />

la subitaneità con la quale la grazia d'unione mistica propriamente<br />

detta irrompe in Gertrude; il fatto che la meditazione precede immediatamente<br />

il passaggio subitaneo alla contemplazione propriamente<br />

detta; il passaggio da Cristo a Dio, dall'umanità di Cristo alla divinità;<br />

Cristo vi appare sempre mediatore; il carattere dell'unione penetrante<br />

il fondo <strong>della</strong> sostanza dell'anima tanto da essere notata<br />

con espressioni di immersione e trasformazione <strong>della</strong> sostanza di<br />

Gertrude nella luce divina; il carattere di estrema dolcezza; quello<br />

di prelibazione <strong>della</strong> visione e unione del cielo; l'affermazione che<br />

senza una speciale protezione divina, chi riceve queste grazie morirebbe<br />

,22 .<br />

J-« II 6 p. 71 s. Vedi S. TERESA, Castello VI 10,2.5.<br />

121 II 23 p. 108 s. Altra formula generale d'immersione mistica in Dio per<br />

la luce dello Spirito Santo avvenuta durante la messa di una prima domenica<br />

di quaresima mentre Gertrude badava alla lettura dell'epistola, si ha in IV 17<br />

p. 357. Vedi anche IV 39 p. 414 dopo la comunione.<br />

122 È sempre difficile, e spesso vano, volere ritrovare nelle grazie mistiche<br />

avute da diversi santi i singoli gradi per i quali Dio fece passare S. Teresa e<br />

che essa descrive secondo le proprie esperienze. Bisognerebbe dimostrare che<br />

le tappe che Dio fece seguire a S. Teresa, rappresentano lo schema unico possibile.<br />

Vi è poi la difficoltà che gli altri santi spesso non descrivono con precisione<br />

psicologica i propri stati. Tuttavia, a proposito di queste grazie di S. Ger-


734 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

In Gertrude, inoltre, per ben due volte, la grazia di unione mistica<br />

durante la stessa azione liturgica prende la forma e il grado<br />

di una trafitta o trasverberazione d'amore. La prima fu nel 1287 o<br />

1288 nella domenica d'avvento Gaudete, durante la messa, quando,<br />

prima <strong>della</strong> comunione si sentì portata a chiedere al Signore che<br />

trafiggesse il suo cuore con una saetta d'amore. Ricevuta la comunione,<br />

vide come un raggio di sole a modo di saetta partire dal<br />

cuore del Cristo di una immagine del crocifisso dipinta sul suo<br />

messale e arrivare fino a lei, più volte stendendosi e ritraendosi per<br />

stendersi di nuovo e ferire Gertrude: « E così durando per alcun<br />

tempo, eccitava teneramente il mio amore ». L'effetto pieno l'ebbe<br />

il mercoledì seguente, nelle quattro tempora di avvento, mentre, durante<br />

un rito dopo la messa, i fedeli, in connessione con il vangelo<br />

Missus est che si legge quel giorno, veneravano l'annunziazione e<br />

l'incarnazione.<br />

« Ed ecco che ti presentasti come all'improvviso imprimendo una ferita<br />

nel mio cuore con queste parole : « qui confluisca il tumore di tutte le affezioni :<br />

per esempio: il tutto <strong>della</strong> tua dilettazione, speranza, gaudio, dolore, timore e<br />

degli altri tuoi affetti si stabilisca nel mio amore» 123 .<br />

Ma molto più caratteristica, efficace ed importante nella vita di<br />

Gertrude fu la seconda trasverberazione d'amore. Vale la pena di<br />

citare il testo per intero:<br />

« Un certo frate, predicando in cappella, tra le altre cose disse: l'amore<br />

è una saetta d'oro, con la quale chi colpisce qualcosa, vi acquista come un<br />

diritto di proprietà. È dunque stolto chi pone l'oggetto del suo amore nelle<br />

cose terrene e neglige le celesti ». A queste parole, Gertrude, infuocandosi, disse<br />

al Signore : « potessi io avere questa saetta. Senza indugio vorrei con essa trafiggerti,<br />

o unico diletto dell'anima mia, per poter sempre ritenerti ». Mentre<br />

diceva così, vide il Signore rivolto a lei tenendo una saetta d'oro e rispondendo:<br />

« Vorresti ferirmi se tu avessi la saetta d'oro; e siccome io ce l'ho, ti voglio<br />

trafiggere in modo tale che tu non ritorni mai più al primiero tuo stato ». Ora<br />

quella saetta sembrava ricurva in tre punte, all'estremità, nel mezzo e verso<br />

la fine. Questo voleva significare la triplice virtù che l'amore imprime nell'anima<br />

vulnerandola. Quando la prima punta è penetrata nell'anima la ferisce in modo<br />

tale che, come a un malato, le rende completamente insipide tutte le altre<br />

cose transitorie, tanto che, d'or'innanzi, non può più prendere diletto o consolazione<br />

in nessuna di esse. La seconda punta, penetrando l'anima la rende<br />

come un febbricitante. Come questi, per l'acerbità del dolore, con somma impazienza,<br />

ricerca la medicina, così l'anima, con desiderio oltremodo impaziente,<br />

brucia di aderire a Dio perché le pare completamente impossibile, fuori di Lui,<br />

di potere in qualche modo respirare. La terza punta, finalmente, penetrando<br />

l'anima la conduce a gioie tanto inestimabili che non possono esprimersi con<br />

nessun paragone se non che queste, quasi separando l'anima dal corpo, la fanno<br />

inabissare felicemente nei torrenti <strong>della</strong> divinità dolci come nettare » I24 .<br />

trude, si può vedere quelle che S. Teresa descrive nel Castello alla VI dimora<br />

a proposito dell'unione detta intensa e di quello che chiama fidanzaménto spirituale.<br />

Vedine, per esempio, un riassunto in F. CAYRÉ, Patrologia e storia <strong>della</strong><br />

teologia, ed. ital. II Roma 1938 p. 888 s.<br />

123 II 5 p. 68s.<br />

"« V 25 p. 581 s.


TRASVERBERAZIONE<br />

<strong>Il</strong> fatto avvenne non tanto prima <strong>della</strong> morte di Gertrude. E da<br />

esso il desiderio <strong>della</strong> morte, che già prima aveva fortissimo, andò<br />

in lei aumentando grandemente 3 -\ È troppo noto nella vita di<br />

S. Teresa d'Avila il fatto <strong>della</strong> sua trasverberazione nonché la descrizione<br />

e le spiegazioni che essa, a questo proposito, dà del fenomeno<br />

mistico <strong>della</strong> trafitta d'amore 12e , perché sia necessario insistere.<br />

S. Teresa, nella graduazione che, secondo la sua personale esperienza,<br />

pone tra i diversi gradi di unione e contemplazione mistica,<br />

pone quello <strong>della</strong> trafitta d'amore immediatamente prima del sommo<br />

grado o matrimonio spirituale. Ma non è necessario che indichi proprio<br />

questo preciso grado.<br />

In Gertrude si verificò pure il fenomeno mistico detto scambio<br />

dei cuori 127 , che consiste essenzialmente in una profonda trasforma-<br />

'-> Vedi, per es„ V 23 ss; I 10 p. 30 s.<br />

126 Ecco l'essenziale <strong>della</strong> relazione che Teresa ne dà nella sua Vita: «Mi<br />

sentivo morire dal desiderio di vedere Iddio: Egli era la mia vita e non lo<br />

sapevo trovare in nessun altro luogo che attraverso la morte. I trasporti di<br />

quest'amore... erano tali però da non saper più cosa fare; non v'era più nulla<br />

che mi potesse appagare, non capivo più in me e mi sembrava veramente che<br />

l'anima venisse divelta dal corpo... I trasporti di cui parlo... sono totalmente<br />

diversi da quelli che provengono da devozione sensibile... L'anima si duole per<br />

l'assenza di Dio, ma non è essa che se ne procura la pena la quale le viene<br />

causata da una certa saetta che di quando in quando le penetra il cuore e le<br />

viscere così al vivo da lasciarla come incapace di fare e di volere alcuna cosa.<br />

In tale stato intanto comprende assai bene di non voler altri che Dio, e le pare<br />

che il dardo da cui è ferita, sia temprato col sugo di un'erba che la spinga ad<br />

odiare se stessa e ad amare il Signore, per amore del quale farebbe ben volentieri<br />

anche il sacrificio <strong>della</strong> vita. <strong>Il</strong> modo con cui Dio fa nelle anime tali ferite<br />

è inesprimibile e non si può dichiarare. Quelle ferite producono un tal tormento<br />

che mentre è così vivo da lasciar l'anima come fuori di sé, è insieme tanto<br />

dolce da non poter essere paragonato con nessun piacere <strong>della</strong> terra. E per<br />

questo, come ho detto, l'anima vorrebbe star sempre morendo per la forza di<br />

un tal male... Quante volte, allorché mi trovo in questo stato, mi viene in mente<br />

il passo di David: Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarwn! Mi sembra<br />

allora che questo versetto si realizzi in me letteralmente. L'anima, intanto<br />

non sapendo far altro, va in cerca di qualche rimedio, e quando quel favore<br />

non è accompagnato da grande violenza, sembra che possa mitigare alquanto<br />

il suo tormento mediante alcune penitenze... Ma quel primo tormento è troppo<br />

grande... <strong>Il</strong> suo rimedio non sta qui. Le medicine <strong>della</strong> terra sono troppo basse<br />

e non possono guarire un male che è tanto sublime. Per poterlo alquanto mitigare<br />

e renderlo un po' più sopportabile, non v'è che da domandare il rimedio<br />

a Dio stesso. Ma l'anima, fuor <strong>della</strong> morte, non ne vede nessun altro; ed è soltanto<br />

per la morte ch'ella pensa di goder totalmente del suo Bene... Mentre<br />

stavo in questo stato, piacque a Dio di favorirmi a più riprese <strong>della</strong> seguente<br />

visione. Vedevo un angelo presso di me, al lato sinistro, un angelo sotto forma<br />

corporea... Quel cherubino, dunque, teneva in mano un lungo dardo d'oro sulla<br />

cui punta di ferro sembrava portare un po' di fuoco. Mi parve che me lo configgesse<br />

varie volte nel cuore, cacciandomelo dentro fino alle viscere che poi<br />

mi strappava fuori quando ritirava il dardo, lasciandomi ravvolta in una fornace<br />

di amore. Lo spasimo di quella ferita era così vivo che mi faceva uscire<br />

in quei gemiti di cui ho parlato più sopra, ma era insieme di una così grande<br />

soavità da impedirmi di desiderarne la fine e di cercar altra soddisfazione fuori<br />

di Dio... Tra l'anima e Dio passa allora un soavissimo idillio ». Vita 29, 8 s. Vedi<br />

un riassunto nello stesso <strong>senso</strong> in Castello VI 2, 2.<br />

12T Vedi, per es., Dict de spiritualité, s. v. Cceurs (échange de), 2 (1953)<br />

1046 ss.<br />

735


736 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

zione <strong>della</strong> volontà e degli affetti dell'uomo operata soprannaturalmente<br />

da Dio per cui, d'or'innanzi, questa volontà e questi affetti<br />

sono talmente uniti alla volontà di Dio che l'uomo, in un grado<br />

di perfezione superiore, non vuole e non ama altro che quello che<br />

vuole ed ama Dio. È detto scambio dei cuori perché talvolta questa<br />

grazia è accompagnata da una visione intellettuale o immaginativa<br />

nella quale è simboleggiata da uno scambio di cuori tra Cristo e il<br />

mistico. Gertrude, scrivendo il secondo libro del Legatus nel 1289,<br />

attestava di averla ricevuta diverse volte:<br />

« Inoltre, tra tante grazie, mi hai concesso l'inestimabile familiarità <strong>della</strong><br />

tua amicizia, accordandomi, in diversi modi, in sovrabbondanza di gioia, l'arca<br />

nobilissima <strong>della</strong> divinità, il tuo Cuore deificato. Ora me lo desti generosamente,<br />

ed ora — in segno più prezioso di mutua familiarità — lo scambiasti con il mio.<br />

Cosi nel tuo Cuore mi manifestasti aspetti tanto intimi dei tuoi segreti giudizi<br />

e delle tue gioie, e tanto spesso hai liquefatto l'anima mia con le tue amichevolissime<br />

carezze, che, se ignorassi l'abissale sovrabbondanza <strong>della</strong> tua bontà,<br />

non potrei nemmeno ammettere che tu abbia mai mostrato tanta benevolentissima<br />

tenerezza, sia pure, tra tutte le creature, alla tua beatissima Madre che<br />

regna con te in cielo» 12 ".<br />

Dagli scritti gertrudiani, per quanto mi consta, non si ricavano<br />

maggiori particolari intorno alle grazie segnalate a cui qui allude<br />

Gertrude.<br />

Nelle grazie mistiche sopra riferite: scambio dei cuori, trafitta<br />

d'amore, Dio tutto in tutti, vidi Dominum facie ad faciem, vi era<br />

incluso anche quello che gli autori spirituali chiamano unione trasformativa<br />

e S. Teresa matrimonio spirituale? Sebbene i dati che<br />

abbiamo non siano perfettamente chiari, la cosa, però, sembra non<br />

potersi negare. Numerosissime sono in Gertrude, sin dal principio<br />

<strong>della</strong> sua vita mistica, le espressioni in cui le sue relazioni con Cristo<br />

sono espresse in termini matrimoniali. Ma trattasi sempre di quello<br />

che Teresa chiamò poi propriamente matrimonio spirituale?<br />

Invece negli scritti gertrudiani sono numerosi i tratti delle grazie<br />

mistiche concesse a Gertrude che S. Teresa, da parte sua, conta come<br />

caratteristici di quello stato superiore. Così, in primo luogo, il concetto<br />

generale dell'anima divenuta ormai come una sola cosa con<br />

Dio, un solo spirito con Lui, nel <strong>senso</strong> di una perfettissima conformità<br />

di volontà 129 . A questo tratto anzitutto si riferiscono appunto<br />

in Gertrude le grazie sopraccennate. Lo stesso tratto è fortemente<br />

rilevato dalla sua biografa nel primo libro del Legatus. Una volta<br />

vi si parla <strong>della</strong> cosa come di grazia futura che Dio, a quanto aveva<br />

rivelato, come si dice, a una persona, avrebbe certamente fatto a<br />

Gertrude :<br />

« Arriverà inoltre a una tale unione con Dio che i suoi occhi non vedranno<br />

che ciò che il Signore si degnerà di vedere per mezzo di essi, e la sua bocca<br />

non proferirà che quello che il Signore si degnerà di parlare per mezzo di<br />

«• II 23 p. 107.<br />

I2 s> Vedi S. TERESA, Castello VII 2 n. 3-5.


MATRIMONIO SPIRITUALE<br />

essa, e così similmente per tutto il resto. Quando, o in che modo, il Signore<br />

lo compirà, Lui solo lo sa e coloro a cui è felicemente concesso di sperimentarlo.<br />

Non lo ignorano nemmeno coloro che in Gertrude hanno riconosciuto<br />

più profondamente il dono di Dio » "°.<br />

I tratti accennati che Gertrude non vedrà, non parlerà, ecc., che<br />

ciò che Dio per essa vorrà vedere, parlare, sono caratteristici dello<br />

stato di unione suprema.<br />

Un'altra volta la perfetta conformità di volontà tra Gertrude e<br />

Cristo è riferita come già avvenuta a proposito di una domanda di<br />

S. Metilde intorno a Gertrude stessa e <strong>della</strong> risposta del Signore:<br />

« E siccome Metilde interrogava... per qual motivo Gertrude in ogni momento<br />

si affrettava di compiere tutto quello che le veniva in mente, tanto che,<br />

per la sua coscienza, era sempre una stessa cosa pregare, scrivere, leggere,<br />

istruire il prossimo, ammonirlo o consolarlo, il Signore rispose: "<strong>Il</strong> mio Cuore,<br />

io l'ho unito con tanta bontà e così inseparabilmente alla sua anima, che essa<br />

è diventata con me un solo spirito e in ogni cosa e sopra ogni cosa concorda<br />

con la mia volontà, come le sue proprie membra concordano con il suo corpo,<br />

oppure come in colui che quando pensa di fare qualcosa, la sua mano, conseguentemente,<br />

subito si muove a compirla, e quando pensa di guardare qualcosa,<br />

i suoi occhi ubbidienti subito si aprono. Così Gertrude è pronta, con la mia<br />

grazia, a fare ogni momento ciò che in quel momento voglio. L'ho eletta per<br />

abitarvi in modo tale che la sua volontà, e quindi le azioni <strong>della</strong> sua buona<br />

volontà, aderiscono al mio Cuore come la mano destra con la quale opero ciò<br />

che voglio. La sua intelligenza mi è come di occhio, perché si applica a comprendere<br />

ciò che a me piace. L'impeto del suo spirito mi è come di lingua,<br />

perché, sotto l'impulso dello spirito, parla ciò che voglio io. La sua discrezione<br />

mi è come di odorato perché inclino le orecchie <strong>della</strong> mia misericordia a quello<br />

a cui ella si inclina per compassionevole pietà. E la sua intenzione mi è come<br />

di piedi perché intende ciò che conviene che io segua. Così, secondo l'impeto<br />

del mio spirito, necessariamente sempre si affretta, affinché compiuta una cosa<br />

sia sempre pronta a farne un'altra secondo il mio istinto" » m .<br />

Nello stesso <strong>senso</strong> parlano le parole che Cristo, secondo altre<br />

persone, ebbe a pronunziare di Gertrude :<br />

« Non potrai mai trovarmi sulla terra con maggiore diletto che nel sacramento<br />

dell'altare, e dopo di ciò nel cuore e nell'anima di questa mia amante,<br />

nella quale, mirabilmente, ho fatto convergere tutto l'amore del mio Cuore<br />

divino... sono tutto suo; con ogni diletto mi sono dato al suo amplesso. L'amore<br />

divino me l'ha unita inseparabilmente, come il fuoco, dell'oro e dell'argento<br />

fusi insieme, fa l'elettro » 132 .<br />

Altro segno del supremo grado di unione secondo S. Teresa, è<br />

l'ardente ricerca <strong>della</strong> sola gloria di Dio in tutto quello che si desidera<br />

e si fa, con indifferenza tranquilla non solo verso il fatto di avere<br />

o non avere gusti e consolazioni divine, ma anche verso quello di<br />

continuare a vivere o di morire, mentre prima il desiderio <strong>della</strong><br />

"o I 16 p. 51.<br />

»! I 16 p. 50 s.<br />

J 3 2 I 4 p. 15 s. Vedi, per es., in S. Teresa il paragone delle due candele<br />

che uniscono la loro fiamma, Castello VII 2 n. 4. Nel Legatus IV 32 si dice che<br />

Gertrude fu ricevuta dal Signore « come anima perfetta nello stato spirituale ».<br />

24 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...<br />

737


738 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

morte, come mezzo di andare subito a godere il Signore, era ardentissimo<br />

133 . Anche questo tratto è fortemente rilevato in Gertrude<br />

dalla sua biografa:<br />

« Nemmeno questo poteva angustiarla: se, talvolta, il Signore le sottraeva<br />

le solite grazie. Anzi le era quasi indifferente averle o non averle, eccetto che<br />

nelle tribolazioni la speranza la fortificava, perché sapeva con certezza che<br />

tutto le cooperava al bene, sia le cose esterne che interne... Per la predetta fiducia<br />

desiderava spesso la morte, ma anche questo in unione con la divina volontà<br />

perché ad ogni momento le era indifferente sia vivere che morire. Per la morte<br />

sperava acquistare la beatitudine e per la vita un aumento di lode a Dio » I34 .<br />

Un altro tratto distintivo del grado supremo di unione e che si<br />

ritrova in Gertrude, è l'ardentissimo zelo delle anime, l'unione perfetta<br />

di Marta e di Maria in una sola persona 135 in quanto lo comporta<br />

il proprio stato.<br />

Vediamo ancora le grazie di contemplazione <strong>della</strong> Santissima Trinità<br />

concesse a Gertrude, ritenute anch'esse unite con i sommi<br />

gradi <strong>della</strong> vita mistica.<br />

Negli scritti gertrudiani vi sono diverse allusioni intorno a grazie<br />

altissime di contemplazione mistica <strong>della</strong> Santissima Trinità avute da<br />

Gertrude in diverse occasioni durante l'azione liturgica. Ma la sua<br />

confidente che le riferisce, facendo bene intendere che Gertrude ha<br />

realmente avuto queste grazie, fa pure notare con insistenza che tali<br />

grazie, più di tutte le altre, sono sommamente ineffabili e che Gertrude<br />

stessa non ha potuto esprimere che ben poca cosa di quelle<br />

realtà che le fu allora dato di contemplare. Così in un passo, da<br />

noi già sopra riferito in un contesto diverso:<br />

« Nella festa di tutti i santi conobbe in spirito i misteri intorno alla gloria<br />

<strong>della</strong> sempre veneranda Trinità, e come la beata e gloriosa Trinità, in se stessa<br />

senza principio e senza fine, sovrabbondante di ogni dolcezza, gaudio e beatitudine,<br />

somministri a tutti i santi gloria e beatitudine eterna. Ma, impedita<br />

dall'umana fragilità, di quello che vide così chiaramente nello specchio <strong>della</strong><br />

luce divina, non potè spiegare niente alla portata dell'umana intelligenza, eccettuato<br />

le poche seguenti cose che potè appena e sconnessamente proferire per<br />

mezzo di qualche similitudine » 136 .<br />

La stessa confidente di Gertrude, alla fine di un capitolo sulle<br />

grazie ricevute dalla santa a diverse occasioni nella festa <strong>della</strong> « fulgida<br />

e sempre tranquilla Trinità », aggiunge :<br />

« In quanto poi alle grazie e consolazioni che Gertrude, in questa preclara<br />

festa a lei carissima a titolo speciale, ricevette dalla divina munificenza dopo<br />

133 vedi S. TERESA, Castello VII n. 2.3.6.8.<br />

134 I 10, p. 29 s.<br />

135 S. TERESA, Castello VII 4 n. 12 s. Per S. Gertrude vedi, per es., I 11 pp.<br />

31-33: pensa di ricevere i doni di Dio per comunicarli agli altri come farebbe<br />

un canale; libera dalla vana gloria; I 5 pp. 18-19; ansietà di comunicare ad altri<br />

i doni ricevuti da Dio; diversamente li reputava come ricevuti nel letamaio;<br />

non può credere che i doni ricevuti da Dio siano per sé, ma per gli altri. Vedi<br />

anche I 1 p. 8 s; I 7 p. 3; II 5 p. 70 s; II 24 p. 113.<br />

"« V 55 p. 471.


MATRIMONIO SPIRITUALE 739<br />

quelle sopra riferite o anche prima, mancando le parole che possano esprimere<br />

tali cose a portata dell'umano intelletto, anche per esse, come per le altre note<br />

solo a Dio, sia a Lui lode e ringraziamento come specialmente viene cantato nella<br />

<strong>liturgia</strong> di questo stesso giorno» 13 '.<br />

Altra notevolissima grazia mistica di unione e contemplazione<br />

<strong>della</strong> Trinità fu data a Gertrude una volta durante l'azione liturgica<br />

che si svolgeva in chiesa, ma alla quale essa, stando a letto per malattia,<br />

non poteva corporalmente assistere, sebbene vi si unisse di<br />

cuore. In questa occasione, come narra essa stessa, per mezzo di<br />

una speciale grazia di conformità a Cristo, ricevette una più profonda<br />

conformità alla Trinità a modo di sigillo e di fuoco nell'anima<br />

che, bruciandone gli umani difetti, vi ristabilisce, secondo la dottrina<br />

di S. Bernardo, l'antica similitudine con Dio perduta per il peccato<br />

di Adamo 138 .<br />

Sebbene dunque i documenti non ci permettano di determinare<br />

con precisione le fasi di sviluppo dei diversi gradi <strong>della</strong> vita mistica<br />

di Gertrude fino a quello supremo del matrimonio spirituale, pare<br />

tuttavia che non si possa dubitare che questo grado supremo sia<br />

stato largamente raggiunto dalla santa.<br />

Gertrude ci offre pure notevoli casi di grazie mistiche che non<br />

furono solo brevi, ma durarono o giorni interi o anche anni con<br />

intensità più o meno grande. Già al principio <strong>della</strong> sua entrata nella<br />

vita mistica godette di una specialissima e continua presenza di Cristo<br />

in sé. Quando ne scrisse erano già nove anni che la cosa continuava.<br />

i" IV 41 p. 418.<br />

138 « Mentre avvicinandosi l'ora <strong>della</strong> processione, dopo avere ricevuto l'alimento<br />

vivificante, pensavo al Signore in me, conobbi che l'anima mia fatta accuratamente<br />

molle come cera vicino al fuoco, stava applicata sul petto del Signore<br />

come per ricevere un sigillo. E subitamente pareva spandersi tutta intorno a<br />

Lui e anche penetrare all'interno di questo sacrario dove abita tutta la pienezza<br />

<strong>della</strong> divinità corporalmente, e così essere marcata dal carattere <strong>della</strong> fulgida<br />

e sempre tranquilla Trinità » (II 7 p. 73). Gertrude termina questo racconto esaltando<br />

l'onnipotenza dell'amore divino che è come fuoco divoratore, che prima<br />

opera in segreto, ma poi erompe all'esterno, dissecca le imperfezioni umane,<br />

piega la durezza <strong>della</strong> volontà e distrugge ogni male nell'anima fino a farne<br />

sgorgare un immenso inno di ringraziamento. Solo questo fuoco ristabilisce<br />

in noi la similitudine soprannaturale con Dio che l'uomo aveva prima del peccato<br />

e che il peccato stesso distrusse. Si tratta dunque di una grazia speciale<br />

di conformità con la Trinità Santissima. Si noterà nuovamente come è sempre<br />

attraverso Cristo, attraverso l'umanità di Cristo, che Gertrude è condotta e<br />

conformata alla Trinità. Un'altra notevole grazia mistica, avuta in immediata<br />

connessione con la preghiera liturgica, fu quella che Gertrude ricevette quando,<br />

un giorno, spossata dalla debolezza, assisteva a mattutino, seduta, a parte, in<br />

un luogo per le malate, senza poter prendere parte al coro come le altre consorelle.<br />

Era il mattutino dell'Assunzione di Maria. Cominciando dal sesto responsorio<br />

Gertrude fu rapita in spirito per assistere allo stesso mattutino che nello<br />

stesso momento si cantava in cielo ed avendo di tutti i testi relativi mirabile<br />

intelletto e dilettazione, di cui narrò poi qualcosa « sicut ad exteriorem intellectum<br />

possunt exponi ». Questo durò fino alla fine del Te Deum quando ritornò<br />

in sé sentendo di questa grazia lo stesso suo corpo mirabilmente fortificato<br />

(IV 48 p. 434 s).


740 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

« Una sera, quando stavo per andare a letto, mentre inchinata in ginocchio<br />

pregavo, mi venne subitamente alla memoria quel passo evangelico: "Se qualcuno<br />

mi ama osserverà le mie parole, e il mio Padre lo amerà e verremo in<br />

lui e faremo in lui la nostra dimora" (Gv 14,23). E all'interno, il mio cuore di<br />

fango sentì che ti eri fatto presente... Da quel momento, mio Dio, ti sei mostrato,<br />

ora più sereno, ora più severo a seconda <strong>della</strong> mia vita o più castigata<br />

o più negletta... Nonostante le mie divagazioni di mente e i piaceri inconsistenti<br />

in cui presi diletto, quando, dopo alcune ore, o purtroppo, alcuni giorni,<br />

o anche, lo temo, alcune settimane, ritornai al mio cuore, sempre ti ci ho ritrovato,<br />

di modo che non potei mai fornirmi il pretesto che tu ti sia ritirato da<br />

me nemmeno per un attimo, da quel momento fino a oggi che corre il nono<br />

anno, eccettuato una volta, per undici giorni, prima <strong>della</strong> festa di S. Giovanni<br />

Battista. <strong>Il</strong> che mi avvenne per aver avuto una conversazione mondana, come<br />

mi pare, un giovedì, e durò fino al lunedì che era la vigilia di S. Giovanni<br />

Battista, durante la messa Ne timeas Zacharia » 139 .<br />

Un'altra volta, durante la massima parte del venerdì santo e<br />

tutto il sabato santo, fu come in estasi continua. La sua confidente<br />

così riferisce la cosa:<br />

« Non stimo dovere passare sotto silenzio che Gertrude teneva stretto il<br />

ricordo <strong>della</strong> dolcissima passione di Cristo con somma devozione e così ardentemente<br />

e continuamente che sembrava quasi ruminarlo come se fosse miele<br />

nella sua bocca, canto nei suoi orecchi e giubilo nel suo cuore. Nel giorno santissimo<br />

del venerdì santo, una volta, sentendo il suono <strong>della</strong> tavoletta per il<br />

completorio, commossa fino alle midolla di tutte le forze del suo cuore, come<br />

se presentisse che stavano per annunziarle l'agonia del suo unico, fedelissimo<br />

e carissimo amico, e come se andasse in fretta per assistere anelante alla sua<br />

morte, con tutte le sue forze si raccoglieva nel suo intimo per ricordare la<br />

passione del Signore e per ripagare con compassione di fedelissimo amore il<br />

suo diletto che aveva sofferto per lei. E così per tutto quel giorno e anche il<br />

sabato santo seguente, la sua anima era come conglutinata all'anima del suo<br />

diletto a tal punto che le sembrava difficilissimo di applicarsi a qualcosa con i<br />

sensi esterni, eccettuate solo quelle mansioni che faceva per carità, per le quali<br />

si prestava senza nessuna esitazione e in ogni occasione... Passando la massima<br />

parte di quel santissimo giorno e del sabato seguente quasi fuori dei sensi,<br />

spessissimo rimase anche così rapita sopra gli stessi, che poi non potè mettere<br />

alla portata dell'umano intelletto mediante nessuna immagine niente di quello<br />

che le fu dato di penetrare dalla mutua familiarità con il diletto dolcemente<br />

a lei stretto in sì forte unione e per la forza del mutuo amore, inseparabilmente<br />

unito a lei come due liquidi fusi insieme. Questo non è segno d'imperfezione<br />

ma di somma perfezione, come attesta Bernardo nel suo commento alla Cantica,<br />

quando intorno a quelle parole: murenulas aureas faciemus Ubi (Cn 1,10) dice:<br />

"quando per virtù divina, qualcosa splende alla mente, al di sopra dello spirito,<br />

subitamente e come nella rapidità di un lampo, allora, per temperarne un simile<br />

splendore e per l'uso dell'insegnamento, vi si accompagnano subito delle<br />

immagini di cose inferiori, infuse da Dio e contemperate ai sensi, per mezzo delle<br />

quali quel purissimo e splendidissimo raggio di verità venga in qualche modo<br />

temperato e sia più tollerabile all'anima stessa che possa anche più facilmente<br />

comunicarlo a chi vuole...". Così Bernardo. Dunque non si deve stimare grazia<br />

minore quella che Dio per se stesso si degna influire nell'anima e conserva pura<br />

e senza fantasmi d'immagini corporee tra l'anima e Lui solo, come sotto il sigillo<br />

di una più intima amicizia » 140 .<br />

139 II 3 p. 63 s.<br />

"o IV 25. Nota p. 381 s.


LA LEZIONE DI GERTRUDE 741<br />

Già il primo o il secondo anno dopo la grazia dell'entrata nella<br />

vita mistica, Gertrude ricevette da Cristo le stimmate invisibili mentre<br />

stava al refettorio pensando, in modo più fervoroso del solito, a<br />

un'orazione nella quale si chiedeva appunto a Cristo d'imprimere<br />

nell'anima i segni <strong>della</strong> sua passione:<br />

« In quel momento, mentre la mia mente era occupata più devotamente<br />

in questi pensieri, sentii che Dio donava a me indegnissima la grazia che già<br />

da tempo chiedevo in quella orazione, cioè conobbi in spirito che nell'interno<br />

del mio cuore furono impresse come corporalmente quelle stimmate venerabili<br />

e adorabili delle tue santissime ferite. Per queste tu sanasti la mia anima e mi<br />

desti una bevanda di amore dolce come il nettare » lil .<br />

La lezione di Gertrude intorno ai rapporti<br />

tra vita mistica e vita liturgica<br />

In conclusione : l'esame dei rapporti tra vita mistica e vita liturgica<br />

in Gertrude ci dà, per via d'esempio, una grande lezione pratica.<br />

Questa lezione è che tutta la vita mistica, compresi i suoi più alti<br />

gradi, come ci sono noti dall'esperienza dei santi, in quello che ha<br />

d'essenziale — e, aggiùngiamo, di desiderabile — può perfettamente<br />

e con ogni agio, nascere, svilupparsi e maturare nel quadro di una<br />

spiritualità liturgica. Di quella spiritualità, cioè, nella quale gli<br />

elementi comuni ad ogni spiritualità cattolica sono considerati e<br />

vissuti in quella proporzione e in quell'equilibrio relativo che è imposto<br />

dal predominio, almeno qualitativo, dei valori dell'azione liturgica<br />

come elemento determinante e ordinante a sé tutti gli altri.<br />

Anzi, la lezione pratica che ci dà Gertrude è che la vita mistica<br />

può perfettamente-e con ogni agio nascere, svilupparsi e maturare in<br />

un quadro di vita ove l'azione liturgica è l'elemento non solo qualitativamente<br />

determinante ina anche quantitativamente predominante.<br />

Finalmente, la lezione pratica che ci dà Gertrude è che le grazie<br />

mistiche anche le più grandi e la contemplazione anche la più alta<br />

in quello che hanno di essenziale, possono perfettamente avverarsi<br />

nell'azione liturgica comunitaria e pubblica senza danno <strong>della</strong> normale<br />

partecipazione attiva alla stessa, per non parlare del loro avveramento<br />

nella parte extraliturgica di una vita dominata dalla spiritualità<br />

liturgica.<br />

In una parola, l'esempio di Gertrude ci libera una volta per sempre,<br />

se ce ne fosse bisogno, dal sospetto e dal timore, che un lettore<br />

non abbastanza accorto potrebbe essere tentato di fondare sulla<br />

lettura dei mistici moderni, specialmente del secolo XVI e principalmente<br />

di S. Teresa e di S. Giovanni <strong>della</strong> Croce : che cioè, una spiritualità<br />

liturgica, accettata pienamente e integralmente, special-<br />

141 II 4 p. 6?. Nel capitolo 23 del libro II, Gertrude computa questa grazia<br />

tra le più insigni di quelle che aveva fino allora ricevute.


742 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

mente se è centrata non solo qualitativamente, ma anche quantitativamente<br />

sull'azione liturgica, sia un quadro poco adatto, per non<br />

dire addirittura controproducente, di preparazione e di sviluppo<br />

di vita mistica, perché quadro troppo « distraente ». <strong>Il</strong> superamento<br />

di questo vano timore ha una notevolissima portata anche pratica.<br />

Basta pensare per accorgersene alla questione dibattuta in teologia<br />

mistica dei rapporti tra perfezione cristiana e vita mistica e dell'appello<br />

generale alla vita mistica. L'esempio di Gertrude, probabilmente<br />

meglio di ogni altro, ci mostra per via concreta, che anche<br />

chi ammette, con le debite sfumature e spiegazioni, l'inscindibilità<br />

tra perfezione cristiana e vita mistica e l'appello generale alla vita<br />

mistica, può tranquillamente ordinare la sua vita con tutto il cuore,<br />

pienamente e integralmente, intorno alla <strong>liturgia</strong> così come la presenta<br />

la Chiesa, dandole anche un predominio quantitativo, se così<br />

lo desidera o a tanto l'induce la sua vocazione personale o comunitaria,<br />

senza vani timori e reticenze, tenendo anche sempre di mira<br />

la più alta meta alla quale Dio quaggiù chiama gli uomini.<br />

È provato così, per via d'esempio, dopo la prova per via di ragionamento<br />

teorico, che la spiritualità liturgica, per essere una spiritualità<br />

alla portata di tutti, non è una spiritualità di secondo rango,<br />

buona se mai per il popolo rude e per i principianti nella via <strong>della</strong><br />

perfezione; ma fornisce, invece, alla vita cristiana, un quadro completo<br />

che ne assimila e ne ordina tutti gli elementi fino a condurre<br />

chi la segue alla più alta perfezione. Come è dunque possibile che<br />

se ne sia dubitato mentre si tratta <strong>della</strong> spiritualità <strong>della</strong> Chiesa come<br />

tale che essa, tutt'oggi, propone ai suoi figli?<br />

5. PREGHIERA EXTRALITURGICA, MEDITAZIONI, DEVOZIONI<br />

E SPIRITO DELLA LITURGIA IN GERTRUDE<br />

Vita di purificazione ed esercizio delle virtù, attenzione vitale<br />

relativa data ai singoli dogmi <strong>della</strong> fede, vita mistica anche nelle sue<br />

più alte manifestazioni: abbiamo visto che tutto questo in Gertrude<br />

è incentrato nella <strong>liturgia</strong> e da essa determinato. Resta ancora da<br />

esaminare tutto un campo <strong>della</strong> vita spirituale di Gertrude nel quale<br />

l'influsso determinante <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> non appare meno evidente:<br />

quello <strong>della</strong> sua preghiera fuori dell'azione liturgica stessa e delle<br />

sue « devozioni » nel <strong>senso</strong> già moderno.<br />

Per la preghiera e le meditazioni di Gertrude fuori dell'azione<br />

liturgica, non dobbiamo, evidentemente, esaminare come Gertrude<br />

anche fuori dell'azione liturgica ha sempre molto ed intensamente<br />

meditato e pregato: verità lapalissiana per qualsiasi santo. Si tratta<br />

piuttosto di vedere come anche questa meditazione e preghiera fuori<br />

dell'azione liturgica sia in essa sostanzialmente determinata dai<br />

valori dell'azione liturgica.


DEVOZIONI E LITURGIA IN GENERE 743<br />

Ut devotio illius concordaret cum Officiis Ecclesiae<br />

Infatti, esaminando il caso di Gertrude, vediamo che l'abbondante<br />

meditazione e la continua preghiera fuori dell'azione liturgica,<br />

nella loro struttura intrinseca e nella psicologia <strong>della</strong> nostra, non<br />

solo non soffocano i valori dell'azione liturgica o non gli sono comunque<br />

contrarie, ma non gli sono neppure sovrapposte o semplicemente<br />

giustapposte. Preghiera e meditazione extraliturgiche, in Gertrude,<br />

sono ordinate e subordinate ai valori liturgici come loro preparazione<br />

e amplificazione.<br />

Negli scritti gertrudiani vi sono, in proposito, due esplicite osservazioni<br />

che hanno valore di massima e che ci danno la chiave per<br />

comprendere lo spirito delle preghiere, meditazioni ed esercizi extraliturgici<br />

di Gertrude in rapporto allo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

« Affinché, dice la sua confidente, la devozione di Gertrude concordasse con<br />

la <strong>liturgia</strong> (et ut devotio ipsius concordaret cum officiis Ecclesiae), nella domenica<br />

Oculi, nel modo a lei solito, desiderò essere istruita dal Signore quali speciali<br />

esercizi avrebbe dovuto fare durante quella settimana. <strong>Il</strong> Signore le rispose :<br />

"Poiché ora nella <strong>liturgia</strong> si legge la storia di Giuseppe che fu venduto per<br />

trenta denari, prendine esempio, e recitando trentatre Pater noster, compra da<br />

me la mia santissima vita nella quale per trentatre anni ho operato la salvezza<br />

del mondo. Quindi comunicane il frutto a tutta la Chiesa per sua vera salvezza<br />

e mia eterna lode". Avendolo fatto, riconobbe che tutta la Chiesa era come sposa<br />

ornata e mirabilmente abbellita dal frutto <strong>della</strong> santissima vita di Cristo » 142 .<br />

« Un'altra volta, dice la stessa confidente, tenendo occupata la mente intorno<br />

alla passione del Signore, capì che il fatto di ruminare le orazioni o le<br />

lezioni <strong>della</strong> passione, del Signore ha un valore infinitamente più grande di qualsiasi<br />

altro esercizio » 143 .<br />

In questi due testi è da notare l'affermazione, che Gertrude era<br />

solita curare, che le sue devozioni concordassero con la <strong>liturgia</strong> del<br />

tempo in cui si trovava e che stimava il migliore esercizio di vita<br />

spirituale quello di ruminare le orazioni e le lezioni' liturgiche almeno<br />

intorno alla passione. Che queste due affermazioni, sebbene nei contesti<br />

citati si riferiscano a due casi determinati, avessero per Gertrude<br />

valore di massima universale, lo vediamo dal modo in cui,<br />

fuori dell'azione liturgica, faceva preghiere, esercizi e devozioni.<br />

Esercizi di S. Gertrude e <strong>liturgia</strong><br />

In questo campo, infatti, conosciamo molto bene qual era il<br />

« metodo » di Gertrude, non solo dal Legatus — testimone già persuasivo<br />

— ma anche dagli Esercizi- Componendo questi Esercizi, Ger- ;<br />

trude era perfettamente del suo tempo. Già cominciando dal secolo VII"<br />

e Vili, appare in occidente tutta una letteratura di libelli di preci,<br />

1*2 iv 20 p. 360 s.<br />

»« III p. 205 s.


744 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

composte da privati per essere recitate privatamente, nei quali la<br />

pietà personale dei compositori e delle diverse età, fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

prendeva libero corso 114 . Questo genere letterario andò diffondendosi<br />

largamente all'epoca carolingia ma specialmente dal secolo XI<br />

in poi. Grandi nomi contribuirono ad arricchirlo, come Pier Damiani,<br />

Giovanni Gualberto, Giovanni da Fécamp, Anselmo d'Aosta.<br />

Verso la fine del secolo XIII, sempre come espressione ed alimento<br />

<strong>della</strong> pietà privata fuori dell'azione liturgica, nacquero i « libri delle<br />

ore » distaccati dal salterio propriamente detto, i quali ebbero grande<br />

successo, specialmente nel secolo XV e fino verso il 1550. Orbene,<br />

è cosa rilevata da tutti i conoscitori di questa letteratura, l'intima<br />

connessione di queste produzioni di pietà privata extraliturgica con<br />

la <strong>liturgia</strong>, compresi al principio gli stesso libri delle ore, i quali<br />

tuttavia se ne distaccarono man mano sempre più. È la pietà privata<br />

extraliturgica che si esprime in una prospettiva liturgica, in termini<br />

di <strong>liturgia</strong>, con estratti e reminiscenze liturgiche, o biblico-liturgiche,<br />

o patristico-liturgiche, frammischiate ad alcune composizioni private,<br />

anch'esse dello stesso tenore, in vista <strong>della</strong> preparazione all'azione<br />

liturgica o come suo prolungamento 145 .<br />

Gertrude s'inserisce perfettamente in quella corrente. La sua biografa<br />

dice che, dopo la sua conversione, quando da grammatica diventò<br />

« teologa » :<br />

144 Vedi, per es., un rapido panorama <strong>della</strong> questione, con ulteriore bibliografìa,<br />

in J. LECLERCQ, Dévotion privée, piété populaire et liturgie au moyen àge,<br />

in: Études de pastorale liturgique (Lex orandi I) Paris 1944 pp. 149-73.<br />

145 II Padre Leclercq, buon conoscitore di questa letteratura, la caratterizza<br />

nel modo seguente in un brano che riporto per intero perché conviene benissimo<br />

agli Esercizi di S. Gertrude : « Cette dévotion naìt de la liturgie et, loin<br />

d'en étre séparée, elle s'en inspire et la prolonge. Elle lui emprunte des formules<br />

entières ou des réminiscences. Les livrets de prière citent continuellement<br />

les parties les plus variées de l'office et de la messe: répons, antiennes, lecons,<br />

collectes, séquences, préfaces etc... Ces recueils ne se composent d'ailleurs souvent<br />

que de textes choisis; ils retiennent et rassemblent soit les psaumes d'action<br />

de gràces et de supplication et les cantiques bibliques du mème genre, soit,<br />

dans les psaumes, les seuls versets qui expriment la supplication, en y intercalai<br />

des textes empruntés à la liturgie. La part de l'inspiration libre devient<br />

de plus en plus grande à mesure qu'on avance à travers les siècles, et il faut<br />

reconnaitre que dans les livres d'heures la liturgie occupe de moins en moins<br />

de place. Mème alors, cepcndant, comme à travers tout le moyen àge, la dévotion<br />

privée demande à la liturgie les cadres à l'interieur desquels elle s'épanouit:<br />

répartition des textes selon le cycle du temps et des saints et selon les heures<br />

canoniales, division en psaumes, le?ons, versets et oraisons, composition en forme<br />

d'hymnes ou litanies, autant d'éléments par lesquels, très souvent, les livrets<br />

de prières et les livres d'heures imitent la liturgie. La prière privée s'insère<br />

comme naturellement dans le eulte commun de l'Église, et elle en adopte le<br />

"style": à la sobriété, à la pureté classique de la prière antique, elle ajoute la<br />

fraìcheur et la charme de l'esprit medieval. La liturgie forme le climat spirituel<br />

où grandit la dévotion; elle maintient celle-ci en contact avec les sources doctrinales<br />

auxquelles elle s'alimente elle-mème: l'Écriture et les Pères; elle la ramène<br />

sans cesse vers la contemplation des vérités profondes que les cycles des mystères<br />

du salut rappellent chaque année; elle lui assure la solidité théologique<br />

et, en mème temps, la dignité, la simplicité, la délicatesse et le goùt qui la<br />

caraetérisent » (/. e, p. 154 s).


GLI « ESERCIZI » 745<br />

« Compose anche parecchie orationes, più dolci del miele, e molte altre<br />

composizioni edificanti di esercizi spirituali, con stile tanto decoroso che quanti<br />

erano maestri nell'arte non solo non ebbero a correggervi nulla, ma si dilettarono<br />

assai <strong>della</strong> loro grazia e <strong>della</strong> dolcezza delle citazioni scritturali di cui<br />

erano cosparse, cosa certamente atta a renderle gradite ai teologi e alle persone<br />

pie » 14l \<br />

Abbiamo perduto le orationes, ma abbiamo tuttora un gruppo<br />

di Esercizi. Per essi Gertrude rimane una delle più insigni rappresentanti<br />

<strong>della</strong> letteratura medievale delle preci. Dal punto di vista<br />

liturgico che qui c'interessa, notiamone il contenuto.<br />

<strong>Il</strong> primo esercizio è una meditazione che rievoca l'iniziazione<br />

cristiana: battesimo, cresima, eucaristia, seguendo i tratti principali<br />

del rituale con l'intercalazione di preghiere e di aspirazioni per ravvivare<br />

nell'anima, con la fede e la carità, le grazie allora ricevute.<br />

Gertrude introduce così questo esercizio:<br />

« In circostanze determinate, specialmente a Pasqua e a Pentecoste, abbi<br />

cura di richiamarti al ricordo del tuo battesimo, per poter presentare al Signore,<br />

alla fine <strong>della</strong> vita, la veste dell'innocenza battesimale senza macchia e il sigillo<br />

<strong>della</strong> fede cristiana intatto. Desidera di rinascere in Dio nella santità di una vita<br />

nuova e di ricevere una nuova infanzia dello Spirito » 147 .<br />

<strong>Il</strong> secondo esercizio, con lo stesso metodo, rievoca l'atto liturgico<br />

<strong>della</strong> vestizione monastica. <strong>Il</strong> terzo la Consecratio virginum tenendo<br />

presente, sempre nello stesso modo, le parti essenziali del rito liturgico.<br />

<strong>Il</strong> quarto quello <strong>della</strong> professione monastica distinta dalla consacrazione<br />

delle vergini. L'attuale quinto esercizio è composto di due<br />

esercizi originariamente, a quanto pare, distinti e aventi ognuno per<br />

scopo di « ravvivare l'amore ». Non segue come i precedenti lo schema<br />

generale d'un atto liturgico, ma con un lirismo altissimo che si esprime<br />

naturalmente in linguaggio intessuto di reminiscenze bibliche e<br />

liturgiche, dà libero sfogo ai sentimenti d'amore. La prima parte<br />

divide la giornata in tre tempi : mattino, mezzogiorno e sera; la seconda<br />

in sette tempi secondo le sette ore canoniche. <strong>Il</strong> sesto esercizio<br />

è intitolato : « di lode e di ringraziamento ». Non segue nemmeno esso<br />

uno schema di rito liturgico. Eppure deve ritenersi l'espressione<br />

lirica, personale e tuttavia fatta naturalmente nel linguaggio di reminiscenze<br />

liturgiche e scritturistiche e in quello di interi salmi e<br />

cantici intercalati, dell'atteggiamento più profondo nel quale l'anima<br />

che vive sul serio la <strong>liturgia</strong> viene insensibilmente ed irresistibilmente<br />

plasmata: quello dell'adorazione in lode e ringraziamento. <strong>Il</strong><br />

settimo esercizio è quello di un giorno dedicato alla riparazione dei<br />

peccati in preparazione alla morte. È diviso in sette tempi secondo<br />

le sette ore liturgiche nelle quali vengono intrecciati sette episodi<br />

principali <strong>della</strong> passione di Cristo secondo il loro succedersi storico<br />

nell'ora corrispondente. Intorno alla preparazione alla morte Ger-<br />

I « I 1 p. 9.<br />

14 ' P. 618.


746 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

trude aveva composto un altro esercizio tutto sullo schema degli<br />

ultimi sacramenti che riceve un malato. Vediamo Gertrude stessa,<br />

poco prima <strong>della</strong> sua morte seguire questo esercizio.<br />

« Gertrude, dice la sua confidente, aveva scritto una istruzione assai utile<br />

sul modo in cui ogni uomo, almeno una volta all'anno, deve devotamente ricordarsi<br />

<strong>della</strong> sua morte... <strong>Il</strong> primo giorno deve consacrarlo alla meditazione <strong>della</strong><br />

sua futura ultima infermità, il secondo a quella <strong>della</strong> confessione, il terzo <strong>della</strong><br />

estrema unzione, il quarto <strong>della</strong> comunione, il quinto <strong>della</strong> morte. Una volta,<br />

méntre essa stessa si proponeva di osservare quello che aveva insegnato agli<br />

altri... » "*.<br />

Questo può bastare per persuaderci <strong>della</strong> continuità in Gertrude<br />

tra preghiera liturgica e preghiera extraliturgica. Cosa, del resto che<br />

un lettore attento del secondo libro del Legatus, quello scritto di<br />

mano da Gertrude, doveva ben aspettarsi, poiché i capitoli di questo<br />

libro, in buona parte, non sono che ardenti preghiere, anzitutto di<br />

lode e di ringraziamento, in stretta connessione con le grazie ricevute<br />

nell'azione liturgica ed intessute ininterrottamente di reminiscenze<br />

liturgiche.<br />

Le devozioni e la <strong>liturgia</strong> in Gertrude<br />

Non meno che nella composizione di libelli, di preci e di esercizi,<br />

Gertrude fu del suo tempo per il forte sviluppo che ebbero nella<br />

sua pietà una serie di « devozioni » nel <strong>senso</strong> moderno, o se si vuole,<br />

medievale. Anche queste in lei sono ordinate e subordinate alla <strong>liturgia</strong><br />

come amplificazioni non necessariamente richieste, ma ad essa<br />

niente affatto contrarie, anzi con essa, mediante certe precauzioni,<br />

ottimamente armonizzabili. La pietà di Gertrude può passare per<br />

un ottimo esempio <strong>della</strong> possibilità di un forte connubio tra spirito<br />

devozionale medievale moderno e spirito liturgico.<br />

È noto che nel medioevo, cominciando specialmente dall'epoca carolingia<br />

e poi nuovamente dopo il secolo XI, le devozioni e le pratiche<br />

devozionali presero uno sviluppo immenso 148 . Non meno certo il<br />

fatto che alla stessa epoca vi fu forte influsso e riflusso tra <strong>liturgia</strong> e<br />

devozioni, non solo nel <strong>senso</strong> che molte devozioni si svilupparono all'inizio<br />

dalla <strong>liturgia</strong>, ma anche nel <strong>senso</strong> che la <strong>liturgia</strong> stessa accolse,<br />

più o meno abbondantemente e lentamente a seconda delle regioni,<br />

non pochi elementi che all'inizio ebbero un'origine puramente devozionale<br />

150 .<br />

Cominciando dal secolo IX, con il movimento di riforma capeggiato<br />

di S. Benedetto di Aniano, molti monasteri benedettini, per esempio,<br />

118 V 27 p. 584. Vedi anche V 4.<br />

149 Vedi, per es., cenni in L. GOUGAUD, Dévotions et pratiques ascétiques<br />

du moyen àge, Maredsous 1935.<br />

150 Abbondantemente e molto presto nelle regioni d'oltr'alpe; molto parsimoniosamente<br />

e lentamente, non di rado, con riluttanza, nella <strong>liturgia</strong> romana.<br />

Vedi, per es., J. LECLERCQ, art. cit. nella precedente nota 144, p. 155 s, nota 104.


DEVOZIONI ALL'UMANITÀ DI CRISTO 747<br />

avevano introdotto nella preghiera comune delle comunità non poche<br />

di queste devozioni d'origine dapprima privata. <strong>Il</strong> caso più notevole<br />

era la recita comune frequente, o anche quotidiana, dell'ufficio<br />

dei defunti, come ufficio supererogàtorio. Poi ci si aggiunse anche<br />

il piccolo ufficio <strong>della</strong> Madonna. Cluny aveva abbondantemente sviluppato<br />

questa tendenza. <strong>Il</strong> movimento cistercense segnò invece in<br />

questo campo una certa reazione, ma conservò parecchie usanze<br />

allora ormai comuni, come gli uffici supererogatori dei defunti e<br />

<strong>della</strong> Madonna. È in questo movimento che s'inserisce il monastero<br />

di Helfta. Negli scritti gertrudiani vediamo spesso allusioni alla pratica<br />

di questi due uffici con il conseguente forte rilievo dato alla<br />

devozione alla Madonna in genere e la grande cura di sollevare le<br />

anime del purgatorio.<br />

La devozione all'umanità di Nostro Signore in genere<br />

Ma nel campo delle devozioni la cosa più notevole in Gertrude,<br />

come nelle altre mistiche di Helfta, è la devozione generale all'umanità<br />

di Cristo che si manifesta in diversi modi. Questa devozione era<br />

andata sempre più aumentando dall'inizio del secolo XI ed aveva<br />

ricevuto impulso decisivo prima da S. Bernardo stesso, poi dal movimento<br />

francescano.<br />

La <strong>liturgia</strong>, naturalmente, ci presenta sempre e dappertutto Cristo<br />

come il grande ed unico mediatore verso il Padre. <strong>Il</strong> Cristo presentato<br />

dalla <strong>liturgia</strong>, anche antica, all'attenzione del fedele non è<br />

solo Cristo come Dio, ma come Dio e uomo nello stesso tempo, come<br />

nostro capo e nostro sacerdote anche nella sua umanità. I misteri<br />

di Cristo che ricorrono nella <strong>liturgia</strong> come aspetti particolari del suo<br />

unico mistero, sono i misteri <strong>della</strong> sua umanità unita alla divinità,<br />

anzitutto i misteri dell'infanzia e <strong>della</strong> sua passione, morte, risurrezione<br />

ed ascensione.<br />

È vero tuttavia che nella <strong>liturgia</strong>, formatasi sostanzialmente prima<br />

del medioevo, l'umanità di Cristo è presentata anzitutto come<br />

umanità ormai gloriosa. Ci si ferma poco nella considerazione <strong>della</strong><br />

sua umanità com'era prima <strong>della</strong> risurrezione, nel <strong>senso</strong> che, generalmente,<br />

l'attenzione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> passa rapidamente su quella fase<br />

per ricordare subito che quell'umanità è ormai nel suo stato glorioso.<br />

In una parola, la <strong>liturgia</strong> considera non tanto il Cristo nel suo stato<br />

di bambino, di adolescente, di adulto e di uomo sottomesso ai patimenti,<br />

uomo dei dolori; né considera talmente o cerca di rappresentare<br />

i sentimenti umani dell'uomo Dio bambino, adolescente, adulto,<br />

suppliziato; ma considera molto più Cristo che nacque, visse e patì<br />

ma è ora glorioso; non tanto il Christus patiens quanto il Christus<br />

passus et gloriosus.<br />

Orbene, specialmente a partire dal secolo XII e XIII, la pietà<br />

medievale a proposito dell'umanità di Cristo concentrò con predilezione<br />

la sua attenzione e il suo affetto proprio sul Christus patiens,


748 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

su Cristo adulto, su Cristo bambino, sull'umanità di Cristo come<br />

tale nelle diverse fasi <strong>della</strong> sua vita già prima <strong>della</strong> risurrezione,<br />

sforzandosi di rappresentarsi e di rivivere i suoi sentimenti di allora;<br />

sebbene, naturalmente, non dimenticasse affatto che Cristo è ora<br />

glorioso. Si tratta di accento, ma in questo <strong>senso</strong>, nel modo in cui<br />

la pietà medievale considerò l'umanità di Cristo, si può parlare giustamente<br />

di un certo spostamento d'accento rispetto al modo in cui<br />

lo presentava la <strong>liturgia</strong>. In questi limiti si può dire che nel medioevo<br />

nacque la devozione all'umanità di Cristo.<br />

Espressioni iconografiche e tipiche di questa devozione furono,<br />

per esempio, i presepi, il nuovo modo di rappresentare il crocifisso<br />

negli strazi del suo dolore. Espressioni devozionali di questo movimento<br />

furono, per esempio, le devozioni a Gesù Bambino, al presepio,<br />

alle diverse membra del corpo di Cristo, alla passione di Gesù, alle<br />

piaghe di Gesù, la via crucis. Espressioni mistiche <strong>della</strong> stessa tendenza<br />

furono, per esempio, le visioni di Gesù Bambino e le stigmate.<br />

La devozione al S. Cuore in specie<br />

Le mistiche di Helfta, e S. Gertrude in specie, fanno parte di<br />

questa corrente. Anzi in essa S. Metilde e S. Gertrude se non fanno<br />

figura proprio di iniziatrici, appaiono certo le più insigni tra i primi<br />

cultori <strong>della</strong> devozione al Sacro Cuore propriamente detta, che implica<br />

essenzialmente la considerazione, unita ad un affetto specialissimo<br />

ed abituale, del Cuore di carne di Cristo come simbolo del suo<br />

amore. La cosa è troppo nota nella storia <strong>della</strong> spiritualità e non è<br />

meno evidente negli scritti gertrudiani perché sia necessario insistere<br />

1M . <strong>Il</strong> Sacro Cuore di Gesù appare ovunque in massimo rilievo<br />

nelle relazioni tra Gertrude e Dio.<br />

A noi interessa notare come questa devozione, in Gertrude, vada<br />

in ottimo connubio con il suo spirito liturgico. A guardarci bene, la<br />

parte che il Cuore di Gesù ha nelle relazioni di Gertrude con Dio e<br />

nel suo modo di vedere tutte le cose, è semplicemente quella che,<br />

secondo la <strong>liturgia</strong>, è la parte di Cristo capo e mediatore presso Dio<br />

Padre, per il quale abbiamo l'unico accesso a Dio e per mezzo del<br />

quale ci vengono tutte le grazie di Dio. È semplicemente l'universale<br />

Per Christum Dominimi nostrum concretizzato nel simbolo del Cuore<br />

di Gesù, assieme ad una forte attenzione all'amore immenso e gratuito<br />

di Cristo per gli uomini come ultimo dinamismo ed ultima spiegazione<br />

<strong>della</strong> sua opera redentiva sacerdotale e mediatrice.<br />

Alla fine del secondo libro del Legatus, dopo aver riassunto<br />

l'essenziale delle straordinarie grazie da lei ricevute nei nove anni<br />

allora passati dal momento <strong>della</strong> sua donazione totale a Dio ed averne<br />

ringraziato il sommo donatore, ecco come Gertrude termina:<br />

1S1 Vedi, C. VAGAGGINI, La dévotion au Sacre Coeur chez Sainte Mechtilde<br />

et Sainte Gertrude, in: Cor Jesu, Herder Roma 1959 II pp. 31-48.


DEVOZIONE AL S. CUORE 749<br />

« Con questi pensieri e con tutti quelli che ora si affollano nella mia mente,<br />

li rendo quello che a te appartiene. Per l'organo soavemente melodioso del tuo<br />

Cuore divino, sotto l'azione dello Spirito Santo paraclito, ti canto o Signore<br />

Iddio, Padre adorabile, lode e ringraziamento da parte di tutte le creature,<br />

celesti, terrestri e infernali, che sono, furono e saranno » 152 .<br />

Gertrude esprime lo stesso pensiero quando parla del Cuore di<br />

Gesù come di una cetra che canta melodie divine davanti al Padre o<br />

a tutta la Trinità 15 \ o la chiama « organo <strong>della</strong> SS. Trinità » 154 , organo<br />

divino che suona a sommo diletto di tutta la Trinità e di tutta<br />

la celeste curia 1D5 ; e se lo rappresenta come un altare d'oro che Cristo<br />

stesso offre al Padre 156 ; come un turibolo che fuma dinanzi alla Trinità<br />

e con il fumo del quale vanno a confondersi le preghiere che la<br />

Chiesa innalza a Dio, ciò che dà loro mirabile splendore e profumo 15T ;<br />

come fonte scaturiente dal lato aperto dell'agnello in un calice d'oro<br />

di propiziazione anche per le anime del purgatorio ns . Queste immagini<br />

e molte altre del genere non sono altro che una concretizzazione<br />

del Per Christum Dominion nostrum <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Quindi, il tema <strong>della</strong> suppletio come maggiore determinazione<br />

del Per Christum Dominimi nostrum, unito esso stesso al tema del<br />

cuore: quello che si fa quaggiù non ha valore dinanzi a Dio che in<br />

unione con i meriti e le preghiere di Cristo in cielo, in unione con<br />

il suo Cuore:<br />

« Un'altra volta Gertrude si studiava di cantare e recitare con attenzione<br />

le singole note e le singole parole. Ma ne era troppo spesso impedita dall'umana<br />

fragilità. Disse quindi tra sé con mestizia: ''& cosa può giovare tale esercizio<br />

per chi è tanto instabile?". Non potendo sopportare tale mestizia, il Signore le<br />

presentò come dalle proprie mani, il suo Cuore deificato nella sembianza di<br />

una lampada ardente, e disse: "ecco il mio Cuore, organo sempre dolcissimo<br />

alla veneranda Trinità. Lo pongo dinanzi agli occhi <strong>della</strong> tua mente. A lui raccomanderai<br />

con fiducia di supplire a tutto quello che tu non riesci a fare. Così<br />

tatto quello che fai apparirà sommamente perfetto ai miei occhi. Come un servo<br />

sta sempre accanto al suo padrone pronto a fare tutto quello che egli vorrà,<br />

così il mio Cuore d'or'innanzi starà sempre accanto a te affinché ad ogni momento<br />

supplisca a tutte le tue negligenze" » 159 .<br />

In fondo, Gertrude ha sempre dinanzi agli occhi il Cristo ora<br />

glorioso seduto alla destra del Padre ad interpellandum prò nobis,<br />

realtà questa che è, come si sa, il fondamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. E, accentuando<br />

l'attenzione e l'affetto sull'umanità dello stesso Cristo e sul<br />

suo amore, introduce in quella visione il concetto di Sacro Cuore<br />

come simbolo di quest'amore redentore, mediatore, sacerdotale, uni-<br />

i" II, 23 p. 109.<br />

!" Per es., IV 48 p. 434 ss; IV 41 p. 416.<br />

154 IH 49 p. 219.<br />

i" V ì p. 500.<br />

"e IV 59 p. 490 s.<br />

" 7 IV 26 p. 384.<br />

"s iv 17 p. 566.<br />

"» III 25 p. 169.


750 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

ca porta al Padre, unico canale di grazie, che solo dà valore dinanzi<br />

alla Trinità ai poveri sforzi che si fanno sulla terra per raggiungere<br />

il cielo.<br />

Devozione alle membra, alle piaghe, alla passione<br />

di Nostro Signore<br />

r<br />

È nello stesso clima che si sviluppano in Gertrude le devozioni<br />

alla passione del Signore, alle sue membra, alle sue piaghe, devozioni<br />

che hanno anch'esse notevole rilievo nella pietà <strong>della</strong> nostra<br />

santa. Ecco un testo caratteristico: Cristo stesso dice a Gertrude<br />

cosa si dovrebbe manifestare agli uomini per loro maggiore utilità:<br />

« E molto utile agli uomini far loro sapere che sarebbe loro oltremodo<br />

vantaggioso di ricordarsi di questo: che io, il Figlio <strong>della</strong> Vergine, per la salvezza<br />

degli uomini, sto dinanzi a Dio Padre. Ogni volta che essi, per umana<br />

fragilità, peccano con il loro cuore, io offro al Dio Padre, in riparazione per<br />

loro, il mio Cuore immacolato. Quando peccano per la bocca, offro la mia innocentissima<br />

bocca. Quando peccano per le mani, io presento le mie mani perforate.<br />

E così similmente per il resto: per ogni modo che peccano, la mia innocenza<br />

placa subito Dio Padre, tanto che ogni peccatore pentito ottiene facilmente<br />

il perdono. Vorrei dunque che i miei eletti, ogni volta che ottengono<br />

il richiesto perdono dei peccati, mi ringraziassero perché ho loro impetrato<br />

quello che hanno così facilmente ottenuto » 160 .<br />

In questo testo si vede benissimo il <strong>senso</strong> generale <strong>della</strong> devozione<br />

alle membra del corpo del Signore, compreso il suo Cuore, alla<br />

sua passione e alle sue piaghe. Di nuovo: si tratta del dogma generale<br />

di Cristo redentore, mediatore, capo e sacerdote, principalmente<br />

nella sua passione, che continua ora la sua opera presso il Padre;<br />

dogma generale che, in queste devozioni, viene concretizzato, più di<br />

quanto fa esplicitamente la <strong>liturgia</strong>, nella considerazione, accompagnata<br />

da forte affettività, delle singole membra dell'umanità di Cristo<br />

che furono sulla terra, a loro modo, strumento sostanziale <strong>della</strong><br />

redenzione.<br />

Quindi l'attenzione e l'affetto di Gertrude per le membra del<br />

corpo del Signore. <strong>Il</strong> giorno di Natale recita 225 volte un'orazione:<br />

laudo, adoro ecc.. in onore delle 225 membra di cui, secondo una<br />

certa fisiologia medievale, si componeva questo corpo. E per questa<br />

intenzione Gertrude ottiene di purificare e santificare le proprie<br />

225 membra iei . Ma è specialmente nella meditazione <strong>della</strong> passione<br />

che Gertrude sta attenta alle membra del Signore, come quella<br />

domenica di passione nella quale:<br />

« Ispirata da Dio cominciò a salutare dall'intimo del suo cuore ogni membro<br />

del Signore che, per la nostra salvezza, fu tormentato con diversi supplizi<br />

nella passione. E mentre salutava ciascun membro del Signore subito da ognu­<br />

no III 40 p. 203 s.<br />

i« IV 2 p. 293.


DEVOZIONE ALLE MEMBRA DI CRISTO 751<br />

no procedeva divinamente un mirabile splendore che irraggiava l'anima di Gertrude<br />

» 162 .<br />

Nello stesso modo è grandissima in Gertrude la devozione per<br />

le sante piaghe. Secondo un'opinione medievale queste piaghe erano<br />

nel numero di 5466. In preparazione alla Festa dell'Ascensione, vediamo<br />

Gertrude recitare 5466 volte; in onore delle 5466 piaghe del<br />

Signore, la seguente orazione : « Gloria a te, soavissima, dolcissima,<br />

fulgida e sempre tranquilla, giocondissima e gloriosissima Trinità,<br />

per le rosee piaghe del mio unico diletto » 163 .<br />

Nella considerazione <strong>della</strong> passione del Signore in genere Gertrude<br />

trovava il suo sommo piacere. Le testimonianze dei suoi scritti<br />

in questo <strong>senso</strong> sono insistenti e caratteristiche. La sua confidente<br />

ci fa sapere esplicitamente che Gertrude : « Con grande devozione<br />

meditava ardentemente e quasi incessantemente la dolcissima passione<br />

di Cristo, erte sembrava quasi ruminare come miele nella bocca,<br />

melodia negli orecchi e giubilo nel cuore » 161 . Gertrude se la<br />

rappresentava molto realisticamente, come nella scena <strong>della</strong> flagellazione<br />

che vide quella prima domenica di quaresima quando :<br />

« Circa l'ora di terza le apparve il Signore nella posizione <strong>della</strong> flagellazione<br />

alla colonna, legato in piedi tra due soldati dei quali uno sembrava batterlo<br />

con le spine e l'altro con un flagello nodoso. E tutti e due battevano nella faccia<br />

per cui essa appariva tanto misera da spezzare il cuore e commuovere a<br />

compassione tutte le viscere di chiunque l'avesse visto. Talmente che, per tutto<br />

quel giorno, ogni volta che Gertrude si ricordava di quella scena non poteva<br />

contenere le lacrime. Stimava che nessun uomo fosse mai stato visto sulla terra<br />

in così miserabile aspetto come il Signore le apparve allora. Quella parte <strong>della</strong><br />

sua faccia che pareva essere battuta dalle spine, le appariva talmente dilacerata<br />

che anche l'interno <strong>della</strong> pupilla era ferita, ed inoltre, anche livida per il tumore<br />

deL flagello nodoso. Per l'amarezza <strong>della</strong> passione il Signore sembrava<br />

allontanare la faccia ma mentre l'allontanava da uno, l'altro infieriva più ferocemente<br />

contro di Lui » le5 .<br />

Qui anche si riallaccia l'amore di Gertrude per l'immagine del<br />

crocifisso 166 , e, finalmente, il fenomeno mistico delle stimmate sopra<br />

riferito. Secondo lo spirito liturgico generale di Gertrude questa<br />

devozione si esprime in lei specialmente in connessione con i giorni<br />

liturgici <strong>della</strong> settimana santa, o comunque del periodo dalla Quaresima<br />

all'Ascensione, ma anche i venerdì ordinari <strong>della</strong> settimana.<br />

i« iv 22 p. 364.<br />

«a IV 35 p. 399. Vedi anche III 9; III 13; III 14; III 49; III 73; IV 2 p. 291;<br />

IV 21 p. 363.<br />

ie« IV 25 p. 381.<br />

165 IV 15 p. 348. Vedi anche, per es., tutti i capitoli da III 39 a IJI 45;<br />

inoltre, IV 4; IV 15; IV 16; IV 22.<br />

>»« Per es., <strong>Il</strong>i 41; III 43.


752 CAP. XXII - S. GERTRUDE E SPIRITUALITÀ LITURGICA<br />

Conclusione<br />

Ripetiamo che per poter proporre oggi Gertrude come esempio<br />

di spiritualità liturgica bisogna tener presenti i limiti di questo<br />

esempio — come di ogni esempio — perché esempio medieevale, lontano<br />

da noi, perché esempio di donna, di monaca e di monaca benedettina.<br />

Tuttavia, si può dire, per cominciare, che anche oggi e<br />

fuori dei benedettini e delle benedettine, non sono poi tanto pochi tra<br />

noi quelli che si trovano a vivere in un quadro di vita non tanto dissimile<br />

da quello in cui visse Gertrude. Basti pensare a quelle comunità<br />

che fanno comunque vita corale. Ora, anche tra queste, non sono rare<br />

quelle di cui si può dire che, pur passando una parte notevole del<br />

loro tempo in coro e nelle funzioni liturgiche, non hanno ancora<br />

scoperto la <strong>liturgia</strong>. L'esempio di Gertrude può essere molto salutare<br />

per far loro prendere coscienza di questa anomalia.<br />

Per tanti altri, oggi, il quadro di vita nel quale devono vivere è,<br />

effettivamente, molto diverso da quello in cui visse Gertrude. Ma<br />

anche per loro la meditazione del caso di Gertrude conserva un gran<br />

valore. Ed anzitutto per il suo esempio di meravigliosa interiorizzazione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel <strong>senso</strong> di perfetta vibrazione dell'individuo in<br />

sintonia con la realtà oggettiva del mondo liturgico. Tutti possono<br />

vedere in Gertrude quanto <strong>liturgia</strong> e vita spirituale intensa vadano<br />

molto bene insieme. Più precisamente, in specie, tutti possono vedere<br />

in Gertrude come la vita liturgica più intensa ed integrale possa<br />

andare in perfetto connubio con la vita mistica più alta. Come preghiera<br />

liturgica e preghiera e meditazione privata possano e debbano<br />

andare insieme. Anzi come possano e, fino a un certo punto, anche<br />

debbano, andare insieme spiritualità liturgica e devozioni, perché<br />

non è possibile che chi vive intensamente la vita divina, sia pure<br />

nel quadro <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, non abbia anche qualche devozione, nel<br />

<strong>senso</strong> sopra spiegato; come non è normale che la detta devozione<br />

non sia assunta, convogliata e vivificata dallo spirito liturgico che<br />

la domini e la plasmi.


CAPITOLO XXIII<br />

LITURGIA E PASTORALE. I PRINCIPI<br />

Chi terminasse le sue considerazioni intorno alla <strong>liturgia</strong> sul tema<br />

di <strong>liturgia</strong> e spiritualità come tendenza alla perfezione cristiana,<br />

specialmente sul punto particolare dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e mistica,<br />

potrebbe rimanere con l'impressione che la <strong>liturgia</strong> e la spiritualità,<br />

che in essa s'incentra, sono forse qualcosa di teologicamente molto<br />

fondato ed anche, se si vuole, molto bello, ma, nello stesso tempo,<br />

molto aristocratico; qualcosa che è fatto per un ceto di anime elette<br />

e non può quindi, di fatto e di diritto, interessare sul serio la massa<br />

del popolo, specialmente quella di oggi che è scristianizzata o in<br />

pericolo prossimo di esserlo, e quindi, nemmeno tutti coloro che<br />

proprio di questa massa concreta, e non di cenacoli particolari, hanno<br />

la cura e la responsabilità spirituale dinanzi a Dio.<br />

Lo studio dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e pastorale, completando il<br />

panorama <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> teologica generale, deve dissipare quest'impressione<br />

e far vedere quanto la questione liturgica incida profondamente<br />

nelle stesse situazioni più concrete che oggi assillano ed<br />

impegnano il lavoro <strong>della</strong> Chiesa per l'intero popolo cristiano e principalmente<br />

proprio per le masse dei fedeli.<br />

Non si tratta di entrare nei particolari del lavoro spicciolo <strong>della</strong><br />

pastorale liturgica; e nemmeno di entrare nei particolari delle questioni<br />

teoriche che pongono i rapporti tra pastorale e <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong><br />

messa, dei sacramenti, dei sacramentali e dell'anno liturgico, materia<br />

questa riservata alla <strong>liturgia</strong> teologica speciale. Si vorrebbe solo<br />

porre in chiaro i princìpi teologici generali che governano questo<br />

campo e fare intravvedere le prospettive generali che dischiude la<br />

loro applicazione a questa materia nel suo insieme.


754 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

1. DALLA NOZIONE DI PASTORALE IN GENERE<br />

Definizione <strong>della</strong> pastorale<br />

Per pastorale nel <strong>senso</strong> più largo, s'intende qui: l'arte di condurre<br />

e conservare il popolo a Cristo. Nozioni equivalenti sono, per<br />

esempio: l'arte di condurre e conservare il popolo a Cristo e Cristo<br />

al popolo; il popolo a Dio in Cristo e Dio in Cristo al popolo; l'arte<br />

di realizzare e conservare l'incontro tra il popolo e Cristo. Esplicitando<br />

alcuni punti, per altro già contenuti nel predetto concetto,<br />

si può anche definire la pastorale: l'arte di condurre e conservare<br />

il popolo a Cristo e Cristo al popolo, nel quadro <strong>della</strong> Chiesa, attraverso<br />

i mezzi indicati da Cristo stesso assieme con quelli determinati<br />

dalla Chiesa e con quelli eventualmente imposti o suggeriti migliori<br />

dalla stessa natura o dalle condizioni concrete di fatto del popolo.<br />

L'incontro si fa quando il popolo riceve la santificazione di Dio<br />

in Cristo e risponde come deve a quest'azione di Dio in Cristo. Siccome<br />

però, questa santificazione e questa risposta possono avere<br />

gradi diversi, la pastorale tende a raggiungere il grado più perfetto<br />

possibile. Cerca dunque non soltanto di strappare il popolo al peccato<br />

mortale e far sì che viva in stato di grazia, ma anche di condurlo<br />

allo sviluppo possibilmente plenario di questa grazia.<br />

La pastorale presuppone, tra le molte altre cose, che Dio tratta<br />

gli uomini secondo la legge <strong>della</strong> salvezza in comunità; che questa<br />

comunità è la comunità ecclesiale gerarchicamente strutturata nella<br />

quale Dio agisce su gli uomini mediante altri uomini, suoi mandatari,<br />

ai quali incombe di prestare, a questo titolo, la loro opera strumentale<br />

a Cristo ed essere così pastori sotto il pastore supremo; che<br />

Dio stesso ha determinato, fino a uh certo punto, le modalità dell'incontro<br />

con gli uomini ed ha lasciato ulteriori determinazioni<br />

alla Chiesa; che nell'opera dei pastori nella Chiesa è Dio stesso in<br />

Cristo che opera esternamente, mentre internamente agisce con la<br />

sua grazia.<br />

La pastorale come arte<br />

La teologia pastorale è la scienza teologica dell'arte di condurre<br />

e conservare il popolo a Cristo. È molto importante rendersi conto<br />

che la pastorale è un'arte e la teologia pastorale la teologia di quest'arte.<br />

Ogni arte e ogni scienza che ha per oggetto un'arte, sta in<br />

intima relazione all'esecuzione anche effettiva <strong>della</strong> sua operosità<br />

alla quale tende e nella quale si compie. È così che l'arte militare, e


L'ARTE PASTORALE 755<br />

quindi la scienza militare che ha per oggetto l'arte militare, tende<br />

intrinsecamente alla prassi militare ed in essa si compie.<br />

Ogni arte e ogni scienza dell'arte ricava i princìpi che dirigono<br />

l'operare nella materia di cui si occupa, in primo luogo dal fine<br />

da raggiungere, poi dalla natura immutabile delle cose implicate e,<br />

finalmente, dal loro stato di fatto contingente come si verifica sia più<br />

o meno abitualmente sia, e principalmente, nel momento considerato.<br />

Al momento di agire, l'azione, per ottenere il fine, deve adeguarsi<br />

allo stato presente delle cose implicate. E così che, per restare nello<br />

stesso esempio, le massime e i princìpi che sono il frutto ultimo<br />

<strong>della</strong> scienza militare, aventi rapporto all'operosità militare, sono<br />

ricavati dal fine cui tende specificamente quest'operosità: la vittoria<br />

dell'esercito da ottenere; dalla natura delle cose ivi implicate: ossia:<br />

dell'uomo, dello spazio, del tempo, dei mezzi usati, come le armi da<br />

usare; in terzo luogo dallo stato contingente abituale o momentaneo<br />

delle cose implicate. Con il mutarsi di questo stato deve adeguarsi<br />

l'azione concreta e i princìpi che formulano le direttive dell'operazione.<br />

Lo stato contingente abituale delle cose implicate non può essere<br />

ricavato che per induzione da molte esperienze dirette o indirette;<br />

quello momentaneo al momento stesso di operare può essere conosciuto<br />

solo per esperienza immediata ed intuito immediato che<br />

è come la facilità e la rapidità di cogliere quello stato e di adattarvi<br />

l'azione. Questa facilità: o la si possiede per buona disposizione di<br />

natura, o la si ottiene, almeno in parte, per il lungo esercizio, e comunque,<br />

in questo, sempre si sviluppa.<br />

Dal che si vede quanto l'esperienza sia sovrana in ogni prassi<br />

d'arte e in ogni scienza <strong>della</strong> stessa. Perché in ogni arte, trattandosi<br />

di un'operazione concreta in vista di raggiungere un fine determinato,<br />

l'azione deve adeguarsi non solo alla natura generica e immutabile<br />

delle cose implicate, ma anche al loro stato momentaneo; sotto pena<br />

di non raggiungere il fine prefisso, i princìpi teorici <strong>della</strong> scienza<br />

vanno continuamente ripensati in funzione del mutare concreto delle<br />

situazioni. È così che, in questo campo, anche quando si tratta <strong>della</strong><br />

scienza d'un'arte, e non solo <strong>della</strong> sua prassi, è perfettamente giustificata<br />

l'istintiva diffidenza che si prova contro quelli che vengono<br />

detti teorici a tavolino. È così pure che nella stessa prassi di un'arte<br />

ha sovrana importanza l'intuito, la facilità e la rapidità a cogliere<br />

lo stato concreto delle cose implicate e ad adeguarvi l'azione in vista<br />

di raggiungere il fine; facilità che, come si è detto, si ha per natura<br />

o si acquista in parte, ma sempre si esercita e si sviluppa per il lungo<br />

esercizio.<br />

Ma non basta il lungo esercizio e l'intuito pratico nell'azione per<br />

avere la scienza dell'arte. Per questa è richiesto anche la forza di<br />

riflessione e di sintesi teoretica intorno alle proprie azioni e a quelle<br />

altrui. Nella prassi dell'arte una larga esperienza e l'intuito pratico<br />

sono più importanti; nella scienza <strong>della</strong> stessa e quindi nel condurre<br />

ed indirizzare gli altri nella stessa, occorrono, inoltre, la riflessione<br />

e la forza di sintesi.


756 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

Tutto questo vale a suo modo, anche per la pastorale e la teologia<br />

pastorale. L'arte di condurre e conservare il popolo a Cristo e<br />

Cristo al popolo, appunto perché, arte, deve fare i conti con un aspetto<br />

immutabile e con un aspetto mutabile e contingente. L'aspetto immutabile<br />

è determinato dai seguenti fattori : anzitutto dal fine stesso<br />

che non muta mai : condurre e conservare il popolo a Cristo e Cristo<br />

al popolo e ciò nel seno <strong>della</strong> Chiesa; poi da una serie di mezzi<br />

determinati come indispensabili allo scopo da Cristo stesso per volontà<br />

positiva: come i sacramenti, la struttura gerarchica <strong>della</strong> Chiesa;<br />

inoltre, la natura dell'uomo che dev'essere condotto e conservato<br />

a Cristo con tutto quello che da questa natura necessariamente deriva.<br />

L'aspetto più o meno mutabile è invece rappresentato dalle disposizioni<br />

contingenti e mutabili abituali o momentanee del popolo da<br />

condurre e conservare a Cristo e dai mezzi positivi d'istituzione ecclesiastica<br />

liberamente determinati dalla Chiesa come concretizzazioni<br />

particolari dei mezzi imposti dalla natura o dalla positiva libera<br />

volontà di Cristo. In questi mezzi d'istituzione ecclesiastica è annoverata<br />

una grande parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e tutta la legislazione positiva<br />

disciplinare canonica.<br />

La pastorale deve tenere conto di tutto questo. In essa il fine e<br />

i mezzi immutabili, nonché quelli di per sé mutabili d'istituzione<br />

positiva ecclesiastica, possono essere conosciuti per insegnamento<br />

astratto come si può imparare la natura d'una cosa, la volontà positiva<br />

d'un altro e la legislazione di una società. Le disposizioni abituali<br />

o momentanee del popolo, riguardo alla sua conduttibilità e conservabilità<br />

a Cristo, non possono essere conosciute che per esperienza<br />

e per intuizione.<br />

Nell'operosità pastorale, l'adeguamento dell'agire concreto alle<br />

disposizioni momentanee del soggetto in vista di condurlo e conservarlo<br />

a Cristo tenuto conto <strong>della</strong> sua natura, <strong>della</strong> volontà positiva<br />

di Cristo e <strong>della</strong> disciplina <strong>della</strong> Chiesa, è oggetto dell'arte pastorale<br />

come prudenza pastorale in atto singolo. Mentre la teologia pastorale,<br />

come scienza pastorale, dirige l'azione pastorale solo in universale<br />

e in astratto, indicando e motivando scientificamente i princìpi<br />

generali che la reggono e che non potranno poi essere applicati ai casi<br />

singoli in concreto che sotto la direzione <strong>della</strong> prudenza pastorale.<br />

<strong>Il</strong> popolo oggetto <strong>della</strong> pastorale<br />

Oggetto a cui s'indirizza la pastorale è il popolo. Questo concetto<br />

va qui precisato per la singolare importanza che ha nella questione<br />

dei rapporti tra pastorale e <strong>liturgia</strong>. La Chiesa ha il dovere di condurre<br />

e conservare a Cristo ogni umano individuo. La salvezza contiene<br />

indiscutibilmente un aspetto profondamente individuale. Ma,<br />

nel pieno rispetto di questa realtà individuale, vi è anche la legge<br />

<strong>della</strong> salvezza in comunità, com'è stato spiegato a suo luogo. Per<br />

questo la realtà individuale <strong>della</strong> salvezza va intesa non solo non


POPOLO E PASTORALE 757<br />

fuori e tanto meno contro la comunità, ma nel quadro <strong>della</strong> comunità<br />

e attraverso la comunità.<br />

Come sempre quando una realtà, specialmente quando una norma<br />

di azione, consta di due termini — tanto più se questi sembrano antitetici,<br />

come: Dio-uomo, grazia-libertà, oggetto-soggetto, individuocomunità<br />

— il metodo e i risultati pratici sono notevolmente diversi<br />

se, pur rispettando i due termini senza mai eliminarne uno dei due<br />

a favore dell'altro, si mette però l'accento su l'uno anziché su l'altro.<br />

Così anche quando si tratta dell'arte pastorale. Nessuna pastorale<br />

può ignorare e nessuna pastorale cattolica ignora sia l'aspetto individuale<br />

<strong>della</strong> salvezza sia il suo aspetto comunitario. Ma tuttavia vi<br />

possono essere, e vi sono difatto, notevoli sfumature di metodo e di<br />

risultati se, nella teoria, o nella prassi pastorale, si mette l'accento<br />

sull'individuo invece che sulla comunità, o al contrario sulla comunità<br />

invece che sull'individuo. Nel primo caso la formula che esprime<br />

l'oggetto <strong>della</strong> pastorale sarà: salvare gli individui conducendoli e<br />

conservandoli a Cristo nel seno <strong>della</strong> comunità; nel caso contrario<br />

la formula sarà che oggetto <strong>della</strong> pastorale è: portare e conservare<br />

a Cristo la comunità nella quale e attraverso la quale si possano<br />

salvare gli individui.<br />

Le due formule hanno conseguenze diverse assai pratiche sia per<br />

la pastorale missionaria nei paesi non cattolici, sia per quella esercitata<br />

in paesi detti cattolici. Esisteva una discussione pochi anni or<br />

sono intorno allo scopo specifico dell'attività missionaria in paesi<br />

di missioni estere. La soluzione accettata da tutti fu che, in quei<br />

paesi, lo scopo specifico delle missioni è di fondarvi la Chiesa nella<br />

quale possano salvarsi gli individui 1 . In questa formula l'aspetto<br />

comunitario dell'azione missionaria in genere è messo nettamente<br />

al primo piano.<br />

Don Michonneau ha giustamente attirato l'attenzione sul fatto che<br />

un analogo problema esiste anche per la pastorale in paesi tradizionalmente<br />

cristiani, specialmente ora che il loro cristianesimo è, in<br />

gran parte, più nominale che reale : « nell'apostolato vi sono due<br />

grandi tendenze che potremmo sintetizzare con questi due titoli: ci<br />

sono "i salvatori d'anime" e i "costruttori di cristianità" 2 . I primi<br />

sono assillati direttamente dal più gran numero possibile di anime<br />

da salvare con tutti i mezzi possibili, anche spiccioli, tra gli uomini<br />

che vivono oggi; gli altri lo sono invece dal problema di cristianizzare<br />

la società come tale. Essi vogliono costruire a lunga scadenza anche<br />

se, per ciò fare, dovessero impiegarvi un tempo più lungo ed essere<br />

momentaneamente impediti di raggiungere un certo numero d'individui<br />

che, adottando l'altro sistema, potrebbero più o meno efficacemente<br />

influenzare. Si attengono a questo punto di vista affinché,<br />

domani, una società più cristianizzata possa più efficacemente garan-<br />

' Vedi Enciclica Evangelii praecones di Pio XII del 21 Giugno 1951. Vedi<br />

I. PAULON, Plantatio Ecclesia. <strong>Il</strong> -fine specifico delle missioni, Parma 1953.<br />

- Parrocchia, comunità missionaria, trad. ital. Ed. Paoline, 2 ed. 1949, p. 91.


758 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCIPI<br />

tire la salvezza, nel seno <strong>della</strong> comunità, a un numero d'individui<br />

tutto sommato, maggiore.<br />

La differenza dei due punti di vista sta essenzialmente nell'importanza<br />

maggiore o minore data all'ambiente comunitario per la<br />

salvezza degl'individui. Quelli che Don Michonneau chiama: costruttori<br />

di cristianità pensano a più lunga scadenza e in modo più<br />

comunitario.<br />

Teologicamente parlando, non vi è dubbio che la concezione<br />

comunitaria debba avere la predecenza, appunto perché pensa ed<br />

opera più organicamente, con piani che, pur essendo a più lunga<br />

scadenza, sono più efficaci per il fine che si vuole ottenere. <strong>Il</strong> motto<br />

che Pio XI dette alle missioni estere : « "fondare la Chiesa", a rifletterci<br />

bene, un po' modificato nella sua espressione, deve essere necessariamente<br />

il motto di ogni pastorale: portare e conservare a Cristo<br />

la comunità affinché in essa si possa più efficacemente e più a lungo<br />

salvare il maggior numero d'individui. L'oggetto diretto <strong>della</strong> pastorale<br />

deve essere dunque non il popolo somma sconnessa d'individui,<br />

ma il popolo comunità, matrice e ambiente vitale degli individui.<br />

Pensare la pastorale comunitariamente, vuol dire dare in essa<br />

grande importanza alla massa popolare e farne oggetto <strong>della</strong> massima<br />

cura, appunto perché la massa popolare costituisce la massa<br />

<strong>della</strong> comunità e che la Chiesa ha per missione di portare e conservare<br />

anime a Cristo in numero più grande possibile. La Chiesa deve<br />

estendere la sua cura pastorale a tutti i gruppi, nessuno escluso,<br />

o semplicemente negletto. La pastorale come la Chiesa non è e non<br />

può essere classista in nessuno dei sensi che in politica si dà oggi<br />

a questa parola. Tuttavia, ove la comunità costituita o da costituire<br />

è composta anzitutto di masse popolari, è ovvio che la pastorale<br />

debba essere innanzitutto pastorale di masse popolari. Siccome poi,<br />

questa è di gran lunga la regola, tanto che i casi diversi, in paragone<br />

a quella regola, sono eccezioni relativamente rare, la logica e il fine<br />

stesso <strong>della</strong> pastorale esigono in massima che la pastorale sia popolare,<br />

ossia adatta allo stato delle masse popolari che deve condurre<br />

e conservare a Cristo. Le eccezioni sono ammesse, ritenute legittime<br />

e necessarie, appunto in gruppi ristretti e in ambienti che non sono<br />

di masse popolari. Quando dunque si dice che la pastorale si indirizza<br />

al popolo, bisogna intenderlo non solo del popolo comunità,<br />

ma, inoltre, per regola generale, del popolo comunità popolare.<br />

Che oggi poi, questa necessità sia più urgente e sentita, è ovvio<br />

dalla semplice considerazione che è proprio la massa del popolo<br />

che è maggiormente scristianizzata o in pericolo immediato di esserlo<br />

— il grande scandalo dei nostri tempi, come diceva Pio XI —;<br />

che le condizioni di questa massa sono maggiormente mutate e<br />

mutano ogni giorno, e che questa massa prende ogni giorno maggiore<br />

peso nella vita <strong>della</strong> società. Tanto che quell'importanza che prima<br />

poteva spettare ad altre classi sociali per determinare l'andamento<br />

generale <strong>della</strong> società, oggi è sempre niù trasferita immediatamente<br />

alla massa popolare.<br />

Per la cristianizzazione di grandi masse di popolo negli stessi


POPOLO E PASTORALE 759<br />

paesi tradizionalmente cristiani la pastorale, oltre che essere prevalentemente<br />

pastorale di comunità popolare, deve, più che per il<br />

passato, essere pastorale missionaria, ossia conquistatrice di masse<br />

aliene o alienate dalla Chiesa, e non solo conservatrice di quelle<br />

rimaste fedeli. Questa realtà che la pastorale debba essere missionaria<br />

non solo in terre pagane, ma, in non pochi casi, anche in terre<br />

tradizionalmente cristiane di nome, è ormai ben nota, dopo l'allarme<br />

dato da Don Godin e dai suoi amici.<br />

Ogni pastorale implica un elevamento del popolo perché la meta<br />

da raggiungere, Dio in Cristo, è una meta trascendente. Ma è un<br />

elevamento di natura essenzialmente spirituale, non necessariamente<br />

e per sé di natura culturale. In pastorale, elevazioni di altro genere<br />

non possono essere prese in considerazione che come mezzi al fine<br />

essenziale. Si deve chiedere al popolo di elevarsi a Dio in Cristo e<br />

quindi a tutti quei mezzi a questo scopo da Cristo indicati come<br />

necessari sempre e per tutti.<br />

Questo elevamento essenziale comporta necessariamente difficoltà<br />

e sacrifici che il pastore non può risparmiare al popolo perché sono<br />

inerenti al fine trascendente da raggiungere. Ma oltre a questi sacrifici<br />

necessari non si può né si deve chiederne al popolo altri non necessari<br />

allo scopo. <strong>Il</strong> pastore deve adattare al popolo tutti i mezzi<br />

mutabili ed adattabili per raggiungere lo scopo finale, né imporre<br />

sacrifici non necessari perché non richiesti da Cristo per raggiungere<br />

quel fine. In questo <strong>senso</strong>, ogni pastorale comporta non solo<br />

una elevazione del popolo ma anche un adattamento al popolo e si<br />

può parlare non solo di portare il popolo a Cristo, ma anche Cristo<br />

al popolo. Tra questi adattamenti uno dei più importanti è il fattore<br />

progressivo perché la pastorale implica una educazione e in ogni<br />

educazione il fattore tempo è essenziale.<br />

La cellula comunitaria conservatrice e conquistatrice del popolo<br />

a Cristo è la parrocchia. In questa cellula l'azione pastorale si concretizza<br />

praticamente in quattro generi di operosità: predicazione<br />

e catechesi; amministrazione dei sacramenti, dei sacramentali e,<br />

in genere, compimento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>; quelle che oggi si dicono: le<br />

opere parrocchiali, come l'azione cattolica, i circoli ricreativi, le<br />

opere d'insegnamento generale, quelle di beneficenza e simili; i contatti<br />

individuali fuori dei tre precedenti casi.<br />

2. L'UNIONE TRA PASTORALE E LITURGIA<br />

Quello che si è detto fin qui intorno alla nozione di pastorale<br />

in genere, ha carattere di semplice richiamo di quei punti che a<br />

noi maggiormente interessano per determinare i rapporti tra pastorale<br />

e <strong>liturgia</strong>. Ora, in questo campo, la prima costatazione è che


760 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

questi rapporti sono molto intimi già perché la pastorale non può<br />

fare a meno <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> per raggiungere il suo fine.<br />

La <strong>liturgia</strong>, per sua natura,<br />

centro, meta e fonte <strong>della</strong> pastorale<br />

Intorno all'unione tra <strong>liturgia</strong> e pastorale il concilio vaticano<br />

II ha detto una parola decisiva. Infatti, la sua asserzione che la<br />

<strong>liturgia</strong>, pur non esaurendo tutta l'azione <strong>della</strong> Chiesa (art. 9), è<br />

tuttavia il culmine verso cui questa è diretta e la fonte da cui<br />

promana tutta la sua forza (art. 10), è intesa dal concilio non solo<br />

in rapporto alla vita spirituale dei fedeli in genere (art. 11-13), come<br />

sopra 3 si è spiegato, ma anche e direttamente in rapporto al<br />

ministero dei pastori. Ciò risulta dagli articoli 9 e 10. Bisogna<br />

rileggere questi articoli nel presente contesto:<br />

« La sacra <strong>liturgia</strong> non esaurisce tutta l'azione <strong>della</strong> Chiesa. Infatti, prima<br />

che gli uomini possano accostarsi alla <strong>liturgia</strong>, bisogna che siano chiamati<br />

alla fede e si convertano : « Come potrebbero invocare colui nel quale non<br />

hanno creduto? E come potrebbero credere in colui che non hanno udito? E<br />

come potrebbero udire senza chi predichi? E come predicherebbero senza essere<br />

mandati?» (Rm 10,14-15).<br />

Per questo motivo la Chiesa annunzia il messaggio <strong>della</strong> salvezza a coloro<br />

che ancora non credono, affinché tutti gli uomini conoscano l'unico vero Dio<br />

e il suo inviato. Gesù Cristo, e si convertano dalle loro vie facendo penitenza.<br />

Ai credenti poi essa ha sempre il dovere di predicare la fede e la penitenza;<br />

deve inoltre disporli ai sacramenti, insegnar loro ad osservare tutto ciò che<br />

Cristo ha comandato, ed incitarli a tutte le opere di carità, di pietà e di apostolato,<br />

attraverso le quali si renda manifesto che i seguaci di Cristo, pur non<br />

essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e rendono gloria<br />

al Padre dinanzi agli uomini » (art. 9).<br />

« Nondimeno la <strong>liturgia</strong> è il culmine verso cui tende l'azione <strong>della</strong> Chiesa<br />

e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù. Poiché il lavoro apostolico<br />

è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo,<br />

si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio<br />

e alla mensa del Signore.<br />

A sua volta, la <strong>liturgia</strong> spinge i fedeli, nutriti dai « sacramenti pasquali »<br />

a vivere « in perfetta unione » e domanda che esprimano nella vita « quanto<br />

hanno ricevuto mediante la fede ». La rinnovazione poi dell'alleanza di Dio con<br />

gli uomini nell'eucaristia introduce ed accende i fedeli nell'impellente carità di<br />

Cristo. Dalla <strong>liturgia</strong>, dunque, e particolarmente dall'eucaristia, deriva in noi,<br />

come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia, quella santificazione<br />

degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono<br />

come a loro fine, tutte le altre attività <strong>della</strong> Chiesa » (art. 10).<br />

Queste affermazioni sono tanto più importanti in quanto, nelle<br />

intenzioni del concilio, esse costituiscono il cuore stesso <strong>della</strong> Costituzione<br />

sulla <strong>liturgia</strong>, la cui impostazione prevalentemente pasto-<br />

» Cap. XXI, p. 626 s.


LITURGIA CULMINE E FONTE 761<br />

rale è ben nota 4 . Di questo si ha una riprova nell'Istruzione del<br />

26 Settembre 1964, nella quale si legge 5 :<br />

« In primo luogo è necessario che tutti si persuadano che lo scopo <strong>della</strong><br />

Costituzione del concilio vaticano II sulla sacra <strong>liturgia</strong> non è solo di cambiare<br />

le forme e i testi liturgici, ma molto più di promuovere quella formazione<br />

dei fedeli e quell'azione pastorale che abbia la <strong>liturgia</strong> come culmine e come<br />

fonte. I mutamenti introdotti o da introdurre nella sacra <strong>liturgia</strong> mirano a<br />

questo fine » (n. 5).<br />

« Lo scopo inteso da quest'azione pastorale da ordinarsi intorno alla <strong>liturgia</strong>,<br />

consiste a far vivere e manifestare il mistero pasquale, nel quale il<br />

Figlio di Dio incarnato, fatto obbediente fino alla morte <strong>della</strong> croce, viene esaltato,<br />

nella risurrezione e nell'ascensione, tanto da essere costituito colui che<br />

comunica al mondo la vita divina per la quale gli uomini, morti al peccato e<br />

conformati a Cristo '"non vivano già per se stessi, ma per colui che per essi<br />

morì e resuscitò " (2 Cor 5,15).<br />

Questo avviene per la fede e per i sacramenti <strong>della</strong> fede, principalmente<br />

per il battesimo e il sacrosanto mistero dell'eucaristia, intorno al quale si<br />

ordinano gli altri sacramenti e sacramentali nonché il ciclo delle feste in cui<br />

annualmente si svolge nella Chiesa il mistero pasquale » (n. 6).<br />

« Perciò, sebbene la <strong>liturgia</strong> non esaurisca tutta l'azione <strong>della</strong> Chiesa, bisogna<br />

tuttavia badare con cura a che le opere pastorali siano debitamente connesse<br />

con la stessa, e nello stesso tempo, a che l'azione pastorale liturgica non<br />

si svolga separata e come astratta dalle altre opere pastorali, ma con esse<br />

intimamente unita.<br />

In modo speciale è necessario che vi sia intima unione tra <strong>liturgia</strong>, catechesi,<br />

istruzione religiosa e predicazione » (art. 7).<br />

« Pertanto i vescovi e i loro aiutanti nel sacerdozio stimino ogni giorno<br />

più l'intero loro compito pastorale ordinato intorno alla <strong>liturgia</strong> » (n. 8).<br />

È dunque chiara la tesi fondamentale di questi testi autorevoli:<br />

la <strong>liturgia</strong>, già per sua stessa natura, senza minimamente annientare<br />

né assorbire in sé la connaturale varietà delle opere pastorali extraliturgiche,<br />

sempre necessarie, deve essere tuttavia il centro, la meta<br />

e la fonte dell'intero ministero pastorale.<br />

La prova di questa tesi? Fondamentalmente, perché il fine di<br />

ogni pastorale si ottiene massimamente nella <strong>liturgia</strong>, principalmente<br />

nella celebrazione del mistero eucaristico. Le altre numerose opere,<br />

cui deve dedicarsi la Chiesa, sono intese come mezzi preparatori<br />

alla celebrazione plenaria, esternamente e spiritualmente più perfetta<br />

possibile, delle azioni liturgiche, principalmente dell'eucaristia,<br />

e come prolungamento e conseguenza delle stesse in tutta la vita.<br />

Sappiamo qual è il fine <strong>della</strong> pastorale: condurre, nel modo da<br />

Dio stesso stabilito, il popolo a Cristo e Cristo al popolo; oppure,<br />

per dire la stessa cosa con formulazioni- equivalenti : la santificazione<br />

degli uomini e la glorificazione di Dio in Cristo, come dice l'articolo<br />

10 <strong>della</strong> Costituzione; ancora: far sì che gli uomini entrino vitalmente<br />

nel mistero pasquale, come si esprime il numero 6 dell'Istruzione.<br />

* Vedi C. VAGAGGINI, LO spirito <strong>della</strong> Costituzione sulla <strong>liturgia</strong>, in: Riv. Ut.<br />

51 (1964), pp. 5-7.<br />

5 AAS, 56 (1964) 878-879.


762 CAP. XXIII • LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

Ma è proprio vero che il fine di ogni pastorale si ottiene massimamente<br />

nella <strong>liturgia</strong> e in primo luogo nel mistero eucaristico?<br />

Gli stessi testi sopra citati ci mettono sulla strada per comprenderlo.<br />

In primo luogo ricordiamoci <strong>della</strong> legge <strong>della</strong> oggettività, di cui<br />

si è fatto parola nel capitolo VI: la via per la quale l'uomo deve<br />

andare a Dio, il terreno e il luogo dove avviene l'incontro, sono cose<br />

liberamente stabilite da Dio stesso nelle loro determinazioni essenziali;<br />

questa libera volontà di Dio noi la conosciamo solo per<br />

rivelazione.<br />

Ora, secondo questa volontà, per essere salvati bisogna entrare<br />

nel processo del mistero pasquale, e nessuno entra in tale processo<br />

senza la fede e i sacramenti <strong>della</strong> fede. Ciò che salva non è la sola<br />

fede (compresa la speranza e la carità), né i soli sacramenti, ma la<br />

fede (Speranza e carità) e i sacramenti <strong>della</strong> fede. Perché, per libera<br />

volontà di Dio non vi è fede com'Egli la vuole da noi, perciò fede<br />

autentica, salvatrice, senza riferimento, almeno in voto implicito,<br />

ai sacramenti, e i sacramenti non sortiscono il loro effetto di salvezza<br />

senza la fede °. Quando si dice che la grazia non è legata ai sacramenti,<br />

ciò significa che non è legata all'uso effettivo dei sacramenti<br />

per coloro che non possono accedervi; ma nell'ordine attuale Dio,<br />

per conferirla, richiede almeno il voto implicito del loro uso.<br />

Tra i sacramenti primeggia l'eucaristia. Al mistero eucaristico<br />

sono ordinati tutti gli altri sacramenti « come al loro fine » 7 . Con<br />

più forte ragione ciò si verifica dei sacramentali e di tutte le altre<br />

attività extraliturgiche <strong>della</strong> Chiesa.<br />

L'eucaristia « è fonte di tutte le grazie » *. Da essa « la Chiesa<br />

attinge e possiede tutta la sua forza e la sua gloria, tutti i carismi<br />

di cui è dotata, tutti i beni » °. « Questo sacramento ha per se stesso<br />

la virtù di conferire la grazia. Nessuno ha la grazia prima di ricevere<br />

questo sacramento se non per un certo voto di riceverlo, fatto da<br />

se stesso come avviene negli adulti, o per il voto <strong>della</strong> Chiesa, ciò<br />

che avviene per i bambini ». In una parola : « in questo sacramento<br />

è racchiuso tutto il mistero <strong>della</strong> nostra salvezza » 10 .<br />

Non si dica: ciò vale sì dell'eucaristia, ma non <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

perché la <strong>liturgia</strong> non si esaurisce tutta nell'eucaristia.<br />

Si risponde: l'uomo, nella sua concreta realtà, è il re del creato,<br />

sebbene egli non lo sia in modo uguale per mezzo di ogni sua parte,<br />

6 Vedi J. GAILLARD, Les sacrements de la foi, in: Rev. thom. 67 (1959) 5-31.<br />

In., Saint Augustin et les sacrements de la foi: verbum fidei in Ecclesia Dei,<br />

ibid. 664-703; L. VILLETTE, Foi et sacrement, du Nouveau Testament à saint Augustin,<br />

Paris 1959; E. H. SCHILLEBEECKX, Parole et sacrement, in: Lumière et vie,<br />

n. 46 (1960) 25-45; C. FLORISTAN SAMANES, La palabra y el sacramento en la acción<br />

pastoral, Victoria 1961; P. SEMMELROTH, Wirkendes Wort, Frankfurt 1962; M. D.<br />

CHENU, Foi et sacrement, in: La maison Dieu, n. 71 (1962) 69-77; PH. SCHUER-<br />

MANS, Parole de Dieu et rite sacramentel, Bruxelles 1963.<br />

7 S. TOMMASO, Stimma III 65 a 3 e. Vedi 72 a 12 ad 13.<br />

s Catechismus ex decr. concita Trìden., Roma 1920, n. 228.<br />

9 LEONE XIII, enciclica Mira caritas, ASS 34 (1901-1902) 642.<br />

10 S. TOMMASO,. Summa III 79 a 1 ad 1; 83 a 4 e.


LITURGIA CULMINE E FONTE 763<br />

ma, formalmente, per mezzo del suo intelletto. Ciò è vero perché<br />

l'intelletto appartiene all'uomo non solo in modo sostanziale ed<br />

essenziale, ma addirittura come parte sostanziale determinante rispetto,<br />

poniamo, al corpo o alle altre facoltà.<br />

In modo simile è giusto dire che la <strong>liturgia</strong>, nella sua concreta<br />

realtà, è apice e fonte <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> Chiesa, e in modo speciale<br />

<strong>della</strong> sua operosità pastorale, anche se ciò non lo è in ugual modo<br />

per ogni sua parte, ma, formalmente, per l'eucaristia; perché l'eucaristia<br />

appartiene alla <strong>liturgia</strong> non solo in modo sostanziale e non<br />

accidentale, ma addirittura in modo tale da esserne il cuore e il<br />

centro, o la parte determinante rispetto alle altre componenti.<br />

Inoltre, le altre parti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sono anzitutto gli altri sacramenti.<br />

Ma anche per mezzo di essi la <strong>liturgia</strong> è apice e fonte di tutta<br />

la vita soprannaturale <strong>della</strong> Chiesa, poiché questi ottengono i loro<br />

effetti di santificazione dell'uomo e di glorificazione di Dio, anzitutto<br />

ex opere operato.<br />

Gli stessi sacramentali, pur non avendo allo stesso fine né l'efficacia<br />

né l'importanza dei sacramenti, e tanto meno dell'eucaristia,<br />

tuttavia lo raggiungono ex opere operantìs Ecclesiae.<br />

Perciò la Mediator Dei u dice che nella <strong>liturgia</strong> : « il culto che<br />

la Chiesa, unita al suo divin Capo, rende a Dio, ha la massima<br />

efficacia per raggiungere la santificazione ». La Costituzione non fa<br />

altro che ribadire la stessa dottrina quando conclude l'articolo<br />

10 con le parole : « Dalla <strong>liturgia</strong> dunque, e particolarmente dall'eucaristia,<br />

deriva in noi, come da sorgente la grazia, e si ottiene<br />

con la massima efficacia, quella santificazione degli uomini e glorificazione<br />

di Dio in Cristo, verso la quale convergono, come a loro<br />

fine, tutte le altre attività <strong>della</strong> Chiesa ».<br />

Per questo appunto la <strong>liturgia</strong>, per sua stessa natura, è centro,<br />

apice e fonte di ogni attività pastorale e si deve dire che il fine di<br />

questa viene raggiunto non già precisamente per mezzo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

ma, più esattamente, nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Questo implica che, considerando le varie attività in cui si esplica<br />

la pastorale, e distinguendo l'attività direttamente liturgica da tutte<br />

le altre, non si deve concepire la <strong>liturgia</strong> come mezzo ordinato alle<br />

attività extraliturgiche, ma, al contrario, le attività extraliturgiche<br />

come mezzi ordinati alla <strong>liturgia</strong>, ossia all'incontro tra il popolo e<br />

Dio in Cristo nella <strong>liturgia</strong>, e come effetti derivanti dalla <strong>liturgia</strong>.<br />

11 movimento liturgico, certamente a causa del maggiore pericolo che<br />

ci poteva essere d'invertire indebitamente gli ordini nel momento<br />

stesso che si sottolineava l'intima connessione tra pastorale generale<br />

e <strong>liturgia</strong>, non ha mai cessato di ricordare questa verità, specialmente<br />

dal momento <strong>della</strong> sua impostazione nettamente pastorale ,3 .<br />

n n. 26.<br />

: - Vedi L. BOUYIIR, Quelqiies mises au point sur le setts et le róle de la<br />

liturgie, in: Études de pastorale liturgique (Lex Orandi I) Paris 1944, p. 384,<br />

n. <strong>Il</strong>i, IV. Vedi anche: À propos de liturgie missionnaire, in: Paroisse et liturgie<br />

32 (1950), p. 11-24 articoli di CHEVROT, E. DE MEESTER, J. DE FÉLIGONDE. Sullo


764 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

Ecco, per esempio, una delle tante formule in proposito : « La comunità<br />

cristiana ha il suo principio di vita sull'altare. Tutto il lavoro<br />

di comunità porta all'altare, a Cristo, e dall'altare attinge la sua<br />

forza. Ma la comunità sull'altare induce di nuovo alla comunità nella<br />

vita. Meta e fine di ogni comunità cristiana è di dare da un lato<br />

espressione alla nuova unità soprannaturale fondata con il battesimo<br />

e l'eucaristia; dall'altro, di condurre a questa vita soprannaturale,<br />

alla Chiesa, alla <strong>liturgia</strong>, alla messa, all'eucaristia » 13 .<br />

Le conseguenze anche molto pratiche di questi princìpi nell'intero<br />

campo <strong>della</strong> pastorale sono enormi e assai ovvie. Viene proposto<br />

ai pastori l'ideale di una pastorale d'insieme centrata sulla <strong>liturgia</strong>.<br />

Un programma cioè in cui le più varie attività pastorali — in modo<br />

speciale: catechesi, insegnamento <strong>della</strong> religione, predicazione, movimento<br />

d'azione cattolica, movimento biblico, ecc. — siano attuate<br />

con visione d'insieme di stretta unione in rapporto all'ideale <strong>della</strong><br />

partecipazione plenaria del popolo alla <strong>liturgia</strong>, specialmente al sacrificio<br />

eucaristico, come meta cui tutto il resto è ordinato e fonte che<br />

del suo spirito impronti ogni cosa.<br />

Se poi si pensa che una delle più legittime e sentite esigenze<br />

odierne è che di carattere pastorale sia imbevuta tutta la formazione<br />

del clero già nei seminari, nonché lo stesso studio <strong>della</strong> teologia,<br />

s'intravvedono le conseguenze cui portano logicamente i princìpi<br />

sopra esposti.<br />

Obiezione<br />

Perché alcuni sembrano aver difficoltà ad ammettere queste tesi?<br />

Credo per tre motivi. <strong>Il</strong> primo e il più forte: per la vaga paura psicologica<br />

che ne derivi una disistima e una trascuratezza delle altre<br />

opere pastorali, missionarie e di cosiddetto apostolato in genere e<br />

che si usi le predette affermazioni per proporre a tutti i preti e<br />

a tutti i religiosi attivi, un ideale, per intenderci, « benedettino ».<br />

<strong>Il</strong> secondo motivo è per un falso, o almeno impreciso, ragionamento<br />

teorico intorno alla preminenza <strong>della</strong> carità che si chiama di rinforzo<br />

per respingere il supposto predetto pericolo. <strong>Il</strong> terzo è la dimenticanza<br />

<strong>della</strong> dottrina <strong>della</strong> funzione capitale e sempre attuale (qui sta<br />

il pernio <strong>della</strong> cosa) nell'ordine storico <strong>della</strong> salvezza, dell'umanità<br />

di Cristo, e più particolarmente anche del suo stesso sacratissimo<br />

e ormai glorioso corpo e del suo preziosissimo sangue.<br />

Esercizio <strong>della</strong> carità nelle opere d'apostolato e nella <strong>liturgia</strong>. —<br />

Ecco pressappoco come si ragiona intorno alla carità: si chiede:<br />

stesso tema: tutto il n. 40 (1954) di La Maison-Dieu, con le conclusioni del<br />

congresso di S. Geneviève di Versailles 1954, pp. 165-68.<br />

13 B. HERNEGGER, Solidarietà cattolica, trad. ital.. Ed. Paoline 1948, p. 144.


LITURGIA E OPERE D'APOSTOLATO 765<br />

cos'è più nobile, più perfetto, più utile e necessario per la Chiesa,<br />

fare <strong>liturgia</strong> o fare apostolato? E si dice: la carità primeggia su tutto;<br />

l'apostolato è atto di carità: la <strong>liturgia</strong> è atto di culto, un certo modo<br />

esterno di esprimere la religione, virtù morale. Non può dunque<br />

prevalere sull'apostolato.<br />

Per verità, il ragionamento è troppo all'ingrosso. Anzitutto vi è<br />

sospetto che, chi ragiona così ceda alla solita fortissima propensione<br />

di molti di considerare la <strong>liturgia</strong> come la sola parte esterna del culto,<br />

l'apparato delle cerimonie. E allora, beninteso, non riesce difficile fare<br />

un rispettoso inchino di ossequio alla « <strong>liturgia</strong> » dichiarandola bella<br />

e utile e santa, ma d'interesse marginale nella vita cristiana. Se ho<br />

avuto la fortuna di trovare un lettore che ha seguito quest'opera fino<br />

a questo punto, per lui non è certo necessario che mi dilunghi a confutare<br />

ancora quel concetto di « <strong>liturgia</strong> ».<br />

Inoltre, quando si vuole paragonare la nobiltà, l'utilità ecc. <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> con le opere di apostolato, non bisogna paragonare l'atto di<br />

virtù di religione formalmente, e quasi nudamente, considerato — in<br />

quanto solo atto elicito dalla virtù di religione, anche se imperato<br />

dalla carità — con le opere di apostolato formalmente elicite dalla<br />

carità; ma l'esercizio liturgico — ossia nel quadro <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> —<br />

dell'atto formalmente elicito dalla carità, con il suo esercizio nelle<br />

opere di apostolato.<br />

Questo perché la <strong>liturgia</strong> non si esaurisce tutta nell'esercizio <strong>della</strong><br />

virtù di religione — sia pure imperata dalla carità — nello stesso modo<br />

che l'atto di pagare un debito si esaurisce tutto, formalmente, sotto<br />

l'aspetto dell'esercizio delle virtù, nell'esercizio <strong>della</strong> giustizia; ma la<br />

<strong>liturgia</strong> comporta sempre atti hic et nunc eliciti dalla fede, e (supposto<br />

lo stato di grazia) dalla speranza e principalmente dalla carità e,<br />

inoltre, offerti a Dio, in persona Ecclesice, in culto pubblico, dalla<br />

virtù di religione, come omaggio a Lui dovuto quale creatore e reggitore<br />

di ogni cosa.<br />

<strong>Il</strong> motivo ultimo è il singolare rapporto, a suo luogo spiegato, che<br />

esiste tra la virtù di religione e le altre virtù, specialmente le virtù<br />

teologali, prima tra tutte la carità. La carità non solo comanda o impera<br />

l'atto di religione, ma inoltre è essa stessa la più nobile materia<br />

di cui l'atto di religione si serve per attualizzare se stesso al sommo<br />

grado. Dio si onora anzitutto con la fede, la speranza e principalmente<br />

con la carità 14 ; perciò il sommo atto di religione è di offrire<br />

a Dio l'atto hic et nunc formalmente elicito dalla carità, per cui lo<br />

si ama al di sopra delle altre cose, come omaggio a Lui dovuto quale<br />

sommo creatore e reggitore di ogni cosa. Questo appunto avviene<br />

nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Quando dunque si vuole paragonare la <strong>liturgia</strong> con le opere di<br />

apostolato, bisogna chiedersi se, cceteris paribus, sia più nobile,<br />

utile ecc. l'atto di carità esercitato nella <strong>liturgia</strong> o quello esercitato<br />

nelle opere di apostolato esterno.<br />

'•' Vedi S. AGOSTINO, Enchiridion 3.


766 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

Ora, per dare a simile questione una risposta tecnica, bisogna<br />

assolutamente distinguere la considerazione <strong>della</strong> cosa presa solo<br />

in se stessa per propria e intima natura (per sé, dicono gli scolastici),<br />

dalla considerazione <strong>della</strong> cosa per qualche circostanza accidentale<br />

non necessaria ma che di fatto sopravviene alla stessa (per<br />

accidente, nella terminologia scolastica). La risposta è dunque che<br />

per sé la carità esercitata nell'atto liturgico è in ogni modo più nobile,<br />

più necessaria e più utile alla Chiesa; ma che per qualche circostanza<br />

accidentale avviene spesso che la carità esercitata nell'opera<br />

di apostolato sia più necessaria e doverosa.<br />

Infatti nel culto esterno ed interno che è la <strong>liturgia</strong> cattolica, fatto<br />

con amore di Dio : anzitutto si esercita la carità nel suo oggetto primario<br />

che è Dio stesso, mentre negli atti di apostolato fatti con carità,<br />

la carità è esercitata nel suo oggetto secondario che è il nostro<br />

prossimo. E già per questa ragione l'atto di carità esercitato nel<br />

culto, per sé, è superiore agli atti di carità esercitati nell'apostolato.<br />

Inoltre, quest'atto di carità, nell'azione liturgica, è offerto a Dio<br />

in persona Ecclesiae, in atto comunitario come atto <strong>della</strong> Chiesa e di<br />

Cristo stesso a un titolo che non conviene a nessun altro atto, sia<br />

pure di carità, fatto bensì nella Chiesa, ma non come atto appartenente<br />

alla <strong>liturgia</strong> propriamente detta. Pertanto quell'atto di carità<br />

di Dio ha un valore e un'efficacia superiore per sé a qualsiasi atto<br />

di carità non liturgico a causa dell'opus operantis Ecclesiae, come è<br />

stato spiegato nel capitolo III riguardo alla preghiera liturgica in<br />

genere. Come nella preghiera liturgica in genere Dio vede e considera<br />

a un titolo speciale superiore la preghiera <strong>della</strong> Chiesa, il corpo<br />

mistico di Cristo, Capo e membra, ed Egli a questo titolo speciale e<br />

superiore l'ascolta e l'accetta, così nell'atto di carità emesso dal fedele<br />

nel culto, Egli vede e considera l'atto di carità di Cristo stesso e<br />

<strong>della</strong> sua Chiesa a un titolo speciale e superiore che non conviene<br />

agli altri atti di carità emessi dai fedeli fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Tutto<br />

questo fa sì che, in ogni modo, considerando le cose nella loro stessa<br />

natura indipendentemente da circostanze contingenti, anche se durature,<br />

in cui possono trovarsi, l'azione liturgica rimane l'atto più nobile,<br />

più necessario, più utile nella Chiesa, che, rispetto agli altri<br />

atti, ha ragione di fine e di fonte e non di mezzo.<br />

Questo non impedisce che, per circostanze contingenti, riguardanti<br />

le persone o l'intera Chiesa, tanto più se durature, possa essere più<br />

utile o necessario per un determinato o determinati individui, forse<br />

addirittura per la maggioranza, di non dedicarsi, al di là di un certo<br />

tempo ristretto, alla <strong>liturgia</strong>, per dedicarsi invece più ad altre opere,<br />

in specie di apostolato. Simili circostanze possono essere: anzitutto<br />

la vocazione personale di ognuno, determinata da indole propria,<br />

da possibilità fisiche e psichiche, da ispirazione divina ecc. Poi le<br />

necessità di fatto nelle quali può trovarsi la società ecclesiale in una<br />

determinata epoca, in una determinata regione ecc. Ulteriormente,<br />

i bisogni contingenti delle anime e altre evenienze simili.<br />

Così può succedere e succede spesso di fatto che, sebbene per sé<br />

sia più perfetto ed utile fare <strong>liturgia</strong>, tuttavia a causa <strong>della</strong> debolezza


LITURGIA E OPERE D'APOSTOLATO 767<br />

umana non bisogna per tali individui farla troppo lunga, né troppo<br />

spesso perché diversamente non si otterrebbe il fine intento. Inoltre,<br />

sebbene sia più perfetto per sé fare più spesso possibile la <strong>liturgia</strong> che<br />

non farla, tuttavia per un Tizio che ha vocazione personale per altre<br />

opere, avviene il contrario; oppure perché la Chiesa si trova in tale<br />

situazione di pericolo e di urgente bisogno è necessario che molti<br />

si dedichino alle opere di apostolato.<br />

In tutto questo niente di straordinario. È ben noto ed inoppugnabile<br />

l'esempio classico, già portato da Aristotele, nel campo profano:<br />

per sua natura, indipendentemente dalle circostanze contingenti,<br />

è più nobile filosofare che spegnere un fuoco; ma, quando, per<br />

circostanza particolare, il fuoco è appiccato alla casa, per tutti quelli<br />

che sono presenti e per la società è più perfetto ed utile spegnere<br />

il fuoco che filosofare. È più perfetto filosofare che mangiare, ma<br />

quando uno ha fame,' per lui è più utile mangiare che filosofare.<br />

È più perfetto ed utile per sé filosofare che costruire una strada, un<br />

ponte, una macchina. Ma quando la società ha bisogno di una strada,<br />

di un ponte, delle macchine, fintanto che dura quella necessità è<br />

più utile costruirle. Per l'uomo in genere è più perfetto filosofare che<br />

lavorare la terra, ma per Tizio, che non ha indole né capacità da filosofo,<br />

è più perfetto ed utile zappare la terra. E così all'infinito.<br />

Dal fatto dunque che si dice che l'azione liturgica, fatta con carità,<br />

è, per sé, più nobile ed utile alla Chiesa che le altre opere di<br />

apostolato, non segue affatto che, praticamente, nella Chiesa, debbano<br />

essere più numerosi, o anche che debbano necessariamente essere<br />

molto numerosi, coloro che all'azione liturgica dedicano anche la<br />

parte quantitativamente maggiore del tempo; tanto meno che nella<br />

società ecclesiale si possa trascurare le opere di apostolato di ogni<br />

genere secondo i bisogni concreti nei quali si trova la Chiesa. Come<br />

per il fatto inoppugnabile che, per sé, filosofare è più nobile di qualsiasi<br />

altra azione umana nel campo naturale, non segue affatto che<br />

nella società, come è concretamente, ci debbano essere più filosofi<br />

che agricoltori, o muratori, o ingegneri, o medici, o militari. Eppure,<br />

per il fatto che, a causa delle circostanze concrete nelle quali si trova<br />

l'umana società, è inevitabile e necessario che, in una società bene<br />

ordinata, gli agricoltori, gli ingegneri, i medici siano assai più numerosi<br />

dei filosofi, non si fa alcun torto a quei primi lavoratori o professionisti<br />

affermando fortemente che, tuttavia, il filosofare è più nobile<br />

che coltivare i campi o costruire case.<br />

Si dirà forse che, se l'utilità <strong>della</strong> Chiesa, per via di fatto, nella<br />

società come è concretamente, richiede che il numero di coloro che<br />

dedicano la maggior parte del tempo alle opere di apostolato anziché<br />

alla <strong>liturgia</strong>, sia grande o anche maggiore, non vale la pena insistere<br />

sulla superiorità per sé dell'azione liturgica. Non mancherà anzi chi,<br />

infetto dal vecchio nominalismo, che tanto spesso, oggi, si dà aria<br />

di grande novità sotto le mentite spoglie di esistenzialismo, dirà che<br />

i « per sé » sono astrazioni che non toccano la realtà delle cose.<br />

È un errore. Anzitutto il fatto che, per sé, l'azione liturgica è la<br />

cosa più nobile e utile, assegna alle altre operosità <strong>della</strong> Chiesa il


768 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

loro punto di riferimento e di incentramento, il fine verso il quale<br />

devono condurre, dando loro così la necessaria unità, l'ordine giusto<br />

e il rispettivo valore qualitativo. E questo è d'immenso valore anche<br />

pratico, contro la dispersione inutile, le ipertrofìe, gli sfasamenti, il<br />

fare incomposto e infruttuoso di quei troppi che credono agire molto<br />

perché molto si agitano.<br />

Poi, lo stesso fatto indica a ogni sacerdote nella sua vita personale<br />

di santificazione individuale, che anche se il tempo che dedica<br />

all'azione liturgica, specialmente alla messa, è relativamente breve<br />

rispetto alle altre attività, è tuttavia proprio in quell'azione liturgica,<br />

e anzitutto, nella messa, che deve essere il centro dinamico e il nucleo<br />

vitale <strong>della</strong> sua giornata.<br />

Finalmente, la sopraddetta dottrina deve far capire una cosa<br />

che molti, anche ben intenzionati, non capiscono abbastanza, e cioè:<br />

ammesso che, a causa delle circostanze concrete, non tutti, né necessariamente<br />

il maggior numero dei fedeli o dei sacerdoti o dei religiosi,<br />

debbano condurre un tipo di vita nel quale la <strong>liturgia</strong> abbia<br />

la prevalenza anche quantitativa, rimane tuttavia non solo legittimo,<br />

ma anche utile e santo e necessario che, secondo la vocazione personale<br />

che Dio dà ad ognuno, vi siano, nella Chiesa, degli individui<br />

ed anche dei gruppi e delle intere società che facciano proprio questo<br />

genere di vita, e che la Chiesa non subirebbe piccola iattura se questo<br />

non si verificasse.<br />

È assai più difficile di quanto si possa pensare, comprendere<br />

tutte le esigenze del corpo mistico di Cristo. Anche qui: distinzione<br />

dei compiti e gerarchia dei valori. Vedi S. Paolo 1 Cor 12.<br />

Così, quando si asserisce che l'azione liturgica deve essere fine<br />

e fonte di ogni attività pastorale, non si vuol dire che l'attività pastorale<br />

si esaurisce tutta nella <strong>liturgia</strong> o che le attività extraliturgiche<br />

non siano importanti, anzi, essenziali al fine <strong>della</strong> pastorale e <strong>della</strong><br />

stessa <strong>liturgia</strong>; o che l'ideale che si propone sia quello di mutare<br />

ogni parrocchia in monastero e ogni parroco in monaco. Ma significa<br />

che, in virtù dello stesso fine che persegue, tra le diverse attività<br />

in cui si esplica la pastorale, non vi può essere né opposizione, né<br />

disconnessione o semplicemente indipendenza, ma vi è gerarchia<br />

qualitativa per cui, qualitativamente, tutte sottostanno e sono ordinate<br />

alla <strong>liturgia</strong>. Insisto sul: qualitativamente, perché non si creda<br />

nemmeno che per un parroco, tra le attività pastorali, la maggior<br />

parte del tempo debba essere consacrata necessariamente e sempre<br />

alla <strong>liturgia</strong>.<br />

Insomma, si ripete semplicemente e, fondamentalmente, per le<br />

stesse ragioni, quello che delle relazioni tra <strong>liturgia</strong> ed attività extraliturgiche<br />

si è detto quando si è parlato dei rapporti tra spiritualità<br />

e <strong>liturgia</strong>. Niente assorbimento o menomazione delle attività extraliturgiche<br />

dalla <strong>liturgia</strong>, ma, tuttavia, necessario loro indirizzo unitario<br />

e subordinazione qualitativa alla <strong>liturgia</strong> come alla realtà nella quale<br />

si realizza pienamente lo scopo dell'intera pastorale.


CORPO FISICO DI CRISTO E SALVEZZA 769<br />

<strong>Il</strong> corpo fisico di Cristo e la salvezza. — Chi dimentica la funzione<br />

sempre attuale, nell'ordine storico <strong>della</strong> salvezza, del sacratissimo<br />

corpo ormai glorioso di Cristo, non può comprendere, nell'ordine<br />

di fatto voluto da Dio, la funzione insostituibile dei sacramenti<br />

e in modo speciale dell'eucaristia e quindi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>; né vedere<br />

perché in teologia si dice giustamente che oggi nessuno può avere<br />

la grazia senza un qualche rapporto reale, almeno in voto implicito<br />

(e il voto, per essere sincero, deve portare all'uso <strong>della</strong> cosa quanto<br />

prima è possibile e permesso) ai sacramenti e particolarmente all'eucaristia;<br />

né accorgersi <strong>della</strong> forza reale <strong>della</strong> massima teologica<br />

per cui si dice che ciò che salva, non è solo la fede, né la sola speranza<br />

e nemmeno la sola carità o qualsiasi atto solo psicologico,<br />

ma la fede (speranza e carità) e i sacramenti.<br />

Infatti, il motivo di tutto questo è che anche oggi non c'è grazia<br />

che non ci venga da Dio attraverso la gloriosa umanità di Cristo<br />

Signore, compreso il suo corpo, come strumento <strong>della</strong> sua divinità.<br />

La Chiesa non si è costituita, non si costituisce ogni giorno e non<br />

sussiste senza rapporto all'integra natura umana di Cristo, compreso<br />

il suo corpo fisico. Perciò, per ricevere la salvezza, noi dobbiamo<br />

avere contatto anche con questo corpo. E tale contatto deve essere,<br />

per volontà di Dio — che tiene meravigliosamente conto <strong>della</strong> natura<br />

umana che, in Cristo e in noi, è spirito e corpo — almeno in voto<br />

implicito, non solo spirituale, per fede e carità, ma anche fisico,<br />

sebbene d'un ordine tutto speciale, cioè sacramentale.<br />

È questa appunto, nell'economia cristiana effettivamente voluta<br />

da Dio, la funzione insostituibile dell'eucaristia. <strong>Il</strong> corpo mistico di<br />

Cristo, nel suo nascere, sussistere e svilupparsi, è inscindibilmente<br />

unito al suo corpo fisico mediante il sacramento dell'eucaristia.<br />

Intorno all'eucaristia Dio ha ordinato gli altri sacramenti e, per mezzo<br />

<strong>della</strong> Chiesa, l'intera <strong>liturgia</strong> in un insieme che, appunto per questo,<br />

costituisce il cuore <strong>della</strong> nuova religione.<br />

È sostanzialmente la dottrina di S. Tommaso, il quale non fa altro<br />

che ripetere la dottrina di S. Giovanni Damasceno e <strong>della</strong> tradizione<br />

greca, mentre questa, a sua volta, affonda le sue radici in S. Giovanni<br />

(necessità dell'eucaristia: 6,48-65) e già in S. Paolo". « I sacramenti,<br />

dice l'angelico dottore, causano la grazia come strumento.<br />

Ciò che si spiega così: Damasceno {De fide orthodoxa, III, 13) dice<br />

che l'umana natura di Cristo era strumento <strong>della</strong> divinità... Così,<br />

infatti, il contatto stesso di Cristo causava strumentalmente la<br />

sanità del lebbroso. Come l'umana natura di Cristo era strumento<br />

per realizzare gli effetti <strong>della</strong> virtù divina nelle cose corporali, così<br />

anche nelle spirituali. Perciò il sangue di Cristo versato per noi<br />

ebbe la potenza di lavare i nostri peccati... e così l'umanità di Cristo<br />

è causa strumentale <strong>della</strong> nostra giustificazione. Questa causa ci<br />

è applicata spiritualmente per mezzo <strong>della</strong> fede, corporalmente per<br />

mezzo dei sacramenti: perché l'umanità di Cristo è spirito e cor-<br />

15 Vedi L. CERFAUX, La théologie de l'Église suivant saint Paul, Parigi 1948,<br />

pp. 201-18; 247-59.<br />

25 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


770 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

po... 16 . Perciò il più perfetto dei sacramenti è quello in cui il corpo di<br />

Cristo è realmente contenuto, cioè l'eucaristia, la quale, come dice<br />

Dionigi (Eccl. Hier., <strong>Il</strong>i) "porta a perfezione l'opera di tutti gli altri<br />

sacramenti". Gli altri sacramenti partecipano qualcosa di quella virtù<br />

per cui l'umanità di Cristo opera strumentalmente la nostra giustificazione<br />

» 17 .<br />

Efficacia psicologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sotto l'aspetto pastorale<br />

Così la natura <strong>della</strong> pastorale e <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> ci fa vedere non<br />

solo il valore intrinsecamente pastorale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> ma anche la sua<br />

posizione centrale e fontale nel complesso delle attività pastorali.<br />

Rispetto a queste considerazioni, quelle desunte dall'efficacia psicologica<br />

didattica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sono secondarie. Tuttavia anch'esse<br />

ci aiutano a capire la sua forza pastorale totale.<br />

La singolare efficacia didattica psicologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> proviene<br />

essenzialmente dal fatto che essa, nel suo insieme, non è una catechesi<br />

astratta, ma è di diritto e per natura, anche se non perfettamente<br />

di fatto nello stato di un suo determinato periodo, una catechesi-azione<br />

nella quale, cioè, non s'impara per sola via di comunicazione<br />

astratta di concetti, ma s'impara agendo. Questa è sempre<br />

la via più efficace anche sugli intellettuali, tanto più su i non intellettuali,<br />

quando il fine non è la semplice trasmissione di una serie<br />

di concetti impersonali, ma la comunicazione di un atteggiamento<br />

vitale totale, come appunto avviene nella pastorale, che vuole suscitare<br />

e conservare l'incontro vitale del popolo con Cristo.<br />

Inoltre, nella <strong>liturgia</strong>, questo comunicare agendo è, di diritto<br />

e per natura, un comunicare agendo in comunità. E questo ancora<br />

corrisponde eminentemente al fine specifico <strong>della</strong> pastorale, la quale,<br />

come abbiamo visto sopra, mira direttamente al popolo comunità<br />

popolare. Ora, Don Godin e i suoi amici l'hanno rilevato con insistenza,<br />

ma è una costatazione che ognuno può fare facilmente:<br />

« La maggior parte <strong>della</strong> nostra gente pensa solo collettivamente. Solo un<br />

piccolo numero è capace di pensieri personali. Questi, quando si ritrovano in<br />

famiglia, ritrovano la loro personalità, riflettono, discutono, si pongono problemi<br />

(religiosi, sociali ecc.). Gli altri, cioè la maggioranza, non hanno, per così<br />

dire, una personalità propria : essa è immersa nella vaga personalità del gruppo<br />

di cui fanno parte. Costoro pensano solo in gruppo: ambiente di lavoro, sindacato,<br />

circolo politico, combriccola di divertimento... » a s.<br />

« La mentalità popolare è essenzialmente "collettiva"... la massa si convertirà<br />

e si manterrà cristiana solo collettivamente » 19 . « Noi dobbiamo insegnare<br />

tutto al nostro popolo. E crediamo... che esso è permeabile solo ad un<br />

insegnamento nel quale esso agisca, dove esso agisca in comunità, dove viva<br />

16 Perciò giustamente dice S. Leone Magno : « Quod conspicuum erat in<br />

Christo transiti in Ecclesiae sacramenta », Sermo 74, 2.<br />

17 De ventate 27 a 4 e.<br />

18 G. MICHONNEAU, Parrocchia comunità missionaria, trad. hai., Ed. Pao-<br />

line 1949, p. 29 s.<br />

19 Ibid., p. 93.


VALORE MISSIONARIO DELLA LITURGIA 771<br />

comunitariamente la lode di Dio e la vita di Cristo. Che cos'è la <strong>liturgia</strong> se<br />

non questa vita collettiva dell'assemblea cristiana per mezzo di Cristo, con<br />

Cristo, in Cristo, rivolto verso il Padre? Se l'otteniamo non formalmente, ma<br />

realmente, non compiamo su questo punto la nostra missione? » 20 .<br />

Altro motivo dell'efficacia psicologica pastorale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è,<br />

per esempio, che essa, come catechesi-azione comunitaria, dura praticamente<br />

per il fedele tutta la vita, almeno tutte le domeniche e<br />

i giorni di festa. Una grande parte dei fedeli cessa praticamente molto<br />

presto di assistere ad altre istruzioni religiose, ma continua ad assistere<br />

alla messa; ora, la messa contiene la possibilità di abbondante<br />

nutrimento spirituale per i bisogni più diversi, i livelli di vita spirituale<br />

e le diversità di stati d'animo più varie, poiché ognuno può<br />

attingervi secondo le proprie capacità e i propri bisogni; e questo<br />

nutrimento, per il suo noto carattere di essenzialità, è eminentemente<br />

atto a fondare la vita cristiana sulla roccia.<br />

Si può notare, finalmente, sempre in tema di valore pastorale<br />

psicologico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, che essa, valorizzando il concetto e l'esperienza<br />

vitale <strong>della</strong> comunità ecclesiale, non già qualsiasi, ma gerarchicamente<br />

strutturata, valorizza sommamente, nello stesso tempo,<br />

l'assimilazione vitale <strong>della</strong> realtà parrocchia, parroco, vescovo.<br />

Valore missionario <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

La pastorale ha necessariamente nello stesso tempo due aspetti :<br />

uno di conquista — aspetto missionario — e uno di conservazione<br />

e perfezionamento. E conquistatrice verso i non cattolici e verso<br />

i cattolici solo di nome o che, comunque, si sono allontanati dalla<br />

pratica <strong>della</strong> vita cristiana; è conservatrice e perfezionatrice <strong>della</strong><br />

vita cristiana nei fedeli che già vi partecipano.<br />

Che la <strong>liturgia</strong> abbia valore pastorale per la conservazione e<br />

il perfezionamento <strong>della</strong> vita cristiana nei fedeli che già partecipano<br />

alla vita <strong>della</strong> Chiesa, è ovvio e non occorre insistervi. Sia lecito<br />

solo indirizzarsi a coloro — e sono oggi numerosi tra noi — che<br />

vedendo tutto — e, sotto un certo aspetto, anche giustamente —<br />

in funzione anticomunista, stimano l'utilità di ogni operosità pastorale<br />

in funzione diretta <strong>della</strong> difesa contro il comunismo. A costoro,<br />

poiché sono quasi sempre molto lontani dal sospettare che, in questa<br />

loro preoccupazione, il lavorare a sviluppare un'intensa vita liturgica<br />

nel popolo possa essere di qualche seria utilità, si consiglia caldamente<br />

d'informarsi dell'esperienza contraria, quanto mai probante<br />

e commovente, fatta dai vescovi e dal clero <strong>della</strong> Germania orientale<br />

in zona sovietica 21 . Toccheranno con mano cosa possa significare<br />

per un popolo sventuratamente caduto sotto regime comunista e<br />

2 ° Ibid., p. 73.<br />

21 S. Ecc. Mons. G. WESKAMM, vescovo di Berlino, Partecipazione attiva:<br />

sua funzione essenziale nello sviluppo e nella vita di una comunità di fedeli,<br />

in: Partecipazione attiva alla <strong>liturgia</strong>, Atti del III congresso intern. di studi


772 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

in una grave persecuzione religiosa contro la fede, avere avuto<br />

la fortuna di essere stato educato in tempo ad un'intensa vita liturgica<br />

con viva partecipazione ai sacri misteri <strong>della</strong> comunità. È una<br />

riprova quanto mai convincente <strong>della</strong> forza pastorale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

per conservare il popolo credente fedele a Cristo in ogni contingenza.<br />

Ma, oltre a questa funzione conservatrice, possiede la <strong>liturgia</strong><br />

anche una funzione pastorale conquistatrice? E la questione del<br />

valore missionario <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, sia in ambienti non cattolici, sia<br />

in quelli cattolici di solo nome 22 .<br />

Non si può negare che la <strong>liturgia</strong>, per sua intima natura, appunto<br />

perché, verificandosi tutte le condizioni requisite, rappresenta<br />

la somma attualizzazione <strong>della</strong> comunità cristiana e delle singole<br />

anime che ne fanno parte, il sommo incontro di santificazione e di<br />

culto con Dio in Cristo, è cosa che riguarda direttamente e in primo<br />

luogo gli iniziati, i cattolici che già partecipano alla vita <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Anzi, nell'antica Chiesa, nemmeno i catecumeni erano ammessi a<br />

partecipare alla sua parte più centrale ed essenziale, tanto era viva<br />

la persuasione che la partecipazione ai sacri misteri è cosa che<br />

riguarda i soli fedeli. Perciò, tra le operosità pastorali, la <strong>liturgia</strong><br />

non può essere considerata essenzialmente e direttamente come<br />

uno strumento di conquista, ma come il fine e il porto di arrivo<br />

verso il quale devono essere diretti gli individui conquistati. La<br />

pastorale missionaria ha i suoi primari strumenti nella predicazione<br />

e nelle catechesi extraliturgiche, parlate, o scritte, nelle opere d'insegnamento<br />

generale, di beneficenza, d'azione cattolica, ecc., nei contatti<br />

personali di ogni genere.<br />

liturgici, Lugano 14-18 Sett. 1953, pp. 93-109. S. Ecc. Mons. A. SPUELBECK, amministratore<br />

apostolico di Meissen (Germania orientale). La celebrazione <strong>della</strong><br />

Settimana Santa restaurata in Germania, relazione al congresso di Assisi 1956;<br />

vedi: La restaurazione liturgica nell'opera di Pio XII, Atti del primo congresso<br />

internazionale di <strong>liturgia</strong> pastorale - Assisi Roma 18-22 settembre 1956, pp. 211-21.<br />

-••! Vedi, per es., Y. DANIEL, La vie liturgique et l'apostolat missionnaire en<br />

milieu ouvrier, in: Études de pastorale liturgique (Lex Orandi I) Paris 1944,<br />

pp. 212-24; P. DONCOEUR, Conditions fondamentales d'un mouvement pastoral de<br />

liturgie, con discussione, ibid., pp. 53-80. L. BOUYER, Quelques mises au point<br />

sur le sens et le ròle de la liturgie, ibid., pp. 379-89; felice rettificazione e conclusione.<br />

KL. TILMANN, Die Liturgie missionarisch gesehen, Freiburg, Herder 1947;<br />

trad. ital., Liturgia e conversione, Milano 1954. P. HOFINGER, Necessità e speranze<br />

per la diffusione <strong>della</strong> fede nelle terre di missione, in: Partecipazione attiva alla<br />

<strong>liturgia</strong>, Atti del IH congresso... Lugano... 1953, pp. 111-26. <strong>Il</strong> n. 40 (1954) de La<br />

Maison-Dieu è tutto dedicato al problema: Évangélisation et liturgie, <strong>liturgia</strong> e<br />

altre attività apostoliche: Congresso di S. Geneviève de Versailles 1954. Alle pp. 165-<br />

68: le conclusioni del congresso. S. Ecc. G. VAN BEKKUM, // rinnovamento liturgico<br />

al servizio delle missioni, relazione al congresso di Assisi 1956; vedi Atti,<br />

p. 119-37. Le due opere fondamentali sulla questione missioni e <strong>liturgia</strong> sono:<br />

J. HOFINGER e coli.: Pastorale liturgique en chrétienté missionnaire, Bruxelles-<br />

Bruges 1959. Vedi ivi in modo speciale il cap. II: Valori permanenti del culto<br />

nei paesi di missione, di Hofinger. MISSIONS ET LITURGIE, rapports et compie<br />

renda de la première semaine internationale d'études de liturgie missionnaire,<br />

Nimègue-Uden 1959, Desclée De Brouvver 1960. Sui problemi liturgici concreti<br />

di adattamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nelle missioni, oltre alle due opere precedenti,<br />

vedi X. SEUMOIS, L'adaptation dans le eulte, C.I.P.A. 1957, n. 2-4, pp. 49-450.


VALORE MISSIONARIO DELLA LITURGIA 773<br />

Un fraintendimento in questo campo porterebbe certamente con<br />

facilità a uno snaturamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> stessa, inducendo a farne<br />

uno strumento diretto e necessariamente molto mutevole di propaganda,<br />

d'apologetica, di polemica o, comunque, a farne prevalentemente<br />

uno strumento d'insegnamento diretto adattato all'ambiente<br />

da conquistare. Ma tutto questo è contrario all'indole genuina <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> che è anzitutto preghiera ed attuazione sacrale, per la comunità<br />

degli iniziati, del mistero di Cristo sotto il velo dei segni sensibili<br />

ed efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto. Si verrebbe così anche<br />

a criticare con leggerezza l'attuale struttura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nonché<br />

il genere di vita di coloro che in essa incentrano la loro vita contemplativa.<br />

Talvolta, tra gli stessi benemeriti promotori di una considerazione<br />

più pastorale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, trascinati, del resto, da ardente<br />

zelo missionario, si sono potute notare delle imprecisioni e degli<br />

ambigui sottintesi in questa materia 2 \<br />

Però, ammettere che, per sua natura, la <strong>liturgia</strong> è cosa che<br />

spetta anzitutto lo stesso fedele che segue la vita <strong>della</strong> Chiesa, non<br />

vuol dire concedere che sia sprovvista di valore missionario propriamente<br />

detto. Che anzi, indirettamente, ne è tutta piena. I motivi<br />

essenziali sono: la forza di attrazione che, per misterioso operare<br />

<strong>della</strong> grazia e non meno misterioso svegliarsi delle aspirazioni più<br />

profonde <strong>della</strong> natura, la <strong>liturgia</strong> — se risponde pienamente al suo<br />

scopo ed è compiuta come dovrebbe sempre esserlo — può connaturalmente<br />

esercitare, e non di rado effettivamente esercita, sugli stessi<br />

estranei, anche per casuale contatto; la forza d'attrazione più forte<br />

ancora sugli stessi estranei che esercita il semplice spettacolo e il<br />

semplice contatto fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> con individui e con una comunità<br />

rispecchianti la vita divina che attingono abitualmente nella <strong>liturgia</strong>;<br />

la forza d'espansione missionaria che si sviluppa e deve svilupparsi<br />

connaturalmente, nel seno di una comunità vivente pienamente<br />

la vita cristiana nel suo centro connaturale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Dico si sviluppa e deve svilupparsi. Ricordiamoci la dottrina<br />

<strong>della</strong> dimensione impegnativa di ogni segno liturgico. Questa dimensione<br />

impegnativa non riguarda solo la vita morale privata del<br />

singolo che egli deve condurre conformemente alle esigenze dell'azione<br />

liturgica alla quale ha partecipato, ma anche il suo compito<br />

necessariamente missionario di teste di Cristo e di proclamatore<br />

del suo mistero nel mondo in cui vive. Perché, sebbene egli sia<br />

pellegrino e straniero nel mondo, tuttavia egli deve essere il lievito<br />

del mondo 24 . In una parola, la forza pastorale missionaria <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> proviene anzitutto dal fatto che essa non solo è eminentemente<br />

atta a creare un ambiente cristiano vitale, ma che è necessariamente<br />

il centro e il fulcro di un ambiente cristiano vitale, con<br />

tutto ciò che questo implica di dinamismo attrattivo ed espansivo.<br />

2S Per esempio, in diversi interventi del P. Doncoeur, art. cit. nota precedente;<br />

in alcune affermazioni di Michonneau che, giustamente, suscitarono opposizione;<br />

vedi Paroisse et liturgie 32 (1950), pp. 11-24.<br />

24 Non senza motivo la Costituzione sulla <strong>liturgia</strong> del concilio vaticano II


774 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

È quanto hanno egregiamente compreso coloro che, assillati<br />

dal problema missionario, sia negli ambienti nominalmente cristiani,<br />

sia in quelli delle missioni estere, hanno creduto che, per raggiungere<br />

lo scopo che sta loro a cuore, uno dei loro massimi doveri,<br />

e sotto un certo aspetto, il principale, è appunto di riportare il popolo<br />

alla <strong>liturgia</strong> e la <strong>liturgia</strong> al popolo. Non a caso, in Francia per lo<br />

meno, il movimento liturgico pastorale ha ripreso nuova e potente<br />

fiamma precisamente dall'ambiente di Don Godin e dei suoi ammiratori,<br />

i missionari del lavoro e i promotori del concetto <strong>della</strong><br />

parrocchia comunità missionaria. Nel 1944, nel congresso che dette<br />

origine all'organizzazione del Centre de Pastorale Liturgique a Parigi,<br />

il P. Roguet, così esprimeva l'ispirazione missionaria del nuovo centro<br />

propulsore :<br />

« L'idea che guida anche noi è un'idea missionaria. Non siamo riuniti per<br />

una dotta opera di restaurazione; non siamo un congresso di archeologi, né<br />

d'esteti, né di teneri maniaci del passato, dilettanti di rare bellezze. Ciò che ci<br />

muove, ciò che ci infiamma è una angoscia missionaria. Certo, abbiamo messo<br />

nel nostro titolo il bell'epiteto di "pastorale". Ma' il buon pastore non è solo<br />

colui che pasce tranquillamente, selezionati e ben nutriti greggi in un ovile<br />

ben chiuso; ma è quello che parte attraverso le spine alla ricerca <strong>della</strong> pecora<br />

smarrita. È colui che è consumato da una intensa pietà per la folla affamata,<br />

stanca, abbattuta, simile alle pecore senza pastore (Mt 9,36; 14,14; 15,32). Siamo<br />

ossessionati dal pensiero di quelle enormi folle che vivono senza ideale, o sono<br />

cattivate da liturgie puramente umane, anzi spesso meno che umane, <strong>della</strong><br />

classe, <strong>della</strong> massa, dei giochi dello stadio o delle ombre degli schermi, e che,<br />

comunque, misconoscono la sorgente inesauribile <strong>della</strong> gioia, <strong>della</strong> forza, <strong>della</strong><br />

salvezza (che è salute) che si sprigionano dai nostri misteri cristiani. Soffriamo<br />

di vedere le nostre chiese tanto spesso vuote, oppure piene d'un popolo rassegnato,<br />

che ci viene per abitudine, oppresso dalla noia d'un culto che subisce<br />

come un'inevitabile servitù o che riduce ad una pratica individualista e sentimentale<br />

» 25 .<br />

Ed ecco come inquadra la <strong>liturgia</strong> nel programma di rinnovamento<br />

missionario <strong>della</strong> parrocchia, Don G. Michonneau, la cui opera,<br />

Parrocchia, comunità missionaria, è stata definita la rivelazione moderna<br />

<strong>della</strong> parrocchia:<br />

« Ho avuto l'impressione che voi compiate uno sforzo considerevole per<br />

fare partecipare i fedeli alla <strong>liturgia</strong>. Credete che la vita del culto <strong>della</strong> parrocchia<br />

abbia una grande importanza missionaria? R. Un'importanza enorme.<br />

La vita cristiana alla quale vogliamo fare partecipare la massa popolare, non<br />

è soltanto un culto; è la vita di Cristo in mezzo a noi; ma, poiché Cristo è<br />

rileva (art. 2; 9) questa connessione tra autentica partecipazione del fedele alla<br />

vita liturgica e suo impegno di testimonianza e di missione verso i lontani e<br />

gli estranei. Su questa stessa connessione insistè giustamente in Francia il Congresso<br />

liturgico del 1954 a S. Geneviève de Versailles. Vedi La maison Dieu<br />

n. 40 (1954) e le conclusioni di quel congresso ivi pp. 165-68. Per es.: « Prima dell'assemblea<br />

che canta le lodi di Dio c'è l'evangelizzazione che incammina gli<br />

uomini alla fede e al battesimo. Dopo l'assemblea c'è tutta la vita che è esercizio<br />

di carità. Tra l'una e l'altra l'assemblea è un momento privilegiato <strong>della</strong><br />

vita <strong>della</strong> Chiesa... ».<br />

25 Études de pastorale liturgique (Lex Orandi I) Paris 1944, p. 8 s.


VALORE MISSIONARIO DELLA LITURGIA 775<br />

in primo luogo ordinato alla lode del Padre, la vita cristiana è principalmente<br />

un culto. Per realizzare la nostra ambizione di rendere cristiani i nostri fratelli,<br />

non pretendiamo di condurli in chiesa su due piedi, di spingerli subito<br />

alla messa (ci vengono solo ad intervalli, spinti da questa convinzione: la "mistica"<br />

cristiana ha un valore per la mia vita totale): ma sarà pur necessario,<br />

infine, aggregarli alla comunità cristiana che prega ed offre il Sacrificio. È<br />

dunque estremamente importante fornire a questi nuovi convertiti eventuali e<br />

desiderati — alcuni dei quali entrano già in chiesa in certe circostanze — un<br />

culto cristiano che abbia già di per se stesso un potere di seduzione, di attrattiva,<br />

non di repulsione: che sia anche un insegnamento, non un sonnifero...<br />

E se pensiamo ai fedeli stessi, specialmente ai giovani, la conclusione è la medesima:<br />

se vogliamo che non disertino la chiesa, bisogna che essi ci vivano<br />

non che ci sbadiglino; e se vogliamo che ci attingano il dinamismo necessario<br />

per diventare militanti, bisogna che le cerimonie che vi si svolgono diano loro<br />

il vero <strong>senso</strong> cristiano » 2e .<br />

La stessa persuasione dell'immenso valore missionario <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

va ormai sempre più diffondendosi negli ambienti delle missioni<br />

estere, dove il problema di portare la <strong>liturgia</strong> al popolo e il popolo<br />

alla <strong>liturgia</strong> ha, per ovvie ragioni, un'importanza ancora più vitale<br />

che nei paesi di tradizionale fede cristiana. Sin dal 1953, al congresso<br />

liturgico di Lugano, ne dava un'eloquente testimonianza il missionario,<br />

P. Hofìnger SJ. <strong>Il</strong> quale, tra le altre osservazioni, notava:<br />

« Quando parliamo dell'importanza apostolica, missionaria, pastorale, catechetica<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, c'è davvero da temere quello che vorrei chiamare un<br />

tradimento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> stessa, e sarebbe il ritenere che, almeno nelle missioni,<br />

essa possa e debba diventare l'ancella <strong>della</strong> predicazione. In nessun modo: se<br />

mai una delle due deve essere l'ancella questa non deve essere la <strong>liturgia</strong> rispetto<br />

alla predicazione, ma la predicazione rispetto alla <strong>liturgia</strong>... Ma dunque,<br />

in fin dei conti, nel nostro lavoro apostolico dobbiamo avere di mira chiaramente<br />

la gloria di Dio: tutta la concezione <strong>della</strong> religione è teocentrica. Se<br />

guardiamo sotto questo angolo il nostro lavoro missionario, e non solo missionario<br />

in <strong>senso</strong> stretto, si farà chiaro anche che la <strong>liturgia</strong>, culto del nuovo<br />

popolo di Dio, è addirittura al centro di tutto il lavoro missionario... A formare<br />

il popolo di Dio a un vero cristianesimo, una buona e intelligente partecipazione<br />

alla <strong>liturgia</strong> è più efficace di qualsiasi catechizzazione... Oggi in Cina, praticamente,<br />

abbiamo perdute tutte le scuole... e questo è tanto peggio in quanto<br />

il nostro metodo missionario in Cina si basava quasi totalmente sulle scuole...<br />

E tempo di persecuzione e il popolo non ha più niente. Se si fosse provveduto<br />

in tempo, il popolò avrebbe ora la <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> parola, la possibilità di funzioni,<br />

se non liturgiche, aliturgiche, ma formate sul modello <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, e<br />

tutto questo in lingua cinese, con buone letture, ascoltando le quali il cristiano<br />

potrebbe ancora formarsi. Queste cose ci mancano, e ci mancano poiché non<br />

abbiamo almeno parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in lingua volgare... '"•<br />

« Dovremo vedere a questo punto, dopo il valore catechistico anche il valore<br />

sociale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>... È di grande importanza che il popolo di Dio raccolto<br />

nella stessa chiesa a celebrare gli stessi misteri, si fondi in una vera<br />

ed intima comunità familiare, per non venir sommerso ed assorbito dalla maggioranza<br />

pagana... Anche nella celebrata missione cinese, che è tra le migliori,<br />

finora non si può parlare che dell'uno per cento <strong>della</strong> popolazione. Pensate<br />

alla pessima influenza <strong>della</strong> maggioranza pagana, contro cui quella infima mi-<br />

26 Parrocchia, comunità missionaria, trad. ital., Ed. Paoline 1949, p. 52.<br />

27 È noto che la S. Sede, diverse volte, in specie per la Cina, si era avviata<br />

su questa via con larghe concessioni, compresa quella <strong>della</strong> prima parte <strong>della</strong><br />

messa in cinese. Se i tentativi non approdarono mai definitivamente, non fu


776 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

noranza deve stare sulla difensiva e solo sulla difensiva, mentre noi vorremmo<br />

conquistare altri al cristianesimo. Quanta vitalità dovrebbe avere per questo il<br />

nostro cristianesimo! Dovremmo sentirci vivamente popolo di Dio, e saremmo<br />

fermento potente. Ma donde trarre questa forza se non dalla <strong>liturgia</strong>? » 2 ».<br />

Liturgia ed ecumenismo<br />

È ormai chiaro che la <strong>liturgia</strong> è uno dei punti centrali nei quali<br />

avviene il riavvicinamento dei cristiani separati 2B .<br />

Primo fatto da notare è l'esistenza di un ormai notevolissimo<br />

movimento, tanto privato che ufficiale, inteso al rivalorizzamento <strong>della</strong><br />

vita liturgica e del pensiero liturgico, in seno alle comunità nate<br />

dalla riforma del secolo XVI. E ciò non solo presso gli anglicani, che,<br />

in questo campo, conservarono sempre una posizione assai più tradizionale<br />

e vicina alla Chiesa cattolica 30 , ma anche presso i luterani "<br />

e i calvinisti 32 .<br />

certo per colpa <strong>della</strong> S. Sede. Vedi F. BONTINK, La lutte autour de la liturgie<br />

chinoise aux XVII* et XVIII" siècles, Louvain 1962. Vedi pure N. KOWALSKI,<br />

Rómische Entscheidungen iiber den Gebrauch der Landesprache bei der heiligen<br />

Messe in der Missionen, in: Neue Zeitschrift fiir Missionswissenschajt 9 (1953)<br />

241-51.<br />

2» Necessità e speranze... art. cit. sopra alla nota 22, pp. 117-119. Un altro<br />

articolo completamente nello stesso <strong>senso</strong>, è quello di MONS. VAN BEKKUM,<br />

citato alla stessa nota 11. Vi si legge: «Sono fermamente convinto che quest'opera<br />

liturgico-pastorale del nostro S. Padre e le riforme liturgiche che essa<br />

comporta sono anche e specialmente per le missioni di grandissima importanza<br />

ed urgenza. Nelle missioni ciò non viene ancora dappertutto abbastanza chiaramente<br />

compreso » p. 121. E conclude la sua relazione così: « almeno un punto<br />

dovrebbe risultare chiaro: se l'appello del Papa sarà compreso bene nelle missioni<br />

e se vi verrà data risposta con i fatti, le generazioni future riconosceranno<br />

e loderanno l'opera di pastorale liturgica di Pio XII anche e particolarmente<br />

come una grande opera missionaria » p. 137.<br />

29 Vedi bibliografia generale <strong>della</strong> questione in H. SCHMIDT, Introducilo<br />

in <strong>liturgia</strong>m occidentalem, Herder 1960, pp. 231-34.<br />

so Vedi LITURGY AND WORSHIP; a companion to the Prayer Books of the<br />

anglican Communion, a cura di L. CLARKE - CH. HARRIS, London 1947 (prima edizione<br />

1932); la rivista Parish and people, dal 1948-49.<br />

31 Vedi THEOLOGIE UND LITURGIE. Eine Gesamtschau der gegenwàrtigen Forschung<br />

in Einzeldarstellungen. A cura di L. HENNIG, Kassel, J. Stauda 1952. Nota<br />

in modo speciale l'articolo di F. K. MULLER, Die Neueordnung des Gottesdienstes<br />

in Theologie und Kirche, ibid., pp. 198-339: panorama e analisi del movimento<br />

liturgico protestante in Germania sullo sfondo delle tendenze teologiche contemporanee.<br />

LEITURGIA; Handbuch des evangelischen Gottesdienstes, a cura di<br />

K. F. MULLER e di W. BLANKENBURG, 4 volumi, ivi 1959-61: opera poderosa con<br />

amplia bibliografia e molte notizie utili anche per i cattolici. Vedi anche: E. J.<br />

LENGELING, Der gegenwàrtige Stand der liturgischen Erneurung im deutschen<br />

Protestantismus, in: Munchner Theologische Zeitschr. 10 (1959) 83-101; 200-225;<br />

C. MAHRENHOLZ, Zwanzig Jahre Lutherische Liturgische Konferenz Deutschlands,<br />

in: Lutherische Monatschr. 1 (1962) 154-62. W. BLANKENBURG, Offizielle und inoffizielle<br />

titurgische Bestrebungen in der Evangelischen Kirche Deutschlands, in:<br />

Lit. Jahrbuch 13 (1963) 70-83.<br />

32 Per il calvinismo di lingua francese vedi: R. WILL, Le eulte, 3 volumi, Pa-


LITURGIA ED ECUMENISMO 777<br />

Questo movimento nacque dapprima in Germania, subito dopo<br />

la prima guerra mondiale, dietro un bisogno spirituale e pastorale<br />

assai simile a quello che, verso la stessa epoca, dette origine al rilancio<br />

del movimento liturgico cattolico, del quale, del resto, ha poi<br />

sempre subito non poco l'influsso. Presto, grazie, in specie, al cosid'<br />

detto circolo di Berneuchen, con a capo Guglielmo Staehlin, investì<br />

sempre più largamente anche il campo <strong>teologico</strong> liturgico 33 . E conta<br />

ormai tra i movimenti di fondo di quelle chiese separate, anche se<br />

ciò non avviene senza incomprensioni e contrasti ".<br />

Secondo fatto importante : la questione liturgica è diventata esplicitamente<br />

uno dei problemi fondamentali del movimento ecumenico<br />

mondiale 3S .<br />

Come si spiega tutto questo? Fondamentalmente, dal fatto che<br />

la reviviscenza dello spirito liturgico e <strong>della</strong> prassi liturgica comporta,<br />

tanto in noi che nei cristiani separati, una presa di coscienza e un<br />

approfondimento di elementi teologici e spirituali, biblici e tradizionali,<br />

che, nella salvaguardia del dogma cattolico, portano spontaneamente<br />

a un notevole riavvicinamento delle posizioni anche su punti<br />

fondamentali che ci hanno tenuti fin qui divisi.<br />

Ad esempio: uno degli ostacoli maggiori che un equo apprezzamento<br />

del cattolicesimo ha fin qui incontrato presso i cristiani<br />

separati è stata una loro insufficiente distinzione <strong>della</strong> fede cattolica<br />

dalla teologia cattolica: più esattamente, dalla teologia occidentale<br />

scolastica medievale e da quella positivo-scolastica postridentina.<br />

Hanno avuto tendenza ad ascrivere senz'altro alla fede cattolica<br />

ris 1925-35; R. PAQUIER, Traiti de liturgie, Neuchàtel 1954 (il movimento da lui animato<br />

si chiamava: Église et liturgie); le opere del centro dei monaci riformati<br />

di Taizé, con la rivista che ne esprime le idee, Verbum Caro, e specialmente<br />

quelle di M. THURIAN, come : Jole du • ciel sur la terre, Introduction à la vie<br />

liturgique, Neuchàtel 1946; La confession, ivi 1953; La confirmation, consécration<br />

des la'ics, ivi 1957; L'Eucharistie, mémorial du Seigneur, sacrifice d'actions de<br />

gràces et d'intercession, ivi 1959. Per i calvinisti olandesi vedi J. F. LESCRAU-<br />

WAET, De liturgische beweging de nederlaridse Hervormen in oecumenisch perspectief,<br />

Bussum, P. Brand 1957. Vedi pure J. M. DROIN et A. SENAUD, Renouveau<br />

liturgique catholique et renouveau liturgique reformé, in: Paroisse et Ut. 38<br />

(1956) 11-17.<br />

33 Si può vederlo, per esempio, nell'opera di P. BRUNNER; vedi specialmente:<br />

il suo Tur Lehre vom Gottesdienst der ini Namen Jesu versammelten Gemeinde,<br />

in: Leiturgia — citato sopra nota 31 — 1 (1954) 83-364; Grundlegung des Abendmahlsgesprdchs,<br />

Kassel 1954.<br />

34 Vedi, per esempio, G. HARBSMEIER, Dass wir die Predigt und sein Wort<br />

nicht verachten, Miinchen 1958; W. HOECHSTAEDER, Liturgische Erneurung? Miinchen<br />

1961. Niente di sorprendente in simili contrasti quando si pensa agli osta<br />

coli cui andò incontro il movimento liturgico tra noi.<br />

35 Nel 1951, presso il Consiglio ecumenico delle Chiese, la materia fu costituita<br />

oggetto di una particolare sezione e di un rapporto speciale: WAYS OF<br />

WORSHip. The report of a theological commission of Faith and Order, edito a<br />

cura di P. EDWALL... SCM Press, London 1951. In Olanda, dal 1962, esce una<br />

rivista specializzata in rapporti tra <strong>liturgia</strong> e movimento ecumenico : Studia<br />

Liturgica; an international ecumenical quartely for liturgical research and renewal,<br />

Rotterdam. Le riviste che si occupano di ecumenismo danno sempre maggiore<br />

attenzione alla questione liturgica.


778 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

le incompletezze e le deficienze, supposte o reali, che vedevano<br />

nella teologia scolastica o positivo-scolastica. Tra le accuse abituali,<br />

nutrite su questo sfondo di psicologia, c'è stata sempre quella<br />

di un allontanamento dalla bibbia e da certi aspetti <strong>della</strong> tradizione<br />

antica, in favore di una concettualizzazione di colore filosofico (intendi<br />

scolastico) eccessiva, o addirittura snaturante.<br />

Abituale pure l'accusa di eccessiva prevalenza data, nel modo<br />

di concepire la Chiesa, alle categorie giuridiche a detrimento del suo<br />

aspetto mistico, e alla funzione del clero a detrimento del concetto<br />

di popolo di Dio e del sacerdozio universale dei fedeli.<br />

Come certi aspetti <strong>della</strong> teologia scolastica e positivo-scolastica<br />

possano dare appiglio a simile giudizio si comprende facilmente<br />

tenendo presente quanto è stato detto nei capitoli XVII e XVIII su<br />

questi due generi di teologie e sui loro limiti.<br />

Un'altra sorgente di difficoltà contro la Chiesa cattolica è stata<br />

per i cristiani separati la tendenza ad attribuire alla fede cattolica<br />

i limiti e le deficienze, supposte o reali, che essi credono dover<br />

rilevare nel campo <strong>della</strong> pietà e delle devozioni del popolo cattolico.<br />

Si pensi, per esempio, alle accuse rivolteci dai protestanti in<br />

genere per il modo, almeno pratico, in cui, a loro parere, si comporta<br />

il popolo cattolico nel campo <strong>della</strong> devozione mariana, <strong>della</strong> venerazione<br />

dei santi, di alcune devozioni e pratiche devozionali moderne.<br />

Le obiezioni più frequenti in questa materia sono quelle di detrimento<br />

portato al cristocentrismo biblico, di semipelagianesimo pratico<br />

nell'affanno per acquistarsi meriti, di spostamento dell'attenzione<br />

psicologica del fedele dai dogmi cristiani centrali ad aspetti<br />

marginali con tendenza a scivolare nella superstizione.<br />

Gli ortodossi, invece, almeno da un secolo a questa parte, hanno<br />

rimproverato con insistenza alla pietà cattolica la mancanza di<br />

percezione viva del mistero pasquale che asseriscono, invece, essere<br />

una delle caratteristiche delle loro chiese in virtù dell'unione che,<br />

contrariamente a quanto avverrebbe tra i cattolici, esisterebbe da<br />

loro, tra <strong>liturgia</strong> e pietà e spiritualità in genere.<br />

Insomma, per i cristiani separati, la Chiesa cattolica, nel campo<br />

delle idee e <strong>della</strong> pietà, avrebbe perduto, o almeno obnubilato,<br />

parecchie ricchezze bibliche e tradizionali che si sarebbero, invece,<br />

meglio conservate nel protestantesimo o nell'ortodossia.<br />

Non è questa la sede per esaminare fino a qual punto simili<br />

accuse siano giustificate. Una cosa, invece, -è certa e ogni lettore<br />

attento di quest'opera può facilmente riscontrarla : la <strong>liturgia</strong> e il<br />

movimento liturgico spingono potentemente il teologo cattolico a<br />

completare ed equilibrare i punti di vista scolastici e positivo scolastici<br />

con una serie di visuali che convergono di fatto con le prospettive<br />

dominanti e direttamente appariscenti nelle quali la rivelazione<br />

viene proposta nella Scrittura e in molti aspetti <strong>della</strong> tradizione<br />

patristica.<br />

In esse viene messo ogni volta al primo piano <strong>della</strong> considerazione<br />

delle cose rivelate non tanto l'aspetto analitico ontologico


LITURGIA ED ECUMENISMO 779<br />

(caratteristico <strong>della</strong> scolastica), o giuridico e apologetico (caro alla<br />

positivo-scolastica), quando quello più concreto del modo in cui<br />

effettivamente appaiono nella storia sacra sempre in atto <strong>della</strong> nostra<br />

salvezza. Storia sacra; mysterium e sacramentwn; coscienza acuta<br />

del predominio di Dio; Cristo Kyrios, mediatore che tutto domina,<br />

sempre presente ed operante; Chiesa « come sacramento di unità,<br />

ossia popolo santo riunito e ordinato sotto i vescovi » 3e ; Corpo<br />

Mistico; sacerdozio universale; mistero pasquale come riassunto<br />

di tutta la salvezza; tensione escatologica; inscindibile unità ed<br />

equilibrio tra fede e sacramento <strong>della</strong> fede, tra Parola e sacramento :<br />

queste idee, tra diverse altre, costituiscono la quintessenza <strong>della</strong><br />

visuale liturgica. <strong>Il</strong> movimento liturgico spinge a metterle in forte<br />

rilievo nella teologia in genere e nella teoria e nella prassi <strong>della</strong><br />

spiritualità " nonché nell'organizzazione e nell'azione concreta<br />

pastorale.<br />

Ecco dunque il fatto ecumenicamente capitale: un movimento<br />

tipicamente intraecclesiastico, come lo è quello liturgico, spinge il<br />

pensiero e la vita cattolica verso un tale approfondimento e una tale<br />

migliore presa di coscienza delle proprie ricchezze da portare al<br />

completamento <strong>della</strong> teologia scolastica e postridentina, nonché<br />

<strong>della</strong> teoria e <strong>della</strong> prassi di vita spirituale e pastorale moderna,<br />

con un notevole progresso verso il raggiungimento di una integralità<br />

ed equilibrio teorici e pratici più perfetti rispetto alla ricchezza<br />

totale <strong>della</strong> rivelazione e delle sue virtualità. Nello stesso tempo,<br />

i tratti dei quali il pensiero e la vita <strong>della</strong> Chiesa vengono così ad<br />

arricchirsi, danno precisamente risalto alla presenza di quegli elementi<br />

che i cristiani separati erano inclini a credere assenti o troppo<br />

negletti nella fede cattolica.<br />

È una convergenza d'importanza incalcolabile nell'odierno problema<br />

ecumenico. Cosa naturale, del resto: perché il miglior modo,<br />

per i cattolici, di fare un sano ecumenismo è sempre quello di<br />

perfezionare la propria teologia e la propria vita spirituale e pratica,<br />

secondo le loro intrinseche esigenze, tanto da realizzare e testificare<br />

agli altri, nel modo più integrale ed equilibrato possibile, le virtualità<br />

<strong>della</strong> propria fede.<br />

Già sotto questo aspetto si comprende quale compito spetti<br />

in questo campo alla <strong>liturgia</strong> 38 . Si comprende anche in questa prospettiva<br />

l'eccezionale favore con il quale la Costituzione del concilio<br />

se CL art. 26.<br />

37 Ho avuto occasione di documentare dettagliatamente questi due fatti in:<br />

Liturgìa e pensiero <strong>teologico</strong> recente (nell'opuscolo dal titolo omonimo, edito<br />

a Roma, S. Anselmo, 1961, pp. 21-76) e in: Orientamenti e problemi dì spiritualità<br />

liturgica nella letteratura degli ultimi quarant'anni, edito in: Problemi e orientamenti<br />

di spiritualità monastica, biblica e liturgica, edito a cura di C. VAGAG-<br />

GINI, Ed. Paolino 1961, pp. 489-584.<br />

38 Vedi: E. BEAUDUIN, Dialogue oecuménique et équilibre de la théologie,<br />

in: Irénikon 27 (1954) 275-91. Vedi anche CH. MOELLER, Liturgie et oecuménisme,<br />

in: Quest. Ut. et par. 32 (1951) 166-70. TH. FILTHAUT, Liturgische Erneurung und<br />

oekumenische Aufgabe, in: Lit. Jahrbuch 11 (1961) 9-29.


780 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

vaticano II sulla <strong>liturgia</strong> è stata accolta negli ambienti anche non<br />

cattolici che hanno a cuore la riunione di tutti i cristiani.<br />

Non meno sorprendenti, ai fini di un riawicinamento con la<br />

Chiesa cattolica, i frutti del movimento liturgico nelle comunità<br />

protestanti. Nelle Chiese luterane e calviniste si tratta sostanzialmente<br />

e direttamente di un apprezzamento molto più positivo dell'aspetto<br />

incarnato, sacramentale, sacerdotale, comunitario <strong>della</strong> salvezza; con<br />

equilibrio molto più biblico e tradizionale tra fede e sacramento,<br />

Parola e sacramento, aspetto soggettivo e oggettivo <strong>della</strong> salvezza.<br />

In specie il movimento liturgico ha portato tra non pochi di<br />

loro a un nuovo esame in <strong>senso</strong> più tradizionale dei diversi sacramenti,<br />

particolarmente dell'eucaristia (presenza reale, sacrificio, rapporti<br />

con il Golgota, con la comunione, valore escatologico), del<br />

battesimo, nella discussione sul battesimo dei bambini, e <strong>della</strong> cresima,<br />

nella questione <strong>della</strong> sua natura e <strong>della</strong> sua relazione al<br />

battesimo.<br />

Anzi, per l'intrinseca connessione che lega tutti i problemi<br />

teologici, se scrutati alquanto profondamente, le discussioni liturgiche<br />

hanno portato ad approfondire in <strong>senso</strong> più tradizionale problemi<br />

cristologici (non si può comprendere la <strong>liturgia</strong> senza rifarsi<br />

alla stessa struttura <strong>della</strong> persona di Cristo), quelli riguardanti la<br />

natura <strong>della</strong> Chiesa, nonché quelli, in qualche modo ancora più<br />

fondamentali, <strong>della</strong> metodologia teologica generale, come la questione<br />

<strong>della</strong> sola Scriptura e <strong>della</strong> tradizione e quella <strong>della</strong> filosofia presupposta<br />

e usata nella teologia 39 .<br />

Per quanto riguarda i nostri rapporti con i dissidenti orientali,<br />

l'importanza del movimento liturgico si comprende anche dal fatto<br />

particolare che la tradizione liturgica, sempre viva tanto in occidente<br />

che in oriente, si formò essenzialmente nei secoli prima <strong>della</strong> scissione<br />

e che essa perciò costituisce un naturale terreno comune<br />

di riawicinamento.<br />

È cosa notissima che gli ordotossi di qualche cultura religiosa<br />

profonda, che vengono a contatto con le realizzazioni del movimento<br />

liturgico cattolico, ne rimangono non poco impressionati in <strong>senso</strong><br />

favorevole, non solo perché così viene a cadere tutta una serie di<br />

pregiudizi e di accuse mosse alla Chiesa cattolica in questo campo,<br />

ma anche perché, rovesciandosi la situazione, devono accorgersi che<br />

39 Si possono vedere alcuni di questi risultati in WAYS OF WORSHIP, citato<br />

sopra nota 35, pp. 15-39; nell'articolo di J. MEISTER, Zur Fragestellung und Begrifflichkeit<br />

der Arnoldshainer Abendmahlsthesen (in: Die Eucharistie im Verstandnis<br />

der Konfessionen, a cura di TH. SARTORY, Recklinghausen 1961, pp. 262-82) e di<br />

G. REIDICK, Zur Diskussìon iiber die Arnoldshainer Abendmahlsthesen, ibid.,<br />

pp. 285-329 (questi due articoli parlano delle discussioni avutesi recentemente in<br />

Germania tra luterani e calvinisti intorno all'eucaristia); nelle opere di W.<br />

STAEHLIN, specialmente, Berneuchen; unser Kampf und Dienst fur Kirche, Kassel<br />

1937; Vom gottlichen Geheimnis, ivi 1936; Uni was geht es bei der liturgischen<br />

Erneurung, ivi 1950. Nelle opere THEOLOGIE UND LITURGIE, LEITURGIA (citate sopra<br />

nota 31), in quelle di P. Brunner (vedi sopra nota 33) e in quelle di M. Thurian<br />

(vedi sopra nota 32).


PASTORALE LITURGIA OGGI 781<br />

il <strong>senso</strong> del mistero di Cristo, di cui per il passato spesso si gloriavano<br />

come di una caratteristica tradizionale <strong>della</strong> chiesa orientale<br />

in contrapposto ai cattolici, in realtà è assai più sviluppato e profondamente<br />

vissuto dai cattolici che nelle loro chiese. Ragione per<br />

cui vi è oggi presso i greci — degli altri, per le note circostanze<br />

politiche non è il caso di parlare — qualche interessante tentativo<br />

di sviluppare un movimento liturgico a somiglianza di quello cattolico<br />

40 .<br />

Si può stare certi, comunque, che se presso i cattolici di rito<br />

latino od orientale che vivono tra i dissidenti, si sviluppasse un<br />

potente movimento liturgico a somiglianza di quello dei paesi<br />

cattolici occidentali, la cosa potrebbe avere conseguenze quanto<br />

mai interessanti in molti paesi, come in Palestina, Libano, Siria,<br />

Mesopotamia, Turchia, e nella stessa Grecia, per non parlare degli<br />

altri quando potranno essere liberati dal giogo comunista. È certo,<br />

infatti, che i dissidenti che in quelle parti vengono a contatto con<br />

il nostro culto, specialmente latino, non possono non provare<br />

notevole difficoltà a capire cosa comporti la piena vita cattolica.<br />

Da questo saggio intorno all'eminente, sebbene indiretto, valore<br />

pastorale, missionario, ecumenico, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> si può vedere quanto<br />

la realtà sia lontana dal concetto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> roba di soli monasteri<br />

e tutt'al più di ristretti circoli eletti di cristiani e come degli aristocratici<br />

<strong>della</strong> spiritualità, mentre il parroco, il missionario, il laico<br />

militante, stretti nelle dure morse delle necessità apostoliche e dall'urgente<br />

impegno di difesa e di conquista nella cristianizzazione<br />

del mondo, non possono e non devono sprecarvi tempo. <strong>Il</strong> quale<br />

concetto, invece, esprime purtroppo ancora non di raro la mentalità<br />

di certi ambienti che, molto lodevolmente, sognano e parlano solo<br />

di apostolato. La realtà, tuttavia, è proprio questa: che la <strong>liturgia</strong>,<br />

pur senza assorbire in sé le altre opere pastorali ed apostoliche,<br />

indispensabili per conquistare e conservare il popolo a Cristo, non<br />

solo è un eminente mezzo di pastorale e di apostolato, ma è addirittura<br />

il centro e la meta a cui deve tendere e la fonte da cui<br />

derivare tutta la pastorale e tutto l'apostolato nelle sue più svariate<br />

forme; infatti, queste tendono in fin dei conti, a creare quella<br />

comunità vivente in Cristo che ha la sua massima espressione appunto<br />

nella comunità liturgica.<br />

La pastorale liturgica caratteristica <strong>della</strong> fase attuale<br />

del movimento liturgico<br />

Dalla fine dell'ultima guerra, proprio la considerazione dell'aspetto<br />

pastorale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è diventata il grande dinamismo<br />

che ha fatto fare al movimento liturgico progressi rapidi e gigan-<br />

40 P. TRAMBELAS, / movimenti liturgici (in greco) Atene 1948. E. TIMIADIS, Les<br />

tendances actuelles de la pensée dans l'église de Grece, in: Paroisse et liturgie<br />

37 (1955), p. 29 ss. Vedi anche ibid., p. 287 ss.


782 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

teschi rendendolo ormai una cosa d'interesse universale tanto che<br />

esso, oggi, secondo la solenne attestazione del concilio vaticano II :<br />

« imprime una nota caratteristica alla sua vita ( = <strong>della</strong> Chiesa), anzi<br />

a tutto il modo di sentire e di agire religioso del nostro tempo » ".<br />

I germi di questa impostazione nettamente pastorale del movimento<br />

liturgico, contenuti nell'indirizzo datogli da S. Pio X e raccolti<br />

da Dom Lamberto Beauduin, il primo rianimatore dell'idea liturgica<br />

42 , erano andati notevolmente affievolendosi nel tempo che<br />

intercorse tra le due guerre. Ma ripresero a germogliare rigogliosi<br />

verso il 1944-46. Nei paesi di lingua tedesca, il P. Pio Parsch intensificò<br />

la sua propaganda per una <strong>liturgia</strong> « popolare » — il che<br />

comportava un forte accento anche sulla questione <strong>della</strong> lingua<br />

volgare — affiancata, del resto, da una intensa catechesi biblica 43 .<br />

In Francia, nel 1944 sorse a Parigi il Centre de Pastorale Liturgique<br />

per iniziativa d'uomini implicati direttamente nell'apostolato e con<br />

lo scopo molto esplicito d'indirizzare in <strong>senso</strong> nettamente pastorale<br />

il movimento liturgico, come si può vedere nei programmi del centro<br />

stesso 44 e nella rivista La Maison-Dieu, l'esponente più quotato in<br />

questa materia. Nello stesso <strong>senso</strong> s'incamminarono anche gli altri<br />

ambienti liturgici e le riviste che già da lunga data lavoravano nel<br />

campo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Tra queste la rivista belga Paroisse et liturgie 45<br />

è molto diffusa tra il clero parrocchiale di lingua francese per il<br />

materiale liturgico pastorale di immediata utilizzazione che mette<br />

a disposizione dei suoi lettori.<br />

Cominciando dal 1946 circa, per l'intensità che il movimento liturgico,<br />

così indirizzato in <strong>senso</strong> pastorale, prendeva nei diversi paesi,<br />

chiedendo anche urgentemente certe riforme — taluni, sempre con<br />

lo scopo di pastorale liturgica, non si erano peritati di cominciare<br />

ad introdurne di propria autorità — l'episcopato un po' ovunque<br />

cominciò ad interessarsi direttamente <strong>della</strong> questione. Sorsero così<br />

commissioni liturgiche tra i vescovi e centri nazionali di <strong>liturgia</strong><br />

sotto la sorveglianza dell'episcopato e sempre con prevalente interesse<br />

pastorale. Con l'intervento <strong>della</strong> Mediator Dei nel 1947, diretto a<br />

segnare la via e a raddrizzare alcuni sviamenti, il movimento di<br />

pastorale liturgica riprese quello slancio sicuro che già sotto il<br />

Pontificato di Pio XII portò alle prime clamorose riforme segnate<br />

41 CL art. 43. Vedi Pio XII, Discorso del 22 Sett. 1956 ai congressisti di<br />

Assisi, Atti del congresso, p. 15.<br />

42 La sua opera di promotore si espresse in <strong>senso</strong> pastorale sin dal 1909<br />

nei fascicoli periodici: La vie liturgique, affiancati poi dalle Settimane liturgiche<br />

le cui relazioni furono regolarmente raccolte nelle: Semaines liturgiques,<br />

e dalla rivista: Les questions liturgiques et paroissiales dal 1910. Vedi O. ROUS­<br />

SEAU, D. Lambert Beauduin, apótre de la liturgie et de l'unite chrétienne, in:<br />

La maison Dieu, n. 40 bis (1954) 128-32.<br />

43 Vedi, per es., notizia biografica: In memoriam Pii Parsch, in: Liturgisches<br />

Jahrbuch 4 (1954) 230-36; CH. RAUCH, In memoriam: Un promoteur du mouvement<br />

liturgique, Pius Parsch, in: La Maison-Dieu, n. 40 bis (1954) 150-56.<br />

** Études de pastorale liturgique (Lex Orandi I) Paris 1944.<br />

45 Edita da: Abbaye de St. André, Bruges, Belgio.


PARTECIPAZIONE ATTIVA 783<br />

tutte da una volontà direttamente pastorale. <strong>Il</strong> movimento ha raggiunto<br />

la sua espressione teorica la più alta nella Costituzione del<br />

concilio vaticano II, la cui impostazione prevalentemente pastorale<br />

è ben- nota. Né meno certo è il carattere eminentemente pastorale<br />

che dirige il lavoro di riforma generale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in esecuzione<br />

alle direttive generali del concilio.<br />

Si può dire che il frutto ultimo di questo lavorio e di quelle<br />

esperienze che hanno confrontato il concetto e la realtà <strong>della</strong><br />

pastorale in genere con il concetto e la realtà <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, è stata<br />

la formazione, ormai acquisita, del concetto di <strong>liturgia</strong> pastorale,<br />

o, meglio, di pastorale liturgica.<br />

L'espressione: pastorale liturgica può significare: 1. gli accorgimenti<br />

dell'arte pastorale per indurre efficacemente il popolo a<br />

vivere intensamente la <strong>liturgia</strong>; 2. il valore <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> per raggiungere<br />

lo scopo generale <strong>della</strong> pastorale che è di condurre e<br />

conservare il popolo a Cristo e Cristo al popolo; 3. il modo generale<br />

di concepire e mettere in pratica la pastorale incentrandola coscientemente<br />

sulla <strong>liturgia</strong>. Tutti e tre i sensi sono giustificati, ma il terzo<br />

è più plenario ed è quello che intendiamo quando parliamo qui<br />

di pastorale liturgica.<br />

3. LA PARTECIPAZIONE ATTIVA PLENARIA<br />

META DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

Essendo il fine di ogni pastorale di condurre e conservare il<br />

popolo a Cristo e Cristo al popolo, oppure di realizzare e conservare<br />

l'incontro tra il popolo e Cristo, quando questa pastorale è coscientemente<br />

incentrata sulla <strong>liturgia</strong>, ossia è pastorale liturgica il suo<br />

fine sarà di condurre e conservare nella <strong>liturgia</strong> il popolo a Cristo<br />

e Cristo al popolo, oppure di realizzare e conservare nella <strong>liturgia</strong><br />

l'incontro tra il popolo e Cristo. Per questo lo sforzo pastorale<br />

consisterà nel condurre il popolo alla <strong>liturgia</strong> e la <strong>liturgia</strong> al popolo,<br />

per. poter realizzare e conservare l'incontro tra il popolo e Cristo.<br />

Ma sappiamo che la <strong>liturgia</strong> ha il suo centro e sole nel sacrificio<br />

<strong>della</strong> messa, il massimo luogo d'incontro tra l'uomo e Dio in Cristo<br />

Gesù, dove, supposta la sintonia, morale, Dio in Cristo al sommo<br />

grado santifica l'uomo e l'uomo in Cristo al sommo grado rende<br />

il suo culto a Dio. Sole e centro <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, la messa è dunque<br />

necessariamente sole e centro <strong>della</strong> pastorale liturgica che intende<br />

quindi anzitutto condurre il popolo alla messa e la messa al popolo.


784 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

Partecipazione plenaria esterna ed interna<br />

Perché si realizzi il predetto incontro non basta una presenza<br />

qualsiasi e una partecipazione qualsiasi all'azione liturgica. Non<br />

si tratta d'incontro solo materiale, puramente estrinseco, ma di un<br />

incontro interno, d'animo. La pastorale liturgica deve dunque avere<br />

di mira non solo di condurre materialmente l'individuo in chiesa<br />

perché partecipi comunque alla <strong>liturgia</strong>, ma di creare in lui la<br />

sintonia interna morale con la realtà liturgica come santificazione<br />

in Cristo e culto a Dio in Cristo.<br />

Questa sintonia, tanto nel suo aspetto esterno che interno, ammette<br />

dei gradi più o meno perfetti. La pastorale incentrata nella<br />

<strong>liturgia</strong>, affinché si realizzi il pieno incontro del popolo con Cristo,<br />

deve tendere, sotto ambedue gli aspetti, ad ottenere la massima<br />

perfezione possibile, secondo le connaturali esigenze <strong>della</strong> stessa<br />

<strong>liturgia</strong> e dello sviluppo <strong>della</strong> vita divina nei fedeli. La meta è dunque<br />

la partecipazione plenaria: quella cioè in cui il cristiano, rispondendo<br />

con perfetta sintonia al dato oggettivo <strong>della</strong> celebrazione,<br />

esplica in pieno le possibilità di azione soprannaturale incluse nel<br />

suo essere soprannaturale di uomo deputato al culto di Dio in Cristo.<br />

Giustamente la Costituzione del concilio vaticano II insiste<br />

ripetutamente su questo concetto di partecipazione « piena » come<br />

meta tanto <strong>della</strong> pastorale liturgica 46 quanto <strong>della</strong> stessa riforma<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 47 .<br />

Attiva<br />

<strong>Il</strong> pieno incontro con Cristo nella <strong>liturgia</strong> esige una partecipazione<br />

interna ed esterna non solo passiva di chi è presente come<br />

spettatore muto che solo contempla un'azione fatta da altri, ma<br />

una partecipazione attiva come conviene a colui che compie la<br />

propria parte di attore quando l'azione cui prende parte è, per<br />

intrinseca esigenza, anche la sua azione. Infatti la <strong>liturgia</strong> è, per<br />

46 « È ardente desiderio <strong>della</strong> Madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati<br />

a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche,<br />

che è richiesta dalla natura stessa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e alla quale il popolo<br />

cristiano, "stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto"<br />

(2 Pt 2,9. Cfr. 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo ». CL art. 14.<br />

47 « A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una<br />

specialissima cura nel quadro <strong>della</strong> riforma e dell'incremento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>:<br />

essa, infatti è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possano attingere<br />

il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d'anime, in tutta la loro<br />

attività pastorale, devono sforzarsi di ottenerla attraverso una adeguata formazione<br />

», ibid. « In tale riforma, l'ordinamento dei testi e dei riti dev'essere<br />

condotto in modo che le sante realtà, da essi significate, siano espresse più chiaramente,<br />

il popolo cristiano possa capirne più facilmente il <strong>senso</strong>, e possa<br />

parteciparvi con celebrazione piena, attiva e comunitaria », ibid., art. 21. Cfr.<br />

anche art. 41.


PARTECIPAZIONE COMUNITARIA 785<br />

sua natura, azione non solo del sacerdote ma di ogni fedele presente,<br />

sebbene in un modo proprio che non è quello del sacerdote e quindi<br />

senza livellamento di parti e senza confusioni.<br />

Per chiarire questo punto ricordiamoci anzitutto il concetto<br />

di sacerdozio di tutti i fedeli come a suo luogo è stato spiegato.<br />

La natura intrinseca <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come azione e la natura intrinseca<br />

del cristiano come rivestito, per il suo stesso battesimo, del regaie<br />

sacerdotium che lo deputa a fare sua quella azione liturgica, fanno<br />

sì che non vi è partecipazione perfetta del cristiano alla <strong>liturgia</strong><br />

se egli non vi presta una partecipazione non solo interna oltreché<br />

esterna, ma anche attiva, viva, conscia.<br />

Si arriva a uguale costatazione se si considera non più la struttura<br />

interna <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in rapporto al profondo essere del cristiano,<br />

ma la sua efficacia psicologica sul fedele. Senza la partecipazione<br />

attiva la <strong>liturgia</strong> non sortisce per chi vi assiste il suo pieno effetto<br />

psicologico morale. Infatti, senza di essa cessa, o per lo meno è<br />

molto diminuita, la sua caratteristica principale, dal punto di vista<br />

didattico educativo, di essere insegnamento concreto vitale per mezzo<br />

<strong>della</strong> stessa azione, nella quale l'atteggiamento vitale viene trasmesso<br />

non tanto da concetti e da ragionamenti, quanto dal vivere e realizzare<br />

al momento stesso una situazione sacra con tutta la persona.<br />

Comunitaria<br />

Si deve andare ancora oltre. Quella partecipazione esterna ed<br />

interna, attiva e conscia, deve essere nello stesso tempo partecipazione,<br />

comunitaria. A questo tende la pastorale liturgica. E questo<br />

di nuovo esige come perfezione l'intrinseca natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

non meno che la sua efficacia psicologica. La sua natura intrinseca:<br />

perché la <strong>liturgia</strong> come culto è azione vitale di tutto il corpo mistico,<br />

Capo e membri, come comunità sacrale : « Le azioni liturgiche non<br />

sono azioni private, ma celebrazioni <strong>della</strong> Chiesa che è "sacramento<br />

di unità", cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei<br />

Vescovi. Perciò tali azioni appartengono all'intero Corpo <strong>della</strong> Chiesa,<br />

lo manifestano e lo implicano; i singoli membri poi vi sono<br />

interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli<br />

uffici e dell'attuale partecipazione » ,8 . Partecipare perfettamente e<br />

attivamente all'azione liturgica, significa dunque necessariamente<br />

partecipare attivamente all'azione che è di diritto l'azione di tutta<br />

la comunità in atto cultico; di tutta l'adunanza dei figli di Dio come<br />

ekklesia in Cristo Gesù, nella presenza dello Spirito Santo, il radunatore<br />

di ogni dispersione. La partecipazione attiva, anche esternamente<br />

comunitaria non è che l'espressione anche estrinseca di<br />

questa esigenza comunitaria, ontologica, intrinseca <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

«» CL art. 26.


786 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

Alla stessa conclusione conduce la considerazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

sotto l'aspetto <strong>della</strong> sua efficacia psicologica. Infatti, questa consiste,<br />

in gran parte, nel fatto che nella <strong>liturgia</strong> l'atteggiamento vitale religioso<br />

viene trasmesso al fedele non soltanto in quanto egli vive<br />

attivamente e con tutta la sua persona l'azione sacra, ma anche e<br />

massimamente perché la vive attivamente nella comunità di cui fa<br />

parte. Qui entra in gioco la forza psicologica d'influsso dell'ambiente<br />

di comunità e di massa nella creazione e nel rafforzamento di atteggiamenti<br />

di ordine vitale nell'uomo. Influsso che, la psicologia sociale<br />

e delle masse ha dimostrato enorme 49 e l'analisi psicologico-fenomenologica<br />

del culto nel suo aspetto sociale e comunitario ha particolarmente<br />

illuminato nel caso <strong>della</strong> stessa <strong>liturgia</strong> 50 .<br />

Naturalmente, il carattere sociale e comunitario <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, in<br />

quanto all'essenza teologica <strong>della</strong> cosa, è salvo in ogni azione liturgica<br />

dal momento che questa è posta con tutte le condizioni requisite<br />

alla ' validità, anche se è compiuta da un solo sacerdote in modo<br />

solitario, senza che vi assista nessun fedele.<br />

Così la messa detta in queste condizioni è sempre per la sua<br />

natura teologica un'azione di valore sociale e comunitario; così anche<br />

la recita solitaria del breviario compiuta da uno che ne ha l'obbligo<br />

canonico. Nello stesso modo, un fedele, o parecchi fedeli, che assistono<br />

alla messa in modo puramente passivo od occupati in devozioni<br />

private che hanno solo un nesso generale con la messa che ascoltano,<br />

compiono un atto che, per sua essenziale natura teologica, è un<br />

atto sociale e comunitario. In questo <strong>senso</strong> ogni atto liturgico validamente<br />

posto e ogni assistenza valida a un'azione liturgica ha<br />

valore sociale e non è priva dei suoi frutti sociali ".<br />

Dal che si deduce che gli ulteriori caratteri sociali e comunitari,<br />

di natura interna ed anche esterna, che vengono ad aggiungersi alle<br />

condizioni strettamente requisite per la validità dell'atto liturgico,<br />

danno a quest'atto solo una maggiore pienezza di socialità e comunitarietà<br />

rispetto a quella socialità e comunitarietà di sostanza<br />

teologica contenuta già nell'atto semplicemente valido. Maggiore<br />

pienezza che significa anzitutto una maggiore sintonia soggettiva<br />

interna ed esterna del fedele al carattere oggettivamente sociale<br />

e comunitario di ogni valida azione liturgica.<br />

Quando dunque si dice che la pastorale liturgica si preoccupa<br />

essenzialmente di dare alla celebrazione liturgica una espressione<br />

sociale e comunitaria, si vuol dire semplicemente che essa si preoccupa<br />

di indurre i fedeli a rispondere in modo più perfetto possibile<br />

anche nella loro soggettività interna ed esterna al carattere necessariamente<br />

sociale e comunitario di ogni azione liturgica. E si vuol<br />

dire inoltre che questa risposta, più sociale e comunitaria possibile,<br />

19<br />

Vedi, per es., J. FROEBES, Lehrbuch der experimentellen Psychologie, II,<br />

Freiburg i.B. 1929, p. 508 ss.<br />

r,<br />

o Vedi, per es., R. WILL, Le culle, tomo secondo, Les fortnes du eulte, Paris<br />

1929.<br />

51<br />

Vedi CÌ. art. 27 e MD n. 95; 96; 106.


PARTECIPAZIONE GERARCHICA<br />

è nelle normali esigenze intrinseche <strong>della</strong> stessa <strong>liturgia</strong>, come la<br />

perfezione di una cosa, sebbene accidentale rispetto alla sua essenza,<br />

è tuttavia nelle normali esigenze intrinseche di questa cosa.<br />

E in tutto questo niente di anormale, perché la pastorale non<br />

tende al solo scopo di condurre il popolo a un incontro qualsiasi con<br />

Cristo, ma mira, e deve mirare, alla perfezione di questo incontro.<br />

E quindi la pastorale liturgica non ha solo di mira di arrivare a una<br />

celebrazione valida <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> da parte del sacerdote e d'indurre<br />

il fedele a parteciparvi per quel minimo necessario perché ne ricavi<br />

un qualche frutto spirituale o soddisfi agli eventuali obblighi giuridici<br />

che ha di assistervi; ma si propone necessariamente d'indurre sia<br />

il sacerdote che il popolo nell'atto liturgico a quell'ideale di vita<br />

plenaria che è solo raggiunto quando tutte le possibilità di nutrimento<br />

di vita divina che offre la <strong>liturgia</strong> sono sfruttate nel miglior modo,<br />

connaturalmente allo spirito stesso che l'informa; tutto questo in<br />

vista di favorire più possibile l'unione dei partecipanti alla <strong>liturgia</strong> con<br />

Cristo e tra loro in Cristo.<br />

Così, trattandosi di partecipazione attiva e comunitaria, interna<br />

ed esterna come ideale essenziale alla pastorale liturgica, si deve<br />

evitare ogni opinione che sembrerebbe implicare che senza tale partecipazione<br />

ideale l'azione sacra non possa raggiungere lo scopo essenziale<br />

e, nello stesso tempo, essere persuasi che tale partecipazione<br />

rappresenta appunto l'ideale a cui, salvo la prudenza necessaria di<br />

ogni atto di questo genere, la pastorale liturgica deve tendere con<br />

tutti i mezzi legittimi.<br />

787<br />

Gerarchicamente strutturata<br />

Tuttavia la partecipazione attiva del fedele all'azione liturgica<br />

come propria azione, a cui mira la pastorale liturgica, non implica<br />

nessuna confusione tra la parte specifica del sacerdote e la parte del<br />

fedele nell'azione liturgica. Ognuno ha parte attiva nell'azione liturgica,<br />

ma ognuno a suo modo. Per la messa, in modo speciale, si rimanda<br />

a quanto si è detto a suo luogo intorno alla differenza tra il<br />

sacerdozio gerarchico e il sacerdozio comune a tutti i fedeli. Si ricordi<br />

particolarmente che in essa:<br />

« L'immolazione incruenta per mezzo <strong>della</strong> quale dopo che sono state pronunziate<br />

le parole <strong>della</strong> consacrazione, Cristo è presente sull'altare nello stato<br />

di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto rappresentante la persona<br />

di Cristo e non in quanto rappresenta la persona dei fedeli. Ponendo però<br />

sull'altare la vittima divina, il sacerdote la presenta a Dio Padre come oblazione<br />

a gloria <strong>della</strong> Santissima Trinità e per il bene di tutte le anime. A questa<br />

oblazione propriamente detta i fedeli partecipano nel modo loro consentito e<br />

per un duplice motivo; perché, cioè, essi offrono il sacrificio non soltanto per<br />

le mani del sacerdote, ma, in certo modo, anche insieme con lui, e con questa<br />

partecipazione anche l'offerta fatta dal popolo si riferisce al culto liturgico...<br />

Tutta la Chiesa, per mezzo di Gesù Cristo, compie l'oblazione <strong>della</strong> vittima... <strong>Il</strong><br />

popolo... unisce i suoi voti di lode, di impetrazione, di espiazione, e il suo rin-


788 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

graziamento all'intenzione del sacerdote, anzi dello stesso Sommo Sacerdote,<br />

acciocché vengano presentate a Dio Padre nella stessa oblazione <strong>della</strong> vittima<br />

anche con il rito esterno del sacerdote... Perché poi l'oblazione, con la quale in<br />

questo sacrificio i fedeli offrono la vittima divina al Padre Celeste, abbia il suo<br />

pieno effetto, ci vuole ancora un'altra cosa: è necessario cioè che essi immolino<br />

se stessi come vittima » 58 .<br />

Di tutto il popolo<br />

Ancora un passo avanti. L'ideale cui mira la pastorale liturgica,<br />

considerata ' nel suo insieme, non può essere soltanto, e nemmeno<br />

principalmente, la partecipazione attiva e comunitaria alla <strong>liturgia</strong><br />

di gruppi speciali nella comunità dei fedeli, come sarebbero comunità<br />

religiose e in genere gruppi scelti per rango sociale, per cultura, per<br />

elevatezza spirituale e cose simili. Ogni situazione il cui risultato<br />

pratico è, nel migliore dei casi, di confinare la partecipazione attiva<br />

e comunitaria alla <strong>liturgia</strong> a siffatti gruppi è necessariamente considerata<br />

da colui che deve avere cura <strong>della</strong> pastorale liturgica generale<br />

come non ideale e quindi da superare.<br />

Beninteso: da superare usando solo mezzi pastoralmente legittimi,<br />

dai quali sono esclusi quelli che vanno contro l'ubbidienza alle<br />

autorità gerarchiche <strong>della</strong> Chiesa, perché la pastorale in genere, e la<br />

<strong>liturgia</strong> in specie, sono funzioni non d'individui privati, siano pure<br />

sacerdoti, ma <strong>della</strong> Chiesa come tale, la quale è essenzialmente gerarchica.<br />

Inoltre, si deve naturalmente tener presente il principio generale<br />

di ogni governo : che in ogni cambiamento da introdurre si deve considerare<br />

la situazione generale concreta e le ripercussioni effettive<br />

che questo cambiamento può avere nella vita <strong>della</strong> società. Cosa questa<br />

che spetta non tanto alla teoria quanto alla prudenza di governo che<br />

può avere solo colui che conosce la situazione generale effettiva e<br />

considera la questione nell'insieme dei suoi connessi. Tutto questo<br />

vale contro coloro che, ragionando in astratto sull'ideale <strong>della</strong> pastorale<br />

liturgica, si arrogano il diritto che non hanno d'introdurre<br />

cambiamenti di propria autorità.<br />

Tuttavia, messi ben in salvo i predetti princìpi, rimane vero<br />

che una situazione il cui risultato pratico è che, nel migliore dei casi,<br />

la partecipazione attiva e comunitaria alla <strong>liturgia</strong> sarebbe confinata<br />

a un gruppo scelto di fedeli, è necessariamente vista dalla pastorale<br />

liturgica come situazione da superare. Questo semplicemente perché<br />

la pastorale incentrata sulla <strong>liturgia</strong> dipende dalle leggi <strong>della</strong> pastorale<br />

in genere, una delle quali, come abbiamo visto sopra, è appunto<br />

di tendere alla massa popolare e di tendervi in primo luogo. La <strong>liturgia</strong>,<br />

considerata nell'aspetto pastorale che è ad essa intrinseco e necessario,<br />

vuol essere dunque per intima natura, e anzitutto, popolare.<br />

•" MD n. 91; 92; 97. Vedi anche CL art. 48.


LITURGIA E DIOCESI 789<br />

Quello che la pastorale liturgica intende realizzare comprende dunque<br />

una partecipazione alla <strong>liturgia</strong>, alla messa anche esterna, ma vitale<br />

ed attiva, del popolo come comunità popolare s \<br />

Convergente nella diocesi e nella parrocchia<br />

Finalmente, nella pastorale incentrata sulla <strong>liturgia</strong>, tutto converge,<br />

sul piano locale, alla valorizzazione <strong>della</strong> diocesi e, in una<br />

cerchia più ristretta, la sola praticamente a portata concreta abituale<br />

di ogni fedele, a quella <strong>della</strong> parrocchia.<br />

La Costituzione del concilio vaticano II è formale sul primo<br />

punto :<br />

« <strong>Il</strong> vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo<br />

gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo.<br />

Perciò tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica <strong>della</strong><br />

diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale:<br />

convinti che la principale manifestazione <strong>della</strong> Chiesa si ha nella partecipazione<br />

piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni<br />

liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, nella medesima preghiera, al<br />

medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri<br />

» 54 .<br />

Se dunque la partecipazione attiva piena e comunitaria di tutto<br />

il popolo di Dio alle celebrazioni liturgiche, e particolarmente all'eucaristia,<br />

è meta <strong>della</strong> pastorale liturgica, questa deve proporsi di raggiungere<br />

tale scopo anzitutto nella celebrazione dell'eucaristia intorno<br />

al vescovo <strong>della</strong> diocesi. Motivo: questa è, infatti, sul piano locale,<br />

la principale azione in cui la Chiesa realizza e manifesta se stessa.<br />

Perché? Perché la Chiesa, come dice altrove la Costituzione 55 , è<br />

« sacramento di unità, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto<br />

la guida dei vescovi ». Ciò vuol dire, nella terminologia di S. Cipriano,<br />

da cui queste espressioni sono prese, che la Chiesa è una società<br />

causa, simbolo ed espressione dell'unità che, per comunicazione <strong>della</strong><br />

vita divina e superamento <strong>della</strong> dispersione del peccato, unisce gli<br />

uomini con Dio e tra loro in partecipazione alla vita e all'unità che<br />

unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Perciò la Chiesa si può<br />

definire : « de unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata<br />

» 56 .<br />

53 In questo <strong>senso</strong> popolare, nei paesi di lingua tedesca, insistè specialmente<br />

P. Parsch; in Francia, il P. Doncceur e un po' tutto il movimento che<br />

fa capo al Centre de pastorale liturgique, il quale non si stanca di scoccare<br />

frecce contro gli ambienti fautori, o supposti tali, di un certo aristocratismo<br />

liturgico, facilmente tacciati anche di estetismo liturgico. Del P. DONCCEUR, vedi,<br />

per es., Conditions fondamentales... citato sopra, nota 11; Comment se pose le<br />

problème de la liturgie populaire, in: Les questions liturgiques et paroissiales<br />

27 (1946) 173-83.<br />

- » CL art. 41.<br />

•" Ibid., art. 26.<br />

sn De dom. orai., 23.


790 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

In questo radunamento e creazione d'unità per comunicazione di<br />

vita divina, il vescovo è il principio esterno umano immediato di trasmissione<br />

e di coesione. Anzitutto « da lui deriva e dipende in certo<br />

modo la vita dei suoi fedeli in Cristo ». Perciò la Chiesa si può definire<br />

non solo : de untiate Patris et Fitii et Spiritus Sancti, plebs<br />

adunata, ma anche: plebs sancta sacerdoti (intendi vescovo) adunata<br />

et pastori suo grex adhaerens s7 .<br />

La Chiesa universale è formata dall'unione delle Chiese locali<br />

in virtù <strong>della</strong> comunione dei vescovi tra loro sotto il primato del<br />

Papa, supremo principio visibile e custode dell'unità.<br />

Se dunque la Chiesa è quel « sacramento di unità », in cui gli<br />

uomini, di diritto figli di Dio, ma ora lontani da Lui e gli uni dagli<br />

altri a causa del peccato, sono nuovamente adunati e ordinati intorno<br />

al vescovo per essere costituiti in popolo santo nella partecipazione<br />

alla vita trinitaria: è naturale che, concretamente, e localmente<br />

parlando, la principale realizzazione ed espressione <strong>della</strong><br />

Chiesa si abbia appunto in quell'atto in cui un gruppo di fedeli, intorno<br />

al loro vescovo, riceve, nel modo esternamente e interiormente<br />

più perfetto, quell'unità di vita ed esprime quel radunamento che<br />

supera la dispersione del peccato.<br />

Quest'atto è la celebrazione liturgica, principalmente dell'eucaristia,<br />

intorno al vescovo. Perciò: « tutti devono dare la più grande<br />

importanza alla vita liturgica <strong>della</strong> diocesi che si svolge intorno al<br />

vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale ».<br />

Perciò anche : « il vescovo dev'essere considerato come il grande<br />

sacerdote del suo gregge ». Intendi che deve essere considerato anzitutto<br />

come tale; poiché negli atti in cui esercita la sua funzione di<br />

gran sacerdote si ha sul piano locale la principale realizzazione e manifestazione<br />

<strong>della</strong> Chiesa: cioè si raggiunge in primo luogo il fine<br />

<strong>della</strong> stessa funzione episcopale.<br />

In primo luogo non esclusivamente. Perché sappiamo che la <strong>liturgia</strong><br />

non esaurisce tutta l'azione <strong>della</strong> Chiesa, ma ne è solo il culmine<br />

e la fonte; l'elemento non esclusivo ma centrale e ordinatore, che lungi<br />

dal dispensare dalle altre numerose opere di ministero e di apostolato,<br />

le esige imperiosamente come condizione presupposta e come logica<br />

conseguenza.<br />

Come dunque la Chiesa, senza esaurirsi tutta in questo, in nessun'altra<br />

azione è se stessa quanto nella celebrazione dell'eucaristia<br />

intorno al vescovo cui partecipa con piena sintonia tutto il popolo,<br />

così il vescovo, senza esaurire la sua funzione in quella di gran sacerdote<br />

del suo popolo, in nessun'altra azione è tuttavia se stesso e<br />

adempie la funzione per cui è quello che è, quanto nella stessa occasione.<br />

Conseguentemente, la diocesi, che è appunto la strutturazione<br />

concreta <strong>della</strong> Chiesa in un luogo determinato intorno al vescovo,<br />

•' S. CIPRIANO, Ep. 66,8.


LITURGIA E PARROCCHIA 791<br />

è in primo luogo, anche se non esclusivamente, una struttura sacrale<br />

e, segnatamente, eucaristica.<br />

Tutte idee queste che esigono un netto ridimensionamento <strong>della</strong><br />

figura tanto del vescovo quanto <strong>della</strong> diocesi, concepite di fatto<br />

troppo comunemente come entità quasi esclusivamente giuridiche<br />

e amministrative.<br />

Ridimensionamento in un <strong>senso</strong> molto più pastorale e sacrale<br />

e in una prospettiva ecclesiologica generale in cui la realtà soprannaturale<br />

ontologica <strong>della</strong> grazia e la sua partecipazione agli uomini<br />

anzitutto per via sacrale sacramentale (sacramenta in <strong>senso</strong> largo)<br />

sono concepite come nettamente primarie e determinanti rispetto<br />

alle strutture giuridiche.<br />

Ridimensionamento ancora nel <strong>senso</strong> di un maggiore avvaloramento,<br />

nel seno <strong>della</strong> Chiesa universale, <strong>della</strong> realtà delle Chiese<br />

locali. Essendo la Chiesa locale la Chiesa in oppure a tale o tale<br />

luogo: la Chiesa a Bologna, a Parigi, a Sydney, ecc. Oppure, come<br />

dice il Martyrium Polycarpi, la Chiesa pellegrina a Smirne, ecc.<br />

Ecclesiologia questa che è certamente implicata in tutta la realtà<br />

liturgica ed è quindi quella presupposta e brevemente accennata<br />

nella Costituzione sulla Liturgia e felicemente sviluppata in quella<br />

sulla Chiesa del concilio vaticano II 5B .<br />

Ciò che si è detto del vescovo e <strong>della</strong> diocesi come centro di<br />

convergenza <strong>della</strong> pastorale liturgica, deve, salva ogni proporzione,<br />

essere ripetuto del parroco, aiuto e vicario del vescovo in una porzione<br />

più ristretta di fedeli, e <strong>della</strong> parrocchia, specialmente locale. Anzi,<br />

in un certo <strong>senso</strong>, quanto detto sopra <strong>della</strong> diocesi dev'essere qui<br />

accentuato. Infatti, praticamente, la parrocchia è il nucleo concreto<br />

di proporzione umana individuale, per il quale il fedele entra nella<br />

diocesi, ne vive la vita in comunità soprannaturale e, per la diocesi,<br />

entra nella Chiesa universale.<br />

La partecipazione plenaria attiva del fedele alle celebrazioni<br />

liturgiche, principalmente all'eucaristia, converge dunque, praticamente,<br />

in una comunità organizzata più ristretta, principalmente<br />

nella parrocchia localmente organizzata. Come, a sua volta, la vita<br />

<strong>della</strong> parrocchia, pur non esaurendosi tutta nella <strong>liturgia</strong>, deve avere<br />

58 Iscrizione.<br />

59 Ho illustrato questi concetti in: La Chiesa si ritrova nella <strong>liturgia</strong>, in:<br />

Riv. Ut. 51 (1964) 343; L'évèque et la liturgie, in: Conciliwn ed. frane. (1965) n. 2<br />

pp. 13-27. <strong>Il</strong> movimento liturgico ha dato un gran contributo al recente approfondimento<br />

anche <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> figura del vescovo e <strong>della</strong> diocesi. Si può vederlo<br />

nella letteratura che, su questa questione, preparò le decisioni del concilio vaticano<br />

II. Vedi panorama delle tendenze nella teologia sull'episcopato e il vescovo<br />

prima del concilio in: Herder-Korrespondenz, Jan. 1958, pp. 188-94: Was ist ein<br />

Bischof?; Okt. 1961, pp. 31-39: Die Nachfolger der Apostel. Tra le opere di questa<br />

recente letteratura nota: G. MARTIMORT, De t'Évéque, Paris 1946. EPISCOPUS,<br />

Studien iiber das Bischofsamt, Regensburg 1949. MG». GUERRY, L'Évèque, Paris<br />

1954. MGR. CHARRUE, L'Évèque dans t'Église, in: Rev. dioc. de Namur, 1957, pp. 1-13.<br />

J. LÉCUYER, Épiscopat, in: Dict. Spirit., IV (1960) 879-907. K. RAHNER, Episkopat<br />

tind Primat, Freiburg i.B. 1961. Per la diocesi vedi J. COLSON, Qu'est-ce qu'un<br />

diocèse? Paris 1958. F. POGGIASPALLA, La diocesi e la parrocchia, Brescia 1950.


792 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

le celebrazioni liturgiche comunitarie, principalmente la messa, come<br />

il culmine verso cui tutta tende e la fonte da cui promana la sua<br />

virtù. È quanto conclude esplicitamente la Costituzione sulla <strong>liturgia</strong> :<br />

« Poiché nella sua Chiesa il vescovo non può presiedere personalmente<br />

sempre e ovunque l'intero suo gregge, deve costituire perciò dei gruppi di fedeli,<br />

tra cui hanno un posto preminente le parrocchie organizzate localmente<br />

sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo: esse infatti rappresentano<br />

in certo modo la'Chiesa visibile stabilita su tutta la terra.<br />

Per questo motivo la vita liturgica <strong>della</strong> parrocchia e il suo legame con il<br />

vescovo devono essere coltivati nell'animo e nell'azione dei fedeli e del clero;<br />

e bisogna fare in modo che il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> comunità parrocchiale fiorisca soprattutto<br />

nella celebrazione comunitaria <strong>della</strong> messa domenicale » 60 .<br />

Quando si pensa, invece, quanto numerose e forti sono oggi in<br />

tante direzioni le forze disgregatrici <strong>della</strong> parrocchia, è facile vedere<br />

come il movimento liturgico, che tende con tutto il suo peso a dare<br />

nuovo vigore al suo nucleo centrale sacrale e dinamico, interessi<br />

sommamente ogni parroco el .<br />

4. TRE PRESUPPOSTI E DUE DIRETTRICI GENERALI<br />

DI LAVORO DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

Dalla considerazione <strong>della</strong> natura <strong>della</strong> pastorale liturgica e <strong>della</strong><br />

meta <strong>della</strong> partecipazione attiva che essa si propone, si delinea<br />

il tracciato generale <strong>della</strong> via che deve percorrere per raggiungerla.<br />

Vi sono anzitutto tre presupposti generalissimi da ricordare.<br />

Formazione del clero<br />

La prima lapalissiana costatazione è che pastorale suppone un<br />

pastore, e pastorale liturgica suppone un pastore che abbia capito<br />

cos'è la <strong>liturgia</strong> e quale sia la sua virtù pastorale. Anzi, perché la<br />

«» CL art. 42.<br />

B1 Sulla parrocchia vedi D. GRASSO, Osservazioni sulla teologia <strong>della</strong> parrocchia,<br />

in: Gregorianum 40 (1959) 297-314 (con larga bibliografia anteriore). Vedi<br />

in specie F. X. ARNOLD, Comunità di fede, Roma 1959; congresso <strong>della</strong> Union des<br />

ceuvres a Besancon nel 1946 (Paroisse, chrétienté communataire et missionnaire);<br />

quello di Lilla nel 1948 (Structures sociales et pastorale paroissiale); il<br />

congresso del 1953 dell'Istituto pastorale di Vienna (Die Pfarrei Gestalt und<br />

Sendung). Sul tema: parrocchia comunità liturgica, vedi in n. 36 (1953) di La<br />

maison Dieu, con bibliografia, pp. 141-49. Vedi inoltre F. TONIOLO, Parrocchia e<br />

<strong>liturgia</strong>, 1949; H. CHERY, Comunità parrocchiale e <strong>liturgia</strong>, Brescia 1948.


FORMAZIONE DEL CLERO 793<br />

prassi <strong>della</strong> pastorale liturgica è un'arte e un'arte che deve comunicare<br />

un atteggiamento vitale, la pastorale liturgica suppone che il<br />

pastore sia vitalmente permeato per propria esperienza di questa<br />

realtà che è la <strong>liturgia</strong>, <strong>della</strong> sua virtù pastorale, del significato e<br />

<strong>della</strong> necessità di quella partecipazione attiva a cui deve condurre<br />

il popolo.<br />

Che il movimento liturgico nella sua prima tappa, in una qualsiasi<br />

ragione, debba prendere di mira anzitutto il clero e in primo<br />

luogo il clero parrocchiale e, più esattamente, il giovane clero destinato<br />

ad essere il clero parrocchiale, è stato sempre evidente e lo è<br />

maggiormente oggi che il movimento è entrato decisamente nella<br />

sua fase pastorale.<br />

È quanto esplicitamente osserva la Costituzione del concilio vaticano<br />

II : « Ma poiché non si può sperare la realizzazione di tutto<br />

ciò (condurre il popolo alla partecipazione attiva e piena), se gli<br />

stessi pastori d'anime non siano penetrati, loro per primi, dello<br />

spirito e <strong>della</strong> forza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, e ne diventino maestri, è perciò<br />

assolutamente necessario dare il primo posto alla formazione liturgica<br />

del clero » 62 .<br />

La situazione, per quanto riguarda la formazione liturgica del<br />

clero, varia naturalmente molto da regione a regione. È evidente<br />

tuttavia che, sebbene, sul piano dei princìpi e <strong>della</strong> legislazione generale,<br />

il concilio abbia ormai solennemente codificato le istanze più<br />

profonde del movimento liturgico anche in questo campo, tanto che<br />

esse non possono essere più ignorate da nessun vescovo o sacerdote,<br />

tuttavia, sul piano pratico, presso moltissimi sacerdoti rimane ancora<br />

tutto o quasi tutto da fare.<br />

Perché? Lo si può dire in poche parole citando quanto disse in<br />

proposito Monsignor Guglielmo van Bekkum, vicario apostolico di<br />

Ruteng, in Indonesia, quando, parlando specificamente dei missionari,<br />

costatava la loro generale deficienza nella questione liturgica, e si<br />

chiedeva :<br />

« Come si è giunti a questa sorprendente concezione? Certamente vi ha<br />

giocato un ruolo decisivo la formazione ricevuta. Noi missionari, nella nostra<br />

infanzia, non abbiamo avuto un'educazione liturgica. Anche la formazione da<br />

noi ricevuta in seminario non era purtroppo atta a colmare questa lacuna,<br />

poiché sotto il nome d'istruzione liturgica si comprendeva l'introduzione alle<br />

rubriche o, nel migliore dei casi, una supplementare rapida scorsa alla storia<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Perciò dalla maggior parte di noi la vera partecipazione interiore<br />

ed esteriore alla celebrazione e alla vita <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> non sono mai state assimilate<br />

e fatte proprie. Tuttavia, finché non si è giunti a questo, non si può<br />

pienamente afferare il valore, la natura e la ricchezza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e non si<br />

può dare un limpido giudizio sul valore missionario di un'autentica celebrazione<br />

liturgica » e3 .<br />

«= CL art. 14.<br />

63 // rinnovamento liturgico al servizio delle missioni, in: La restaurazione<br />

liturgica nell'opera di Pio XII, Atti del congresso di Assisi 1956, p. 121.


794 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

Queste costatazioni valgono, evidentemente, non solo per i missionari,<br />

ma per molti membri del clero, specialmente tra quelli che<br />

compirono la loro formazione prima del 1930 circa.<br />

Perciò il concilio, dopo avere affermato il principio di massima<br />

<strong>della</strong> formazione liturgica del clero, propone le norme generali che<br />

d'or'innanzi dovranno regolare l'insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> ai chierici<br />

(art. 15 e 16) e la loro formazione spirituale e pastorale nello<br />

stesso campo (art. 17). Né dimentica un'esortazione ad aiutare in<br />

questa materia i sacerdoti già impegnati nel ministero (art. 18).<br />

Per quanto riguarda l'insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, oltre all'affermata<br />

necessità che a questo compito vengano destinati solo maestri<br />

tecnicamente preparati e che la <strong>liturgia</strong> venga presentata integralmente<br />

tanto sotto l'aspetto <strong>teologico</strong> e storico che spirituale, pastorale<br />

e giuridico, è notevole quanto si dice intorno all'unità che<br />

l'insegnamento <strong>della</strong> teologia in tutti i suoi rami deve conservare<br />

con la visione liturgica delle cose rivelate (art. 16). Abbiamo spiegato<br />

sopra 64 la capitale importanza <strong>della</strong> prospettiva aperta da questo<br />

articolo <strong>della</strong> Costituzione per ritrovare l'unità del sapere ecclesiastico<br />

e <strong>della</strong> formazione del clero.<br />

Chiara diagnosi del popolo<br />

Formatosi il pastore che dovrà condurre il popolo alla meta<br />

liturgica, la prima regola per lui sarà di avere un'idea esatta, anzi<br />

una percezione più acuta possibile, dello stato reale del popolo con<br />

cui ha da fare in concreto, riguardo al fatto e alle possibilità attuali<br />

di una sua partecipazione esterna ed interna, attiva, comunitaria,<br />

parrocchiale alla <strong>liturgia</strong> 65 . È chiaro: bisogna prendere il popolo<br />

com'è e là dóve è per innalzarlo poi verso la meta proposta.<br />

Anche qui le situazioni sono tanto diverse quanto i singoli paesi,<br />

le singole regioni, le singole parrocchie. Però che, nel suo complesso,<br />

il lavoro da fare resti grandissimo, è certo. Non è mio compito<br />

entrare nei particolari, ma è più che evidente che, su larga scala, tra<br />

il popolo e la <strong>liturgia</strong> esiste una profonda dissociazione ed incomprensione.<br />

Anzitutto, com'è logico, tra <strong>liturgia</strong> e popolo ormai solo<br />

nominalmente cristiano : quella massa che, dopo la prima comunione,<br />

di religione e di chiesa non sa più niente o quasi più niente; poi<br />

quelli la cui religione consiste nel fare ogni tanto la Pasqua e nel-<br />


PROGRESSIVITÀ 795<br />

l'assistere saltuariamente alla messa la domenica. Oltre alle descrizioni<br />

di quadri generali f,e , recenti sondaggi d'indagine sistematica,<br />

aiutata dai mezzi moderni di controllo e di statistica, rivelano ogni<br />

giorno più la larghezza e la profondità di questo fenomeno di scristianizzazione,<br />

non meno che la sua intima connessione con la mancanza<br />

di seria educazione e di vita liturgica 67 .<br />

Ma, eccettuate oasi sporadiche, anche il popolo rimasto relativamente<br />

fedele e quello stesso rimasto realmente fedele, di <strong>liturgia</strong> e<br />

di partecipazione attiva ne sa ben poco 68 . Che l'individualismo abbia<br />

avuto ed abbia tuttora molte ripercussioni non buone tra gli stessi<br />

fedeli che sono rimasti attaccati alla Chiesa, lo si riconosce generalmente<br />

senza difficoltà 60 . Come si riconosce che, in ogni ipotesi, primo<br />

passo per risolvere la questione <strong>della</strong> ricristianizzazione è di avere<br />

il coraggio — molto più raro di quanto si crede — di fare una diagnosi<br />

molto realista <strong>della</strong> vera situazione in cui, dal punto di vista cristiano,<br />

si trova ormai il nostro popolo.<br />

Progressività<br />

Una regola ulteriore per la pastorale liturgica, come per ogni<br />

pastorale, sarà, di ricordarsi sempre che ricondurre il popolo alla<br />

<strong>liturgia</strong> è una questione di educazione e di plasmazione di psicologia<br />

66 Per l'Italia vedi, per es., C. RICHELMY, / preti in Italia, Roma 1956. Per<br />

la Francia vedi GODIN, France pays de mission? Paris 1943. F. BOULARD, Problèmes<br />

missìonnaires de la France rurale, Paris 1945. G. MICHONNEAU, Parrocchia, comunità<br />

missionaria, trad. ital., Ed. Paolirie 1948. Panorama generale per tutto il<br />

mondo, in: B. HERNEGGER, Solidarietà cattolica, trad. ital., Ed. Paoline 1948.<br />

87 Ecco il quadro che ne faceva nel 1955 Mgr. <strong>Il</strong>ario Roatta, quadro che, purtroppo,<br />

non aveva bisogno d'essere controllato perché non fa altro che ritrarre<br />

la situazione a cui ognuno doveva assistere quasi ogni domenica : « Le statistiche<br />

<strong>della</strong> presenza alla Messa festiva indicano una spaventosa diserzione. Molti<br />

battezzati hanno tolto la Messa dalle loro abitudini. Altri hanno diradato la<br />

loro presenza. Altri mantengono la presenza alla Messa per forza di consuetudine<br />

o per pura disciplina alla Chiesa. I più sono presenti con il corpo. Attorno<br />

al sacerdote celebrante, silenzio e noia; nei più volenterosi una forma di assistenza<br />

dettata dal capriccio individuale, nella quale camminano per loro conto,<br />

seguono i loro pensieri, leggono i loro libri, dicono le loro parole... Malgrado<br />

tutto la Messa è rimasta la trincea ove resiste la pratica religiosa, ove si rende<br />

testimonianza di fedeltà a Gesù, ove si conserva il legame con la Redenzione di<br />

Cristo. In questa trincea, che è linea essenziale, bisogna restare, rafforzarsi,<br />

preparare la riscossa. In questa trincea vi è abbondanza di rifornimento: in essa<br />

è la sorgente <strong>della</strong> Vita stessa » Catechesi <strong>della</strong> Messa, in : Rivista liturgica 42<br />

(1955), p. 271. <strong>Il</strong> concilio ha fatto suo questo programma; ma quanto rimane<br />

da fare!<br />

«s Vedi per es., S. Eta. IL CARD. G. LERCARO, Ritorniamo alla <strong>liturgia</strong> solenne,<br />

discorso pronunziato al congresso di musica sacra del 1954, testo francese in:<br />

Revue Gregorieime, 35 (1956), p. 44. P. DONCCEUR, Conditions fondamentales...<br />

vedi sopra p. 772 nota 22, pp. 53-56. G. MICHONNEAU, Parrocchia comunità missionaria,<br />

p. 54 s.<br />

tlB S. EM. II, CARD. G. LERCARO, (oltre al testo citato nella noia precedente)<br />

« l'umanesimo naturalistico ha esasperato l'individualismo egoistico, che respirato<br />

nell'atmosfera comune, ha incrinato anche in tante coscienze l'istanza di


796 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCÌPI<br />

religiosa e di psicologia religiosa comunitaria e quindi che bisogna<br />

accingersi a creare o restaurare questa psicologia, tenendo conto<br />

del principio pedagogico <strong>della</strong> progressività e del tempo indispensabile<br />

per raggiungere la meta: Certo, chi credesse che l'opera dell'educazione<br />

liturgica del popolo sia cosa che si possa raggiungere<br />

facilmente, con mezzi spiccioli e faciloni senza serio impegno e spirito<br />

di metodica perseveranza, andrebbe incontro ad inevitabili e gravi<br />

delusioni.<br />

Tuttavia, bisogna riconoscerlo ed avere il coraggio di denunziarlo,<br />

in certi ambienti la pur necessaria preoccupazione <strong>della</strong> prudenza<br />

e <strong>della</strong> progressività diventa troppo spesso un pretesto abusivo per<br />

non muoversi affatto o per muoversi con intollerabile lentezza. Sia<br />

ben chiaro che, nel campo dell'elevazione liturgica del popolo, non<br />

possono avere il conforto <strong>della</strong> prudenza i pastori che non si preoccupano<br />

di entrare con gioia e cuore dilatato nello spirito delle direttive<br />

impartite dalla Chiesa nel concilio vaticano II.<br />

Elevare il popolo alla <strong>liturgia</strong><br />

Partendo da questi presupposti generalissimi, tutto il lavoro<br />

pastorale incentrato sulla <strong>liturgia</strong>, in sostanza, si svolge in due direttrici:<br />

portare il popolo alla <strong>liturgia</strong> com'è oggi; portare la <strong>liturgia</strong><br />

al popolo: sia scegliendo sapientemente, tra le diverse forme di<br />

celebrazione liturgica permesse dalla legislazione odierna, quelle che<br />

maggiormente sono adatte alla partecipazione attiva del popolo nelle<br />

circostanze determinate, sia anche studiando e sollecitando per le<br />

debite vie, con il debito rispetto e la debita ubbidienza, dall'autorità<br />

competente, le riforme <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> stessa stimate utili allo stesso<br />

scopo.<br />

Elevare il popolo alla partecipazione attiva alla <strong>liturgia</strong> come è<br />

oggi è il compito di gran lunga più importante ed urgente <strong>della</strong><br />

pastorale liturgica, di cui essa non sarà mai dispensata. Questo compito<br />

spetta di diritto e per dovere a tutto il clero sotto la direzione<br />

<strong>della</strong> gerarchia e, ad esso, sotto la stessa direzione, hanno parte anche<br />

gli insegnanti e gli educatori cristiani, a cominciare dagli stessi<br />

genitori. Se il clero non adempie a questo suo dovere, le riforme<br />

liturgiche anche più belle porterebbero ben presto ad amare delusioni.<br />

Questo anzitutto perché, in ogni ipotesi, l'incontro tra il popolo<br />

e Cristo, che è il fine di ogni pastorale, include sempre l'elevamento<br />

del fedele ad uno stato superiore e contrario a quello in cui tende<br />

ad adagiarlo la natura corrotta; elevamento che comporta sempre<br />

sforzo e difficoltà di ogni genere, a superare le quali deve, appunto,<br />

provvedere l'aiuto del pastore.<br />

fraternità insita nella <strong>liturgia</strong> » Rivista liturgica 41 (1955), p. 257. B. HERNEGGER,<br />

Solidarietà cattolica, trad. ital., Ed. Paoline 1948, p. 87 ss. G. MICHONNEAU, Parrocchia<br />

comunità missionaria, p. 59 ss.


ELEVARE IL POPOLO ALLA LITURGIA 797<br />

A questa considerazione generale se ne aggiunge una più specifica<br />

per la <strong>liturgia</strong>. Ed è che la <strong>liturgia</strong>, anche nell'ipotesi di una celebrazione<br />

completa in lingua volgare e di un rivoluzionario ed inaudito<br />

adattamento più completo possibile <strong>della</strong> sua parte mutabile allo stile<br />

d'espressione del popolo che oggi ne fa uso, comporterà sempre una<br />

parte grandissima e sostanziale che non sarà accessibile al popolo se<br />

non mediante un fondamentale elevamento al di sopra di se stesso;<br />

realizzare questo elevamento rimarrà sempre il compito essenziale<br />

e più urgente <strong>della</strong> pastorale liturgica.<br />

I motivi di questo fatto mi sembrano quattro : il primo, generale,<br />

è che la <strong>liturgia</strong> rimane sempre e necessariamente un complesso<br />

di segni non naturali, ma liberamente scelti da Dio e dalla Chiesa<br />

per esprimere cose spirituali e soprannaturali, conosciute per fede,<br />

in riferimento alla santificazione che Dio in Cristo fa <strong>della</strong> Chiesa<br />

e del culto che la Chiesa, in Cristo, rende a Dio. Ora, alla conoscenza,<br />

e specialmente alla conoscenza vitale, di queste realtà soprannaturali<br />

nascoste sotto il velo dei segni sensibili, il fedele, e principalmente<br />

il popolo nel suo insieme, avrà sempre e continuamente<br />

bisogno di essere elevato con l'aiuto, appunto, <strong>della</strong> pastorale liturgica.<br />

Vuol dire che il popolo avrà sempre bisogno di essere istruito<br />

e catechizzato intorno al significato <strong>teologico</strong> vitale dell'assemblea<br />

liturgica e dei suoi singoli riti.<br />

II secondo motivo, determinante maggiormente quello - generale<br />

precedente, è che la Scrittura rimane sempre e necessariamente<br />

uno dei punti più essenziali di tutta la struttura liturgica sia come<br />

lettura diretta catechetica, come nelle epistole e nei vangeli delle<br />

messe, sia come formula di preghiera, come nei salmi e nei cantici,<br />

sia come espressione generale dalla quale prendono lo spunto e di<br />

cui-sono imbevute le altre composizioni liturgiche. Ora la Scrittura,<br />

anche se detta in lingua volgare, rimane sempre un mondo a cui il<br />

popolo ha bisogno di essere elevato, sia per le cose ivi dette, sia<br />

per il modo di concepirle e di esprimerle, che, a parte la questione<br />

<strong>della</strong> lingua, rimane sempre estraneo al popolo. È la legge dell'incarnazione<br />

che entra in gioco 70 .<br />

<strong>Il</strong> terzo motivo è che la <strong>liturgia</strong>, anche nel suo elemento, assolutamente<br />

parlando, mutabile, deve rimanere profondamente ancorata<br />

alla tradizione. Lo esige il carattere tradizionale di ogni religione;<br />

quello specialmente tradizionale <strong>della</strong> religione cattolica come dato<br />

di fatto ricevuto e trasmesso e di lenta evoluzione anche nelle parti<br />

per sé mutabili; lo esigono le leggi fondamentali <strong>della</strong> sana psicologia<br />

religiosa. Ne segue che la <strong>liturgia</strong> cattolica sarà fortemente ancorata<br />

al passato, appunto per far vivere le generazioni presenti in connessione<br />

con quelle passate. Così ogni generazione deve necessaria-<br />

70 È il grave problema come fare <strong>della</strong> bibbia il libro vitale del cristiano<br />

d'oggi. Problema reso felicemente più acuto dal fatto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in volgare.<br />

Vedi P. GRELOT, La parole de Dieu s'adresse-t-elle à l'homme d'aujourd'hui? in:<br />

La Maison-Dieu 80 (1965) 151-200. La soluzione non può essere che nella catechesi<br />

adatta, presupponente un'adeguata formazione del clero.


798 CAP. XXIII - LITURGIA E PASTORALE. I PRINCIPI<br />

mente essere condotta e introdotta a quelle forme tradizionali che<br />

non le sono semplicemente spontanee. Di là ancora la necessità<br />

costante <strong>della</strong> pastorale liturgica.<br />

Finalmente, la stessa abitudine fa sì che, passata la novità di<br />

un'espressione religiosa, il suo significato tenda naturalmente ad<br />

obliterarsi nella coscienza del fedele, ciò che rende necessario un<br />

continuo lavoro di vivificazione e rinfocolamento dell'attenzione;<br />

e questo comporta di nuovo la necessità di un continuo elevamento<br />

alla forma liturgica.<br />

Portare la <strong>liturgia</strong> al popolo<br />

<strong>Il</strong> secondo compito <strong>della</strong> pastorale liturgica è di portare la <strong>liturgia</strong><br />

al popolo. E questo comprende ulteriormente due aspetti. <strong>Il</strong><br />

primo proviene dal fatto che le stesse leggi ecclesiastiche oggi vigenti<br />

lasciano al sacerdote, sempre sotto la sorveglianza dei vescovi — i<br />

quali, per le loro diocesi, possono anche restringere questa libertà —<br />

un certo margine di libera scelta tra diverse forme di celebrazione<br />

liturgica di diversi riti, ed anzitutto <strong>della</strong> messa, margine assai<br />

più grande di quanto generalmente si crede. La pastorale liturgica<br />

fa un dovere ad ogni sacerdote di usare sapientemente di questo<br />

margine scegliendo le forme più adatte nelle circostanze determinate<br />

in vista di avvicinare il più possibile la <strong>liturgia</strong> al popolo, ed indica<br />

nello stesso tempo la giusta via per arrivare a questo risultato.<br />

<strong>Il</strong> secondo aspetto nella direttrice generale di lavoro per avvicinare<br />

la <strong>liturgia</strong> al popolo proviene dal fatto che lo stato <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> stessa nelle sue parti mutabili per contingenze storiche<br />

non necessarie, in diversi punti anche importanti è, anche oggi,<br />

troppo distante dalla possibilità reale di partecipazione attiva che<br />

possiede il popolo. Qui si pone quindi la questione di eventuali riforme.<br />

Sebbene la realizzazione di queste riforme spetti in ultima<br />

istanza alla suprema autorità <strong>della</strong> Chiesa, tuttavia anche l'ordinario<br />

pastore che ha a cuore la <strong>liturgia</strong> può e, in qualche modo, deve cooperare<br />

a suo modo a questo lavoro, eventualmente con lo studio e<br />

sempre con i suggerimenti che gli consiglieranno la propria esperienza<br />

pastorale.


CAPITOLO XXIV<br />

CENNI SUI MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA. IN SPECIE,<br />

PREDICAZIONE E LITURGIA, CATECHISMO E LITURGIA<br />

Chiariti i princìpi generali <strong>della</strong> pastorale liturgica, rimane ancora<br />

da spiegarne i mezzi. Lo faremo nello spirito di quest'opera,<br />

che è quello di chiarire le prospettive teologiche subiacenti alla<br />

<strong>liturgia</strong>.<br />

Non dovremo dunque elencare tutti i mezzi per i quali si può<br />

arrivare a condurre e conservare il popolo alla <strong>liturgia</strong> e la <strong>liturgia</strong><br />

al popolo. Tanto meno dovremo entrare nel campo pratico <strong>della</strong><br />

loro applicazione spicciola. II nostro intento sarà solo di rilevare<br />

i princìpi generali d'ordine <strong>teologico</strong> liturgico che in alcuni di questi<br />

mezzi sono maggiormente implicati 1 .<br />

1. PREMESSA: L'INIZIAZIONE ALLA LITURGIA<br />

La <strong>liturgia</strong>, come tante volte è stato spiegato, è sacramentum,<br />

mysterium, mistero di Cristo, mistero pasquale, perché è il complesso<br />

dei segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto<br />

<strong>della</strong> Chiesa.<br />

Perciò introdurre alla <strong>liturgia</strong> è necessariamente introdurre al<br />

« mistero ». Ma una introduzione integrale dell'uomo a tale « mistero<br />

» non può affatto esaurirsi in un insegnamento a modo di<br />

trasmissione di concetti intorno allo stesso, ma deve essere una<br />

' Dopo che il concilio ha sciolto felicemente sul piano <strong>della</strong> legislazione<br />

generale e delle direttive di riforma molte questioni d'ordine pastorale pratico,<br />

e che il Consilium ad exsequendam constitutionem de sacra <strong>liturgia</strong> è<br />

in pieno lavoro di applicazione pratica, non è più utile, in una opera come<br />

questa, entrare in maggiori particolari sui mezzi <strong>della</strong> pastorale liturgica dove<br />

i princìpi teologici non sono in giuoco. La materia del resto è ora in piena<br />

fase di evoluzione pratica.


800 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

« iniziazione ». Cioè, una introduzione a un fatto-azione concreto,<br />

e dunque un'introduzione che interessi tutto l'uomo, corpo e anima;<br />

non solo la sua funzione concettuale e discorsiva, ma anche la sua<br />

volontà, la sua affettività in genere, la sua immaginazione e sensibilità.<br />

Una introduzione, inoltre, che conduca all'esperienza <strong>della</strong> cosa,<br />

facendola fare.<br />

E questo perché il mistero liturgico non è solo un insieme di<br />

concetti, ma un fatto concreto d'ordine esistenziale; un'azione complessa<br />

sacra e comunitaria, in comunità gerarchicamente strutturata,<br />

nella quale l'iniziando è attore reale e non solo spettatore.<br />

Ed è un attore che, per fare ciò che gli spetta, deve impegnarvisi<br />

realmente con il suo essere concreto totale, in vista di realizzare<br />

in sé un atteggiamento vitale complessivo in risposta alla realtà con<br />

cui viene messo in contatto.<br />

Così, portare i fedeli alla <strong>liturgia</strong> e la <strong>liturgia</strong> ai fedeli include<br />

necessariamente due aspetti: uno pratico e uno teorico.<br />

Quello pratico consiste: in primo luogo a far prendere ai fedeli<br />

parte attiva alle celebrazioni liturgiche propriamente dette, magari<br />

scegliendo, tra le forme e i gradi diversi di partecipazione permessi<br />

dalla legislazione per un determinato rito, quello che più si confà<br />

alla formazione liturgica e alla situazione concreta del gruppo specifico<br />

dei fedeli ogni volta considerato 2 .<br />

In secondo luogo e subordinatamente, alla predetta iniziazione<br />

pratica possono giovare anche quelle celebrazioni dei « pii esercizi »<br />

che, in quanto al numero, al tempo e alla struttura, siano in tutto<br />

conformi e subordinati allo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, come lo esige il<br />

concilio 3 . E ciò richiede, naturalmente, che non pochi di questi, oggi<br />

di uso comune, vengano ripensati in un <strong>senso</strong> più conforme alla<br />

<strong>liturgia</strong> 4 . A questa condizione potranno utilmente preparare i fedeli<br />

a meglio comprenderla e viverla.<br />

Tra questi pii esercizi possono avere qui un posto particolare<br />

— a causa <strong>della</strong> possibilità che hanno di darsi una struttura<br />

identica a una più autentica celebrazione <strong>della</strong> prima parte <strong>della</strong><br />

2 La Instructio <strong>della</strong> SCR del 3 Sett. 1958 elenca dettagliatamente i diversi<br />

tipi di celebrazione <strong>della</strong> Messa in rapporto ai diversi gradi di partecipazione<br />

attiva dei fedeli: AAS 50 (1958) 630-63, specialmente i numeri 22-37. Nello<br />

stesso campo dei diversi tipi di celebrazione dei riti e dei diversi gradi possibili<br />

di partecipazione attiva dei fedeli, il concilio, entro i limiti generali da<br />

esso stabiliti, concede ora ampia facoltà di scelta all'autorità ecclesiastica territoriale<br />

(Vedi CL art. 22 § 2; 36; 39; 40; 54; 63; 77). La Instructio del 26 Sett. 1964<br />

precisa ancora questi poteri (Vedi i numeri 20-31; 40-43; 57; 61; 64-67; 69.<br />

3 CL art. 13.<br />

4 Per il rosario vedi : A. M. ROCUET, Lectures pour le rosaire, in : La Maison-<br />

Dieu n. 30 (1952) 149 s; F. WEISGERBER, Votre rosaire, comment le prìer? Clervaux<br />

(Lux.) 1954; La couronne des mystères. Pour médìter le rosaire avec l'année<br />

liturgique, opuscolo edito dal CPL, Paris 1958. J. GODEFROID, Cathéchèse biblique<br />

du rosaire (Coli. Par. et Lit. 34) 1958. Per le devozioni riguardanti la passione<br />

di N. S. : J. GODEFROID, Cathéchèse biblique des dévotions de la passion, ibid.<br />

1960. Per le devozioni eucaristiche: Pastorale liturgique des dévotions eucharistiques,<br />

in collaborazione... Ibid. 1959.


L'INIZIAZIONE ALLA LITURGIA 801<br />

messa e quindi di poter servire di ottimo avvio alla comprensione<br />

di questa — le cosiddette « celebrazioni <strong>della</strong> parola di Dio », tanto<br />

raccomandate dal concilio. <strong>Il</strong> quale tuttavia prevede nello stesso<br />

tempo che tali celebrazioni possano essere anche ammesse dalla<br />

competente autorità come <strong>liturgia</strong> propriamente detta \<br />

In terzo luogo, con la debita parsimonia e le debite cautele,<br />

allo stesso scopo <strong>della</strong> iniziazione pratica alla <strong>liturgia</strong> possono servire<br />

in certe circostanze anche le cosiddette « paraliturgie », nelle quali<br />

l'aspetto espressivo esteriore di una celebrazione liturgica viene<br />

sviluppato quasi a modo scenico 6 .<br />

Mezzo pratico per l'iniziazione liturgica, in quanto include anche<br />

il compito di portare la <strong>liturgia</strong> al popolo, è anche la riforma <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>.<br />

L'aspetto teorico di questa iniziazione comprende invece i diversi<br />

rami <strong>della</strong> catechesi liturgica. I principali sono: la catechesi<br />

liturgica diretta, che ha per oggetto diretto la spiegazione <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>; la predicazione, il catechismo ai bambini e l'insegnamento<br />

<strong>della</strong> religione, in quanto conservano la doverosa connessione con<br />

la <strong>liturgia</strong>.<br />

In qualche modo i princìpi teologici che abbiamo cercato di<br />

spiegare in quest'opera, sono implicati in tutti i predetti mezzi <strong>della</strong><br />

pastorale liturgica, tanto pratici che teorici. La stessa riforma <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> deve essere guidata da una chiara visione di tali princìpi.<br />

5 CL art. 35 § 4. Vedi le norme più particolari indicate dalla Instructio<br />

del 1964, n. 37-39. Numerosi schemi di tali celebrazioni in Lumière et vie (suppl.<br />

a Paroisse et Liturgie) dal n. 7, principalmente sotto la firma di TH. MAER-<br />

TENS, il quale, inoltre, fa la teoria di queste celebrazioni in Bible et liturgie.<br />

Les lois et l'organìsation d'une célébration de la parole, in: Paroisse et Liturgie<br />

33 (1951) 9-18. Da quell'epoca numerosi esempi e schemi sono stati pubblicati.<br />

Vedi pure Materiaux pour réunions de prières (Collection Paroisse et liturgie,<br />

n. 28, seconda Ed. 1958).<br />

6 Quando verso il 1940 si cominciò a parlare di « paraliturgie » vi si includeva<br />

anche ciò che più tardi è stato detto « celebrazioni <strong>della</strong> parola di Dio ».<br />

Ma la distinzióne è opportuna perché, si tratta di cose assai diverse. Ciò che<br />

ora si dice « para<strong>liturgia</strong> » sono cose piuttosto affini a rappresentazioni sceniche<br />

o quadri scenici di natura religiosa ed aventi un certo carattere generale<br />

di connessione e avviamento alla <strong>liturgia</strong> propriamente detta. Di queste si avvertì<br />

presto i limiti e i pericoli: che gli assistenti le scambino per la vera <strong>liturgia</strong><br />

e vengano a preferirle alla stessa, come più comprensibili e più « efficaci<br />

». Perciò intorno alle stesse sorse tutta una polemica (vedi, per esempio :<br />

J. BOUTET, Oh vont les paraliturgies? in: Paroisse et liturgie 29 (1947) 111-119.<br />

Vedi pure l'ammonimento dell'episcopato francese in: La Maison-Dieu n. 42<br />

(1955), p. 31). Per rispondere alle condizioni requisite la para<strong>liturgia</strong> deve essere<br />

fatta da gente veramente competente. Numerosi schemi segnalati in Paroisse<br />

et liturgie e i suoi supplementi; vedi le Tables, ibid. 1955, p. 439 ss. Vedi le<br />

raccolte pubblicate dal CPL di Parigi: Le Seigneur vient; Triduum pascal (recueil<br />

note); Triduum pascal pour les fidèles. C. M. TRAVERS, Liturgie et paraliturgies<br />

de la quinzaine pascale, in: La Maison-Dieu n. 19 (1949) 87-113. Quelques<br />

paraliturgies proposées par le CPL pour la Mission de Brey, Ibid. n. 17<br />

(1949) 162-74. Paraliturgies de Noél, Ed. ACJB 127 me Marie Terese, Louvain.<br />

Veilées de Noel, ed. du semeur, Lyon. PH. VERHAEGEN, Paraliturgies de Noél, in:<br />

Paroisse et liturgie 33 (1951) 349-52. Veilées de Noel, in collabor. (Collection Paroisse<br />

et liturgie n. 36).<br />

26 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


802 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

Averlo messo fortemente in rilievo è una delle maggiori benemerenze<br />

<strong>della</strong> Costituzione del concilio vaticano II. Ma sembra necessario<br />

insistere in modo particolare sui fondamenti teologici liturgici che<br />

comandano gli stretti rapporti tra predicazione e <strong>liturgia</strong> e <strong>liturgia</strong><br />

e catechismo.<br />

2. PREDICAZIONE E LITURGIA<br />

L'ideale di una pastorale d'insieme ordinata intorno alla <strong>liturgia</strong><br />

come culmine verso il quale tende l'azione <strong>della</strong> Chiesa e la fonte<br />

da cui promana tutta la sua virtù, non può non avere profonde<br />

ripercussioni sul problema <strong>della</strong> predicazione in genere 7 .<br />

Infatti, la Costituzione liturgica del vaticano II così dice : « <strong>Il</strong><br />

ministero <strong>della</strong> predicazione sia adempiuto con fedeltà e nel debito<br />

modo. Essa attinga anzitutto alle fonti <strong>della</strong> Sacra Scrittura e <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, quasi annunzio delle mirabili opere di Dio nella storia <strong>della</strong><br />

salvezza, ossia nel mistero di Cristo, mistero in noi sempre presente<br />

ed operante soprattutto nelle celebrazioni liturgiche » 8 .<br />

La gravità di queste parole sta nell'affermata quasi identità<br />

di contenuto tra predicazione, Scrittura, <strong>liturgia</strong>. Queste tre realtà,<br />

si dice, vertono tutte sostanzialmente, intorno alla stessa cosa: le<br />

mirabili gesta di Dio, sempre, anche oggi, presenti ed operanti in<br />

noi, nella storia <strong>della</strong> salvezza: ossia, il mistero di Cristo sempre<br />

attuale. Compito <strong>della</strong> predicazione è di annunziare queste gesta o<br />

questo mistero che la Scrittura narra e la <strong>liturgia</strong>, più di tutti gli<br />

altri mezzi, ogni giorno fa presente ed operante nei fedeli.<br />

Ne risulta una inscindibile unità tra predicazione, bibbia e<br />

<strong>liturgia</strong> 9 .<br />

7 II Padre D. GRASSO, L'Annuncio <strong>della</strong> salvezza. Teologia <strong>della</strong> predicazione,<br />

Napoli 196 pp. 341-360. (Vedi anche Gregorianum 42 [1960] 35-42) attira l'attenzione<br />

sulla incertezza <strong>della</strong> terminologia in questa materia e propone che<br />

il concetto generale di predicazione, come trasmissione del messaggio divino,<br />

sia sottodiviso in: evangelizzazione o kerigma, come primo annunzio globale<br />

del cristianesimo in vista <strong>della</strong> conversione o di una nuova presa di coscienza<br />

sintetica dei fedeli di ciò che comporta la fede; catechesi, come predicazione<br />

fatta a coloro che hanno accettato la prima proposizione globale <strong>della</strong> fede<br />

per introdurli più profondamente negli elementi che essa comporta; omelia<br />

come catechesi nel quadro di una azione liturgica, specialmente eucaristica~e<br />

in stretta connessione con essa. Questa terminologia può difendersi sulla base<br />

di dati — anche se non sempre perfettamente chiari e costanti — scritturistici<br />

e tradizionali nell'antica Chiesa, ed è, comunque, utile per determinare più<br />

precisamente i diversi generi di predicazione con il fine e le esigenze particolari<br />

di ognuno. Tra questi generi ci sarebbe ancora da rilevare : la predicazione<br />

di novene, tridui, ecc., e quella di meditazioni o istruzioni per ritiri, esercizi<br />

ecc. Qui prendiamo predicazione nel <strong>senso</strong> generico, ma avendo in vista quella<br />

che si indirizza ai fedeli e in modo speciale la catechesi e l'omelia.<br />

» Art. 32 rr. 2.<br />

•Anche la Istruzione del settembre 1964 dice: «si deve tuttavia curare<br />

attentamente cKè tutte le opere pastorali siano in giusta connessione con la


LA PREDICAZIONE 803<br />

Per comprendere bene tutto questo bisogna analizzare con cura<br />

la natura e i caratteri <strong>della</strong> predicazione 10 .<br />

Nozione <strong>della</strong> predicazione<br />

Si può definire la predicazione: l'annunzio orale del messaggio<br />

di Dio alla comunità dei fedeli, fatto dalla Chiesa, per indurli a<br />

rispondere alle esigenze d'ordine vitale che quel messaggio comporta.<br />

Precisando utilmente sin dal principio alcuni elementi, per altro già<br />

contenuti nella stessa definizione, si può anche dire : l'annunzio orale<br />

del messaggio di Dio, incentrato sul mistero di Cristo storia sacra,<br />

o mistero pasquale, fatto dalla Chiesa per i suoi ministri autentici,<br />

alla comunità dei fedeli che si succedono nei tempi, per indurli a<br />

rispondere alle esigenze vitali che comporta. Interessa assai al nostro<br />

scopo illustrare alquanto questa nozione.<br />

Si deve notare anzitutto che la predetta definizione non è aprioristica<br />

o arbitraria. Le note ivi incluse derivano dal fine proprio che<br />

persegue la predicazione. Prima di passare all'esame più approfondito<br />

di alcune di queste note, ecco, in iscorcio, come si ritrova<br />

la predetta definizione partendo dal fine specifico <strong>della</strong> predicazione.<br />

Questo fine non coincide semplicemente con l'insegnamento, sia<br />

pure religioso, teorico o pratico, delle verità cristiane. Infatti, l'insegnamento,<br />

è l'atto specifico dell'insegnante o professore. <strong>Il</strong> predicatore<br />

non è semplicemente un insegnante o professore di religione.<br />

L'insegnamento teorico d'una scienza si indirizza direttamente alla<br />

sola intelligenza e, per se stesso, mira semplicemente alla trasmissione<br />

di concetti per via di ragionamento. Quello pratico d'un'arte<br />

mira per sé soltanto all'addestramento tecnico nell'esecuzione degli<br />

atti esterni in rapporto all'opera di quest'arte. La predicazione, pur<br />

comprendendo un insegnamento di dottrina, va oltre lo scopo dell'insegnamento<br />

sia d'una dottrina che d'un'arte. Essa mira direttamente<br />

a muovere l'affetto e la volontà dell'uditore per indurlo a<br />

prendere immediatamente un certo atteggiamento vitale dinanzi alla<br />

verità annunziata, una certa decisione personale impegnante il proprio<br />

essere di fronte alla stessa.<br />

Questo scopo, la predicazione l'ha comune con ogni arte retorica<br />

od oratoria: nel <strong>senso</strong> di arte di persuadere mediante la parola in<br />

sacra <strong>liturgia</strong>, e, nello stesso tempo, che la pastorale liturgica non si svolga<br />

in modo separato e indipendente, ma in intima unione con le altre attività<br />

pastorali. Particolarmente necessario è uno stretto legame tra la <strong>liturgia</strong> e la<br />

catechesi, l'istruzione religiosa e la predicazione » n. 7.<br />

10 Per informazione generale vedi ora l'eccellente D. GRASSO, L'Annuncio <strong>della</strong><br />

salvezza, con ampia biografia, citato sopra nota 7. Vedi anche M. FLICK-Z. ALZEGHY,<br />

// problema <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> predicazione, in: Oregorianum 40 (1959) 671-744;<br />

D. GRASSO, Nuovi apporti alta teologia <strong>della</strong> predicazione, Ibid. 44 (1963) 88-118.<br />

S. MAGGIOLINI, La predicazione nella vita <strong>della</strong> Chiesa, Brescia 1961. E. ROBBEN,<br />

II problema <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> predicazione, Roma 1962. P. MASSI, Catechesi e predicazione<br />

liturgica, in: Riv. Ut. 51 (1963) 13147.


804 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

vista d'indurre al momento stesso l'uditore a un determinato atteggiamento<br />

affettivo volitivo verso una cosa. Proprio <strong>della</strong> predicazione<br />

è che la verità che annunzia è una verità religiosa e l'impegno di<br />

affetto e di volontà che vuole suscitare è impegno religioso in rapporto<br />

a Dio, per piacere a Dio.<br />

Ma, se tale è il fine <strong>della</strong> predicazione, il suo contenuto, o le<br />

verità che bandisce, non possono essere che le verità concernenti<br />

Dio e le altre cose in rapporto a Dio. Anzi, in regime soprannaturale,<br />

queste verità possono essere solo quelle che Dio ha rivelate, attraverso<br />

le quali l'uomo conosce la di Lui volontà su se stesso e sulle<br />

altre cose nonché la via per andare a Lui e piacergli: ossia gli<br />

atteggiamenti vitali che deve prender di fronte a Lui. Ma le verità<br />

da Dio rivelate sono il messaggio, la parola di Dio; e questa, a sua<br />

volta, per via di fatto, è tutta incentrata in Cristo e coincide, nella<br />

sua struttura fondamentale, con la storia sacra, mistero di Cristo,<br />

mistero pasquale, mistero <strong>della</strong> Chiesa, come è stato dimostrato<br />

nel capitolo primo e nell'ottavo.<br />

Nello stesso tempo, a causa <strong>della</strong> legge dell'incarnazione e <strong>della</strong><br />

salvezza in comunità ecclesiale, la parola di Dio rivelata, a cui la<br />

predicazione deve indurre gli individui a riferirsi, ha per necessario<br />

ed unico organo autentico propositivo la Chiesa attraverso i suoi<br />

mandatari autentici. L'individuo deve ricevere la parola di Dio dalla<br />

Chiesa per i suoi autentici ministri. Inoltre, sempre a causa <strong>della</strong><br />

stessa legge <strong>della</strong> salvezza in comunità, l'individuo riceve la parola<br />

che lo concerne nel seno <strong>della</strong> comunità. Dio, per mezzo <strong>della</strong> Chiesa,<br />

propone la sua parola rivelata alla comunità, e nella comunità e,<br />

attraverso la comunità, ai singoli individui.<br />

Ecco perché, in breve, dato lo scopo proprio <strong>della</strong> predicazione<br />

cristiana, di muovere l'affetto e la volontà dell'uomo di fronte a Dio<br />

in regime soprannaturale, la predicazione orale cristiana ai fedeli<br />

non può esser altro che l'annunzio del messaggio di Dio, incentrato<br />

sul mistero di Cristo, mistero pasquale, storia sacra, fatto dalla<br />

Chiesa per i suoi ministri autentici, alla comunità dei fedeli che si<br />

succedono nei tempi, per indurli a rispondere alle esigenze vitali<br />

che quella parola comporta.<br />

Predicazione come mysterìum.<br />

La predicazione tra i sacramentali e i sacramenti?<br />

Da questo concetto generale <strong>della</strong> predicazione risultano parecchie<br />

cose degne di nota, costituenti come la teologia <strong>della</strong> predicazione<br />

che la riflessione recente scopre, o riscopre, e si sforza<br />

giustamente di mettere in rilievo. Tra queste ne notiamo alcune Che<br />

hanno maggiore interesse per il nostro scopo.<br />

La prima è il concetto che la predicazione è un mysterium, un<br />

sacramentum. Mysterium. e sacramentum, beninteso, nel <strong>senso</strong> generale<br />

<strong>della</strong> tradizione antica, che già conosciamo, di segno sensibile,


PREDICAZIONE COME MYSTERIUM 805<br />

a suo modo efficace, di realtà soprasensibili in rapporto all'economia<br />

<strong>della</strong> salvezza di Dio in Cristo.<br />

<strong>Il</strong> segno sensibile qui è la parola del ministro <strong>della</strong> Chiesa in<br />

mezzo alla comunità radunata per ascoltarlo. La realtà soprasensibile<br />

in rapporto alla salvezza a cui si riferisce quel segno è: il<br />

fatto che l'adunanza è un'adunanza, una ekklesia, di Dio in Cristo<br />

Gesù; che quella parola del prete all'assemblea è la parola di Dio,<br />

che Egli per mezzo <strong>della</strong> Chiesa nei suoi ministri, indirizza in questo<br />

momento a tale adunanza da Lui suscitata e per mezzo di essa e<br />

in essa ai singoli individui; il fatto ancora che Dio si serve di quelle<br />

parole sensibili del prete, che percuotono le orecchie di carne, per<br />

trasmettere all'uditore la sua parola soprasensibile, quella che parla<br />

internamente al cuore e all'anima di ognuno; che quella parola di<br />

Dio, annunziata sensibilmente dal prete, è così, nelle mani di Dio<br />

stesso, uno strumento efficace il quale, in qualche modo, per lo<br />

Spirito e la potenza di Dio che se ne serve, realizza nell'uditore<br />

quello che annunzia. In qualche modo, cioè in quanto Dio unisce<br />

alla parola esterna del suo ministro quella interna del suo Spirito<br />

con cui percuote internamente l'intelligenza e il cuore dell'uditore,<br />

e supposte le disposizioni morali del ricevente, rende in lui efficace<br />

la parola <strong>della</strong> predicazione esterna; fa sì che in lui susciti echi<br />

di vita che sono conversione sempre nuova, impegno sempre nuovo<br />

dinanzi a Dio, adesione sempre nuova e più profonda a Lui in fede,<br />

speranza e carità.<br />

Ma in che modo preciso Dio, nella predica, « unisce » la forza<br />

interna del suo Spirito alla parola esterna del ministro? È il problema<br />

dell'efficacia propria dell'annunzio <strong>della</strong> parola di Dio. Anche<br />

in campo cattolico si cerca ora di determinarlo meglio dopo il felice<br />

superamento <strong>della</strong> fase <strong>della</strong> quasi esclusiva difesa apologetica<br />

contro le esagerazioni protestanti tendenti all'esaltazione <strong>della</strong> parola<br />

a detrimento dei sacramenti ".<br />

Non si può dire, per il momento, che la teologia sia arrivata a<br />

un perfetto chiarimento <strong>della</strong> questione. I punti seguenti, tuttavia<br />

sembrano certi.<br />

1. Non basta dire che la predica è occasione a Dio per dare<br />

la sua grazia. Dio può servirsi di ogni cosa come di occasione a<br />

questo scopo. Bisognerebbe dire dunque almeno che la predica gli<br />

è in questo di occasione speciale. Ma in che consiste tale carattere<br />

speciale? È questo il problema.<br />

Inoltre, con il concetto di occasione non si spiegano abbastanza<br />

i testi biblici, i quali, a proposito <strong>della</strong> predicazione profetica o<br />

apostolica, hanno un linguaggio molto più diretto e più forte 12 .<br />

11 Vedi bibliografia in D. GRASSO, Nuovi apporti... (citato sopra nota 10)<br />

p. 91; 99-103; 117-118; ID., L'Annuncio... (citato a nota 7) pp. 277-292; Schillebeeckx<br />

e Semmelroth citati sopra, cap. XXIII p. 762 nota 6; A. GUNTHOR, Die Predigt,<br />

Herder 1963, pp. 42-63.<br />

12 Vedi At 14,3; 20,32; 1 Cor 1,18; 4,15; 2 Cor 5,19; 1 Ts 2,13; FU 2,16; Eb 4,12;<br />

Gc 1,21.


806 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

2. Per sé, ogni predica, nel campo intenzionale <strong>della</strong> conoscenza<br />

e dell'affetto, ha su chi la riceve — e salva, in ogni ipotesi, la sua<br />

libertà — una efficienza causale dispositiva alla prima recezione<br />

o all'aumento successivo <strong>della</strong> grazia santificante; infatti, porta sempre<br />

a sua conoscenza l'azione e la volontà di Dio sugli uomini e su<br />

lui stesso, ed è nello stèsso tempo un invito e una esortazione alla<br />

sua volontà perché vi si conformi. Tale fatto ha già valore di grazia<br />

attuale e già per questo ogni predica si iscrive nella linea sacramentale<br />

in <strong>senso</strong> lato.<br />

3. Quando la predica fa parte di un atto liturgico, come cosa<br />

imposta o anche solo permessa dalia Chiesa, è anche un sacramentale<br />

propriamente detto, almeno allo stesso titolo di ogni atto<br />

liturgico di istituzione ecclesiastica. In quanto sacramentale la predica<br />

ha la sua efficacia di causa strumentale propriamente detta<br />

<strong>della</strong> grazia principalmente ex opere operantis Ecclesiae, oltre che<br />

a titolo subordinato, ex opere operantis dell'individuo che l'ascolta<br />

e del ministro che la fa. Ricordiamoci che secondo la dottrina<br />

comune l'efficacia dei sacramentali rispetto alla grazia si riferisce<br />

alla grazia attuale che essi causano a modo di preghiera e tenuto<br />

conto delle leggi generali che regolano l'esaudimento <strong>della</strong> preghiera.<br />

Quando dunque si dice che la predica, in quanto sacramentale,<br />

causa principalmente ex opere operantis Ecclesiae, ciò significa,<br />

com'è stato spiegato ", che Dio si serve <strong>della</strong> predica, per concedere<br />

ai ben disposti, grazie attuali, come sentimenti di fede, speranza,<br />

carità, pentimento, ecc., ordinate esse stesse alla grazia santificante<br />

o al suo aumento, avuto riguardo anzitutto alla dignità e alla<br />

preghiera <strong>della</strong> Chiesa che si attua in qualche modo nell'atto stesso<br />

<strong>della</strong> predica.<br />

Questo, naturalmente, dà ancora maggiore risalto al carattere<br />

di sacramentum, in <strong>senso</strong> lato, <strong>della</strong> predica.<br />

4. Alcuni vanno oltre in questa linea e parlano, a proposito<br />

dell'annunzio o proclamazione <strong>della</strong> parola di Dio, di qualcosa<br />

d'intermedio tra il sacramentale e il sacramento propriamente<br />

detto.<br />

È certo che la predica è d'istituzione divina : « andate e predicate<br />

» {Me 16,15; Cfr. Mt 28,19; Le 24,47-49). In questo rassomiglia<br />

ai sacramenti strettamente detti e non ai sacramentali.<br />

E innegabile anche il carattere privilegiato dell'annunzio <strong>della</strong><br />

parola di Dio rispetto agli altri sacramentali ogni volta che questo<br />

annunzio non è altro che la lettura o proclamazione <strong>della</strong> Scrittura<br />

come parola di Dio tale e quale, anche se pronunziata per l'organo<br />

di un ministro. La presenza attuale, sui generis, e la forza operante<br />

di Dio e di Cristo in questa parola 14 è certamente di natura e grado<br />

"» Cap. <strong>Il</strong>i, p. 123 s.<br />

14 Vedi CL art. 7: « È presente (Cristo) nella sua parola giacché è lui che<br />

parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura ».


PREDICAZIONE COME MYSTERIUM 807<br />

superiori a ciò che si verifica negli altri sacramentali. È logico<br />

concludere che anche l'efficacia ne sia superiore.<br />

Vale ancora tutto ciò quando si tratta <strong>della</strong> predica come<br />

spiegazione <strong>della</strong> Scrittura annunzio <strong>della</strong> parola di Dio nel <strong>senso</strong><br />

più esteso? Anche la predica così intesa ha non solo il privilegio<br />

dell'istituzione divina, ma anche — per quanto riguarda la Chiesa<br />

nel suo insieme — la garanzia dell'infallibile assistenza divina<br />

per salvaguardarne la purezza nello spirito di Cristo ". Perciò,<br />

considerata anche sotto questo aspetto, essa rimane a un titolo<br />

eminente parola di Dio e di Cristo pronunziata dalla sua Chiesa<br />

nella quale a un titolo eminente è presente la virtù divina 16 .<br />

È certo tuttavia che solo con i sette sacramenti strettamente<br />

detti, e non con i sacramentali né con l'annunzio <strong>della</strong> parola di<br />

Dio o con la sua spiegazione, Dio ha connesso la concessione <strong>della</strong><br />

grazia santificante ex opere operato.<br />

Sembra dunque che nell'economia sacramentale, intesa in <strong>senso</strong><br />

lato, si possa parlare dell'annunzio <strong>della</strong> parola di Dio come<br />

di qualcosa d'intermedio tra i sette sacramenti strettamente detti<br />

e i sacramentali di semplice istituzione ecclesiastica.<br />

È evidente che tutto questo non è di piccolo conto per una<br />

migliore comprensione <strong>della</strong> dignità e <strong>della</strong> necessità <strong>della</strong> proclamazione<br />

<strong>della</strong> parola di Dio nella Chiesa e per una più equilibrata<br />

visione dei rapporti tra parola e sacramento.<br />

Così, anche attraverso quell'annunzio esteriore <strong>della</strong> parola<br />

di Dio fatto dal ministro <strong>della</strong> Chiesa all'assemblea dei fedeli, si<br />

compie, nel succedersi dei tempi, nei singoli individui che appaiono<br />

sulla terra, il mistero di Cristo come mistero <strong>della</strong> salvezza che<br />

il Padre fa degli uomini per Cristo nello Spirito. Tutto questo imprime<br />

alla predicazione cristiana un profondo carattere misterico, la rende<br />

cosa sacra, azione sacrale, la fa apparire parte del grande mistero<br />

di Cristo sempre in atto, storia sempre in atto <strong>della</strong> Chiesa sempre<br />

in attuazione.<br />

Chi riflette quanto, oggi in modo speciale, il predicatore sia continuamente<br />

minacciato di poca fede nel suo compito, di sfiducia<br />

nell'utilità <strong>della</strong> sua fatica — tutte cose che, smorzandogli l'entusiasmo<br />

e la forza d'animo, sono per lui disastrosi intralci alla sua<br />

opera, perché gli tolgono la fiducia e l'audacia, la parresia, indispensabile<br />

al ministero <strong>della</strong> parola " — capirà quanto sia importante<br />

15 E, notevole nei quattro vangeli la concordanza sostanziale sul punto<br />

che Gesù, al precetto di annunziare la sua dottrina a tutto il mondo ha connesso<br />

anche la sua infallibile assistenza. Mt 28,18-20; Afe 16,15.20; Le 24,45-49<br />

(vedi anche At 1,7-8); Gv 14,25.26; 15,26.27.<br />

18 Vedi già la Didaché 4,1 : « Figlio mio, notte e giorno ti ricorderai di<br />

colui che ti parla la parola di Dio: onoralo come il Signore, poiché dove si<br />

parla la maestà del Signore, là è il Signore ». E le Costituzioni apostoliche 7,9:<br />

« dove infatti si impartisce l'insegnamento intorno al Signore, là è il Signore ».<br />

17 Vedi, per es., H. SCHLIEH, Parrhesia, in: Theologisches Worterbuch zwm<br />

Neuen Testament di Kittel, V (1954) specialmente p. 880 ss. La tentazione di<br />

sfiducia del predicatore sull'utilità <strong>della</strong> stessa sua opera, non è propria dei


808 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

riprendere coscienza del carattere di mistero <strong>della</strong> predicazioné~cristiana,<br />

di concepirla per quello che realmente è: mistero sacrale,<br />

parte e aspetto del grande mistero di Cristo storia sacra.<br />

Carattere profetico <strong>della</strong> predicazione<br />

Ritrovato, senza ombra di pseudomisticismo, il carattere di mistero<br />

<strong>della</strong> predicazione cristiana, si ritrova, senza aberrazione illuminista<br />

né sapore pentecostaliano o revivalista, il suo carattere<br />

profetico. Nella definizione questo carattere è implicato nella parola<br />

di annunzio. La quale vuole distinguere anzitutto la predicazione<br />

dal concetto di insegnamento. Perché, come si è detto sopra, l'insegnamento,<br />

per sé solo, mira o alla semplice comunicazione all'intelligenza<br />

altrui di concetti per via di ragionamento, o all'addestramento<br />

tecnico nell'esecuzione di atti esterni in una determinata materia:<br />

mentre la predicazione mira a persuadere bensì, se occorre, l'intelligenza,<br />

ma in vista di trascinare l'affetto e la volontà. Inoltre, perché<br />

annunzio è il concetto adatto per indicare la comunicazione di singoli<br />

avvenimenti storici: si annunzia, non s'insegna, un avvenimento,<br />

specialmente se è in atto. Finalmente, perché annunzio ha anche<br />

valore di messaggio come trasmissione di parole e di volontà altrui,<br />

specialmente se in forma di proclama e di appello.<br />

Ora, sotto tutti questi aspetti, il predicatore è eminentemente<br />

un annunziatore, un araldo. Per trascinare l'affetto e la volontà degli<br />

uomini verso Dio, trasmette loro essenzialmente la conoscenza di<br />

un avvenimento, antico ma sempre in atto ed anche futuro : l'irrompere<br />

di Dio nella storia, in Cristo, che include e, sotto un certo<br />

aspetto, è essenzialmente, la parola o messaggio di Dio al mondo<br />

in forma di proclama e di appello agli uomini.<br />

Ma questi sono appunto tratti essenziali del profeta, in specie<br />

nell'Antico Testamento: messaggero di Dio al popolo, che annunzia<br />

anzitutto l'irrompere, passato, attuale e futuro di Dio nella storia<br />

dei popoli e degli individui, l'intervento di Dio incentrato sul Messia<br />

allora a venire, e che trasmette la parola e la volontà di Dio come<br />

proclama e appello al popolo eletto e per esso a tutti gli uomini.<br />

La predicazione cristiana è dunque un annunzio di natura profetica.<br />

È certo che possiamo imparare molto da questa natura intrinsecamente<br />

profetica <strong>della</strong> predicazione. La quale, tra le altre cose,<br />

esige logicamente, nel predicatore, una forte coscienza <strong>della</strong> necessità<br />

di una sua piena dedizione e continua dipendenza da Dio, dalla<br />

sua parola, dal suo Spirito di cui non può essere altro che l'annunziatore<br />

e lo strumento.<br />

tempi moderni, sebbene oggi si manifesti acutamente. Vedi la confessione del<br />

diacono Deogratias di Cartagine e le esortazioni che gli dà S. Agostino nel suo<br />

De catechizandis rudibus 3 (2) s; 14 (10) ss.


CONTENUTO DELLA PREDICAZIONE 809<br />

Contenuto <strong>della</strong> predicazione: storia sacra,<br />

mistero di Cristo oggetto centrale <strong>della</strong> predicazione<br />

Dalla natura misterica, sacrale e profetica <strong>della</strong> predicazione<br />

cristiana deriva quale debba essere il suo contenuto. Si può dire:<br />

è la parola di Dio, le verità <strong>della</strong> fede, la rivelazione. È tutt'uno.<br />

S'intenda che tutta la rivelazione, tutte le verità <strong>della</strong> fede, tutta la<br />

parola di Dio è oggetto <strong>della</strong> predicazione cristiana. Però, le verità<br />

<strong>della</strong> fede sono molte e i loro aspetti sono molteplici e sono tutti<br />

parola di Dio rivelata, almeno implicitamente; perché non vi è nulla<br />

nella fede cattolica che non sia, in qualche modo, rivelato da Dio,<br />

anche i dogmi esplicitati nel corso dei secoli successivi.<br />

Ma Dio ha rivelato tutto questo in un certo ordine, in una certa<br />

prospettiva, dove i singoli punti e i singoli aspetti occupano ognuno<br />

il suo posto relativo nell'insieme. Sappiamo che quest'ordine e questa<br />

prospettiva sono costituiti dalla storia sacra, mistero di Cristo,<br />

mistero pasquale, sempre in atto come quadro generale, o sfondo<br />

generale, entro il quale è prospettato tutto quello che è proposto<br />

nella rivelazione. Non senza ragione abbiamo creduto necessario<br />

mettere in luce questo fatto sin dal primo capitolo, tanto ci appare<br />

decisiva la sua importanza nella visione cristiana del mondo, sia in<br />

campo <strong>teologico</strong> generale, che in campo biblico, liturgico, spirituale,<br />

pastorale.<br />

Abbiamo spiegato abbastanza che la storia sacra, mistero di<br />

Cristo, è sempre in atto perché è qualcosa che non solo avvenne<br />

nel passato e si compirà nel futuro, ma che avviene e si compie nel<br />

mondo, in ogni cristiano, continuamente, ogni giorno, anzitutto per<br />

via liturgica, cui deve rispondere l'adesione morale nell'intimo dell'anima<br />

di ognuno. In questo compiersi di ogni giorno <strong>della</strong> storia<br />

sacra mistero di Cristo, l'annunzio <strong>della</strong> parola di Dio ha la sua<br />

parte specifica, che qui deve essere appunto determinata.<br />

Abbiamo anche abbastanza spiegato che, quando si dice che la<br />

rivelazione si presenta anzitutto come una storia sacra, mistero di<br />

Cristo e <strong>della</strong> Chiesa, non si vuol dire che la rivelazione non contenga<br />

anche un aspetto speculativo o metafisico, o come abbiamo detto,<br />

entitativo; questo aspetto è realissimo ovunque, ma come al secondo<br />

piano dell'attenzione, come il fondamento remoto di ogni cosa. <strong>Il</strong><br />

magistero <strong>della</strong> Chiesa poi, nel decorso <strong>della</strong> storia, lo ha spesso<br />

esplicitato nelle singole questioni, specialmente per la necessità <strong>della</strong><br />

difesa contro gli errori; come quando ha definito la consustanzialità<br />

delle tre persone <strong>della</strong> Trinità, o l'unicità di persona e la dualità<br />

di nature in Cristo, o la possibilità di conoscere con certezza l'esistenza<br />

di Dio risalendo per via di causalità dalle cose create, e cose<br />

simili. In questi casi e molti altri simili, Io sfondo di natura entitativa<br />

dei singoli punti <strong>della</strong> storia sacra mistero di Cristo, che nella bibbia<br />

si trovano realmente, ma solo al secondo piano dell'attenzione, sono<br />

stati esplicitati e difesi dal magistero e, in questo <strong>senso</strong>, portati


810 CAP. XXIV - I MEZZI BELLA PASTORALE LITURGICA<br />

anch'essi al primo piano <strong>della</strong> stessa attenzione dei credenti. Essi<br />

pure sono parola di Dio non meno degli altri.<br />

Nello stesso modo, ricordiamo che nel quadro generale <strong>della</strong><br />

storia sacra, l'aspetto morale, per quanto importantissimo ed esplicitato<br />

ovunque molto nettamente nella stessa bibbia, tuttavia vi è<br />

così prospettato che gli obblighi e i doveri morali vi appaiono derivati<br />

immediatamente dagli interventi di Dio in Cristo nella storia<br />

sacra e solo remotamente, per lo più, dai motivi <strong>della</strong> costituzione<br />

intrinseca naturale degli esseri o dell'analisi filosofica delle virtù e<br />

dei vizi.<br />

Anche l'opposizione e la difesa contro gli errori contrari alla fede<br />

è ovunque presente nella rivelazione, già nella bibbia; si pensi, per<br />

esempio, alla polemica antidolatrica nell'Antico Testamento e alla<br />

polemica antigiudaica nel Nuovo. Anche questo, evidentemente, è<br />

parola di Dio. Ma non meno evidente è che la polemica contro gli<br />

avversari, nel quadro generale sintetico <strong>della</strong> rivelazione come storia<br />

sacra, è un aspetto derivato e secondario, per quanto importante,<br />

rispetto all'esposizione irenica positiva ed espositiva dei fatti e delle<br />

dottrine ad uso del credente. Queste considerazioni hanno non piccola<br />

importanza per la questione che cerchiamo di chiarire.<br />

Ne segue, infatti, che predicare la storia sacra, mistero di Cristo,<br />

mistero pasquale, non significa non tenere in considerazione nella<br />

predicazione qualche aspetto importante <strong>della</strong> rivelazione per limitarci<br />

a un solo suo aspetto che sarebbe « là storia sacra ». In specie<br />

non significa affatto che nella predicazione si lasci da parte, senza<br />

dargli il debito rilievo quando occorre, l'aspetto piuttosto entitativo<br />

e come speculativo <strong>della</strong> dottrina cristiana, sia pure espresso in<br />

definizioni precise, e nemmeno il suo aspetto apologetico; tanto meno<br />

vorrà dire che predicare la storia sacra mistero di Cristo significa<br />

dare poco rilievo all'aspetto morale <strong>della</strong> vita cristiana.<br />

Assegnare alla predicazione come oggetto la storia sacra mistero<br />

di Cristo, vuol dire assegnarle l'intera rivelazione, parola di Dio,<br />

ma incentrandola nel quadro generale <strong>della</strong> storia sacra degli interventi<br />

di Dio nel mondo in Cristo : con il suo naturale sfondo d'ordine<br />

entitativo speculativo, anche con precise definizioni, quando occorre,<br />

specialmente con la sua forte conseguenza morale e senza dimenticare,<br />

se utile, a suo tempo e luogo secondo le circostanze, la difesa<br />

apologetica.<br />

Incentrare la predicazione sul quadro degli interventi di Dio<br />

nella storia del mondo in Cristo, non vuol dire nemmeno che il<br />

quadro generale <strong>della</strong> storia sacra che abbiamo tracciato nel primo<br />

capitolo debba essere l'oggetto di tutte le prediche. Quel quadro<br />

è la sintesi prospettica di quelle realtà. Non si pretende che tutte<br />

le prediche debbano avere per oggetto di spiegare la storia sacra<br />

in quella sintesi prospettica.<br />

È bensì necessario che il predicatore non la perda mai di vista<br />

e che ogni tanto, sia pure con una breve parola e rapido cenno, la<br />

ricordi ai suoi anche abituali ascoltatori. Ma, per il rimanente, egli


PREDICAZIONE E STORIA SACRA 811<br />

dovrà spiegare con varietà illimitata, ora un punto particolare e ora<br />

un altro, <strong>della</strong> parola di Dio, sia nel suo aspetto dogmatico, sia nel<br />

suo aspetto piuttosto morale o anche apologetico. L'essenziale è che<br />

il predicatore si ricordi, e ogni tanto anche prospetti ai suoi ascoltatori,<br />

che ogni singolo punto che tratterà è un aspetto, una certa<br />

porzione, del mistero di Cristo sempre in atto, storia sacra generale,<br />

e che come tale può essere ben capito solo nell'insieme <strong>della</strong> prospettiva<br />

nella quale Dio ce l'ha rivelato.<br />

Storia sacra, mistero di Cristo oggetto centrale<br />

<strong>della</strong> predicazione per intrinseca necessità di natura<br />

<strong>della</strong> predicazione stessa<br />

Ma perché la predicazione deve essere incentrata sulla storia<br />

sacra mistero di Cristo nel <strong>senso</strong> sopra spiegato? <strong>Il</strong> motivo fondamentale<br />

è la natura stessa <strong>della</strong> predicazione in quanto annunzio<br />

<strong>della</strong> parola di Dio.<br />

Ora, la parola di Dio, nelle sue fonti: la sacra bibbia, la proposizione<br />

ordinaria del magistero <strong>della</strong> Chiesa, la tradizione, si presenta<br />

anzitutto come complesso di verità rivelate incentrato sul<br />

concetto di storia sacra sempre in atto, come quadro generale entro<br />

il quale e sullo sfondo del quale i singoli punti particolari sono<br />

prospettati ognuno al suo posto.<br />

Che la parola di Dio nelle sue fonti sia veramente incentrata<br />

sul concetto di storia sacra, dopo quanto abbiamo detto nel primo<br />

capitolo non occorre più dimostrarlo per quanto riguarda la bibbia.<br />

Basti aggiungere qui che, nel Nuovo Testamento, la predicazione<br />

<strong>della</strong> salvezza vista in questa prospettiva, si chiama spesso kerygma 18 ,<br />

e che quando oggi, per il ravvivamento <strong>della</strong> predicazione, si chiede,<br />

in sostanza, che essa sia o diventi nuovamente cherigmatica 19 si<br />

18 Vedi, per es., G. FRIEDRICH, keryx, kerysso, kerygma, in: Theologisches<br />

Worterbuch zum Neuen Testament di Kittel III (1950) 682-717. A. RETIF, Qu'estce-que<br />

le kerygme? in: Nouvelle revue théologique 71 (1949) 901-22. Intorno al<br />

concetto di kerygma vedi la bibliografia compilata da A. LIÉGÉ in Parole et<br />

mission 13 (1961) 619-22. Aggiungi: C. H. THOMPSON, Theology of the kerygma.<br />

A study in primitive teaching, London 1962. A. TURCK, Évangélisation et cathéchèse<br />

aux deux premiers siècles, Paris 1962. F. PETIT, Proclamer la parole. Ce<br />

qu'enseigne la bible sur la prédication, Paris 1963. La terminologia del Nuovo<br />

Testamento intorno ai diversi tipi di predicazione è oscillante. Può darsi che,<br />

al principio, kerygma abbia indicato, in modo speciale, la predetta predicazione<br />

in vista di condurre alla fede e la didaché e la didascalia abbiano indicato specialmente<br />

una ulteriore introduzione e approfondimento nella fede stessa. Comunque,<br />

tutti i gradi di annunzio <strong>della</strong> parola erano essenzialmente incentrati<br />

sulla storia, sacra mistero di Cristo. Si sa pure che il fatto <strong>della</strong> risurrezione<br />

era considerato il pernio di questa storia sacra e che così tutta l'economia <strong>della</strong><br />

salvezza era presentata come la conoscenza e la partecipazione al mistero pasquale.<br />

Vedi H. SCHUERMANN, Aufbau und Struktur der neutestamentlichen Verkiindigung,<br />

Paderborn 1949.<br />

19 Terminologia prediletta negli ambienti di lingua germanica, in ispecie<br />

dal gruppo dei teologi di Innsbruck, dopo l'idea lanciata da J. A. JUNGMANN,


812 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

vuol dire, in fondo, che ritorni appunto ad incentrarsi nel suo connaturale<br />

quadro generale, suo centro dinamico e vivificatore, che<br />

è la storia sacra mistero di Cristo e mistero pasquale sempre in atto.<br />

Lo stesso vale <strong>della</strong> teologia quando alcuni chiedono una teologia<br />

cherigmatica 20 .<br />

Non è nemmeno necessario insistere sul fatto che, nella proposizione<br />

del magistero ordinario tutta la rivelazione è incentrata nella<br />

storia sacra ". Infatti, il magistero ordinario si esprime massimamente<br />

nel simbolo <strong>della</strong> fede, quale riassunto e tessera dell'intero<br />

insegnamento ecclesiastico generale. Ma il simbolo <strong>della</strong> fede, come<br />

abbiamo pure rilevato nel primo capitolo, è appunto tutto costruito<br />

sullo schema <strong>della</strong> storia sacra. Inoltre, il magistero ordinario ha,<br />

a suo modo proprio, una sua forte espressione nella <strong>liturgia</strong>, nella<br />

quale, come non ci siamo stancati di rilevare, tutta la rilevazione è<br />

prospettata e vissuta come storia sacra sempre in atto sotto il velo<br />

dei segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong><br />

Chiesa.<br />

Per quanto riguarda la tradizione antichissima <strong>della</strong> Chiesa 22 ci<br />

si può appellare allo stesso simbolo <strong>della</strong> fede. Infatti, come è noto<br />

e abbiamo abbastanza rilevato nel capitolo VI a proposito del pensiero<br />

trinitario espresso nell'antichissima <strong>liturgia</strong> battesimale, il<br />

simbolo <strong>della</strong> fede è intimamente connesso, nella sua formazione<br />

storica antica, con la professione battesimale e la regola di fede,<br />

documenti creati anch'essi come riassunto <strong>della</strong> fede e anch'essi<br />

costruiti secondo lo schema <strong>della</strong> storia sacra.<br />

Per la tradizione posteriore fino al secolo XII-XIII, il fatto che<br />

tutta la rivelazione, in occidente, sia stata considerata e sintetizzata<br />

anzitutto nel quadro <strong>della</strong> storia sacra, è abbondantemente dimostrato<br />

dalla storia <strong>della</strong> teologia antica, in prima linea di quella<br />

semplicemente espositiva ai fedeli e non polemica, nonché dalla predicazione,<br />

specialmente quella catechetica ai catecumeni.<br />

Per la teologia non polemica, come abbiamo detto nel capitolo<br />

XIX a proposito delle relazioni tra <strong>liturgia</strong> e teologia presso i Padri,<br />

la cosa è implicita nello stesso concetto di gnosi, dhe fu l'ideale<br />

Die Frohbotschaft und unsere Glaubensverkiindigung, prima edizione, Regensburg<br />

1936. Sulla necessità e la possibilità che anche oggi il mistero pasquale<br />

sia' al centro <strong>della</strong> predicazione, vedi F. X. ARNOLD, La catéchèse en partant<br />

du mystère centrai de l'histoire du salut, in: Évangéliser 15 (1960) 211-23.<br />

20 E la nota controversia suscitata dai predetti teologi. Vedi per esempio,<br />

E. KAFPLER, Die Verkiindigungstheologie, Freiburg, i. S. 1949, e la rassegna bibliografica<br />

e dottrinale in La scuola cattolica 78 (1950) 350 ss.<br />

21 Non ci si deve aspettare Io stesso dalla proposizione <strong>della</strong> rivelazione<br />

negli interventi del magistero straordinario dei concili o delle definizioni ex<br />

cathedra, appunto perché il magistero straordinario è sporadico ed interviene<br />

anzitutto (prima <strong>della</strong> definizione <strong>della</strong> Immacolata Concezione non vi erano<br />

eccezioni in contrario) per la difesa di un determinato punto di dottrina contro<br />

eventuali errori e non già con l'intento di proporre l'intera rivelazione alla<br />

fede dei fedeli.<br />

22 Vedi A. TURCK citato alla nota 18.


STORIA SACRA E GNOSI 813<br />

<strong>della</strong> teologia patristica. Vale la pena di vedere, per esempio, come<br />

Ireneo esprime quale sia l'oggetto <strong>della</strong> vera gnosi ortodossa:<br />

« <strong>Il</strong> suo compito è di lavorare su tutto quello che è stato detto in parabole<br />

per incorporarlo all'oggetto <strong>della</strong> fede; di esporre il modo di agire di Dio e la<br />

sua economia verso l'umanità; di spiegare come Dio fu magnanimo sia nell'apostasia<br />

degli angeli ribelli sia nella disubbidienza degli uomini; dì mostrare perché<br />

un solo e stesso Dio ha trasformato esseri temporali in esseri eterni e<br />

celesti; di comprendere perché questo Dio, che è invisibile, è apparso ai profeti<br />

e questo non già sotto una sola forma, ma sotto forme diverse; di spiegare<br />

perché diversi patti furono offerti all'umanità e quale fu il carattere proprio<br />

di ognuno di essi; di scrutare perché Dio ha tutto incluso nella disubbidienza<br />

per fare a tutti misericordia; di dire con gratitudine perché il Verbo di<br />

Dio si è fatto carne ed ha patito; di spiegare perché è alla fine dei tempi che<br />

è apparso il Figlio di Dio, e dunque perché il Principio è apparso alla fine; di<br />

scoprire tutto quello che è nelle Scritture intorno alla fede e alle cose a venire;<br />

di non tacere come è avvenuto che Dio, contro ogni speranza, ha fatto le nazioni<br />

coeredi dei santi, un solo corpo con essi e partecipi ad essi; di esporre<br />

come questa povera carne mortale rivestirà l'immortalità e questa carne corruttibile<br />

l'incorruttibilità; di proclamare come quello che era: «Non il mio popolo<br />

» è diventato « <strong>Il</strong> mio popolo » e come colei che era « Non amata » è diventata<br />

« Amata » e come la donna abbandonata ha avuto più figlioli di quella<br />

che aveva marito » 23 .<br />

Se si pensa che Ireneo — esagerando certamente il suo punto<br />

di vista — vuole quasi completamente escluse dalla ricerca <strong>della</strong> gnosi<br />

ortodossa tutte quelle questioni che non sono direttamente e chiaramente<br />

determinate dalla Scrittura, in modo speciale, quelle che<br />

oggi chiameremmo d'ordine speculativo 2i , e che insiste con forza<br />

sulla regola <strong>della</strong> fede alla quale vuole che nessuna ulteriore ricerca<br />

aggiunga o sottragga alcunché 25 , si capisce facilmente quanto, nell'ideale<br />

di teologia che egli vagheggia, primeggi il carattere biblico<br />

e di storia sacra.<br />

Nella teologia di Origene, sotto un certo aspetto, il punto di<br />

vista propriamente temporale e storico <strong>della</strong> rivelazione soffre un<br />

oscuramento. Ma, sotto un altro aspetto, il concetto di storia sacra<br />

domina tutta la sua sintesi in quanto questa, fortemente preoccupata<br />

dei gradi dell'ascensione ascetico mistica dell'anima a Dio, tiene<br />

ovunque presente il concetto del triplice grado di questa ascensione<br />

su questa terra, completato da un quarto grado che è quello che si<br />

compie nell'escatologia, nell'ai di là. Origene ritrova continuamente<br />

questi gradi adombrati e prefigurati nei vari episodi <strong>della</strong> storia<br />

sacra, la quale viene così, in qualche modo, ad inserirsi ovunque<br />

nella sua prospettiva. È la base <strong>della</strong> sua allegoria ed interpretazione<br />

<strong>della</strong> Scrittura, l'assiduo contatto con la quale rimane sempre il<br />

canone fondamentale del suo metodo non solo in tutte le sue opere<br />

23 Adv. Haer. I 10 n. 3 PG 7,556s. Vedi anche: Adv. Haer. IV 33 n. 1 PG<br />

7,1072; n. 7 ibid. 1077; IV 31-33 ibid. 1068-83.<br />

21 Vedi, per es., Adv. Haer. II 18 n. 7 PG 7,754; II 27 n. 1 ibid. 802; II 28<br />

25 Vedi, per es., Adv. Haer. I 10 n. 1-2 PG 7,549.<br />

n. 3 ibid. 806; n. 6 ibid. 809; n. 7 ibid.


814 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

esegetiche e dogmatiche, ma anche nelle sue numerose prediche al<br />

popolo 26 .<br />

In S. Agostino il concetto di storia sacra, o come egli dice:<br />

dispensatio, dìspensatio temporalis, historia, historia dispensationis,<br />

administratio, narratio, ecc., domina talmente tutto il suo modo di<br />

considerare la rivelazione che, sin dal 390 nel De vera religione scriveva<br />

: « l'essenza di questa religione che dobbiamo seguire consiste<br />

nella storia e nella profezia <strong>della</strong> dispensazione temporale <strong>della</strong> divina<br />

Provvidenza per la salvezza del genere umano per riformarlo e<br />

ripararlo per la vita eterna » 27 . La grande visione sintetica <strong>della</strong><br />

rivelazione come storia sacra sempre in atto rimane quindi presente<br />

ovunque nelle opere teologiche di Agostino, tanto che si è potuto<br />

giustamente scrivere : « L'aspetto <strong>della</strong> storia sacra costituisce non<br />

già una qualche visuale secondaria, ma un tratto essenziale <strong>della</strong><br />

teologia di Agostino. Con la massima chiarezza appare dove spiega<br />

il simbolo. Si pensi, per esempio, al De fide et symbolo, aìl'Enchiridion,<br />

al De agone christiano, ecc. Ma questo tema erompe ovunque,<br />

praticamente sin dal De moribus e dal De genesi contra manichceos,<br />

ove Agostino tratta i misteri <strong>della</strong> salvezza del cristianesimo » 2S .<br />

<strong>Il</strong> posto centrale del concetto di storia sacra nella teologia patristica<br />

appare in piena luce, fino al sec. XII-XIII in occidente, nelle<br />

prediche e nelle catechesi al popolo e ai catecumeni 29 . Tutta la letteratura<br />

mistagogica, di cui abbiamo parlato nel capitolo XIX, è essenzialmente<br />

incentrata nel concetto di storia sacra mistero di Cristo<br />

sempre in atto visto partendo dalla <strong>liturgia</strong> dell'iniziazione cristiana.<br />

Da notare anche che a questo genere di letteratura può ridursi già<br />

la Demonstratio apostolicae traditionis di Ireneo che è un compendio<br />

26 Vedi, per es., C. VAGAGGINI, La natura <strong>della</strong> sintesi origeniana e l'ortodossia<br />

e l'eterodossia <strong>della</strong> dogmatica di Origene, in: La scuola cattolica 82<br />

(1954), pp. 192-195. H. DE LUBAC, Histoire et esprit: l'intelligence des Écrìtures<br />

d'après Origene, Paris 1950.<br />

27 De vera relig. 7,13.<br />

2 8 M. LOEHRER, Der Glaubensbegriff des hi. Augustinus in seinen ersten<br />

Schriften bis zu Confessiones, Einsiedeln 1954, p. 186. Ivi 186-202 si tratta, in<br />

specie, <strong>della</strong> teologia di S. Agostino intorno alla fede sullo sfondo <strong>della</strong> storia<br />

sacra.<br />

29 Sulla storia generale <strong>della</strong> predicazione rispetto al suo contenuto, vedi:<br />

Y. BRILIOTH, Landmarks in the history of preaching. Donellan lectures, Dublin<br />

1949 — London S.P.C.K. 1950. L'autore, protestante, dà un rapido panorama <strong>della</strong><br />

questione. Scrisse sullo stesso tema un'opera più considerevole in svedese: Predikaus<br />

historia, Lund 1946. Vedi pure: A. NIEBERGALL, Die Geschichte der christlichen<br />

Predigt, in: Leiturgia II Kassel 1955, pp. 181-352, con ampia bibliografia<br />

intorno alla storia <strong>della</strong> predicazione in genere. Tra gli autori antecedenti attira<br />

l'attenzione in modo speciale su: H. HERING, Die Lehre von der Predigt, Berlin<br />

1905, pp. 1-247. Indicazioni anche in: E. WEISEMANN, Der Predigtgottesdienst und<br />

die verwandeten Formen, in: Leiturgia III Kassel 1956, pp. 8-22. B. DREHEH, Die<br />

Osterpredigt von der Reformation bis zur Gegenwart, Freiburg i.B. Herder 1951.<br />

Tratta il tema ristretto <strong>della</strong> predica di Pasqua; ma in esso si rispecchia bene<br />

tutto lo sviluppo <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> predicazione in genere dal punto di vista<br />

del carattere generale del suo contenuto. Dà anche una rapida introduzione sulla<br />

predicazione pasquale prima del secolo XVI.


PREDICAZIONE E STORIA SACRA 815<br />

<strong>della</strong> dottrina <strong>della</strong> fede, quasi semplice ampliamento <strong>della</strong> catechesi,<br />

costruito sullo schema del simbolo e quindi <strong>della</strong> storia sacra: unità<br />

e trinità di Dio, Dio creatore, creazione, caduta, Abramo, Mosé,<br />

Giudici, Re, profeti, adempimento delle profezie in Cristo e nel suo<br />

regno che è la Chiesa.<br />

Anche qui, però, come in tante altre cose, Agostino è il sommo<br />

rappresentante <strong>della</strong> tradizione patristica. È cosa rilevata giustamente<br />

dagli studiosi 30 e molto naturale dopo quanto abbiamo notato sopra<br />

a proposito <strong>della</strong> storia sacra come concetto centrale <strong>della</strong> sua teologia;<br />

ch'egli, nelle sue prediche al popolo in genere e, in modo speciale,<br />

nella sua catechesi ai catecumeni, considera la storia sacra, la temporalis<br />

dispensatio salvationis, come l'oggetto principale e il centro<br />

<strong>della</strong> predicazione; meglio ancora: come il quadro generale che contiene<br />

ed ordina i singoli punti <strong>della</strong> predicazione. Nel De catechizandis<br />

rudibus fa esplicitamente la teoria <strong>della</strong> questione quale<br />

debba essere l'oggetto e il modo <strong>della</strong> catechesi ai catecumeni e, alla<br />

fine dell'operetta, dà due esempi, uno più lungo e uno più breve. <strong>Il</strong><br />

tutto è concepito secondo le regole <strong>della</strong> retorica, nel quadro <strong>della</strong><br />

narratio e <strong>della</strong> exhortatio. La narratio è qui semplicemente la temporalis<br />

dispensatio salvationis. Comincia dalla creazione e narra brevemente<br />

tutta la storia sacra fino a Cristo e alla Chiesa e quindi passa<br />

alla risurrezione <strong>della</strong> carne e alla vita futura 31 . Tutto è incentrato<br />

in Cristo a cui prima di Lui tutto tendeva e da cui dopo di Lui tutto<br />

deriva, in specie la Chiesa che è il suo regno e il suo corpo 32 . Tutta<br />

la dispensatio ha per ultima spiegazione e fine l'amore: Dio vuole<br />

dimostrare il suo amore e vuole suscitare così la risposta del nostro<br />

amore; il catechista, svolgendo la narratio, non deve aver altro scopo<br />

che di suscitare nel suo ascoltatore la fede, la speranza e principalmente<br />

l'amore 33 .<br />

L'exhortatio, che contiene gli ammonimenti contro le tentazioni —<br />

tra i quali, si noti bene, c'è anche una breve messa in guardia di tipo<br />

apologetico contro i pagani, gli eretici e gli scismatici — e i precetti<br />

di onesta vita cristiana, viene in fine, come naturale conseguenza<br />

<strong>della</strong> narratio e in essa tutto è visto alla luce diretta dei fatti <strong>della</strong><br />

narratio stessa 34 .<br />

La spiegazione esplicita, sempre nel quadro <strong>della</strong> storia sacra<br />

mistero di Cristo sempre in atto,.dei sacramenta dell'iniziazione cristiana,<br />

è rimandata da Agostino a dopo il battesimo e viene fatta<br />

da lui ai neofiti, come appare nelle prediche a loro indirizzate. La cosa<br />

30 Vedi, per es., B. CAPELLE, Prédication et catechi.se selon S. Angustiti, in:<br />

Les questions liturgiques et paroissiales 33 (1952) 55-64. J. DANIÉLÒU, L'histoire<br />

du salut dans la catéchèse, in: La maison Dieu 30 (1952) 19-35. F. VAN DEH MEER,<br />

Augustinus als Seelsorger, Koln 1953, p. 404 ss. M. PONTET, L'éxégèse de S. Angustiti<br />

prédicateur, Paris 1954, pp. 35-110.<br />

3 1 Vedi n. 5 e n. 10; n. 11.<br />

3 2 Vedi n. 8.<br />

33 Vedi n. 6; 7; 8.<br />

3i Vedi n. 11.


816 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

è connessa con la legge dell'arcano che esisteva al suo tempo. Abolita<br />

quella legge, questa spiegazione dei sacramenta trova il suo posto<br />

naturale nello schema generale <strong>della</strong> catechesi storia sacra dove si<br />

parla <strong>della</strong> Chiesa.<br />

La narratio non è evidentemente concepita da Agostino come<br />

pura « narrazione », ma anche come spiegazione. Si toccano quindi,<br />

in qualche modo, secondo la capacità, la necessità e l'utilità degli<br />

stessi ascoltatori, anche le questioni che solleva la narratio : « di modo<br />

che si spieghino le cause e le ragioni delle singole cose e delle<br />

singole gesta che si narrano » 33 . Ma, nella catechesi, tutto questo<br />

deve tendere a mostrare e ad eccitare l'amore ; nelle spiegazioni dobbiamo<br />

riferire le cose e le gesta narrate : « a quel fine dell'amore,<br />

dal quale non deve distaccarsi l'occhio né di colui che parla né di<br />

colui che ascolta ». La spiegazione non deve perdersi in tal modo<br />

nelle questioni difficili che ne segua l'effetto di far dimenticare o<br />

di oscurare il grande quadro <strong>della</strong> storia sacra; che anzi deve tendere<br />

tutta ad illuminarlo : « Però non dobbiamo esporre in modo tale<br />

queste cause che, abbandonato il tratto <strong>della</strong> narratio, la nostra<br />

mente e la nostra lingua si perda nei nodi di difficili questioni. Anzi,<br />

che la verità <strong>della</strong> causa spiegativa addotta sia come il filo d'oro<br />

che rileghi ordinatamente le gemme, e non già che con i suoi eccessi<br />

perturbi la linea dell'ornamento: sed ipsa veritas adhibitaz rationis<br />

quasi aurum sit gemmarwn ordine-m ligans, non tamen ornamenti<br />

seriem ulta immoderatione perturbans » 36 . Parole d'oro. Le spiegazioni<br />

causali alle quali si ricorrerà devono servire come a rilegare<br />

le gemme incastonate <strong>della</strong> storia sacra e a metterne in rilievo il<br />

collegamento e il disegno generale e non già a farle dimenticare<br />

e tanto meno a confonderle. Dunque, funzione delle spiegazioni<br />

causali nettamente subordinata alla narratio <strong>della</strong> storia sacra con<br />

il fine di farla meglio capire.<br />

Agostino contempla anche il caso che si abbia a che fare con<br />

un catecumeno retore, diremmo noi intellettuale, come ce n'erano<br />

tanti allora, o addirittura con un dotto 37 . Naturalmente, bisognerà<br />

trattare ognuno secondo il suo stato e le sue disposizioni e tener<br />

conto di quello che già conosce per non tediarlo. Ma, ammesso questo,<br />

la materia essenziale che si annunzierà al dotto non differisce da<br />

quella che si annunzia all'ignorante. Se mai, ammonisce Agostino,<br />

si baderà, in modo discreto ma con sostanziale fermezza, a mettere<br />

in guardia gli intellettuali contro la presunzione e a rafforzare in loro<br />

l'umiltà di cui han dato qualche prova chiedendo il battesimo; per<br />

il resto si seguirà la stessa via che per gli altri 38 .<br />

35 n. 10.<br />

se ibid.<br />

»? n. 12 e 13.<br />

38 ... Ut caveat praesumptionis errores, quantum eius humilitas quae illum<br />

adduxit, iam sentitur admittere. Caetera vero secundum regulas doctrinae salutaris,<br />

sive de fine, quaecumque narrando, vel disserenda sunt, sive de moribus,<br />

sive de tentationibus, suo modo percurrendo quo dixi, ad illam supereminentem<br />

viam (= la carità) omnia referenda sunt. N. 12. Vedi anche n. 13.


STORIA SACRA E UNITÀ DEL SAPERE 817<br />

Da tutto questo è facile rendersi conto che; per Agostino e per<br />

tutta la mentalità <strong>della</strong> tradizione antica, il contenuto centrale e il<br />

concetto unificatore ovunque presente e in massimo rilievo <strong>della</strong><br />

catechesi ai catecumeni adulti non è diverso da quello <strong>della</strong> predicazione<br />

ordinaria ai fedeli, ed è il medesimo contenuto centrale e quadro<br />

unificatore <strong>della</strong> teologia, non meno che dell'insegnamento ordinario<br />

del magistero e <strong>della</strong> stessa bibbia, nonché <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Qui si può<br />

intravvedere la meravigliosa unità che, in questa concezione, unisce<br />

bibbia, insegnamento del magistero, <strong>liturgia</strong>, tradizione, teologia, predicazione<br />

ordinaria ai fedeli, catechesi ai catecumeni. Quell'unità verso<br />

la quale il nostro tempo giustamente sospira! <strong>Il</strong> legame di tutti<br />

questi membri è il primato di rilievo dato alla realtà di storia sacra<br />

che ognuno è chiamato a spiegare.<br />

Si comprende così di nuovo perché l'articolo 16 <strong>della</strong> Costituzione<br />

conciliare sulla <strong>liturgia</strong> additi appunto la storia sacra come<br />

base sulla quale deve ricostruirsi l'unità del sapere sacro.<br />

Unità che rimase viva fino al secolo XII-XIII e che dopo andò diminuendo<br />

per quanto riguarda i rapporti tra teologia, bibbia, predicazione<br />

e catechesi, mentre rimase, naturalmente, intatta tra bibbia<br />

e proposizione ordinaria del magistero, nonché tra bibbia, proposizione<br />

del magistero e <strong>liturgia</strong>. Non che allora la teologia e la predicazione<br />

abbiano ignorato la storia sacra. Ignorarla è impossibile in<br />

regime cattolico, e ancor più negarla. Ma quel concetto ebbe minore<br />

rilievo nel modo in cui vennero trattate le singole questioni nelle<br />

sintesi teologiche e quindi nella predicazione, la quale è sempre, in<br />

qualche modo, tributaria dello stato <strong>della</strong> teologia.<br />

Con questo sono ben lontano da volere insinuare che, dal secolo<br />

XII-XIII in poi, la teologia non abbia dato a suo modo un enorme<br />

contributo che può e dev'essere usato per una migliore intellezione<br />

dello stesso mistero di Cristo sempre in atto. Questo contributo<br />

intorno alle questioni d'ordine entitativo, o speculativo che si voglia<br />

dire, che pone la stessa storia sacra, e, cominciando dal secolo XVI,<br />

anche d'ordine propriamente storico ed esegetico biblico, c'è stato<br />

ed è enorme; ed è assurdo pretendere che se ne possa fare a meno.<br />

Non si preconizza dunque un indiscriminato ed ingenuo « ritorno ai<br />

Padri ». Si vuole soltanto dimostrare questo : che, conservando l'indispensabile<br />

contributo d'ordine speculativo e, più recentemente, anche<br />

d'ordine storico esegetico biblico, che i secoli scolastici e posteriori<br />

hanno dato per l'intelligenza più profonda <strong>della</strong> rivelazione, è urgente<br />

rivalorizzare nella coscienza dei teologi, dei biblisti e dei predicatori,<br />

sia nell'impostazione generale di tutta la loro rispettiva materia, sia<br />

nel modo di considerare le singole questioni, il grande concetto di<br />

storia sacra mistero di Cristo sempre in atto, come quadro generale<br />

di tutta la rivelazione, <strong>della</strong> teologia e <strong>della</strong> predicazione 39 .<br />

39 Bisogna riconoscere, purtroppo, che tra coloro i quali, oltr'alpe, preconizzano<br />

giustamente una rivalorizzazione del concetto di storia sacra, in specie<br />

nella teologia e nella predicazione, intorno al punto che, in ogni ipotesi, questa


818 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

A partire dal secolo XII-XIII le menti dei teologi, prendendo forte<br />

coscienza <strong>della</strong> necessità che nella spiegazione <strong>della</strong> rivelazione:<br />

« causae rationesque reddantur » come diceva Agostino 40 , concentrarono<br />

la loro attenzione sulle cause e le ragioni d'ordine entitativo<br />

speculativo e, grazie a questo concentramento analitico, proprio in<br />

questa materia dettero un contributo ammirevole che può e deve<br />

servire a una più profonda intellezione <strong>della</strong> rivelazione. I secoli<br />

posteriori, specialmente dal secolo XVI in poi, fecero qualcosa di<br />

simile riguardo alle cause e alle ragioni d'ordine storico, critico,<br />

apologetico, dando anch'essi, in questo punto, un contributo notevole.<br />

Senonché, questo concentramento analitico, fu accompagnato<br />

sfortunatamente, da un'eccessiva dimenticanza, nel modo generale<br />

d'impostare tutta la sintesi teologica e specialmente in quello di<br />

trattare le singole questioni, dell'aspetto storia sacra mistero di Cristo<br />

sempre in atto, come quadro generale e primario di tutto l'insieme<br />

e sfondo che non si deve mai perdere di vista. Ne è risultato che, con<br />

l'andar del tempo, i teologi posteriori, epigoni <strong>della</strong> grande scolastica<br />

del secolo XIII e tridentina, non hanno sufficientemente tenuto<br />

conto dell'ammonimento di Agostino sopra riferito e che vale non<br />

solo per la predicazione e la catechesi, ma anche per la stessa teologia<br />

: che cioè « non dobbiamo esporre in modo tale queste cause che,<br />

abbandonato il tratto <strong>della</strong> narratio la nostra mente e la nostra<br />

lingua si perda nei nodi di difficili questioni. Anzi la verità <strong>della</strong> causa<br />

spiegativa addotta sia come il filo d'oro che rileghi ordinatamente<br />

le gemme e non già che, con i suoi eccessi, perturbi la linea dell'ornamento<br />

», o anche semplicemente la faccia dimenticare.<br />

Abbiamo visto che, per quanto riguarda la catechesi, Agostino<br />

vuole bensì che alla narratio sia unita la spiegazione delle cause nonché<br />

la proposizione dei comandamenti e l'esortazione morale, ed<br />

anche uno spunto di messa in guardia apologetica contro i non credenti;<br />

ma esige giustamente che tutto questo non faccia mai perdere<br />

di vista, quasi soffocandolo nella mente degli ascoltatori, lo sfondo<br />

e la linea generale <strong>della</strong> storia sacra mistero di Cristo. Non si pretende,<br />

dunque, che nella predicazione, e tanto meno nella teologia<br />

stessa, sia negletto il punto di vista spiegativo causale, morale ed<br />

apologetico; ma semplicemente che ogni cosa abbia la sua giusta<br />

proporzione nell'insieme e che, con ingiustifìcate ipertrofie, non si<br />

« perturbi la linea dell'ornamento »; ossia che tutto l'insieme e le<br />

rivalorizzazione debba avvenire senza sacrificare il contributo posteriore, in<br />

specie scolastico, intorno ad una più profonda elaborazione dell'aspetto speculativo<br />

<strong>della</strong> rivelazione, non regnano idee molto chiare. Nebulosità d'idee che,<br />

talvolta, ha anche riflessi molto pratici. Si tocca, come si vede, la questione<br />

<strong>della</strong> natura e del metodo <strong>della</strong> teologia, sulla quale riposa, in ultima analisi,<br />

quella dell'unità tra bibbia, teologia, <strong>liturgia</strong> e predicazione. Spiegare gli ultimi<br />

fondamenti come sia possibile e necessario nell'indagine <strong>della</strong> rivelazione dare<br />

all'aspetto storia sacra il rilievo primario che gli compete senza sacrificare il<br />

contributo speculativo scolastico e quello storico, critico e apologetico <strong>della</strong><br />

teologia più recente, spetta alla metodologia teologia generale.<br />

40 De catechizandis rudibus n. 10.


DESIDERATA INTORNO ALLA PREDICAZIONE 819<br />

singole parti appaiano sempre e nettamente come spiegazioni del<br />

mistero di Cristo sempre in atto, dal quale gli occhi e il cuore del<br />

predicatore, non meno che del teologo e dell'esegeta e del liturgista,<br />

non devono mai distaccarsi.<br />

Concludendo : la stessa natura intrinseca <strong>della</strong> predicazione come<br />

annunzio <strong>della</strong> parola di Dio, contenuta nella bibbia, presentata<br />

nella proposizione del magistero e nella <strong>liturgia</strong> richiede che il suo<br />

oggetto, o contenuto o quadro generale, non sia altro in primo luogo<br />

che la storia sacra sempre in atto, come è stato effettivamente nella<br />

tradizione ecclesiastica fino al secolo XII-XIII.<br />

Storia sacra mistero di Cristo e gli odierni desiderata<br />

intorno a un ravvivamento <strong>della</strong> predicazione<br />

A questo punto è facile accorgersi come un più cosciente incentramento<br />

<strong>della</strong> predicazione sulla storia sacra sempre in atto, richiesto<br />

dalla natura dell'annunzio <strong>della</strong> parola di Dio, corrisponda esattamente<br />

a quanto hanno di giusto quelle profonde aspirazioni che<br />

oggi, in tema di rinnovamento <strong>della</strong> predicazione, si manifestano un<br />

po' ovunque. Quali sono queste giuste aspirazioni? Percorrendo la<br />

letteratura recente che tratta <strong>della</strong> questione 41 , pare che si possano<br />

compendiare nei seguenti punti.<br />

Si vuole che la predicazione abbia una maggiore connessione<br />

con la bibbia. Non già che la predicazione dell'età immediatamente<br />

precedente non si sia appoggiata alla bibbia. Ma c'è modo e modo.<br />

Quando oggi si chiede una predicazione più biblica, si vuole che la<br />

bibbia non serva solo di arsenale di esempi e di narrazioni per illustrare<br />

temi per sé di natura piuttosto filosofica morale, anche se<br />

si trovano nella bibbia. Ma che si predichi il messaggio stesso <strong>della</strong><br />

bibbia nella sua integrità e nella prospettiva in cui la bibbia lo presenta.<br />

Si vuole che nella predicazione riappaiano in pieno risalto<br />

i grandi temi <strong>della</strong> predicazione di S. Paolo come si ritrovano nelle<br />

41 Già da parecchi anni la benemerita rivista: Les questions liturgiques et<br />

paroissiales, nel suo: Bulletin de littérature liturgique, ne dà ogni anno un<br />

ragguaglio fatto dal P. Botte e facilmente rintracciabile nell'indice di ogni annata<br />

posto al termine del volume. Parecchie notizie in proposito si possono<br />

anche raccogliere dai numerosi articoli che: La Maìson-Dieu ha consacrato alla<br />

questione dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e predicazione. Fino al 1954, vedine l'elenco<br />

nel n. 39 a p. 6. Tra questi articoli, per il tema che qui trattiamo, nota: La crise<br />

de la prédication (à travers les revues). La maison Dieu n. 13 (1948) 104-107. F.<br />

LOUVEL, La proclamation de la parole de Dieu, ibid., n. 20 (1949). A. LIÉGÉ, Contenu<br />

et pédagogie de la prédication chrétienne, ibid. n. 39 (1954) 23-37. L. BOUYER, Conditions<br />

d'une prédication vraiment pastorale, ibid. 38-58. A. M. ROGUET, Les sources<br />

bibliques et liturgiques de la préditacion, ibid. 108-118. LE PRETRE MINISTRE<br />

DE LA PAROLE, atti del congresso di Montpellier del 1954, UOCF 1955. Nota, tra<br />

gli altri, J. DANIÉLOU, Parole de Dieu et mission de l'Eglise, ibid. pp. 41-56. G.<br />

BARRA, Tempo di testimonianza, Milano 1956. J. RIES, Krisis und Erneurung der<br />

Predigt. Studien Zur Situation der Verkiindigung, Frankfurt A.M. 1961. N. FOUR-<br />

NIER; Esigenze attuali <strong>della</strong> catechesi, ed. it., Brescia, 1963.


820 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

sue epistole; i grandi temi del vangelo e delle epistole di S. Giovanni,<br />

dell'Apocalisse, degli Atti degli Apostoli e che, attraverso questi temi,<br />

come fanno appunto questi documenti, venga prospettata e rianimata<br />

la figura di Gesù, la sua predicazione come appare nei sinottici,<br />

il concetto e la realtà di Dio, il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> storia e <strong>della</strong> vita umana,<br />

il <strong>senso</strong> che ha per noi l'Antico Testamento.<br />

In secondo luogo si vuole che la predicazione sia più teologale<br />

nel <strong>senso</strong> che sia teocentrica, che prospetti anzitutto quello che ha<br />

fatto e fa Dio per noi e che presenti i nostri doveri morali come<br />

la risposta necessaria all'amore e alle gesta di Dio per noi.<br />

Si pensa che la predicazione del tempo immediatamente precedente<br />

sia stata troppo moralista, perché, si dice, allora i predicatori<br />

si accontentarono spesso di un moralismo a fior di pelle come potrebbe<br />

fare un onesto filosofo, anche non cristiano. Se con questo<br />

si volesse dire che la predicazione non deve toccare o anche deve<br />

relegare sempre al secondo piano i temi morali dei comandamenti,<br />

dei nostri doveri di creatura, dei pericoli che minacciano la nostra<br />

anima, del giudizio, ecc., quest'accusa di moralismo contro la predicazione<br />

corrente sarebbe certamente infondata, né si potrebbe dar<br />

ascolto a simili richieste. S. Paolo, per non parlare di Cristo stesso,<br />

non negligeva certo l'aspetto morale. Ma, quello che si vuole dire,<br />

in fondo, è che spesso la predicazione morale è stata troppo distaccata<br />

dal contesto generale nel quale i comandamenti e i doveri morali<br />

appaiono prospettati nella Scrittura, cioè, dalla storia sacra mistero<br />

di Cristo. Si desidera, giustamente, che s'insista assai più su quei<br />

motivi delle nostre azioni morali che derivano immediatamente dall'azione<br />

di Dio nel mondo in Cristo Gesù; e che, se è necessario o<br />

utile di ricorrere anche ai motivi che per sé, non trascendono l'ordine<br />

filosofico, non si trascuri per questo i motivi e gli aspetti più propriamente<br />

soprannaturali e specificamente cristiani del nostro agire.<br />

Non meno intenso è il desiderio che la predicazione, in qualche<br />

modo sia più cristocentrica, parli ovunque e sempre di Cristo e in<br />

modo speciale si incentri sul mistero pasquale in Cristo, in noi, nel<br />

mondo tutto. Di nuovo: non che gli altri punti <strong>della</strong> rivelazione non<br />

debbano essere toccati; bensì nel <strong>senso</strong> anzitutto che Cristo stesso<br />

sia più spesso oggetto diretto <strong>della</strong> predicazione; ma specialmente<br />

che in tutti i punti prospettati non si ometta di mostrare in regime<br />

di rivelazione cristiana, la connessione indissolubile, nel piano <strong>della</strong><br />

salvezza di Dio, di ogni cosa con Cristo morto e risorto come unica<br />

via per la quale ogni bene ci viene da Dio e ogni essere ritorna a Dio.<br />

Una frequentissima lagnanza riguarda l'astrattismo <strong>della</strong> predicazione<br />

corrente; il suo sapore libresco non solo perché sa troppo di<br />

scuola di dogmatica e di morale, ma specialmente perché lo stesso<br />

modo di vedere gli oggetti di cui parla è troppo impersonale ed<br />

astratto. In modo speciale si lamenta che in essa Dio appaia più come<br />

un'idea lontana e trascendente che come una persona viva con la<br />

quale abbiamo quelle relazioni che si hanno tra persona e persona.<br />

Si vuole dunque la concretezza.<br />

Allo stesso problema <strong>della</strong> concretezza appartiene il desiderio


DESIDERATA INTORNO ALLA PREDICAZIONE 821<br />

che la predicazione debba toccare la situazione vera, personale, familiare,<br />

sociale, di lavoro, ecc., nella quale vivono di fatto i fedeli di oggi;<br />

i problemi che li interessano vitalmente nella vita di ogni giorno. Su<br />

questo punto però è da osservare che esistono due specie di concretezza<br />

e di corrispondenza ai bisogni e ai problemi reali dei fedeli;<br />

una che si potrebbe chiamare di superficie e l'altra di profondità.<br />

La concretezza di superficie può dirsi quasi di giornalista o di cronaca<br />

di varietà, come sarebbe parlare di politica, elezioni, partiti, ecc,.<br />

di questioni sindacali e sociali, <strong>della</strong> moda, di qualche avvenimento<br />

di attualità che ha fatto impressione a tutti e cose simili. A parte<br />

le materie politiche, nelle quali ci vuole il massimo <strong>senso</strong> prudenziale,<br />

non si dice che le altre questioni non possano essere toccate<br />

anche spesso secondo i bisogni degli ascoltatori, per servirsene come<br />

di prima esca per attrarli più in alto; ma che, in ogni ipotesi, non è<br />

questa la concretezza che dà vera sostanza e frutto duraturo alla<br />

predicazione, bensì quella che sa arrivare alle profonde ed universali<br />

preoccupazioni che covano, anche se non chiaramente avvertite, nel<br />

cuore di ogni uomo e dinanzi alle quali il predicatore deve poter<br />

rimettere coloro che l'ascoltano. Di questa natura sono, per esempio,<br />

per qualsiasi uomo, di qualsiasi condizione e in qualsiasi situazione:<br />

il sapersi finiti, limitati, miseri e l'avere bisogno di Dio, del suo amore<br />

di Padre e <strong>della</strong> sua misericordia; il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> responsabilità nella<br />

vita e dinanzi a Dio; il riconoscersi peccatori; la coscienza dell'obbligo<br />

<strong>della</strong> conversione; il <strong>senso</strong> dell'uguaglianza di tutti gli uomini dinanzi<br />

a Dio, alla morte, alla legge morale; il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> brevità e <strong>della</strong><br />

caducità <strong>della</strong> vita; il bisogno di Cristo; la gioia solo nella pace con<br />

Dio e cose simili. Le altre circostanze di concretezza più superficiale<br />

possono servire di avvio a questa concretezza più sostanziale.<br />

Oggi spesso si sente anche la richiesta che la predicazione cristiana<br />

debba essere escatologica; non abbia paura di annunziare il<br />

<strong>senso</strong> <strong>della</strong> storia agli occhi di Dio e la meta ultima alla quale essa<br />

tende, che è la Gerusalemme celeste. L'uomo moderno ha il <strong>senso</strong> dello<br />

sviluppo generale <strong>della</strong> storia. Gli piace sapersi e sentirsi parte di un<br />

grande insieme, beneficiario di tutti i travagli precedenti e artefice,<br />

a suo modo, del risultato finale che verrà sicuramente dopo di lui.<br />

Lavorare per una meta futura, ardua ma possibile, dà, naturalmente,<br />

all'uomo un grande slancio dinamico. Cristianamente questa molla<br />

si chiama la speranza.<br />

Finalmente, è da tutti fortemente sentito il bisogno di una<br />

predicazione più nettamente incentrata sulle verità fondamentali<br />

<strong>della</strong> fede presentate in modo sintetico e panoramicamente integrale;<br />

come si deve fare appunto con gli adulti che si devono iniziare alla<br />

fede cristiana. Si tratta, in fondo, di un tratto caratteristico di quello<br />

che nell'antica Chiesa si era realizzato nella catechesi ai catecumeni.<br />

I moderni fedeli hanno bisogno di un'iniziazione nel <strong>senso</strong> di una<br />

catechesi che:<br />

« deve unificare i diversi aspetti del mistèro cristiano e salvaguardare l'equilibrio<br />

organico <strong>della</strong> rivelazione. Questo appare dall'origine cherigmatica del


822 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

Credo cristiano. La fede viva si nutre anzitutto di sintesi. Una catechesi che<br />

non presentasse continuamente l'unità del cristianesimo come un insieme organico<br />

derivante da un nucleo primitivo e compendiantesi in esso, non farebbe<br />

nascere nei cuori la realtà unitaria del mistero cristiano. Rimarrebbe la trasmissione<br />

alla memoria di una somma di articoli di fede. Si baderà dunque<br />

ad attribuire ad ogni aspetto del mistero cristiano l'importanza che gli spetta<br />

secondo la sua prossimità al centro <strong>della</strong> rivelazione. Questo significa anzitutto<br />

che non ci si permetterà le curiosità pseudospeculative, vuote di succo vitale<br />

religioso, o gli sviluppi sottili dei punti sui quali la parola di Dio è più discreta.<br />

Significa pure che si farà attenzione a non cedere agli squilibri che le spiritualità<br />

soggettive, le devozioni periferiche, le dispute teologiche introducono<br />

fatalmente nella presentazione <strong>della</strong> fede. Mentre il magistero solenne vigila a<br />

proteggere la fede contro le deviazioni dall'ortodossia, la catechesi, che esprime<br />

il magistero ordinario, deve badare a non presentare indebitamente l'ultimo<br />

tra i dogmi definiti o precisati come il dogma più importante. La catechesi<br />

non deve essere principalmente antieretica, sebbene debba rispondere agli<br />

appelli e alle difficoltà <strong>della</strong> mente di oggi » 4 -,<br />

Si aggiunga che oggi sono sempre più numerosi, anche nel semplice<br />

popolo, coloro che desiderano un nutrimento religioso sodo e<br />

rimangono urtati, anziché attratti, da quelle prediche tutte basate,<br />

in fondo, sopra un sentimentalismo superficiale, sia pure su temi,<br />

religiosi; o che si rendono conto, comunque, che questo sentimentalismo<br />

può forse produrre talvolta spettacolari fuochi di paglia,<br />

ma non certo incendi duraturi di vita cristiana.<br />

Facendo, per il momento, astrazione dalla <strong>liturgia</strong>, ecco, credo,<br />

il panorama, assai completo, dei desiderata più giustamente fondati<br />

che spesso, un po' ovunque, oggi si sentono intorno a un miglioramento<br />

<strong>della</strong> predicazione.<br />

Ora, è cosa notevolissima e facilmente comprensibile alla semplice<br />

riflessione, come tutte queste richieste trovino la loro convergenza<br />

nell'esigenza fondamentale <strong>della</strong> stessa natura intrinseca<br />

dell'annunzio <strong>della</strong> parola di Dio, di essere incentrata nella storia<br />

sacra mistero di Cristo sempre in atto. Non occorre più spiegare<br />

come questo incentramento dia alla predicazione quel carattere<br />

di dogmatica saldezza che, senza perdersi in arido intellettualismo,<br />

non indulge nemmeno al facile sentimentalismo a fior di pelle; come<br />

esso equivalga appunto a quella visuale sintetica ed organicamente<br />

unitaria nella presentazione <strong>della</strong> rivelazione, di cui si sente il bisogno,<br />

senza cadere nel sistema astratto. È ovvio pure che vedere la<br />

rivelazione nella prospettiva <strong>della</strong> storia sacra mistero di Cristo<br />

sempre in atto equivale a presentarla sotto un aspetto di tensione<br />

dinamica fortemente escatologica, e che questa visuale è eminentemente<br />

atta ad evitare il pericolo dell'astrattismo di cui oggi si ha<br />

giustamente tanta paura, poiché la storia sacra mistero di Cristo<br />

annunzia in primo luogo un avvenimento e non già un sistema<br />

astratto. E non è meno palese che tale presentazione <strong>della</strong> rivelazione<br />

42 A. LIÉGÉ, Contenu et pédagogie de la prédication, in: La Maison-Dieu<br />

39 (1954) 35s.


UNITÀ TRA PREDICAZIONE E LITURGIA 823<br />

necessariamente tutta incentrata in Cristo, sul mistero pasquale,<br />

è teologale e biblica.<br />

Intima unità in genere tra predicazione e <strong>liturgia</strong><br />

Nelle precedenti spiegazioni intorno alla nozione di predicazione<br />

in genere non si è quasi mai accennato alla questione dei suoi rapporti<br />

con la <strong>liturgia</strong>; ma, dopo quanto è stato detto, non dovrebbe<br />

riuscire diffìcile chiarire questi rapporti. Si può intanto notare che,<br />

tra i desiderata che si esprimono oggi intorno all'auspicato rinnovamento<br />

<strong>della</strong> predicazione, ha un posto eminente quello che venga<br />

ritrovata una più intima connessione tra predicazione e <strong>liturgia</strong>.<br />

È questo tra i cattolici uno dei grandi temi dell'odierno movimento<br />

liturgico in genere " 3 non meno che dell'odierna ansia di rinnovamento<br />

pastorale <strong>della</strong> predicazione 44 .<br />

Vale la pena notare che tale ansia di ritrovare una più stretta<br />

Unità fra predicazione e <strong>liturgia</strong> si fa strada oggi non poco — non<br />

senza resistenze, è vero — anche presso diversi protestanti; cosa<br />

connessa, del resto, con quel certo rinnovamento liturgico che si<br />

nota un po' ovunque anche da loro. Nel 1950 W. Staehlin, vescovo<br />

luterano di Oldenburg in Germania, negando l'opposizione che altri<br />

protestanti vogliono vedere tra predicazione e <strong>liturgia</strong>, scriveva : « la<br />

<strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> Chiesa è la terra nutrice <strong>della</strong> predicazione cristiana<br />

e la vita liturgica è la migliore preparazione alla predicazione; non<br />

si può fruttuosamente sostituirla con nessun altro lavoro <strong>teologico</strong>,<br />

esegetico o dogmatico... La separazione <strong>della</strong> predicazione dalla<br />

<strong>liturgia</strong> e dal sacramento <strong>della</strong> Chiesa è propriamente la causa <strong>della</strong><br />

debolezza <strong>della</strong> nostra predicazione e la radice <strong>della</strong> sua decadenza,<br />

se si può così dire » 4S .<br />

Infatti, considerando la natura <strong>della</strong> predicazione, come sopra<br />

spiegata, e la natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, come già la conosciamo, ci si<br />

accorge che la loro unione in genere è necessariamente molto intima;<br />

che, anzi, la somma attuazione <strong>della</strong> predicazione avviene connaturalmente<br />

quando vien fatta in immediata connessione con un atto<br />

liturgico, meglio ancora, come parte di quest'atto; che il contenuto<br />

<strong>della</strong> predicazione e il contenuto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> coincidono a tal punto<br />

che la <strong>liturgia</strong> ha forte bisogno <strong>della</strong> predicazione mentre essa stessa<br />

43 Tutte le riviste liturgiche pastorali trattano attualmente questo tema.<br />

Come già detto, Les questions lìturgiques et paraissiales ne danno ogni anno<br />

regolare ragguaglio. La Maison-Dieu vi ha consacrato tre interi numeri speciali:<br />

n. 16 (1948): Prédication biblique et liturgique; n. 30 (1952): L'economie<br />

du salut et le cycle liturgique; n. 39 (1954): Aux sources de la prédication. P.<br />

MASSI, Catechesi e predicazione liturgica, in: Riv. Ut. 50 (1963) 131-47.<br />

44 Vedi, per es„ gli atti del congresso di Montpellier sulla predicazione:<br />

Le prétre ministre de la parole, UOCF 1955. N. FOURNIER, Esigenze... (vedi sopra<br />

nota 41).<br />

45 Vedi Les questions lìturgiques et paroissiales 32 (1951) 281.


824 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

è il fine <strong>della</strong> predicazione, la quale, a sua volta, se è quello che deve<br />

essere, non può non avere per contenuto indiretto o diretto il mondo<br />

stesso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

L'intima unione tra predicazione e <strong>liturgia</strong> in genere si scorge,<br />

in ultima analisi, risalendo a quelle leggi che comandano le relazioni<br />

tra l'uomo e Dio, specificamente in regime cristiano, relazioni che<br />

tanto la predicazione quanto la <strong>liturgia</strong> hanno per scopo di realizzare,<br />

ognuna a suo modo. La prima di queste leggi è la libera cooperazione<br />

che l'uomo deve prestare all'opera di Dio; Dio scende incontro<br />

all'uomo, ma l'uomo deve liberamente disporsi a questo incontro,<br />

mettendosi nelle disposizioni richieste per piacere a Dio. Entra poi<br />

in gioco la legge dell'oggettività: le modalità di quest'incontro<br />

e delle disposizioni nelle quali l'uomo deve mettersi per piacere a<br />

Dio, in regime soprannaturale, sono determinate dalla libera volontà<br />

di Dio stesso. L'uomo non solo non può realizzarle da sé, ma non<br />

può da sé nemmeno conoscerle. Deve prima ascoltare la rivelazione<br />

che Dio stesso gliene fa nella parola che gli indirizza. In questa egli<br />

viene a conoscere in primo luogo che il suo incontro con Dio si fa<br />

solo in Cristo, ciò che implica che, per unirsi a Dio, egli deve unirsi<br />

a Cristo, alla morte e risurrezione di Cristo, perché solo così, attraverso<br />

Cristo, riceverà l'influsso santificatore di Dio, e, unendosi al<br />

culto che Cristo, quale capo dell'umanità, rende a Dio, potrà rendere<br />

a Dio il culto che Gli deve e rispondere ai suoi desideri. Così, è<br />

attraverso la parola di Dio che l'uomo viene a conoscere che il suo<br />

incontro con Lui in Cristo avviene fondamentalmente per via liturgica,<br />

nonché la portata e il <strong>senso</strong> fondamentale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>.<br />

Ed è ancora ascoltando la parola di Dio che l'uomo conoscerà<br />

quali sono le disposizioni morali che Dio esige e nelle quali egli deve<br />

mettersi per piacerGli e quindi per unirsi a Cristo, ricevere il suo<br />

influsso santificatore e far suo il culto che Egli rende a Dio. Saprà,<br />

in breve, che queste disposizioni sono essenzialmente, fede, speranza<br />

e principalmente carità; fede nella parola di Dio, nel suo intervento<br />

nel mondo in Cristo, nella storia sacra come mistero di Cristo morto<br />

e risorto sempre in atto; speranza nel raggiungimento <strong>della</strong> meta,<br />

fine ultimo dello svolgimento <strong>della</strong> stessa storia sacra; carità quale<br />

risposta dell'uomo all'amore di Dio riconosciuto come il movente<br />

ultimo che ha dato e dà significato agli interventi di Dio nel mondo,<br />

al mistero di Cristo sempre in atto.<br />

Entrano allora in considerazione altre leggi: quella dell'incarnazione<br />

e <strong>della</strong> salvezza in comunità ecclesiale: Cristo agisce nella<br />

Chiesa; la <strong>liturgia</strong> è atto ecclesiale. Ecclesiale vuol dire: operato da<br />

Cristo per il tramite di ministri autenticamente delegati ed operato<br />

quale atto che spetta tutta la comunità dei credenti, di modo che<br />

i singoli devono parteciparvi inserendosi attualmente nella comunità.<br />

Ma anche la parola che Dio indirizza ai singoli uomini passa attraverso<br />

la Chiesa, cioè, attraverso i suoi ministri autenticamente<br />

delegati e nel seno <strong>della</strong> comunità. L'uomo deve ricevere la rivelazione<br />

di Dio, ascoltare la sua parola, attraverso la proposizione,


UNITÀ TRA PREDICAZIONE E LITURGIA 825<br />

l'annunzio, la proclamazione, la spiegazione che ne fa la Chiesa<br />

nella comunità.<br />

Così la Chiesa è depositaria autentica dei riti liturgici dove si<br />

fa l'incontro tra l'uomo e Dio, non meno che <strong>della</strong> parola di Dio<br />

attraverso la quale l'uomo conosce il luogo e il <strong>senso</strong> di questo<br />

incontro, e le disposizioni che deve apportarvi per parteciparvi con<br />

frutto. I ministri <strong>della</strong> Chiesa sono nello stesso tempo ministri<br />

autentici dei riti dove, in Cristo, si realizza l'incontro tra Dio e<br />

l'uomo, e i ministri autentici <strong>della</strong> parola di Dio che fa conoscere<br />

il <strong>senso</strong> dei riti e le disposizioni che vi si devono apportare perché<br />

in essi l'incontro avvenga.<br />

Ora, il riferimento a questa parola di Dio è continuamente<br />

necessario all'uomo perché, cóntro la fascinatio nugacitatis e le<br />

passioni e i pericoli di ogni genere che tendono a trascinarlo in<br />

<strong>senso</strong> contrario, egli ha sempre bisogno di ricordarsi la meta dell'incontro<br />

con Dio in Cristo e le disposizioni nelle quali deve conservarsi<br />

per realizzarlo. Ossia, egli ha continuo bisogno di riferirsi alla<br />

parola di Dio per spronare in sé fede, speranza e carità con le quali,<br />

nella <strong>liturgia</strong>, possa sintonizzarsi a Cristo morto e risorto ricevendone<br />

l'influsso santificatore e unendosi al culto che Egli, quale capo<br />

dell'umanità rende a Dio. Ed è per questo che la Chiesa deve continuamente<br />

proclamare, annunziare, spiegare la parola di Dio all'uomo,<br />

non meno che celebrare la <strong>liturgia</strong>. <strong>Il</strong> ministero del sacramento e<br />

il ministero <strong>della</strong> parola — a suo modo anche sacramentwn, mysterium<br />

— non devono mai cessare nella Chiesa, perché ognuno, a suo<br />

modo, è sempre necessario perché avvenga l'incontro tra gli uomini<br />

e Dio.<br />

<strong>Il</strong> ministero del rito liturgico e il ministero <strong>della</strong> parola sono<br />

complementari. Senza il ministero <strong>della</strong> parola il rito corre il rischio<br />

di rimanere infruttuoso per il fedele che non ne comprende il <strong>senso</strong><br />

e non vi apporta le disposizioni morali necessarie. <strong>Il</strong> ministero <strong>della</strong><br />

parola precede logicamente, perché è in esso che Dio dà la prima<br />

scossa all'anima e la dispone; fides ex auditu: senza il ministero del<br />

rito la parola non salva perché, per volontà positiva di Dio, l'incontro<br />

dell'uomo con Dio si compie nel rito, e perciò non si dà grazia,<br />

senza almeno il voto del sacramento 46 .<br />

Tutto questo è già visibile nella missione degli Apostoli:<br />

« Andate dunque, ammaestrate tutte le genti, battezzando nel nome del<br />

Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare quanto<br />

vi ho comandato » (Mt 28,19 s).<br />

« Andate per tutto il mondo, predicate l'evangelo ad ogni creatura. Chi<br />

crederà e sarà battezzato sarà salvo; chi invece non crederà sarà condannato »<br />

(Afe 16,15 s).<br />

48 Vedi la somma insistenza <strong>della</strong> Costituzione del concilio vaticano II,<br />

sulla lettura, la proclamazione, la predicazione, anzi la celebrazione, <strong>della</strong> parola<br />

di Dio, assieme all'insistenza sulla celebrazione del sacrificio e dei sacramenti<br />

(CL art. 35; 6; 9; 24; 48; 51; 52; 56) e parallela al rilievo dato al binomio: fede<br />

e sacramenti (vedi anche art. 59 e YInstructio del 1964 n. 6 AAS 56 (1964) 878).


826 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

« Pietro, ritto con gli undici, fece udire la sua voce così: ...Or essi a udir<br />

queste cose furono compunti nel cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli:<br />

fratelli che dobbiamo fare? E Pietro a loro: pentitevi e ciascuno di voi<br />

si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo a remissione dei vostri peccati...<br />

Quelli dunque che bene accolsero la sua parola furono battezzati... Ed erano<br />

perseveranti nell'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nello<br />

spezzare il pane e nelle preghiere » (At 2,1142).<br />

Ed è per questo che, sin dal primo giorno, la Chiesa si edificò<br />

sul ministero <strong>della</strong> parola cui seguì immediatamente il ministero<br />

del rito liturgico.<br />

La parola di Dio, dopo gli Apostoli, è fondamentalmente, la Scrittura<br />

esplicitata e spiegata dalla Chiesa antica, ed odierna. È per<br />

questo che l'annunzio <strong>della</strong> parola di Dio consiste fondamentalmente<br />

nella lettura proclamazione <strong>della</strong> Scrittura cui segue la spiegazione<br />

e l'applicazione che ne fa la Chiesa per il tramite del suo ministro<br />

autentico, cioè la predica.<br />

La somma attuazione <strong>della</strong> predicazione<br />

quando è parte integrante dell'azione liturgica o l'omelia<br />

Da quanto detto sopra si passa senza difficoltà alla costatazione<br />

che la somma e più connaturale attuazione <strong>della</strong> predica si avvera<br />

quando è in immediata connessione con l'atto liturgico, quando è<br />

omelia 4T ; anzi quando fa parte integrante dell'atto liturgico, principalmente<br />

<strong>della</strong> messa. Infatti, il fine <strong>della</strong> predica è di proclamare<br />

la parola di Dio per indurre gli ascoltatori alle disposizioni morali<br />

necessarie perché possa in essi verificarsi l'incontro con Dio più<br />

plenario possibile. Ma sappiamo che questo incontro, supposte le<br />

condizioni necessarie, si verifica appunto, in primo luogo, nell'atto<br />

liturgico e principalmente nella messa. Ecco perché la predica attua<br />

se stessa nel modo più connaturale in primo luogo quando dispone<br />

più da vicino e immediatamente i fedeli all'incontro con Dio nell'atto<br />

liturgico, principalmente <strong>della</strong> messa.<br />

L'espressione più connaturale e perfetta <strong>della</strong> predica è dunque<br />

l'omelia propriamente detta come spiegazione <strong>della</strong> parola di<br />

Dio — previamente proclamata nella lettura biblica liturgica nella<br />

prima parte <strong>della</strong> messa — fatta dal preside dell'assemblea, idealmente<br />

il vescovo e normalmente il suo sostituto, il parroco, ai suoi<br />

fedeli. Ivi la predica al sommo grado realizza la propria natura:<br />

assemblea dei fedeli come ekklesia o radunamento di Dio in Cristo<br />

Gesù di una porzione <strong>della</strong> grande Chiesa, la porzione peregrinante<br />

in un determinato territorio; radunamento in cui la ekklesia locale<br />

attualizza al sommo grado se stessa in Cristo Gesù ed esprime il<br />

47 Vedi E. FOURNIER, L'homélie selon la Constitution de la Sainte Liturgie,<br />

Lumen Vitae, 1964.


L'OMELIA 827<br />

proprio mistero sotto il velo dei segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione<br />

e del culto; proclamazione autentica e idealmente comunitaria<br />

ed ecclesiale <strong>della</strong> parola di Dio fatta da un ministro autentico<br />

<strong>della</strong> Chiesa nella lettura dei libri sacri; spiegazione idealmente<br />

comunitaria ed ecclesiale <strong>della</strong> stessa parola, come ampliamento<br />

<strong>della</strong> precedente lettura, fatta dal capo autentico <strong>della</strong> ekklesia<br />

locale; il tutto come preparazione prossima al sommo ricevimento<br />

<strong>della</strong> santificazione e al sommo culto dato a Dio nello stesso sacrificio<br />

eucaristico che segue immediatamente.<br />

Di qui si spiega lo schema connaturale e tradizionale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

eucologica, o <strong>della</strong> parola che si voglia dire: lettura di un brano<br />

<strong>della</strong> Scrittura; omelia spiegativa; canto dell'assemblea: inno o salmo<br />

antifonato, con ritornello ripreso dal popolo; invito alla preghiera;<br />

breve preghiera in silenzio; conclusione <strong>della</strong> preghiera detta<br />

a nome di tutti ad alta voce dal presidente dell'assemblea. In questo<br />

insieme, la predica appare chiaramente come parte integrante dell'azione<br />

liturgica totale 48 . E tale appare ancora più quando alla<br />

<strong>liturgia</strong> eucologica e <strong>della</strong> parola segue immediatamente la <strong>liturgia</strong><br />

sacrificale. Cosa che, come è noto, tra i cristiani, o avvenne sin dal<br />

principio, o per lo meno molto presto, poiché già nelle notizie di<br />

Giustino le due parti <strong>della</strong> messa sono naturalmente unite e nella<br />

prima parte è esplicitamente menzionato lo schema: lettura, omelia,<br />

preghiera 49 . È cosa tanto più significativa che, come fa giustamente<br />

notare il Card. Bea 50 , questa unione immediata tra proclamazione<br />

<strong>della</strong> parola, o lettura e spiegazione <strong>della</strong> Scrittura, e sacrificio, è<br />

fenomeno proprio al cristianesimo che non s'incontra né presso i<br />

giudei, né presso i pagani; e forse risale allo stesso esempio di<br />

Cristo, il quale, alla stessa istituzione dell'eucaristia nell'ultima cena,<br />

aveva premesso diverse ammonizioni, consolazioni, insegnamenti.<br />

<strong>Il</strong> contenuto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come contenuto <strong>della</strong> predicazione<br />

Finalmente, quello che deve essere il contenuto essenziale <strong>della</strong><br />

predicazione, la storia sacra mistero di Cristo sempre in atto, non<br />

è altro che lo stesso contenuto essenziale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, in quanto<br />

48 In questa stessa prospettiva la considera la Costituzione: « Si raccomanda<br />

vivamente l'omelia, che è parte dell'azione liturgica; in essa, nel corso<br />

dell'anno liturgico, vengono presentati dal testo sacro, i misteri <strong>della</strong> fede e<br />

le norme <strong>della</strong> vita cristiana » (art. 52). La Instructio del 1964, n. 54, così<br />

spiega : « con il nome di omelia da farsi dal testo sacro si comprende la spiegazione<br />

di qualche aspetto delle lezioni <strong>della</strong> Sacra Scrittura o di qualche altro<br />

testo dell'Ordinario o del Proprio <strong>della</strong> Messa del giorno, tenuto conto sia del<br />

mistero che si celebra che delle particolari necessità degli uditori».<br />

49 Apol. I 67. Per questo schema <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> eucologica o <strong>della</strong> parola<br />

vedi J. A. JUNGMANX, Der Gottesdienst der Kirche, Innsbruck 1955, IV p. 40 ss.<br />

50 // valore pastorale <strong>della</strong> parola di Dio nella sacra <strong>liturgia</strong>, relazione al<br />

congresso di Assisi del 1956, Atti p. 99. Vedi anche S. TOMMASO, Summa I-II<br />

q 102 a 4 ad 3.


828 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

la <strong>liturgia</strong>, com'è già stato spiegato nella prima parte, non è altro<br />

che una certa realizzazione attuale, nei diversi luoghi e nel succedersi<br />

dei tempi che corrono dalla pentecoste alla parusia, del mistero<br />

di Cristo storia sacra sempre in atto, sotto il velo dei segni sensibili<br />

ed efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa. Ne segue<br />

che la predicazione, in forza del suo contenuto, se è veramente quello<br />

che deve essere, è sempre e necessariamente, in modo almeno indiretto<br />

e generale, anche se non ha per oggetto diretto i riti o i testi<br />

liturgici, una spiegazione che sarà intimamente connessa con la realtà<br />

liturgica perché sarà una spiegazione <strong>della</strong> stessa realtà. Una<br />

predicazione incentrata sulla storia sacra mistero di Cristo sempre<br />

in atto sarà dunque necessariamente una predicazione di spirito<br />

profondamente liturgico, nello stesso modo che sarà una predicazione<br />

biblica, teologale, cristocentrica, concreta.<br />

Una predicazione puramente moralizzante, senza riferimento<br />

alla bibbia e alla <strong>liturgia</strong>, non è una predicazione cristiana, perché<br />

non cresce sul terreno specificamente cristiano. Una predicazione<br />

biblica senza riferimento alla <strong>liturgia</strong> è incompleta, perché non fa<br />

vedere come le realtà bibliche si compiono in noi ogni giorno, o per<br />

lo meno dimentica il punto principale in riferimento al quale si<br />

compiono. Una <strong>liturgia</strong> senza riferimento alla bibbia è incomprensibile<br />

poiché non appare più per quello che è, cioè come il compimento<br />

in noi sotto il velo dei segni sacri delle realtà bibliche.<br />

Ecco perché coloro che oggi si preoccupano di un rinnovamento<br />

<strong>della</strong> predicazione in <strong>senso</strong> biblico, teologale, cristocentrico e concreto,<br />

sono istintivamente portati a ritrovare l'unione vitale tra la<br />

predicazione e la <strong>liturgia</strong>; mentre quelli che, partendo da una preoccupazione<br />

più direttamente liturgica, vogliono che la predicazione<br />

non rimanga estranea allo spirito liturgico, ma prepari a vivere<br />

pienamente la vita liturgica, chiedono istintivamente che essa, più<br />

che per il passato, sia direttamente biblica, teologale, cristocentrica<br />

e concreta. Ancora una volta la storia sacra mistero di Cristo sempre<br />

in atto appare il nucleo vitale, e quindi il legame unificatore, di<br />

tutte queste realtà.<br />

Tale essendo l'intimo legame tra predicazione e <strong>liturgia</strong>: per<br />

contenuto generale, per connaturale unione di luogo e di tempo, per<br />

reciproco indispensabile completamento quali vie per condurre<br />

l'uomo all'incontro plenario con Dio, è naturale che la predicazione,<br />

anche quando non ha per oggetto diretto la <strong>liturgia</strong>, abbia però cura<br />

di prolungare le sue osservazioni, sia pure con un semplice cenno,<br />

fino a mostrare come ogni punto del mistero di Cristo che spiega<br />

ha il suo riscontro nella realizzazione liturgica.<br />

Anzi, è molto naturale e necessario che la predicazione, diventando<br />

catechesi direttamente liturgica, abbia spesso per oggetto<br />

diretto la stessa <strong>liturgia</strong>; o meglio, lo stesso mistero di Cristo sempre<br />

in atto come si concretizza nella <strong>liturgia</strong>: nei suoi riti, nelle sue<br />

formule, nelle sue letture, nelle sue feste, nei suoi cicli, e che proprio<br />

partendo dalla <strong>liturgia</strong> faccia ritrovare agli ascoltatori quello stesso


PREDICAZIONE LITURGICA 829<br />

mistero di Cristo che deve sempre spiegare sotto forme quasi infinite.<br />

Sempre, ma specialmente in tempi più recenti, il movimento<br />

liturgico si è preoccupato non solo d'indirizzare in modo generico<br />

i predicatori in questo <strong>senso</strong>, ma anche di fornire loro abbondanti<br />

schemi ed esempi di siffatta predicazione. <strong>Il</strong> risultato ne è stato<br />

tutt'altro che di poco conto. Esiste ormai tutta una biblioteca del<br />

predicatore liturgico ".<br />

Dalla precedente esposizione segue non meno evidente il corollario<br />

che una intensa vita spirituale incentrata sulla <strong>liturgia</strong> non<br />

solo non è a discapitoi <strong>della</strong> formazione e <strong>della</strong> preparazione remota<br />

e prossima del predicatore, ma è anzi l'atmosfera generale connaturale<br />

nella quale si matura questa preparazione. Con ragioni immensamente<br />

maggiori deve apparire profondamente vera, in regime<br />

cattolico, l'affermazione del vescovo luterano W. Staehlin che : « la<br />

<strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> Chiesa è la terra nutrice <strong>della</strong> predicazione cristiana<br />

e la vita liturgica è la migliore preparazione alla predicazione. Non<br />

si può fruttuosamente sostituirla con nessun altro lavoro <strong>teologico</strong>,<br />

esegetico, o dogmatico »; poiché, in regime cattolico, è immensamente<br />

più vero di quanto potrebbe sospettare un protestante, che la <strong>liturgia</strong><br />

<strong>della</strong> Chiesa è la realizzazione attuale ininterrotta attraverso i tempi<br />

e gli spazi dell'oggetto stesso e del fine <strong>della</strong> predicazione : il mistero<br />

di Cristo sempre in atto, e che quindi è proprio anzitutto nella<br />

<strong>liturgia</strong> che è permesso al predicatore di penetrarsi vitalmente al<br />

sommo grado di quella realtà che costituisce l'oggetto che dovrà poi<br />

annunziare agli uomini.<br />

51 Per la bibliografia generale francese fino al 1947, vedi: R. PIEHRET, La<br />

bibliotèque du prédicateur liturgique, in: La Maìson-Dieu in 12 (1947) 73-85.<br />

La bibliografia è distribuita in tre capi: 1. I maestri e i modelli; 2. Predicazione<br />

del mistero di Cristo secondo i tempi e le feste; 3. Predicazione delle<br />

funzioni sacre: a) ore canoniche e salmi; b) Messa; e) <strong>liturgia</strong> sacramentale.<br />

Dopo il 1947 nota, tra gli altri:<br />

A. M. ROGUET, Qu'est-ce que la prédication liturgique, in: Évangeliser 9<br />

(1954) 99-104. H. JENNY, Prédication selon la liturgie. La Sainte quarantaine, in:<br />

L'union 78 (1951) février 15-22. ID., Prédication selon la liturgie. Le coeur de<br />

l'année liturgique: quatrième dimanche du carème jusqu'à Quasimodo, ibid.<br />

mars 49-57. ID., Prédication selon la liturgie: temps pascal, ibid. avril 21-26. Sono<br />

tutti ottimi schemi di prediche liturgiche. H. OSTER, Le grand dessin de Dieu<br />

dans la pastorale et la prédication (Esprit liturgique 10) Paris 1955. L. BOPP,<br />

Liturgie und Kerygma, 4 voli., Regensburg 1952-60 (Vedi Ed. It., Predicazione<br />

liturgica, L.D.C., Torino 1964s). A. JUNGMANN, Liturgie et histoire du salut, in:<br />

Lumen vitae 10 (1955) 281-88. P. PARSCH, Die liturgische Predigt, 10 volumi per<br />

tutto l'anno liturgico, con diversi schemi di prediche relative, Klosterneuburg-<br />

Wien. P. W. ESSER, Der Einfluss der liturgischen Erneuerung auf der Messpredigl<br />

vor der Erscheinung der Enzyklika Mediator Dei, Miinchen 1956. S. RINAUDO,<br />

<strong>Il</strong> mistero <strong>della</strong> salvezza, L.D.C., Torino 1964. Sulla questione come inserire<br />

armonicamente l'insegnamento <strong>della</strong> dottrina cristiana nell'anno liturgico, vedi :<br />

E. FouRNtER, La prédication des dimanches et fètes peut-elle enseigner la doctrine<br />

chrétienne en l'ordonnant selon un pian liturgique? in: Lumen Vitae 1959,<br />

pp. 545-561; 704-738; 1960 pp. 117-124; 331-348; 355-583; 537-564. Molti schemi di<br />

prediche liturgiche sono stati pubblicali da: Butletin paroissial et liturgique,<br />

nonché dal successore: Paroisse et liturgie e lo sono ormai in tutte le riviste<br />

liturgiche pastorali.


830 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

3. CATECHISMO E LITURGIA<br />

Catechismo e <strong>liturgia</strong> si dimostrano alla riflessione due realtà<br />

non meno intimamente connesse di quanto lo sono predicazione e<br />

<strong>liturgia</strong>; di modo che la <strong>liturgia</strong> non è meno importante per la<br />

soluzione <strong>della</strong> questione dell'insegnamento catechistico <strong>della</strong> religione<br />

ai bambini che di quella del rinnovamento <strong>della</strong> predicazione<br />

agli adulti.<br />

La questione odierna del catechismo<br />

Esiste, infatti, una questione, e non piccola, del catechismo. Del<br />

modo di concepire e di fare il libro che si chiama catechismo o<br />

dottrina cristiana, già prima del problema del modo d'insegnarlo<br />

ai bambini. Questione, del resto, che si identifica con quella <strong>della</strong><br />

predicazione come annunzio <strong>della</strong> parola di Dio al popolo, ma trasferita<br />

al piano dei bambini.<br />

Dalla fine dalla seconda guerra mondiale è, di nuovo, uno dei grandi<br />

temi di discussione all'ordine del giorno negli ambienti cattolici di<br />

tutti i paesi perché, come è ovvio, dalla sua soluzione dipende, in<br />

buona parte, il successo del grande sforzo di ricristianizzazione nel<br />

quale la Chiesa, un po' ovunque, si trova impegnata in questo<br />

momento. Ad attirare l'attenzione sullo stesso punto contribuiscono<br />

non poco l'approfondimento <strong>della</strong> psicologia infantile e lo sviluppo<br />

teorico e pratico <strong>della</strong> pedagogia in genere. Allo stesso risultato porta<br />

il forte travaglio di ravvivamento degli studi teologici, il movimento<br />

biblico, quello catechistico e, non ultimo, lo stesso movimento liturgico.<br />

Cosicché il tema è stato ed è tuttora, ove più e ove meno, oggetto<br />

di numerosi studi 52 .<br />

52 Vedi i centri di catechistica che si sono formati in diversi paesi. <strong>Il</strong><br />

primo fu il: Centre international d'études de la formation religieuse fondato<br />

a Lovanio nel 1934, ora con sede a Bruxelles, a cui fa capo il : Centre documentane<br />

catéchètique. Nel 1937 pubblicò: Où en est l'enseignement religieux?<br />

Livres et méthodes de divers pays, Paris, Tournai. Dal 1947 lo stesso Centre<br />

international publica la rivista: Lumen vitae che tiene al corrente delle questioni<br />

e delle pubblicazioni relative. In Italia vedi il Centro catechistico salesiano<br />

dal 1939 e la rivista: Catechesi SEI Torino dal 1939. Vedi pure la rivista<br />

Sussidi (Erba, Como) dal 1937; Rivista del catechismo (Morcelliana, Brescia);<br />

Via, Verità e Vita (redatto e pubblicato dalle Edizioni Paoline, Roma). Per la<br />

situazione generale in Germania vedi J. A. JUNGMANN, Katechetik, Freiburg i.B.<br />

1953 (trad. ital., Ed. Paoline, Alba 1956). Più specialmente dei rapporti tra catechismo<br />

e <strong>liturgia</strong> s'intessano tutte le riviste che si occupano di pastorale liturgica,<br />

in specie dall'ultima guerra a questa parte. Les questions liturgiques et<br />

paroissiales nel Bulletin de littérature liturgique tengono presente la questione<br />

del catechismo (vedi agli indici s. v. catéchisme; enseignement religieux aux<br />

enfants). Numerosi articoli e recensioni sulla stessa materia in: Paroisse et<br />

liturgie, la quale, inoltre, dal 1951 al 1960 ha pubblicato un utilissimo supplemento:<br />

Notre catéchese. Per una bibliografia generale sulla questione, vedi


LA QUESTIONE DEL CATECHISMO 831<br />

Come sempre, quando in qualche ramo si manifesta aria di<br />

rinnovamento, si comincia con la diagnosi <strong>della</strong> situazione presente,<br />

con costatazioni di deficienze e formulazioni di desiderata. Nel<br />

campo dei catechismi si rimprovera al modo finora comune — comune,<br />

all'ingrosso, dal tempo del concilio di Trento, ma specialmente<br />

dall'influsso dell'illuminismo del secolo XVIII — in primo luogo<br />

di essere troppo astratto e quindi d'indirizzarsi troppo esclusivamente<br />

alla sola intelligenza del bambino, mirando anzitutto a una<br />

esposizione <strong>della</strong> dottrina sistematica, analitica, con formulazioni<br />

intellettualmente precise dal punto di vista dogmatico e morale<br />

astratto. Lo stesso temperamento, introdottosi sempre più a partire<br />

dalla metà del secolo XIX — con l'includere nel catechismo gli episodi<br />

salienti <strong>della</strong> storia religiosa dell'Antico e del Nuovo Testamento — ha<br />

prodotto spesso un amalgama piuttosto che una rifusione, perché<br />

gli episodi riportati sono stati semplicemente intramezzati o giustapposti<br />

alle domande del vecchio catechismo. Cosicché il catechismo<br />

dà un fortissimo rilievo all'aspetto nozionale <strong>della</strong> religione cristiana<br />

e quindi anche all'aspetto apologetico, nonché all'aspetto morale<br />

di obbligatorietà o di comandamento; ed è in pratica, affidato quasi<br />

unicamente alla memoria del bambino, quasi sempre nella forma<br />

<strong>della</strong> domanda e <strong>della</strong> risposta.<br />

Si osserva che il catechismo così concepito non è, per lo più,<br />

che un breve riassunto dei manuali di teologia positivo-scolastici,<br />

dei quali si è parlato nel capitolo XVII; riassunto creduto adatto<br />

per i bambini per il fatto che è più spoglio e concentrato possibile.<br />

Si nota pure che questo modo di concepire il catechismo poteva<br />

avere minori inconvenienti quando la società e le famiglie erano<br />

ancora profondamente cristiane e l'educazione del sentimento e <strong>della</strong><br />

volontà del bambino, nonché del suo <strong>senso</strong> comunitario, liturgico<br />

ed ecclesiale, era largamente supplito dalla famiglia e dall'ambiente<br />

in cui viveva, dalla frequenza alla chiesa con i genitori ecc. Ma che<br />

oggi, quell'amminicolo essendo in gran parte venuto meno per la<br />

massa, le deficienze pedagogiche del catechismo concepito nella<br />

predetta maniera sono più manifeste e pericolose; tanto più che,<br />

in tutti gli altri rami dell'insegnamento, la scienza e la prassi pedagogica<br />

hanno fatto molti progressi.<br />

In contrapposto a questa lagnanza fondamentale, si desidera<br />

anzitutto che il catechismo ed il suo insegnamento siano concepiti<br />

in un <strong>senso</strong> più educativo globale, totale e quindi più concreto; che<br />

siano fortemente incentrati nel mondo concreto in cui il bambino<br />

vive e mettano in moto tutta la sua persona, immaginazione, affetto,<br />

volontà; quindi più intuitivi e sintetici che astratti ed analitici. Si<br />

vuole specialmente che siano messi molto più in contatto con la<br />

l'utilissimo: // contenuto <strong>della</strong> catechesi. Saggio di bibliografia sistematica<br />

e ragionata, edito nel 1962 dal Centro catechistico salesiano, Via Maria Ausiliatrice<br />

32, Torino. La bibliografia è divisa in 5 sezioni: introduzione al problema;<br />

princìpi generali sul contenuto (del catechismo); la bibbia, dimensione<br />

permanente del catechismo; la <strong>liturgia</strong>, dimensione permanente del catechismo;<br />

testimonianza personale e comunitaria: la Chiesa.


832 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

bibbia e la vita liturgica <strong>della</strong> Chiesa; che la morale sia presentata<br />

in modo più positivo, che Cristo sia al centro di questo insegnamento<br />

ecc. ecc.<br />

Soluzione <strong>della</strong> questione del catechismo<br />

per suo incentramento nella storia sacra mistero di Cristo<br />

e così per intima unità tra catechismo e <strong>liturgia</strong><br />

Dopo quanto abbiamo detto intorno alla predicazione non è poi<br />

tanto difficile vedere in che direzione va cercata la soluzione di<br />

questa questione, salvo, naturalmente, la difficoltà assai maggiore,<br />

di realizzare praticamente il programma. Infatti, cos'è l'insegnamento<br />

catechistico al bambino e a cosa mira? È semplicemente<br />

l'iniziazione metodica del bambino alla dottrina cristiana. Dottrina<br />

cristiana, rivelazione fatta da Dio e proposta dalla Chiesa, parola di<br />

Dio proposta ed interpretata dalla Chiesa, è tutt'uno. Vuol dire<br />

dunque che la catechesi del bambino, in quanto al suo contenuto,<br />

alla cosa a cui deve essere iniziato, non differisce dalla predica e<br />

dalla catechesi dell'adulto. Solo la forma di presentazione, l'approfondimento<br />

delle questioni e la didattica differiscono. <strong>Il</strong> contenuto<br />

<strong>della</strong> catechesi al bambino non è altro, dunque, che la stessa storia<br />

sacra mistero di Cristo sempre in atto come quadro generale di<br />

tutta la rivelazione. La catechesi al bambino, non meno di quella<br />

dell'adulto, non ha altro scopo che condurre colui al quale s'indirizza<br />

all'incontro con Dio più plenario possibile come lo comporta<br />

la sua età, in modo speciale, come sappiamo, nella <strong>liturgia</strong>. Per esigenza<br />

intrinseca di cose, la catechesi al bambino, non meno che la<br />

predicazione all'adulto, deve essere dunque teologale, cristocentrica,<br />

biblica, liturgica, vitale, concreta.<br />

Ne segue che il catechismo scritto ed insegnato, non meno che<br />

la predicazione e la catechesi agli adulti, deve essere incentrato nella<br />

storia sacra mistero di Cristo sempre in atto, di modo che anche<br />

in esso tutta la rivelazione sia vista su questo sfondo, tanto nella<br />

distribuzione generale di tutta la materia, quanto, specialmente, nel<br />

modo di trattare le singole questioni. <strong>Il</strong> catechismo, non meno che<br />

la predicazione all'adulto, non deve negligere nulla di quello che la<br />

rivelazione cristiana contiene, ma deve prospettare ogni cosa nella<br />

sua relativa importanza partendo dal quadro <strong>della</strong> storia sacra mistero<br />

di Cristo, come si è detto a proposito <strong>della</strong> predicazione.<br />

In specie, la natura del catechismo esige che — per quanto lo<br />

comporta la possibilità intellettuale del bambino — non sia tralasciata<br />

un'iniziazione anche alla formulazione astratta e come speculativa<br />

di certi aspetti <strong>della</strong> rivelazione, come di Dio e dei suoi<br />

attributi, <strong>della</strong> grazia, degli obblighi <strong>della</strong> morale. Ma la stessa<br />

natura, oltre che il buon <strong>senso</strong> pedagogico, esige non meno imperiosamente<br />

che anche a questi aspetti il bambino sia in qualche modo<br />

introdotto attraverso la storia sacra e come partendo da questa che


CATECHISMO, STORIA SACRA, LITURGIA 833<br />

deve sempre rimanere al primo piano. Come fanno appunto la bibbia<br />

e la <strong>liturgia</strong>, dove, per esempio, non s'insegna l'onnipotenza di Dio<br />

per mezzo di una definizione astratta, ma si mostra Dio agente nel<br />

mondo con grande potenza, dal quale fatto si può passare più facilmente<br />

all'affermazione anche (fi carattere più astratto che Dio è<br />

onnipotente; e dove non s'insegna la grazia santificante partendo<br />

da una definizione come sarebbe quella di accidente creato, qualità<br />

inerente all'anima, ecc., ma si enumerano e si descrivono gli effetti<br />

<strong>della</strong> santificazione in noi: che ci libera dal peccato e dall'ira di<br />

Dio, ci fa suoi figli adottivi e fratelli di Gesù Cristo e ci permette<br />

di poter arrivare un giorno a contemplarlo in cielo.<br />

Similmente, la natura del catechismo esige che i nostri obblighi<br />

morali > siano messi in forte rilievo, come lo sono appunto nella<br />

bibbia. Ma, come avviene anche nella bibbia, saranno mostrati<br />

anzitutto come derivazioni naturali degli interventi di Dio nel mondo<br />

in nostro favore e dunque sempre visti fortemente all'ombra, per<br />

così dire, <strong>della</strong> storia sacra mistero di Cristo. Così anche i necessari<br />

accenni all'aspetto apologetico difensivo, specialmente contro errori<br />

comuni nell'ambiente dove il bambino dovrà vivere, saranno fatti<br />

in modo tale che questa considerazione non prenda il sopravvento<br />

sull'aspetto semplicemente irenico espositivo <strong>della</strong> dottrina.<br />

Come abbiamo detto sopra a proposito <strong>della</strong> predicazione, incentrando<br />

l'insieme e le singole considerazioni, sulla realtà di storia<br />

sacra mistero di Cristo, il catechismo ritrova automaticamente la<br />

sua unità più profonda con la bibbia, diventa più teologale e cristocentrico,<br />

perde la sua astrattezza per rivestire un aspetto molto<br />

concreto e vitale e, per il fatto stesso, risponde anche a quelle<br />

profonde esigenze pedagogiche che la psicologia del bambino ha<br />

ormai rivelate. In modo speciale, il catechismo ritroverà così la<br />

sua profonda unità con la <strong>liturgia</strong>. Infatti, se nel catechismo tutto<br />

è incentrato sulla storia sacra mistero di Cristo sempre in atto, la<br />

<strong>liturgia</strong> logicamente vi sarà dappertutto presente in qualche modo<br />

come punto in cui maggiormente si compie in noi oggi la storia<br />

sacra.<br />

<strong>Il</strong> catechismo così concepito sarà necessariamente una preparazione<br />

indispensabile alla vita liturgica; e la vita liturgica apparirà<br />

come la concretizzazione sacrale, sotto il velo dei segni sensibili ed<br />

efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa, del mondo del<br />

catechismo; sarà il mondo del catechismo vissuto sacralmente nel<br />

suo atto più importante. Allora non solo la spiegazione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

in specie <strong>della</strong> messa e del suo significato, troverà il suo naturale<br />

ed importante posto nell'insieme del catechismo ma, inoltre, l'atmosfera<br />

generale dell'educazione catechistica del bambino sarà profondamente<br />

liturgica e in quasi tutte le singole questioni anche<br />

particolari si sarà portati a rilevare i loro prolungamenti e le loro<br />

concretizzazioni nella <strong>liturgia</strong>. A ritrovare, per così dire, il catechismo<br />

nella <strong>liturgia</strong>. Con quanto vantaggio avvenga tutto questo per<br />

l'unità <strong>della</strong> formazione religiosa del bambino è facile indovinare.<br />

27 - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...


834 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

Esempio del nuovo catechismo tedesco<br />

È in questo <strong>senso</strong> di intima connessione tra catechismo e <strong>liturgia</strong><br />

che da parecchio tempo ormai, da diverse parti, si lavora con buon<br />

frutto ". Si fanno dei commentari liturgici al catechismo M . Si propongono<br />

schemi ed esempi di lezioni catechistiche per bambini e<br />

ragazzi tutte improntate allo spirito ed anche ai testi, ai riti, alle<br />

feste, ai cicli festivi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 55 . Si uniscono, in modo più o meno<br />

ampio e perfetto, catechismo e <strong>liturgia</strong> nella redazione stessa dei<br />

catechismi ordinari, avviandoli, anche per questo motivo, ad un certo<br />

ampliamento e a una certa rifusione 5e .<br />

Tra le produzioni di questo ultimo genere merita un cenno<br />

speciale il catechismo tedesco 57 delle diocesi <strong>della</strong> Germania del 1955.<br />

E il frutto di un lungo e paziente lavoro di specialisti, per incarico<br />

<strong>della</strong> conferenza dei vescovi tedeschi, dove si è voluto avvicinarsi<br />

più possibile all'ideale del catechismo richiesto ormai dallo sviluppo<br />

che in molti campi <strong>della</strong> vita ecclesiastica hanno occasionato il movimento<br />

catechistico, biblico, liturgico, pastorale, <strong>teologico</strong>. <strong>Il</strong> nuovo<br />

catechismo tedesco è stato giustamente salutato dai competenti come<br />

un avvenimento di considerevole importanza nella storia del catechismo<br />

e dello stesso movimento liturgico 58 . Comunque, lì ci si può<br />

53 Per questa sezione vedi la bibliografia generale data da: // contenuto...,<br />

pp. 22-35, citato nella nota precedente.<br />

54 Vedi, per es., J. COLOMB, AUX sources du catéchisme, 3 voli., Desclée,<br />

Paris 1947. ID., La doctrine de vie chrétienne au catéchisme, 3 voli., ibid. 1952.<br />

A. GROEGAERT, Commentaire liturgique des lecons du catéchisme, 3 voli., Dessain,<br />

Malines 1953 ss.<br />

55 Da notare, in questo campo, la rivista : Notre catéchisme, che cominciando<br />

dal n. 13, Marzo 1953, ha preso il titolo: Notre catéchèse, ed è pubblicata come<br />

supplemento alla rivista Paroisse et liturgie, Abbaye de St. André, Bruges, Belgio.<br />

Vedi pure S. RIVA, La didattica sacramentale nella catechesi del ragazzo,<br />

Milano 1954.<br />

58 I catechismi e i testi di religione usciti cominciando dal 1945 circa, si sforzano,<br />

più o meno ampiamente e felicemente, di tener conto dei rapporti tra<br />

catechismo e <strong>liturgia</strong>. Così il catechismo francese di QUINET ET BOYEK del 1947<br />

alla fine di ogni lezione fa alcuni rilievi di <strong>liturgia</strong> in rapporto alla materia<br />

trattata. La « Dottrina cristiana » delle Edizioni Paoline, per la quarta e la<br />

quinta classe (1954-55) giustappone a ogni lezione di catechismo una lezione di<br />

<strong>liturgia</strong> e una di storia ecclesiastica. <strong>Il</strong> testo di religione di U. Rossi, Nella luce<br />

di Dio. Studio <strong>della</strong> religione, Pro famiglia, Roma 1957, dedica alla <strong>liturgia</strong> la<br />

quarta parte dell'opera. U. PASQUALE, Catechismo e anno liturgico nella scuola<br />

elementare. Guida di lezioni catechistiche, L.D.C., Torino 1957.<br />

57 Kathotischer Katechismus, Herder 1955. Vedi pure la guida in 4 voli.<br />

F. SCHREIBMAYER - KL. TILMANN, Handbuch zum Katholischen Kathechismus. Delle<br />

due opere esiste una edizione italiana: Catechismo <strong>della</strong> dottrina cattolica,<br />

Herder — Àncora 1957. Somma Catechistica, Herder 1962 ss.<br />

58 Dal punto di vista più direttamente liturgico è stato studiato da F.<br />

SCHREIBMAYR, Glaubensgrundlagen des Gottesdienstes im Katechismus in: Lìturgisches<br />

Jahrbuch 5 (1955) 219 ss. KL. TILMANN, Der Gottesdienst im neuen Katechismus,<br />

ibid., p. 226 ss. J.. GOLDBRUNNER, Die Gottesdienstliche Feier als Verwirklichung<br />

des Katechismus, ibid. p. 235 ss.


IL CATECHISMO TEDESCO 835<br />

rendere conto, in un esempio concreto, cosa voglia dire costruire<br />

un catechismo incentrandolo francamente nella storia sacra mistero<br />

di Cristo sempre in atto e come ne risulti spontaneamente una profonda<br />

atmosfera biblica, teologale, cristocentrica, liturgica, concreta,<br />

vitale, eminentemente pedagogica secondo i princìpi più certi <strong>della</strong><br />

psicologia scientificamente accertata del bambino e del ragazzo.<br />

<strong>Il</strong> criterio generale è stato di concepire tutto il catechismo non<br />

solo come libro d'insegnamento <strong>della</strong> religione, indirizzato solo, o<br />

molto principalmente, all'intelligenza, ma anche come libro di educazione<br />

religiosa. Un libro, cioè che impegni dinanzi alla materia<br />

esposta, non solo l'intelligenza, ma anche l'immaginazione, l'affetto,<br />

la volontà dell'alunno e quindi consideri in ogni singola questione<br />

anche le ripercussioni vitali e personali. Inoltre, senza omettere di<br />

dare una buona parte alla memoria con il metodo tradizionale delle<br />

risposte e delle domande, si è voluto impegnare più largamente possibile<br />

la cooperazione attiva dell'alunno. Tutta l'opera è impostata<br />

in una linea fortemente concreta, la quale è data semplicemente dall'atmosfera<br />

generale <strong>della</strong> storia sacra mistero di Cristo sempre in<br />

atto che rimane ovunque il quadro generale al primo piano delle<br />

considerazioni.<br />

La materia è così divisa: si premette in tre questioni introduttorie<br />

un panorama intorno alla nostra vocazione di cristiani, in seno<br />

alla Chiesa cattolica custode e maestra <strong>della</strong> nostra fede, per entrare<br />

nel regno di Dio ed avere parte un giorno al banchetto celeste al<br />

quale Dio ci ha invitati. Seguono poi quattro parti: Dio e la redenzione;<br />

la Chiesa e i sacramenti; la vita secondo i comandamenti;<br />

i novissimi. In fine: un'appendice di preghiere scelte. Lo schema<br />

segue essenzialmente la costruzione del simbolo, con la naturale<br />

inclusione <strong>della</strong> parte morale dei comandamenti tra i sacramenti<br />

e i novissimi, come mezzo la cui osservanza, nel seno <strong>della</strong> Chiesa,<br />

assieme all'uso dei sacramenti, ci conduce alla vita eterna. È la netta<br />

impostazione <strong>della</strong> storia sacra.<br />

Ma, per quanto importante, la distribuzione generale <strong>della</strong> materia<br />

per sé sola non è sufficiente a dare alla realtà storia sacra<br />

il posto di quadro generale ed elemento primario determinante<br />

tutto lo spirito <strong>della</strong> trattazione. Sarà il modo di considerare ed<br />

esporre le singole questioni che deciderà <strong>della</strong> cosa. Nel catechismo<br />

che esaminiamo, in ogni singola questione, che fa generalmente<br />

l'oggetto di una lezione, si segue presso a poco questo schema: proposizione<br />

<strong>della</strong> materia o <strong>della</strong> questione partendo quasi sempre<br />

da un testo possibilmente narrativo o parabolico <strong>della</strong> Scrittura,<br />

non di rado partendo dalla <strong>liturgia</strong>; quindi: spiegazione del testo,<br />

dal punto di vista del contenuto <strong>della</strong> questione che è oggetto <strong>della</strong><br />

lezione, con forte rilievo dato a due o tre punti teorici ivi contenuti;<br />

segue una serie di domande senza risposte per stimolare il lavoro e<br />

la ricerca dell'alunno; poi: due o tre domande con risposta contenenti<br />

di nuovo i due o tre punti teorici predetti secondo il metodo<br />

tradizionale dei catechismi: domande che devono essere anche affidate<br />

alla memoria; segue la formulazione di un proponimento affet-


836 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

tivo e di volontà derivante dalla dottrina spiegata : « per la mia<br />

vita devo dunque... »; vengono poi brevi sentenze scritturistiche che<br />

riassumono la stessa materia; e quindi : con il titolo : « dalla vita<br />

<strong>della</strong> Chiesa » (talvolta: « dagli usi cristiani »): la segnalazione <strong>della</strong><br />

connessione <strong>della</strong> predetta dottrina con la <strong>liturgia</strong>, dove, da qualche<br />

esempio caratteristico, si ricorda come essa si ritrova negli usi, riti,<br />

feste o testi liturgici; le lezioni terminano quasi sempre con un<br />

compito da fare e spesso con una breve poesia da imparare eventualmente<br />

a memoria.<br />

Qual è il posto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in questo insieme? È ovunque presente<br />

e non giustapposta, ma intimamente fusa con la questione trattata.<br />

Se ne tratta direttamente in genere dove si parla <strong>della</strong> Chiesa<br />

e più esattamente delle sue funzioni: funzione dottrinale, funzione<br />

cultuale e santificatrice, funzione di governo. Poi se ne parla in specie<br />

a proposito dei singoli sacramenti, specialmente, come è naturale,<br />

a proposito dell'eucaristia. Qui si dà forte rilievo alla messa come<br />

atto <strong>della</strong> Chiesa e come sacrifìcio e, dopo aver parlato <strong>della</strong> conservazione<br />

e venerazione dell'eucaristia, si aggiungono, sempre intorno<br />

alla messa, le nozioni essenziali più direttamente liturgiche.<br />

Ma la presenza <strong>della</strong> Jiturgia nel catechismo deriva ancora molto<br />

più dal fatto che l'atmosfera generale nel modo di concepire e di<br />

prospettare le singole questioni è profondamente liturgica. Anzitutto<br />

perché si dà il massimo rilievo non soltanto in un punto, ma un po'<br />

ovunque, a quelle dottrine che sono i fondamenti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

come: Chiesa popolo di Dio, comunione dei santi, Cristo ora alla<br />

destra del Padre, mediatore universale e sempre presente tra noi,<br />

Spirito Santo presente e santificatore, Dio nostro Padre che tutto<br />

dirige al fine <strong>della</strong> Gerusalemme celeste, vita ecclesiale del cristiano.<br />

Poi, e ancora più, perché il mondo che risulta dall'intero catechismo<br />

non è altro che il mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> a causa, appunto, dell'incentramento<br />

<strong>della</strong> prospettiva generale sulla realtà di storia sacra mistero<br />

di Cristo sempre in atto, illustrata continuamente dalla Scrittura.<br />

Finalmente, perché attraverso le singole questioni, in specie in<br />

quella parte dello schema che ha generalmente per titolo : « dalla<br />

vita <strong>della</strong> Chiesa », si ha cura di riferire ogni grande punto spiegato<br />

al suo inveramento nella <strong>liturgia</strong>.<br />

Così la <strong>liturgia</strong> non è solo presente perché in una parte del<br />

catechismo, o in una parte giustapposta al catechismo, si tratta del<br />

culto: cosa che tutti i catechismi ormai facevano e costituiva già<br />

un notevole progresso; ma tutta l'atmosfera è liturgica. Ciò che si<br />

potrebbe chiamare la dimensione liturgica delle singole questioni<br />

— non meno che la loro dimensione biblica e la loro dimensione<br />

morale e impegnativa <strong>della</strong> vita ed anche, un po', la loro dimensione<br />

speculativa — è connaturalmente considerata come facente parte<br />

<strong>della</strong> loro esposizione integrale. Di modo che, dal quadro generale<br />

e come dal terreno comune in cui ogni questione si prospetta concretamente<br />

nella storia sacra mistero di Cristo, per esempio, nella<br />

bibbia, si passa connaturalmente, per quanto lo permette e lo richiede<br />

la possibilità pedagogica del bambino: alle conclusioni generali


IL CATECHISMO TEDESCO 837<br />

e come di principio d'ordine più astratto, alle considerazioni d'ordine<br />

morale d'impegno vitale, alle considerazioni d'ordine di vita liturgica.<br />

Un esempio o due, presi da questioni che potrebbero sembrare<br />

prestarsi poco alla spiegazione di questa dimensionalità liturgica,<br />

faranno capire la cosa ancora meglio.<br />

La prima questione introduttoria tratta: Della ricchezza <strong>della</strong><br />

nostra vocazione e del nostro compito sulla terra. E così costruita:<br />

Tutta la questione è svolta partendo dal rito battesimale. Per lo più, nelle<br />

altre questioni, questo punto di partenza è preso dalla bibbia stessa.<br />

« Prima del battesimo, il sacerdote, domanda al battezzando : che cosa<br />

chiedi alla Chiesa di Dio? <strong>Il</strong> battezzando risponde: La fede. <strong>Il</strong> sacerdote domanda:<br />

che cosa ti procura la fede? <strong>Il</strong> battezzando risponde: la vita eterna.<br />

<strong>Il</strong> sacerdote allora esorta il battezzando: se vuoi entrare nella vita eterna osserva<br />

i comandamenti: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta<br />

l'anima, con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso ».<br />

Quindi si commenta brevemente quel rito e quelle parole dal punto di<br />

vista dell'oggetto <strong>della</strong> lezione : « Quando fummo portati al battesimo, il sacerdote<br />

ci ricevè in nome <strong>della</strong> Chiesa di Dio. Per bocca del sacerdote ci diede<br />

il benvenuto l'intera comunità dei credenti, l'innumerevole schiera dei santi,<br />

e Gesù Cristo stesso, nostro Redentore e Salvatore, il quale ci vuol condurre<br />

per mezzo dello Spirito Santo nella casa del Padre.<br />

Per mezzo del battesimo si furono aperti i ricchi tesori <strong>della</strong> Chiesa di<br />

Dio: la fede che Cristo ci ha portato; i sacramenti con i quali ci dona la vita<br />

divina; i comandamenti ed il suo santo esempio per mezzo dei quali ci mostra<br />

la via del cielo.<br />

Nel battesimo, per mezzo dei padrini, abbiamo professato la fede, abbiamo<br />

rinunziato al demonio e al peccato, e abbiamo promesso di vivere come<br />

figli di Dio. Perciò dobbiamo adempire il nostro compito sulla terra come figli<br />

di Dio: riconoscere Dio e imparare a conoscerlo sempre meglio, amarlo con<br />

tutto il cuore, adorarlo e servirlo con tutte le nostre forze.<br />

Se noi sulla terra ci comportiamo da figli di Dio e adempiamo la Sua<br />

volontà vivremo poi eternamente con Lui ».<br />

Segue una serie di riflessioni come domande senza risposta : « Rifletti :<br />

1. Chi ci ha ricevuti quando fummo portati al battesimo? 2. Quali tesori ci<br />

sono stati aperti per mezzo del battesimo? 3. Che cosa hanno fatto per noi i<br />

padrini del battesimo? ».<br />

Quindi una domanda con risposta: « 1. A qual fine siamo sulla terra? Noi<br />

siamo sulla terra per conoscere Dio, per amarlo, per servirlo e per vivere,<br />

alla fine, eternamente con Lui ».<br />

Segue un proponimento : « Per la mia vita : io voglio essere sempre riconoscente<br />

a Dio perché sono cristiano. — Voglio chiedermi spesso: che cosa<br />

vuole Dio da me? ».<br />

Alcune frasi <strong>della</strong> Scrittura in relazione al tema predetto: La parola<br />

di Dio : « Voi vi siete accostati alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme<br />

celeste, alle miriadi degli Angeli, alla festosa assemblea, alla chiesa dei primogeniti,<br />

che sono scritti nei cieli, a Dio, Giudice di tutti, alle anime dei giusti,<br />

arrivati a perfezione e a Gesù mediatore <strong>della</strong> novella alleanza» (Eb 12,22-24).<br />

— « Combatti la buona battaglia <strong>della</strong> fede; conquista la vita eterna, alla quale<br />

tu sei stato chiamato » (1 Tm 6,1). — « Sta scritto adorerai il Signore Dio tuo<br />

e servirai a lui solo » (Mt 4,10).<br />

Dall'insegnamento dei santi : « L'uomo è creato per lodare Dio, suo Signore,<br />

per onorarlo e servirlo e salvare così la propria anima » (S. Ignazio di<br />

Loyola).<br />

« Esercizi: 1. In quale occasione vengono rinnovate le promesse del battesimo?<br />

2. Con quali parole puoi ringraziare Dio per il dono <strong>della</strong> fede? ».<br />

« Nessuna ricchezza è più splendida, nessun onore, nessun bene di questo mondo<br />

è più grande <strong>della</strong> fede cattolica » (S. Agostino).


838 CAP. XXIV - I MEZZI DELLA PASTORALE LITURGICA<br />

Così è presentata in questo catechismo la materia che nei nostri<br />

catechismi tradizionali è concentrata nella domanda: perché Dio ci<br />

ha creati? Con la risposta: Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo<br />

e servirlo in questa vita e goderlo eternamente nell'altra. È facile<br />

vedere nei testi citati in che <strong>senso</strong> e con qual frutto siffatto concetto<br />

può e deve essere fatto come scaturire dal contesto di storia sacra<br />

mistero di Cristo sempre in atto; può e deve essere presentato nella<br />

sua dimensione biblica e liturgica; quindi prospettato in un modo<br />

quanto mai concreto senza rinunziare per questo alla sua formulazione<br />

precisa ed astratta; e impegnando intorno ad esso non solo<br />

l'intelligenza del bambino, ma anche la sua immaginazione, il suo<br />

affetto, la sua volontà, e non solo la sua ricettività passiva, ma anche<br />

la sua cooperazione attiva di ricerca.<br />

Un altro esempio intorno alla spiegazione <strong>della</strong> santità di Dio,<br />

lezione n. 9. Si prende lo spunto dal testo di Isaia 6,1-5: la visione<br />

di Isaia nel tempio, con i Serafini che gridano: santo, santo, santo.<br />

Quindi si spiega il testo rilevando che Dio è infinitamente elevato<br />

al di sopra di ogni creatura, che quindi è santo e perciò è giusto e<br />

necessario che angeli e uomini lo adorino; Egli ama sempre il bene<br />

e ha in orrore il male e vuole che anche noi siamo santi. Poi: una<br />

serie di riflessioni, in forma di domanda senza risposta, intorno alla<br />

stessa materia. Quindi la domanda: perché diciamo che Dio è santo?<br />

Con la risposta : « Diciamo che Dio è santo : 1. perché Egli è infinitamente<br />

elevato sopra ogni creatura; 2. perché Egli ama sempre<br />

il bene e aborrisce il male ». Segue un proponimento : « Per la mia<br />

vita: perché Dio è santo e ha santificato anche me, voglio amare<br />

ciò che Egli ama e aborrire ciò che Egli aborrisce ».<br />

Parola di Dio : « Siate santi, perché Io, il Signore, vostro Dio,<br />

sono Santo» (Lev 19,2); «Questa è la volontà di Dio: la vostra<br />

santificazione» (1 Ts 4,3). Infine: Dalla vita <strong>della</strong> Chiesa: In ogni<br />

santa messa ci è concesso di unirci al canto degli angeli: santo,<br />

santo, santo, Signore, Dio delle schiere celesti. Cielo e terra sono<br />

pieni <strong>della</strong> tua gloria. Hosanna negli altissimi ».<br />

Se questioni che, a prima vista, potrebbero sembrare così poco<br />

adatte per essere fatte scaturire dalla storia sacra ed essere prospettate<br />

in un contesto liturgico, come le due questioni del fine <strong>della</strong> vita<br />

e <strong>della</strong> santità di Dio, possono essere invece così facilmente e fruttuosamente<br />

inquadrate nel contesto di storia sacra, contesto biblico<br />

e profondamente liturgico, lascio pensare quali risultati dia lo stesso<br />

procedimento quando si tratta di questioni nelle quali l'inquadramento<br />

di storia sacra, biblico e liturgico è a portata di mano di tutti :<br />

come <strong>della</strong> vita di Cristo e <strong>della</strong> redenzione, delle operazioni dello<br />

Spirito Santo, <strong>della</strong> Chiesa e dei sacramenti, dei novissimi. Qui, ancora<br />

una volta, si può toccare con mano quanto la <strong>liturgia</strong> sia veramente<br />

il punto di convergenza in cui si concretizzano bibbia, dogma,<br />

insegnamento e azione pastorale <strong>della</strong> Chiesa. Nonché come essa<br />

possa e debba essere il centro a cui tutto converge nell'educazione<br />

religiosa del bambino.


LITURGIA E CATECHISMO 839<br />

E questo apparirà con forza ancora maggiore se si pensa che<br />

la <strong>liturgia</strong>, per l'educazione catechistica, non rappresenta soltanto<br />

una grande sorgente di testi e di riti ai quali ci si può riferire per<br />

ritrovare i concetti che bisogna inculcare al bambino — come, invece,<br />

nonostante tutto, rimane necessariamente la bibbia — ma è poi<br />

azione e dramma in atto vissuto, a cui il bambino, fuori <strong>della</strong> lezione<br />

di catechismo, può e deve, a suo modo, prendere parte attiva e ciò,<br />

normalmente, tutta la vita. Cosicché, ciò che gli è stato inculcato<br />

nell'insegnamento teoretico viene poi da lui vissuto inverato in una<br />

concretizzazione pratica vitale alla quale egli prende parte e che<br />

costituirà poi sempre l'atto centrale <strong>della</strong> sua esistenza cristiana.<br />

Si può facilmente intuire quanto grande sia l'unità organica che<br />

la <strong>liturgia</strong> come dottrina e come vita, purché intesa e vissuta come<br />

deve esserlo, è capace di dare a tutta l'educazione cristiana del<br />

bambino.<br />

Si pensi anche al grave e noto problema <strong>della</strong> catechistica:<br />

quello <strong>della</strong> formazione di idonei catechisti senza i quali, naturalmente,<br />

le migliori teorie e i migliori testi non risolveranno il problema<br />

di un insegnamento efficace del catechismo ai bambini. E si<br />

rifletta a quello che può significare per la formazione del catechista<br />

una reale comprensione e una profonda vita <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, e si<br />

vedrà, anche per questo verso, quanto la <strong>liturgia</strong> appaia realmente<br />

un punto cruciale <strong>della</strong> questione del catechismo 59 .<br />

In tutti i modi, come si vede, considerando la questione dei<br />

rapporti tra catechismo è <strong>liturgia</strong> si arriva alla solita conclusione.<br />

La quale ci porta molto, ma molto lontani, dal concetto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

come realtà d'interesse marginale nella vita <strong>della</strong> Chiesa, alla quale<br />

tutti coloro che sono impegnati nella grande lotta per la trasformazione<br />

cristiana del mondo non possono e non devono prestare<br />

che una rapida e superficiale attenzione, abbandonandola, semmai,<br />

a coloro che, ritiratisi dal mondo e dalla mischia, hanno agio e<br />

voglia di dedicarvi quel tempo prezioso che altri devono consacrare<br />

a ben più seri ed importanti compiti.<br />

59 Vedi, per es., B. CAPELLE, La messe dans la vie du catéchiste, in: Travaux<br />

liturgìques, I Louvain 1955, p. 152 ss. J. A JUNGMANN, Catechetica, trad.<br />

ital., Ed. Paoline 1956, p. 55 ss.


EPILOGO<br />

Scopo di questo lavoro era di lumeggiare la struttura teologica<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, considerata nel suo insieme, facendo vedere come<br />

solo questo modo di guardarla ne manifesti tutto il <strong>senso</strong> in visione<br />

sintetica unitaria, mettendone in luce la viva ossatura e come il<br />

nucleo vitale più intimo partendo dal quale si sviluppano e intorno<br />

al quale ordinatamente convergono tutte le sue immense virtualità<br />

di vita.<br />

Qual è dunque questo nucleo vitale più recondito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

che ne racchiude in sé e ne manifesta le ricchezze? È la stessa sua<br />

natura di complesso di segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione<br />

e del culto <strong>della</strong> Chiesa. Se alla fine di quest'opera tale affermazione<br />

può sembrare troppo banale ed asciutta, basta riflettere che si tratta<br />

<strong>della</strong> santificazione che Dio in Cristo fa <strong>della</strong> Chiesa e del culto,<br />

anzitutto di fede, di speranza e principalmente di carità, che la<br />

Chiesa in Cristo, unita a Cristo e per mezzo di Lui, offre a Dio, con<br />

dignità ed efficacia che, in virtù dell'opus operatimi e dell'opus operantìs<br />

Ecclesiae, trascende ogni altra dignità ed efficacia. Pertanto la<br />

<strong>liturgia</strong> nel tempo ecclesiale dalla pentecoste alla parusia, appare<br />

semplicemente come la storia sacra mistero di Cristo continuamente<br />

attuata sotto il velo dei segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione<br />

e del culto, sommo incontro tra Dio e l'umanità in Cristo, punto<br />

di convergenza di tutta la storia sacra antecedente e punto di partenza<br />

<strong>della</strong> storia sacra seguente donec veniat.<br />

È questa realtà che spiega tutto il concetto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e ne<br />

ordina gli elementi che la compongono, come è stato spiegato nella<br />

prima parte. È ancora questa realtà che rende comprensibile perché<br />

e come nella <strong>liturgia</strong> si riflettono, come in uno specchio ed in iscorcio,<br />

le grandi leggi dell'economia di Dio verso il mondo, come è stato<br />

mostrato nella seconda parte. Poiché quella economia non è altro<br />

che la storia sacra, mistero di Cristo, nessuna meraviglia che nella<br />

<strong>liturgia</strong>, storia sacra, mistero di Cristo sempre in atto concretizzato<br />

sotto i veli dei segni sensibili efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto<br />

<strong>della</strong> Chiesa, le leggi supreme di quella storia si riflettano ovunque<br />

al sommo grado.<br />

Da quello stesso nucleo vitale si comprendono i rapporti tra


EPILOGO 841<br />

<strong>liturgia</strong> e bibbia. La bibbia è il mondo <strong>della</strong> storia sacra mistero<br />

di Cristo a tutti i suoi piani di svolgimento. <strong>Il</strong> mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

non può quindi essere altro che il mondo <strong>della</strong> bibbia concretizzato<br />

ed inverato e come concentrato in tutte le sue dimensioni, sotto i<br />

segni sensibili <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Dallo stesso punto di partenza si comprendono i rapporti tra<br />

<strong>liturgia</strong> e fede. La fede, infatti, è tutta incentrata nella storia sacra,<br />

mistero di Cristo sempre in atto. Così la <strong>liturgia</strong> non è altro che<br />

la stessa fede tradotta e vissuta, e in qualche modo — più indiretto<br />

che diretto — anche insegnata, sotto il velo dei segni sensibili ed<br />

efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Di qui ancora si comprendono i rapporti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> con la<br />

teologia, sia con la teologia teorica in genere, sia con i diversi tipi<br />

storici di teologia. Essendo la teologia in genere lo studio scientifico<br />

<strong>della</strong> rivelazione che si presenta anzitutto come storia sacra mistero<br />

di Cristo sempre in atto, ogni teologia che tiene debito conto di<br />

questa prospettiva non può non ritrovare e non rilevare ad ogni<br />

passo la dimensione liturgica del suo oggetto. Essa sarà quindi più<br />

o meno intimamente connessa con la <strong>liturgia</strong> a seconda che rispetterà<br />

più o meno quella prospettiva propria sotto la quale la rivelazione<br />

si presenta anzitutto.<br />

Lo stesso punto di vista determina, in ultima analisi, i rapporti<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> con la spiritualità come tendenza alla perfezione cristiana<br />

dell'essere <strong>della</strong> grazia santificante e dell'agire <strong>della</strong> carità.<br />

Supposte le necessarie condizioni di sintonia morale, nella <strong>liturgia</strong>,<br />

appunto perché storia sacra mistero di Cristo sempre in atto sotto<br />

i veli dei segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto<br />

<strong>della</strong> Chiesa, s'invera al sommo grado l'incontro di Dio che in Cristo<br />

santifica l'uomo e dell'uomo che in Cristo esercita la carità di Dio<br />

offrendola in Lui e per Lui, in sommo omaggio dovuto a Dio creatore<br />

e provveditore. Per questo la <strong>liturgia</strong> è, connaturalmente, il centro e<br />

l'anima di tutta la tendenza alla perfezione nel modo in cui la Chiesa<br />

ufficialmente la propone ai suoi figli.<br />

Finalmente, sempre per lo stesso motivo che la <strong>liturgia</strong> è la storia<br />

sacra, mistero di Cristo attuato continuamente, in questo tempo<br />

dalla pentecoste alla parusia, sotto il velo dei segni sensibili ed<br />

efficaci <strong>della</strong> santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa, essa è, non meno<br />

connaturalmente, il centro di convergenza e la meta a cui tende,<br />

nonché, sotto un altro aspetto, la fonte da cui deriva, tutta l'attività<br />

pastorale e missionaria <strong>della</strong> Chiesa. Infatti, questa non vuol altro<br />

che realizzare e conservare l'incontro tra il popolo e Cristo, il quale<br />

incontro, perché la <strong>liturgia</strong> è quello che abbiamo detto, si fa, al<br />

sommo grado, appunto, nella <strong>liturgia</strong> e per la <strong>liturgia</strong>.<br />

Così la <strong>liturgia</strong> appare come la concretizzazione maggiore, il<br />

centro, dei rapporti tra Dio e l'uomo nel tempo intermedio dalla<br />

pentecoste alla parusia; il luogo privilegiato degli incontri in Cristo<br />

tra Dio e l'umanità, dove convergono tutte le creature del mondo<br />

infraumano ed angelico, tutta la storia passata, presente e futura;


842 EPILOGO<br />

tutta la fede, la bibbia, la teologia, la vita spirituale, la vita pastorale<br />

e missionaria <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Certo, simili affermazioni non possono non parere estremamente<br />

esagerate, per non dire ditirambiche, a chi non ha mai riflettuto sul<br />

serio al fatto che tutto il mondo delle creature, tutta la storia dell'umanità,<br />

tutta la fede, la bibbia, la teologia, la vita spirituale, la<br />

vita pastorale e missionaria <strong>della</strong> Chiesa non hanno altro centro di<br />

convergenza che la storia sacra degli interventi di Dio nel mondo<br />

e <strong>della</strong> risposta delle creature; storia sacra incentrata in Cristo,<br />

come mistero di Cristo sempre in atto ab origine mundi fino alla<br />

consumazione nella Gerusalemme celeste. Le precedenti affermazioni<br />

intorno alla <strong>liturgia</strong> appariranno, dico, inevitabilmente esagerate, a<br />

chi non ha mai riflettuto sul serio a questo fatto e non si è mai<br />

accorto che la <strong>liturgia</strong> non è altro che la storia sacra mistero di<br />

Cristo sempre in atto, concentrato nel tempo intermedio dalla pentecoste<br />

alla parusia, sotto i veli dei segni sensibili ed efficaci <strong>della</strong><br />

santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Al paziente lettore che mi ha seguito sin dal principio, tutto<br />

questo non dovrebbe apparire un grossolano panliturgismo e un<br />

tentativo di assorbire tutta la vita <strong>della</strong> Chiesa per ridurla ad<br />

universale ritualismo, o, nel migliore dei casi, ad universale monachesimo;<br />

ma semplicemente una visione sintetica <strong>della</strong> realtà dove<br />

i singoli elementi, senza indebiti assorbimenti e semplicistiche riduzioni,<br />

vengono considerati ed ordinati alla luce <strong>della</strong> realtà suprema<br />

del ministero di Cristo.<br />

<strong>Il</strong> concilio vaticano II ha solennemente ribadita questa dottrina<br />

quando ha proclamato la <strong>liturgia</strong> « culmine verso cui tende la vita<br />

<strong>della</strong> chiesa e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù » 60 .<br />

Chi ha scoperto che il mistero di Cristo s'invera al sommo grado<br />

nella <strong>liturgia</strong> è persuaso di aver trovato una grande forza dinamica<br />

di vita. È un fatto che lo sforzo di approfondimento <strong>teologico</strong>, il<br />

forte interesse per la vita spirituale e mistica e gli studi ivi attinenti,<br />

il movimento biblico, il movimento pastorale, il movimento d'azione<br />

cattolica, il movimento ecumenico e quello missionario, tutte manifestazioni<br />

così caratteristiche <strong>della</strong> nostra epoca, in questo momento<br />

si orientano su larga scala verso la <strong>liturgia</strong>; come il movimento<br />

liturgico, a sua volta, si unisce sempre più intimamente a queste<br />

manifestazioni di perenne e fresca vita in Cristo. La convergenza,<br />

già per se stessa, è impressionante.<br />

«o CL, art. 10.


T<br />

t<br />

I<br />

i<br />

INDICI<br />

a cura di TOMMASO FEDERICI


Abbot T. K., 354<br />

Ada Joannis, apocrifo, 324<br />

Adam A., 391<br />

Afanassief N., 276<br />

Agostino, s., 23, 36, 43s, 46, 54, 56, 61s,<br />

70, 73, 75, 77, 147, 163, 198ss, 212, 223,<br />

258s, 262, 300s, 328, 344s, 379ss, 384, 386,<br />

393, 429, 459, 461, 497, 540, 546, 550,<br />

556s, 561s, 571ss, 577, 578ss, 582ss, 587s,<br />

590, 660s, 691, 765, 808, 814s, 816ss, 837<br />

Aigrain R., 63, 71<br />

Alcuino, 211, 343<br />

Alense: v. seg.<br />

Alessandro di Hales, 23<br />

Allatius (Allazio) L., 517<br />

Alvarez D., 515<br />

Alszeghy Z., 803<br />

Amalario di Metz, 57, 60, 560<br />

Ambrogio, s.,<br />

Anastasia, s., 420 n. 186<br />

Andrieu M., 403, 478, 492<br />

Andronico abate, 394<br />

Anfilochio, 561<br />

Anselmo, s., 198, 744<br />

Antonio eremita, s., 372<br />

Apoftegmi dei Padri, 370<br />

Apologeti del secolo II, 199, 587<br />

Aristide, 324<br />

Aristotele, 36, 249, 502, 549, 554s,<br />

596, 767<br />

Arnaud A., 517<br />

Arnobio, 89<br />

Arnobio il giovane, 217<br />

Arnold F. X., 792, 812<br />

Arnou R., 590<br />

Asensio F., 464<br />

Assemani G. L., 517<br />

Assemani G. S., 517, 559<br />

Asterio di Amasea, 561<br />

Atanasio, s., 69, 208, 264, 370s,<br />

459, 561<br />

Atenagora, 299, 368<br />

Atti dei martiri, 369<br />

INDICE DEI NOMI<br />

Baehrens W. A., 567, 582<br />

Baij M. C, 686<br />

Balsavich M., 244<br />

Banez D., 515<br />

Bannister H. M., 344, 418, 421<br />

Barbel J., 117<br />

Barra G., 819<br />

Bartmann B., 523<br />

Bartoli L., 71<br />

Basilio, s., 172, 219s, 222ss, 226, 371, 470,<br />

561s, 578, 582, 584<br />

Baumstark A., 9, 336<br />

Bea A., 827<br />

Beauduin E., 779<br />

Beauduin L., 10, 41, 524, 782<br />

Beda, s., 343<br />

Bellarmino R., 98, 516s<br />

Benedetto, s., 223, 342, 469, 641<br />

Benedetto di Aniano, s., 746<br />

Benedetto XIV, 239, 517<br />

Benedetto XV, 311, 478<br />

Bergamaschi P., 680<br />

Bergson H., 191<br />

Bernardo, s., 620, 696, 700, 703, 731,<br />

739s, 747<br />

Bernini G., 460s<br />

Berthier J., 522<br />

Bettencourt, s., 369s<br />

Betz J., 117<br />

Betz O., 360<br />

Bevilacqua G., 71<br />

Billot L., 522<br />

Billuart C.-R., 518s, 521<br />

Bishop E., 559<br />

Blaise A., 89, 394<br />

Blankenburg W., 776<br />

Boismard M. E., 361 ss<br />

Bona G., 517<br />

Bonaventura, s., 23, 555<br />

Bondioli P., 68<br />

Bongiovanni P., 561<br />

Bonifacio I; 529<br />

Bonsirven G., 332


846<br />

Bontink F., 776<br />

Bopp L., 829<br />

Borella P., 229<br />

Bornet R., 558<br />

Bossuet J.-B., 517, 524<br />

Botte B., 93, 168, 217, 220, 224, 230s,<br />

335, 381, 388, 819<br />

Boulard F., 795<br />

Boutet J., 801<br />

Bouyer L., 10, 59, 62, 81, 115, 172, 348,<br />

391, 459, 763, 772, 819<br />

Boyer e Quinet, 834<br />

Brasò G. M., 648<br />

Braun C, 516<br />

Brémond H., 68, 195, 689<br />

Brightman F. E., 327s, 336, 558<br />

Brilioth Y., 814<br />

Brou L., 654<br />

Brouette E., 347<br />

Broutin P., 75<br />

Brunner P., 777, 780<br />

Bugnini A., 479, 485, 492<br />

Buonaiuti E., 153<br />

Burgard C, 430<br />

Caillat M., 239<br />

Calcedonia, concilio di, 529<br />

Cales J., 465<br />

Callewaert C, 42<br />

Camelot T., 52, 565<br />

Campbell Bonner 560<br />

Cano M., 486, 515, 519, 535<br />

Capelle B„ 155, 220, 230, 479, 528, 563,<br />

582, 646, 815, 839<br />

Cappuyns M„ 209, 496<br />

Carlini A., 64<br />

Caronti E., 41<br />

Carrière F., 517<br />

Cartagine, e. d. Concilio IV di, 403<br />

Casel O., 10, 27, 42, 45, 90, 115, 117ss,<br />

182, 246, 565<br />

Caspar J., 317<br />

Cassiano 370, 394, 654, 674-79, 682, 685<br />

Castellino G., 458s, 470<br />

Catalani G., 517<br />

Catechismus ex decr. S. Conc. Tridentini,<br />

178s, 263s, 636, 762<br />

Cattaneo E., 9<br />

Causse A., 470<br />

Cayré F., 734<br />

Celso, 71<br />

Cerfaux L., 273, 316, 769<br />

Charles R. H., 381<br />

Charlier C, 52, 430, 449<br />

Charue A. M., 791<br />

Chatillon J., 143<br />

Chavasse A., 399<br />

Chenu M. D., 81, 301, 549s, 555, 560.<br />

703, 762<br />

Chery H., 792<br />

Chevrot Mgr., 763<br />

INDICI<br />

Cicerone, 138<br />

Cipriano, s., 31, 89s, 132, 233, 256, 287,<br />

324, 326, 577s, 583, 789s<br />

Cirillo alessandrino, s., 222, 241, 371,<br />

393, 561<br />

Cirillo di Gerusalemme, s., 256, 327, 340,<br />

380s, 391ss, 557, 580<br />

Clarke L., 776<br />

Clemente alessandrino, s., 54, 216, 220<br />

256, 299, 367, 569, 587.<br />

Clemente romano, s., 206, 214ss, 220,<br />

256, 279, 338, 586<br />

Cluny, 747<br />

Coeleo, 516<br />

Codex iuris canonici, 98, 499<br />

Codingtron H. W., 559<br />

Coelho A., 257<br />

Colomb J., 834<br />

Colombas G. M., 394<br />

Colosio I., 694<br />

Colson J., 791<br />

Colunga A., 466<br />

Congar Y.-M., 153, 466, 513<br />

Connolly R. H., 559<br />

Cantra Hovatianos, 396<br />

Coppens J., 430, 470<br />

Cornelio papa, 403<br />

Corpus hermeticum, 367<br />

Costantini C, 71<br />

Costantini G., 71<br />

Costantino imperatore, 607<br />

Costermanelli T., 71<br />

Costituzione « De Ecclesia » del Conc.<br />

Vaticano II, cap. I, 32, 273; cap. II,<br />

273; art. 10, 155, 161; 11, 149; 31, 156;<br />

34, 156; 36, 156<br />

Costituzione « De S. Liturgia » del Concilio<br />

Vaticano II: in genere: 7, 13,<br />

37, 264, 773, 779s, 791; art. 2: 7, 32,<br />

45, 262, 296, 480, 774; art. 5: 7, 31s, 42,<br />

45, 75, 480; art. 6: 7, 32, 42, 45, 75,<br />

480, 825; art. 7: 7, 32, 34, 37, 42, 45,<br />

75, 108, 109, 129, 258, 262, 265, 480,<br />

638, 692, 806; art. 8: 7, 32, 45, 75, 480;<br />

art. 9: 7, 626, 635, 637, 692, 760, 774,<br />

825; art. 10: 7, 42, 109, 626s, 635, 637,<br />

692. 760, 761, 763, 842; art. 11: 7, 626,<br />

637, 645, 760; art. 12: 7, 193, 626, 637,<br />

760; art. 13: 7, 128, 627, 633, 637, 692,<br />

760, 800; art. 14: 7, 149, 193, 640, 784,<br />

793; art. 15: 7, 794; art. 16: 7, 32, 555,<br />

605s, 794, 817; art. 17: 7, 794; art. 18:<br />

7, 794; art. 19: 7; art. 20: 7; art. 21:<br />

7, 310, 784; art. 22: 7, 288; art. 22,<br />

par. 2: 800; art. 23: 7, 310; art. 24: 7,<br />

473, 825; art. 25: 7; art. 26: 7, 132,<br />

265, 277, 284, 480, 640, 779, 785, 789;<br />

art. 27: 7, 277, 284, 786; art. 28: 7,<br />

277, 284; art. 29: 7, 277, 284; art. 30:<br />

7, 277, 284; art. 31: 7, 277, 284; art. 32,<br />

par. 2: 802; art. 33: 7, 42, 277, 284;<br />

art. 34: 7,. 277, 284; art. 35: 7, 32, 277,


284, 473, 825; art. 35, par. 4: 801;<br />

art. 36: 7, 277, 284, 800; art. 36, par. 3:<br />

130; art. 36, par. 4: 130; art. 37: 7,<br />

277, 284, 311; art. 38: 7, 277, 284, 311;<br />

art. 39: 7, 130, 277, 284, 311, 800; art.<br />

40: 277, 284, 311, 800; art. 41: 7, 45,<br />

277, 281, 284, 296, 480, 784, 789; art. 42:<br />

7, 284, 288, 792; art. 43: 7, 695, 782;<br />

art. 44: 7; art. 45: 7; art. 46: 7; art.<br />

48: 42, 162s, 480, 788, 825; art. 50:<br />

310; art. 51: 825; art. 52: 825, 827;<br />

art. 54: 130, 284, 311, 800; art. 55: 130,<br />

632; art. 56: 825; art. 57: 130, 281, 284;<br />

art. 59: 42; art. 60: 98; art. 61: 42,<br />

263, 319; art. 62: 310; art. 63: 130, 800;<br />

art. 63 b: 130, 311; art. 64: 130; art. 65:<br />

311; art. 68: 130; art. 71: 130; art. 76:<br />

130; art. 77: 130, 800; art. 79: 130, 309;<br />

art. 83: 42, 462, 480; art. 88: 310; artic.<br />

97: 130; art. 101, par. 1 e 2: 130; art.<br />

103: 185; art. 104: 185; art. 107: 310;<br />

art. 112: 71; art. 112ss: 63; art. 118:<br />

284, 310; art. 119: 311; art. 120: 130;<br />

art. 122ss: 63; art. 123: 310; art. 124:<br />

130; art. 125: 130; art. 126: 130; art.<br />

127: 130; art. 128: 130, 310; art. 129:<br />

130; art. 130: 130<br />

Costituzioni Apostoliche: 218, 220s, 226,<br />

235, 324, 341, 367, 394s, 397s, 400, 403,<br />

464, 528, 582, 807<br />

Coune M., 654<br />

Couturier C, 44<br />

Crisogono de Jesus, 614, 673, 686, 703<br />

Croce B., 191<br />

Crouzel H., 567<br />

Cullmann O., 243, 246<br />

Curato D'Ars, 372<br />

Czerwik S., 246, 560<br />

Dabin P., 153s<br />

Daniel Y., 772<br />

Daniélou J., 10, 52, 335, 337, 366, 368s,<br />

379, 381ss, 387, 389s, 392, 429, 431, 449s,<br />

466, 557, 561, 564, 573, 575, 815, 819<br />

Daniels A., 143<br />

Dante, 341<br />

Dausend H., 310<br />

Davenson H., 70<br />

De Bruyne L., 456, 478<br />

De Caudole H., 459<br />

Déchanet J., 731<br />

Decretum di Graziano, 391<br />

Deden D., 28<br />

De Dietrich S., 26<br />

De Féligonde J., 763<br />

De Fraine J., 465<br />

De Ghellinck J., 44, 89, 549<br />

De Guibert J., 614, 623, 641s<br />

Deissler A., 467<br />

De La Taille M., 178<br />

INDICE DEI NOMI 847<br />

De Lubac H., 52, 430s, 814<br />

De Lugo G., 516<br />

De Meester E., 763<br />

Deneffe A., 581<br />

Deogratias, diacono, 808<br />

Der Balizeh, papiro di, 219, 230<br />

De Régnon Th., 197, 209, 211<br />

De Ripalda M„ 516<br />

De Soos B., 117<br />

Devréesse R., 557<br />

De Vries W., 44, 559, 570, 573<br />

Didachè, 31, 34, 214s, 219s, 582, 807<br />

Didascalia degli Apostoli, 582<br />

Didimo alessandrino, 340<br />

Didimo il cieco, 561<br />

Diekamp F., 523, 525, 532<br />

Di Ledesma P., 515<br />

Di Lesmos T., 515<br />

Dillistone F. W., 81<br />

Dionigi l'aeropagita, 291<br />

Dionigi Bar Salibi, 559<br />

Dionisio alessandrino, 219<br />

Di Ripalda M., 516 n. 8<br />

Di Valentia G., 516<br />

Divina Commedia, 341 n. 60<br />

Divino afflante Spiritu, enciclica, 419<br />

Dix G., 9, 225s, 255, 257, 277, 281, 391<br />

Doelger F., 58, 90, 369<br />

Dohmes A., 70<br />

Dolle R., 561<br />

Domiziano, 361<br />

Doncoeur P., 772s, 789, 795<br />

Doyère P., 710<br />

Dreher B., 814<br />

Droin J. M., 777<br />

Drusiana, tomba di, 324<br />

Dryvers P., 459<br />

Duchesne L., 231, 385<br />

During W., 52<br />

Duesberg H., 467<br />

Dullmann H., 335<br />

Du Manior H., 241<br />

Dupont J., 203, 586<br />

Durando, 57<br />

Durrwell F. X., 243<br />

Edelstein H., 70<br />

Edwall P., 777<br />

Efeso, Concilio di, 529<br />

Eichrodt W., 91, 270, 464<br />

Eisenhofer L., 8<br />

Eizenhofer L., 177<br />

Eliade M., 81<br />

Elipando, 478, 579<br />

Elisabetta <strong>della</strong> Trinità, suor, 619<br />

Elpidio di Volterra, 228<br />

Epifanio, s., 325, 580<br />

Episcopus, 791<br />

Epistola a Diogneto, 586<br />

Erma, 369, 396


848 INDICI<br />

Esser P. W„ 829<br />

Euchologion greco, 411<br />

Eucologio di Serapione, 221, 235, 282,<br />

338, 387, 391, 400, 406<br />

Eulogio alessandrino, 561<br />

Eusebio di Cesarea, 326, 403, 561, 583<br />

Eustazio di Costantinopoli, 580<br />

Evagrio Pontico, 370<br />

Evangelii prcecones, enciclica, 757<br />

Everret Frame J., 364<br />

Fabro C, 54<br />

Federer K., 478, 496, 562s, 577, 579, 583<br />

Felice di Urgel, 478, 579<br />

Féret H. M., 44, 360<br />

Férotin M., 53, 229, 241, 395, 401, 410,<br />

415, 417-20, 424<br />

Filippo legato, 529<br />

Filippo Neri, s., 688 n. 82<br />

Filone alessandrino, 430, 543<br />

Filthaut Th., 115, 779<br />

Firmiliano di Cesarea, 583<br />

Fischer B., 246, 45S<br />

Fischer H., 632, 695<br />

Fittkau G., 44, 117<br />

Fitzengard G., 335<br />

Flick M., 803<br />

Fiorista Samanes C, 762<br />

Forget J., 402<br />

Fournier E., 826, 829<br />

Fournier N., 819, 823<br />

Francesco d'Assisi, s., 620<br />

Francesco Saverio, s., 664 n. 40<br />

Francoforte, Concilio di, 478, 579<br />

Franz A., 404, 407<br />

Franzelin J. B., 522, 523, 525<br />

Friedrich G., 811<br />

Froebes J., 786<br />

Funk X., 388, 391, 406<br />

Gaboardi A., 97s<br />

Gaillard J., 245, 565, 762<br />

Galtier P„ 204<br />

Garofalo S., 272<br />

Garrone Mgr., 430<br />

Gaudenzio di Brescia, s., 229, 561, 573<br />

Gautier J., 624s, 694<br />

Gelasio, papa, 228<br />

Gelin A., 271, 465, 470<br />

Gélineau J., 64<br />

Gener J. B., 518<br />

Gentile G., 191<br />

George A., 459<br />

Gerbert M., 517s<br />

Germano di Costantinopoli, s., 558s<br />

Germano di Parigi, s., 559<br />

Gerold Th., 70<br />

Gertrude di Hackborn, 696<br />

Gertrude la Grande o di Helfta, s., 674,<br />

685, 688 n. 82, 696-702, 705-12, 714-17,<br />

719s, 722, 726, 728s, 731ss, 735-38, 741ss,<br />

745s, 748-52<br />

Gertrude di Magdeburgo, 696 n. 1<br />

Giacomo Severo Bar-Shakko o di Edessa,<br />

559<br />

Giorgio, s., 420 n. 187<br />

Giorgio vescovo degli Arabi, 559<br />

Giovanni Bosco, s., 664 n. 40<br />

Giovanni da Capestrano, s., 420 n. 189<br />

Giovanni Crisostomo, s., 44, 76, 154, 223,<br />

226, 264, 337, 340, 387, 393, 397, 404,<br />

557, 570, 580<br />

Giovanni <strong>della</strong> Croce, s., 484, 614, 622,<br />

670, 672ss, 680, 685, 692s, 703, 741<br />

Giovanni Damasceno, s., 315, 556, 579,<br />

769<br />

Giovanni di Darà, 559<br />

Giovanni diacono, 379<br />

Giovanni da Fécamp, 744<br />

Giovanni Gualberto, 744<br />

Giovanni da S. Tommaso, 46, 118, 515<br />

Girolamo, 23, 234, 370, 397s, 469, 550,<br />

562, 578<br />

Giubilei, libro apocrifo dei, 332<br />

Giulio Africano, 219<br />

Giustino, 154, 171, 220, 226, 256, 279, 299,<br />

329, 368, 378, 427, 566, 827<br />

Goar J., 517<br />

Godefroid J., 800<br />

Godin H., 759, 770, 774, 795<br />

Goldbrunner J., 834<br />

Goppelt L., 448<br />

Gordillo M., 580<br />

Gotti V. L., 518s, 521<br />

Gougaud L., 746<br />

Grabner D., 660<br />

Grandcolas G., 517<br />

Grasso D., 792, 802s, 805<br />

Gray J., 472<br />

Graziano, 391, 546<br />

Grelot P., 797<br />

Gregorio Barebreo, 559<br />

Gregorio Magno, s., 337, 345, 561, 607,<br />

652<br />

Gregorio Nazianzeno, s., 561, 5S4<br />

Gregorio Misseno, s., 54, 208, 371, 381,<br />

561<br />

Gregorio taumaturgo, s., 219<br />

Grimonont J., 431<br />

Groegacrt A., 834<br />

Guardini R., 77, 309<br />

Gunthòr A., 805<br />

Guéranger P., 643, 655<br />

Guerry E., 791<br />

Guichou P., 461<br />

Guigone 1° ven., 679<br />

Guillaumont A. e C, 366, 370<br />

Guillet P., 431<br />

Guillet J., 430<br />

Gunkel H., 458<br />

Guyart M., 679


Habert J., 516<br />

Haering B., 317, 794<br />

Hanssens J. M., 221, 560<br />

Harbsmeier G., 170, 321, 777<br />

Harl M„ 568<br />

Harris Ch., 776<br />

Hausherr I., 662s<br />

Hefele - Leclercq, 394, 403<br />

Heidegger M., 191<br />

Helfta, 703, 705, 719, 747s<br />

Hennig L., 776<br />

Henning J., 317<br />

Henocli, libro apocrifo di, 367<br />

Hering H., 538, 551, 714<br />

Hernegger B., 764, 795s<br />

Hervé J, M., 523<br />

Herwegen I., 310, 317<br />

Hìstoria lausiaca, 370<br />

Historia monachorum, 370<br />

Hittorp M., 516<br />

Hocedez E., 513<br />

Hoechstaeder W., 777<br />

Hoepfner M., 52<br />

Hofinger J., 772, 775<br />

Hoornaert R., 67ls<br />

Horner G., 169<br />

Hourcade R., 141<br />

Humbert A., 513<br />

Ignazio antiocheno, s., 73, 207, 280s,<br />

369, 577<br />

Ignazio di Loyola, s., 620, 622, 653, 655,<br />

688, 693, 704, 837<br />

<strong>Il</strong>ario, s., 89, 459, 469, 572<br />

<strong>Il</strong>arione, s., 370<br />

Indicuhts de grada Dei, 43, 496 s, 579,<br />

582<br />

Innocenzo I, 529<br />

Innocenzo XII, 307<br />

Ippolito di Roma, s., 23, 168, 171, 199,<br />

209, 220, 221s, 224s, 226s, 230s, 235, 381,<br />

388, 399s, 561, 582<br />

Ippona, concilio di, 212, 214<br />

Ireneo, s., 31, 154, 207, 222, 229, 231s,<br />

256, 288, 299, 305, 316, 399s, 402, 577,<br />

582s, 587, 813s<br />

Isacco abate, 675<br />

Isidoro di Siviglia, s., 559s<br />

James W., 153<br />

Jamet A., 680s, 689<br />

Janssens L., 522<br />

Jaspers K., 191<br />

Jenny H., 829<br />

Journet Ch., 258<br />

Jounel P., 428<br />

Joosen J. C, 430<br />

Jugie M., 580<br />

Jubilus rytmicus de nomine Jesti, 307<br />

Jung C. G., 81, 153<br />

Jungmann J. A., 9, 130, 177, 181, 195,<br />

INDICE DEI NOMI 849<br />

211, 215-18, 220s, 227s, 277, 281, 283,<br />

296, 310, 327, 328, 338, 811, 827, 829s,<br />

839<br />

Kant I., 191<br />

Kappler E., 812<br />

Kassiepe M., 632<br />

Killy H. E., 52<br />

Kirkegaard S., 261<br />

Kirsch C, 168<br />

Klauser Th., 9, 52, 58, 71, 310, 577<br />

Kleinknecht H., 52<br />

Klostermann E., 568s<br />

Koch L., 52<br />

Koetschau P., 567<br />

Kohlhaas R., 559<br />

Kollwitz J., 52<br />

Kowalski N„ 776<br />

Kraus H. J., 472<br />

Labourt H., 559<br />

Lacan M. F., 467<br />

Languet, 524<br />

Lattanzio, 381<br />

Le Bras G., 794<br />

Lechner J., 9<br />

Leclercq H., 8, 223<br />

Leclercq J., 561, 744, 746<br />

Lécuyer J„ 143, 153s, 276, 791<br />

Lefort L. Th., 561<br />

Lemarié J., 413<br />

Lengeling E. J., 776<br />

Lentini A., 469<br />

Léon-Dufour X., 430<br />

Léonard P. M., 64, 68<br />

Leone Magno, s., 75, 154, 264, 292, 394,<br />

396s, 413, 415, 419, 529, 561, 573, 770<br />

Leone XIII, 421s, 520, 523, 762<br />

Lepin, 460<br />

Lercaro card. G., 71, 288, 694, 795<br />

Lescrauwaet G. F., 777<br />

Lessio L., 516<br />

Lestringant P„ 448<br />

Liber mozarabicus sacramentorum, 229,<br />

241, 395, 415, 417-20, 424<br />

Liber ordinimi mozarabicus, 399, 401<br />

Liégé A., 819, 822<br />

Loehrer M., 577, 814<br />

Loew G., 58, 494<br />

Logsdon S. F., 467<br />

Lot-Borodine M., 558<br />

Lottin O., 138-42<br />

Louvel F., 819<br />

Low G., 58<br />

Lowe E. A., 418<br />

Lubienska De Lenval H., 63<br />

Lucien Marie de St. Joseph, 672<br />

Lundberg P., 340 n. 55<br />

Lutero M., 155<br />

Luykx B., 391<br />

Lyonnet S., 348


850 INDICI<br />

Mabillon J., 517<br />

Macario, 372<br />

Maertens Th., 465, 801<br />

Maggiolini S., 803<br />

Mahrenholz C, 776<br />

Mai A., 578<br />

Malco, 370<br />

Maldonado J., 516<br />

Malet A., 198<br />

Malone E., 369<br />

Mangenot E., 347, 366<br />

Mansi, 212<br />

Marco, <strong>liturgia</strong> di s., 220<br />

Marcosiani, gnostici, 399<br />

Marcotte E., 513<br />

Margherita M. Alacoque, s., 245, 495<br />

Maria dell'Incarnazione, ven., 679-85,<br />

688s, 693<br />

Mariani G., 71<br />

Maritain J., 46, 64, 690<br />

Maritain R., 690<br />

Marmion C, 619, 655<br />

Marrou H. J., 346<br />

Marsh H., 117<br />

Marsili S., 427<br />

Martène E., 517<br />

Martimort A. M., 60, 276s, 632, 791<br />

Martinet A., 141<br />

Martirologio romano, 315<br />

Martvrium Polycarpi, 216, 220s, 326, 791<br />

Massi P., 73, 264, 276, 803, 823<br />

Massimo, s., 420 n. 187<br />

Massimo confessore, s., 558, 574<br />

Massimo di Torino, s., 561<br />

Masure E., 46, 694<br />

Matura M. C, 271<br />

Màurini, 516<br />

Mayer A., 115<br />

Mayer-Pfannholz A., 310<br />

Médebielle A., 271<br />

Mediator Dei, enciclica: in genere: 8,<br />

10, 34, 109, 122, 133, 161s, 193, 259,<br />

264, 782; n. 2: 37; n. 3: 37, 42; n. 20:<br />

34, 37, 262; n. 22: 34, 37; n. 25: 8; n. 26,<br />

110, 193, 763; n. 27: 110, 133, 193; n. 28:<br />

193, 645; n. 29: 193, 645; n. 30: 193,<br />

645; n. 31: 193, 645; n. 32: 193, 645, 654;<br />

n. 33: 645; n. 34: 645; n. 35: 645; n. 36:<br />

133, 645; n. 37: 130, 638, 645, 654; n. 46:<br />

661; n. 47: 661; n. 78: 263; n. 79: 161,<br />

640; n. 80: 161; n. 81: 155, 161; n. 82:<br />

155, 161; n. 83: 155, 161, 268; n. 84:<br />

161; n. 85: 161; n. 86: 161; n. 87: 149,<br />

164; n. 88: 161; n. 89: 161; n. 90: 161;<br />

n. 91: 161, 788; n. 92: 161, 163, 788;<br />

n. 93: 71, 161; n. 94: 161; n. 95: 161,<br />

786; n. 96: 161, 786; n. 97: 161, 163,<br />

788; n. 98: 161, 163; n. 99: 161, 163;<br />

n. 100: 161, 163; n. 101: 161, 163; n. 102:<br />

161, 163; n. 103: 149, 161, 163; n. 106:<br />

786; n. 107: 634; n. 121: 625; n. 122:<br />

625; n. 123: 625; n. 124: 625; n. 125:<br />

625; n. 126: 625; n. 127: 625; n. 128:<br />

625; n. 129: 625; n. 130: 625; n. 131: 625;<br />

n. 132: 625; n. 133: 625; n. 134: 625;<br />

n. 135: 625; n. 163: 120; n. 169: 34, 42;<br />

n. 170: 632; n. 171: 625, 632; n. 172:<br />

625, 632, 654; n. 173: 625, 632; n. 174:<br />

625, 632; n. 175: 625, 632; n. 176: 625,<br />

632; n. 177: 634, 641; n. 178: 625, 632;<br />

n. 179: 625, 632; n. 180: 625, 632; n. 181 :<br />

625, 632; n. 182: 625, 632; n. 183: 625,<br />

632; n. 193s: 63, 71; n. 203: 42<br />

Medina B., 515<br />

Meersemann G. G., 422<br />

Meinertz M., 350<br />

Meister J., 780<br />

Melitene di Sardi, 560<br />

Menges H., 52<br />

Mennesier I., 195, 666<br />

Mercati G„ 212<br />

Messale ambrosiano, 392, 414<br />

Messale di Bobbio, 418<br />

Messale irlandese di Stowe, 177<br />

Messale romano, 31, 303, 395, 408, 413,<br />

416, 420, 655<br />

Metilde o Matilde di Hackborn, s., 696,<br />

705, 720; 737, 748<br />

Meyer R., 271<br />

Michel A., 44, 97, 572<br />

Michel I., 98<br />

Michele Cerulario, 580<br />

Michonneau G., 622, 757, 770, 773s, 795s<br />

Miller B., 502<br />

Miller J. H., 41<br />

Millet G., 257<br />

Milne, 324<br />

Minucio Felice, 367<br />

Missale gallicanum vetus, 329<br />

Missale gothicum, 343, 414, 418, 421<br />

Moelcaich, canone romano di, 177<br />

Moeller Ch., 779<br />

Mohlberg K., 23, 52s, 211s, 231, 233, 236,<br />

291, 303, 324, 329, 339, 342ss, 382-85,<br />

387, 389s, 392, 395, 397s, 400, 404, 407,<br />

410, 412, 414, 419s, 464, 572, 578, 579<br />

Mohrmann C, 565<br />

Molina L., 516<br />

Morin J., 516s<br />

Mosè Bar Kepha, 570, 559<br />

Mosè Maimonide, 543<br />

Muller F. K., 776<br />

Muratori L. A., 516s<br />

Narsete di Edessa, 559<br />

Nautin P., 230, 561<br />

Nerone, 361<br />

Nestorio, 579<br />

Nicea, Concilio di, 23, 256<br />

Nicola Cabasila, 558, 574<br />

Niebergall A., 814<br />

Novaziano, 199, 209


Oddone di Cluny, s., 326<br />

Oesterley W. O. E., 338 n. 44<br />

Oppenheim Ph., 255, 410, 479, 524, 607<br />

Optato di Milevi, 89, 577s<br />

Orange, Concilio di, 393<br />

Ordo administrandi extremam unctionem,<br />

401<br />

Ordo baptismi, 379<br />

Ordo baptismi adidtorum, 380, 382, 384,<br />

387s<br />

Ordo baptismi parvulorum, 380, 382,<br />

384, 387s<br />

Ordo excommtmicandi et absotvendi,<br />

397<br />

Ordo ad faciendam aqitam benedictam,<br />

407<br />

Ordo missae, 545<br />

Ordo monachorum, 643<br />

Ordo reconciliationis poenitentium, 398<br />

Ordo romanus X, 384<br />

Ordo romanus XI, 384<br />

Ordo hebdomadae sanctae, 417<br />

Origene, 23, 46, 54, 76, 88, 154, 199, 209,<br />

221, 255s, 286, 339, 342, 367, 369-72, 433,<br />

459, 469, 533, 555s, 565, 568s, 574, 578,<br />

582, 584, 587, 813<br />

Ortolan T., 366<br />

Oster H„ 26, 829<br />

Otto R., 153<br />

Paolo eremita, s., 370<br />

Paolo VI, 71<br />

Padri del deserto, 346<br />

Paquier R., 777<br />

Parsch P., 655, 782, 789, 829<br />

Pasquale U„ 834<br />

Passio di s. Perpetua, 369<br />

Passio di s. Saturnino, 327<br />

Paulon I., 757<br />

Pelagio, 578<br />

Pellegrino M., 561<br />

Perpetua s., 369<br />

Perrone G„ 520-24, 526, 529<br />

Pesch C, 523, 525<br />

Petavio D., 516s<br />

Peterson E., 335, 339ss, 343, 586<br />

Petit E., 811<br />

Pettazzoni R., 153<br />

Philippeau H. R., 325<br />

Piatti T., 463, 469<br />

Pichard J., 72<br />

Pidoux G., 470<br />

Pier Damiani, s., 744<br />

Pierret R., 829<br />

Pietro il follatore, 579<br />

Pietro Lombardo, 572<br />

Pinsk J., 317<br />

Pinto M., 479, 563<br />

Pio V, 283<br />

Pio IX, 507<br />

Pio X, s„ 782<br />

INDICE DEI NOMI 851<br />

Pio XI, 479, 485<br />

Pio XII, 10, 492, 638, 640, 695, 757, 776,<br />

782<br />

Piolanti A., 153s<br />

Pionio, s., 326<br />

Plinio il giovane, 168<br />

Plotino, 54<br />

Poggiaspalla F., 791<br />

Poleman P., 513<br />

Policarpo, s., 207, 221, 256, 326<br />

Pontet M., 815<br />

Pontificale romano, 180, 304, 390, 397s,<br />

400. 403-6, 424, 655<br />

Portier S., 229<br />

Poulain A., 687<br />

Prandi A., 64<br />

Preisker, 38<br />

Preuschen E., 567, 569<br />

Prospero di Aquitania, 496, 562, 577, 579<br />

Pseudo Barnaba, 586<br />

Pseudo Dionigi, 44, 54, 178ss, 558s, 574,<br />

588, 613, 620<br />

Pseudoclementine, 367<br />

Pseudoisidoriane, 391<br />

Quas primas, enciclica, 479, 485<br />

Quasten J., 53, 220, 395<br />

Quinet e Boyer, 834<br />

Quodvultdeus, 384<br />

Rabano Mauro, 560<br />

Rahner H., 52<br />

Rahner K., 46, 75, 133, 791<br />

Raimondo di Peiiafort, s., 664 n. 40<br />

Raitz von Frentz E., 34<br />

Rauch Ch., 782<br />

Raule A., 71<br />

Recheis A., 341, 371<br />

Régamey P. R., 63, 71<br />

Regola di s. Benedetto, "211, 342, 469,<br />

643<br />

Reidick G., 780<br />

Reitzenstein R., 116<br />

Renaudot E., 517, 524<br />

Rétif A., 811<br />

Rhodes A. B., 462<br />

Richelmy C, 795<br />

Ries J., 819<br />

Righetti M., 8s, 23, 60, 63, 90, 93, 227s,<br />

231, 233, 236, 279, 283, 285s, 324, 326,<br />

335, 338, 343s, 379, 383, 385, 389, 394,<br />

396, 403s, 407s, 516s, 560<br />

Rinaudo S., 459, 829<br />

Rituale romano, 94, 303s, 308s, 319s,<br />

339, 343, 379, 382, 384, 387s, 400ss, 405-8,<br />

421s, 655<br />

Riva S., 834<br />

Rivière J., 370<br />

Roatta I., 795<br />

Robben E., 803


852 INDICI<br />

Roberts C. H„ 230<br />

Robinson J. A., 220<br />

Roguet A. M., 46, 99, 193, 262, 538, 540,<br />

774, 800, 819, 829<br />

Romeo A., 34<br />

Roques R., 44, 558, 574<br />

Rossi U., 834<br />

Rousseau O., 466, 782<br />

Ruch C, 400<br />

Rudolf K., 624<br />

Rufino, 23 n. 2<br />

Sabourin L., 243<br />

Sacerdotale romanum, 421<br />

Sacramentario gelasiano, 23, 176, 214,<br />

231, 233, 236, 303, 324, 339, 34144, 382-<br />

85, 389s, 395, 397s, 400, 407, 410, 412,<br />

414, 419, 464, 572<br />

Sacramentario gregoriano, 176, 218, 344,<br />

395, 416s, 419s<br />

Sacramentario leoniano, 176, 214s, 228,<br />

291, 324, 344, 392, 395, 404, 414, 419s,<br />

424, 529, 572, 579<br />

Sacramentum ordinis, costituzione apostolica,<br />

492<br />

Sagnard F., 231<br />

Salaville S., 227ss, 558<br />

Salmanticensi, 516<br />

Salmon P., 459<br />

Sardi V., 507<br />

Sartory Th., 780<br />

Sartre J.-P., 191<br />

Saturnino s., 327<br />

Scharl E., 316<br />

Scheeben J. M., 525<br />

Scherer, 578<br />

Schillebeeckx E. H., 75, 540, 565, 568,<br />

571, 576, 601, 762, 805<br />

Schilier H., 807<br />

Schmidt H„ 776<br />

Schmidt K. L., 38, 154, 271<br />

Schmitt J., 246<br />

Schneider J., 38, 154<br />

Schreibmayer F., 834<br />

Schuermann H., 246, 811<br />

Schuermans Ph., 762<br />

Schulte H., 317<br />

Schuster I., 655<br />

Schwally Fr., 469<br />

Scott R. B. H„ 459<br />

Semmelroth O., 75, 762, 805<br />

Senaud A., 777<br />

Serapione, 226, 235, 282, 338, 387, 391,<br />

400, 406<br />

Sereno abate, 394<br />

Serpilli B., 370s, 412<br />

Seumois X., 424, 772<br />

Shepherd M., 245<br />

Sickenberger J., 561<br />

Siffrin P., 223<br />

Simeone di Tessalonica, 44, 558, 574<br />

Simon M., 430<br />

Smit J„ 347<br />

Snoeks R., 513<br />

Soehngen G., 28, 64, 117<br />

Sofronio di Gerusalemme s., 558s, 561<br />

Solano J., 324, 393<br />

Soressi M., 412<br />

Sorg R., 470<br />

Spadafora F., 271<br />

Spicq C, 26, 145, 159, 224, 250, 254,<br />

323, 567<br />

Spuelbeck A., 772<br />

Staehlin R., 9<br />

Staehlin W., 216, 777, 780, 823, 829<br />

Stanley D., M., 243, 246<br />

Staufer E., 348<br />

Stefano di Liegi, 211<br />

Stefano, papa, s., 578, 583<br />

Steinmann J., 314<br />

Stenzel A., 41, 231<br />

Strathmann H., 271<br />

Strothmann S„ 276<br />

Studer B., 579<br />

Stuiber A., 218<br />

Suarez F., 516<br />

Tanquerey A., 523, 525s<br />

Targum dello Pseudo Jonathan in Genesim,<br />

332<br />

Taulero J., 620<br />

Taylor V., 243<br />

Taziano, 367<br />

Tellenbach B., 577<br />

Teodoro di Andida, 558s<br />

Teodoro di Mopsuestia, 44, 382, 388, 557,<br />

570, 574, 579<br />

Teresa d'Avila, s., 438, 484, 622, 670ss,<br />

674, 680, 685s, 688s, 693, 728, 733-38,<br />

741<br />

Tertulliano, 23, 89s, 155, 199, 209, 216,<br />

255, 285s, 299, 304, 324, 339, 341, 368,<br />

378, 381, 388s, 396, 406, 427, 533, 557,<br />

571, 573, 577, 582s<br />

Testa E., 466<br />

Testamento di Aser, 332<br />

Testamento dei XII patriarchi, apocrifo,<br />

367<br />

Testamento di Giuseppe, 332<br />

Testamento di Levi, 332<br />

Testuz M., 560<br />

Thiel, 228<br />

Thils G., 301, 622<br />

Thomassin L., 516s<br />

Thompson C. H., 811<br />

Thurian M„ 777, 780<br />

Tiburzio, s., 420 n. 187, 551<br />

Timiadis E., 781<br />

Tilmann KX, 772, 834<br />

Tirone C, 696<br />

Tito di Bosra, 561<br />

Tito Livio, 143


Toleto F., 516<br />

Tommaso d'Aquino, s., 36, 42s, 49, 54,<br />

58, 61, 66, 76, 87s, 93s, 96, 99, 118s,<br />

124, 133, 136, 138, 14(H3, 147, 149-53,<br />

177-80, 198, 249, 258, 263, 293, 481, 502s,<br />

514ss, 519s, 522, 533, 538-47, 549, 551-55,<br />

576, 585, 588-95, 597, 599, 601s, 658,<br />

665s, 690s, 762, 769, 827<br />

Tondelli L., 26<br />

Tonolo F., 792<br />

Tonneau R., 557<br />

Tournay R., 458<br />

Tournely H., 518s, 521<br />

Traiano, 168<br />

Trambelas P., 781<br />

Travers C. M.,81, 538, 540, 801<br />

Trento, Concilio di, 36, 110, 155, 257,<br />

261, 515, 519, 523, 527, 607, 831<br />

Trinidad J. T., 28<br />

Triodion, 418<br />

Trombelli G. C, 518<br />

Turchi N„ 81<br />

Turck A., 81 ls<br />

Tyrér J. W., 220<br />

Tyrrell G., 153, 497<br />

Ubaldo, s., 420 n. 189<br />

Urbano Vili, 413<br />

<strong>Vagaggini</strong> C, 75, 109, 125, 198, 245s,<br />

248, 264, 293, 579, 748, 761, 779, 814<br />

Valentino, 367<br />

Valeriane s., 420 n. 187<br />

Van Acken I., 310<br />

Van Bekkum W., 772, 776, 793<br />

Vandenbroucke F., 366, 462<br />

Van den Eynde D., 23, 572<br />

Van den Ploeg P„ 448<br />

Van der Leeuw G., 64, 81<br />

Van der Meer F., 815<br />

Van Noort G., 523, 525<br />

Vasquez, 516<br />

Vaticano I, concilio, 527<br />

INDICE DEI NOMI 853<br />

Vaticano II, concilio, 7, lOs, 13, 25, 32.<br />

34, 42, 45, 71, 75, 108s, 128s, 134, 149,<br />

155, 156, 161, 193, 249, 259, 261-65, 273,<br />

277, 281, 283, 288, 296, 310s, 473, 480,<br />

555, 605s, 626s, 632, 634s, 637s, 640,<br />

644, 691, 695, 760s, 773, 779s, 782ss,<br />

789, 791, 793-96, 799-81, 825, 842<br />

Venanzio Fortunato, 418<br />

Verardo R., 61<br />

Verhaegen Ph., 801<br />

Verheyen M., 565<br />

Vigilanzio, 578<br />

Villet J., 672<br />

Villette L., 762<br />

Vincent F„ 625<br />

Vincenzo de' Paoli, s., 622<br />

Visentin P., 75, 565<br />

Vita Antonii, 372, 381<br />

Von Balthasar H. U., 88, 117, 567s<br />

Von Harnack A., 51s, 523s, 526, 531s<br />

Von Petersdorf E., 348, 406, 421<br />

Von Rad G., 460, 469<br />

Vriezen Th. C, 464<br />

Wagenwoort A., H., 577<br />

Wagner G., 63<br />

Waszink J. H., 368, 388, 430<br />

Wegenaert P„ 115, 119<br />

Weisemann E., 814<br />

Weisgerber F., 800<br />

Wendland P., 370<br />

Wenger A., 340, 387, 393, 557<br />

Weskamm G., 771<br />

White V., 502<br />

Will R., 56, 77, 79, 776, 786<br />

Willms H., 52, 54<br />

Wilson H. A., 395, 419<br />

Winklhofer A., 317<br />

Zaccaria F., A., 478s, 486, 518, 520ss,<br />

524, 529<br />

Zeno di Verona, 561, 573<br />

Zerwick M., 361<br />

Zosimo, 529


ABELE: primo giusto, 344; suo sacrificio<br />

figura tipologica e preparazione del<br />

sacrificio di Cristo 177; suo sangue<br />

figura del sangue di Cristo, 323<br />

ABRAMO: sua storia come segno, 76;<br />

suo sacrificio figura del sacrificio di<br />

Cristo, 177; padre del Nuovo Israele,<br />

272, 448; A. e Martirologio al 25 dicembre,<br />

315; A. e rito del battesimo,<br />

339; A. e messa dei defunti, 412; A. e<br />

<strong>liturgia</strong> dei defunti, 342; A. e Storia<br />

<strong>della</strong> Salvezza speciale, 815<br />

ACATISTO, Inno: e suo tema del trionfo<br />

<strong>della</strong> Croce nella lotta contro Satana,<br />

422<br />

ACQUA: battesimale: <strong>senso</strong> cristologico<br />

trinitario <strong>della</strong> benedizione del fonte<br />

battesimale e dell'acqua, 389s; a. b.<br />

e angeli, 339s; <strong>senso</strong> antidemoniaco<br />

<strong>della</strong> benedizione dell'a. b., 389s; a.<br />

lustrale: esorcismo sull'a. 1. e riconsacrazione<br />

del mondo infraumano al<br />

servizio <strong>della</strong> vita divina, 319s; a. 1. e<br />

lotta contro Satana, 406ss; goccia d'a.<br />

nel vino all'offertorio e suo significato<br />

secondo S. Tommaso, 545<br />

ADAMO: figura di Cristo, 430, 448; Cristo<br />

è novello A., 272; nos'ra solidarietà<br />

con A., 270s; A. e situazione primordiale<br />

dell'umanità in parallelismo<br />

con Cristo, 351; A. e suo peccato,<br />

importanza per la Storia <strong>della</strong> Salvezza<br />

concentrata in Cristo, 28, 37,<br />

84-87, 95ss, lOls, 114, 168, 297, 330, 363,<br />

386; A. ed Eva e loro vesti dopo<br />

l'espulsione dal Paradiso terrestre in<br />

rapporto alla veste prebattesimale,<br />

383; A. e suo peccato in S. Bernardo,<br />

739<br />

ADATTABILITÀ <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> ai diversi bisogni<br />

che si presentano, 310ss<br />

ADATTAMENTO liturgico, 310ss<br />

Ad coznam Agni providi: inno 419<br />

Adiutorium nostrum, 282<br />

INDICE ANALITICO<br />

ADMINISTRATIO: come Storia <strong>della</strong> Salvezza<br />

in S. Agostino, 814<br />

A domo tua, preghiera, 408<br />

ADORAZIONE: dovuta solo a Dio e a Cristo,<br />

146; spirito di a., 631; a. <strong>della</strong><br />

croce, come segno <strong>della</strong> vittoria su<br />

Satana, 418<br />

ADOZIAMSMO e <strong>liturgia</strong>, 579; a. spagnolo<br />

e <strong>liturgia</strong>, 478, 579<br />

ADOZIONE a figli di Dio: e spiritualità,<br />

619<br />

Aeterne Rex altissime: inno, 419<br />

AFFETTO: nella <strong>liturgia</strong>, 307ss, 630s, 650<br />

AGNELLO: il suo sangue fa che i fedeli<br />

vincano il Nemico, 365; insieme a<br />

Dio è capo <strong>della</strong> Gerusalemme Celeste;<br />

redime le genti da ogni tribù,<br />

lingua, popolo e nazione, 329; <strong>liturgia</strong><br />

intorno al trono dell'A. in Cielo,<br />

328, 334; nozze dell'A. nell'Apocalisse,<br />

94, 440<br />

AGNELLO PASQUALE: dell'A. T„ figura di<br />

Cristo, 449; sacramento dell'a. p. nell'A.<br />

T. secondo S. Tommaso, 547<br />

ALESSANDRO MAGNO: esempio <strong>della</strong> sua<br />

storia come diversità totale dalla Storia<br />

Sacra <strong>della</strong> Divina Salvezza, 19<br />

ALLEANZA ANTICA: tipologia <strong>della</strong> nuova<br />

a., 449<br />

ALLEANZA ETERNA: realizzazione perfetta<br />

dell'a. antica, 448<br />

ALLEGORIA: e tipologia, loro differenza,<br />

431 n. 3, 543; a. dell'A. T. e gnosi,<br />

585s; in S. Tommaso, 542<br />

ALLEGORISMO ELLENISTICO: diversità dalle<br />

visuali bibliche, suoi pericoli, 431,<br />

436, 543<br />

ALLEGORISMO: in Origene, 555; scritturistico<br />

e patristico: sua retta interpretazione,<br />

51s, 430-34, 564ss; sua differenza<br />

dall'a. ellenistico, 430ss; a. medievale,<br />

60, 555 n. 53. Vedi: Simbolo,<br />

Simbolismo


856 INDICI<br />

ALPINISMO: benedizione degli alpinisti<br />

nel rituale romano, 308s<br />

ALTARE: come mysterion secondo lo<br />

Pseudo Dionigi, 44; <strong>senso</strong> cristologico<br />

trinitario <strong>della</strong> consacrazione dell'a.,<br />

236; l'a. nell'antichità era ben<br />

visibile agli astanti, 279; sua deformazione<br />

funzionale nei secoli, 72; a.<br />

celeste nelle liturgie, 335<br />

Alto ex Olympi vertice, 440<br />

AMBROSIANA: <strong>liturgia</strong> a. ed epiclesi per<br />

la discesa dello Spirito Santo nella<br />

messa, 229; e <strong>liturgia</strong> dei malati come<br />

lotta contro Satana, 401<br />

AMEN: ratifica del popolo nella <strong>liturgia</strong>,<br />

278s; come risposta all'ecfonesi<br />

del celebrante dopo la preghiera silenziosa,<br />

282; a. del popolo come uso<br />

primordiale <strong>della</strong> Chiesa di Gerusalemme,<br />

528<br />

AMORE: come la <strong>liturgia</strong> comprende i<br />

testi dell'A. T. che inculcano l'amore<br />

di Dio per l'uomo e l'a. che l'uomo<br />

deve avere verso Dio e verso il suo<br />

prossimo, 660s; a. di Dio per noi e<br />

a. nostro verso Dio e verso il prossimo<br />

e Storia <strong>della</strong> Salvezza secondo<br />

S. Agostino, 814; a. nostro verso Dio<br />

e sua attuazione nella <strong>liturgia</strong> è attuazione<br />

dell'a. preveniente di Dio,<br />

661; a. come incessante omaggio di<br />

lode e di ringraziamento a Dio nella<br />

vita incentrata tutta sulla <strong>liturgia</strong>,<br />

714s. Vedi: Carità, Virtù, teologali. A.<br />

di Dio come vivo affetto che deve<br />

saper suscitare il predicatore, 815<br />

AMORE E PSICHE: come motivo pagano<br />

ripreso nell'arte paleocristiana, 456<br />

n. 14<br />

AMPLEXUS: O abbraccio divino nell'esperienza<br />

mistica, 699, 731s<br />

ANAFORA: significato generale, 171; teologia<br />

liturgica, 170ss; a. e mistero<br />

di Cristo, 171; anafore orientali, 171,<br />

227; a. di S. Basilio e la quadruplice<br />

dimensione del segno liturgico, 171-76;<br />

struttura tematica dell'a.: piano primitivo<br />

di Dio, 173; tema trinitario,<br />

172; tema cristologico, 173; ripresa<br />

in Cristo Redentore, 173; struttura<br />

cristologico-trinitaria delle a. e del<br />

canone romano, 224-29; in Oriente nel<br />

momento più solenne dell'a. si nasconde<br />

l'altare, 282; a. e sviluppo del<br />

culto dei santi, 326; nell'a. si sviluppa<br />

il concetto dell'incontro <strong>della</strong> Chiesa<br />

celeste e terrestre anzitutto e sopratutto<br />

nel sacrificio, 327; nell'a.<br />

si inserisce il Sanctus dal IV-V sec,<br />

338; vi si introducono novità durante<br />

i secoli, ma senza per questo intaccare<br />

l'unità <strong>della</strong> fede tra le Chie­<br />

se, 583; a. greca di S. Basilio, 172;<br />

a. di S. Giovanni crisistomo, 226; a.<br />

di S. Ippolito di Roma, 221, 224s, 227;<br />

a. di S. Marco, 220; a. di Serapione,<br />

226<br />

ANAKEPHALAIOSIS : come riunione e ricostituzione<br />

del cosmo sotto il dominio<br />

di Cristo secondo S. Ireneo, 316<br />

n. 44<br />

ANAMNESIS: 225s, 264, 329<br />

ANASTASIA S.: SUO prefazio nel Sacramentario<br />

gregoriano, 420<br />

ANGELI: unità del nostro mondo col<br />

mondo angelico secondo l'A. T.,<br />

330-33; gli a. secondo l'A. T. sono la<br />

corte celeste di Dio e i suoi ministri<br />

nel mondo, 330ss; gli a. lodano Dio<br />

incessantemente, 332; gli angeli secondo<br />

la teologia giudaica posteriore,<br />

332; unità del nostro mondo<br />

col mondo angelico secondo il N. T.,<br />

333s; l'a. del Signore, 333; classi degli<br />

a. nell'A. T., 331s; a. e mondo angelico,<br />

330s; a. come corte di Dio,<br />

337; a. come esecutori <strong>della</strong> divina<br />

volontà, 332s; sviluppo del culto degli<br />

a., 275s, 333; culto di S. Michele,<br />

275; festa degli a. custodi, 344s; gli a.<br />

nel Mistero di Cristo Storia Sacra:<br />

nell'annunciazione di Giovanni il Battista,<br />

333; nell'annunciazione a Maria,<br />

333; nell'Ascensione, 333; nella fuga<br />

in Egitto, 333; nella Parusia, 333;<br />

nella Passione, 333; nella Resurrezione,<br />

333; gli a. nella Storia <strong>della</strong> Salvezza:<br />

feste degli a. e Storia Sacra<br />

Mistero di Cristo, 184; a. e conversione<br />

dei peccatori, 333; a. custodi,<br />

accompagnatori, guardiani, protettori,<br />

332, 344, 421; a. protettori degli<br />

Apostoli, 333; a. protettori dei bambini,<br />

333; a. protettori <strong>della</strong> Chiesa,<br />

333; a. preposti da Dio agli elementi<br />

naturali, 332; a. <strong>della</strong> grandine, 368;<br />

a. delle piogge, 368; a. dei venti, 368;<br />

a. sopraintendenti agli elementi infraumani<br />

nell'Apocalisse, 317; a. e la<br />

gioia portata dall'eucarestia, 318; intercessione<br />

degli a., 333; angeli intermediari,<br />

332, 334; a. e lotta contro<br />

Satana e i demoni, 288, 341, 343, 420s;<br />

a. e ministero apostolico, 333; a. nella<br />

morte e nel viaggio nell'ai di là,<br />

341; S. Michele psicopompo, 298; a.<br />

come parte del Regno di Dio in lotta<br />

contro Satana, 361; a. e stato paradisiaco<br />

primitivo, 331; angeli sterminatori,<br />

332; a. e unità del cosmo nella<br />

mediazione suprema del Kyrios,<br />

628; a. e unità del cosmo in S. Gertrude,<br />

720s; a. nella <strong>liturgia</strong> in genere,<br />

344; a. e battesimo, 271s, 339s; a. e


enedizione <strong>della</strong> donna gestante,<br />

405; angeli e benedizioni, 274s, 342s;<br />

a. e commendatici anima;, 402; a. e<br />

compieta, 422; a. e consacrazioni,<br />

274s, 343; a. e <strong>liturgia</strong> dei defunti,<br />

341; a. e <strong>liturgia</strong> dei malati, 273s, 341;<br />

a. e matrimonio, 273, 340s; a. presenti<br />

alla messa, 184, 336-39; a. celeste<br />

nell'amministrazione dell'olio santo,<br />

401; a. nell'ordinazione, 273, 340s; a<br />

<strong>della</strong> penitenza, 273, 340; a. mediatore<br />

del sacrificio, 335ss; a. e Gloria<br />

in excelsis Deo, 333; a. e Salmi di<br />

lode cosmica, 332; a. e Salmo 90 <strong>della</strong><br />

compieta, 423; a. e ufficio canonico,<br />

274, 332, 342, 423; a. e <strong>liturgia</strong><br />

secondo S. Tommaso, 551; a. e <strong>liturgia</strong><br />

secondo S. Gertrude, 591-601; a. e<br />

santi nella Gerusalemme Celeste,<br />

322s, 428; a. e santi nella beatitudine<br />

celeste, 325; a. e santi nella <strong>liturgia</strong><br />

celeste eterna, 328; a. e <strong>liturgia</strong> angelica,<br />

329; a. e gloria futura, 308<br />

ANGELI CATTIVI, satelliti di Satana, 363,<br />

365, 388, 424<br />

ANGELOLOGIA: trattato degli a. e <strong>liturgia</strong>,<br />

600<br />

Anima Christi, 638<br />

ANIMA E CORPO: nella rivelazione, 298-301;<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 301-4<br />

ANIME DEL PURGATORIO: comunione dei<br />

vivi con le a.d.p. nella <strong>liturgia</strong>, 323-26;<br />

offerta del sacrificio <strong>della</strong> messa e<br />

opere pie eseguite per loro, 323-26;<br />

a.d.p. e unità di tutto il cosmo nella<br />

mediazione di Cristo, 628; a.d.p. e unitotalità<br />

del cosmo in S. Gertrude, 720,<br />

722s; devozione alle a.d.p. nel Medio<br />

Evo, 747<br />

ANNO LITURGICO: sua quadruplice dimensione<br />

teologica, 102s; omelie sull'a.l.<br />

nel periodo patristico, 560ss. Vedi:<br />

Cicli liturgici<br />

ANNUNCIAZIONE di Maria: e questione<br />

liturgica in S. Tommaso, 548<br />

ANTICO TESTAMENTO: prefigurazioni secondo<br />

S. Agostino, 43; A.T. e N.T.,<br />

loro unità, 428ss; relazioni tipologiche,<br />

447-51; culto dell'A.T. prefigurativo<br />

del culto di Cristo, del culto<br />

cristiano e <strong>della</strong> Gerusalemme Celeste,<br />

144 ss, 250ss, 255; precetti liturgici<br />

dell'A.T. 442; decalogo e <strong>liturgia</strong>,<br />

441; precetti ed ammonimenti dell'A.T.<br />

e <strong>liturgia</strong>, 441; A.T. e <strong>liturgia</strong>:<br />

come la <strong>liturgia</strong> comprende i testi<br />

dell'A.T. dei quali fa uso, 434-51; testi<br />

dell'A.T. che parlano di Dio nell'unità<br />

<strong>della</strong> sua natura usati dalla <strong>liturgia</strong>,<br />

210; A.T. e messa, 170; A.T. e canone<br />

romano, 17-63; A.T. e ciclo Avvento-Epifania,<br />

183; A.T. e ciclo Set-<br />

INDICE ANALITICO 857<br />

tuagesima-Pentecoste, 183s; A.T. e<br />

unità tra uomo e creatura infraumana,<br />

312ss; A.T. e angeli, 330ss;<br />

A.T. e gnosi, 587s; A.T. e spiegazione<br />

dei sacramenti cristiani e delle feste<br />

cristiane secondo i Padri, 573s; teologia<br />

del culto dell'A.T., specialmente<br />

dei sacrifici, dei sacramenti e delle<br />

osservanze sacre, nella Stimma th.<br />

di S. Tommaso, 542, 548<br />

ANTICOMUNISMO, opera pastorale e <strong>liturgia</strong>,<br />

oggi, 771<br />

ANTITYPOS, antitipo: 447s, 568<br />

ANTROPOLOGIA teologica: i temi antropologici<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 649s; il trattato<br />

dell'a.t. e la <strong>liturgia</strong>, 600<br />

ANTROPOMORFITI : setta cristiana, 675<br />

APERITIO AURIUM: o rito dell'Effeta, 387<br />

API: benedizioni delle a., 255<br />

APOCALISSE: 317, 440, 444, 452<br />

APOLOGETICA: la funzione apologetica<br />

<strong>della</strong> teologia è secondaria rispetto<br />

alla sua funzione irenica, contemplativa,<br />

534; necessità dell'a. tradizionale<br />

nonostante la conoscenza per<br />

connaturalità, 504ss; l'ideale positivo<br />

scolastico dell'a. dalle fonti in teologia,<br />

525s; esagerata preoccupazione<br />

a. <strong>della</strong> positivo-scolastica a causa<br />

del posto insufficiente ch'essa dà<br />

alla <strong>liturgia</strong> nella sintesi teologica,<br />

530-35; la funzione a. e la funzione<br />

irenica in ogni scienza e la questione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in teologia, 596-99; l'a.<br />

nel metodo scolastico, 549s; punto<br />

di vista a., reale ma secondario nell'interesse<br />

dei Padri per la <strong>liturgia</strong>,<br />

562ss; a., rivelazione e predicazione,<br />

809ss. Vedi: Arianesimo, Modernismo,<br />

Pelagianesimo, Semipelagianesimo,<br />

Protestantesimo<br />

APOLOGIE: <strong>della</strong> messa, 282s n. 31<br />

APOSTOLATO ESTERNO: e <strong>liturgia</strong>: 760-64<br />

APOSTOLI: loro memoria nella messa,<br />

327; e lotta contro Satana, 357; loro<br />

missione come lotta contro Satana,<br />

354s, 399<br />

APOSTOLICITA : <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nelle opinioni<br />

dei Padri, 479 n. 4, 577-84, 527-30,<br />

580-84; a. di uan dottrina provata dalla<br />

<strong>liturgia</strong> nei teologi positivo-scolastici,<br />

527-30, 532s<br />

APÓTAXIS: O rinunzia, e suo significato<br />

antidemoniaco, 389. Vedi : Syntaxis<br />

APPELLO: generale alla vita mistica, 742<br />

APPROPRIAZIONI TRINITARIE: e la formula<br />

« a-per-in-ad », 204s<br />

ARCA DI NOÈ: figura del battesimo, 448<br />

ARCA SANTA: dell'A.T., figura di Cristo,<br />

<strong>della</strong> Chiesa, delle Chiese cristiane,<br />

dei .fedeli cristiani, 466; l'a. dell'ai-


858 INDICI<br />

leanza è il trono di Dio nel Tempio,<br />

331<br />

ARCHITETTURA: e <strong>liturgia</strong>. Vedi Arte<br />

ARIANESIMO: uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella controversia<br />

ariana in genere,210s, 482;<br />

influsso <strong>della</strong> polemica ariana nel<br />

modo di considerare la Trinità presso<br />

i Padri, 208s; nella conclusione delle<br />

orazioni, 215-18; nelle anafore, 226-<br />

29; nelle dossologie liturgiche orientali,<br />

218-24; nella dossologia finale<br />

del canone romano, 222ss; nelle dossologie<br />

occidentali medievali, 223s;<br />

carattere antiariano <strong>della</strong> festa <strong>della</strong><br />

SS.ma Trinità, 239-42; gli ariani interpretavano<br />

secondo le loro opinioni<br />

l'antica regola per cui ogni orazione<br />

liturgica doveva essere indirizzata<br />

al Padre per mezzo di Cristo, 212<br />

n. 26, 577ss dal sec. IV specialmente<br />

in Oriente per reazione all'a. si accentua<br />

la considerazione diretta, di Gesù<br />

Cristo come Dio nell'unità di natura<br />

col Padre e con lo Spirito Santo,<br />

244<br />

ARMENI: loro abbandono del rito <strong>della</strong><br />

goccia d'acqua nel calice, 579 n. 88<br />

ARMONIA UNIVERSALE: tema antico stoico<br />

e gnostico nella teologia del segno, 55<br />

ARTE: come segno nella <strong>liturgia</strong>, 63-72;<br />

concetto di a., 66ss; concetto di a. e<br />

piacere estetico, 64ss; a. e moralità,<br />

66-70; a. religiosa: nozione, possibilità,<br />

condizioni, 70ss; interpretazione<br />

liturgica <strong>della</strong> Bibbia e a. antica, 455s<br />

ASCENSIONE: come evento <strong>della</strong> Storia<br />

Sacra e <strong>liturgia</strong>, 29, 102, 355, 415, 429,<br />

436; l'A.T. vi tendeva come evento<br />

<strong>della</strong> Storia Sacra concentrata in<br />

Cristo, 168; come mysterium, evento<br />

<strong>della</strong> Storia Sacra, 566; come mistero<br />

dell'Umanità di Cristo nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 747; A. e proclamazione liturgica<br />

dei relativi passi biblici, 453;<br />

è strettamente connessa col Mistero<br />

<strong>della</strong> Croce, 122; in sé non è atto<br />

meritorio di Cristo, 121; il Mistero<br />

di Cristo dopo l'A. si compie misticamente<br />

nei fedeli, 443; memoria che<br />

ne fa la Chiesa nell'eucarestia, 329;<br />

sua memoria nella messa in genere,<br />

171; sua memoria nell'anafora di san<br />

Basilio, 174s; sua memoria nel canone<br />

romano, 177, 227, 335; come festa<br />

liturgica, 182s, 548, 656; l'A. nel contesto<br />

del ciclo liturgico temporale,<br />

237s; l'A. festa liturgica come trionfo<br />

su Satana, 417; l'A. come evento<br />

trionfale su Satana, 353ss, 363, 419<br />

ASCENSIONE ascetico-mistica : in Origene<br />

contiene un quadruplice grado, 813<br />

ASCENSORII GRADUS IMAGINATIONUM : nell'esperienza<br />

mistica, 703s<br />

ASCESI: indagine dell'aspetto a. nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 8s; a. astratta, 300; l'a. è<br />

più severa in quaresima, 415; a. e<br />

mistica come principio illuminativo<br />

<strong>della</strong> lettura cristiana liturgica <strong>della</strong><br />

Bibbia, 432s; aspetto a. <strong>della</strong> tendenza<br />

alla perfezione cristiana, 613s; a.<br />

e spiritualità liturgica, 644ss; punto<br />

di vista a. nell'interesse dei Padri<br />

per la <strong>liturgia</strong>, 562ss; purificazione a.<br />

e spiritualità liturgica nella vita di<br />

S. Gertrude: compunzione, 707ss; purificazione<br />

da tendenze all'impazienza,<br />

709-12; da tendenze alla vanità,<br />

710; da tendenze alla collera, 71 ls; da<br />

tendenze alla sensualità ed all'estetismo,<br />

710s; forza purificatrice <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> nella vita di S. Gertrude,<br />

712s; sforzo ascetico, coscienza <strong>della</strong><br />

grazia e <strong>liturgia</strong>, 713s; amore come<br />

incessante omaggio di lode e di ringraziamento,<br />

714s; a. e demonologia,<br />

366. Vedi: Mistica<br />

ASCETICA E MISTICA: e insegnamento<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 605ss<br />

ASCETISMO: se disprezza la materia severamente<br />

respinto dalla Chiesa, 299<br />

ASPERSIONE: nei riti sui competentes,<br />

384<br />

ASSEMBLEA: la <strong>liturgia</strong> per natura si rivolge<br />

a tutta l'assemblea, 305; l'a. liturgica<br />

come espressione rituale <strong>della</strong><br />

natura comunitaria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

276ss; a. cristiana come segno persone,<br />

72; a. liturgica, suo significato<br />

<strong>teologico</strong>, 103; l'a. nella Chiesa primitiva,<br />

281; l'a. nella celebrazione<br />

eucaristica è strutturata gerarchicamente,<br />

278s; a. del Popolo di Dio:<br />

nei sacramenti vissuti integralmente,<br />

sale ai rapporti con Dio in quanto<br />

sono Storia Sacra, 628; uno dei<br />

massimi problemi dell'a. oggi è quello<br />

<strong>della</strong> partecipazione attiva, 283.<br />

Vedi: Ekklesia.<br />

ASSIMILAZIONE A CRISTO: alla sua luce<br />

vanno intesi i precetti ed ammonimenti<br />

dell'A.T., 442; come tendenza<br />

all'essere e all'agire cristiano in modo<br />

perfettivo, 613<br />

ASSISTENZA DEI FEDELI: e <strong>liturgia</strong>, non è<br />

condizione per una <strong>liturgia</strong> valida,<br />

786<br />

AUTORITÀ DELLA LITURGIA: nelle cose di<br />

fede ed in teologia: la <strong>liturgia</strong> come<br />

auctoritas nel quadro <strong>della</strong> quaestio<br />

e del metodo sic et non attraverso<br />

la teologia di S. Tommaso, 548ss; a.<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> a suo uso polemico<br />

presso i Padri, 577-84; a. <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>


presso i Padri e concetto di tradizione<br />

come centro <strong>della</strong> loro metodologia<br />

e criteriologia teologiche,<br />

581s; a. <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in Perrone, 520s;<br />

regole teoretiche per determinare nei<br />

singoli casi l'a. <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> riguardo<br />

alle cose di fede ed alla teologia,<br />

486-96. Vedi: Liturgia come locus<br />

theologicus prcestans<br />

AVVENTO: come fase del Mistero di<br />

Cristo nella messa, 182; a. ed esercizi<br />

spirituali, 656; a. come periodo prefestivo<br />

comporta la preparazione<br />

morale alla festa, 664<br />

AVVENTO-EPIFANIA: la quadruplice dimensione<br />

del significato del ciclo liturgico<br />

, A.-E., 102s; oggetto proprio<br />

di tale ciclo, 102s, 183; sue relazioni<br />

con l'A.T., 183; sua struttura teologica<br />

è cristologico-trinitaria, 239 n. 96;<br />

ciclo A.-E. ed angeli, 343s; A.-E. e<br />

lotta contro Satana, 413ss; A.-E. ed<br />

esercizi spirituali, 656; come la <strong>liturgia</strong><br />

in questo periodo interpreta le<br />

profezie messianiche di Isaia, 435s;<br />

444s; A.-E. e messa, 183<br />

AZIONE CATTOLICA: e sacerdozio universale<br />

dei fedeli, 153ss<br />

AZIONE LITURGICA: la <strong>liturgia</strong> come azione<br />

sacra, 277-84, 305ss; l'a.l. è azione<br />

sacra in rapporto alla situazione concreta<br />

e personale dei singoli che vi<br />

partecipano, 453ss; a.l. e grazia, 656,<br />

664; a.l. e compunctio, 662; a.l. e contemplazione,<br />

690; a.l. e sua efficacia e<br />

forza psicologica moralizzatrice, 663,<br />

665ss; a.l. ed esercizio delle virtù teologali<br />

e morali, 663; a.l. ed esperienza<br />

mistica, 688; l'a.l. va preparata e<br />

viene seguita dalla viva pratica delle<br />

virtù, 664, 667; a.l. e raccoglimento<br />

dei sensi esterni, 649<br />

AZIONI DEL CRISTIANO: trattato <strong>teologico</strong><br />

delle a.d.c. e rapporti con la <strong>liturgia</strong>,<br />

602<br />

ASSUNZIONE DI MARIA: definizione infallibile<br />

dell'a., 507 n. 30; a. e sua prova<br />

storica, 542 n. 46; l'esplicitazione di<br />

questo dogma di fede fa capire più<br />

profondamente i sensi del Magnificat,<br />

452; vari gradi impegnativi <strong>della</strong> fede<br />

riguardo alla festa dell'a. a diverse<br />

epoche, 477s, 490s; l'a. nei manuali<br />

<strong>della</strong> positivo-scolastica, 523, 527;<br />

sviluppo del dogma dell'a., 508; la<br />

prova apodittica dell'a. per sola via<br />

di ragionamento, 507; prova non per<br />

via storica, 532; definizione dell'a. e<br />

<strong>liturgia</strong>, 490, 495, 508; festa liturgica<br />

dell'a:, 452, 477, 490, 492ss, 519s, 523,<br />

656<br />

ASTRATTEZZA: nella <strong>liturgia</strong> e nella cate­<br />

INDICE ANALITICO 859<br />

chesi, 632s; a. e predicazione, 820s;<br />

822s<br />

ASTROLOGIA: e demoni, 367<br />

ATTEGGIAMENTI CORPOREI: come segni nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 63<br />

ATTI UMANI: a. di culto in <strong>senso</strong> stretto,<br />

144; a. esterni debbono essere<br />

regolati sempre dalla prudenza, 148;<br />

quelli interiori, invece, non soffrono<br />

mai per eccesso, 148<br />

ATTIVITÀ: ogni a. umana per sé onesta<br />

è santificata dalla <strong>liturgia</strong>, 308$; a.<br />

extraliturgiche considerate e vissute<br />

in clima di spiritualità liturgica come<br />

mezzi ordinati alla <strong>liturgia</strong> e<br />

come effetti da essa derivanti, 632ss,<br />

667s, 760-64; a. meditativa discorsiva<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 656<br />

ATTRIBUTI DI Dio: uso liturgico;-nei testi<br />

deH'A.T. che ne parlano, 436, 440; a.<br />

di Dio nei Salmi come tema principale,<br />

con invito a lodare Dio, 463,<br />

471s; a. di Dio quali appariranno da<br />

un Salmo come manifestazione divina<br />

personale al credente, 438<br />

AUDIENTES o AUDITORES: riti sugli a. e<br />

lotta contro Satana, 379-82<br />

Aufer a nobis: preghiera, 282<br />

Aurora lucis rutilai: inno, 419<br />

Aurora soli: inno, 422<br />

BABILONIA: simbolo del male nell'Apocalisse,<br />

e sua connessione demonologica,<br />

362<br />

BACIO DI PACE: 44, 336, 528<br />

BAMBINI: benedizione dei b., 100; b. e<br />

voto dell'eucarestia, 178; battesimo<br />

dei b., peccato originale e <strong>liturgia</strong>,<br />

489, 579; esorcismi su b., 379; catechismo<br />

ai b. e <strong>liturgia</strong>, 830-39<br />

BANCHETTO PASQUALE: giudaico, 92<br />

BAPTISMATA LACRYMARUM: ed esperienza<br />

mistica nei vari gradi, secondo il ven.<br />

Guigone certosino, 679<br />

BATTESIMO: azione santificatrice, quindi<br />

presupposto e parte essenziale <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, 41; b. come « rito », 74; rito<br />

battesimale come segno, 61, 76; la<br />

quadruplice dimensione teologica dei<br />

segni liturgici nel b., 89s; b., passaggio<br />

del Mar Rosso e arca di Noè,<br />

90; b. e arca di Noè, tipologia, 448;<br />

carattere del b. e culto, 149-53; b.<br />

e santificazione dei sensi nella signatio<br />

crucis, 303s; b. come manifestazione<br />

. <strong>della</strong> potenza di Dio, 439; b.<br />

celebrazione speciale del Mistero<br />

pasquale, 263; il b. perché eseguito<br />

in Christo è anche in Spiritu, 237s;<br />

b. come partecipazione alla natività


860 INDICI<br />

di Cristo, 454; b. come partecipazione<br />

al vero Israele, 464; b. inserzione<br />

nel Corpo di Cristo, 284; b. come<br />

iniziale imitatio Christi, 356; b. nell'iniziazione<br />

cristiana, 18Q, 285; b. ed<br />

eucarestia, 178; il b. conferisce il sacerdozio<br />

universale pienamente attuato<br />

nella partecipazione al culto e<br />

sacerdozio di Cristo, 167; b. e cresima<br />

conferiscono il sacerdozio universale<br />

dei fedeli, 164; il b. con la<br />

cresima e l'ordine è connesso più<br />

strettamente al culto, 151; b. connesso<br />

col culto in S. Tommaso, 150;<br />

b. e sua dignità in S. Agostino, 163;<br />

b. secondo lo « stile dell'uomo » in<br />

S. Giovanni Crisostomo, 76; b. come<br />

sacramentum militice, giuramento,<br />

in Tertulliano, 89; b. come speciale<br />

momento impegnativo, 650; b. e professione<br />

di fede nel catecumeno, 230;<br />

b. e lettura biblica di Col 3, 1-4 come<br />

situazione reale personale del<br />

cristiano singolo, 454; b. come mysterion<br />

in Origene, 569; b. come mysterion<br />

nel sec. IV, 570; b. come sacramentum<br />

in S. Agostino, 43, 61; b.<br />

come presupposto per la spiegazione<br />

dei sacramenta in S. Agostino,<br />

815; b. nella letteratura patristica<br />

d'interesse liturgico <strong>teologico</strong>, 557;<br />

b. come carattere sacramentale nella<br />

teologia del M.E., 154; struttura e<br />

significato cristologico-trinitari del<br />

b. : rito antico, 229-32; forma antica<br />

del b., 231s; b. nella prassi romana<br />

odierna, 232; valore comunitario ed<br />

ecclesiale del b. nel rito antico ed<br />

oggi, 284; b. e angeli, 339s; b. e lotta<br />

contro Satana, 369, 377-89; b. e<br />

ristabilimento <strong>della</strong> creatura infraumana<br />

al servizio <strong>della</strong> vita divina<br />

nel mondo, 318; tipologia del b. nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 450; b. e confermazione<br />

in <strong>senso</strong> antidemoniaco, 391; b. e rinunzia<br />

a Satana, 388; b. in quanto<br />

associa le cose materiali per trasmettere<br />

la vita divina agli uomini, 316,<br />

318s; b. e scrutimi, 387; 442; b. come<br />

liberazione dalla schiavitù di Satana,<br />

387; b. come momento iniziale<br />

<strong>della</strong> lotta contro Satana, 378; valore<br />

antidemoniaco del b., 369, 377-89, 378,<br />

383, 385s; b. e unzione crismale, 390;<br />

b. dei bambini per la remissione dei<br />

peccati, e <strong>liturgia</strong>, 489; b. dei bambini<br />

in S. Agostino, 579; b. degli adulti,<br />

304, 339; b. degli adulti e movimento<br />

cristologico-trinitario, 232; apostolicità<br />

del rito battesimale nel<br />

nucleo essenziale dimostrata e difesa,<br />

528; b. degli eretici valido, nella<br />

disputa tra S. Cipriano e S. Stefano<br />

papa, 583, controversia sulla validità<br />

del b. degli eretici e <strong>liturgia</strong>, 577s;<br />

trattato del b. e <strong>liturgia</strong> nella Summa<br />

th. di S. Tommaso, 545; b. causa<br />

strumentale <strong>della</strong> grazia secondo<br />

il Concilio di Trento, 110; b. nei trattati<br />

teologici <strong>della</strong> positivo-scolastica<br />

del sec. XVIII, 518; professione<br />

monastica come secondo b., 410s; b.<br />

ed iniziazione cristiana in S. Gertrude,<br />

698; b. nella riconsiderazione teologica<br />

del movimento liturgico sorto<br />

tra i protestanti, 780<br />

BATTESIMO DI CRISTO: festività, 548<br />

BATTESIMO DI GIOVANNI: 58<br />

BATTISTERI: loro decorazione antica,<br />

389 n. 86<br />

BEATI: nella gloria celeste, con gli angeli<br />

già formano comunione con noi,<br />

308; b. e angeli compiono ininterrotta<br />

<strong>liturgia</strong> celeste, 328<br />

BEATITUDINI: proclamate ad Ognissanti,<br />

ricordano che sono state la via dei<br />

santi per raggiungere la Patria celeste,<br />

455<br />

BENEDETTINI: spiritualità b. e spiritualità<br />

liturgica, 615, 641-44; movimento<br />

liturgico e b., 643; quadro esterno<br />

<strong>della</strong> spiritualità benedettina nel caso<br />

di S. Gertrude, 704ss<br />

Benedic: preghiera che riafferma il<br />

significato antidemoniaco <strong>della</strong> processione<br />

delle palme, 417<br />

Benedicite omnia opera Domini Domino,<br />

314, 726<br />

BENEDIZIONI: in genere, 100, 319; b. e<br />

angeli, 342s; b. costitutive come sacramentali<br />

cose, 98, 100; b. invocative<br />

come sacramentali azioni, 98,<br />

100; b. alle persone: di un abbate<br />

e messa, 181; dell'abbate, 650, 655;<br />

dei bambini, 98; <strong>della</strong> donna gestante,<br />

405; dei malati, 98, 100; del popolo<br />

col Santissimo, 98; degli sposi,<br />

98; b. dei prodotti naturali: b. di<br />

cose e riconsacrazione <strong>della</strong> creatura<br />

infraumana al servizio <strong>della</strong> vita<br />

divina nel mondo, 100; 320, 369; dell'acqua,<br />

100, 181, 407s; dell'acqua battesimale,<br />

236, 339, 379, 389; dell'agnello<br />

pasquale, 181; degli animali, 320;<br />

delle api, 320; dei campi, 98, 100; delle<br />

candele, 100; delle ceneri, 100; dei<br />

cibi, 181; del crisma, 391; del fonte<br />

battesimale e tipologia del diluviobattesimo,<br />

450; delle frutta, 181; contro<br />

gli insetti nocivi, 406; del latte,<br />

181; del miele, 181; dell'olio, 320, 399s;<br />

dell'olio per gli infermi, 181, 236, 406;<br />

del pane, 181; delle uova, 181; dell'uva,<br />

181; del vino, 181; b. delle realtà


umane al servizio dell'uomo: d'un<br />

aeroplano, 308; d'un archivio, 308;<br />

d'un automobile, 308; d'una biblioteca,<br />

308; d'una casa, 406; <strong>della</strong> camera<br />

nuziale, 404; <strong>della</strong> ferrovia, 308; d'una<br />

fornace, 308; d'un forno, 308; di nuove<br />

invenzioni, 308; d'una macchina<br />

elettrica, 308; d'una nave, 308; d'un<br />

ponte, 308; d'un pozzo, 308; d'un sismografo,<br />

308, d'una stalla, 406; del<br />

telegrafo, 308; d'una tipografia, 308;<br />

degli utensili, 98, 100, delle vesti, 409<br />

BIBBIA: e <strong>liturgia</strong>, 425-73; come sacramentititi<br />

in S. Agostino, 43. Vedi :<br />

Scrittura<br />

BIZANTINA, LITURGIA: messa e cheroubikon,<br />

336s; <strong>liturgia</strong> dei presantificati,<br />

336; di s. Basilio, 256; di s. Giovanni<br />

Crisostomo, 256; e trionfo <strong>della</strong><br />

S. Croce, 418<br />

BONA VOLUNTAS: O eudokia, è la visita<br />

di Dio al credente, 333<br />

BREVIARIO ROMANO: e venuta epifanica<br />

del Signore in <strong>senso</strong> antidemoniaco,<br />

413; b.r. e quaresima nella lotta contro<br />

Satana, 416; b. in genere, la sua<br />

riforma è meno necessaria <strong>della</strong> penetrazione<br />

ad assimilazione dei testi<br />

biblici e liturgici che contiene, 460;<br />

b. e meditazione in clima di spiritualità<br />

liturgica, 655. Vedi: Ufficio<br />

divino<br />

CADUTA DI ADAMO: come tema proposto<br />

all'intelligenza dalla <strong>liturgia</strong>, 649, 664;<br />

e. dell'uomo ed angeli, 331<br />

CAMERA NUZIALE: benedizione <strong>della</strong> e.<br />

n„ 404s<br />

CANONE ROMANO: e la quadruplice dimensione<br />

dei segni liturgici, 176s;<br />

dossologia finale del c.r., 223; struttura<br />

cristologico-trinitaria del c.r.,<br />

224, 226ss; il e. detto a voce bassa,<br />

282s; non vi predomina lo stile didattico<br />

diretto, 483; nel e. le preghiere<br />

Supra quse e Supplices esprimono<br />

l'unità dei fedeli con gli angeli<br />

nel sacrificio, 335; nel e. il Nobis<br />

quoque esprime il desiderio di raggiungere<br />

la perfezione dei santi e<br />

la loro beatitudine, 328 n. 20; c.r.<br />

nella recensione detta di Moelcaich,<br />

177<br />

CANTICO DI MOSÈ: nell'Apocalisse i beati<br />

hanno come inno il C.d.M. servo di<br />

Dio, 464<br />

CANTO: è il mezzo per eccellenza al fine<br />

di esprimere e creare il <strong>senso</strong> comunitario<br />

di partecipazione attiva alla<br />

<strong>liturgia</strong>, 64; suoi vantaggi e suoi pe­<br />

INDICE ANALITICO 861<br />

ricoli per innalzarsi a Dio nella preghiera<br />

liturgica secondo S. Agostino,<br />

69ss; letteratura intorno al pensiero<br />

dei Padri sul e. liturgico, 69 n. 71;<br />

esigenza comunitaria del e. liturgico,<br />

70ss; canto gregoriano, 643; parti cantate<br />

<strong>della</strong> messa spettanti al popolo<br />

e, sfortunatamente, rese difficili e<br />

riservate alla schola cantorum, 71,<br />

282s; nella messa anticamente le parti<br />

cantate o lette ex officio da un<br />

ministro non venivano lette privatamente<br />

dal celebrante, 283; canto popolare<br />

e sua necessità indispensabile,<br />

284; sue restrizioni storiche dannose,<br />

309; e. liturgico secondo S.<br />

Tommaso, 547; e. liturgico ed esperienza<br />

mistica secondo Cassiano, 676,<br />

677ss; secondo la ven. Maria dell'Incarnazione,<br />

683s; secondo un'inchiesta<br />

del p. Poulain, 687; e secondo S.<br />

Gertrude, 711, 732, 749; recitazione e<br />

canto dei Salmi ed esperienza mistica,<br />

686ss. Vedi: Arte come segno liturgico.<br />

CARATTERE BATTESIMALE: abilita al culto,<br />

162<br />

CARATTERE SACRAMENTALE: del battesimo<br />

e cresima, abilitano al culto secondo<br />

S. Tommaso, 150; c.s. e culto cristiano,<br />

149-53<br />

CARITÀ DI DIO: con la fede e la speranza<br />

sono sempre in azione nella <strong>liturgia</strong>,<br />

658; e. naturale di Dio è la sua stessa<br />

volontà verso di noi, 658<br />

CARITÀ: e <strong>liturgia</strong>, 482; e, fede e speranza<br />

in esercizio nell'azione liturgica<br />

nel quadro <strong>della</strong> virtù di religione,<br />

657-62; è più perfetto dedicarsi<br />

alle opere di e. o alla <strong>liturgia</strong>?, 764-68;<br />

come continua attuazione <strong>della</strong> virtù<br />

di religione, 658; la e. è diversa<br />

dalla fede e dalla speranza e quindi<br />

riceve un diverso accento, 622; e. come<br />

agire del cristiano attuante il suo<br />

essere, che è la grazia in quanto partecipazione<br />

alla vita divina, 612; la<br />

e. con la fede e la speranza ha per<br />

oggetto Dio secondo S. Tommaso,<br />

140; con la fede e la speranza è superiore<br />

alla virtù di religione, 141;<br />

e. è il culto totale a Dio offerto da<br />

Cristo, 840; e. come sommo omaggio<br />

a Dio nel culto, 659; e. è la disposizione<br />

essenziale per il culto e la<br />

santificazione, 824: la e. è continuamente<br />

richiesta dalla <strong>liturgia</strong>, 765;<br />

esercizio <strong>della</strong> e. nella <strong>liturgia</strong> e nell'apostolato<br />

esterno, 764ss; e. in quanto<br />

presenza totale al culto, 693; e. in<br />

quanto edificazione nel culto se-


862 INDICI<br />

condo s. Agostino, 660. Vedi: Amore;<br />

Virtù teologali<br />

CARNE: sua importanza fondamentale<br />

nella vita spirituale, 304, 578 n. 75.<br />

Vedi Anima e corpo; Corpo<br />

CARO SALUTIS EST CARDO secondo Tertulliano,<br />

304<br />

CATECHESI: C. primeva, 456; la e. biblica<br />

<strong>della</strong> Chiesa è essenzialmente la lettura<br />

e l'interpretazione liturgica <strong>della</strong><br />

Bibbia, 455; e. biblica e movimento<br />

liturgico nell'opera del p. Pius<br />

Parseli, 782; efficacia catechetica <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> in quanto catechesi azione<br />

comunitaria, 774ss, 639ss; la e. liturgica<br />

è il compito più importante <strong>della</strong><br />

pastorale liturgica, 792-98; la e. liturgica<br />

diretta, 799-802; predicazione generale<br />

e spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 802-11,<br />

804-9; opere mistagogiche principali<br />

<strong>della</strong> e. dei Padri ai catecumeni,<br />

557-62; e. liturgica nelle omelie sulle<br />

feste durante il periodo patristico,<br />

560ss; interesse catechetico dei Padri<br />

per la <strong>liturgia</strong>, 562ss; e. e kerygma<br />

nel N.T. e nella tradizione patristica,<br />

81 ls; la Storia Sacra come oggetto<br />

principale <strong>della</strong> e: per natura delle<br />

cose, 811-19, secondo la tradizione patristica,<br />

in specie secondo S. Agostano,<br />

e fino ai sec. XII-XIII, 815-19; catechesi<br />

e predicazione, 802ss; e. come<br />

programma <strong>della</strong> pastorale, 764; e. liturgica<br />

diretta in quanto predicazione,<br />

catechismo, insegnamento <strong>della</strong><br />

religione, 801; la e. si distingue sia<br />

dal kerygma sia dall'omelia, 802; la<br />

e. deve essere centrata sulle verità<br />

essenziali, come si faceva in antico<br />

ai catecumeni, 821; la e. al bambino<br />

deve essere teologale, cristocentrica,<br />

biblica, liturgica, vitale, concreta, 832;<br />

la e. al bambino deve avere per contenuto<br />

la Storia Sacra Mistero di<br />

Cristo, 832; per la e. efficace è indispesabile<br />

anche la formazione di idonei<br />

catechisti<br />

CATECHISMO: e <strong>liturgia</strong>, 830, ha stretti<br />

rapporti con la predicazione, 802; è<br />

preparazione indispensabile alla vita<br />

liturgica, 833; sua unità con la <strong>liturgia</strong>,<br />

832; la sua soluzione sta nell'incentramento<br />

nella Storia Sacra<br />

Mistero di Cristo, 832ss; questione<br />

odierna del e. e critiche mosse ai e.<br />

tradizionali, 830; e. ai bambini e <strong>liturgia</strong>,<br />

830-33; critica maggiore al e:<br />

è troppo astratto, 831; è troppo mnemonico,<br />

831; è troppo prevalente l'aspetto<br />

nozionale, apologetico e morale,<br />

831; il e. deve essere: più educativo,<br />

totale, più concreto, più in­<br />

tuitivo e sintetico, 831; il e. deve prospettare<br />

gli obblighi morali all'ombra<br />

<strong>della</strong> Storia Sacra Mistero di Cristo,<br />

833; il nuovo e. tedesco come saggio<br />

di soluzione del problema catechistico,<br />

834; il nuovo e. tedesco impregna<br />

l'intelligenza del bambino, ma anche<br />

la sua immaginazione, affetto, volontà,<br />

cooperazione attiva, 838; e. tedesco<br />

e Storia Sacra Mistero di Cristo,<br />

836; e. tedesco e rilevante posto che<br />

vi occupa la <strong>liturgia</strong>, 836; il e. tedesco<br />

è operante in atmosfera liturgica,<br />

836; esso rileva le sue dottrine<br />

fondamentali dalla <strong>liturgia</strong>, 836; il<br />

e. tedesco in atmosfera biblica, teologale,<br />

cristocentrica, liturgica, concreta,<br />

vitale, eminentemente pedagogica<br />

secondo la psicologia scientifica,<br />

835; divisione <strong>della</strong> materia del nuovo<br />

e. tedesco, 835; esso segue essenzialmente<br />

la costruzione del Simbolo,<br />

835; ed ha quindi l'impostazione <strong>della</strong><br />

Storia Sacra, 835; centri e riviste<br />

di catechistica, 830 n. 52; letteratura<br />

intorno al e. di spirito liturgico, 834<br />

n. 56<br />

CATECUMENATO: come mysterion <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

dal sec. IV, 570; e. a lotta contro<br />

Satana, 378-89; e. e <strong>liturgia</strong> nei<br />

teologi positivo-scolastici del secolo<br />

XVIII, 519 n. 21;<br />

CATECUMENI: la quaresima era il periodo<br />

per eccellenza <strong>della</strong> loro lotta<br />

contro Satana, 415; negli scrutini erano<br />

loro ripetuti precetti ed ammonimenti<br />

dell'A.T., 442; i riti dei e. sono<br />

uniti oggi con quelli del battesimo,<br />

386; i e. secondo l'Indiculus de gratta<br />

Dei, 497<br />

Cathisma: e il tema del trionfo <strong>della</strong><br />

Croce come trionfo su Satana, 418<br />

CECILIA, S.: esempio di martirio femminile<br />

come una delle forme più<br />

complete di vittoria nella lotta contro<br />

Satana, 420<br />

CENERI: la loro imposizione al primo<br />

mercoledì di quaresima è il segno<br />

simbolico <strong>della</strong> penitenza, 59; mercoledì<br />

delle ceneri, 59, 341<br />

CENTRE DE PASTORALE LITURGIQUE DI PA­<br />

RIGI: 10<br />

CERIMONIE: e oggetto <strong>della</strong> scienza liturgica,<br />

8; e. come segni sensibili,<br />

36ss; la quadruplice dimensione dei<br />

segni sensibili nelle e, 95ss; le e. giustificate<br />

dal carattere plenario cosmico<br />

<strong>della</strong> salvezza, 3014; e. nell'uso dei<br />

sacramenti e teologia secondo i positivo-scolastici<br />

del sec. XVIII, 519ss;<br />

l'apostolicità delle cerimonie in Perrone,<br />

522 n. 24; significato delle ceri-


monie dell'A.T. secondo S. Tommaso,<br />

542s; e. e controversia coi protestanti,<br />

516s<br />

CERO BATTESIMALE: è segno dell'aspetto<br />

positivo <strong>della</strong> nuova vita in Cristo<br />

vittorioso su Satana, 390<br />

CERULARIANA, controversia: e la <strong>liturgia</strong>,<br />

580<br />

Cheroubikon: canto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> bizantina,<br />

336<br />

CHERUBINI: nel Paradiso terrestre, 330s;<br />

e. in Ezechiele, 331; e. sopra l'Arca<br />

dell'Alleanza quali assistenti di Dio<br />

presente nel Tempio, 321 n. 25; e. nella<br />

<strong>liturgia</strong> dei malati, 341. Vedi:<br />

Angeli<br />

CHIAMATA UNIVERSALE ALLA VITA MISTICA:<br />

622, 671<br />

CHIESA: il mistero <strong>della</strong> Chiesa è Storia<br />

Sacra Mistero di Cristo, 29-32;<br />

e. comunità messianica, popolo santo,<br />

nuovo Popolo di Dio, nuovo Israèle,<br />

unico ricettacolo dello Spirito<br />

Santo, Corpo di Cristo fuori del quale<br />

non esiste salvezza, 30s, 125s, 271ss;<br />

e. nuova Eva, 31; e. madre dei viventi,<br />

31; e. sposa di Cristo, 31; e. unica<br />

sposa di Cristo, 31; e. oggetto <strong>della</strong><br />

santificazione ed oggetto del culto<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 82s, 87s; e. società sui<br />

generis e non semplice somma di individui<br />

che la compongono, ma un<br />

insieme indissolubile che risulta da<br />

Cristo Capo, dalla gerarchia come<br />

struttura" mediatrice umano-divina,<br />

mandataria e rappresentante di Cristo<br />

per sua volontà insostituibile,<br />

e dal popolo che attraverso la gerarchia<br />

è unito a Cristo suo Capo,<br />

131-34; e. Corpo di Cristo, 30s, 126s,<br />

131-34, 272ss, 275s; e. « sacramento<br />

d'unità » nella rinnovata teologia ecclesiologica<br />

del Conc. Vaticano II,<br />

265; la e. non si forma dal basso ma<br />

dall'alto, 131s; la crescita <strong>della</strong> e.<br />

avviene- per via sacramentale, 26; la<br />

<strong>liturgia</strong> come azione <strong>della</strong> e, come<br />

azione di Cristo nella e. e per la e,<br />

come culto integrale del corpo mistico<br />

di Cristo, Capo e membri,<br />

122-34, 253-60; 272-89; la e. e la legge<br />

<strong>della</strong> salvezza in comunità, 272-89; e<br />

la legge dell'incarnazione, 293s; la e.<br />

come tale viene attuata al sommo<br />

grado nell'azione liturgica, principalmente<br />

nella messa, 103-6, 170, 274ss;<br />

la e. depositaria del ministero <strong>della</strong><br />

Parola e dei riti liturgici, 824ss; determina<br />

l'esistenza e il <strong>senso</strong> dei segni<br />

liturgici che non sono d'istituzione<br />

divina, 57-60; la e. prega nella<br />

preghiera d'ogni fedele, ma vi sono<br />

INDICE ANALITICO<br />

863<br />

gradi diversi d'intervento nella sua<br />

intercessione presso Dio, 125-27, 130-34<br />

(vedi : Opus operantis Ecclesia.); e. e<br />

lotta contro Satana, 360-64; e. e Tempio<br />

di Gerusalemme, 465s; storia e<br />

vita <strong>della</strong> e. lume che fa capire più<br />

profondamente certi testi del N.T.,<br />

452; e. come mysterion derivato dal<br />

mysterion di Cristo secondo Origene,<br />

567ss; e. in Eph 3,21: dossologia,<br />

218s; nella dossologia finale dell'anafora<br />

"d'Ippolito di Roma e nelle dossologie<br />

<strong>della</strong> Traditio, 221 n. 50; infallibilità<br />

<strong>della</strong> e. provata dalla <strong>liturgia</strong><br />

secondo lo Zaccaria, 518; trattato<br />

<strong>teologico</strong> sulla e. e <strong>liturgia</strong>, 601; e. e<br />

teologia positivo-scolastica, 530-35.<br />

Vedi: Ekklesia, Mistero di Cristo,<br />

Storia Sacra<br />

CHIESA aempio: consacrazione di una<br />

e. e <strong>senso</strong> cristologia) trinitario, 236;<br />

riti <strong>della</strong> consacrazione d'una e, spiegati<br />

dai Padri, 558-62; consacrazione<br />

d'una e. e <strong>senso</strong> antidemoniaco, 480;<br />

e. cristiana e Tempio di Gerusalemme,<br />

465s<br />

CHRISTUS PASSUS ET GLORIOSUS: nella considerazione<br />

primaria fino al M.E., 747<br />

CHRISTUS PATIENS: nella considerazione<br />

a partire dal M.E., 747<br />

CHRISTUS TOTUS: capo e membra in S.<br />

Agostino, 461<br />

CICLI LITURGICI: loro significato genera^<br />

le, 182-85; oggetto proprio e quadruplice<br />

dimensione teologica del significato<br />

generale dei e. Avvento-Epifania<br />

e Settuagesima-Pentecoste, 102s,<br />

183; significato generale del santorale<br />

(e. mariano, e. degli angeli, e. dei<br />

santi), 184; ci. spiegati dai Padri,<br />

558-62; significato cristologico trinitario<br />

dei ci., 237-42; ci. e angeli, 343s;<br />

ci. e lotta contro Satana, 413-23<br />

CILIZIO : durante . l'esame per essere<br />

iscritto tra i competentes il catecumeno<br />

in Siria doveva tenersi su un e,<br />

382s<br />

CINA: esempio significativo di mancato<br />

adattamento liturgico in missione,<br />

775<br />

CIRCOLO DI BERNEUCHEN : sua importanza<br />

per il movimento liturgico protestante,<br />

777<br />

CIRCONCISIONE: Cristo assoggettandovisi<br />

ha scosso dal nostro collo il giogo del<br />

demonio, 414; la e. secondo S. Tommaso<br />

prefigura il battesimo, 545; significato<br />

<strong>della</strong> e. secondo S. Tommaso,<br />

548; festività, 392<br />

CITTÀ: le Due Città indicano la lotta<br />

tra la Città di Dio e la Città di Sa-


864 INDICI<br />

tana: tale lotta nella <strong>liturgia</strong>, 346-<br />

424; 467<br />

CITTA FUTURA: O Celeste: Vedi Gerusalemme<br />

celeste<br />

CLERO: e movimento liturgico, 509,<br />

792ss<br />

CLUNY: SUO significato per lo sviluppo<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 747<br />

Coelestis Urbs Jerusalem: inno dell'ufficio<br />

per la dedicazione d'una chiesa,<br />

440<br />

Coeli enarrant gloriarli Dei, 685<br />

COLERE: SUO significato nelle scienze religiose,<br />

143<br />

COLLAZIONI: di Cassiano, sviluppano il<br />

tema <strong>della</strong> lotta contro Satana, 370<br />

COLLETTIVISMO E LITURGIA: Vedi: Comunità,<br />

Individuo<br />

COMANDAMENTO DELL'AMORE: verso Dio<br />

e verso il prossimo, riassunti nel<br />

Decalogo, nel N.T. assume maggiore<br />

profondità che nell'A.T., 441<br />

COMANDAMENTI DI DIO: mezzi necessari<br />

per mantenersi in stato di grazia, base<br />

<strong>della</strong> tendenza verso la perfezione,<br />

616<br />

COMANDAMENTI DELLA CHIESA: mezzi per<br />

mantenersi in stato di grazia, base<br />

<strong>della</strong> tendenza verso la perfezione,<br />

616<br />

COMMEMORAZIONE DEI SANTI: si sviluppa<br />

in forma esplicita nelle anafore,<br />

accanto a quella dei defunti, almeno<br />

dal sec. V, 327; questo è un indice<br />

del forte <strong>senso</strong> <strong>della</strong> comunione coi<br />

Santi nell'antichità, 327<br />

COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI: come festa<br />

liturgica si diffuse in Occidente<br />

dal sec. X per opera di S. Oddone di<br />

Cluny, 325; insieme alla e. dei santi<br />

è un indizio del forte <strong>senso</strong> <strong>della</strong> comunione<br />

dei santi nell'antichità, 327<br />

COMMENDA ANIMAE: suo significato<br />

cristologico-trinitario, 236; suo <strong>senso</strong><br />

antidemoniaco, 325, 399ss; c.a. e parte<br />

degli angeli nella <strong>liturgia</strong> dei malati,<br />

341<br />

Commendo te: come formula augurale<br />

ed esoreistica <strong>della</strong> Commendatio animai<br />

nel rituale romano, esprime il<br />

<strong>senso</strong> antidemoniaco, 401s; et. e parte<br />

degli angeli nella <strong>liturgia</strong> dei malati,<br />

341<br />

COMMIXTIO: il rito <strong>della</strong> e. fu alterato<br />

dagli eretici Eutichiani, 579<br />

Communicantes: del canone romano,<br />

suo significato, 327<br />

COMMUNIO: già nel sec. V indica la<br />

comunione eucaristica, 394<br />

COMPETENTES: categoria di catecumeni<br />

impegnata al prossimo battesimo, di­<br />

versamente dagli audientes, 379; riti<br />

antidemoniaci sui e, 382-89<br />

COMPIETA : e lotta contro Satana, 422s<br />

COMPUNCTIO, COMPUNZIONE: nella tradizione<br />

spirituale antica, 622; esercizio<br />

<strong>della</strong> e. nella <strong>liturgia</strong>, 630, 662s; e. ed<br />

esperienza mistica secondo Cassiano,<br />

676s; e. e <strong>liturgia</strong> in s. Gertrude, 707ss;<br />

la e. nella <strong>liturgia</strong> è unita all'attuazione<br />

<strong>della</strong> volontà di Dio, 650; la e.<br />

è l'elemento che permea la virtù di<br />

religione nell'azione liturgica, 657; la<br />

e. terreno favorevole su cui nella <strong>liturgia</strong><br />

si sviluppa la contemplazione,<br />

679; la e. accompagna la nota dominante<br />

dell'amore in S. Gertrude, 714<br />

COMUNIONE EUCARISTICA: nell'iniziazione<br />

cristiana formava un rito omogeneo<br />

con battesimo e cresima, 180; nei<br />

tempi antichi non si concepiva l'azione<br />

liturgica <strong>della</strong> messa senza la ce.<br />

del popolo presente, 279; nel M.E. la<br />

ce. del popolo è quasi scomparsa,<br />

283; la ce, ha anche l'aspetto di riconsacrazione<br />

del mondo infraumano,<br />

319; ce. sotto le due specie reintrodotta<br />

dal Concilio Vaticano-II anche<br />

per i fedeli in vari casi, 632; ce.<br />

sotto la sola specie del pane nel<br />

trattato dell'eucarestia di S. Tommaso,<br />

545; ce. sotto le due specie, 519,<br />

545; ce. fuori <strong>della</strong> messa, 283; importanza<br />

<strong>della</strong> prima e. dei figli rispetto<br />

al fine del matrimonio, 178;<br />

e quotidiana, sotto una specie, del<br />

sacerdote durante la messa, sua distribuzione<br />

da parte del sacerdote o<br />

del diacono secondo S. Tommaso,<br />

545; ce. oggetto essenziale di attenzione<br />

nell'opera di S. Gertrude, 698<br />

COMUNIONE DEI SANTI: dogma che unisce<br />

i fedeli sulla terra coi beati e<br />

con le anime purganti, 324; la c.d.s.<br />

è specialmente viva con Maria, 326;<br />

c.d.s. e <strong>liturgia</strong>, 322-29; si realizza infatti<br />

sommamente nel sacrificio, 327;<br />

nella <strong>liturgia</strong> la c.d.s è reale e concreta,<br />

ma praticamente sconfinata,<br />

328; si scopre, con altre realtà, sopratutto<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 537; la c.d.s. è<br />

continuamente presentata dalla li<strong>liturgia</strong>,<br />

664<br />

COMUNISMO: importanza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

in funzione, benché derivata, anticomunista,<br />

secondo le esperienze attuali,<br />

771<br />

COMUNITÀ: la <strong>liturgia</strong> e la legge <strong>della</strong><br />

salvezza in e, 265-89; la salvezza<br />

in e secondo la Rivelazione, 269-74;<br />

e e individuo nella religione d'Israele,<br />

270s; la Chiesa e la legge <strong>della</strong><br />

salvezza in e, 274ss; la legge <strong>della</strong> sai-


vezza in e. e, l'incontro tra Dio e gli<br />

uomini in un regime di segni, 74-81;<br />

la natura comunitaria <strong>della</strong> messa,<br />

dei sacramenti, dell'ufficio divino nell'espressione<br />

rituale: storia ed attualità,<br />

276-89; spiritualità liturgica come<br />

spiritualità comunitaria, 627s; individuo<br />

e e. nella <strong>liturgia</strong>, 82s, 265,<br />

274ss, 287ss; nella pastorale, 756-59.<br />

Vedi: Individuo<br />

COMUNITARIETÀ : la e. teologica giuridica<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è salva in ogni atto liturgico<br />

validamente posto, ma la <strong>liturgia</strong><br />

tende a realizzare fondamentalmente<br />

la e. plenaria anche psicologica,<br />

CONCELEBRAZIONE : suo significato per lo<br />

spirito comunitario ecclesiale, 281;<br />

reintrodotta dal Concilio Vaticano II,<br />

infrangerà l'usanza del canone <strong>della</strong><br />

messa a voce inintelligibile, 284; significato<br />

<strong>teologico</strong> secondo S. Tommaso,<br />

545<br />

CONCOMITANZA MEDIATA: del Padre e dello<br />

Spirito Santo attraverso il Figlio<br />

nella comunione eucaristica 96<br />

CONCRETISMO: esigenza concretista del<br />

catechismo, e <strong>liturgia</strong>, 830s; e, predicazione<br />

e <strong>liturgia</strong>, 826s<br />

CONFERENZE SPIRITUALI: concretizzazione<br />

del metodo di meditazione, 620; come<br />

occasioni per la compunctio secondo<br />

Cassiano, 677<br />

CONFERMAZIONE: Vedi Cresima<br />

CONFESSIONE: Vedi Penitenza<br />

Cunfitemini Domino quoniam bonus:<br />

437<br />

Confiteor: 282<br />

CONOSCIBILITÀ DI DIO: attraverso le cose,<br />

56<br />

CONOSCENZA DI DIO: nella Bibbia implica<br />

non solo la e. intellettuale, ma<br />

anche la e. religiosa che implica volontà<br />

ed affetti e quindi la vita pratica,<br />

585; e. sperimentale del Verbo<br />

e <strong>della</strong> Trinità nella Ven. Maria dell'Incarnazione,<br />

683<br />

CONOSCENZA PER CONNATURALITÀ : e piacere<br />

estetico e <strong>liturgia</strong>, 66, 68; ed esplicitazione<br />

dei dogmi, 502; e arte e gusto,<br />

503; e <strong>liturgia</strong> nell'evoluzione dei<br />

dogmi, 506; e preghiera personale nei<br />

Salmi, quindi grado superiore di penetrazione<br />

delle cose divine, 458; ed<br />

esperienza mistica, 615<br />

CONSACRAZIONE: come uno dei sacramentali<br />

azioni, 98; di cose e ristabilimento<br />

<strong>della</strong> creatura infraumana<br />

al servizio <strong>della</strong> vita divina nel mondo,<br />

100, 319s; e. dei vescovi, acerdoti,<br />

diaconi e <strong>senso</strong> cristologicotrinitario,<br />

235; e. delle vergini e mes­<br />

28-11 <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...<br />

INDICE ANALITICO 865<br />

sa, 181; e. e angeli, 342s; e. di altare<br />

e movimento cristologico-trinitario,<br />

236; e. del calice, 100; e. di una chiesa<br />

come « rito », 74; di una chiesa e<br />

messa, 181; di una chiesa e significato<br />

cristologico-trinitario, 236; e. di<br />

una chiesa nella letteratura dei Padri<br />

di interesse liturgico, 558; e. <strong>della</strong><br />

chiesa come mysterion nel sec. IV,<br />

570; e. dell'imperatore come mysterion<br />

nello Pseudo Dionigi, 44; e. dei<br />

monaci nella letteratura dei Padri;<br />

558; e. dei monaci in quanto accettata<br />

da Dio, 100; e. degli olii nella letteratura"<br />

dei Padri d'interesse liturgico,<br />

558; e. dei sacerdoti nell'A.T. e suo<br />

significato in S. Tommaso, 548; con-"<br />

sacrazione delle vergini nella letteratura<br />

dei Padri d'interesse liturgico,<br />

558; e. delle vergini e suo significato<br />

cristologico-trinitario, 236; e suo<br />

significato antidemoniaco, 409<br />

COXSECRATIO MUNDI: per divina volontà<br />

è la mediazione del cristiano tra Dio<br />

e il mondo infra-umano, 156<br />

CONSIGNATIO (sphragis) : nei riti del battesimo,<br />

380s; in Africa ed a Roma<br />

dal sec. III-IV precedeva la degustazione<br />

del sale esorcizzato, 382: e. nella<br />

cresima: rimemora la Passione di<br />

Cristo ed indica l'appartenenza a<br />

Cristo stesso, 92 n. <strong>Il</strong>i; la e. nella<br />

cresima insieme all'imposizione delle<br />

mani ed all'unzione è materia prossima<br />

del sacramento, 318; e. come<br />

marchio di protezione contro Satana,<br />

381; e. crucis: suo <strong>senso</strong> antidemoniaco<br />

presso i Padri, 380<br />

CONTEMPLA : ultimo grado dell'ascensione<br />

spirituale nella tradizione monastica,<br />

dopo la lectio e la meditatio,<br />

705<br />

CONTEMPLAZIONE MISTICA : concetto, 613s;<br />

diversa importanza data alla c.m.<br />

dalle diverse scuole di spiritualità,<br />

622; inizio <strong>della</strong> c.m. e modo di comportarsi<br />

di chi la riceve, 671-74; posto<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella c.m. non spiegato<br />

da S. Teresa né da S. Giovanni <strong>della</strong><br />

Croce, 671-74; possibilità <strong>della</strong> c.m.<br />

nell'azione liturgica; 688ss; c.m. e <strong>liturgia</strong><br />

secondo Cassiano, 674-79: e<br />

secondo la ven. Maria dell'Incarnazione,<br />

679-85; e in S. Gertrude, 728-42;<br />

grazia mistica di e. nella ven. Maria<br />

dell'Incarnazione, 680; grazia mistica<br />

di e. in S. Gertrude, 729; grazia<br />

mistica di e. <strong>della</strong> Trinità in<br />

S. Gertrude, 739; c.m. e trafitta d'amore<br />

in S. Teresa d'Avila, 735<br />

CONTESTATIO : nel Messale di Bobbio,


866 INDICI<br />

418; per la messa dell'Assunzione nel<br />

Missale gothicum, 421<br />

CONTROVERSIE DOTTRINALI: nelle quali durante<br />

il periodo patristico si fece notevole<br />

ricorso polemico alla <strong>liturgia</strong>,<br />

577-80; e. pelagiana, 578; e. semipelagiana,<br />

579; e. cristologiche, 579; e. delle<br />

immagini, 579; e. adozianista, 579;<br />

e. ariana: Vedi Arianesimo<br />

CORPO: e anima nella rivelazione, 298-301;<br />

il corpo non è il nemico nato, ma il<br />

soggetto e lo strumento nella tendenza<br />

alle realtà superne al servizio<br />

di tutto l'uomo, 299; significato<br />

<strong>della</strong> mortificazione del corpo, 300s;<br />

dominio di Satana sul corpo dopo il<br />

peccato, secondo il N.T., 348ss; e secondo<br />

la tradizione posteriore, 367ss;<br />

valore cristiano del e. provato dall'eucarestia<br />

e dal rito dell'iniziazione<br />

cristiana; 577s; la carne è il cardine<br />

<strong>della</strong> salvezza secondo Tertulliano,<br />

304s; e. dell'Uomo Dio e unitotalità<br />

del cosmo, 314-17; e. e anima<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 301-5; presenza e sintonia<br />

del e. nella partecipazione alla<br />

<strong>liturgia</strong>, nella quale esso è attore e<br />

beneficiario assieme all'anima, 301-5;<br />

la <strong>liturgia</strong> si preoccupa anche <strong>della</strong><br />

salvezza del e, 302s<br />

CORPO MISTICO: sua volontà di porre<br />

segni efficaci del culto e <strong>della</strong> santificazione,<br />

109; nella sua totalità quindi<br />

pone atti di culto a Dio, 108; in<br />

quanto tale, ogni membro del e. m.<br />

riceve da Dio la grazia per mezzo<br />

dell'Umanità di Cristo, 114; dignità<br />

preminente <strong>della</strong> grazia <strong>della</strong> Chiesa<br />

in quanto c.m., 133; ogni e singolo<br />

membro è deputato per il carattere<br />

sacramentale al culto del c.m. totale,<br />

150; <strong>liturgia</strong> Come azione vitale<br />

complessa di tutto il corpo mistico,<br />

capo e membri, 480s; c.m. in<br />

S. Gertrude, 723ss. Vedi: Chiesa Ekklesia<br />

CORPUS DOMINI: messa e ufficiatura di<br />

tale festa sviluppano la tipologia dell'eucarestia,<br />

450; messa e ufficiatura,<br />

composte da S. Tommaso, modello<br />

di <strong>senso</strong> liturgico, 543; la festa del<br />

ed. è il culmine <strong>della</strong> pietà eucaristica<br />

del ME., 727<br />

Corpus Domini nostri Jesu Christi, 282<br />

Corpus tuum, Domine, 282<br />

CORTE CELESTE: 331, 333. Vedi: Angeli,<br />

Santi<br />

COSTANTINO MAGNO: la sua persona segna<br />

un termine per la storia <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, 607<br />

COSMO: come unitotalità e Regno di<br />

Dio nella Rivelazione e nella litur­<br />

gia, 298, 321; unitotalità del e. nei<br />

Salmi e nell'inno Benedicite omnia<br />

opera Domini Domino, 314; rottura<br />

dell'unità del e. per il peccato e suo<br />

ristabilimento per la redenzione, 316;<br />

unità del e. nell'Apocalisse, 316s;<br />

e. come unità in nei capitoli 2 e 3<br />

del Genesi, 330ss; unità del e. ed<br />

evoluzionismo mitigato, 312 n. 35,<br />

315 n. 39. Vedi: Unità, Unitotalità<br />

Creator alme siderum : inno dell'Avvento<br />

e lotta contro Satana, 413s<br />

CREATURA INFRAUMANA: ci., uomo e angeli<br />

nella legge dell'unitotalità cosmica<br />

del Regno di Dio, 298, 312-17; ci.<br />

ed unità con l'uomo a suo servizio<br />

per i fini <strong>della</strong> comunicazione <strong>della</strong><br />

vita divina nel mondo è più mirabile<br />

se si estende l'evoluzionismo mitigato<br />

al corpo dell'uomo, 315-19, 314s;<br />

ci. al servizio dell'uomo per lodare<br />

Dio, ecc., 314; ci. contraria all'uomo<br />

dopo il peccato di questo, 314; ci.<br />

serve a Dio per aiutare i suoi amici<br />

e punire i suoi nemici, 314; attuazione<br />

<strong>della</strong> ci. nella <strong>liturgia</strong> ai fini<br />

del Regno di Dio, 312-21; massima riconsacrazione<br />

<strong>della</strong> ci. alla vita divina<br />

nell'incarnazione del Verbo, 314s;<br />

ci. e atteggiamento di Gesù, 315s;<br />

ci., eucarestia e battesimo, 316; ci.<br />

e teoria dell'unità del cosmo in S.<br />

Paolo, 316; ci. e unità del cosmo nell'Apocalisse,<br />

316; la ci. è cultualmente<br />

attualizzata nelja <strong>liturgia</strong>, 317-21;<br />

ci. associata alla lode di Dio nell'ufficio<br />

divino, dove riceve a questo<br />

scopo una coscienza e una voce, 320s;<br />

uso <strong>della</strong> ci. nella <strong>liturgia</strong> mediante<br />

il simbolismo e l'esemplarismo, 321;<br />

ci. e dominio di Satana dopo il peccato<br />

dell'uomo secondo il N.T., 348ss;<br />

e secondo la tradizione posteriore,<br />

366, 71; ci. e spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in<br />

S. Gertrude, 725s<br />

CREAZIONE: nella Bibbia è considerata<br />

non metafisicamente, ma in rapporto<br />

con la storia concreta, 21; nella Bibbia<br />

interessa non solo Dio e l'uomo,<br />

ma anche gli angeli, 331; rivela l'unità<br />

tra tutto il cosmo e l'uomo, 312;<br />

effetto degli attributi di Dio onnipotente<br />

nei Salmi, con conseguente invito<br />

a lodarlo, 471; la <strong>liturgia</strong> la considera<br />

come punto tematico di partenza,<br />

463; è tema costante che la<br />

<strong>liturgia</strong> porta alla considerazione,<br />

664; e alla meditazione, 649; rimemorata<br />

nell'antica orazione dopo la prima<br />

lettura del Sabato Santo, 440;<br />

rimemorata nell'antica orazione dopo<br />

la nona lettura del Sabato Santo, 439;


modo in cui la <strong>liturgia</strong> intende i testi<br />

<strong>della</strong> Bibbia che parlano <strong>della</strong> creazione,<br />

464ss; e di Dio creatore, 439s;<br />

C, elevazione e Cristo, e Maria, 463s;<br />

e. come tema <strong>della</strong> Storia Sacra nella<br />

catechesi, 815<br />

CREDIBILITÀ: Vedi: Motivi Ai credibilità<br />

CREDO: come formula antidemoniaca<br />

e rafforzante la fede, 401. Vedi: Simbolo<br />

<strong>della</strong> fede<br />

CRESIMA: nell'iniziazione cristiana forma<br />

un rito omogeneo con battesimo<br />

ed eucarestia, 180; così come il battesimo,<br />

la e. poiché è conferita in<br />

Christo, è conferita in Spirita, 38; il<br />

sacerdozio universale deriva dal carattere<br />

del battesimo e <strong>della</strong> e, 164;<br />

e. e b. abilitano al culto secondo san<br />

Tommaso, 150s; la e. col battesimo e<br />

l'ordine è la più profonda abilitazione<br />

cristiana al culto divino dell'eucarestia<br />

secondo S. Tommaso, 151, 154; la<br />

quadruplice dimensione del segno sacramentale<br />

nella e, 92; e. ordinata all'eucarestia,<br />

178; significato cristologico<br />

trinitario <strong>della</strong> e, con speciale<br />

riferimento allo Spirito Santo, 232ss;<br />

la lettura di Col. 3,J-4 nella notte del<br />

Sabato Santo riprospetta la situazione<br />

personale individuale di ciascun<br />

cresimato, 454; valore comunitario<br />

ed ecclesiale del rito <strong>della</strong> e. anticamente<br />

ed oggi, 285; e. e ristabilimento<br />

<strong>della</strong> creatura infraumana al servizio<br />

<strong>della</strong> vita divina nel mondo,<br />

318s; <strong>senso</strong> antidemoniaco "<strong>della</strong> e,<br />

390ss; difesa dei riti <strong>della</strong> e. contro<br />

i protestanti presso i teologi positivoscolastici,<br />

518; trattato <strong>della</strong> e. e <strong>liturgia</strong><br />

nella Summa th. di S. Tommaso,<br />

545; la res <strong>della</strong> e. è ricevere lo<br />

Spirito Santo, secondo S. Agostino,<br />

44; e. come sacramentum secondo<br />

S. Agostino, 43; e. come mysterion<br />

dal sec. IV, 570; e. quale materia di<br />

trattazione <strong>della</strong> letteratura patristica<br />

d'interesse liturgico, 557; e. tema<br />

che è oggetto di considerazione in<br />

S. Gertrude, 698; e. presso"i protestanti<br />

nell'attuale riconsiderazione conseguente<br />

al movimento liturgico, 780<br />

CRISMA: come mysterion secondo lo<br />

Pseudo Dionigi, 44; benedizione del<br />

e, 391<br />

CRISTIANI ORIENTALI: non uniti a Roma<br />

e loro movimento liturgico moderno,<br />

780s<br />

CRISTIANIZZAZIONE: e <strong>liturgia</strong>, 771-76<br />

CRISTIANO: e lotta contro Satana, 358<br />

CRISTO: immagine di Dio, 52; nuovo<br />

Adamo, 272; Sommo Sacerdote del<br />

Padre, Pontefice, Liturgo, 161, 221,<br />

INDICE ANALITICO<br />

867<br />

223s, 241, 245s, 254, 256s, 259s, 265; unico<br />

Liturgo, la cui azione principale<br />

è la <strong>liturgia</strong>, 110-22, 114, 249-60, 253,<br />

272-89; unico Mediatore, 323; Capo degli<br />

angeli, 260; suo stato glorioso attuale,<br />

650; C. sacerdote nell'antica <strong>liturgia</strong>,<br />

747; Re, 182; Nome di Gesù<br />

segno di vittoria e suo <strong>senso</strong> antidemoniaco,<br />

378, 384s; centro <strong>della</strong> Storia<br />

Sacra, la quale è così Mistero di Cristo,<br />

28s; C. mysterion primordiale in<br />

Origene, 567ss; C. nelle anafore e nel<br />

canone romano, 224-29; il tema cristologico<br />

nell'anafora greca di s. Basilio,<br />

172-76; il culto cristiano come<br />

culto di Cristo Capo <strong>della</strong> sua Chiesa<br />

a Dio, a cui partecipano i cristiani<br />

e culto dei cristiani a Cristo, 34<br />

n. 2, 145s, 150-53, 258ss, 480s; il sacerdozio<br />

dei cristiani come partecipazione<br />

al sacerdozio di C. in virtù del<br />

carattere sacramentale, 150-53, 156-65;<br />

il sacerdozio celeste di C, 249-53; la<br />

presenza di C. glorioso nella <strong>liturgia</strong>,<br />

253-60; la questione <strong>della</strong> ripresentazione<br />

delle azioni storiche salutifere<br />

di C. nella <strong>liturgia</strong> e la teoria di O.<br />

Casel, 10 n. 10, 115-22; queste azioni,<br />

in quanto teandriche, esercitano un<br />

influsso di causalità efficiente, meritoria<br />

ed esemplare nella distribuzione<br />

<strong>della</strong> grazia agli uomini, 119-22; C.<br />

nella sua umanità è causa efficiente<br />

strumentale, causa meritoria ed<br />

esemplare, e quindi fonte di perfezione<br />

<strong>della</strong> santificazione e del culto<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 37ss, 82s, 87, 113-22, 258s,<br />

291 n. 1; C. ministro principale <strong>della</strong><br />

nostra <strong>liturgia</strong> sotto tutte le sue forme,<br />

255-60; tutta la <strong>liturgia</strong> — nelle<br />

orazioni, nelle dossologie, nella messa,<br />

nei sacramenti, nei sacramentali<br />

e nei cicli liturgici — è costruita secondo<br />

il movimento cristologico-trinitario<br />

nel quale C. appare anzitutto<br />

come il grande mediatore per cui<br />

dal Padre ci vengono tutte le grazie<br />

e tutte le cose ritornano al Padre,<br />

196-242, 628, 631, 649, 651s; C. prototipo<br />

<strong>della</strong> legge dell'incarnazione e quindi<br />

<strong>della</strong> Chiesa, <strong>della</strong> Bibbia, <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, 290-93; C. prototipo e capo<br />

<strong>della</strong> creazione nella sua unitotalità,<br />

e punto d'incontro fisico e morale<br />

tra Dio, l'uomo e la creatura infraumana,<br />

315s; il Tempio di Gerusalemme<br />

figura di C, 465s; il re d'Israele<br />

figura di C. nei Salmi e nella <strong>liturgia</strong>,<br />

465; il giusto nei Salmi è figura<br />

di C., 470s; C. e la creazione nei Salmi<br />

e nella <strong>liturgia</strong>, 462s; C. principio<br />

illuminativo nell'interpretazione del-


868 INDICI<br />

l'A.T., 428-51; <strong>liturgia</strong> come prova<br />

<strong>della</strong> divinità del Verbo, di C, <strong>della</strong><br />

vera sua Umanità e delle realtà del<br />

suo corpo fisico secondo F. A. Zaccaria,<br />

518; l'opera di C (battesimo,<br />

tentazioni, ministero pubblico) come<br />

lotta contro Satana nel N.T., 350-54,<br />

416; insieme alla tradizione più antica,<br />

la <strong>liturgia</strong> in C. considera anzitutto<br />

l'Uomo che nacque, patì e morì,<br />

ma è ora glorioso alla destra del Padre,<br />

è il Kyrios, quindi il nostro Sommo<br />

Sacerdote e Mediatore, 200-9, 220s,<br />

226s, 229s, 250-53, 624ss, 747s; la lite<br />

antiariana aggiunse anche nella <strong>liturgia</strong><br />

una più frequente insistenza sulla<br />

divinità di C direttamente considerata,<br />

e quindi sul Verbo o Figlio come<br />

uguale al Padre nella vita intratrinitaria,<br />

207s, 210s, 217s, 219s, 224,<br />

226s, 232; nella pietà del M.E. si aggiunse<br />

ancora uno spostamento d'accento<br />

che concentrò l'attenzione e<br />

l'affetto sull'umanità storica di Cristo<br />

prima <strong>della</strong> sua resurrezione, ma la<br />

cosa lasciò relativamente poche tracce<br />

nelle liturgie, 747s; unità del Mistero<br />

di C. dall'incarnazione alla Parusia,<br />

122; C. come oggetto <strong>della</strong> meditazione<br />

fatta secondo lo spirito<br />

liturgico, 649s; meditazione di C. e<br />

spiegazione <strong>della</strong> sua vita nelle feste<br />

liturgiche secondo S. Tommaso, 548<br />

n. 35; C. mediatore e vita liturgica<br />

in S. Gertrude, 718s, 732s, 739 n. 128;<br />

C. Sacerdote e Pontefice in Gertrude,<br />

719; devozione all'Umanità di C. in<br />

S. Gertrude e spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

747s. Vedi: Chiesa, Mistero, Storia<br />

sacra<br />

CRISTO RE: la festa di C. r. include una<br />

idea di fede, non è semplice opinione<br />

teologica, 491<br />

CRISTOCENTRISMO : <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 113,455s,<br />

631s; predicazione liturgica e desiderio<br />

d'una predicazione più cristocentrica,<br />

820, 822s. Vedi: Cristo<br />

CRISTOLOGIA: C. e <strong>liturgia</strong>, 600; controversie<br />

cristologiche e <strong>liturgia</strong>, 597;<br />

trattato <strong>della</strong> e. e <strong>liturgia</strong> in S. Tommaso,<br />

548 n. 35, 551s<br />

CRITERIOLOGIA TEOLOGICA: e regole per<br />

l'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nelle controversie<br />

presso i Padri, 581<br />

CRITICA STORICA: nell'indagine dell'autorità<br />

<strong>della</strong> teologia, 486s<br />

CROCE: nella vita di Cristo tutto tendeva<br />

alla e, in essa si compì nella sua<br />

integrità la nostra redenzione e cominciò<br />

il culto cristiano, 122; adorazione<br />

<strong>della</strong> e. come segno del trionfo<br />

di Cristo contro Satana, 418; signi­<br />

ficato antidemoniaco del segno di e,<br />

380s; la e. e la lotta contro Satana,<br />

417ss; la festa <strong>della</strong> e. e suo significato<br />

antidemoniaco, 418<br />

CROCIFISSO: rappresentato a partire dal<br />

M.E. negli strazi del suo dolore umano<br />

e <strong>della</strong> sua agonia, 747; devozione<br />

all'immagine del e. in S. Gertrude, 751<br />

CULTI MISTERICI PAGANI: 115S<br />

CULTO: nozione, 143s; divisioni sulla<br />

base soggettiva dell'eccellenza, 144ss;<br />

divisioni sulla base del soggetto che<br />

rende il e, 146ss; e. di dulia, 146; e.<br />

di latria, 146; il e. reso a Dio ha ragione<br />

di fine rispetto alla santificazione<br />

delle anime, 634ss; e. interiore,<br />

146ss; e. interiore mai eccessivo, 148;<br />

ma nel e. esteriore si può peccare<br />

sia per eccesso sia per difetto, 148;<br />

e. sociale e privato, 82, 87s, 143-49;<br />

e. cristiano, nozione, 145s; e. sul Golgota<br />

a Dio Padre, 541; e. eterno e<br />

cosmico <strong>della</strong> Gerusalemme Celeste,<br />

84, 87; e. come adificatio fidei, spei<br />

et caritatis in S. Agostino, 660; e. e<br />

santificazione nella <strong>liturgia</strong>, 35, 95,<br />

135ss; e. e santificazione, causa efficiente,<br />

84; e causa esemplare, 84; e<br />

causa finale, 84; e causa formale intrinseca,<br />

82; e causa njateriale, 83;<br />

e. delle immagini, 548; e. delle reliquie<br />

e <strong>liturgia</strong>, 489, 548; e. giudaico,<br />

145; e. pagano, 388; e. idolatrico, 542;<br />

e. e filosofia, 152; e. e psicologia religiosa,<br />

152; e. e storia delle religioni,<br />

152; valore prefigurativo del e. nell'A.T.<br />

rispetto al e. cristiano e al e.<br />

celeste, 145, 255s, 465s; caratteri sacramentali<br />

come abilitazione al e,<br />

149-53; e. <strong>della</strong> Chiesa come partecipazione<br />

<strong>della</strong> Chiesa al e. di Cristo<br />

verso Dio e al e. <strong>della</strong> Chiesa verso<br />

Cristo. Vedi: Cristo; teologia del e.<br />

nella Summa th. di S. Tommaso,<br />

540ss; come la nozione di e. entra<br />

nella definizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 33s;<br />

fenomenologia del e, 77s; la realtà<br />

e. è al primo piano nella <strong>liturgia</strong> di<br />

istituzione ecclesiastica, 95; il e. nel<br />

cristianesimo e nelle religioni precristiane,<br />

96; il e. incluso nei sacramenti<br />

deriva dall'eucarestia, 179s; il massimo<br />

e. in genere è quello del sacrificio,<br />

142, 157s; la messa come sommo<br />

e, 167-70; e. nell'A.T. secondo la Summa<br />

th. di S. Tommaso, 547s; e. dei<br />

santi e <strong>liturgia</strong> in Perrone, 522 n. 24;<br />

e. di Cristo, delle immagini, delle<br />

reliquie secondo S. Tommaso, 548<br />

n. 35<br />

CUORI: scambio dei cuori come esperienza<br />

mistica in s. Gertrude, 735s


DA'AH: ebraico: conoscenza, sapienza,<br />

specialmente riferita alla sapienza di<br />

Dio nell'A.T., 585; da'ath Jahweh, conoscenza<br />

di Jahweh nell'A.T., 585s<br />

DAIMCNIA : concetto ellenistico di spiriti<br />

che abitano il cosmo, accettato dai<br />

cristiani, 368<br />

DAVID: il re D. è figura di Cristo nell'A.T.,<br />

449; esempio di spirito tutto<br />

ripieno di compunctio, 663<br />

DECALOGO: deriva dal Patto tra Dio ed<br />

Israele, 20; la profondità dei contemporanei<br />

è norma per comprendere<br />

il d. nell'uso liturgico, 434; come<br />

la <strong>liturgia</strong> comprende i precetti del<br />

d. dell'A.T., 441; il d. letto nella <strong>liturgia</strong><br />

con riferimento all'economia nuova<br />

<strong>della</strong> salvezza, 442<br />

DEDICAZIONE: d'una chiesa e tipologia<br />

<strong>della</strong> presenza di Dio e Gerusalemme<br />

Celeste come tema dei Salmi, 466; e<br />

tipologia Gerusalemme terrestre —<br />

Chiesa — Gerusalemme Celeste, 450;<br />

d. d'una chiesa e <strong>senso</strong> antidemoniaco,<br />

405s, 408; d. d'una chiesa come<br />

mysterion secondo lo Pseudo Dionigi,<br />

44<br />

DEFINIZIONE DEI DOGMI: e parte che vi<br />

ha la <strong>liturgia</strong>, 500-8<br />

DEFUNTI: ad essi ed ai vivi il sacrificio<br />

eucaristico porta un flusso di vita,<br />

318; d. e <strong>liturgia</strong>: <strong>liturgia</strong> e comunione<br />

tra i fedeli di questa terra e quelli<br />

che sono d. in stato di grazia,<br />

323-26; offerta <strong>della</strong> messa per i d.<br />

e utilità delle preghiere offerte per -<br />

loro, 324s, 489, 518, '580s; formulari di<br />

messe per i d., dittici dei d., commemorazione<br />

di tutti i d., memento<br />

dei d., 324s; festa <strong>della</strong> commemorazione<br />

di tutti i d., 325; <strong>liturgia</strong> per i<br />

d. e angeli, 341s; <strong>liturgia</strong> per i d. e<br />

lotta contro Satana, 406, 411ss; demoni<br />

e d. nel giudizio particolare secondo<br />

Origene, 370s; offertorio <strong>della</strong><br />

messa per i d., 370 n. 37; uso antico<br />

di deporre le specie eucaristiche nella<br />

bocca o sul petto dei d., 394 n. 100;<br />

ufficio supererogatorio per i d. nel<br />

M.E., 747; il tema dell'elezione e <strong>della</strong><br />

liberazione del popolo di Dio nel<br />

Salmo In exitu Israel de Mgypto applicato<br />

alla morte di ogni fedele, 464;<br />

suffragi per i d. secondo S. Tommaso,<br />

548 n. 35<br />

DE LOCIS THEOLOGICIS : la <strong>liturgia</strong> nel trattato<br />

d.l.th. presso i teologi positivoscolastici,<br />

519-24. Vedi: Liturgia locus<br />

theologicus prastans; Metodologia<br />

teologica<br />

DEMONI: satelliti di Satana, 348s; opinioni<br />

patristiche intorno ai d., 366-71;<br />

INDICE ANALITICO<br />

869<br />

giudizio su tali opinioni, 371-77; cacciata<br />

dei d. e predicazione del Regno<br />

di Dio come due temi dell'ultima<br />

missione di Cristo agli Apostoli, 355;<br />

nella Bibbia il culto idolatrico è culto<br />

dei d., 349, 357, 368; come telonai,<br />

esattori, nella tradizione ellenistica,<br />

370<br />

DEMONIACI: la questione dei d. nel N.T.,<br />

349, 372-77<br />

DESPOTA: O Signore, è il titolo proprio<br />

al Padre nell'azione liturgica secondo<br />

la tradizione antica, 213<br />

Deus, Deus meus, respice in me, quare<br />

me dereliquisti : Salmo 21 letto come<br />

testo profetico dell'A.T. nella <strong>liturgia</strong><br />

<strong>della</strong> Settuagesima e Pentecoste<br />

(tractus <strong>della</strong> Domenica di Passione),<br />

445<br />

Deus misericors, Deus clemens: preghiera<br />

<strong>della</strong> riconciliazione dei penitenti,<br />

398<br />

Deus plasmator corporum: preghiera<br />

del rito <strong>della</strong> consacrazione delle vergini<br />

e suo <strong>senso</strong> di lotta contro Satana,<br />

409<br />

Deus qui humanaì substantiai: significato<br />

<strong>della</strong> sua introduzione nella <strong>liturgia</strong><br />

<strong>della</strong> messa, 282 n. 31<br />

Deus qui miro: preghiera soppressa<br />

<strong>della</strong> processione delle palme, e suo<br />

<strong>senso</strong> antidemoniaco, 417<br />

Deus qui nos patretn et matrem: preghiera<br />

con cui S. Gertrude suffragava<br />

i genitori defunti, 723<br />

Deus tu conversus; significato <strong>della</strong> sua<br />

introduzione nella <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> messa<br />

282 n. 31<br />

DEVOTIO: nozione, 142s; d. e forza moralizzatrice<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 666s; d. e<br />

rapporti con la religione, 138; la d.<br />

ha il suo culmine nel sacrificio, 158;<br />

d. e <strong>liturgia</strong>, 484; la d. come totale<br />

devozione a Dio è sviluppata nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 662; per S. Cipriano la d. e<br />

la fede sono l'arma del cristiano, memore<br />

del suo sacramentum, 90; secondo<br />

S. Leone, deve emergere soprattutto<br />

durante la quaresima, 415;<br />

analisi filosofica e teologica che ne<br />

ia S. Tommaso, 539<br />

DEVOVERE: SUO significato, 143<br />

DEVOZIÓNI: nozione, 142; d. particolari,<br />

619ss;~ importanza diversa data alle<br />

d. dalle diverse scuole cattoliche di<br />

. spiritualità, -620; d. extraliturgiche e<br />

<strong>liturgia</strong>, 768; libri medievali di preghiere<br />

e d. private e <strong>liturgia</strong>, 743s;<br />

le d. nel M.E., 746s; d. e vita liturgica<br />

in S. Gertrude, 715-28, 746-51; d. eucaristica:<br />

tenuta presente dalla spiritualità<br />

Iiturgico-eucaristica, 632; in


870 INDICI<br />

quanto rientra tra i « pii esercizi »,<br />

il Concilio Vaticano II prescrive che<br />

la d. eucaristica venga adeguata e subordinata<br />

alla <strong>liturgia</strong>, 800 n. 3; d.<br />

mariane ed accuse dei protestanti,<br />

778; d. private: secondo la mente<br />

<strong>della</strong> Chiesa sono subordinate alla<br />

<strong>liturgia</strong>, 626; d. moderne ed accuse<br />

dei protestanti, 778<br />

DIACONI: la loro parte nella <strong>liturgia</strong> è<br />

di probabile origine <strong>della</strong> Chiesa apostolica,<br />

528; <strong>senso</strong> cristologico-trinitario<br />

<strong>della</strong> consacrazione dei d., 235s<br />

DIATHÉKE: la nozione di Patto sia nell'A.T.<br />

sia nel N.T. comporta un fòrte<br />

richiamo all'impegno del contraente,<br />

91<br />

DIAVOLO: Vedi: Satana<br />

DTDACHÈ: o insegnamento, come mezzo<br />

d'introduzione ulteriore alla fede dopo<br />

il kerygma, 811. Vedi: Didascalia<br />

DIDASCALIA: o insegnamento, come mezzo<br />

d'introduzione ulteriore alla fede<br />

dopo il kerygma, 811; in che <strong>senso</strong><br />

la <strong>liturgia</strong> può essere detta la d.<br />

<strong>della</strong> Chiesa, 479-86<br />

DIDATTICA : fine didattico e fine culturale<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 480-83; nella iturgia<br />

non predomina lo stile didattico diretto,<br />

e tuttavia la <strong>liturgia</strong> ha grande<br />

efficacia didattica, 483-86<br />

DIGIUNO: e lotta contro Satana, 359,<br />

417; d. e quaresima, 667s; come la<br />

<strong>liturgia</strong> comprende i precetti del d.<br />

nei testi dell'A.T., 442; d. eucaristico<br />

secondo S. Tommaso, 545; il d. con<br />

la preghiera, le buone opere, la lettura<br />

e la meditazione <strong>della</strong> Bibbia<br />

è un mezzo per realizzare in mysterio<br />

il Mistero di Cristo, 415; d. come<br />

sacramentum in S. Agostino, 43; la<br />

res del d. è la macerazione spirituale<br />

secondo S. Agostino, 44; per divina<br />

Provvidenza, il d. e le pie opere nella<br />

quaresima cancellano le colpe secondo<br />

S. Leone, 415s; d. come uno<br />

dei sacramentalia dopo il sec. XIII,<br />

98<br />

DILUVIO: figura del battesimo, 448s; tipologia<br />

del d., 450; tema biblico del<br />

d., 430<br />

DIO: come sposo del suo popolo nella<br />

tematica dei Salmi, 440; protettore<br />

del giusto e pio israelita nella tematica<br />

dei Salmi, 440; i disegni di Dio contro<br />

Satana non implicano affatto un<br />

dualismo, 365; Città di Dio, 344. Vedi :<br />

Città; tendenza <strong>della</strong> Bibbia a riservare<br />

il nome Dio al solo Padre, 212s;<br />

il « Dio » cui si indirizzano le orazioni<br />

antiche <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è il Padre,<br />

anche se la conclusione delle pre­<br />

ghiere è semplicemente Per Christum<br />

Domìnum nostrum, 212ss; nel<br />

Sacramentario gregoriano alcune orazioni<br />

sono indirizzate direttamente<br />

al Figlio e quindi il Deus (Domine)<br />

è inteso del Figlio, 218; modi diversi<br />

di considerare il mistero di Dio nell'unità<br />

<strong>della</strong> natura e nella trinità<br />

delle Persone, 197-200; il Dio <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> è anzitutto il Dio Trinità,<br />

209 s; l'unità <strong>della</strong> natura divina nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 209ss; Dio e uomo, grazia<br />

e sforzo umano nella spiritualità liturgica,<br />

112, 628; come la <strong>liturgia</strong>, alla<br />

luce delle realtà eristiche, cristiane,<br />

escatologiche comprende i testi dell'A.T.<br />

che parlano degli attributi di<br />

Dio e <strong>della</strong> sua azione nel mondo,<br />

437-40, 471s; Dio Re nei Salmi e nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 471s; santità di Dio nel nuovo<br />

catechismo tedesco, 838; trattato<br />

di Dio Unitrino e <strong>liturgia</strong>, 600; trattato<br />

De Deo uno e <strong>liturgia</strong> in S. Tommaso,<br />

551<br />

DIOCESI: è il punto di convergenza na<br />

turale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 789; la vita liturgica<br />

<strong>della</strong> d. intorno al vescovo deve<br />

essere valorizzata, 790; la d. deve tornare<br />

ad essere l'entità sacrale ed<br />

eucaristica per eccellenza, e non solo<br />

entità giuridico-amministrativa, 791<br />

DIRITTO LITURGICO: l'errore di concepire<br />

la <strong>liturgia</strong> e la scienza liturgica essenzialmente<br />

come d.l. o rubricistica,<br />

7s, 603s; l'aspetto giuridico nella<br />

<strong>liturgia</strong> e nel suo insegnamento,<br />

605ss; il d.l. teologicamente comprensibile<br />

solo sullo sfondo <strong>della</strong> legge<br />

<strong>della</strong> salvezza in comunità, 288s; la<br />

<strong>liturgia</strong> anticamente di d. episcopale,<br />

a partire dal sec. XVI è essenzialmente<br />

di diritto pontificio, 488s; il trattato<br />

De iure liturgico di F. A. Zaccaria,<br />

518 n. 18; il Tractatus de iure<br />

liturgico di Ph. Oppenheim, 607 n. 6<br />

DISCEPOLI: la missione di Cristo ai 72<br />

discepoli e suo <strong>senso</strong> antidemoniaco,<br />

355. Vedi: Apostoli<br />

DISCESA ALL'INFERNO: SUO <strong>senso</strong> nel ciclo<br />

liturgico ecclesiale insieme agli altri<br />

eventi <strong>della</strong> vita di Cristo, 183; d.a.i.<br />

come trionfo su Satana, 353; la d.a.i.<br />

come trionfo su Satana nel ciclo liturgico<br />

Domenica di Passione-Ascensione,<br />

417; d.a.i. come trionfo su Satana,<br />

tema usuale nella <strong>liturgia</strong>, 419;<br />

d.a.i. come tema accennato da san<br />

Tommaso in connessione con la <strong>liturgia</strong>,<br />

548<br />

DISCORSO DELLA MONTAGNA: dà la necessaria<br />

luce ai precetti ed ammonimen-


ti dell'A.T., 442; e questo viene rilevato<br />

dalla <strong>liturgia</strong>, 442<br />

DISCREZIONE: virtù dell'uomo spirituale<br />

secondo Cassiano, 675<br />

DISPENSATIO, dispensatio temporalis :<br />

concetto di Storia Sacra <strong>della</strong> divina<br />

salvezza secondo S. Agostino, 814s<br />

DITTICI DEI DEFUNTI, 306 n. 20, 324s. Vedi :<br />

Defunti<br />

DITTICI DEI VIVI : e dei defunti, 306 n. 20<br />

DIVINA COMMEDIA: nel Purgatorio IX<br />

Dante introduce gli angeli che dopo<br />

la penitenza e la purificazione segnano<br />

la fronte del penitente col segno<br />

del rinnovamento, 341 n. 60<br />

DOCILITÀ: alle ispirazioni <strong>della</strong> grazia,<br />

617, 625<br />

DOGMA: accuse dei protestanti e dei<br />

razionalisti di novità nei d. cattolici,<br />

528ss; liti dogmatiche e <strong>liturgia</strong>, 577-<br />

80; regole per determinare fino a quale<br />

punto ciò che si trova nella <strong>liturgia</strong><br />

sia d. di fede, 486-96; come nella<br />

spiritualità liturgica viene presentato<br />

e vissuto l'insieme dei d., e in quale<br />

<strong>senso</strong> la spiritualità liturgica è una<br />

spiritualità dogmatica, 627s, 630s; desiderio<br />

di una predicazione liturgica<br />

e dogmatica, 820, 822; attenzione relativa<br />

prestata ai diversi d. <strong>della</strong> fede<br />

e vita liturgica in S. Gertrude, 715-28;<br />

influsso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sulle formule<br />

dogmatiche secondo i modernisti,<br />

496s, 500s, <strong>liturgia</strong> come espressione<br />

mezzo corroborativo nei fedeli dei d.<br />

già esplicitati, 498 ss; evoluzione dei<br />

d. e <strong>liturgia</strong>: la conoscenza dell'evoluzione<br />

dei d. fa capire meglio i rapporti<br />

tra fede e <strong>liturgia</strong>, 477ss; l'evoluzione<br />

dei d. e delle dottrine si riflette<br />

anche nella <strong>liturgia</strong>, 491ss; l'importanza<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel processo<br />

esplicitativo dei d., 500-8; l'imperfetta<br />

coscienza esplicita dell'evoluzione<br />

dei d. fu uno dei punti che impedì ai<br />

Padri di precisare l'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

nelle questioni di fede, 580-84;<br />

anche i teologi positivo-scolastici non<br />

dettero sufficiente attenzione all'evoluzione<br />

dei d. nella stessa questione,<br />

532s, 522 n. 24; l'evoluzione dei d. sta<br />

in una luce che fa capire più profondamente<br />

in quale <strong>senso</strong> certi testi<br />

dell'A.T. sono usati nella <strong>liturgia</strong>,<br />

452. Vedi: Fede, Metodologia<br />

DOGMATICA: la questione come la <strong>liturgia</strong><br />

debba essere assimilata nella teologia<br />

sintetica generale, detta teologia<br />

dogmatica, 509-12; come ciò avviene<br />

nella teologia positivo-scolastica,<br />

51737; e nella teologia di S. Tommaso,<br />

538-55; e nella teologia dei Pa­<br />

INDICE ANALITICO 871<br />

dri, 556-90; riflessioni teoriche per la<br />

soluzione <strong>della</strong> questione sulla base<br />

del concetto di teologia, 591, 602<br />

Domenica V dopo l'Epifania: 452<br />

Domenica VI dopo l'Epifania: 452<br />

Domenica delle palme: 417<br />

Domenica I di quaresima, 416 n. 172<br />

Domenica IV di quaresima: 450<br />

Domenica di Passione, 237s, 451<br />

Domenica in Albis: 450<br />

Domenica IV dopo Pentecoste: 455<br />

Domenica V dopo Pentecoste: 455<br />

Dominus Deus Sabaoth: cantato dai<br />

beati secondo una visione mistica in<br />

cui S. Gertrude vide una <strong>liturgia</strong> celebrata<br />

da Cristo e dagli angeli e beati<br />

in cielo, 719<br />

Dominus dixit: messa, 723<br />

Domine exaudi orationem meam: significato<br />

<strong>della</strong> sua introduzione nella<br />

messa durante il M.E., 282 n. 31<br />

Domine lesu Christe Fili Dei vivi: significato<br />

<strong>della</strong> sua introduzione nella<br />

messa durante il M.E., 282 n. 31<br />

Domine lesu Christe qui dixisti: significato<br />

<strong>della</strong> sua introduzione nella<br />

messa durante il M.E., 282 n. 31<br />

Domine non sum dignus: significato<br />

<strong>della</strong> sua introduzione nella messa<br />

durante il M.E., 282 n. 31<br />

DONATISMO: controversia donatista e<br />

sviluppo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 578<br />

DONI DELLO SPIRITO SANTO : per alcuni teologi<br />

non sono abiti specificamente<br />

diversi da quelli delle virtù infuse,<br />

612 n. 1<br />

DONNA DELL'APOCALISSE: coronata di dodici<br />

stelle, e <strong>liturgia</strong>, 452<br />

DOSSOLOGIE: struttura cristologico-trinitaria<br />

delle d. liturgiche greche, 218-<br />

22; e di quelle latine romane, 222ss;<br />

d. latine nel M.E. indirizzate direttamente<br />

alla Trinità, 223s; nel N.T. la<br />

d. è risposta alle operazioni divine<br />

<strong>della</strong> creazione e specialmente <strong>della</strong><br />

Storia <strong>della</strong> Salvezza, 219; nel N.T.<br />

considerate come conseguenza degli<br />

attributi divini, 219; vi sono antiche<br />

dossologie binarie, cioè indirizzate<br />

al Padre e al Figlio, 220; la più completa<br />

d. secondo lettera e spirito del<br />

N.T., e la più comune prima <strong>della</strong><br />

lite ariana, era quella indirizzata al<br />

Padre per Christum in Spiritu, 221s;<br />

la grande d. è il Gloria in excelsis<br />

Deo, 343; d. antiche occidentali, 223;<br />

d. a conclusione del canone romano,<br />

217, 223; nella <strong>liturgia</strong> romana oggi<br />

prevale il tipo di d. trinitaria antiariana,<br />

224; d. a conclusione del canone<br />

ambrosiano, 229; la d. distingue<br />

le persone divine ma ne riafferma al


872 INDICI<br />

contempo l'unità di natura, 240; d.<br />

secondo il De Spiritu Sancto 25ss di<br />

S. Basilio e controversia relativa,<br />

578, 584 n. 107<br />

DOTTRINA CRISTIANA: 830. Vedi: Catechismo<br />

DOULEIA: 146<br />

DOVERI: di giustizia e carità, o <strong>liturgia</strong>,<br />

617; del proprio stato e tendenza alla<br />

perfezione in genere, 617s, 641s; la<br />

spiritualità liturgica non presuppone<br />

uno stato di vita determinato, ma è<br />

proposta dalla Chiesa per essere realizzata<br />

nell'adempimento dei d. di<br />

qualsiasi stato di vita determinato,<br />

ma è proposta dalla Chiesa per essere<br />

realizzata nell'adempimento dei<br />

d. di qualsiasi stato, 635ss, 641-44; d.<br />

del proprio stato come indispensabili<br />

alla spiritualità liturgica, con le<br />

virtù morali, il desiderio <strong>della</strong> perfezione,<br />

la preghiera, la mortificazione<br />

e la docilità alla grazia, 625; d. del<br />

proprio stato in quanto subordinati<br />

alla <strong>liturgia</strong> come preparazione o<br />

conseguenza vissuta dell'azione liturgica,<br />

626; d. del proprio stato e loro<br />

quadro generale per la pratica delle<br />

virtù, 667<br />

DROMENON: ciò che si compie: la <strong>liturgia</strong><br />

si presenta anzitutto come una<br />

azione sacra, 305<br />

DUALISMO: non ne esistono tracce nel<br />

N.T. in quanto Storia Sacra, 365; reazione<br />

di Paolo a tendenze dualistiche,<br />

315 n. 41; dualismo e <strong>liturgia</strong>. Vedi:<br />

Carne, Corpo<br />

DUE CITTX: dottrina. Vedi: Città<br />

DULIA: culto di d., 146<br />

ECCLESIA DEI. Vedi : Ekklesia<br />

ECCLESIASTICA OBSERVATIONES : secondo<br />

Origene comprendono i riti liturgici<br />

e sono comprese nel concetto di mysterion,<br />

569<br />

ECCLESIOLOGIA: trattato <strong>teologico</strong> <strong>della</strong><br />

Chiesa e <strong>liturgia</strong>, 601; e. nella teologia<br />

positivo-scolastica, 531. Vedi: Chiesa<br />

ECFONESI : parte finale ed a voce alta di<br />

una preghiera che il sacerdote recita<br />

in segreto, 282<br />

ECONOMIA DI DIO : o <strong>della</strong> salvezza : come<br />

visuale complessiva del mondo dove<br />

Dio interviene in vista <strong>della</strong> salvezza,<br />

565; è retta da alcune leggi supreme,<br />

189; già secondo gli antichi ha centro<br />

nel Mistero pasquale, 811 n. 18; vi ha<br />

importanza fondamentale ed insostituibile<br />

l'Umanità di Cristo, 293; essa<br />

si riflette necessariamente nella litur­<br />

gia, 840; le sue leggi sono illustrate<br />

da Gesù con parabole portate sulla<br />

natura creata, 316; è oggetto <strong>della</strong><br />

vera gnosis, sapienza salvatrice secondo<br />

Ireneo, 813; dopo Giustino, la<br />

visuale dell'e.d.Dio è concepita ome<br />

mysterion; suoi rapporti col mysterion,<br />

realtà divina, secondo Origene,<br />

567; oggetto proprio <strong>della</strong> predicazione<br />

sono realtà divine in rapporto all'e.d.Dio,<br />

805; e. <strong>della</strong> grazia: prefigurata,<br />

preparata ed iniziata dall'A.T.,<br />

468; e. di Cristo in atto è la<br />

<strong>liturgia</strong>, 317; e. nuova: Cristo è l'ideale<br />

dei santi nell'e.n., 470; e. di Cristo;<br />

come sfondo <strong>della</strong> quaresima dà un<br />

<strong>senso</strong> diverso alle parole dell'A.T.<br />

ripetute e proclamate in quel periodo,<br />

442; e.n. : ha un abbozzo nel tema<br />

biblico e liturgico <strong>della</strong> Legge antica,<br />

448, 467; e. in Cristo: dà al peccatore<br />

pentito un <strong>senso</strong> più profondo delle<br />

realtà divine, 470<br />

ECUMENISMO : l'importanza fondamentale<br />

che ha oggi la <strong>liturgia</strong> per l'è.,<br />

776-81<br />

EDEN: 330. Vedi: Adamo, Angeli, Caduta<br />

EFFETA: O rito deU'aperitio aurium, suo<br />

<strong>senso</strong> antidemoniaco, 387<br />

EFFICACIA EX OPERE OPERATO. Vedi: Opus<br />

operatum<br />

EFFICACIA DELLA LITURGIA: la <strong>liturgia</strong> come<br />

segno efficace, 37, 107-34; e. pedagogica<br />

<strong>della</strong> lturgia, 308s, 483ss, 686-94<br />

EGITTO: liberazione dall'E. nel Salmo<br />

In exitu Israel de Mgypto e la liberazione<br />

da questo mondo nella <strong>liturgia</strong><br />

per i defunti, 464<br />

EGIZIANA: <strong>liturgia</strong> e., 336<br />

EIKON: immagine, segno reale naturale<br />

che ha relazione con la cosa significata,<br />

49; suo significato come segno,<br />

immagine, simbolo, 50, 52<br />

EKKLESIA: tou Theou, è il Q'hal-Jahweh<br />

dell'A.T., Popolo di Dio, assemblea<br />

sacra di Dio, Israele di Dio, Popolo<br />

religioso eletto e separato da Dio<br />

in vista di una missione speciale nell'A.T.,<br />

271; e. o Chiesa come radunamento<br />

degli uomini fatto da Dio in<br />

Cristo Gesù, massimamente concretizzato<br />

nell'assemblea liturgica, ed<br />

anzitutto quindi nella messa, 56s,<br />

72s, 103, 271, 272s, 274, 281, 285, 323,<br />

392, 785s, 805, 826s; il concetto di e.<br />

postula dalla comunità la partecipazione<br />

attiva plenaria esteriore ed interiore,<br />

785; è l'assemblea dei primogeniti<br />

iscritti nei cieli, 252; comunità<br />

dei beati <strong>della</strong> Gerusalemme<br />

Celeste, in un'unica <strong>liturgia</strong> cosmica<br />

ed eterna, 329; il peccato di un solo


componente danneggia tutta la e.,<br />

286; l'omelia è fatta dal capo dell'e.,<br />

assemblea sacra, come ampliamento<br />

immediato <strong>della</strong> Parola di Dio proclamata<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 827. Vedi:<br />

Chiesa, Cristo<br />

ELECTI: catecumeni più specialmente<br />

impegnati al battesimo prossimo,<br />

379. Vedi: Competentes<br />

ELEMENTI: materiali ed oggetti usati<br />

come segni nella <strong>liturgia</strong>, 63. Vedi:<br />

Benedizione, Consacrazione<br />

ELEMOSINA: come la <strong>liturgia</strong> comprende<br />

e propone il precetto dell'e. contenuto<br />

nei testi dell'A.T., 442s; e. come<br />

frutto del digiuno è uno dei punti<br />

essenziali dell'ascesi quaresimale,<br />

667s; uno dei mezzi con cui più specialmente<br />

in quaresima si realizza<br />

in mysterio il Mistero di Cristo,<br />

415; dal sec. XIII è concepita come<br />

uno dei sacramentalia, 98<br />

ELEVAZIONE: dell'uomo da parte di Dio<br />

è uno dei temi biblici sempre proposti<br />

dalla <strong>liturgia</strong> in equilibrio con<br />

gli altri temi biblici <strong>della</strong> Storia<br />

<strong>della</strong> Salvezza, 649, 664<br />

ELEZIONE: e formazione del Popolo di<br />

Dio e <strong>della</strong> Chiesa, uno dei grandi<br />

temi dei Salmi e suo uso nella <strong>liturgia</strong>,<br />

464s; tema biblico proposto dalla<br />

<strong>liturgia</strong> alla meditazione discorsiva,<br />

652<br />

ELIA: figura tipologica di Giovanni<br />

Battista, 449, 450; nella quaresima<br />

i fedeli debbono imitare E. e Mosè,<br />

416<br />

ELLENISMO: e influsso sulle opinioni<br />

intorno ai demoni, 367s, 370; e gnosi<br />

in Origene, 587; differenza tra l'allegoria<br />

ellenistica e la tipologia biblica,<br />

430 n. 3, 543<br />

EMENDAMENTO: <strong>della</strong> vita e il fatto che.<br />

apparentemente la <strong>liturgia</strong> non vi<br />

sarebbe diretta, 651<br />

Emitte: preghiera per la benedizione<br />

dell'olio, 400<br />

ENERGUMENI: la comunione eucaristica<br />

degli e. battezzati e controversia relativa,<br />

393. Vedi: Demoniaci<br />

EPICLESI: consacratoria per la venuta<br />

dello Spirito Santo nella Messa: la<br />

sua formulazione esplicita nell'anafora<br />

non risale che alla fine del sec.<br />

<strong>Il</strong>i, 226; nell'anafora di Ippolito, 225;<br />

nelle liturgie orientali, 492; nel canone<br />

romano, 227s; nelle liturgie mozarabica<br />

e gallicana fu spostata, attenuata<br />

o soppressa solo dal sec.<br />

VI, 229; nella <strong>liturgia</strong> ambrosiana,<br />

228s; l'invocazione allo Spirito Santo<br />

non esclude la parte di Cristo nella<br />

INDICE ANALITICO 873<br />

messa, 256; nelle liturgie orientali le<br />

e. vanno interpretate salvando la dottrina<br />

che la forma dell'eucarestia<br />

sono le sole parole dell'istituzione,<br />

493; suo valore antidemoniaco nella<br />

messa, 395; orazione epicletica nella<br />

confermazione del rito romano attuale,<br />

233; e. per la venuta dello Spirito<br />

Santo sul peccatore nel rito <strong>della</strong><br />

riconciliazione dei penitenti, 234;<br />

e. per la venuta dello Spirito Santo<br />

nel sacramento dell'ordine, 235; nei<br />

sacramentali, 236; questione dell'e.<br />

sollevata nella controversia cerulariana,<br />

580; origine apostolica dell'e.<br />

secondo Perrone, 522 n. 24<br />

EPIFANIA: le profezie messianiche d'Isaia<br />

lette nella <strong>liturgia</strong> dell'e. vanno<br />

anzitutto interpretate secondo il<br />

<strong>senso</strong> dei contemporanei, 435; i passi<br />

biblici relativi, letti nella <strong>liturgia</strong><br />

dell'e., segnano il prolungamento di<br />

quell'evento salvifico fino a noi, 453;<br />

Cristo incarnandosi nella sua vita<br />

mortale attua l'è. massima di Dio<br />

nel mondo, 291; evento <strong>della</strong> Storia<br />

<strong>della</strong> Salvezza parte integrante del<br />

ciclo liturgico ecclesiale, 182; la <strong>liturgia</strong><br />

è la continua e. incarnata di<br />

Cristo, 295; nella messa avviene l'è.<br />

reale del Verbo, 169; posto degli angeli<br />

nella <strong>liturgia</strong> dell'e., 343; la festa<br />

dell'e. è_ accennata da S. Tommaso<br />

in connessione alla <strong>liturgia</strong>, 548 n.<br />

35; e. <strong>della</strong> Chiesa: è anzitutto la<br />

<strong>liturgia</strong>, 45; il Conc. Vaticano II ha<br />

riaffermato che l'è. principale <strong>della</strong><br />

Chiesa è la <strong>liturgia</strong>, 296<br />

EPISCOPATO: superiorità dell'e. sul presbiterato<br />

studiata nella <strong>liturgia</strong> da<br />

F. A. Zaccaria, 518. Vedi: Vescovo<br />

EPISTOLA AGLI EBREI: sul sacerdozio celeste<br />

di Cristo, 250ss; e relazioni tra<br />

<strong>liturgia</strong> celeste e <strong>liturgia</strong> terrestre<br />

dei cristiani, 253<br />

EPISYNAGOGÈ: nella lettera agli ebrei è<br />

l'assemblea liturgica, 254<br />

ERRORI: anche dottrinali, possibili<br />

nelle liturgie storiche, 478, 489<br />

Eructavit: 685<br />

ESALTAZIONE DELLA CROCE: esprime la tipologia<br />

del serpente di bronzo nel<br />

deserto e Cristo crocifisso, 450; la festa<br />

dell'e.d.c. e suo significato antidemoniaco,<br />

418; festa dell'e.d.c. e<br />

festa dei sette dolori di Maria il 15<br />

settembre, esempi di affettività oggettiva<br />

e soggettiva nella <strong>liturgia</strong>,<br />

307 n. 22<br />

ESAME DI COSCIENZA : è uno dei « pìi<br />

esercizi » raccomandati dal Conc.<br />

Vaticano II in armonia e subordine


874 INDICI<br />

alla <strong>liturgia</strong>, 633; come mezzo verso<br />

la perfezione, 617, 630; nella spiritualità<br />

liturgica, 519; utile e necessario<br />

in clima di spiritualità liturgica, 656<br />

ESAÙ: col fratello Giacobbe esprime<br />

la tipologia giudei-cristiani, 449s<br />

ESCATOLOGIA: il compimento degli ultimi<br />

tempi è segno del profondo dinamismo<br />

<strong>della</strong> Storia <strong>della</strong> Salvezza,<br />

26; e Storia Sacra, 29; <strong>senso</strong> escatologico<br />

<strong>della</strong> messa, 169, 177; <strong>senso</strong><br />

escatologico del ciclo Avvento-Epifania,<br />

183; di quello Settuagesima-Pentecoste,<br />

183; e <strong>della</strong> festa di Ognissanti,<br />

184, 328; ultimi tempi e lotta<br />

contro Satana, 364s; <strong>senso</strong> figurativo<br />

escatologico del Tempio di Gerusalemme,<br />

466; <strong>senso</strong> escatologico del<br />

Popolo di Dio nella Bibbia, 465; visione<br />

escatologica delle cose ed esercizio<br />

<strong>della</strong> speranza nella <strong>liturgia</strong>,<br />

661; e. come principio interpretativo<br />

liturgico nei testi <strong>della</strong> Bibbia, 428-<br />

55, 459, 462-72; desiderio di una predicazione<br />

che rifletta di più il tema<br />

dell'e., e predicazione liturgica, 821.<br />

Vedi : Gerusalemme celeste<br />

ESCHATA: gli ultimi tempi, i novissimi:<br />

vi tendono tutti i tempi, 27; in essi<br />

Cristo realizza pienamente tutta la<br />

storia, 29. Vedi: Escatologia<br />

ESEGESI PATRISTICA: SUO fondamento e<br />

sua rivalutazione, 429s<br />

ESEMPLARISMO: nell'epistola agli ebrei,<br />

253s; fondamenti biblici, tradizionali<br />

e filosofici dell'e. cristiano e del suo<br />

uso nella <strong>liturgia</strong>, 50-57; e. ed associazione<br />

delle creature infraumane<br />

alla lode di Dio nella <strong>liturgia</strong>, 321<br />

ESEQUIE: dei defunti e loro naturale<br />

connessione con la messa, 181; sono<br />

una delle prove <strong>della</strong> cura che la <strong>liturgia</strong><br />

ha del corpo fisico dei fedeli,<br />

303s; e. e lotta contro Satana, 411s;<br />

posto che in questa <strong>liturgia</strong> occupano<br />

gli angeli, 341; il rituale romano<br />

attuale parla di angelo del sepolcro,<br />

342<br />

ESERCIZI DEVOZIONALI: extraliturgici, esprimono<br />

e nutrono l'attenzione e<br />

l'affettività, 620; e spiritualità liturgica,<br />

632ss<br />

ESERCIZI SPIRITUALI: raccomandati dalla<br />

Mediator Dei, 640; sono tra i « pii<br />

esercizi» raccomandati dal Conc.<br />

Vaticano II in armonia e in subordine<br />

con la <strong>liturgia</strong>, 633; e quindi<br />

come preparazione e derivazione in<br />

atto dalla <strong>liturgia</strong>, 800s; sono utili<br />

e necessari in clima di spiritualità<br />

liturgica, 656; e. di S. Ignazio e <strong>liturgia</strong>,<br />

694s; e. di S. Gertrude e sue<br />

preghiere e devozioni extraliturgiche<br />

nello spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 74J46<br />

ESISTENZIALISMO: oggi si oppone alla<br />

metafisica delle realtà, 767; sua incomprensione<br />

verso l'atmosfera liturgica;<br />

261<br />

ESORCISMI: come santificazione positiva<br />

dell'anima nei riti sugli audientes,<br />

380; come gli altri riti <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

esprime anche volizioni, domande<br />

e sentimenti, più che sostanza<br />

intellettuale, 483; diretti alla santificazione,<br />

sarebbero esclusi da una<br />

definizione di <strong>liturgia</strong> ristretta al solo<br />

aspetto del culto, 41; come segno dimostrativo<br />

<strong>della</strong> santificazione divina,<br />

101; sono nati in funzione antidemoniaca,<br />

369; in funzione antidemoniaca<br />

specialmente nell'iniziazione<br />

cristiana, 379; valore esorcizzatorio<br />

del battesimo in Giustino, 378; sull'acqua<br />

lustrale per uso antidemoniaco,<br />

407; per la benedizione dell'olio<br />

per gli infermi in <strong>senso</strong> antidemoniaco,<br />

400; e riconsacrazione <strong>della</strong><br />

creatura infraumana al servizio <strong>della</strong><br />

vita divina nel mondo, 98ss, 318s; e.<br />

e clima ellenistico nell'antica Chiesa,<br />

367s; e. prebattesimali, 382-89; carattere<br />

dei formulari degli e. in genere,<br />

384; <strong>senso</strong> e fondamento <strong>teologico</strong><br />

degli e. anche se fatti sopra non ossessi,<br />

sopra bambini e sopra cose<br />

inanimate, 385s; il <strong>senso</strong> degli e. nella<br />

<strong>liturgia</strong> va determinato dalla dottrina<br />

teologica generale sugli e., 495;<br />

e. sui bambini, 379; e. sui bambini e<br />

controversia pelagiana, 579; e. come<br />

oggetto <strong>della</strong> letteratura patristica<br />

teologica d'interesse liturgico, 557;<br />

e. del sale e suo significato antidemoniaco,<br />

407; la res degli e. secondo<br />

S. Agostino è la macerazione spirituale,<br />

44; e. come sacramentum in<br />

S. Agostino, 43; e. contro Satana inserito<br />

da Leone XIII nel rituale romano,<br />

421s<br />

ESORCISTA: nell'ordinazione, egli riceve<br />

la potestas e ì'imperium di cacciare<br />

i demoni, 403; nei primi secoli è ritenuto<br />

investito piuttosto di carisma<br />

che non di vera ordinazione ecclesiale,<br />

403; qualsiasi cristiano quindi poteva<br />

essere e., 403<br />

ESORCISTA: e lotta contro Satana,<br />

402ss<br />

ESORTAZIONI: una delle cause che inducono<br />

ad esercitare la compunctio secondo<br />

Cassiano, 677<br />

ESPERIENZA: nella fede, 500-6; e. mistica<br />

in generale e spiritualità, 613s, 622;<br />

e. e <strong>liturgia</strong>, 190s, 485; e. mistica del-


l'azione liturgica a cui si partecipa<br />

normalmente secondo Cassiano, 674-<br />

79; secondo la ven. Maria dell'Incarnazione,<br />

679-85; secondo un'inchiesta<br />

del p. Poulain, 685-88; in S. Gertrude,<br />

728-42; perché e. mistica e<br />

partecipazione attiva all'azione liturgica<br />

vanno ottimamente assieme,<br />

688-93; e. estetica al servizio <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>: possibilità, condizioni, pericoli,<br />

64-72, 308s, 644s, 789 n. 53.<br />

Vedi: Conoscenza per connaturalità,<br />

Intuizione, Mistica, Pedagogia<br />

ESPIAZIONE: cristiana: uno dei temi che<br />

dà luce ai precetti ed agli ammonimenti<br />

dell'A.T., 442<br />

ESPOSIZIONE: <strong>della</strong> scienza teologica e<br />

la questione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella teologia,<br />

597ss<br />

ESTER: come Giobbe, Tobia e certe parti<br />

del Genesi, la sua storia va anzitutto<br />

compresa secondo la profondità<br />

dei contemporanei, 435; E. figura<br />

di Maria, è figura tipologica di origine<br />

liturgica non strettamente biblica,<br />

451<br />

ESTASI: come esperienza mistica, produce<br />

impedimento agli atti addizionali<br />

dell'unione mistica, 687<br />

ESTERIORISMO : additato da S. Giovanni<br />

<strong>della</strong> Croce come possibile pericolo<br />

ambientale nella vita spirituale, 673<br />

ESTERIORITÀ: culto interiore e culto<br />

esteriore nella <strong>liturgia</strong>, 146-49; l'è. e<br />

l'interiorità nella <strong>liturgia</strong> debbono<br />

esser viste alla luce <strong>della</strong> legge dell'incarnazione,<br />

295; e. <strong>della</strong> legge <strong>della</strong><br />

comunitarietà e dell'unitotalità <strong>della</strong><br />

salvezza, 146-49, 247ss; e. e possibilità<br />

dello « scandalo nella <strong>liturgia</strong> »,<br />

295s; pericolo di formalismo esteriorista<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 146-49, 692s. Vedi:<br />

Segno<br />

ESTETICA: piacere estetico dell'arte,<br />

64ss; e. al servizio del fine religioso:<br />

possibilità e condizioni, 66ss; al servizio<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 70ss, 308s<br />

ESTETISMO: pericolo di e. nella <strong>liturgia</strong>,<br />

309, 645s, 789 n. 53<br />

ESTREMA UNZIONE: Vedi: Unzione degli<br />

infermi<br />

ESTO MIHI: messa, 730s, 733<br />

ETHOS COMUNITARIO: la <strong>liturgia</strong> vuole<br />

che si interiorizzi nel singolo fedele<br />

attivamente partecipante all'azione liturgica,<br />

289<br />

EUAGGÉLION : o Mistero <strong>della</strong> vita e morte<br />

di Cristo, è oggetto primario <strong>della</strong><br />

catechesi <strong>della</strong> Chiesa apostolica, 246<br />

EUCARESTIA: per suo mezzo si riceve lo<br />

Spirito Santo, 37s (Vedi: Epiclesi);<br />

e segni sensibili, 76s; realismo euca­<br />

INDICE ANALITICO 875<br />

ristico degli antichi sotto le espressioni<br />

di immagine, simbolo ecc., 51s;<br />

la quadruplice dimensione teologica<br />

dell'e. e del battesimo è già proposta<br />

dalla Bibbia, 89-92; principale visuale<br />

per cui i testi del N.T. ricevono<br />

luce ed attuazione dalla <strong>liturgia</strong>,<br />

453; sua tipologia nella <strong>liturgia</strong>; 449ss;<br />

e. e manna nel deserto, 92; l'epistola<br />

agli Ebrei 6,4 e 13,10 allude all'è.,<br />

254; e. e nuovo Patto, 91s; la somma<br />

eucarestia, cioè azione di grazie a<br />

Dio sulla terra è la messa, 329;<br />

e. connessa essenzialmente con la<br />

Resurrezione, 92; l'è. è farmaco di<br />

immortalità anche corporale, 302s;<br />

e. e gloria futura, 92; l'è. è concepita<br />

dalla Chiesa prenicena anzitutto<br />

come azione di Cristo stesso, 256s;<br />

nella salvezza, l'Umanità gloriosa di<br />

Cristo ha funzione fondamentale e<br />

sempre attuale, 769; l'è. attua il Mistero<br />

di Cristo ed in virtù dell'opus<br />

operatimi è cosa oggettivamente<br />

data e ricevuta, 111; per suo<br />

mezzo, Cristo con la sua persona è<br />

presente nella <strong>liturgia</strong>, 261; secondo<br />

O. Casel, vi è presente il Cristo del<br />

Golgota ma anche la passione storica<br />

del Golgota, 116; l'è. implica la<br />

presenzialità personale di Cristo, 121;<br />

l'è. insieme al battesimo è il principale<br />

mezzo di formazione del Popolo<br />

di Dio, 464; l'è. è fatta dalla Chiesa<br />

ma fa la Chiesa, 276 n. 16; l'è. è<br />

strutturata secondo la legge dell'incarnazione,<br />

293; in quanto trasforma<br />

l'uomo, l'è. è parte essenziale<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 41; l'è. è il fine cui<br />

sono ordinati gli altri sacramenti, 177-<br />

80; secondo il Catechismo del Conc.<br />

di Trento, l'è. « è fonte di tutte le<br />

grazie », 178s, 762; gli altri sacramenti<br />

conferiscono la grazia solo per un<br />

certo voto dell'e. in chi li riceve, 178s;<br />

come sacrificio e sacramento, l'è. unisce<br />

sommamente l'aspetto culto e<br />

l'aspetto santificazione, ed è così il<br />

centro <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 137; Te. fa conoscere<br />

meglio la bontà essenziale<br />

<strong>della</strong> materia, 577s; e. e ristabilimento<br />

<strong>della</strong> creatura infraumana a servizio<br />

<strong>della</strong> vita divina nel mondo,<br />

317-21; l'è. associa le cose materiali<br />

usuali alla santificazione dell'uomo,<br />

316; l'è. è la massima attualizzazione<br />

liturgica nel mondo infraumano, 318;<br />

senza e., nessun sacramento conferisce<br />

la grazia secondo S. Tommaso,<br />

263; suo significato anche antidemoniaco,<br />

392-95; per il cristiano, l'è. già<br />

nel N.T. ha parte somma nel trionfo


876 INDICI<br />

su Satana, 356; la partecipazione all'è,<br />

è la somma arma del cristiano<br />

contro Satana, 392; l'è. durante la<br />

quaresima è il primo mezzo per vivere<br />

il Mistero di Cristo in <strong>senso</strong> antidemoniaco,<br />

415; il rituale elementare<br />

dell'e. è di provata apostolicità, 528;<br />

l'è. nell'anafora di S. Basilio, 174s;<br />

l'è. nella letteratura patristica d'interesse<br />

<strong>teologico</strong> liturgico, 557; l'è.<br />

come mysterion (terza sfera) in Origene,<br />

569; e. come mysterium, 570;<br />

l'è. come sacramentum in S. Agostino,<br />

43; la res dell'e. in S. Agostino<br />

è l'unità del corpo di Cristo, 44;<br />

transustanziazione provata dalla <strong>liturgia</strong><br />

e da altri documenti dei sec.<br />

V-VI, 529; e. in quanto sacrificio e<br />

sacramento è il centro del culto<br />

e <strong>della</strong> santificazione in S. Tommaso,<br />

541; presenza reale e transustanziazione<br />

provate contro i protestanti<br />

dallo Zaccaria per mezzo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

518; trattato dell'e. e <strong>liturgia</strong><br />

presso i teologi positivo-scolastici,<br />

532; trattato dell'e. secondo il Franzelin,<br />

522; trattato dell'e. nel Perrone<br />

contro i protestanti, 521; trattato<br />

dell'e. nei manuali teologici del 1800,<br />

523; in conseguenza del movimento<br />

liturgico presso di loro, oggi i protestanti<br />

riconsiderano gli aspetti teologici<br />

tradizionali dell'e., 780; e. nella<br />

vita spirituale di S. Gertrude, 727s;<br />

nella spiritualità <strong>della</strong> Chiesa si può<br />

accentuare dell'e. l'aspetto sacrifìcio<br />

o l'aspetto sacramento, 619; nell'e. sacrificio<br />

e sacramento, la <strong>liturgia</strong> mette<br />

l'accento sul sacrificio (Vedi:<br />

Messa, Sacrificio), e la pietà moderna<br />

piuttosto sul sacramento <strong>della</strong> presenza<br />

reale, 632; devozione extraliturgica<br />

all'è, sotto l'aspetto di presenza<br />

reale, e <strong>liturgia</strong>, 620, 632<br />

EUCHARISTIAN POIEIN, eucharistiam jacere:<br />

presso gli antichi indica l'azione<br />

sacra per eccellenza, 306<br />

EUCOLOCICA, LITURGIA: lo schema connaturale<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e. è: lettura,<br />

omelia, canto, preghiera in silenzio,<br />

orazione conclusiva del presidente,<br />

653s<br />

EUUOKI'A: beneplacito divino, è la manifestazione<br />

salvifica di Dio agli uomini<br />

nell'unità del cosmo, 333<br />

EUTICHIANI: eretici che in conseguenza<br />

<strong>della</strong> loro dottrina alteravano il rito<br />

<strong>della</strong> commixtio, 579<br />

EVA: madre del genere umano, figura<br />

di Maria, 450s; E., Maria e lotta contro<br />

Satana, 414; tipologia sulla figura<br />

di E. nei riti sui competentes, 383;<br />

E. nominata nelle preghiere di una<br />

martire che ha ottenuto la vittoria<br />

contro Satana, 420<br />

EVOLUZIONE: storica ed autorità <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, 584; e. dei dogmi: Vedi:<br />

Dogma<br />

EVOLUZIONISMO : l'è. temperato e non<br />

materialistico non esclude ma anzi<br />

conferma il disegno unitario di Dio<br />

nel cosmo, 312<br />

Exaudi: preghiera per la benedizione<br />

delle vesti nella consacrazione delle<br />

vergini, e suo significato antidemoniaco,<br />

409<br />

EXCESSUS CONTEMPLATIONUM : è il quinto<br />

grado <strong>della</strong> spiritualità secondo il<br />

ven. Guigone I, 679<br />

EXCESSUS MENTIS: rapimento dell'anima<br />

nella pura orazione secondo Cassiano,<br />

676<br />

EXITUS A DEO: nella prospettiva <strong>della</strong><br />

Storia Sacra <strong>della</strong> Divina Salvezza,<br />

l'è. a Deo rappresenta Dio Unitrino<br />

anzitutto nei suoi rapporti col mondo,<br />

nel <strong>senso</strong> che ogni essere ed ogni<br />

bene deriva da Dio e torna a Dio<br />

(Vedi: Reditus ad Deum), 203; come<br />

ciclo <strong>della</strong> vita delle creature che<br />

provengono dal Padre per il Figlio<br />

nello Spirito e così tornano al Padre,<br />

nell'esplicitazione dei Padri, 209;<br />

l'è. a Deo nella formulazione antica<br />

cristologico-trinitaria del battesimo,<br />

232<br />

Exorcizo te, immundissime spiritus :<br />

400<br />

Exorcizo te, creatura olei: 390, 400<br />

EXUFFLATIO: S. Agostino usa l'è. e gli<br />

esorcismi come argomenti nella questione<br />

del peccato originale, 579<br />

FACOLTÀ PSICOLOGICHE UMANE: e loro attualizzazione<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 305-12,<br />

483s<br />

FAMIGLIA: padri e madri di famiglia e<br />

sacerdozio universale dei fedeli, 153ss<br />

FASCINATIO NUGACITATIS: attrazione delle<br />

cose vane pericolo attuale per l'uomo<br />

teso al soprannaturale, 825<br />

FEDE: f. divina, f. divina e cattolica,<br />

f. ecclesiastica, 501; criterio prossimo<br />

<strong>della</strong> f. è il magistero infallibile<br />

<strong>della</strong> Chiesa, non la ragione individuale<br />

o filosofica o storica, 533; motivo<br />

<strong>della</strong> fede e motivo di credibilità:<br />

la questione fino a qual punto<br />

la f. dogmatica è implicata nella <strong>liturgia</strong>,<br />

477-508; regole per determinare<br />

teologicamente fino a qual punto<br />

la <strong>liturgia</strong> implica qualcosa come di


f., 486-96; relazioni tra f. e <strong>liturgia</strong><br />

secondo i modernisti, 497-500; la f.<br />

tra le disposizioni morali prerequisite<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 83s; la f. rende<br />

presente allo spirito dell'azione liturgica,<br />

693; f., speranza e carità non<br />

salvano senza riferimento ai sacramenti,<br />

760-64; l'esercizio <strong>della</strong> f., speranza<br />

e carità nell'azione e nella spiritualità<br />

liturgica nel quadro <strong>della</strong><br />

virtù di religione, 657-62; la <strong>liturgia</strong><br />

non si esaurisce nella virtù di religione,<br />

ma comporta atti hic et nunc<br />

eliciti dalla f., speranza e carità, 765;<br />

l'agire cristiano in quanto azione dette<br />

virtù infuse cristiane, morali e<br />

teologali, corrisponde all'essere cristiano<br />

ch'è la grazia come partecipazione<br />

<strong>della</strong> natura divina, 612; la f.<br />

nella spiritualità da alcuni riceve accento<br />

diverso da quello <strong>della</strong> speranza<br />

e <strong>della</strong> carità, 622; la <strong>liturgia</strong> come<br />

protestatio ftdei, 84, 661; solo la f.<br />

percepisce il ristabilimento dell'unità<br />

cosmica nella <strong>liturgia</strong>, 317s; f. e<br />

significato dell'assemblea liturgica,<br />

?6s; la professione <strong>della</strong> f. nel battesimo<br />

e la sua struttura cristologicotrinitaria,<br />

229ss; l'aspetto intemporale,,<br />

entitativo, metafisico e l'aspetto<br />

temporale concreto <strong>della</strong> f. e la<br />

questione dell'assimilazione dei valori<br />

teologici <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 594ss;<br />

f. di Dio in quanto Dio ne è oggetto<br />

primario naturale, 658; f. implicita:<br />

necessaria alla salvezza di chi vive<br />

secondo la propria coscienza, 125ss;<br />

seco'ndo S. Tommaso, la f. è virtù<br />

teologale perchè ha per oggetto immediato<br />

naturale Dio stesso, 140;<br />

la f. in S. Tommaso come virtù teologale<br />

è superiore alla virtù di religione,<br />

ma ne è la radice, 141; f., speranza<br />

e carità suo imperio causant<br />

la religione secondo S. Tommaso, 658;<br />

la f. con la speranza e l'amore è<br />

suscitata dal catechista nella narratio<br />

che fa <strong>della</strong> Storia <strong>della</strong> Salvezza,<br />

815; ascoltando la Parola di Dio l'uomo<br />

sa che la f. è tra le disposizioni<br />

morali che Dio esige per accettare<br />

il culto e santificare, 824; culto di f.,<br />

speranza e carità che Cristo nella<br />

Chiesa rende a Dio, 840; la f. in rapporto<br />

alla <strong>liturgia</strong> è tutta incentrata<br />

nella Storia Sacra Mistero di Cristo,<br />

841<br />

FENOMENOLOGIA DEL CULTO: 77ss<br />

FERMENTUM: carattere gerarchico e comunitario<br />

del sacrificio espresso dall'uso<br />

del f., 279<br />

FERVORES OJMTIONUM: è per il ven. Gui-<br />

INDICE ANALITICO 877<br />

gone uno dei principali aspetti <strong>della</strong><br />

spiritualità monastica del M.E., 679<br />

FESTE: giudaiche come figura delle feste<br />

e realtà cristiane, 449; f. liturgiche<br />

e cicli liturgici come segni,<br />

102; <strong>senso</strong> generale delle f. liturgiche,<br />

182-85; loro quadruplice dimensione<br />

di significato in quanto segni liturgici,<br />

102s; le f. liturgiche non hanno<br />

per oggetto diretto le singole persone<br />

<strong>della</strong> Trinità considerate nella loro<br />

vita intratrinitaria, ma nei loro rapporti<br />

con la Storia Sacra, 237s; storia<br />

e significato <strong>della</strong> f. <strong>della</strong> SS.ma<br />

Trinità, 239-42; ogni festa interessa<br />

anche la situazione concreta personale<br />

dei singoli partecipanti; 453ss;<br />

grazia speciale e virtù redentiva delle<br />

singole f.; 453ss; l'oggetto delle<br />

f. liturgiche è proposto dar magistero<br />

all'adesione dei credenti con<br />

grado diverso d'autorità secondo i<br />

casi, 490s; f. liturgiche spiegate dai<br />

Padri specialmente nelle omelie,<br />

558-62; f. liturgiche come centri connaturali<br />

di riferimento <strong>della</strong> meditazione,<br />

esercizi spirituali e periodi<br />

di recollezione in clima di spiritualità<br />

liturgica, 648, 655, 656; f. e spiritualità<br />

liturgica in S. Gertrude,<br />

697s<br />

FIDANZAMENTO SPIRITUALE: come esperienza<br />

mistica transitoria nella ven.<br />

Maria dell'Incarnazione, 682s; in<br />

S. Gertrude, 733 n. 122<br />

FIDES EX AUDITU: è la prima scossa che<br />

Dio dà all'uomo per ministero di chi<br />

annuncia la sua Parola, 825<br />

FIGLIO: Vedi: Cristo<br />

FIGURA : come sacramentum, mysterium,<br />

imago, symbolum, 571; occorre rivalorizzare<br />

una sana teologia liturgica<br />

figurativa, 576; come terminologia<br />

connessa col concetto di mysterion,<br />

entra largamente nei formulari<br />

liturgici, 572s; presso i Padri fino<br />

ad Origene la Storia Sacra comporta<br />

diverse fasi, dalla f. o preparazione,<br />

abbozzo, incoazione, al compimento<br />

delle realtà; 569; nella Storia <strong>della</strong><br />

Salvezza la f. è preparazione a realtà<br />

superiori, 565; giustezza delle osservazioni<br />

di A. von Harnack sul concetto<br />

e relazione f.-simbolo e cosa,<br />

51s; mentalità antica e moderna sul<br />

concetto di f., 50-56<br />

FILIOOUE: e <strong>liturgia</strong>, 580 n. 91<br />

FILIPPO NERI, S.: esempio di santo soggetto<br />

con frequenza all'esperienza<br />

mistica dell'estasi, 688<br />

FILOLOGIA: storia e critica nell'indagine<br />

liturgica, 486s


878 INDICI<br />

FILOSOFIA: modo filosofico e modo storico<br />

e quindi biblico, tradizionale<br />

patristico, del magisterio ordinario<br />

e liturgico di considerare le cose,<br />

17-23, 373-77<br />

Flectamus genua e levate: e preghiera<br />

in silenzio durante l'azione liturgica,<br />

305s, 653s<br />

FONTE BATTESIMALE: <strong>senso</strong> antidemoniaco<br />

e <strong>senso</strong> cristologico-trinitario <strong>della</strong><br />

benedizione del f.b., 236, 389s<br />

FONTI: <strong>della</strong> teologia, uso delle f. in<br />

genere e conseguenze in quanto all'uso<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella teologia positivo-scolastica,<br />

530-37<br />

FOZIANI: controversie coi f. e <strong>liturgia</strong>,<br />

579s<br />

FUGA DAL MONDO: nei formulari questo<br />

concetto attenua il <strong>senso</strong> primitivo<br />

<strong>della</strong> fuga e del ripudio di Satana e<br />

delle sue pompe, 410<br />

GALLICANA: <strong>liturgia</strong>, origine g. di molte<br />

orazioni e dossologie del M.E. indirizzate<br />

direttamente alla Trinità, o<br />

direttamente a Cristo, 224, 239s<br />

Gaudete in Domino : messa <strong>della</strong> Domenica<br />

IH d'Avvento, 719, 734<br />

GENERI LETTERARI: la <strong>liturgia</strong> è un g.l.<br />

proprio, 483ss<br />

GENESI: alcune narrazioni del g., come<br />

di Giobbe, Ester e Tobia, usate dalla<br />

<strong>liturgia</strong>, vanno intese anzitutto nel<br />

<strong>senso</strong> dei contemporanei, 435<br />

GERARCHIA: senza g. non esiste Chiesa,<br />

131s; ma la g. sola non è la Chiesa,<br />

132; la Chiesa è l'insieme indissolubile<br />

che risulta da Cristo Capo, dalla g.<br />

.come struttura mediatrice umanodivina,<br />

mandataria di - Cristo, e dal<br />

Popolo che attraverso la g. è unito<br />

a Cristo Capo, 132; i singoli elementi<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> hanno quell'autorità<br />

dottrinale alla quale partecipano i<br />

singoli membri <strong>della</strong> g. che li hanno<br />

emanati o approvati, 488s; la g. depositaria<br />

<strong>della</strong> Parola di Dio e dei riti<br />

liturgici, 825; la g. determina il fatto<br />

e il <strong>senso</strong> dei singoli segni liturgici<br />

che non sono d'istituzione divina,<br />

57-60; il movimento liturgico rivalorizza<br />

il <strong>senso</strong> <strong>della</strong> g. episcopale e<br />

parrocchiale, 789, 92; g. terrestre e g.<br />

celeste secondo Origene, 568s<br />

GEREMIA: tipologia patristica di G. come<br />

figura di Cristo, 451<br />

GERTRUDE S.: attenzione ai dogmi <strong>della</strong><br />

fede in S. G„ 706; attenzione vitale<br />

ai singoli dogmi <strong>della</strong> fede in S. G.,<br />

742; la sua visione liturgica del mon­<br />

do, 697; devozione al Cuore di Gesù,<br />

749; devozione al Crocifisso, 751; devozione<br />

alle Membra di Gesù, 750;<br />

Cristo mediatore in S. G., 718; Natale<br />

nella sua considerazione, 720;<br />

devozione a Gesù Bambino, 748; devozione<br />

alla Passione, 750; considerazione<br />

<strong>della</strong> Passione, 719; devozione<br />

alle Piaghe di Cristo, 719, 750s; devozione<br />

alle Stimmate, 751; la Trinità<br />

nella considerazione di S. G.,<br />

716ss; devozione all'Umanità di Cristo,<br />

747s; angeli e S. G., 721s; l'angelo<br />

custode, 721; anime del Purgatorio,<br />

722s; l'Annunciazione, 720s; Assunzione,<br />

720; comunione dei Santi,<br />

723ss; i Santi, 722; creazione, 725;<br />

unitotalità del cosmo, 720; devozioni<br />

in S. Gertrude, 742; devozioni e <strong>liturgia</strong><br />

in S. G., 746; esercizi e <strong>liturgia</strong>,<br />

743; pietà eucaristica, 727; principali<br />

grazie mistiche nell'azione liturgica<br />

in S. G., 731; grazie di contemplazione,<br />

738; grazia d'unione mistica, 733s;<br />

iniziazione cristiana nella considerazione<br />

di S. G., 745; <strong>liturgia</strong> celeste,<br />

719; meditazioni in S. G., 742; messa<br />

e S. G., 727; preghiera extraliturgica<br />

e S. G., 706, 742; presenza reale di<br />

Cristo e S. G., 719; professione monastica<br />

nella considerazione di S. G.,<br />

745; purificazione ascetica in S. G.,<br />

706, 720; stimmate invisibili di S. G.,<br />

741; suppletio in S. G., 719, 749; la<br />

vestizione monastica. e S. G., 745;<br />

esercizio delle virtù in S. G., 706, 742;<br />

S. G. e le sue visioni immaginative<br />

nella sua considerazione, 698ss; vita<br />

mistica in S. G., 706, 728, 730, 742;<br />

vita liturgica in S. G., 741; S. G. ed i<br />

rapporti tra vita mistica e vita liturgica,<br />

741; zelo delle anime in S. G.,<br />

738<br />

GERUSALEMME CELESTE: significata dalla<br />

dimensione escatologica di ogni segno<br />

liturgico, 84-106; termine ultimo<br />

<strong>della</strong> Storia Sacra, 23-32, 184; oggetto<br />

<strong>della</strong> speranza cristiana, 661; e meta<br />

intesa da Dio nell'elezione, separazione<br />

e formazione di un Popolo sacro,<br />

464s; visione centrale <strong>della</strong> festa<br />

d'Ognissanti, 328; e Chiesa secondo<br />

il cap. 12, 21ss <strong>della</strong> lettera agli Ebrei,<br />

203 252s, 322s; nella G. e. raggiunge<br />

la sua perfezione l'unità cosmica secondo<br />

la visuale dell'Apocalisse, 333s;<br />

secondo la visuale di Ebrei 12, 21ss<br />

Ap. 5, 8-14 e 21-22, 5; vi si celebra la<br />

<strong>liturgia</strong> cosmica, 26; è la convocazione<br />

finale <strong>della</strong> Chiesa, 30; la Chiesa<br />

però ne è la preparazione, 31; nell'unità<br />

<strong>della</strong> Storia Sacra, le fasi di


questa tendono tutte alla G.c, 56;<br />

la sua <strong>liturgia</strong> cosmica ed eterna è<br />

la perfezione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> attuale<br />

<strong>della</strong> Chiesa, 73; il suo culto è causa<br />

finale del culto terrestre, .84; il suo<br />

culto eterno è causa esemplare del<br />

culto terrestre, 85; il suo culto è<br />

significato dai segni <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> terrestre,<br />

86; il suo culto ha come segno<br />

profetico il segno liturgico, 87;<br />

la genuflessione, per esempio, è un<br />

segno profetico del culto nostro<br />

nella G.c, 96; la preghiera <strong>della</strong> Chiesa<br />

è un segno profetico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

eterna nella G.c, 97; i sacramentali<br />

sono la reintegrazione iniziale delle<br />

cose al servizio <strong>della</strong> vita divina nel<br />

mondo, come avverrà nella sua perfezione<br />

nella G.c, 100; nella loro quadruplice<br />

dimensione, i sacramentali<br />

come segno profetico <strong>della</strong> preghiera<br />

eterna cosmica di lode nella G.c, 101;<br />

matrimonio e suo significato profetico<br />

<strong>della</strong> G.c, 94, 103; i sacramenti<br />

come segno profetico contengono le<br />

realtà spirituali <strong>della</strong> gloria e del<br />

culto nella G.c; 114; culto giudaico<br />

come primo abbozzo del culto nella<br />

G.c, 145; la nostra unione con la G.c.<br />

viene espressa nel sacrificio dal Nobis<br />

quoque peccatoribus, 177; il trionfo<br />

finale del Mistero di Cristo nella<br />

G.c. posto in rilievo dalla <strong>liturgia</strong><br />

<strong>della</strong> festa d'Ognissanti, 184; secondo<br />

la visuale di Ebrei 12, 22ss, Cristo<br />

stesso vi introduce i fedeli, 252; i cristiani<br />

con atto liturgico in Cristo già<br />

si sono accostati alla G.c, 253; per<br />

esservi recensiti però occorre appartenere<br />

alla Chiesa in quanto Popolo<br />

di Dio, 274; dalla dottrina del<br />

Conc Vaticano II viene richiamata la<br />

G.c. come futura città secondo la<br />

prospettiva <strong>della</strong> legge dell'incarnazione,<br />

296; l'unitotalità del cosmo è<br />

ordinata con legge divina alla G.c,<br />

298; l'uomo è ordinato nella sua completezza<br />

e totalità alla G.c, 298s; nella<br />

<strong>liturgia</strong>, intelligenza, volontà e sentimento<br />

sono ordinati a Dio ed alle<br />

realtà divine tra cui la G.c, 308; nell'Apocalisse<br />

si accentua l'unità del<br />

cosmo verso la G.c, 316; gli angeli<br />

e i giusti <strong>della</strong> G.c. formano unità<br />

con gli uomini in terra, 322; termine<br />

finale del viaggio del Popolo di<br />

Dio in terra, 323; la <strong>liturgia</strong> accentua<br />

l'unità nostra coi defunti, nostri concittadini<br />

<strong>della</strong> G.c, 326; la <strong>liturgia</strong> accentua<br />

anche la nostra unità coi giusti,<br />

nostri concittadini nella G.c, 328;<br />

la <strong>liturgia</strong> degli angeli e dei beati nel­<br />

INDICE ANALITICO 879<br />

la G.c. è unica <strong>liturgia</strong>, 329; i giusti<br />

in terra già formano un'unica città<br />

con la G.c, 333s; nella <strong>liturgia</strong>, il<br />

Sanctus dei Serafini secondo il testo<br />

d'Isaia è la stessa <strong>liturgia</strong> angelica<br />

nella G.c, 338; l'angelo del battesimo<br />

ci indica che col rito il cristiano è<br />

membro presignato <strong>della</strong> G.c, 340;<br />

G.c, e <strong>liturgia</strong> dei malati, 342; l'unità<br />

del mondo angelico e del mondo umano<br />

nel quadro <strong>della</strong> G.c. in S. Agostino,<br />

344s; arrivo nella G.c. dopo la<br />

fase ultima <strong>della</strong> Storia Sacra che<br />

è il Giudizio decisivo nella lotta contro<br />

Satana, 316s, 365; nell'unità dei<br />

Due Testamenti in Cristo, la G.c ne<br />

è il fine, 428; la figura profetica <strong>della</strong><br />

liberazione dall'Egitto e dell'ingresso<br />

nella Terra promessa e G.c, 438;<br />

nella <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> dedicazione d'una<br />

Chiesa, Dio è cantato come sommamente<br />

presente al suo Popolo nella<br />

G.c, 440; i precetti ed ammonimenti<br />

dell'A.T. sonò realizzati plenariamente<br />

nella G.c, 443; la G.c. è frutto dell'universalità<br />

<strong>della</strong> redenzione, 445; la<br />

G.c. getta luce sulle profezie, 446; tipologia<br />

Gerusalemme terrestre —<br />

Chiesa G.c, 449s; id. nei Salmi,<br />

465; nella G.c. si compiranno l'elezione,<br />

la separazione, la formazione<br />

e la restaurazione del Popolo di Dio,<br />

464; .Gc. nella tipologia del Tempio,<br />

dell'Arca e di Sion monte santo di<br />

Dio, 446; G.c. come tema biblico proposto<br />

alla nostra considerazione nell'equilibrio<br />

<strong>della</strong> spiritualità liturgica,<br />

628, 661; la G.c. deve tornare come<br />

tema <strong>della</strong> predicazione, 821; deve<br />

tornare in prospettive complete nell'insegnamento<br />

del catechismo, 836;<br />

la G.c. è la consumazione in Cristo<br />

<strong>della</strong> Storia Sacra, 842<br />

GERUSALEMME TERRESTRE: secondo Isaia,<br />

nel suo Tempio i Serafini cantavano<br />

il Sanctus, 338; capitale del Popolo<br />

di Dio e centro del mondo nei tempi<br />

del Messia secondo il <strong>senso</strong> dei contemporanei<br />

d'Isaia, 435; sua tipologia<br />

in quanto figura <strong>della</strong> Chiesa e <strong>della</strong><br />

Gerusalemme celeste, 449s, 465; come<br />

Città santa nei Salmi, 469<br />

GESTANTE: benedizione <strong>della</strong> donna g. e<br />

suo significato antidemoniaco, 405<br />

GESTI: come segni nella <strong>liturgia</strong>, 63<br />

GESTANTE: benedizione <strong>della</strong> donna g. e<br />

lotta contro Satana, 359s, 378s; G.<br />

Bambino: la <strong>liturgia</strong> non favorisce<br />

la considerazione di determinati temi<br />

fuori di determinate occasioni : e così<br />

ad esempio del tema G.B. nel tempo<br />

di Pentecoste, 651; fermarsi a vede-


880 INDICI<br />

re <strong>della</strong> persona di G. soltanto il<br />

G.B. senza aver coscienza del Kyrios<br />

risorto, fa correre il pericolo di vedere<br />

in Gesù soltanto la sua vita storica,<br />

ad esempio solo il maestro, e<br />

quindi solo il suo esempio e la sua<br />

etica, 247; la devozione a G.B. può<br />

essere espressione di una sensibilità<br />

religiosa che non tiene conto che ormai<br />

non v'è che un Gesù, il Kyrios<br />

nella gloria, 245; la devozione a G.B.<br />

nasce e si sviluppa nel movimento devozionale<br />

del M. E. dal sec. XII al<br />

sec. XIII, 748<br />

GIACOBBE: nel rituale battesimale degli<br />

adulti è nominato il Dio d'Abramo,<br />

d'Isacco, di Giacobbe e di Mosè, il<br />

quale a questi assegnò un angelo, in<br />

relazione all'angelo del battesimo,<br />

339; G. ed Esaù secondo l'interpretazione<br />

tipologica di Romani 9 sono la<br />

figura dei cristiani e degli ebrei, 449;<br />

G. ed Esaù come figura dei cristiani<br />

e degli ebrei nella tipoligia liturgica,<br />

450<br />

GIACULATORIE: l'abito delle orazioni g.<br />

alimentano la continua presenza di<br />

Dio nel fedele secondo Cassiano, 679<br />

GIANSENISMO: ogni indizio di mente<br />

giansenista è assente dalla suppletio<br />

di S. Gertrude, 714<br />

GIOBBE: la storia di G., come quella di<br />

Ester, di Tobia e di alcuni passi del<br />

Genesi, va considerata anzitutto nel<br />

<strong>senso</strong> dei contemporanei cui era destinata,<br />

435<br />

GIONA: nel ventre <strong>della</strong> balena è figura<br />

<strong>della</strong> resurrezione di Cristo, 449<br />

GIORGIO S. : il prefazio <strong>della</strong> sua messa è<br />

tipo <strong>della</strong> commemorazione del martirio<br />

come completa imitatio Christi<br />

e quindi come vittoria contro Satana,<br />

420<br />

GIOSUÈ: il ciclo di Giosuè è un esempio<br />

<strong>della</strong> rivalutazione moderna dell'esegesi<br />

patristica basata sul principio<br />

« Novum Testamentum in Veteri latet,<br />

Vetus Testamentum in Novo patet<br />

», 430<br />

GIOVANNI BATTISTA : sua figura tipologica<br />

è Elia, 449; la festa di G.B. manifesta<br />

la tipologia biblica Elia-G.B., 450<br />

GIOVANNI DA CAPESTRANO s. : nella sua<br />

messa il postcommunio chiede a Dio<br />

la protezione contro il demonio per<br />

intercessione dei santi, 420<br />

GIOVEDÌ SANTO: ogni messa contiene<br />

anche la sua memoria, poiché ogni<br />

messa contiene tutte le fasi del Mistero<br />

di Cristo, dall'Avvento ad Ognissanti<br />

ecc., 182; nella missa chri-<br />

smatis è esplicitato un forte <strong>senso</strong> antidemoniaco,<br />

390<br />

GIUDEI: e cristiani, e loro tipologia biblica<br />

sotto le figure di Esaù e Giacobbe,<br />

450<br />

GIUDICI: con la lettura dei G., la <strong>liturgia</strong><br />

ne propone anzitutto il <strong>senso</strong><br />

dei contemporanei in modo da non<br />

evacuarne la storicità, 434<br />

GIUDITTA : nella tipologia non biblica ma<br />

liturgica, è figura di Maria in quanto<br />

il Redentore doveva nascere da una<br />

donna, 451<br />

GIUDIZIO: il suo gran giorno segnerà il<br />

trionfo su Satana e il passaggio alla<br />

Gerusalemme celeste, 361s; g. particolare<br />

e parte dei demoni secondo<br />

Origene, 369ss; g. particolare ed opinione<br />

di Origene, che segue idee ellenistiche,<br />

dei demoni come telonia,<br />

372; atto finale dell'Apocalisse nella<br />

visuale <strong>della</strong> Gerusalemme celeste,<br />

362<br />

GIURAMENTO: è il sacramentimi, che anticamente<br />

fu termine militare e poi<br />

espresse il concetto greco di mysterion<br />

in quanto impegno morale, ma<br />

soprattutto Storia Sacra, 571<br />

GIUSEPPE s.: e suo posto nella <strong>liturgia</strong><br />

dei malati, 341; l'orazione a S.G. inserita<br />

nel rituale dal 1913 ha <strong>senso</strong> antidemoniaco,<br />

402<br />

GIUSEPPE DA COPERTINO s. : come esempio<br />

di santo soggetto a frequenti esperienze<br />

estatiche, 688<br />

GIUSTIZIA: come virtù cardinale, 140<br />

GIUSTI: con gli angeli formano la Gerusalemme<br />

celeste, 323<br />

GIUSTO: il g. e pio israelita dell'A.T.<br />

nei Salmi e nella <strong>liturgia</strong>, 470s; il<br />

g. del N.T., 470<br />

Gloria in excelsis Deo: è la grande dossologia,<br />

343; sua formula primitiva<br />

discussa, 220 n. 44; è il canto del ristabilimento<br />

dell'unità cosmica tra<br />

angeli ed uomo nell'Incarnazione del<br />

Verbo, 343; <strong>senso</strong> cristologico-trinitario,<br />

223; come dossologia separata<br />

di origine greca nella <strong>liturgia</strong> romana,<br />

219<br />

Gloria Patri: origine antiariana del<br />

G.P., 219, 223; la Chiesa lo usa per<br />

cristianizzare i Salmi, 210; sua storia<br />

in Occidente, 223 n. 52; come dossologia<br />

separata di origine greca nella<br />

<strong>liturgia</strong> romana, 219<br />

Gloria tibi, Domine: dossologia al canto<br />

<strong>della</strong> quale S. Gertrude vide gli<br />

angeli, 701<br />

GLORIA CELESTE: nella quadruplice dimensione<br />

di ogni segno liturgico la<br />

g.c. è significata nella dimensione


escatologica, 82-106; preannunziata<br />

nel culto giudaico dell'Antica Legge,<br />

145, 543; come realtà spirituale invisibile<br />

significata nel segno liturgico,<br />

114; nei sacramenti in quanto segni<br />

prognostici secondo S. Tommaso, 88;<br />

nel segno sacramentale battesimo,<br />

89s; nel segno sacramentale cresima,<br />

92; l'eucarestia è connessa con la<br />

Resurrezione, e quindi con la g.c,<br />

92; nel segno sacramentale penitenza,<br />

93; nel segno sacramentale uhzione<br />

degli infermi, 93; nel segno sacramentale<br />

ordine sacro, 94; nel segno sacramentale<br />

matrimonio, 94; nei sacramentali,<br />

102; nel segno assemblea<br />

liturgica, 103; nelle feste e nei cicli<br />

liturgici, 102-6; uno dei temi liturgici<br />

come realtà oggettiva dogmatica proposta<br />

alla psicologia liturgica del fedele,<br />

308; gli infermi sono preparati<br />

alla g.c. dal rito con cui la Chiesa li<br />

assiste, 180. Vedi: Escatologia; Gerusalemme<br />

celeste<br />

GLORIA DEL SIGNORE: nella visuale dei testi<br />

d'Isaia letti alla vigilia di Natale,<br />

444<br />

GLORIFICAZIONE: del Figlio di Dio, avvenimento<br />

decisivo per comprendere i<br />

testi deH'A.T., 432; del corpo umano<br />

nella resurrezione, tema necessario<br />

per comprendere il testo di Gioele<br />

3, 1-5 sul dono dello Spirito S., 446<br />

GNOSI: giudaica, è connessa essenzialmente<br />

con la meditazione ed interpretazione<br />

<strong>della</strong> Bibbia, 588; g. giudaica<br />

è la fonte di notevole parte <strong>della</strong><br />

g. ellenistica, 586; g. ellenistica<br />

negli studi recenti ha origine dalla g.<br />

giudaica, 586; g. ereticale e sincretistica,<br />

pericolosa alla fede cristiana e<br />

perciò combattuta da Ireneo, 587; origine<br />

e natura del concetto di g.,<br />

585-88; g. cristiana incentra tutte le<br />

realtà teoriche e pratiche in Cristo,<br />

in connessione con la conoscenza<br />

<strong>della</strong> Bibbia in quanto Storia <strong>della</strong>"<br />

Salvezza, 586; perciò la gnosis e la<br />

conoscenza salutare biblica, 585; ma<br />

la gnosis tou Theou non è solo conoscenza<br />

intellettuale di Dio, ma implica<br />

volontà, affetti e comportamento<br />

pratico, 585s; la g. ha fonte nella<br />

Bibbia meditata e penetrata, 586; nei<br />

Padri dei sec. II-III predomina l'ideale<br />

<strong>della</strong> teologia come g.-sapienza,<br />

anche se attraverso tendenze varie,<br />

586s, 592; la g. rappresenta l'ideale<br />

dei Padri nei loro lavori espositivi<br />

irenici, 585, 812; la g. vera per Ireneo<br />

ha come norma la regola di fede e<br />

la predicazione ecclesiale, 587; la g.<br />

INDICE ANALITICO 881<br />

come conoscenza superiore, verso cui<br />

si ascende per gradi, secondo Origene<br />

è lo studio del mysterion 567, 574;<br />

g. o conoscenza salutare secondo<br />

Origene è il lavoro di scoprimento e<br />

spiegazione dei mysteria salvifici contenuti<br />

tutti nella Bibbia, 568; la g.<br />

diviene meno biblica e più metafisica<br />

a partire dallo Pseudo Dionigi, 588;<br />

la g. patristica ha il difetto di una insufficiente<br />

strumentalità filosofica,<br />

590; la g. patristica per i teologi<br />

posteriori è dal punto di vista filosofico<br />

un processo misto, scientifico ed<br />

extrascientifico, 593; ideale <strong>della</strong> g.<br />

ultima radice <strong>della</strong> posizione <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> nella teologia dei Padri, pregi<br />

e difetti, 588ss<br />

GNOSTICI: gli g. marcosiani usurpano i<br />

riti cristiani, 399 s. 402<br />

GNOSTICISMO: la <strong>liturgia</strong> nettamente<br />

contraria allo spirito dello g. che si<br />

oppone alla materia e vuole salvare<br />

soltanto l'anima, 304; controversia antignostica<br />

e liturgica : Ignazio ed Ireneo<br />

contro lo g. dualistico appellano<br />

alla prassi eucaristica ed alla presenza<br />

reale, 577s; Ireneo combatte la<br />

tradizione apostolica segreta dello<br />

g., appellano all'unanimità ed all'universalità<br />

<strong>della</strong> fede nelle diverse<br />

Chiese, 582<br />

GOLGOTA: il sacrificio di Cristo era già<br />

prefigurato nel culto giudaico, 145;<br />

l'immolazione sul G. ed il suo prolungamento<br />

nella messa danno luce ai<br />

precetti liturgici deH'A.T. richiamati<br />

dalla <strong>liturgia</strong>, 442; la <strong>liturgia</strong> di Cristo<br />

sacerdote nella sua vita terrena<br />

culmina nel sacrificio del G. e prosegue<br />

nel culto celeste, 253; la messa<br />

è il prolungamento incruento del sacrificio<br />

del G., 150, 167; per O. Case!,<br />

nell'eucarestia è reso presente Cristo<br />

glorioso che patì sul G., ma anche<br />

l'azione storica sul Golgota, 116;<br />

ma se la messa ripresentasse la Passione<br />

del G. nella sua individualità<br />

numerica, essa sarebbe un sacrificio<br />

cruento e quindi in essa Cristo meriterebbe<br />

di nuovo, 119; il significato<br />

<strong>della</strong> vita di Cristo fino al G. è percepito<br />

solo dalla fede, 660; il movimento<br />

liturgico protestante fa riconsiderare<br />

dell'eucarestia anche i rapporti<br />

col G. in <strong>senso</strong> più tradizionale,<br />

780<br />

GRAN GIORNO: nell'Apocalisse è il g.<br />

del trionfo di Cristo, e del suo giudizio,<br />

362<br />

GRATIA CAPITIS: e <strong>liturgia</strong>, 261<br />

GRAZIA: la g. santificatrice è significata


882 INDICI<br />

in ogni segno liturgico, 39s, 82s, 85-<br />

88; la g. necessaria all'atto di fede è<br />

causa nello stesso di una conoscenza<br />

per connaturalità, 503-8; liti pelagiane<br />

e semipelagiane sulla g. e <strong>liturgia</strong>,<br />

492, 497, 578s; g, e sforzo umano nella<br />

spiritualità in genere, 631; modo di<br />

vivere il binomio g.-sforzo umano<br />

nella spiritualità liturgica, col predominio<br />

<strong>della</strong> coscienza <strong>della</strong> g., 630;<br />

necessità <strong>della</strong> g. richiamata dalla<br />

tematica <strong>della</strong> spiritualità liturgica,<br />

664; poiché l'azione liturgica è il luogo<br />

privilegiato dove si ottiene da Dio<br />

la g. necessaria all'esercizio di ogni<br />

opera soprannaturale, la spiritualità<br />

incentrata nell'azione liturgica mette<br />

la g. al centro <strong>della</strong> coscienza, 657;<br />

sforzo ascetico e coscienza <strong>della</strong> g.<br />

nella spiritualità liturgica di s. Gertrude,<br />

713s; la g. è causata dall'eucarestia<br />

per se stessa, e dagli altri sacramenti<br />

per un certo voto dell'eucarestia,<br />

179; la <strong>liturgia</strong> intende i testi<br />

biblici che parlano <strong>della</strong> Legge mosaica<br />

come prefigurativi dell'economia<br />

<strong>della</strong> g. cristiana, 407; trattato<br />

<strong>della</strong> g. e <strong>liturgia</strong>, 601; trattato <strong>della</strong><br />

g. e <strong>liturgia</strong>, nella teologia positivoscolastica,<br />

518, 531s<br />

GRECA, LITURGIA: posto di Maria nella<br />

lotta contro Satana secondo la 1. g.,<br />

421 Vedi: Bizantina, <strong>liturgia</strong><br />

GUERRA: come la <strong>liturgia</strong> intende e<br />

propone i testi biblici, in specie<br />

dei Salmi, che parlano <strong>della</strong> g. contro<br />

i nemici di Dio, 407ss<br />

HADES: come luogo demoniaco era posto<br />

dai greci ad occidente, 388<br />

Hcec est dies: antifona dei vespri dell'Assunzione,<br />

716<br />

HELFTA: monastero del gruppo di s.<br />

Gertrude la grande, 688 n. '82, 703,<br />

705, 719, 747s<br />

Hyós: nell'antica <strong>liturgia</strong> è Dio Figlio<br />

nelle relazioni intratrinitarie, 213<br />

HISTORIA: esprime il concetto di Storia<br />

Sacra in S. Agostino, 814<br />

HISTORIA DISPENSATIONIS: esprime il concetto<br />

di Storia Sacra in S. Agostino,<br />

814<br />

ICHTHYS: pesce, è simbolo di Cristo, 50<br />

ICONOCLASMO: liti iconoclaste e concetto<br />

di immagine, 52; liti iconoclaste e<br />

<strong>liturgia</strong>, 492, 579<br />

ICONOGRAFIA dell'arte paleocristiana e<br />

in buona parte ancora medievale, di­<br />

pende dalla interpretazione liturgica<br />

<strong>della</strong> bibbia, 456 n. 14<br />

ICONOSTASI: durante i secoli ha finito<br />

per nascondere l'altare (Vedi) in<br />

Oriente, 282<br />

IDOLATRIA: per la Bibbia il culto idolatrico<br />

come il paganesimo è culto dei<br />

demoni, 368, 378; nel culto idolatrico<br />

tutte le cose attinenti hanno connessione<br />

con Satana, 367; nel N.T. paganesimo<br />

ed i. sono manifestazione del<br />

demonio, di Satana nel mondo, 349;<br />

è dominio privilegiato di Satana prima<br />

e dopo Cristo secondo S. Paolo,<br />

357; in s. Tommaso nella questione<br />

delle immagini nel culto, 547<br />

Jesu decus angelicum: inno <strong>della</strong> festa<br />

del Nome di Gesù<br />

Jesu dulcis memoria: inno <strong>della</strong> festa<br />

del Nome di Gesù, come esempi di<br />

sensibilità religiosa concentrata più<br />

sul soggetto che sull'oggetto, 307<br />

n. 22<br />

Jesu nostra redemptio : inno del breviaria<br />

monastico, 419<br />

ILEMORFISMO: nei sacramenti secondo<br />

S. Tommaso, 540<br />

ILLUMINISMO: determina la scelta delle<br />

questioni trattate dalla teologia,<br />

531; influisce sui catechismi del sec.<br />

XVIII, 831<br />

IMAGO: realismo di questa nozione (e<br />

delle nozioni affini di species, figura,<br />

symbolum, mysterium, sacramentum)<br />

presso gli antichi, 49s, 51, 52ss; concetto<br />

connesso dai latini con concetti<br />

di signum, figura, symbolum cioè<br />

mysterion, 571; nel Sacramentario<br />

leoniano, 572<br />

IMITATIO CHRISTI: non è solo morale di<br />

sentimenti e affetti, ma fisicomistica,<br />

quindi anche morale, 356; la più perfetta<br />

i. di Cristo è il martirio come<br />

totale dedizione a Dio, 419; o assimilazione<br />

a Cristo in quanto unione con<br />

Dio come centro <strong>della</strong> spiritualità cristiana,<br />

613; è comune a tutte le spiritualità,<br />

631<br />

IMITAZIONE DEI SANTI: grande tema <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> dei santi, 664<br />

IMMACOLATA CONCEZIONE: l'I.C. di Maria<br />

fu proposta dal magistero <strong>della</strong> Chiesa<br />

all'adesione dei credenti nella festa<br />

omonima con grado diverso d'autorità<br />

secondo le epoche, 492; I.C,<br />

esempio, assieme all'Assunzione, dell'importanza<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel processo<br />

esplicitativo dei dogmi, 507 n. 30;<br />

festa come trionfo di Maria su Satana,<br />

422; festa dell'apparizione di<br />

Lourdes come trionfo su Satana, 422;<br />

nella festa dell'I .C si svolge la prò-


fezia del Messia dell'A.T., 444; in tale<br />

festa hanno importanza le profezie<br />

dell'A.T., 446; come la <strong>liturgia</strong> interpreta<br />

Gen 3, 14 in tale festa, 446;<br />

nella festa dell'I.C. la <strong>liturgia</strong> evolve<br />

la tipologia di Giuditta ed Ester, 451;<br />

la <strong>liturgia</strong> legge i testi mariani del<br />

N.T. alla luce <strong>della</strong> dottrina deiri.C,<br />

452; la dottrina .come conosciuta oggi<br />

illumina la salutazione angelica, 452;<br />

nella festa dell'I.C. il Salmo 8 acquista<br />

luce particolare, 463s; la festa<br />

dell'I.C. nei sec. XII-XIII era opinione<br />

teologica diversamente accolta dai<br />

teologi, 491"; la festa dell'I.C. riflette<br />

nei secoli vari stati dottrinali e all'inizio<br />

del sec. XIX rifletteva uno stato<br />

dottrinale diverso da quello odierno,<br />

492; dal solo lato liturgico nel<br />

sec. XIX era molto diversa la proposizione<br />

dell'I.C. e dell'Assunzione da<br />

parte <strong>della</strong> Chiesa, 494; Pio IX accettò<br />

il principio che per una definizione<br />

non era necessaria la prova<br />

apodittica per sola via di ragionamento,<br />

507 n. 30; esempio dell'influsso<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sul. dogma, 508; I.C. e<br />

<strong>liturgia</strong> nei positivo scolastici dei sec.<br />

XVIII, 523; i positivo scolastici nella<br />

questione dell'I.C. ricorrono alle definizioni<br />

ex cathedra, 527; accenni alla<br />

festa dell'I.C. nelle sintesi teologiche<br />

del sec. XIX che non lasciano quasi<br />

posto alla <strong>liturgia</strong>, 519; accenni alla<br />

festa dell'I.C. negli odierni annali<br />

teologici, che non danno gran posto<br />

alla <strong>liturgia</strong>, alla festa liturgica dell'I.C.<br />

nella questione dogmatica dell'I.C,<br />

523; consuetudo di tale festa<br />

presso S. Tommaso, 549; S. Tommaso<br />

discute l'autorità e il <strong>senso</strong> <strong>della</strong><br />

festa dell'I.C., 552; nella questione<br />

foziana sull'I.C. il ricorso alla <strong>liturgia</strong><br />

fu notevole, 580 n. 92; il magistero<br />

interviene anzitutto contro gli<br />

errori e non per proporre intera la<br />

Rivelazione: la definizione dell'I.C. è<br />

la prima eccezione, 812 n. 21<br />

IMMAGINE: nozione, 49s; mentalità realista<br />

antica e mentalità moderna intorno<br />

al concetto di i. e ai concetti<br />

affini e importanza di questo fatto<br />

per la storia <strong>della</strong> teologia e per la<br />

<strong>liturgia</strong>, 50-56; i. e mysterion, 567ss;<br />

controversia dogmatica intorno alle<br />

immagini e <strong>liturgia</strong>, 52, 492, 579; immagini<br />

del culto e culto delle immagini<br />

secondo S. Tommaso, 548 n. 35;<br />

in connessione alle dimensioni di mysterion<br />

come Storia Sacra; 573; il<br />

concetto ha gran parte nella visione<br />

neo-platonica specialmente dello<br />

INDICE ANALITICO 883<br />

Pseudo Dionigi, 53s, 589; concetto largamente<br />

esplicitato da S. Agostino,<br />

590; la terminologia connessa passò<br />

largamente nei formulari liturgici, 572<br />

IMPERIUM: di cacciare i demoni ricevuto<br />

dall'esorcista, 403<br />

IMPOSIZIONE DELLE MANI : importante segno-gesto,<br />

63; segno già conosciuto<br />

dal giudaismo, 58; come sacramentum<br />

in S. Agostino, 43 n. 20; aspetto<br />

positivo di santificazione nel rito<br />

sugli audientes, 380; propria dell'esorcista<br />

nei riti sui catecumeni, 403; e<br />

Spirito Santo nella riconciliazione dei<br />

penitenti, 234, 398; nel sacramento<br />

dell'ordine, 235; materia prossima<br />

<strong>della</strong> cresima insieme alla consignazione<br />

e al crisma, 318; e <strong>senso</strong> antidemoniaco<br />

dell'unzione dei malati,<br />

401<br />

INABITAZIONE: delle persone divine, 137;<br />

persone divine e spiritualità, 619<br />

INCARNAZIONE: la legge dell'incarnazione<br />

nei Tapporti tra l'uomo e Dio, 74s,<br />

147s, 290-94; significato di questa legge,<br />

290s; i. del Verbo manifestazione<br />

plenaria e nascondimento di Dio,<br />

291; la <strong>liturgia</strong> come caso privilegiato<br />

<strong>della</strong> legge dell'i., 292s; i, e possibilità<br />

di scandalo nella <strong>liturgia</strong>, 295;<br />

<strong>liturgia</strong> continua epifania incarnata e<br />

nascondimento di Cristo, 295s; i. e<br />

peccato df Adamo, 28 n. 9; la Scrittura<br />

è una i. sui generis del Verbo,<br />

568; i. e lotta contro Satana, 350s,<br />

413s; i. del Verbo é unità del cosmo,<br />

315; legge dell'i, e pastorale liturgica,<br />

797; dopo Giustino come evento<br />

<strong>della</strong> vita di Cristo e mysterion, 566;<br />

inizio dell'esercizio del sacerdozio<br />

di Cristo culminato sul Golgota, 251,<br />

261; va considerata alla luce del dogma<br />

dell'unità sostanziale dell'uomo,<br />

299; la fase preparatoria storica dell'A.T.<br />

vi tendeva come a sua realizzazione,<br />

168; nella visione liturgica<br />

tutto l'A-T. grida verso l'I., come<br />

fanno i fedeli, 444s; porta inaudito<br />

approfondimento alle idee dell'A.T.<br />

sull'unità del mondo infraumano e<br />

dell'uomo ai fini <strong>della</strong> vita divina,<br />

314; è uno dei temi biblici e tradizionali<br />

dell'esemplarismo cristiano,<br />

56; il <strong>senso</strong> reale divino è percepito<br />

solo dalla fede, 660; con la redenzione<br />

è il grande faro dell'anima anche<br />

fuori l'azione liturgica, 656; avvenimento<br />

decisivo vissuto dai fedeli,<br />

che fa immensamente trascendere il<br />

significato dell'A.T., 432; non se ne<br />

comprende la realtà concreta se si<br />

vive uno spiritualismo astratto e di-


884 INDICI<br />

sincarnato, 248; nei primi tempi <strong>della</strong><br />

conversione il neoplatonismo di S.<br />

Agostino era lontano dallo spiritualismo<br />

incarnazionistico cristiano, 300<br />

Incensum istud: preghiera introdotta<br />

nella messa durante il M.E. dall'uso<br />

gallicano, 282 n. 31<br />

INCUBI: come manifestazione diabolica<br />

nel culto degli idoli, 367<br />

Indiculus de gratta Dei e principio<br />

lex credendi, 43, 496ss, 579, 582<br />

INDIVIDUALISMO: in spiritualità, 669; i.<br />

e distacco del popolo anche fedele<br />

dalla <strong>liturgia</strong>, 786. Vedi individuo<br />

INDIVIDUO e <strong>liturgia</strong>: in <strong>liturgia</strong> il fatto<br />

e il -<strong>senso</strong> dei segni liturgici non è<br />

determinato da individui privati, nemmeno<br />

nelle parti che non sono d'istituzione<br />

divina, ma dalla Chiesa, 57-60;<br />

i. e comunità nella spiritualità in genere<br />

e possibilità di accenti diversi,<br />

621; le disposizioni morali e l'impegno<br />

morale dell'individuo che interviene<br />

nella <strong>liturgia</strong> sono implicate in<br />

ogni <strong>senso</strong> liturgico, 82-88; l'azione<br />

liturgica e i testi che vi si leggono<br />

hanno riferimento anche alla situazione<br />

morale concreta individuale dei<br />

singoli che vi intervengono, 453ss;<br />

riferimento dei salmi in specie alle<br />

realtà individuali di chi li recita, 457s,<br />

464, 466; la <strong>liturgia</strong> si preoccupa sommamente<br />

dell'impegno del soggetto i.<br />

ma lo concepisce come sua risposta<br />

alle realtà oggettive imposte da Dio<br />

secondo la legge dell'oggettività, 189-<br />

95; l'i. nella rivelazione e nella <strong>liturgia</strong><br />

non può nascere, sussistere e svilupparsi<br />

che nel quadro <strong>della</strong> comunità<br />

secondo la legge <strong>della</strong> comunitarietà<br />

<strong>della</strong> salvezza, 265-89; la spiritualità<br />

liturgica è essenzialmente comunitaria,<br />

627s; la personalizzazione<br />

individuale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, possibile<br />

e doverosa, si realizza al sommo<br />

grado nell'esperienza mistica nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 650s, 653s, 677; i. ed esperienza<br />

personale <strong>della</strong> fede, 501-6;<br />

i. e collettività nella religione dell'Antico<br />

Testamento, 270ss; i. e comunità<br />

nella pastorale, 756-59; i. e<br />

<strong>liturgia</strong> nell'esempio di S. Gertrude,<br />

752<br />

Indulgentiam: apologia nella messa,<br />

282<br />

INDUZIONE: e deduzione nella scienza<br />

secondo Aristotele e gli scolastici,<br />

593<br />

In exitu Israel de Aegypto, 464<br />

INFALLIBILITÀ : <strong>della</strong> Chiesa Romana:<br />

come persuasione vigente a Roma<br />

nei sec. V-VI, per sola via storica si<br />

dimostra ad esempio dal Sacramentario<br />

leoniano, 529; i. del papa: lo<br />

sviluppo di tale dogma fa comprendere<br />

in pieno la parola « Tu sei Pietro...<br />

», 452<br />

INFANZIA: storica di Cristo presentata<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 747<br />

INFERMI : Vedi, malati<br />

INFERNO : formulario di messa « per alleviare<br />

le pene dell'i. », 478, 489; i. descritto<br />

con colori troppo concreti,<br />

371<br />

INFLUSSO demoniaco: dopo Adamo è<br />

reale, personale e universale, 386<br />

INGRESSO NELLA CHIESA: tipologia come<br />

ingresso nella Terra promessa e battesimo,<br />

450<br />

INIZIAZIONE: cristiana: sua specifica<br />

preparazione è la quaresima, 415; ancora<br />

oggi tale è l'introduzione alla<br />

<strong>liturgia</strong> come « mistero », 800; che<br />

sia una catechesi che unifica gli aspetti<br />

del mistero cristiano nell'equilibrio<br />

<strong>della</strong> Rivelazione, 821; la <strong>liturgia</strong><br />

dell'i.c. punto di partenza per<br />

considerare la Storia Sacra Mistero<br />

di Cristo, 814; ha il suo apice nella<br />

comunione al sacrificio eucaristico,<br />

383; i.c. e ciclo settuagesima-Pentecoste,<br />

183s; <strong>senso</strong> cristologico trinitario<br />

dell'i.c, 229-34; i.c. e lotta contro<br />

Satana, 377-95; principali riti dell'i.c.<br />

spiegati dai Padri, 557; riti liturgici<br />

dell'i.c. ed Esercizi di S. Gertrude,<br />

745; riti modificati eventualmente<br />

dalle varie Chiese nell'unità<br />

<strong>della</strong> fede, 583; come mysterion nella<br />

teologia dei Padri dal sec. IV, 570;<br />

i temi patristici dell'i.c. sono ripresi<br />

da S. Tommaso, 546; sacramenta<br />

dell'i.c. come spiegazione <strong>della</strong> Storia<br />

Sacra in S. Agostino, 815; come<br />

tema di considerazione nelle opere di<br />

S. Gertrude, 698<br />

INIZIAZIONE: pagana: rito di i. nei<br />

misteri pagani, 90<br />

INLATIO del Messale mozarabico, 414<br />

Innixa super dilectum suum, 686<br />

INNO ANGFXICO: Gloria in excelsis Deo,<br />

la cui parafrasi è la dossologia, 343<br />

INNOCENZA battesimale e penitenza, 397<br />

In nomine Patris et Filii et Spiritus<br />

Sancii: e <strong>senso</strong> cristologico trinitario,<br />

236<br />

In paradìsum: nella <strong>liturgia</strong> dei malati<br />

e posto degli angeli, 341<br />

INSEGNAMENTO: fine didattico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

reale ma secondario e realizzato<br />

più indirettamente che direttamente,<br />

481ss; osservazioni sui programmi<br />

d'i. <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 602-7; i.<br />

<strong>della</strong> teologia dogmatica, dell'esegesi,


dell'ascetica e <strong>della</strong> mistica e <strong>liturgia</strong>,<br />

603ss<br />

INSEGNAMENTO RELIGIOSO: non coincide<br />

semplicemente col fine specifico <strong>della</strong><br />

predicazione, 803<br />

INSEGNE PONTIFICALI nella spiegazione<br />

di S. Tommaso, 546<br />

INSERVIENTE: nelle messe lette e carattere<br />

comunitario <strong>della</strong> messa, 282<br />

In spiritu humilitatis: sua introduzione<br />

gallicana nella messa, 282 n. 31<br />

INSUFFLAZIONE e lotta contro Satana,<br />

379s; bruciano a fugano i demoni secondo<br />

S. Cirillo di Gerusalemme,<br />

387; come sacramentum degli scrutini<br />

secondo Quodvultdeus di Cartagine,<br />

384; come tema nella letteratura<br />

patristica d'interesse <strong>teologico</strong>-liturgico,<br />

557<br />

INTELLETTUALI: la catechesi degli intelletuali<br />

secondo S. Agostino, 816s<br />

INTELLIGENZA: modo proprio, di tipo<br />

più concreto, storico, intuitivo che<br />

scolastico speculativo, in cui avviene<br />

nella <strong>liturgia</strong> l'esercizio dell'i, tra le<br />

altre facoltà psicologiche, 307s, 483s,<br />

620s<br />

INTERCESSIONE, dei santi e <strong>liturgia</strong>, 327s<br />

INTERIORITÀ e <strong>liturgia</strong>. Vedi, individuo,<br />

esteriorità<br />

Introibo ad altare Dei: sua introduzione<br />

d'origine gallicana, 282 n. 31<br />

INTROVERSIONE e <strong>liturgia</strong>, llls<br />

INTUIZIONE: e discorso nell'esperienza<br />

mistica, 614s; conoscenza per i., santità<br />

di vita e preghiera personale dei<br />

salmi, 457s; la <strong>liturgia</strong> è più intuitiva<br />

che raziocinativa, 483s. Vedi, conoscenza<br />

per connaturalità<br />

INVASIONE MISTICA : in S. Gertrude come<br />

esperienza durante la <strong>liturgia</strong>, 730<br />

INVENZIONE DELLA CROCE nel sec. IV è<br />

termine storico per il tema biblico<br />

liturgico dell'i.d.c, 418<br />

IPERDULIA: culto, 146<br />

ISACCO: in connessione con l'angelo del<br />

battesimo, il rito battesimale degli<br />

adulti nomina il Dio dei Patriarchi<br />

cui era stato assegnato un angelo,<br />

339; come tema tipologico patristico<br />

' nella rivalutazione teologica moderna,<br />

429 n. 2; ed Israele nella tipologia<br />

biblica come figura dei cristiani e<br />

giudei, 450<br />

ISIDE: nei misteri cultici pagani che<br />

celebrano la morte e la resurrezione,<br />

116<br />

ISMAELE: ed Isacco nella tipologia biblica<br />

come figura dei giudei e cristiani,<br />

450<br />

ISRAELE: come Q'hal Jahweh, popolo religioso,<br />

321s; onorava Dio come da­<br />

INDICE ANALITICO 885<br />

tore del Patto, 145; gli eventi storici<br />

d'I. conservano la loro realtà ma nel<br />

N.T. ne assumono una più profonda,<br />

448; gli eventi passati d'I. nella tipologia<br />

dei profeti, 447; soggetto immediato<br />

dei precetti e ammonimenti<br />

dell'A.T. che sono ripetuti nel N.T.,<br />

441s; tra I. e Dio Malachia pone come<br />

intermediario l'angelo del patto,<br />

332; da Dio riceve un angelo nell'Esodo:<br />

- tema in connessione con l'angelo<br />

del battesimo, 339; tema dell'amore<br />

coniugale di I. con Dio nella<br />

Cantica, 440; I. soggetto di speciale<br />

provvidenza come tema dei Salmi,<br />

471; nemici d'I. come tema dei Salmi,<br />

462, 467s; le guerre d'I. contro i nemici<br />

tema dei Salmi, 469; i figli d'I.<br />

ricevono da Dio la parola di pace<br />

di Cristo, 352; nuovo I. è la Chiesa,<br />

29-32, 323, 464s; come nuovo I, la<br />

Chiesa ha un angelo di Dio, 333; i<br />

figli d'I. redenti hanno il privilegio<br />

di avvicinarsi a Dio, 329; le preghiere<br />

di ringraziamento d'I. per la protezione<br />

di Dio sono fatte proprie dal<br />

cristiano nella lotta contro Satana,<br />

467; i Salmi che cantano la misericordia<br />

di Dio verso I. sono intesi dal<br />

cristiano prolungandoli alle realtà<br />

cristiane, 651<br />

ISTINTO CRISTIANO: nella fede, 502; e <strong>liturgia</strong><br />

nell'evoluzione dei dogmi,<br />

505s<br />

ISTRUZIONE nella <strong>liturgia</strong>, 481ss<br />

Judica me Deus: sua introduzione gallicana<br />

nella messa, 282 n. 31.<br />

Kedushah: santificazione, preghiera sinagogale,<br />

contiene il Sanctus d'Isaia,<br />

337<br />

KERYGMA: è il primo annuncio dell'Evangelo,<br />

seguito dalla catechesi di<br />

approfondimento e dall'omelia nell'azione<br />

liturgica, 802 n. 7; nel N.T.<br />

e nella tradizione patristica come modo<br />

di concepire la catechesi incentrata<br />

su Cristo e la storia sacra,<br />

811-19<br />

KOINONOS: tema del banchetto comunitario<br />

connesso col Patto nel N.T., 91<br />

Kyrie eleison : risposta del popolo alla<br />

prece litanica del diacono prima del<br />

congedo dei penitenti, 397<br />

KYRIOS: come Dominus, Signore, in<br />

quanto Uomo risorto ed ora nel suo<br />

stato di glorificazione eterna, verso<br />

cui tendeva tutta la sua vita storica,<br />

243s; occorre forte coscienza che esiste<br />

un solo Gesù, quello nella gloria.


886 INDICI<br />

il Kyrios, nostro Sommo Sacerdote<br />

presso il Padre, 244s, 247; solo nella<br />

visuale del K. e del mistero pasquale<br />

si può avere il concetto integrale del<br />

sacerdozio attuale di Cristo, 249; mediatore<br />

universale nella lettera agli<br />

Ebrei, 252; nella sua mediazione eterna<br />

presso il Padre, il K. per mezzo<br />

<strong>della</strong> sua Umanità, ci comunica la vita<br />

divina, 246, 260; conseguenze di ciò<br />

per la natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 260; Unico<br />

sacerdote, Unico mediatore, Unico<br />

liturgo che compie continuamente<br />

l'unica <strong>liturgia</strong>, quella pasquale per<br />

comunicare la vita divina al mondo,<br />

264; nel considerare l'Uomo Cristo<br />

l'accento si può porre sul Gesù storico<br />

che visse e morì in Palestina, o<br />

sul K. del mistero pasquale, 619;<br />

ogni grazia da Dio ed ogni ritorno<br />

in Dio è sempre e soltanto attraverso<br />

il K., 628; la spiritualità liturgica<br />

è cristocentrica perché parte dai<br />

tratti del K. del mistero pasquale, 631<br />

LACRIME: come effetto esterno del più<br />

alto grado <strong>della</strong> contemplazione secondo<br />

Cassiano, 679; nell'esperienza<br />

mistica solo le 1. secondo Cassiano<br />

possono dare sollievo alla gioia dell'orazione<br />

ignita, 677<br />

LAICI: nella Chiesa e la questione del<br />

sacerdozio universale dei fedeli, 153s;<br />

parte attiva dei laici nella <strong>liturgia</strong>,<br />

ma differenziata da quella del sommo<br />

sacerdote e dei leviti, secondo Clemente<br />

romano, 280; i 1., a partire dal<br />

medioevo, ridotti sempre più a semplici<br />

spettatori muti e inerti alla<br />

messa, 282ss; movimento liturgico e<br />

rivalorizzazione <strong>della</strong> teologia del laicato,<br />

784-87<br />

LAOS: Popolo di Dio, suo possesso, eredità,<br />

gente santa, diletta da Dio, popolo<br />

sacerdotale nell'A.T.<br />

LATREIA, LATRIA: servaggio, culto supremo<br />

di adorazione tributato dall'uomo<br />

alla natura divina, 146<br />

LAVABO INTER INNOCENTES: sua introduzione<br />

nella messa da parte gallicana<br />

nel M.E., 282 n. 31<br />

LAVORO: teologia del lavoro e unitotalità<br />

<strong>della</strong> salvezza, 301<br />

LAZZARO: e <strong>liturgia</strong> dei malati, 342<br />

LECTIO CONTINUA: <strong>della</strong> Bibbia, nel ciclo<br />

di un anno e nell'ordine in cui si susseguono<br />

nei Libri sacri, durante il<br />

M.E. sotto influsso monastico, 427 n 1.<br />

LECTIO DIVINA: il metodo monastico <strong>della</strong><br />

l.d. come studio, meditazione e pre­<br />

ghiera <strong>della</strong> Bibbia e <strong>della</strong> tradizione<br />

in intima connessione con la <strong>liturgia</strong>,<br />

473, 655, 678, 705<br />

LECTIO: come studio vitale <strong>della</strong> Bibbia<br />

e dei Padri in S. Gertrude, 706, 713<br />

LEGATURA DELLE POTENZE: come esperienza<br />

mistica in apparente contrasto con<br />

la partecipazione attiva alla <strong>liturgia</strong>,<br />

686; come impaccio a produrre atti<br />

« addizionali » all'unione mistica, cioè<br />

discorsi d'intelletto immaginazioni ed<br />

atti esterni, 687. Vedi: Estasi<br />

LEGEM CREDENDI LEX STATUAT SUPPLICANDI<br />

(lex credendi lex orandi) : storia e valore<br />

del principio, 477, 496ss; nelle<br />

immagini recenti sui Padri, 563 n. 40;<br />

577 n. 71; l'argomento <strong>della</strong> necessità<br />

<strong>della</strong> preghiera contro i semipelagiani,<br />

che passa poi nell'Indiculus de<br />

gratia Dei, 579; secondo questo principio<br />

la <strong>liturgia</strong> è una delle principali<br />

occasioni per l'evoluzione dei<br />

dogmi: interpretazione dei modernisti,<br />

500<br />

LEGGE ANTICA: trattato <strong>della</strong> l.a. e <strong>liturgia</strong><br />

in S. Tommaso, 547s; teologia<br />

del culto <strong>della</strong> l.a. secondo S. Tommaso,<br />

542ss<br />

LEGGE MOSAICA : come tema dei Salmi da<br />

trasporre nell'economia <strong>della</strong> grazia<br />

secondo la legge del pedagogo, 467;<br />

l.m., economia cristiana e <strong>liturgia</strong>,<br />

467; l.m. è mezzo di cui secondo San<br />

Paolo abusavano gli angeli malvagi<br />

per far peccare l'uomo, 354; anch'essa<br />

era basata su molti riti sacramenta,<br />

76; significato dei precetti liturgici<br />

<strong>della</strong> l.m. secondo S. Tommaso,<br />

547s<br />

LEGGE DEL PEDAGOGO: nella visuale di San<br />

Paolo proclama il compimento in<br />

Cristo di tutto quello ch'è stato prefigurato,<br />

preannunziato, preparato<br />

nell'A.T., 448; applicazione alla Legge<br />

mosaica <strong>della</strong> 1. del p. in quanto guida<br />

all'economia <strong>della</strong> grazia in Cristo,<br />

467<br />

LEGGI DELL'ECONOMIA DIVINA NEL MONDO:<br />

e <strong>liturgia</strong>, 189-473. Vedi seguenti.<br />

LEGGE DELLA LIBERA COOPERAZIONE DELL'UO­<br />

MO: e sua stretta connessione con la<br />

predicazione ecclesiale, 824<br />

LEGGE DELL'INCARNAZIONE: è una delle<br />

leggi che Dio pone nei suoi rapporti<br />

con l'uomo e che quindi regolano la<br />

<strong>liturgia</strong>, 189; Dio ha voluto osservarla<br />

nei suoi rapporti con gli uomini,<br />

ch'Egli salva per mezzo di altri uomini,<br />

non quindi astrattamente, 79;<br />

Cristo Verbo di Dio è la massima comunicazione<br />

di Dio all'uomo, epifania<br />

vivente di Dio e quindi incarnazione


secondo la l.d.i., 291; la l.d.i. presiede<br />

all'incontro tra Dio e uomo nel<br />

culto interiore che si. deve anche esteriorizzare,<br />

148; l.d.i. e <strong>liturgia</strong>, 290-97;<br />

la l.d.i. esige che il popolo sia elevato<br />

a comprendere e ad assimilare<br />

la Bibbia nella <strong>liturgia</strong>, 797; il mondo<br />

sacramentale, e quindi anzitutto<br />

l'eucarestia che ne è il centro, è costruito<br />

secondo la l.d.i., 293; la l.d.i.<br />

rende conto dell'incontro tra Dio e<br />

uomo in un regime di sacramenta,<br />

cioè di segni, 75; la sua profondità è<br />

scoperta dal teologo soprattutto nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 537; sua stretta connessione<br />

con la predicazione ecclesiale, 824;<br />

misconosciuta dal protestantesimo logico<br />

con se stesso, 296s<br />

LEGGE DELL'OGGETTIVITÀ: formulazione: la<br />

via nostra per andare a Dio non è<br />

lasciata alla nostra libera scelta né<br />

al nostro capriccio, ma ci è imposta<br />

da Dio, 75; rende conto dell'incontro<br />

di Dio con l'uomo in sacramento, in<br />

un regime di segni, 75; una delle<br />

leggi che Dio ha voluto osservare nei<br />

suoi rapporti con gli uomini, 79; nell'attuazione<br />

liturgica, Dio attua il Mistero<br />

di Cristo e lo partecipa agli<br />

uomini, 112s; è il primo fondamento<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 190, 196; sue norme e<br />

struttura, 189-95; Chiesa e <strong>liturgia</strong><br />

nella legge <strong>della</strong> salvezza in comunità<br />

ci riportano sempre alla l.d.o., 276;<br />

è l'elemento distintivo <strong>della</strong> spiritualità<br />

titurgica, 629; per la salvezza,<br />

occorre entrare nel Mistero Pasquale,<br />

e quindi partecipare all'eucarestia<br />

secondo la l.d.o., 762; sua stretta<br />

connessione con la predicazione ecclesiale,<br />

824<br />

LEGGE DEL RISPETTO DELLE NATURE : nel trattare<br />

con l'uomo, Dio agisce secondo<br />

lo stile dell'uomo perché tiene conto<br />

<strong>della</strong> natura concreta dell'uomo, spirito<br />

incarnato, 294; l'uomo, spirito e<br />

corpo, per salvarsi deve avere contatto<br />

anche fisico benché sacramentale<br />

con l'umanità di Cristo Risorto,<br />

cioè con l'eucarestia, 769<br />

LEGGE DELLA SALVEZZA IN COMUNITÀ : è una<br />

delle sei leggi poste da Dio nei suoi<br />

rapporti con l'uomo, che interessano<br />

maggiormente la <strong>liturgia</strong>, 189; Chiesa<br />

e Liturgia nell'attuazione <strong>della</strong><br />

l.d.s. in e. ci riportano sempre alla<br />

legge dell'oggettività, 276; rende conto<br />

dell'incontro di Dio con l'uomo in<br />

sacramento, in un regime di segni,<br />

75; nella Storia <strong>della</strong> Salvezza, Dio<br />

salva l'uomo per mezzo di altri uomini,<br />

secondo la legge dell'incarna­<br />

INDICE ANALITICO 887<br />

zione, 79; sua formulazione, significato<br />

e struttura, 265-89; la l.d.s. in<br />

e. secondo la Rivelazione, 269-74; si<br />

spiega col concetto di Popolo di Dio<br />

nell'A. e nel N.T. 270; l.d.s. in e. e<br />

rapporti con la coscienza individuale<br />

nell'A.T., 271; la Chiesa è in terra la<br />

concretizzazione massima <strong>della</strong> l.d.s.<br />

in e, 287; tale legge nella vita ecclesiale<br />

e liturgica, 274; e rapporti col<br />

mondo angelico, 322; come una delle<br />

profondità <strong>della</strong> Rivelazione, il teologo<br />

la scopre veramente solo nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 537; è sempre presupposta<br />

dalla pastorale, 754ss; nella pastorale<br />

viene attuata pur nel rispetto dell'individuo,<br />

756; e sua stretta connessione<br />

con la predicazione ecclesiale,<br />

824; i freni posti dall'autorità nel<br />

campo del diritto ecclesiastico liturgico<br />

fanno parte <strong>della</strong> l.d.s. in e, 288<br />

LEGGE DELL'UNITOTALITÀ COSMICA DELLA SAL­<br />

VEZZA: è una delle leggi poste da Dio<br />

nei suoi rapporti con l'uomo, che<br />

interessa maggiormente la <strong>liturgia</strong>,<br />

189; sua formulazione, significato,<br />

struttura, 32245; e dogma <strong>della</strong> omunione<br />

dei santi, 324; pervade la<br />

realtà <strong>della</strong> nostra comunione coi<br />

santi sempre attualizzata nella <strong>liturgia</strong>,<br />

328<br />

LEGGENDE: nel breviario e nella <strong>liturgia</strong><br />

in genere, e modo di intederle, 495s<br />

LEGISLAZIONE LITURGICA: Vedi: Diritto<br />

liturgico<br />

LEITOURGIA, LEITON ERGON : « opera che<br />

riguarda il popolo » in <strong>senso</strong> religioso<br />

e cultuale, termine già ripreso dai<br />

Settanta, 33; nel pensiero di S. Clemente<br />

romano, 279s<br />

LETTERA E SPIRITO : concetto affine a quello<br />

di mysterion, 567<br />

LETTERE PASQUALI: dei vescovi d'Alessandria<br />

e loro importanza per la <strong>liturgia</strong><br />

e per la letteratura patristica<br />

d'interesse <strong>teologico</strong>-liturgico, 561<br />

LETTURA-MEDITAZIONE: come meditazione<br />

discorsiva fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 655<br />

LETTURE BIBLICHE: nella <strong>liturgia</strong>: non<br />

lette privatamente dal sacerdote nell'antichità,<br />

278; schema eucologico:<br />

lettura omelia, canto, preghiera in<br />

silenzio, orazione conclusiva del presidente<br />

ad alta voce, 653s, 827; la scelta<br />

delle l.b. nella <strong>liturgia</strong> determinata<br />

dal concetto di mysterion, Storia<br />

Sacra, 572s<br />

LEX ORANDI, LEX CREDENTI: Vedi: Legem<br />

orandi lex statuat supplicandi<br />

LEZIONI: nella <strong>liturgia</strong> sono istruzione,<br />

ma in funzione diretta <strong>della</strong> santificazione,<br />

482s


888 INDICI<br />

LIBELLI DI PRECI: nel M.E. e spirito <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, 743s<br />

Libera Domine... sicut liberasti: preghiera<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> dei malati, 401s<br />

LIBERAZIONE DALL'EGITTO: del Popolo di<br />

Dio come segno dell'eterna misericordia<br />

di Dio, e trasposizione che ne deve<br />

fare il cristiano, 438s; Salmo « In<br />

exitu Israel de Aegypto » e la <strong>liturgia</strong><br />

dei defunti, 464<br />

LIBERAZIONE DA SATANA: e via aperta a<br />

Cristo, tema centrale dei riti sugli<br />

audientes, 379<br />

LIBRI D'ORE: nel M.E. e spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

744<br />

LITANIE: negli scongiuri contro i temporali<br />

in <strong>senso</strong> antidemoniaco, 408<br />

LINGUA LITURGICA: questione storica <strong>della</strong><br />

1.1. nell'antichità, nel periodo tridentino,<br />

oggi, 278, 282; 1. volgare e<br />

<strong>liturgia</strong> nelle missioni, 775; anima di<br />

verità contenuta nell'argomento degli<br />

avversari del volgare nella <strong>liturgia</strong>,<br />

che cosa essenziale alla <strong>liturgia</strong><br />

stessa è la conservazione di un certo<br />

carattere di misteriosità, 394, 483s;<br />

anche nell'ipotesi d'una celebrazione<br />

liturgica completamente in volgare,<br />

la catechesi liturgica rimarrà<br />

sempre il mezzo principale e indispensabile<br />

per elevare il popolo alla<br />

<strong>liturgia</strong>, 797; il volgare nella <strong>liturgia</strong><br />

nell'opera del p. Pius Parsch, 782;<br />

la questione <strong>della</strong> 1.1. toccata dai<br />

teologi positivo-scolastici dei secoli<br />

XVII-XVIII contro i protestanti,<br />

519<br />

LIRISMO: e <strong>liturgia</strong>, 483, 683<br />

LITURGIA: concepita come diritto liturgico,<br />

come parte del diritto canonico,<br />

come storia liturgica, come pastorale<br />

<strong>liturgia</strong>, come <strong>liturgia</strong> teologica,<br />

7-12, 548-607, 602s; i manuali<br />

di 1. sono stati concepiti come se la<br />

1. fosse parte del diritto canonico, 8;<br />

diversi modi di concepire la scienza<br />

liturgica', 7-12; la~l: come teologia desta<br />

interesse da poco prima del Concilio<br />

Vaticano II, 11; 1. teologica generale<br />

e 1. teologica speciale, 12;<br />

1. come ricerca storica indispensabile,<br />

9; nozione e necessità d'una<br />

<strong>liturgia</strong> teologica, lls, 109, 480, 657;<br />

nozioni <strong>della</strong> Summa th. di S. Tommaso<br />

che possono servire di base ad<br />

una 1. teologica generale, 539-43; necessità<br />

del concetto integrale di 1.,<br />

7; concetto di 1., 15-185, 479ss; definizione<br />

tecnica <strong>della</strong> 1., 33-45; l'essenza<br />

<strong>della</strong> 1. espressa per la sua<br />

definizione per genere prossimo e<br />

differenza specifica, come punto di<br />

riferimento e di deduzione di tutto<br />

quello che di essa si dice nella scienza<br />

liturgica, 33, 840ss; 1. come segno<br />

sensibile, 36; 1. come segni sensibili<br />

efficaci, 37; 1. come complesso di segni<br />

sensibili ed efficaci, 53; definizione<br />

<strong>della</strong> 1. e dottrina dell'opus operatimi,<br />

37, 40; definizione <strong>della</strong> 1. e<br />

dottrina dell'opus operantis Ecclesia,<br />

37, 40; definizioni <strong>della</strong> 1. nella Mediator<br />

Dei, 34 n. 2; 1. e terminologia,<br />

33; I. e suoi generi letterari propri,<br />

483; come la 1. usa i testi biblici,<br />

427-56; come la 1. cristiana comprende<br />

i precetti liturgici dell'A.T. nei<br />

testi di cui fa uso, 442; la 1. come<br />

« culmine e fonte dell'azione <strong>della</strong><br />

Chiesa » secondo la felice espressione<br />

del Conc. Vaticano II, 7, 627, 692,<br />

790; la 1. tuttavia non esaurisce tutta<br />

la vita <strong>della</strong> Chiesa, 626; 1. come fase<br />

e modo in cui si attua tra noi il<br />

<strong>senso</strong> <strong>della</strong> Rivelazione, 17; 1. punto<br />

di convergenza in cui vengono vissuti<br />

concretamente : Bibbia, dogma, tradizione,<br />

insegnamento del magistero,<br />

teologia, è centro vitale <strong>della</strong> vita<br />

pastorale <strong>della</strong> Chiesa, 603ss, 817,<br />

838s; la 1. in sacramento rende presente<br />

e realizza nelle singole anime<br />

la Storia Sacra Mistero di Cristo,<br />

453; la festa liturgica di Pasqua come<br />

sacramentum in S. Agostino, 43;<br />

1. e spiritualità in genere, 611-95; 1. e<br />

virtù teologali che nel fedele deve<br />

suscitare la didascalia o insegnamento<br />

del magistero ecclesiale, 481s; predominio<br />

qualitativo <strong>della</strong> 1. nella spiritualità<br />

liturgica, 642; la meditazione<br />

discorsiva deve avvenire nella I.<br />

e restare nel quadro d'un'azione comunitaria,<br />

648; I., spiritualità e mistica,<br />

possono ottimamente andare<br />

insieme e prosperare, 674ss; la 1. è<br />

la somma attuazione cultica <strong>della</strong> virtù<br />

di religione, 658; 1. ed esercizio<br />

<strong>della</strong> fede, speranza e carità nel quadro<br />

<strong>della</strong> virtù di religione, 657; 1. e<br />

« pii esercizi » : distinzione e rapporti<br />

di subordinazione e derivazione<br />

di questi da quella, 127-30; 1. terrestre<br />

e 1. celeste, 253-60, 328s; 1. e<br />

lotta contro Satana, come una delle<br />

leggi <strong>della</strong> salvezza, 346-424; la 1. e<br />

specialmente l'eucarestia, è la somma<br />

attualizzazione e riconsacrazione<br />

<strong>della</strong> creatura infraumana al servizio<br />

<strong>della</strong> vita divina nel mondo,<br />

312-21; la 1. è popolare per esigenza<br />

di natura intrinseca, 788s; 1. come<br />

azione, ed azione comunitaria, di tutto<br />

il corpo mistico di Cristo, capo


e membra, 276, 305, 480s, 648s, 783;<br />

1. e attualizzazione plenaria dell'uomo<br />

secondo la legge dell'unitotalità cosmica<br />

del Regno di Dio, 298-312, 647;<br />

nella I. la presenza fisica è richiesta<br />

dalla sintonia che in 1. deve regnare<br />

tra realtà sensibili e soprasensibili,<br />

interiori ed esteriori, 302; in che <strong>senso</strong><br />

« la 1. è la didascalia <strong>della</strong> Chiesa<br />

», 479-86; la 1. come didascalia<br />

tende per essenza ad attuare nei fedeli<br />

le virtù teologali da offrire nell'atto<br />

cultico come omaggio a Dio,<br />

482; la 1. implica sempre una didascalia<br />

del magistero ed un'adesione<br />

dei fedeli, 481; 1. e missioni: in clima<br />

di spiritualità liturgica il missionario<br />

edifica la Chiesa verso la<br />

pienezza dell'età di Cristo nell'azione<br />

liturgica, 635s; valore missionario <strong>della</strong><br />

1., 771-76; 1. e pastorale: i principi,<br />

753-98; nella teoria dei rapporti tra<br />

1., spiritualità e pastorale, la scienza<br />

liturgica raggiunge il massimo contatto<br />

con la vita concreta, 611; efficacia<br />

psicologica pastorale <strong>della</strong> 1.,<br />

770s; la 1. ha grande efficacia didattica,<br />

485; 1. ed aspirazioni moderne:<br />

essenzialità, oggettività, comunitarietà,<br />

organicità, contatto immediato<br />

con le sorgenti prime <strong>della</strong> vita cristiana,<br />

694; nella 1. si riforma l'unità<br />

tra vita spirituale, biblica, teologica,<br />

apostolato, 694; 1. e tecnica moderna,<br />

308; 1. e lavoro umano, 308; 1. e<br />

sport, 308; 1. come mysterion secondo<br />

Origene, 567ss; 1. nel quadro <strong>della</strong><br />

teologia come gnosi secondo i Padri,<br />

588ss; spiegazione teologica <strong>della</strong><br />

1. presso i Padri come spiegazione<br />

dei suoi « misteri », 573-76; autorità<br />

<strong>della</strong> 1. e suo uso polemico presso i<br />

Padri, 577-80; i Padri univano il concetto<br />

di autorità <strong>della</strong> 1. con quello<br />

<strong>della</strong> sua apostolicità ed universalità,<br />

580-84; uso <strong>della</strong> 1. nella teologia dei<br />

Padri, 590; 1. e teologia presso i Padri<br />

dal punto di vista anzitutto irenico,<br />

562ss; errori dottrinali possibili<br />

nelle 1. storiche, 678; sviluppo<br />

storico <strong>della</strong> 1. ed influssi etnici,<br />

310ss; 1. e fede, 477-508; nella 1. la<br />

fede è per la virtù di religione materia<br />

di offerta dovuta a Dio nell'azione<br />

liturgica, 481s; nella 1. la<br />

Chiesa impone qualcosa come di fede,<br />

486; fino a qual punto la Chiesa<br />

impone qualcosa come di fede nella<br />

1., 486s; regole per il giudizio <strong>teologico</strong><br />

su che cosa è o non è di fede<br />

nella 1., 487-96; la 1. dopo la proposizione<br />

del magistero è espressione<br />

INDICE ANALITICO 889<br />

di natura propria <strong>della</strong> fede divina<br />

e cattolica da accettare, seguire, vivere,<br />

500; i rapporti tra 1. e fede<br />

sono trascurati nei manuali teologici<br />

e nell'insegnamento dei seminari, 509;<br />

1. e magistero <strong>della</strong> Chiesa anche<br />

fuori dell'azione liturgica, e loro<br />

interferenze, 479ss; la 1. è mezzo d'insegnamento<br />

del magistero ordinario,<br />

ma è meno concettualmente precisa<br />

di altri mezzi e quindi può creare<br />

difficoltà al teologo, 486; la conoscenza<br />

per connaturalità precede la proposizione<br />

<strong>della</strong> fede e può essere<br />

così una delle maggiori occasioni<br />

dello sviluppo di una dottrina a<br />

dogma, 508; 1. come espressione dei<br />

dogmi già esplicitati, 498ss; teologia<br />

e 1. in S. Tommaso, 538-55; 1. dell'A.T.<br />

e suo sognificato secondo San<br />

Tommaso, 547s; nel trattato <strong>della</strong> Legge<br />

antica, l'aspetto liturgico è molto<br />

sviluppato in S. Tommaso, 554; la<br />

1. come auctoritas in S. Tommaso<br />

nel quadro <strong>della</strong> qucestio, 551s, 554;<br />

1. come locus theologicus in S. Tommaso<br />

e sua importanza anche statistica,<br />

551; 1. storica nei sec. XVI-<br />

XVIII, 516ss; 1. come locus theologicus<br />

incluso nel locus theologicus<br />

più generale del magistero ordinario<br />

secondo M. Cano, 535; 1. come<br />

locus theologicus prcestans secondo i<br />

teologi positivo-scolastici, 521, 523s,<br />

529, 536; 1. come locus theologicus<br />

prcBstantissimus secondo i teologi positivo-scolastici,<br />

521, 524; la teologia<br />

positivo-scolastica esclude la 1. <strong>della</strong><br />

Legge antica dalla sintesi teologica,<br />

553; teologia e 1. nella teologia positivo-scolastica,<br />

509-37; 1. come prova<br />

<strong>della</strong> tradizione dell'apostolicità d'una<br />

dottrina presso i teologi positivo-scolastici,<br />

527-30; 1. come semplice locus<br />

theologicus nei manuali generali di<br />

teologia, 509; 1. e rapporti con la teologia<br />

sintetica generale, 510 ss; vero<br />

valore <strong>della</strong> 1. per la sintesi teologica,<br />

535ss; nella sintesi teologica generale<br />

per l'assimilazione <strong>della</strong> 1. hanno<br />

grande importanza l'aspetto entitativo<br />

ma non meno quello concreto<br />

vitale nei rapporti col primo, 594ss;<br />

1. e singoli trattati di teologia sintetica<br />

generale, 599-602; insegnamento<br />

<strong>della</strong> 1. nei seminari e nella facoltà<br />

teologiche: stato di fatto attuale ed<br />

osservazioni, 602-7; 1. e vita mistica,<br />

670-95; contemplazione nella 1. e fuori,<br />

690ss; 1. e mistica; posizione del problema,<br />

671-74; 1. ed orazione di quiete,<br />

685-88; <strong>liturgia</strong> e vita mistica nel-


890 INDICI<br />

la ven. Maria dell'Incarnazione, 679-<br />

85; 1. e spiritualità nell'opera di S.<br />

Gertrude, 697s; 1., purificazione ed<br />

esercizio delle virtù in S. Gertrude,<br />

70614; 1. ed attenzione vitale data ai<br />

diversi dogmi <strong>della</strong> fede in S. Gertrude,<br />

715-27; 1. e vita mistica in S. Gertrude,<br />

728-41; spirito <strong>della</strong> 1. e preghiera<br />

extraliturgica, meditazioni, devozioni<br />

in S. Gertrude, 742-52.<br />

Per il resto, vedi le singole voci determinanti.<br />

Per es., per i rapporti<br />

<strong>liturgia</strong>-Chiesa, vedi: Chiesa; <strong>liturgia</strong>-spiritualità,<br />

vedi : Spiritualità,<br />

ecc.<br />

LITURGIA CELESTE, COSMICA ETERNA : esemplata<br />

su quella terrestre nella visuale<br />

dell'Apocalisse, 335; già prefigurata<br />

ed in schizzo dal Q'hal Jahweh, il<br />

Popolo santo di Dio nell'A.T., 72s; è<br />

biblica, secondo la visuale del N.T.,<br />

26; 1. terrestre e 1. di Cristo in cielo,<br />

235-60; 337 n. 43, 336-39; secondo la visuali<br />

dell'Apocalisse, è di lode eterna,<br />

317; l.c. descritta dall'Apocalisse, e 1.<br />

terrestre, 339; come tema nell'unità<br />

intensiva ed estensiva del cosmo, 628;<br />

è sviluppo <strong>della</strong> legge <strong>della</strong> salvezza<br />

in comunità, 274; con la fase storica<br />

terrena è fase dell'unica Città di Dio,<br />

334; .1. terrestre e 1. degli angeli e dei<br />

santi in cielo, 328s; la l.c. dei beati<br />

è unica panégyris, 1., con quella degli<br />

angeli, 329; l.c. del mondo angelico<br />

e migliore modo di associarvisi, che<br />

è la messa, 338; l.c. come tema traspositivo<br />

dei Salmi, 466; l.c. e 1. terrestre<br />

in S. Gertrude, 719s, 739 n. 138<br />

LITURGIA BIZANTINA: di S. Basilio, 256;<br />

di S". Giovanni Crisostomo, 256<br />

LITURGIA EGIZIANA: e posto degli angeli<br />

nella messa<br />

LITURGIA GALLICANA: e questione dell'epiclesi<br />

allo Spirito Santo nella messa;<br />

228s; e trionfo <strong>della</strong> Croce come trionfo<br />

su Satana, 418; suo influsso sulla<br />

forma attuale del messale romano<br />

attraverso le apologie 282 n. 31<br />

LITURGIA GRECO-EGIZIANA: di S. Marco e<br />

unità del mondo angelico nella <strong>liturgia</strong>,<br />

335s<br />

LITURGIA MOZARABICA: e la questione dell'epiclesi<br />

allo Spirito Santo nella messa,<br />

228s; e quaresima come periodo<br />

speciale <strong>della</strong> lotta contra Satana,<br />

416s; e il trionfo <strong>della</strong> Croce come<br />

trionfo contro Satana, 418<br />

LITURGIA SIRA: di S. Giacomo e posto<br />

degli angeli nella messa 336<br />

LOCI THEOLOGICI: la <strong>liturgia</strong> tra i Uh.,<br />

509<br />

LODE: l'A.T. sviluppa specialmente il<br />

tema che la creatura infraumana deve<br />

servire all'uomo per lodare ed<br />

adorare Dio, di cui essa è una rivelazione,<br />

314; conseguenza degli attributi<br />

divini è l'invito a lodare Dio:<br />

tema dei Salmi e in fondo di "tutta la<br />

Bibbia, 471; il ristabilimento e la trasfigurazione<br />

<strong>della</strong> creatura infraumana<br />

nella <strong>liturgia</strong>, e quindi anche nella<br />

<strong>liturgia</strong> di 1., sono reali, 318; nella <strong>liturgia</strong><br />

di 1. tutta la creatura infraumana<br />

viene associata alla lode di Dio,<br />

320s; nell'ufficio divino di 1. Cristo<br />

è presente come una realtà fisica nella<br />

sua virtù santificatrice operante,<br />

261; nella <strong>liturgia</strong> Cristo è sempre al<br />

primo piano sia nel sacrificio, sia<br />

nella santificazione, nella preghiera e<br />

nella 1., 259; Cristo sulla terra ha compiuto<br />

la sua <strong>liturgia</strong> di santificazióne<br />

e di 1. specialmente sul Golgota,<br />

253; l'ufficio divino canta la 1. dome<br />

veniat, 185; nell'ufficio divino come<br />

nei sacramenti e nei sacramentali<br />

è sempre Cristo l'attore principale,<br />

258; la presenza di Cristo alla Chiesa<br />

che prega e loda riaffermata dal<br />

Conc. Vaticano II, 262; gli angeli sono<br />

sempre presenti all'ufficio <strong>della</strong> 1. divina,<br />

342; la preghiera di 1. del fedele<br />

unita alla preghiera del sacerdote<br />

secondo la Mediator Dei, 162; il fedele<br />

con la sua preghiera di 1. e d'intercessione<br />

fa da « mediatore » tra<br />

Dio, gli uomini e la natura infraumana,<br />

156; sacrificio di 1. come atto<br />

interno dell'uomo sottomesso totalmente<br />

a Dio, 165; la sola 1. come<br />

estrinsecazione imperfetta del sacrificio,<br />

158; sacrificio di 1. e di carità<br />

verso il prossimo nel cap. 13 <strong>della</strong><br />

lettera agli Ebrei, 154; preghiera di 1.<br />

nel quadro <strong>della</strong> virtù di religione,<br />

139; nel trattato <strong>della</strong> virtù di religione<br />

S. Tommaso tratta <strong>della</strong> 1. vocale<br />

come argomento direttamente religioso,<br />

547; nella <strong>liturgia</strong> tutti i generi<br />

letterari sono mezzi per esprimere volizioni,<br />

desideri, domande, ringraziamento,<br />

ammirazione, 1., 483; lo spirito<br />

di adorazione, ringraziamento e 1.<br />

pervade la spiritualità liturgica ovunque<br />

ed in prima linea, e ne determina<br />

il teocentrismo, 631; la preghiera di<br />

ringraziamento e di 1. e il <strong>senso</strong> di<br />

compunzione sono permeati dall'attuazione<br />

<strong>della</strong> volontà in semplice<br />

affetto di ammirazione, gratitudine,<br />

compiacenza, 650; la 1., tutta diretta<br />

all'omaggio, alla 1., e al ringraziamento,<br />

sembra poco favorire l'introspezione<br />

e le risoluzione pratiche per


l'emendamento <strong>della</strong> vita: il che invece<br />

avviene in modo molto decisivo,<br />

651s; l'azione liturgica nel quadro <strong>della</strong><br />

virtù di religione sfocia in sentimenti<br />

di umiltà, reverenza, compunzione,<br />

adorazione con preghiera di<br />

1., domanda e ringraziamento, 657;<br />

l'esercizio delle virtù teologali nell'azione<br />

liturgica implica sottomissione,<br />

dedizione, adorazione e 1. che<br />

sono l'atmosfera generale <strong>della</strong> virtù<br />

di religione, 659; nell'esercizio delle<br />

virtù morali la <strong>liturgia</strong> concentra di<br />

più l'attenzione su Dio che sull'uomo,<br />

e quindi sui sentimenti di ammirazione,<br />

reverenza, sottomissione, 1.,<br />

adorazione, devotio, 662; fuori dell'azione<br />

strettamente cultuale di adorazione<br />

e 1., la 1. incide seriamente<br />

sul lavoro di ascesi morale verso se<br />

stessi e nel lavoro apostolico e caritativo<br />

verso gli altri, 667; non è sufficiente<br />

lo spirito di 1., né la sola<br />

partecipazione ai riti, perché uno sia<br />

detto « un'anima liturgica », 672 n. 46;<br />

la volontà di 1. a Dio in S. Gertrude,<br />

701, 703; l'amore còme incessante<br />

omaggio di 1. e di ringraziamento in<br />

S. Gertrude, 714s; l'evangelizzazione<br />

precede le 1. di Dio e in assemblea,<br />

773 n. 24; la 1. di Dio e la vita di<br />

Cristo da vivere comunitariamente<br />

come mezzo efficace <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> pastorale,<br />

771; la vita di culto nella parrocchia<br />

ha grande importanza missionaria<br />

perché è la stessa vita di Cristo<br />

nel suo popolo: e poiché Cristo<br />

è ordinato alla 1., la vita cristiana è<br />

principalmente un culto, 775; la 1. nella<br />

<strong>liturgia</strong> eterna come termine de]<br />

Popolo di Dio in marcia, 251; nel<br />

Sanctus chiediamo a Dio di poter unire<br />

la nostra voce alle 1. angeliche,<br />

328; ogni sacramentale è segno profetico<br />

<strong>della</strong> 1. cosmica <strong>della</strong> Gerusalemme<br />

celeste, 101; l'Apocalisse ci mostra<br />

la panègyris <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> cosmica<br />

ed eterna di tutte le creature<br />

nell'adorazione e nella lode dell'Agnello<br />

e al Vivente nei secoli dei secoli,<br />

334<br />

LOTTA CONTRO SATANA : la l.c.S. è una continua<br />

e cosmica realtà, ed è aspetto<br />

essenziale <strong>della</strong> Rivelazione, 423s; cos'è<br />

di fede e cosa non lo è nelle affermazioni<br />

del N.T. e <strong>della</strong> Tradizione<br />

posteriore intorno alla l.c.S., 371-<br />

77; nel N.T., 347-66; e la missione e<br />

l'opera di Cristo nel N.T., 350-54; la<br />

missione degli Apostoli come l.c.S.<br />

nel N.T., 354-58; la situazione generale<br />

del cristiano e del mondo di<br />

INDICE ANALITICO 891<br />

fronte a Satana dopo Cristo, nel N.T.,<br />

356ss; la vita del singolo cristiano come<br />

l.c.S. nel N.T., 358ss; la vita <strong>della</strong><br />

Chiesa come l.c.S. nel N.T. 360-64; la<br />

tradizione dopo il N.T. fuori <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> sulla l.c.S., 366-71; corpo umano,<br />

vita pagana, elementi naturali e<br />

l.c.S., 367ss; battesimo, martirio, vita<br />

monastica, giudizio particolare e l.c.<br />

S., 369ss; e <strong>liturgia</strong>, 364-424; le liturgie<br />

non cessano d'esortare i fedeli<br />

alla l.c.S., 424; tema <strong>della</strong> Rivelazione<br />

che il teologo potrà scoprire nella<br />

sua profondità soltanto nella <strong>liturgia</strong>,<br />

537; è uno dei temi in cui la <strong>liturgia</strong><br />

propone al fedele di vivere l'intero<br />

dogma nel suo equilibrio, 629; tema<br />

che la <strong>liturgia</strong> propone continuamente<br />

all'intelligenza discorsiva del fedele<br />

in sintesi totale con gli altri temi<br />

<strong>della</strong> Rivelazione, 650; nei Salmi il<br />

tema dei nemici del Popolo di Dio<br />

dev'essere trasposto per comprendere<br />

la l.c.S., 467ss; la <strong>liturgia</strong> dell'iniziazione<br />

cristiana nella l.c.S., 377-95;<br />

l'eucarestia nel quadro dell'iniziazione<br />

cristiana come l.c.S., 392-95; la confermazione<br />

nel quadro dell'iniziazione<br />

cristiana come l.c.S., 390s; la benedizione<br />

del fonte e l'unzione postbattesimale<br />

nel quadro dell'iniziazione<br />

cristiana come l.c.S., 389s; i riti sui<br />

competentes nel quadro dell'iniziazione<br />

cristiana come l.c.S., 382-89;<br />

i riti sugli audìentes nel quadro<br />

dell'iniziazione cristiana come la l.c.S.,<br />

379-82; la l.c.S. nella <strong>liturgia</strong> degli altri<br />

sacramenti fuori dell'iniziazione<br />

cristiana, 395-405; la <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> penitenza<br />

come l.c.S., 396-99; la <strong>liturgia</strong><br />

dei malati come l.c.S., 399-402; la <strong>liturgia</strong><br />

degli ordini ecclesiastici come<br />

l.c.S.: l'esorcistato, 402ss; la <strong>liturgia</strong><br />

matrimoniale come l.c.S., 404s; e i<br />

principali sacramentali non connessi<br />

immediatamente coi riti dei sette sacramenti<br />

maggiori, 405-13; l'acqua<br />

lustrale nella l.c.S., 406ss; gli scongiuri<br />

contro i temporali e la l.c.S.,<br />

408s; la consacrazione delle vergini e<br />

la l.c.S., 409; la professione monastica<br />

e la l.c.S., 410s; la <strong>liturgia</strong> dei defunti<br />

e la l.c.S., 411ss; temporale e santorale<br />

e l.c.S., 413-23; tempo di Avvento-<br />

Epifania e l.c.S., 413ss; la quaresima<br />

tempo specialissimo <strong>della</strong> 1. dei fedeli<br />

c.S., 415ss; la <strong>liturgia</strong> dalla Domenica<br />

di Passione all'Ascensione e<br />

la 1. e il trionfo di Cristo su Satana,<br />

417ss; il santorale e la l.c.S., 419s; il<br />

martirio, specialmente delle donne,<br />

come vittoria su Satana, 419s; gli


892 INDICI<br />

angeli e Maria nella l.c.S., 420ss; l'ufficio<br />

feriale e la l.c.S., 422s; è appena<br />

rilevata nelle opere di s. Gertrude e<br />

ciò ne costituisce uno dei difetti, 715<br />

LOURDES: apparizione a L. e sua festa<br />

liturgica, 491<br />

LUOGHI SACRI dell'A. T. secondo S. Tommaso,<br />

547<br />

LUOGHI TEOLOGICI: dopo M. Cano i teologi<br />

post-tridentini cercano di determinare<br />

l'uso dei l.t. nella teologia,<br />

quindi anche l'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, che<br />

M. Cano non nomina, 486; trattato<br />

dei l.t. sui rapporti tra fede e <strong>liturgia</strong><br />

dopo F.A. Zaccaria, 478; nel trattato<br />

sui l.t. anche la <strong>liturgia</strong> viene<br />

considerata come l.t. in quanto espressione<br />

del magistero ordinario,<br />

509<br />

LUNEDI DI PASQUA: e tipologia, ingresso<br />

alla Terra promessa, battesimo e ingresso<br />

nella Chiesa, 450<br />

MACCABEI: il significato dei contemporanei<br />

cui era diretto tale libro storico<br />

è sempre esplicitamente affermato o<br />

presupposto nel quadro liturgico in<br />

cui è trasferito, 434<br />

MACEDONIANI: la divinità dello Spirito<br />

Santo provata contro i m. da F. A.<br />

Zaccaria, 518<br />

MADRE DI FAMIGLIA e possibilità <strong>della</strong><br />

spiritualità liturgica, 642; esempio<br />

<strong>della</strong> ven. Maria dell'Incarnazione,<br />

679-85<br />

MAGIA: differenza del concetto di opus<br />

operatum da quello di m., 83, 112;<br />

nella vita liturgica dei sacramentali<br />

sono messe in opera grandi realtà<br />

che si oppongono totalmente alla m.,<br />

320; nella tradizione dopo il N.T. era<br />

opinione comune che nella vita pagana,<br />

e dunque nella m., sono ovunque<br />

presenti i demoni, 367<br />

MAGISTERO ecclesiastico: criterio prossimo<br />

<strong>della</strong> fede, 487s, 533; difficoltà di<br />

conoscere cos'è di fede dal solo m.<br />

ordinario, 498s; il m. impegna la propria<br />

autorità nella <strong>liturgia</strong> in gradi<br />

diversissimi secondo i casi, 477ss,<br />

490s; in qual modo, assai indiretto,<br />

il m.e. è implicato nella <strong>liturgia</strong> e<br />

quindi la <strong>liturgia</strong> è didascalia <strong>della</strong><br />

Chiesa, 479-85, 527<br />

MAGNANIMITÀ: come motivo psicologico<br />

per animare e sostenere gli sforzi<br />

umani, 665<br />

MAGNIFICAT: è illuminato dallo sviluppo<br />

dei dogmi mariani, 452; antifona al<br />

m. dei II Vespri degli Apostoli e<br />

lotta contro Satana, 424<br />

MAGNIFICENZA: ha per scopo fare opere<br />

grandi per qualche fine, nessuno dei<br />

quali però è più grande dell'onore<br />

di Dio, 665<br />

MALATI: <strong>liturgia</strong> dei m. comprende: la<br />

penitenza, l'olio santo, il viatico, la<br />

commendatio animce, 399; <strong>liturgia</strong> dei<br />

m. e angeli, 341s; orazioni e messe<br />

per gli infermi, unzioni e benedizione<br />

per i m. come prova <strong>della</strong> cura<br />

che la <strong>liturgia</strong> prende anche del corpo,<br />

303s; <strong>liturgia</strong> per i m. e lotta contro<br />

Satana, 309-402<br />

MALATTIA: e Satana, 348s, 350ss, 354s,<br />

358<br />

MALE: origine del m. dagli angeli caduti,<br />

348s<br />

MANNA: figura dell'eucaristia, 449; l'eucaristia<br />

nella sua quadruplice dimensione<br />

di segno liturgico rimemora anche<br />

la m. 92<br />

MANTICA: nella tradizione dopo il N.T.<br />

era opinione comune che nella vita<br />

pagana, e dunque anche nella m., sono<br />

ovunque presenti i demoni, 367;<br />

i cristiani antichi accettavano l'affermazione<br />

generale biblica che l'idolatria<br />

è culto dei demoni, e l'opinione<br />

ellenistica dei daimónia, spiriti intermedi<br />

tra gli dèi e gli uomini nel<br />

culto, nella m. e nei sogni, 368<br />

MANUALI DI <strong>TEOLOGIA</strong>: <strong>della</strong> positivo-scolastica<br />

del sec. XX, e <strong>liturgia</strong>, 523<br />

MAR Rosso: passaggio del M.R. figura<br />

del battesimo nella tipologia biblica<br />

del N.T. usata nella <strong>liturgia</strong>, 450<br />

MARÀN ATHÀ: « Signore, vieni! », invocazione<br />

finale <strong>della</strong> preghiera eucaristica<br />

nella Didachè e manifestazione <strong>della</strong><br />

dimensione escatologica dell'eucaristia,<br />

169<br />

MARIA: il mistero di Maria, subordinato<br />

al Mistero di Cristo, è già preparato<br />

nell'A.T., 184; i testi sapienziali<br />

dell'A.T. applicati a M. dalla<br />

<strong>liturgia</strong>, 439s; la profezia di Gen. 3,14s<br />

è interpretata alla luce <strong>della</strong> dottrina<br />

di M. Madre di Dio ed Immacolata,<br />

446; i testi <strong>della</strong> Cantica letti in<br />

ambiente cristiano si applicano all'amore<br />

di Dio per la Chiesa, per le<br />

singole anime e per M., di cui fu<br />

pallida ombra l'amore di Dio per<br />

Israele, 440; i precetti liturgici dell'A.T.<br />

sulla presentazione del primogenito<br />

al Tempio e M., 443; le profezie<br />

d'Isaia nell'Avvento nella visione<br />

liturgica e M., 444s; la creazione come<br />

tema dei Salmi e il suo prolungamento<br />

fino a M., in cui Dio ha ope-


ato meraviglie di vita divina, 463s;<br />

la <strong>liturgia</strong> legge i testi mariani del<br />

N.T. alla luce dell'esplicitazione dei<br />

dogmi mariani, 452; tipologia patristica,<br />

non biblica, di M. come Eva,<br />

450; e di M. come Giuditta e come<br />

Ester, 451; feste mariane e Storia Sacra<br />

mistero di Cristo, 184; le feste<br />

mariane pongono in rilievo qualche aspetto<br />

del Mistero di Cristo tutto presente<br />

in ogni messa, 184; M. nel Communicantes<br />

<strong>della</strong> messa, 327; M. e<br />

l'attualizzazione nel fedele, durante<br />

l'azione liturgica, <strong>della</strong> narrazione del<br />

Natale come virtù redentiva, 453; oggetto<br />

del culto di iperdulia, 146; M.,<br />

gli angeli e la <strong>liturgia</strong> dei malati,<br />

341; il nome di M. introdotto modernamente<br />

con quello di S. Giuseppe<br />

nel Proficiscere, 341 n. 64; e lotta<br />

contro Satana, 414, 420ss; la festa <strong>della</strong><br />

maternità di M. e il suo significato<br />

antidemoniaco, 422 n. 194; la<br />

festa di M. ausiliatrice e il significato<br />

antidemoniaco, 422 n. 194; e lotta contro<br />

Satana nelle feste mariane recenti,<br />

421s; solo M. fu perfetta nel suo<br />

grado di grazia santificante e di carità<br />

anche attuale che Dio le aveva<br />

stabilito: per gli altri fedeli invece<br />

si tratta sempre di tendenza e di avvicinamento<br />

alla perfezione, 612; Dio,<br />

Cristo, M., gli angeli e i santi sorreggono<br />

il fedele nella sua tendenza<br />

alla perfezione cristiana, 613; M. come<br />

oggetto di meditazione liturgica,<br />

650; le composizioni dei testi delle<br />

due feste dei Sette dolori di M. come<br />

esempio di sensibilità religiosa<br />

più soggettiva che oggettiva, 307 n.<br />

22; la comunione dei santi, ed anzitutto<br />

con M., è uno dei punti che la<br />

spiritualità liturgica presenta in equilibrio<br />

con gli altri punti fondamentali<br />

del dogma, 628; nella spiritualità<br />

liturgica i tratti caratteristici<br />

e la luce degli oggetti da considerare<br />

(Dio, Cristo, eucaristia, M.) sono presentati<br />

dalla <strong>liturgia</strong>, dalla Bibbia e<br />

dal dogma, quindi dal di fuori del<br />

soggetto, 629; devozioni mariane extraliturgiche<br />

e <strong>liturgia</strong>, 633; mese di<br />

M. come devozione mariana extraliturgica<br />

e <strong>liturgia</strong>, 633; il piccolo<br />

ufficio <strong>della</strong> Madonna come testo di<br />

devozione mariana nel M.E., 747; la<br />

fede è implicata in modo assai diverso<br />

nelle feste mariane dell'Assunzione,<br />

<strong>della</strong> Presentazione, dell'apparizione<br />

a Lourdes, di M. mediatrice<br />

di tutte le grazie, <strong>della</strong> traslazione<br />

<strong>della</strong> sacra casa di Loreto, 478, 491ss,<br />

INDICE ANALITICO 893<br />

495; Assunzione, 478, 491ss, 495; nella<br />

nuova messa dell'Assunzione non si<br />

fa menzione <strong>della</strong> morte corporale<br />

di M., 492; Immacolata concezione,<br />

492, 493ss; apparizioni a Lourdes,<br />

478, 491; Mediazione, 477s, 491, 492,<br />

508; la festa <strong>della</strong> mediazione <strong>della</strong><br />

Madonna è per ora solo un'opinione<br />

teologica anche se potrebbe non rimanere<br />

sempre in tale fase, 491s, 508;<br />

Presentazione, 478, 491, 495; traslazione<br />

<strong>della</strong> S. Casa di Loreto, 478,<br />

491, 495; concezione, santificazione,<br />

sposalizio, annunciazione di M. secondo<br />

S. Tommaso, 548 n. 35; verginità<br />

perpetua di M. provata dalla <strong>liturgia</strong><br />

da F. A. Zaccaria, 518; Assunzione<br />

di M. nei teologi positivo-scolastici<br />

del sec. XVIII, 519ss; nelle visioni<br />

di S. Gertrude, 700; M. e la suppletio<br />

in S. Gertrude, 713; M. e la<br />

spiritualità liturgica di S. Gertrude,<br />

720s. Vedi: Assunzione, Immacolata<br />

concezione.<br />

MARIA LAACH: sua importanza per il<br />

movimento liturgico <strong>teologico</strong>, 10<br />

MARIOLOGIA: trattato <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> m.<br />

e <strong>liturgia</strong>, 548 n. 35; 549 n. 37, 552, 601<br />

MARTIRI: non disprezzarono né perseguitarono<br />

la carne come nemica, 301;<br />

il tema dei Salmi, di Dio come protettore<br />

del giusto e pio israelita è<br />

letto alla luce <strong>della</strong> protezione ancor<br />

più mirabile concessa ai m., 440; la<br />

resurrezione simbolica dei m. precede<br />

lo stabilirsi del regno messianico<br />

nell'Apocalisse, 362; sviluppo del culto<br />

dei m. 326; il culto dei m. è la<br />

radice del culto liturgico dei santi,<br />

326; alla commemorazione liturgica<br />

dei m. nei secoli IV-V vennero aggiunti<br />

Maria e i confessori, 327; il<br />

concetto <strong>della</strong> comunione coi santi<br />

e <strong>della</strong> nostra venerazione si determina<br />

in modo speciale nella messa,<br />

327; la festa di tutti i m. precede<br />

sin dal sec. V la festa di Ognissanti,<br />

328<br />

MARTIRIO: come partecipazione al sacerdozio<br />

di Cristo, 156; e sacerdozio<br />

universale dei fedeli, 153ss; come sacerdozio<br />

e sacrificio esercitato fuori<br />

del sacerdozio e sacrificio dell'eucarestia,<br />

ma anzi come preparazione<br />

e derivazione da questi, 156, 160, 164;<br />

è l'espressione massima del sacrificio<br />

interno <strong>della</strong> propria persona,<br />

142; la teologia ne esplicita la più<br />

perfetta imitatio Christi perché è totale<br />

dedizione di sé a Dio, 419; nel suo<br />

significato di lotta contro Satana<br />

presso i Padri, 369; specialmente


894 INDICI<br />

delle donne, come vittoria su Satana,<br />

419s<br />

MARTYRIA: erano decorati con scene<br />

bibliche scelte secondo leggi tipologiche<br />

e simboliche, 456 n. 14<br />

MASSIMO s.: il prefazio <strong>della</strong> sua messa<br />

nel Sacramentario gregoriano esprime<br />

l'aspetto del martirio come<br />

trionfo su Satana, 420 n. 187<br />

MATRIMONIO: la quadruplice dimensione<br />

del segno sacramentale del m., 94;<br />

come partecipazione al sacerdozio di<br />

Cristo, 156; m. e sacerdozio universale<br />

dei fedeli, 154; valore ecclesiale<br />

e comunitario del m., 284, 286; come<br />

tutti i sacramenti, è ordinato all'eucaristia,<br />

178; la sua celebrazione connaturale<br />

avviene nella messa o in<br />

sua connessione, 180s; anomalia del<br />

m. per procura rispetto alla legge<br />

<strong>della</strong> presenza corporale nella <strong>liturgia</strong>,<br />

302 n. 8; non consta la sua prospettiva<br />

cristologico-trinitaria, 236;<br />

come gli altri sacramenti riguarda solo<br />

una delle circostanze principali <strong>della</strong><br />

vita, mentre i sacramentali si estendono<br />

praticamente a tutti gli oggetti<br />

e situazioni <strong>della</strong> vita al servizio <strong>della</strong><br />

vita divina nel mondo, 319; parte<br />

che hanno gli angeli nella <strong>liturgia</strong><br />

del m., 341; <strong>liturgia</strong> matrimoniale e<br />

lotta contro Satana, 404s; nella teologia<br />

dei positivo-scolastici del sec.<br />

XVIII, 518; m. mistico: come esperienza<br />

mistica nella spiritualità liturgica<br />

<strong>della</strong> ven. Maria dell'Incarnazione,<br />

683ss, 688s; m. spirituale e spiritualità<br />

liturgica in S. Gertrude, 731-<br />

36<br />

MEDIAZIONE DI CRISTO secondo S. Tommaso,<br />

548 n. 35<br />

MEDIAZIONE DI MARIA: la festa di M.<br />

mediatrice ha per oggetto una dottrina<br />

che è oggi solo opinione teologica,<br />

478, 491, 492, 508<br />

MEDIOEVO: spiegazione del M.E., fino al<br />

sec.XII, <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 561s; nel M.E.<br />

diminuì fortemente nel clero e nel<br />

popolo il <strong>senso</strong> comunitario <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

281-84; M.E., devozioni e <strong>liturgia</strong>,<br />

743s; impronta medievale nella<br />

spiritualità liturgica di S. Gertrude,<br />

703s, 727s, 742-52<br />

MEDITATO: secondo grado dell'ascensione<br />

spirituale nella tradizione monastica,<br />

705<br />

MEDITAZIONE: come mezzo <strong>della</strong> tendenza<br />

verso la perfezione in genere,<br />

483ss, 617ss, 646-50; il valore di m.<br />

discorsiva incluso nell'azione liturgica,<br />

305ss, 646-50; azione liturgica<br />

come meditazione-azione, obiezioni e<br />

risposte intorno all'efficacia meditativa<br />

dell'azione liturgica, 650-54; la<br />

<strong>liturgia</strong> apparentemente presenta alla<br />

m. discorsiva un troppo abbondante<br />

materiale, 651-54; ma la m. discorsiva<br />

non deve seguire con chiarezza<br />

tutti i singoli punti che ad essa<br />

vengono proposti, 652s; la m. discorsiva<br />

al momento dell'orazione di<br />

quiete diviene penosa, come avvertono<br />

i grandi mistici, 672; la m. fuori<br />

dell'azione liturgica in clima di spiritualità<br />

liturgica, 626, 654ss; è uno<br />

dei « pii esercizi » raccomandati dal<br />

Conc. Vaticano II come subordinati<br />

ed ordinati alla <strong>liturgia</strong>, 633; esercizio<br />

<strong>della</strong> m. ascetica come dinamismo<br />

di forza morale e pratica effettiva<br />

<strong>della</strong> virtù, 663; metodi di m., di preghiera,<br />

di esami di coscienza, 620;<br />

m. e preghiera subordinate alla <strong>liturgia</strong><br />

in S. Gertrude, 743<br />

MELCHISEDEC: il sacrificio di M. figura<br />

del sacrificio di Cristo sulla Croce<br />

attuato ora nella messa, 177; sacrificio<br />

di M. figura dell'eucaristia nella<br />

tipologia biblica del N.T., 451<br />

MEMBRA DI N.S.: devozione alle m. di<br />

N.S. e spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in S.<br />

Gertrude, 750s<br />

MEMENTO: dei defunti, come formula<br />

generale di tutte le messe, anticamente<br />

eseguita per mezzo dei dittici,<br />

306 n. 20, 324; nella messa il m.d.d.<br />

comporta un'interruzione perché qui<br />

in antico si leggevano i dittici, 306;<br />

nel canone romano, diversamente<br />

dalle altre anafore, è separato dalla<br />

memoria dei santi o Communicantes,<br />

327<br />

MEMENTO: dei vivi, nel canone romano,<br />

diversamente dalle altre anafore,<br />

precede la commemorazione dei santi<br />

o Communicantes, 327; nella messa<br />

il m.d.v. comporta un'interruzione<br />

perché qui in antico si leggevano i<br />

dittici, 306<br />

MEMORIA: perpetua Dei m., momento<br />

in cui l'anima secondo Cassiano rinnova<br />

frequentemente in sé la coscienza<br />

<strong>della</strong> presenza di Dio, 675<br />

MERCOLEDÌ DELLE CENERI: e lotta contro<br />

Satana, 416. Vedi: Ceneri<br />

MESSA: e sacrificio del Golgota, 159;<br />

tutta la <strong>liturgia</strong> è ordinata alla santificazione<br />

dell'uomo e al culto cristiano<br />

reso a Dio nella m., la quale<br />

è così centro e sole <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

151s, 167-70, 177-81; la m. realizzazione<br />

ed espressione sintetica di tutto il<br />

complesso liturgico, 166-85; m. centro<br />

e sole <strong>della</strong> vita soprannaturale


dèlia Chiesa, 179; la quadruplice dimensione<br />

dei segni liturgici ha il<br />

sommo grado di espressione e di<br />

efficacia nella m., 167-70; l'espressione<br />

liturgica nelle anafore del fatto che<br />

la m. realizza in sunto tutto il Mistero<br />

di Cristo, 170-77; sacramento e<br />

sacrificio, 166; proclamazione <strong>della</strong><br />

morte di Cristo, 169; banchetto messianico,<br />

169; la somma unità con Dio,<br />

con Cristo, con gli angeli, i santi e<br />

gli uomini in stato di grazia si realizza<br />

— presupposte le debite disposizioni<br />

morali — nella m., 167s; le<br />

messe dedicate a Maria mettono in<br />

rilievo il posto che compete a Maria<br />

nel Mistero di Cristo, tutto presente<br />

nella m., 184; le m. degli angeli rilevano<br />

qualche aspetto del Mistero<br />

di Cristo presente in ogni messa,<br />

184; m. bizantina: proclama ripetutamente<br />

la presenza degli angeli al<br />

sacrificio, 336; le m. dei santi rilevano<br />

qualche aspetto del Mistero di Cristo,<br />

presente in ogni m. 184; Cristo<br />

ministro principale del sacrificio <strong>della</strong><br />

m. secondo la tradizione patristica,<br />

254; la m. come azione sacra a<br />

cui tutti i fedeli devono partecipare<br />

attivamente, sebbene in modo gerarchicamente<br />

differenziato, 277-84, 279s,<br />

305, 784-88; come ogni fedele debba<br />

e possa fare <strong>della</strong> m. anche il proprio<br />

sacrificio, 162s, 164s; m. e attuazione<br />

del sacerdozio universale di tutti<br />

i fedeli, 167s; nella messa la storia<br />

universale raggiunge su questa terra<br />

la sua plenaria significazione, 168ss;<br />

è sempre desiderabile il concentramento<br />

individuale del celebrante e<br />

dei fedeli, ma sempre in atmosfera<br />

comunitaria che attui tutta la psicologia<br />

umana, 306; m. : nel ciclo Avvento-Epifania<br />

si considera tutto il<br />

Mistero di Cristo nella sua venuta<br />

epifanica, 183; m.: nel ciclo Settuagesima-Pentecoste<br />

si considera tutto<br />

il mistero di Cristo sotto il concetto<br />

di redenzione, 183; m. di Pasqua<br />

dirige gli ammonimenti di Col. 3,<br />

1-4 ai fedeli presenti nella loro situazione<br />

personale, 454; la m. di Natale<br />

riattualizza la natività non come avvenimento<br />

storico ma nella sua virtù<br />

redentiva, 453; la m. degli infermi<br />

dimostra la cura che la <strong>liturgia</strong> prende<br />

<strong>della</strong> salute del corpo umano,<br />

303; apostolicità del nucleo essenziale<br />

dei riti <strong>della</strong> m., 528; obbligo<br />

dell'assistenza alla m., 616s; frequenza<br />

dell'assistenza alla m. e tendenza<br />

alla perfezione, 618; natura più diret­<br />

INDICE ANALITICO 895<br />

tamente didattica <strong>della</strong> prima parte<br />

<strong>della</strong> m., 653s; carattere comunitario<br />

<strong>della</strong> m. nell'espressione rituale antica<br />

e sue vicende storiche fino ad<br />

oggi, 277-84; uso antico dell'unica<br />

messa come espressione del suo carattere<br />

comunitario, 280s; preghiere<br />

segrete nella m. a partire dal sec.<br />

IV, 282s; m. vero sacrificio e liceità,<br />

tempo <strong>della</strong> celebrazione, principali<br />

cerimonie <strong>della</strong> m. bassa difese dai<br />

positivo-scolastici contro i protestanti,<br />

519; struttura cristologico-trinitaria<br />

<strong>della</strong> m., 224-29; rispetto alla<br />

m. le feste liturgiche non sono che<br />

un modo analitico di considerare e<br />

rendere psicologicamente più efficace<br />

un certo aspetto dell'unico Mistero<br />

di Cristo contenuto plenariamente<br />

in sintesi in ogni messa, 182; proibizione<br />

che durò molto tempo di tradurre<br />

la m. in lingua volgare, 283;<br />

m. e ristabilimento <strong>della</strong> creatura<br />

infraumana al servizio <strong>della</strong> vita divina<br />

nel mondo, 317-21; offerta <strong>della</strong><br />

m. sulla tomba dei martiri, 326s; m.<br />

luogo d'incontro per eccellenza <strong>della</strong><br />

Chiesa peregrinante, purgante e<br />

trionfante, 327; m. e presenza degli<br />

angeli, 335-39; m. e anime del purgatorio,<br />

323-26; m. e lotta contro Satana,<br />

392-95; m. nella spiritualità di<br />

S. Gertrude, 697, 722, 728s; del modo<br />

di correggere i difetti nella celebrazione<br />

<strong>della</strong> m., dell'obbligo del sacerdote<br />

di celebrare, del tempo <strong>della</strong><br />

celebrazione, i riti <strong>della</strong> m. spiegati<br />

da S. Tommaso, 545; m. e controversia<br />

protestante, 516-19. Vedi, Eucaristia<br />

MESSALE: proibizione che durò molto<br />

tempo, di tradurlo in lingua volgare,<br />

283; m. come libro di meditazione<br />

in clima di spiritualità liturgica, 655<br />

METODI: di meditazione, di preghiera,<br />

di esami di coscienza e spiritualità<br />

in genere, 619; e spiritualità liturgiche<br />

in specie, 646-56<br />

METODO ALLEGORICO: di provenienza ellenistica,<br />

usato nell'interpretazione <strong>della</strong><br />

Bibbia presso i Padri, con applicazioni<br />

arbitrarie e princìpi esatti,<br />

430<br />

METODOLOGIA: teologica generale e <strong>liturgia</strong>,<br />

600; regole metologiche per determinare<br />

il valore dogmatico di singoli<br />

punti implicati nella <strong>liturgia</strong>,<br />

487-96; la parte che si dà alla <strong>liturgia</strong><br />

nella teologia sintetica generale<br />

dipende dal modo di concepire la<br />

natura e il metodo <strong>della</strong> teologia<br />

in genere: così nei positivo-scolasti-


896<br />

ci, 525-37; in S. Tommaso, 538-55; nei<br />

Padri, 585-90; così anche in teoria,<br />

591-602; la <strong>liturgia</strong> nel trattato metodologico<br />

De locis theologicis dei positivo-scolastici<br />

dei secoli XVIII-XIX,<br />

519, 522<br />

MICHELE S.: dal sec. IV l'evoluzione<br />

del culto degli angeli si concretizza<br />

soprattutto nella persona di S.M.,<br />

344; capo degli angeli nella lotta contro<br />

Satana, 334; la festa di S.M. nel<br />

ciclo liturgico santorale evidenzia in<br />

primo luogo il posto degli angeli<br />

nella lotta contro Satana, 421; il suo<br />

posto nella <strong>liturgia</strong> per i defunti, 412;<br />

il viaggio dell'anima nell'ai di là è<br />

stato rappresentato come accompagnato<br />

da S.M. contro le insidie demoniache,<br />

371; considerato come speciale<br />

psicopompo, ma senza implicare<br />

affermazioni dogmatiche, 372<br />

MINISTERO DELLA PAROLA e ministero dei<br />

riti nella Chiesa, 825<br />

MINISTRI SACRI: come segno liturgico,<br />

73; m.s. deU'A.T. secondo S. Tommaso,<br />

547s<br />

Misereatur : introduzione gallicana di<br />

tale preghiera nella messa, 282 n. 31<br />

MISERERE: e visioni di S. Gertrude, 700<br />

MISERICORDIA DI DIO: nei testi deU'A.T.<br />

usati dalla <strong>liturgia</strong>, 437<br />

Miserìcordias Domini in aternum cantabo:<br />

e suo significato nella vita<br />

spirituale di S. Teresa per gli interventi<br />

personali df Dio che manifestano<br />

i suoi attributi, 438<br />

MINISTERIUM DIVINUM : terminologia antica<br />

per indicare la <strong>liturgia</strong>, 33<br />

MINISTERIUM ECCLESIASTICUM : terminologia<br />

antica per indicare la <strong>liturgia</strong>,<br />

33<br />

MISSA CHRISMATIS: e suo significato antidemoniaco,<br />

390<br />

MISSIONARI: portano il fedele a vivere<br />

la vita cristiana plenariamente, cioè<br />

anzitutto nella <strong>liturgia</strong>, e così edificano<br />

la Chiesa e la conducono alla<br />

pienezza dell'età di Cristo, 636s; rilevazione<br />

<strong>della</strong> generale deficienza<br />

dei m. in fatto di <strong>liturgia</strong>, 793s<br />

MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO: il sacrificio<br />

redentivo del Golgota tendeva<br />

con tutto il suo peso alla m. dello<br />

S.S., 122; da parte di Cristo per sé<br />

non è atto meritorio, 121; non può<br />

essere percepita che per fede, 660<br />

MISSIONI: scopo specifico delle m. estere,<br />

757; aspetto comunitario delle<br />

m., 757; attività missionaria e spirito<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 635s; scopo delle missioni<br />

è portare il fedele a vivere la<br />

vita cristiana plenariamente cioè<br />

INDICI<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 636; valore missionario<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 771-76<br />

MISTAGOGIA: opere mistagogiche principali<br />

nel periodo patristico, 557-62; m.<br />

di S. Massimo e altre mistagogie bizantine,<br />

558; le opere mistagogiche<br />

sono la fonte principale per conoscere<br />

il pensiero patristico sulla <strong>liturgia</strong>,<br />

584<br />

MISTERO DI CRISTO: m.d.C, m. <strong>della</strong><br />

Chiesa, Storia Sacra, 27-32; nella Bibbia<br />

al primo piano stanno l'aspetto<br />

extratrinitario e quindi i rapporti<br />

delle Persone divine con la Storia<br />

Sacra m.d.C, 202; la Storia Sacra è<br />

la storia degli interventi di Dio nel<br />

mondo, tutta incentrata ed unificata<br />

nel m.d.C, 428ss, 437; la Storia Sacra<br />

è m.d.C in Cristo stesso e nei suoi<br />

fedeli, 455; la <strong>liturgia</strong> legge la Bibbia<br />

alla luce del principio supremo dell'unità<br />

del m.d.C, nella progressione<br />

dall'A. al N.T. e dall'economia attuale<br />

alle realtà escatologiche, 428; nei<br />

Salmi usati nella <strong>liturgia</strong>, 457-73; nel<br />

m.d.C. tutta la fase di preparazione<br />

storica deU'A.T. tendeva alla fase <strong>della</strong><br />

realizzazione storica <strong>della</strong> vita terrena<br />

di Cristo fino all'Ascensione, 168;<br />

le profezie deU'A.T. sul Messia vanno<br />

comprese al di là del <strong>senso</strong> dei<br />

contemporanei nel piano <strong>della</strong> vita<br />

storica di Cristo, in quello <strong>della</strong> realizzazione<br />

del m.d.C. in via liturgica,<br />

e in quello escatologico, 443; tutte le<br />

fasi <strong>della</strong> vita storica di Cristo fino<br />

alla Parusia formano l'unico grande<br />

m.d.C, 122; il significato completo del<br />

m.d.C. si scoprirà soltanto quando si<br />

realizzerà il secondo avvento di Cristo,<br />

433; il significato e ragion d'essere<br />

del tipo nello svolgimento storico<br />

del m.d.C. Storia Sacra, può essere<br />

compreso soltanto in riferimento all'antitipo,<br />

447; come vocazione dei<br />

gentili, assieme ai giudei, alla salvezza,<br />

28; nell'uso liturgico <strong>della</strong> Bibbia,<br />

il <strong>senso</strong> dei contemporanei è superato<br />

dalla considerazione delle realtà<br />

storiche di Cristo in Palestina, delle<br />

realtà liturgiche che si attuano nei<br />

fedeli, delle realtà escatologiche, 436;<br />

Dio riversa in Cristo la pienezza <strong>della</strong><br />

vita divina ed in Cristo così unisce<br />

a sé gli uomini, 38; e questo avviene<br />

dalla Pentecoste alla Parusia<br />

nel m. <strong>della</strong> Chiesa, 38; è a titolo<br />

eminente la celebrazione del m. pasquale,<br />

263; m. eucaristico è andmnesis,<br />

memoria <strong>della</strong> morte ma anche<br />

<strong>della</strong> Resurrezione del Signore, 264;<br />

m. eucaristico è la_principale mani-


festazione <strong>della</strong> Chiesa secondo il<br />

Conc. Vaticano II, 277; m. pasquale:<br />

vedi, Pasqua; il m. pasquale testificato<br />

dagli apostoli concretizza tutto<br />

il m. <strong>della</strong> storia m. di C. e del suo<br />

sacerdozio, m.d.C. e quindi m. <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, 246; Dio lo compie in noi<br />

attraverso un regime di segni, luogo<br />

d'incóntro primario e connaturale tra<br />

Dio e l'uomo, 53; ha un'inesauribile<br />

ricchezza oggettiva, concreta tutti i<br />

tesori <strong>della</strong> Divinità e dell'umanità,<br />

244; la <strong>liturgia</strong> è mysterium, sacramentum,<br />

m.d.C, mistero pasquale,<br />

799; criteri per stabilire fino a qual<br />

punto in un determinato particolare<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> vi sia un « mistero »,<br />

573s; concretizzato nella <strong>liturgia</strong>,<br />

103-6; la <strong>liturgia</strong> è preghiera ed attuazione<br />

sacrale del m.d.C. sotto i<br />

segni <strong>della</strong> santificazione e del culto,<br />

773; la <strong>liturgia</strong> è il luogo privilegiato<br />

d'incontro tra Dio e l'uomo dove nella<br />

concreta attuazione del m.d.C,<br />

l'uomo per mezzo di Cristo nel possesso<br />

dello Spirito riceve ogni bene<br />

dal Padre ed a lui torna, 480; la <strong>liturgia</strong><br />

rende presente in sacramento<br />

realizzandolo nelle singole anime<br />

tutto il m.d.C. Storia Sacra, 453; la<br />

<strong>liturgia</strong> è il modo specifico in cui<br />

dalla Pentecoste alla Parusia si attua<br />

nella Chiesa il m.d.C. nella santificazione<br />

e nel culto, 166; tutto ciò riaffermato<br />

dal Conc. Vaticano II, 296; nell'azione<br />

liturgica Dio attua nell'uomo<br />

il m.d.C. m. <strong>della</strong> Chiesa: legge dell'oggettività,<br />

112; si compie in noi<br />

nell'azione liturgica e, in virtù dell'opus<br />

operatum, se ne accentua così<br />

l'oggettività, 111; i segni liturgici attuano;<br />

nell'uomo il m.d.C. m. <strong>della</strong><br />

Chiesa e come strumenti di Dio trasformano<br />

l'uomo, 113; la messa tra<br />

la prima e la seconda venuta dei<br />

Signore è il centro in cui sotto il<br />

velo dei segni vivono e si concentrano<br />

tutte le fasi del m.d.C, 170;<br />

il m.d.C, economia salvatrice del<br />

mondo in Cristo, è sempre espressamente<br />

ricordato nelle anafore <strong>della</strong><br />

messa, 171; concretizzato principalmente<br />

nella messa: Vedi Messa; e<br />

cicli liturgici, 182-85; nei nuclei essenziali<br />

dei prefazi romani di Natale,<br />

Epifania, <strong>della</strong> Croce, Pasqua, Ascensione,<br />

Pentecoste sono espressi i diversi<br />

aspetti del m.d.C. nella sua realizzazione<br />

storica nella vita terrena di<br />

Cristo, 177; nel periodo Avvento-Epifania<br />

il m.d.C. viene prospettato nel<br />

concetto di venuta epifanica del Si­<br />

29-11 <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...<br />

INDICE ANALITICO 897<br />

gnore, 444; nel periodo Settuagesima-<br />

Pentecose l'A.T. è considerato nel suo<br />

valore tipologico prefigurativo del<br />

m.d.C. come redenzione, 445; nel periodo<br />

Settuagesima-Pentecoste il m.<br />

d.C. viene prospettato sotto l'idea<br />

di redenzione, 444; come redenzione,<br />

preparato nei catecumeni nella quaresima,<br />

periodo per eccellenza <strong>della</strong><br />

lotta contro Satana, 415; e feste mariane,<br />

degli angeli, dei santi, 184s; la<br />

spiritualità liturgica è biblica e fa vivere<br />

la vita cristiana come m.d.C,<br />

continuamente attuando le realtà <strong>della</strong><br />

Bibbia, 631; la <strong>liturgia</strong> più che di<br />

introspezione psicologica si preoccupa<br />

di proporre l'attenzione su Dio<br />

e le realtà oggettive: Cristo, suo m.,<br />

redenzione, Chiesa, 194; in spiritualità<br />

liturgica il triduo pasquale e Natale,<br />

m.d.C. come redenzione e come<br />

venuta epifanica, continuamente attuate<br />

nella <strong>liturgia</strong>, sono i due fari<br />

dell'anima anche fuori dell'azione liturgica,<br />

656; comprende anche le vicende<br />

dell'ascensione ascetica e mistica<br />

verso la perfezione, ultimo sigillo<br />

con cui si compie il m.d.C. in ogni<br />

fedele, 432s; per i Padri spiegare la<br />

<strong>liturgia</strong> è spiegare i suoi « misteri »,<br />

570s; la sua presentazione nella spiritualità<br />

del M.E., 747; contributo <strong>della</strong><br />

teologia dai sec. XII-XIII per la<br />

migliore intellezione del m.d.C, 817;<br />

O. Casel e la teologia del m., esposizione<br />

e giudizio, 115-22; invito del<br />

Conc. Vaticano II ai professori di<br />

teologia di mettere in rilievo sempre<br />

il m.d.C. e la Storia <strong>della</strong> Salvezza,<br />

605; considerazioni degli ordossi sul<br />

modo cattolico di presentare e vivere<br />

il m.d.C, 781; la predicazione del<br />

m.d.C. in s. Agostino, 815-19; la predicazione<br />

è annunzio orale del messaggio<br />

di Dio incentrato sul m.d.C.<br />

Storia Sacra, mistero pasquale, fatto<br />

dalla Chiesa per mezzo dei ministri<br />

ai fedeli, 803s; contenuto ed oggetto<br />

centrale <strong>della</strong> predicazione è il m.d.C.<br />

Storia Sacra, 809, 811-19; la predicazione<br />

divenendo catechesi liturgica<br />

presenterà direttamente la <strong>liturgia</strong> in<br />

quando m.d.C. sempre in atto, 829;<br />

la predicazione e il m.d.C. nelle sollecitazioni<br />

del Conc. Vaticano II, 802.<br />

Vedi: Chiesa, Cristo, Mysterion, Mysterium,<br />

Pasqua, Sacramentum, Storia<br />

Sacra<br />

MISTICA: aspetto mistico ed esperienza<br />

mistica nella tendenza alla perfezione,<br />

613s; nozione delle contemplazioni e<br />

<strong>della</strong> vita mistica, 670s; grazie misti-


898<br />

che e perfezione cristiana, 671; esperienza<br />

mistica ed esperienza estetica,<br />

67ss; ascensioni ascetico-mistiche delle<br />

anime significate nei testi scritturistici,<br />

431ss; ascensione gnostico-mistica<br />

dell'anima nel mysterion di Origene,<br />

574; mistici del sec. XV, e teologia,<br />

513; m, e gnosi, 587; vita mistica<br />

e spiritualità liturgica, 670-95; m.<br />

e <strong>liturgia</strong>: questione: la <strong>liturgia</strong> poco<br />

adatta come preparazione alla<br />

contemplazione m., 671-74; testimonianza<br />

di Cassiano, 674-19; di Maria<br />

dell'Incarnazione, orsolina, 679-85; soluzione<br />

teorica, 183ss, 688s; le purificazioni<br />

debbono introdurre al santuario<br />

interiore dell'orazione perfetta<br />

secondo Cassiano, 675; preghiera<br />

di semplice sguardo e azione liturgica,<br />

649; vita m. e recitazione e canto<br />

dei Salmi, 457s, 462-69; nell'esperienza<br />

mistica nell'azione liturgica,<br />

viene personalizzata e interiorizzata<br />

al sommo grado, 652s; m. e <strong>liturgia</strong><br />

nello Pseudo Dionigi, 574; insegnamento<br />

dell'ascetica e m. e insegnamento<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 605ss; m. e vita<br />

liturgica in S. Gertrude: m. nuziale,<br />

699, 703s; vita mistica e vita liturgica<br />

senza tensioni di contrasti, 730;<br />

grazie mistiche ricevute da S. Gertrude<br />

nell'azione liturgica o in connessione<br />

con essa, 731-41<br />

MITRA: esempio di divinità supposta<br />

salvatrice nei cui misteri per via cultica<br />

si riproducevano le sue vicende<br />

storiche, anzitutto morire e risorgere,<br />

116<br />

MODALISMO: controversia antimodalista<br />

e <strong>liturgia</strong>, 578<br />

MODERNISMO: e <strong>liturgia</strong>, 497; ed influsso,<br />

sulla parte « positiva » <strong>della</strong> teologia<br />

positivo-scolastica, 525, 531s; influsso<br />

sui manuali teologici del 1900,<br />

523s; contro di loro i positivo-scolastici<br />

ricorrono al magistero straordinario,<br />

527; la polemica contro il m.<br />

condiziona e limita nei teologi positivo-scolastici<br />

l'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella<br />

teologia, 536<br />

MONACHESIMO: e sacerdozio universale,<br />

154; <strong>senso</strong> antidemoniaco <strong>della</strong><br />

vita monastica, specialmente eremitica,<br />

secondo i Padri 369s; professione<br />

monastica e lotta contro Satana<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 410s; la consacrazione<br />

dei monaci spiegata dai Padri,<br />

558-62; rito <strong>della</strong> vestizione e <strong>della</strong><br />

professione monastica ed Esercizi di<br />

S. Gertrude, 745<br />

MONDO : il « mondo » sotto il dominio<br />

di Satana, 350<br />

INDICI<br />

MONOFISITI: importanza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

e dell'argomento liturgico nella controversia<br />

contro i m„ 579; i m. in<br />

conseguenza delle loro dottrine alteravano<br />

ed innovavano la <strong>liturgia</strong>,<br />

579 n. 88<br />

MONT-CÉSAR: abbazia, è un centro liturgico<br />

rinnovatore iniziato da Dom<br />

Lamberto Beauduin, 10<br />

MORALE E LITURGIA: la forza moralizzatrice<br />

dell'azione liturgica in vista dell'esercizio<br />

delle opere di carità verso<br />

il prossimo e dell'esercizio delle<br />

virtù morali nella vita pratica, 152,<br />

663-67; modo speciale delle liturgie<br />

di stimolare l'azione morale, 629s; le<br />

disposizioni morali del soggetto sono<br />

significate in ogni segno liturgico,<br />

82s, 85ss, 89-97, 101; esse riguardano<br />

anche il dovere missionario di<br />

ogni fedele, 773s; aspetto di impegno<br />

morale nella <strong>liturgia</strong> e concetto di<br />

sacramentum 89, 571s; punto di vista<br />

morale parenetico dell'interesse<br />

dei Padri per la <strong>liturgia</strong>, 562ss; la<br />

messa come il sommo dei segni impegnativi<br />

morali nella <strong>liturgia</strong>, 167-70;<br />

morale e ciclo Avvento-Epifania, 182;<br />

e ciclo Settuagesima-Pentecoste, 182s;<br />

come la <strong>liturgia</strong> comprende i precetti<br />

morali dell'A. T. di cui fa uso,<br />

441 ss; morale e catechismo, 832s; e<br />

predicazione, 820, 822; teologia morale<br />

e <strong>liturgia</strong>, in sé, 602; in S. Tommaso,<br />

551s<br />

MORTE: nella parola m. si sintetizza<br />

il dominio di Satana sull'uomo, 351;<br />

m. e Satana: nella visuale del N. T.,<br />

dopo il peccato dei protoparenti i<br />

mali, morali e fisici, prima la morte,<br />

fecero ingresso nel mondo, 348s,<br />

351; evento decisivo per comprendere<br />

le profezie dell'A. T. sul Servo di<br />

Jahwèh e del Salmo 21, 445; m. di<br />

Cristo come avvenimento decisivo per<br />

i fedeli e per comprendere i testi<br />

dell'A. e del N. T„ 432; la fase preparatoria<br />

dell'A. T., tendeva alla fase<br />

di realizzazione storica <strong>della</strong> vita di<br />

Cristo, e quindi alla m. e Resurrezione,<br />

168; presentazione <strong>della</strong> m. del<br />

Figlio nel Simbolo, 232; la glorificazione<br />

dell'umanità di Cristo nell'ordine<br />

delle cose volute da Dio è avvenuta<br />

solo con la passione e la m.,<br />

292; in ogni sacramento e sacramentale<br />

è celebrato e vissuto il « mistero<br />

pasquale <strong>della</strong> passione, m. e<br />

Resurrezione di Cristo », 263; i tnysteria<br />

paschalia di Cristo comprendono<br />

passione, m., Resurrezione e<br />

Ascensione, 238; nell'eucaristia si fa


anàmnesis <strong>della</strong> m. e Resurrezione<br />

di Cristo, 226, 264, 329; l'eucaristia<br />

e il suo valore di memoriale efficace<br />

e profetico <strong>della</strong> m. e Resurrezione<br />

di Cristo nell'anafora di S. Basilio,<br />

175; e nel canone romano, 177;<br />

m. volontaria di Cristo in nostra vece<br />

a causa del peccato, nell'anafora<br />

di S. Basilio, 174; Satana segnò il<br />

parossismo dei suoi attacchi contro<br />

Cristo al momento <strong>della</strong> sua passione<br />

e m., 536; m. come vittoria di<br />

Cristo sul diavolo, 418; passione e<br />

m. come atto <strong>della</strong> lotta di Cristo<br />

contro Satana nella <strong>liturgia</strong> dalla Domenica<br />

di Passione all'Ascensione,<br />

417; il battesimo ha <strong>senso</strong> antidemoniaco<br />

in quanto m. e Resurrezione<br />

di Cristo, secondo la teologia del<br />

N. T., 369; col segno parola <strong>della</strong> formula<br />

del battesimo il fedele partecipa<br />

alla m. e alla Resurrezione di<br />

Cristo, 61; il fedele solo unendosi a<br />

Cristo nella m. e Resurrezione riceverà<br />

la vita divina, 824; ogni assemblea<br />

liturgica proclama la m. e la Resurrezione<br />

di Cristo, 103; di Cristo<br />

come tema di partenza per la meditazione<br />

liturgica, 650; nel ciclo Settuagesima-Pentecoste<br />

il Mistero di<br />

Cristo viene presentato nel suo aspetto<br />

di redenzione, e quindi di m. e<br />

Resurrezione, 183, 237; la quaresima<br />

è il periodo degli esercizi spirituali<br />

<strong>della</strong> Chiesa, presentazione <strong>della</strong> Redenzione<br />

realizzata nella m., Resurrezione<br />

e Ascensione di Cristo, 415;<br />

gli episodi storici <strong>della</strong> vita di Gesù,<br />

e quindi la m., vengono visti nell'età<br />

patristica partendo dalla visuale pasquale<br />

di Cristo come Kyrios, 244;<br />

gli eventi storici <strong>della</strong> vita di Cristo<br />

a partire da Giustino sono considerati<br />

mysterìa, 566; la mentalità storica<br />

positivistica ci fa considerare<br />

impropriamente passione, m. e Resurrezione<br />

di Cristo come eventi autonomi<br />

e separati, 248; come aspetto<br />

particolare del mistero di Cristo nella<br />

<strong>liturgia</strong> fino al M. E., 747; come<br />

celebrazione liturgica è tema di interesse<br />

<strong>teologico</strong> per S. Tommaso, 548<br />

n. 35; pio esercizio di preparazione<br />

alla morte nello spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

secondo gli Esercizi di S. Gertrude,<br />

745s<br />

MORTIFICAZIONE: l'esortazione <strong>della</strong> Bibbia<br />

alla m. va intesa anzitutto secondo<br />

la profondità dei contemporanei<br />

cui quei testi erano diretti, 434;<br />

spirito di m. come mezzo comune<br />

verso la perfezione, 617; la m. cristia­<br />

INDICE ANALITICO 899<br />

na del corpo e dei sensi è in vista<br />

<strong>della</strong> loro vero e perpetua vivificazione,<br />

300; spirito di m.: è necessario<br />

anche fuori dell'azione liturgica<br />

propriamente detta, 625; m. private:<br />

debbono essere subordinate ed ordinate<br />

alla <strong>liturgia</strong>, 626; è uno dei temi<br />

che la <strong>liturgia</strong> propone abitualmente<br />

all'attenzione del fedele, 650<br />

MOSÈ: come termine storico nel Martirologio<br />

romano al 25 dicembre, 315;<br />

come tema <strong>della</strong> Storia Sacra entrato<br />

nell'ampliamento <strong>della</strong> catechesi<br />

sullo schema del Simbolo che è la<br />

Demonstratio di Ireneo, 815; M. e l'esodo<br />

come temi dell'esegesi patristica<br />

nella rivalutazione dei critici moderni,<br />

429 n. 2; figura di Cristo, 449;<br />

come persona il cui esempio è proposto<br />

all'imitazione dei fedeli durante<br />

la quaresima dalla <strong>liturgia</strong> mozarabica,<br />

416; nel battesimo degli adulti<br />

del rituale romano è nominato m.<br />

come uno dei Patriarchi cui Dio ha<br />

concesso un angelo, in connessione<br />

all'angelo del battesimo, 339<br />

MOTIVI DI CREDIBILITÀ: mezzi, come furono<br />

ad es. i miracoli di Cristo, per<br />

cui crediamo che Dio abbia rivelato<br />

qualche verità, 501<br />

MOVIMENTI: corporei: come segni nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 63<br />

MOVIMENTO D'AZIONE CATTOLICA: col m.<br />

<strong>teologico</strong> biblico e col m. liturgico è<br />

una delle tre cause <strong>della</strong> caratteristica<br />

<strong>della</strong> spiritualità moderna secondo<br />

E. Masure, 694; tra le attività pastorali<br />

deve convergere verso la partecipazione<br />

plenaria del popolo alla<br />

<strong>liturgia</strong>, 764; sua convergenza verso<br />

il centro del rinnovamento spirituale<br />

moderno che è il m. liturgico, 842<br />

MOVIMENTO : biblico, profondamente<br />

connesso col m. liturgico, con cui<br />

marcia di pari passo, 472; col m. liturgico<br />

ed il m. d'azione cattolica è<br />

una delle tre cause <strong>della</strong> caratteristica<br />

<strong>della</strong> spiritualità moderna secondo<br />

E. Masure, 694; sua convergenza<br />

verso il movimento biblico,<br />

842; come attività pastorale deve convergere<br />

verso la partecipazione plenaria<br />

del popolo alla <strong>liturgia</strong>, 764;<br />

ha contribuito ad attirare l'attenzione<br />

sul problema moderno del catechismo,<br />

830; sua influenza sul nuovo<br />

catechismo tedesco, 834<br />

MOVIMENTO: catechistico, sua influenza<br />

sul nuovo catechismo tedesco, 834<br />

MOVIMENTO CISTERCENSE: e sua influenza<br />

sulle devozioni durante il M. E., 747<br />

MOVIMENTO ECUMENICO: come manifesta-


900 INDICI<br />

zione caratteristica <strong>della</strong> nostra epoca<br />

si orienta verso la <strong>liturgia</strong>, 842;<br />

m.e. mondiale: pone come uno dei<br />

suoi problemi fondamentali la questione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 777<br />

MOVIMENTO FRANCESCANO: e suo decisivo<br />

orientamento verso la devozione all'Umanità<br />

di Cristo, 747<br />

MOVIMENTO LITURGICO: m.l. e modo di<br />

concepire la <strong>liturgia</strong>, 9ss; perché il<br />

m. 1. non ha ancora portato tutti i<br />

frutti che si poteva sperare?, lOs;<br />

nella sua prima tappa deve interessare<br />

il clero giovane destinato alle<br />

parrocchie, 793; dal 1946 ha assunto<br />

intensità pastorale, 782; la pastorale<br />

liturgica caratteristica <strong>della</strong> fase attuale<br />

del movimento liturgico, 647ss;<br />

il m. 1. e la questione del sacerdozio<br />

universale dei fedeli, 153s; convergenza<br />

degli altri movimenti di rinnovamento,<br />

842; movimento <strong>teologico</strong>, di<br />

scienza ascetica e mistica, biblico pastorale,<br />

d'azione cattolica e missionario,<br />

472s, 693s, 842; ha insistito per<br />

far comprendere come le attività extraliturgiche<br />

siano ordinate alla <strong>liturgia</strong><br />

e non viceversa, 763; m. 1. e benedettini,<br />

643; m. 1. e questione di<br />

rapporti tra fede, teologia, <strong>liturgia</strong>,<br />

477, 510s; spinge il teologo a completare<br />

e ad equilibrare le visuali <strong>della</strong><br />

positivo-scolastica con gli aspetti<br />

più importanti <strong>della</strong> Scrittura e <strong>della</strong><br />

tradizione, 778; m. 1. e unità tra predicazione,<br />

catechesi e <strong>liturgia</strong>, 823;<br />

ha indirizzato i predicatori a dare<br />

una predicazione che sia catechesi<br />

direttamente liturgica, 829; non ultimo<br />

ad influire sulla questione odierna<br />

del catechismo, 830; il nuovo catechismo<br />

tedesco è un avvenimento<br />

nella storia del e. stesso e del m.l.,<br />

834; le sue realizzazioni sono oggi<br />

considerate dagli ortodossi, 780; tra<br />

i cattolici di rito orientale, 781; m. 1.<br />

ortodosso e rapporti coi cattolici, 781;<br />

m. 1. nelle comunità protestanti e rapporti<br />

coi cattolici, 780<br />

MOVIMENTO MISSIONARIO: sua convergenza<br />

verso il centro del rinnovamento<br />

moderno che è il m. liturgico, 842<br />

MOVIMENTO PASTORALE: converge verso il<br />

centro del rinnovamento moderno che<br />

è il m. liturgico, 842; sua decisiva<br />

influenza sulla questione del nuovo<br />

catechismo tedesco, 834<br />

MOVIMENTO TEOLOGICO: sua influenza sul<br />

nuovo catechismo tedesco, 834<br />

MOVIMENTO CRISTOLOGICO-TRINITARIO : analisi<br />

e sintesi generale, 196-242; formulazione:<br />

a-per-in-ad, cioè: ogni be­<br />

ne ci viene dal Padre (a Patre)<br />

per mezzo di Cristo (per Christum)<br />

nella presenza in noi dello Spirito (in<br />

Spiritu) e per tale via tutto deve tornare<br />

al Padre (ad Patrem), 196; la<br />

Bibbia considera le Persone divine<br />

in prima linea nei loro rapporti col<br />

mondo nel m. e. t., 210; formula riassuntiva<br />

nel N. T., 202-6; è il grande<br />

mistero ma per il N. T. dà alla vita<br />

cristiana slancio e profondità, 206;<br />

anche la <strong>liturgia</strong> come la Bibbia considera<br />

le Persone divine anzitutto secondo<br />

lo schema c.-t., 217; nella linea<br />

<strong>della</strong> causalità esemplare o assimilazione,<br />

204s; ha come maggiore spiegazione<br />

la legge dell'Unico Liturgo, 189;<br />

nella lite ariana, 208, 210; lo schema<br />

per-in è sempre sulla linea del movimento<br />

a-per-in-ad, 221; lo schema perin<br />

aveva però il pericolo di far dimenticare<br />

al fedele l'uguaglianza di<br />

natura, 222; le orazioni che non nominano<br />

nella conclusione lo Spirito Santo,<br />

sono sempre sulla linea del m. ct.,<br />

216; nella tradizione antica, 206-9;<br />

la prospettiva generale nella <strong>liturgia</strong>,<br />

209-43; nelle orazioni, 212-18; corpo<br />

dell'orazione antica era l'adorazione,<br />

la domanda e il ringraziamento sempre<br />

nella prospettiva c.-t., 215; nelle<br />

dossologie, 218-24; le dossologie più<br />

frequenti prima <strong>della</strong> lite ariana erano<br />

secondo lo schema per-in che è<br />

di struttura neotestamentaria, 220s;<br />

nel sacrificio <strong>della</strong> messa, 224-29; nell'anafora<br />

di S. Ippolito di Roma, 225;<br />

nel canone romano <strong>della</strong> messa, 227;<br />

nella grande dossologia finale del canone<br />

romano, 223; nei sacramenti,<br />

228-36; nel battesimo, 229-32; l'antica<br />

riforma del battesimo era secondo lo<br />

schema a-per-in-ad, 231; nella professione<br />

battesimale di fede, 230; nella<br />

confermazione, 232s; lo schema <strong>della</strong><br />

teologia Paolina alla base <strong>della</strong> teologia<br />

<strong>della</strong> confermazione, 233; nella<br />

penitenza, 234s; nell'unzione dei malati,<br />

236; nell'ordine, 235; nel matrimonio,<br />

236; nei sacramentali, 236: lo<br />

schema presiede alla creazione delle<br />

feste cristiane, 239; e la questione<br />

<strong>della</strong> festa <strong>della</strong> SS. Trinità, 239; nei<br />

cicli liturgici, 237-42; dall'Avvento all'Epifania,<br />

239 n. 96; dalla Settuagesima<br />

alla Domenica di Passione,<br />

237s; dalla Domenica di Passione all'Ascensione,<br />

238s; come uno dei temi<br />

che equilibrano la spiritualità liturgica,<br />

628; uno dei temi per cui la spiritualità<br />

liturgica è dogmatica concreta,<br />

631; uno dei temi che l'azione


liturgica propone abitualmente all'intelligenza<br />

discorsiva, 649, 651s<br />

MOEARABICA, <strong>liturgia</strong> e dossologie trinitarie,<br />

224; e struttura cristologico trinitaria<br />

<strong>della</strong> messa, 228s; e la presentazione<br />

del mistero <strong>della</strong> Trinità nella<br />

<strong>liturgia</strong> dopo l'eresia ariana, 240;<br />

e adozianismo spagnolo, 478; ed appello<br />

ai suoi testi da parte degli adozianisti<br />

spagnoli, 579 n. 90; tutto il<br />

Mistero di Cristo in quanto venuta epifanica<br />

del Signore come liberazione<br />

dell'uomo da Satana, 414s; discesa all'inferno,<br />

Resurrezione ed Ascensione<br />

di Cristo come trionfo su Satana, 419;<br />

e il trionfo <strong>della</strong> Croce come trionfo<br />

contro Satana, 418; e la questione<br />

dell'epiclesi allo Spirito Santo nella<br />

messa, 228s; e l'eucaristia nella lotta<br />

contro Satana, 395; e la <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong><br />

penitenza come lotta contro Satana,<br />

398; e la <strong>liturgia</strong> dei malati nella lotta<br />

contro Satana, 401; e professione<br />

monastica come lotta contro Satana,<br />

410; e quaresima come periodo speciale<br />

<strong>della</strong> lotta contro Satana, 424<br />

MUSICA e <strong>liturgia</strong>. Vedi: Arte, Canto<br />

MYBON: consacrazione del m. e <strong>senso</strong><br />

cristologico trinitario, 236; consacrazione<br />

del m. spiegata in Oriente in<br />

età patristica, 558, 559 n. 13; consacrazione<br />

del myron come mysterion dal<br />

sec. IV, 570<br />

MYSTERION: origine scritturistica e sviluppo<br />

del concetto, 565ss; in quanto<br />

segno, immagine, simbolo ha un concetto<br />

antitetico rispetto alla cosa significata,<br />

50; S. Paolo riferisce il concetto<br />

di m. soltanto alla Storia Sacra,<br />

non estendendolo al culto, 27ss,<br />

116; la vocazione dei Gentili assieme<br />

ai Giudei e m. secondo S. Paolo, 566;<br />

riassume il riferimento alle realtà<br />

passate, alla vita storica di Cristo,<br />

all'impegno morale del fedele, alle<br />

realtà escatologiche, 573; presso i Padri<br />

è rappresentazione di cose sacre<br />

soprasensibili per mezzo di segni<br />

sensibili, 44; il concetto presenta per<br />

gli antichi un concetto profondamente<br />

realistico, del tutto opposto alla<br />

mentalità odierna, 52; per gli antichi<br />

sono segni riferentisi alle cose sacre<br />

dell'economia di Dio nel mondo, 44;<br />

sotto questo termine gli antichi comprendevano<br />

tutta la <strong>liturgia</strong>, 43; m. e<br />

gnosi, 588ss; incentramento delle<br />

spiegazioni liturgiche dei Padri nel<br />

concetto di m., 564-67; è base generale<br />

e determinazione <strong>della</strong> teologia liturgica<br />

dei Padri, 564; a partire da Giustino<br />

è mysterion la dimensione sim­<br />

INDICE ANALITICO 901<br />

bolica ed allegorica dell'A.T. rispetto<br />

al N.T., e poi anche gli eventi storici<br />

<strong>della</strong> vita di Cristo, 566; significato<br />

fondamentale in Origene, 567ss;<br />

m. primordiale è Cristo, nella sua persona<br />

concreta uomo e Dio per Origene,<br />

568; delle Scritture è l'incarnazione<br />

sui generis del Verbo, secondo<br />

Origene, 568; <strong>della</strong> Chiesa, secondo<br />

Origene è derivazione dal m. primordiale<br />

di Cristo, 569; i riti cultuali,<br />

per Origene sono la terza sfera del<br />

concetto .di m., 569; presso i Padri<br />

l'aspetto segno di m. prevale sull'aspetto<br />

efficacia, 576; dal sec. III-<br />

IV è la chiave <strong>della</strong> visione teologica<br />

irenica espositiva presso i Padri, 565,<br />

577, 584; accettazione di questo concetto<br />

dalla Patristica seguente, 570s;<br />

applicazione del concetto di m. a tutta<br />

la <strong>liturgia</strong> del sec. IV, 570s; presso<br />

i Siri Monofisiti, 570s; il concetto<br />

nelle liturgie, 572s; meriti e deficienze<br />

dei Padri nell'elaborazione di questo<br />

concetto, 574ss; è orìgine <strong>della</strong><br />

parola latinizzata mysterium, 571.<br />

Vedi: Mistero, Mysterium, Sacramentum,<br />

Storia Sacra<br />

MYSTERIUM: m., sacramentum e definizione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 43ss; valore realista<br />

del concetto di m. presso gli antichi,<br />

51ss; vi prevale presso i Padri<br />

l'aspetto segno sull'aspetto efficacia,<br />

576; come esplicazione d'una economia<br />

divina in atto, 61; non deriva dai<br />

misteri pagani ma si sviluppa dal<br />

concetto di Storia Sacra, 116; connes-<br />

. so al concetto generale di segno,<br />

comporta un doppio aspetto antitetico,<br />

50; la goccia d'acqua nel calice<br />

è un simbolo e quindi un m., 59; come<br />

incentramento delle spiegazioni<br />

teologiche e liturgiche dei Padri, 564,<br />

577; è la chiave di tutta la visione teologica<br />

irenica espositiva <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

presso i Padri, 565; la ricchezza di<br />

tale concetto si ricava più dalla letteratura<br />

mistagogica irenica che da<br />

quella polemica dei Padri, 584; m. e<br />

sacramentum presso i latini, 43s, 571;<br />

nelle liturgie, 572s; meriti e deficienze<br />

dei Padri nell'elaborazione di questo<br />

concetto, 574ss; la predicazione<br />

come m., 804-8; criteri per stabilire<br />

fino a qual punto in un determinato<br />

particolare <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> vi sia m.,<br />

574s; il sacramento <strong>della</strong> parola è m.,<br />

825; m. e sacramentum presso S. Tommaso,<br />

87s; nella considerazione del<br />

movimento liturgico ortodosso nei<br />

riguardi dei cattolici, 779<br />

MYSTICUS: aggettivo di mysterion, 573


902 INDICI<br />

NARRATICI: nella predicazione in S. Agostino,<br />

814<br />

NATALE: oggetto proprio e quadruplice<br />

dimensione del significato del ciclo<br />

di N., 102; festa di N. e angeli, 343;<br />

virtù redentiva <strong>della</strong> festa di N., 453;<br />

N. e lotta contro Satana, 413ss; e le<br />

profezie d'Isaia, 444s; con le altre<br />

fasi del Mistero di Cristo è concentrato<br />

sacramentalmente e liturgicamente<br />

nella messa, 182; il tempo preparatorio<br />

al N. è simile in qualche<br />

cosa alla quaresima, 656; alla sua virtù<br />

redentiva partecipiamo per la prima<br />

volta col battesimo, 454; l'inno<br />

Gloria in excelsis Deo da remota antichità<br />

fu preso come principio <strong>della</strong><br />

grande dossologia, 343; in Occidente<br />

dal sec. XI l'accento viene portato<br />

sull'uomo storico Gesù prima <strong>della</strong><br />

Resurrezione e quindi specialmente<br />

sul N. e sulla passione, 244; come<br />

mysterion a partire da Giustino, 566;<br />

questione teologica, in S. Tommaso,<br />

548; apparentemente il tema del N.<br />

non è lasciato dalla <strong>liturgia</strong> alla considerazione<br />

del fedele fuori di determinati<br />

tempi dell'anno, 651<br />

NATURA: considerazione filosofica e considerazione<br />

storica e liturgica <strong>della</strong><br />

n., 373-77; l'uso dei segni sensibili<br />

nella <strong>liturgia</strong> è richiesto connaturalmente<br />

dalla n. umana, 76-81; corruzione<br />

<strong>della</strong> n., 649, 664<br />

NATURALE: concetto di n. e di soprannaturale,<br />

373ss<br />

NATURALISMO: difficoltà <strong>della</strong> mente naturalista<br />

di capire gli esorcismi, 320,<br />

385s; e di rendersi conto <strong>della</strong> realtà<br />

<strong>della</strong> lotta contro Satana, 376s, 395;<br />

n. moderno, 385<br />

NEMICI: i Salmi contro i nemici del<br />

popolo di Dio e modo d'intenderli<br />

nella <strong>liturgia</strong> come parlanti <strong>della</strong> lotta<br />

contro Satana, 476ss; i n. di Dio<br />

sono i n. stessi d'Israele nella tematica<br />

dei Salmi, 467<br />

NEOFITI: e l'eucaristia come arma contro<br />

Satana, 392; e testi biblici <strong>della</strong><br />

messa riferiti a loro, 439<br />

NEOPLATONISMO : e preparazione degli antichi<br />

a capire il valore simbolico delle<br />

cose sensibili, 54; spiritualismo disincarnato<br />

neoplatonico contrario allo<br />

spirito cristiano e, in specie, alla<br />

<strong>liturgia</strong>, 299s, 304s; n. dei Padri,<br />

emerge dall'eclettismo del loro pensiero,<br />

590; nel concetto di gnosi dopo<br />

lo Pseudo Dionigi, 588; la tentazione<br />

neoplatonica è ancora attuale, 301<br />

Me timeas Zacharìa: messa, 740<br />

Nobis quoque peccatorìbus : esprime<br />

l'unione degli uomini con gli angeli<br />

ed i beati, 328 n. 20<br />

NOÈ: e il diluvio come tema dell'esegesi<br />

patristica nella rivalutazione moderna,<br />

430<br />

NOMINALISMO: ed obbiezioni contro la<br />

<strong>liturgia</strong> a favore delle opere esterne<br />

di apostolato, 767<br />

NOVENE : fanno parte dei « pii esercizi »<br />

raccomandati dal Conc. Vaticano II,<br />

633<br />

NOVISSIMI : trattato <strong>teologico</strong> dei n. e<br />

liturgici in sé, 602; in S. Tommaso,<br />

552; nei positivo scolastici, 532; come<br />

tema morale ed antropologico abitualmente<br />

proposto all'attenzione<br />

dall'azione liturgica, 649, 655; come<br />

tema proposto dalla spiritualità liturgica<br />

in equilibrio coi maggiori temi<br />

<strong>della</strong> Rivelazione, 664<br />

NUMERI: valore simbolico dei n. nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 73 n. 75<br />

Nuovo TESTAMENTO: unità del N.T. con<br />

l'A.T., 428ss; unità del cosmo infraumano<br />

e dell'uomo ai fini del regno di<br />

Dio nel N.T., 314-17; N.T. e <strong>liturgia</strong>,<br />

453<br />

Oblationem facere: equivale ad eucharistiam<br />

facere, 306<br />

Oddi: messa, 743<br />

OCCIDENTE: simbolo di Satana, 388s<br />

O feiìx culpa, 551<br />

Offerimus tibi: sua introduzione gallicana<br />

nella messa, 282 n. 31<br />

OFFERTORIO: l'offerta del popolo all'o.<br />

appare nel corso del sec. <strong>Il</strong>i, 279;<br />

tende a sparire in oriente nel sec. IV-<br />

V, 282; sparisce in Occidente nel medioevo,<br />

283; <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong> dell'o.<br />

<strong>della</strong> messa per i defunti, 370 n. 37,<br />

441<br />

OFFICIA DIVINA: come termine per <strong>liturgia</strong><br />

presso gli antichi, 33 n. 1<br />

OGGETTI, come segni nella <strong>liturgia</strong>, 63<br />

OGGETTIVISMO: e l'opus operatum nella<br />

<strong>liturgia</strong>, llls; la legge dell'oggettività<br />

e la <strong>liturgia</strong>, 189-95; nozione, 190ss;<br />

oggettivismo e soggettivismo in <strong>liturgia</strong>,<br />

189-92; o. e soggettivismo in<br />

spiritualità in genere, lllss, 621; nella<br />

spiritualità liturgica in specie, 629s<br />

OGNISSANTI : la festa d'o. come fase del<br />

mistero di Cristo è realmente contenuta<br />

nella messa, 182; festa di o. ed<br />

escatologia, 184, 328s; punto di riferimento<br />

per la ricollezione spirituale<br />

del cristiano, 656<br />

OLIO: consacrazione degli oli spiegata<br />

in oriente nell'età patristica, 558-62;


l'unzione postbattesimale con l'olio,<br />

387; unzione degli infermi e lotta<br />

contro Satana, 399-402; suo <strong>senso</strong> cristologico<br />

trinitario, 236; o. dei catecumeni<br />

e lotta contro Satana, 390; o.<br />

del crisma e lotta contro Satana, 390<br />

OMELIA : spiegazione <strong>della</strong> parola di Dio<br />

proclamata nella lettura biblica liturgica,<br />

826; l'o. quando è parte integrante<br />

dell'atto liturgico, specialmente<br />

<strong>della</strong> messa, è la somma attuazione<br />

<strong>della</strong> predicazione, 826s;<br />

omelie sulle feste liturgiche nel periodo<br />

patristico, 560; come istruzione<br />

nella <strong>liturgia</strong> è in funzione diretta<br />

<strong>della</strong> preghiera, 482; nella messa<br />

ha minore importanza del sacrificio,<br />

dei sacramenti e sacramentali, 483;<br />

o. come spiegazione <strong>della</strong> Scrittura<br />

è inculcata dal Conc. Vaticano II, 473<br />

OMBRA : e verità delle fasi <strong>della</strong> Storia<br />

Sacra in Origene, 567; come terminologia<br />

passa largamente nei formulari<br />

liturgici, 572<br />

Omnipotens sempiterne Deus, cui numquam<br />

sine spe misericordia, 723<br />

Omnipotens sempiterne Deus, qui in<br />

omni loco, 408<br />

OPERE: extraliturgiche e spiritualità liturgica,<br />

634-37; o. pastorali extraliturgiche<br />

come mezzi ordinati alla <strong>liturgia</strong><br />

e da essa derivanti, 760-68<br />

OPERE BUONE: le o.b. raccomandate dall'A.T.<br />

vanno intese anzitutto nel <strong>senso</strong><br />

dei contemporanei cui quei testi<br />

erano destinati, 434; raccomandate<br />

dall'A.T. sono interpretate alla luce<br />

del discorso <strong>della</strong> montagna, 442; tema<br />

posto abitualmente all'attenzione<br />

dell'azione liturgica, 657, 650; il tema<br />

delle o.b. è sempre molto in rilievo<br />

nella catechesi psicologica moralizzatrice<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 657, 664<br />

OPINIONI TEOLOGICHE e <strong>liturgia</strong>, 491s<br />

OPUS DEI nei monasteri benedettini, 704<br />

OPUS OPERANTIS ECCLESIA: nozione, fondamento,<br />

sue conseguenze per la natura,<br />

l'efficacia e la dignità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

122-34, 109s, 258, 275, 319 n. 47,<br />

637s, 657, 659s, 763, 765s, 840s; designa<br />

la superiorità <strong>della</strong> ' preghiera liturgica<br />

su quella puramente privata,<br />

691; nella Mediator Dei, 645 n. 26; i<br />

sacramentali e la legge dell'incarnazione,<br />

293; la predicazione è un sacramentale<br />

con efficacia strumentale ex<br />

o.o.E., 806<br />

OPUS OPERATUM: <strong>senso</strong> dell'espressione,<br />

83; o.o. e il concetto che Cristo è il<br />

ministro principale dei sacramenti,<br />

258; l'o.o. e alcune caratteristiche <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>:, oggettivismo, teocentri­<br />

INDICE ANALITICO 903<br />

smo, realismo, cristocentrismo, 110-<br />

13; e l'importanza che ha il corpo fisico<br />

di Cristo per la salvezza, 293; e<br />

la gerarchia tra eucarestia, sacramenti<br />

e altri riti secondo S. Tommaso,<br />

541; e il valore <strong>della</strong> preghiera unicamente<br />

per Ipsum cum Ipso et in<br />

Ipso, 660; o.o. e magia, 83, 112; l'o.o.<br />

e la presenzialità delle realtà significate<br />

dal segno sacramentale, specialmente<br />

nella sua dimensione rimemorativa,<br />

113-22; e le disposizioni<br />

morali e la cooperazione dell'uomo,<br />

645; e le azioni sacre in quanto <strong>liturgia</strong><br />

d'istituzione divina, 128; e la<br />

grazia santificante nei sacramenti,<br />

657, 807; effetti ottenuti per un certo<br />

o.o. anche nella <strong>liturgia</strong> d'istituzione<br />

ecclesiastica, 123; concentramento dei<br />

teologi positivo scolastici sull'o.o. dei<br />

sacramenti e loro negligenza dell'aspetto<br />

segno negli stessi, 553; o.o.,<br />

opus operantis Ecclesia e pastorale<br />

liturgica, 763, nella Mediator Dei e<br />

nel Conc. Vaticano II, 109; nella teoria<br />

di K. Rahner, 133 n. 32<br />

ORACOLI: in quanto vita pagana, ritenuti<br />

dai Padri come culto demoniaco,<br />

367<br />

Oramus te, Domine : e sua introduzione<br />

gallicana nella messa, 282 n. 31<br />

Orate fratres e sua introduzione gallicana<br />

nella messa, 282 n. 31<br />

ORATORIA e predicazione, 803s<br />

ORAZIONE: metodi di o. in genere, 620;<br />

metodi di o. e spiritualità liturgica<br />

in specie, 646-56; Vedi: Preghiera; o.<br />

secondo Cassiano, 674-79; diversi gradi:<br />

pura; pura et sincera, ignita, perfecta,<br />

pura et brevis, iugis secondo<br />

Cassiano, 675; contemplativa, 676; giaculatorie,<br />

675, 705; ignita, 675, 677s,<br />

682; o.-meditazione, 654; mentale, 663;<br />

perfetta, 675; perfettissima o orazione<br />

infuocata, 678; di quiete e <strong>liturgia</strong>,<br />

672, 686s; salmodica, 654; domenicale<br />

come mysterion presso i Padri dal<br />

sec. IV, 570; Pater noster come mysterion<br />

secondo Simeone di Salonicco,<br />

44; domenicale come sacramentum<br />

in S. Agostino, 43; Pater come<br />

uno dei sacramentalia dal sec. XIII,<br />

98; domenicale nella <strong>liturgia</strong> dei malati<br />

e suo <strong>senso</strong> antidemoniaco, 401;<br />

liturgiche: loro struttura cristologico<br />

trinitaria, 212-18; secondo l'antica<br />

regola, indirizzate al Padre per Cristo,<br />

212s; schema antico delle o.l.<br />

inizio, corpo, conclusione, e sua evoluzione<br />

posteriore, 212-18<br />

ORDINE: materia e forma e <strong>liturgia</strong>, 492;<br />

quadruplice dimensione del segno


904 INDICI<br />

sacramentale dell'o., 94; sua struttura<br />

cristologico trinitaria, 235; suo valore<br />

ecclesiale e comunitario, 284,<br />

286; carattere dell'o. e culto cristiano,<br />

149-53; o. e Spirito Santo, 37s; e angeli,<br />

341; le ordinazioni spiegate nei<br />

trattati liturgici dell'età patristica,<br />

558-62; come partecipazione al sacerdozio<br />

di Cristo, 155; è immediatamente<br />

ordinato all'eucaristia, 178; il<br />

Mistero di Cristo come redenzione<br />

liturgicamente realizzato nel sacramento<br />

dell'o., 183; e rapporti coi sacramentali<br />

che abbracciano più vasta<br />

sfera di situazioni umane, 319; e lotta<br />

contro Satana, 404; come mysterion,<br />

in quanto parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, a partire<br />

dal sec. IV, 570; nel trattato dei<br />

sacramenti in S. Tommaso, 546; ed<br />

esortazioni che accompagnano il conferimento<br />

degli ordini, come forza<br />

moralizzatrice <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 665; o.<br />

sacri: la <strong>liturgia</strong> vi esprime una forma<br />

volontativa esplicita, 650; o. dei<br />

diaconi e lotta contro Satana, 404,<br />

424; o. dei diaconi nella letteratura<br />

patristica d'interesse <strong>teologico</strong>-liturgico,<br />

558; o. dei vescovi nella letteratura<br />

patristica d'interesse <strong>teologico</strong>liturgico,<br />

558<br />

ORDO ADMINISTRANDI EXTREMAM UNCTIO-<br />

NEM, 401<br />

ORDO BAPTISMI ADULTORUM, 384, 387s<br />

ORDO BAPTISMI PARVULORUM, 379, 384, 387<br />

ORDO EXCOMMUNICANDI ET ABSOLVENDI, 397<br />

ORDO AD FACIENDAM ACQLAM BENEDICTAM,<br />

407s<br />

ORDO HEBDOMADAE SANCTAE, 417<br />

ORDO MISSAE, 545<br />

ORDO RECOXCILIATIONIS POENITENTIUM, 398<br />

ORDO ROMANUS X, 384<br />

ORDO ROMANUS XI, 384<br />

ORE CANONICHE : se dette da persone a<br />

ciò delegate e nelle forme prescritte<br />

dalla Chiesa, per la validità attuano<br />

per un certo opus operatum<br />

la preghiera del corpo mistico di<br />

Cristo, capo e membri, a parte la<br />

dignità personale di colui che le<br />

compie a suo nome, 123; come mysterion<br />

presso Simeone di Tessalonica,<br />

44 n. 21; come mysterion in<br />

quanto parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> presso i<br />

Padri dal sec. IV, 570; libri delle o.c.<br />

nati nel M.E. come alimento <strong>della</strong><br />

pietà privata fuori dell'azione liturgica,<br />

744. Vedi: Ufficio divino.<br />

O Redemptor stime Carmen: inno e<br />

suo significato antidemoniaco, 390<br />

ORFEO: come tema cristologico dell'arte<br />

paleocristiana, 456 n. 14<br />

ORFISMO: lo spiritualismo disincarnato<br />

<strong>della</strong> mentalità orfica vivamente respinta<br />

dalla Chiesa, 299<br />

ORIENTE: simbolo di Cristo, 388s<br />

ORTODOSSI: e movimento liturgico, 778,<br />

780s<br />

Osculetur me: antifona, 718<br />

OSCULUM: tema mistico derivato dal<br />

Cantico dei Cantici nella spiritualità<br />

di S. Bernardo e proprio dell'esperienza<br />

mistica di S. Gertrude, 731;<br />

bacio divino come esperienza mistica<br />

in S. Gertrude, 699, 732<br />

OSIRIDE: misteri cultici pagani di O.<br />

in quanto rappresentano le vicende<br />

di una divinità che muore e risorge,<br />

116<br />

OSSERVANZA DEL SABATO: e sua motivazione<br />

nell'A.T., 20<br />

Ostende nobis: sua introduzione d'origine<br />

gallicana nella messa, 282 n. 31<br />

PADRE, prima persona <strong>della</strong> Trinità: e<br />

movimento cristologico-trinitario <strong>della</strong><br />

Rivelazione e <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 196-<br />

242; il P. ut a quo e ad quem <strong>della</strong><br />

santificazione del culto <strong>della</strong> Chiesa,<br />

37s; secondo l'antica regola, l'orazione<br />

liturgica è diretta al P. per mezzo<br />

di Gesù Cristo, 212s; "regola basata<br />

sulla Bibbia e sulla tradizione, 213s;<br />

il P. invocato all'inizio, nel corpo e<br />

nella conclusione delle orazioni liturgiche,<br />

212-18; tendenza <strong>della</strong> Bibbia<br />

a riservare al P. il nome di Dio,<br />

l'appellativo Padre nostro, ed a considerare<br />

come detto del P. ciò che<br />

l'A.T. diceva di Dio, 212-14; il P. nei'<br />

testi arcaici del N.T. e nell'antica<br />

letteratura cristiana, 214s; dossologie<br />

del N.T. indirizzate al solo P. o<br />

al P. per mezzo di Cristo, 218s; il P.<br />

nelle anafore e nel canone romano,<br />

224-29; nei sacramenti, 229-36; nel ciclo<br />

Settuagesima-Pentecoste, 237ss;<br />

perché non c'è una festa del P., 239;<br />

il P. nell'epistola agli Ebrei, 250 n. 12<br />

PADRI DELLA CHIESA: teologia e <strong>liturgia</strong><br />

nei p., 556-90; letteratura patristica<br />

principale d'interesse <strong>teologico</strong>-liturgico,<br />

556-62; principali opere patristiche<br />

dove viene fatto un uso polemico<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 561s; diverse tendenze<br />

nella letteratura <strong>teologico</strong>-liturgica<br />

dei p., 573; punto di vista<br />

anzitutto <strong>teologico</strong> irenico dei p. per<br />

la <strong>liturgia</strong>, 562ss; incentramento <strong>della</strong><br />

teologia e <strong>della</strong> predicazione dei<br />

p. sul concetto di Storia Sacra, 811-<br />

19; i p. supposero troppo facilmente<br />

l'apostolicità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 479 n. 4,


528; modo realistico dei p. nel concepire<br />

i concetti d'immagine, simbolo,<br />

figura ecc., 51ss; l'opinione privata<br />

dei p. non basta per determinare l'esistenza<br />

ed il significato dei segni<br />

liturgici, 59s, 449s; p. e sacerdozio<br />

universale dei fedeli, 154; p. e modo<br />

di concepire la Trinità, 199s, 206-9;<br />

come i p. intesero i rapporti tra <strong>liturgia</strong><br />

celeste e <strong>liturgia</strong> terrestre,<br />

255ss; le opinioni dei p. sulla lotta<br />

contro Satana, 366-71; fondamenti biblici<br />

ed influssi ellenistici del tipologismo<br />

e dell'allegorismo biblico e<br />

liturgico presso i p., 429 n. 2, 430 n.<br />

3, 438, 564-77; esempio dei p. nel modo<br />

di studiare i Salmi, 459; teologia<br />

patristica nella teologia positivo-scolastica,<br />

530; i p. come auctoritates<br />

nel metodo scolastico, 548ss; « ritorno<br />

ai p. », e significato per l'età moderna,<br />

817<br />

PAGANESIMO: e dominio di Satana secondo<br />

il N.T., 349; e secondo la tradizione<br />

posteriore, 367s<br />

PAIS e PUER: appellativo biblico liturgico<br />

di Gesù Cristo, 213s, 220<br />

PALME: Domenica delle p. e lotta contro<br />

Satana, 417s<br />

PANÉGYRIS: e unica <strong>liturgia</strong> di lode cosmica<br />

ed eterna di Cristo, angeli e<br />

santi nella Gerusalemme celeste,<br />

251ss, 323, 329, 334. Vedi: Gerusalemme<br />

celeste<br />

Panem coelestem accipiam : sua introduzione<br />

gallicana nella ' messa, 282<br />

n. 31<br />

Pange lingua gloriosi: inno, 418<br />

PANTEISMO: sua radicale opposizione<br />

alle grandi realtà cristiane, 320<br />

PAPA: Vedi: Romano Pontefice<br />

PARABOLE EVANGELICHE: del granello di<br />

senapa, 452; degli invitati al festino,<br />

315; degli invitati alle nozze, 358; del<br />

lievito, 452; del seminatore, 316, 358;<br />

<strong>della</strong> zizzania, 316, 452<br />

PARADISO: dei protoparenti: stato ideale<br />

dell'umanità in cui vigeva l'unità<br />

primordiale del cosmo, 313; ristabilimento<br />

dello stato paradisiaco per<br />

la redenzione, 314, 316; in specie attraverso<br />

il battesimo, 451; e i sacramenti,<br />

89-94; e i sacramentali, 97-102,<br />

308s, 319s; tipologia biblica del p., 451<br />

PAROLA: come segno liturgico, 60ss; p.,<br />

sacramenti e <strong>liturgia</strong>, 823-26; ministero<br />

<strong>della</strong> p., 825s; sua presenza sempre<br />

attuale, 806s; forza operante di<br />

Dio e di Cristo, 806s; si compie in<br />

essa il Mistero di Cristo, 807; sua celebrazione,<br />

473, 801; p. e sacramenti<br />

presso i protestanti, 805<br />

30-11 <strong>senso</strong> <strong>teologico</strong>...<br />

INDICE ANALITICO 905<br />

PARRESIA: e predicazione, 807<br />

PARROCCHIA: la vita liturgica <strong>della</strong> p.<br />

dovrebbe essere l'espressione generale<br />

più efficace del <strong>senso</strong> liturgico comunitario,<br />

281, 288; è la cellula comunitaria<br />

conservatrice e conquistatrice<br />

del popolo a Cristo, 759; p. centro<br />

<strong>della</strong> pastorale liturgica, 759, 791; nella<br />

p. quattro generi di operosità:<br />

predicazione, amministrazione dei sacramenti,<br />

opere parrocchiali, contatti<br />

individuali, 759; forze disgregatrici<br />

<strong>della</strong> p., 792; movimento liturgico e<br />

rivalorizzazione <strong>della</strong> p., 792<br />

PARTECIPAZIONE ATTIVA: comunitaria, popolare,<br />

parrocchiale, meta <strong>della</strong> pastorale<br />

liturgica, meta <strong>della</strong> riforma<br />

liturgica, 783-92; piena e consapevole,<br />

640; la <strong>liturgia</strong> vuole una p.a. di tutto<br />

il popolo, ma gerarchicamente differenziata<br />

e strutturata, 787s; efficacia<br />

psicologica <strong>della</strong> p.a. comunitaria,<br />

786; p.a. e messa in specie, 276-84,<br />

306s; e sacramenti, 284-87; stato di<br />

fatto odierno <strong>della</strong> p.a. del popolo<br />

alla <strong>liturgia</strong>, 792-96; p.a. e stato di<br />

fatto odierno non in tutto ideale <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>, 796ss; deve essere convergente<br />

nella diocesi e nella parrocchia,<br />

789ss; p.a. e mistica: p.a. e contemplazione<br />

mistica, 679, 690; e orazione<br />

ignita, 677; e orazione di quiete,<br />

686; e sospensione delle potenze,<br />

688<br />

PARUSIA: sua commemorazione profetica<br />

reale nella messa, 122, 168ss; suo<br />

significato di trionfo contro Satana,<br />

361ss. Vedi: Cristo, Gerusalemme celeste,<br />

Storia Sacra<br />

PASQUA: e fede dei cristiani, 490; e<br />

trionfo su Satana, 419; omelie sulla<br />

p. nel periodo patristico, 560s; lettere<br />

pasquali dei vescovi d'Alessandria,<br />

561; il mistero pasquale testificato<br />

dagli apostoli concretizza tutto il mistero<br />

<strong>della</strong> Storia Sacra, mistero di<br />

Cristo, mistero del suo sacerdozio,<br />

mistero <strong>della</strong> Chiesa e quindi mistero<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 246; celebrazione efficace<br />

del mistero pasquale, 263; storia<br />

<strong>della</strong> predica di p. rispetto al suo<br />

contenuto, 814 n. 29; p. giudaica, 443.<br />

Vedi: Cristo, Eucarestia, Kyrios, Liturgia,<br />

Resurrezione, Storia Sacra<br />

PASSIONE DI CRISTO: significata nella<br />

quadruplice dimensione dei segni liturgici,<br />

82-106; tempo di p. e lotta<br />

di Gesù contro Satana, 417ss; devozione<br />

alla p. e <strong>liturgia</strong> in S. Gertrude,<br />

715, 750s; devozione alla p. nell'attuale<br />

momento liturgico, 800 n. 4<br />

PASSIVITÀ: nell'esperienza mistica, 614s;


906 INDICI<br />

delle potenze superiori come esperienza<br />

mistica, 689<br />

PASTORALE: in genere, nozione, definizione,<br />

p. come arte, il popolo oggetto<br />

<strong>della</strong> p., 753-59; p. liturgica; indagine<br />

dell'aspetto pastorale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

10; i principi <strong>della</strong> p.l., 753-98; il fine<br />

<strong>della</strong> p.l., 783; la <strong>liturgia</strong> per sua natura<br />

è centro, meta e fonte <strong>della</strong> p.,<br />

759-70; la p.l. è fondata sul principio<br />

che il sacrificio <strong>della</strong> messa è il centro<br />

e il sole <strong>della</strong> vita soprannaturale<br />

<strong>della</strong> Chiesa, 179s; efficacia psicologica<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella p., 770; nella<br />

p. l'esperienza è sovrana, 755; nella<br />

p. la catechesi liturgica si fa comunicando<br />

nell'azione comunitaria,<br />

770s; ostacolo per la p. è la profonda<br />

dissociazione che regna oggi tra popopolo<br />

e <strong>liturgia</strong>, 794; la p. porta la<br />

<strong>liturgia</strong> al popolo, 798; ma implica<br />

un elevamento del popolo, 759; ed un<br />

elevamento alla <strong>liturgia</strong>, 796ss; nell'elevamento<br />

del popolo urgono quattro<br />

motivi, 797; la p. conduce il popolo<br />

a Cristo e Cristo al popolo, 754,<br />

756; ma la p. non può essere classista,<br />

758, essa comporta necessariamente<br />

dei sacrifici, 759; ma non si<br />

deve chiedere al popolo sacrifici non<br />

necessari, 759; la p. deve essere progressiva,<br />

795s; implica necessariamente<br />

una formazione specifica del clero,<br />

792ss; mezzi <strong>della</strong> p.l., 799ss; la<br />

p. missionaria, 757, 759, 771ss; p.l. ed<br />

insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 10-13; la<br />

p.l. nell'insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

606s<br />

Pater noster: Vedi: Orazione domenicale<br />

PATRIARCHI: nell'intercessione delle anafore,<br />

327; nella <strong>liturgia</strong> dei' malati,<br />

341<br />

PATTO: antico, figura del p. nuovo, 449;<br />

p. nuovo e messa, 167s; p. nuovo e<br />

aspetto morale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 167; p.<br />

del Sinai e il sangue dell'agnello, 92<br />

PAZIENZA: come precetto ed esortazione<br />

dell'A.T. vista nell'uso liturgico<br />

anzitutto nel <strong>senso</strong> dei contemporanei,<br />

434<br />

PECCATO: offesa non solo a Dio, ma anche<br />

alla Chiesa, 284; il p. rompe l'unità<br />

cosmica, 313s, 316; il p. originale<br />

provato dalla <strong>liturgia</strong> contro i pelagiani,<br />

518, 579<br />

PECCATORE: il p. pentito nei Salmi e<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 469s<br />

PEDAGOGIA: efficacia pedagogica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

308s, 485; necessità pedagogiche<br />

del catechismo e <strong>liturgia</strong>, 830-39<br />

PELAGIANESIMO : controversia pelagiana<br />

e <strong>liturgia</strong>, 380, 386, 482, 496, 518, 578s,<br />

714; p. ed esorcismi in genere, 379<br />

PENITENZA: quadruplice dimensione del<br />

segno del sacramento p., 93; nel sacramento<br />

<strong>della</strong> p. predomina l'aspetto<br />

santificazione sull'aspetto culto,<br />

136; p. come secondo battesimo, 136,<br />

396-99; la p. è ordinata all'eucarestia,<br />

178; <strong>senso</strong> cristologico-trinitario del<br />

sacramento <strong>della</strong> p., 234s; valore comunitario<br />

ed ecclesiale del rito sacramentale<br />

<strong>della</strong> p. nell'antichità fino<br />

ai sec. VI-VIII ed oggi, 284ss; p.<br />

e Spirito Santo, 37s; p. ed angeli,<br />

340s; p. e lotta contro Satana, 396-99;<br />

p. pubblica, 397, 558; p. pubblica e<br />

privata nei teologi positivo-scolastici,<br />

519 n. 21; riti <strong>della</strong> p. pubblica spiegati<br />

nei trattati liturgici patristici,<br />

558-62; spiegazione dell'aspetto liturgico<br />

<strong>della</strong> p. nel trattato <strong>teologico</strong><br />

<strong>della</strong> p. in S. Tommaso, 545. Vedi:<br />

Riconciliazione dei penitenti<br />

PENTECOSTE: la Chiesa è il mezzo che<br />

comunica lo Spirito dalla p. alla Parusia,<br />

30s; in questo tempo si realizza<br />

il mistero <strong>della</strong> Chiesa, 38; dalla<br />

p. alla Parusia si realizza la Storia<br />

Sacra Mistero di Cristo sotto il<br />

velo dei segni liturgici, 45, 166, 840s;<br />

in questo tempo, l'economia sacramentaria<br />

ha importanza fondamentale,<br />

61; dopo la p. Cristo comunica<br />

la vita divina agli uomini, e gli uomini<br />

rendono culto a Dio nella Chiesa,<br />

75; il sacrificio del Golgota tendeva<br />

alla missione dello Spirito nella<br />

Pentecoste, 122; dopo la p., la messa<br />

è il maggiore dei segni efficaci<br />

dell'incontro Dio e uomo, 167; ogni<br />

messa contiene la p. come anche tutti<br />

gli altri eventi <strong>della</strong> Storia Sacra,<br />

182; la p. è l'inizio <strong>della</strong> realizzazione<br />

<strong>della</strong> redenzione nei fedeli attraverso<br />

la Chiesa e la <strong>liturgia</strong>, 183; nell'ultima<br />

fase del ciclo liturgico che<br />

comprende la p., lo Spirito Santo<br />

ha un ruolo di evidenza, 238s; come<br />

data supplementare per l'iniziazione<br />

cristiana, 285; ciclo Settuagesima-P.<br />

e lotta contro Satana, 415; e profezie<br />

dell'A.T., 445; e passi storici del N.T.,<br />

453ss; periodo in cui non si genuflette,<br />

nella spiegazione dei Siri, 570;<br />

come punto di riferimento per maggiore<br />

ricollezione, 656; p. e contenuto<br />

<strong>della</strong> predicazione, 828<br />

PENTHOS : o compunzione, nella tradizione<br />

monastica antica, 622; l'azione<br />

liturgica e l'esercizio del p., 662<br />

Perceptio corporis tui: sua introduzio-


ne di origine gallicana nella messa,<br />

282 n. 31<br />

Per Christum Dominarti nostrum: suo<br />

significato, 215s<br />

Per coloro che rinunziano al secolo:<br />

orazione del Sacramentario gelasiano<br />

per la professione monastica e<br />

suo <strong>senso</strong> antidemoniaco, 410<br />

Per Dominum nostrum Jesum Christum<br />

Filium tuum : suo significato,<br />

216s<br />

PERFEZIONE CRISTIANA: concetto, 612-15;<br />

diverse scuole cattoliche del modo<br />

di insegnare e praticare la tendenza<br />

alla p.c, 615-24; p.c. e <strong>liturgia</strong>, 624-52;<br />

aspetto ascetico <strong>della</strong> tendenza verso<br />

la p.c, 644, 657; aspetto mistico <strong>della</strong><br />

tendenza verso la p.c, 644; fase<br />

purgativa nella tendenza alla p.c,<br />

613; e fase illuminativa, 613; e fase<br />

unitiva, 613; la p.c. dell'essere, 613,<br />

624; p.c dell'agire, 624<br />

PERSONA: i testi biblici nell'azione liturgica<br />

hanno riferimento alla situazione<br />

delle singole p. partecipanti, 453s;<br />

la <strong>liturgia</strong> può e deve essere personalizzata<br />

dal fedele, 650-54, 677s; la<br />

personalizzazione dalla <strong>liturgia</strong> si realizza<br />

in sommo grado nell'esperienza<br />

mistica nell'azione liturgica, 670-93,<br />

677; l'esempio di S. Gertrude, 752;<br />

esperienza personale, fede e <strong>liturgia</strong>,<br />

501-8<br />

PERSONE: come segni nella <strong>liturgia</strong>, 72ss<br />

PHOTIZÓMENOI : categoria di catecumeni<br />

impegnati a ricevere il battesimo<br />

nella Pasqua successiva, 379 n. 42<br />

PIACERE ESTETICO: e <strong>liturgia</strong>, 65-70; 68-72.<br />

Vedi: Arte<br />

PIAGHE: di Cristo e culto di Cristo in<br />

S. Tommaso, 548 n. 35; devozione alle<br />

Cinque P. durante il M.E., 748;<br />

devozione alle p. di N.S. e <strong>liturgia</strong><br />

in S. Gertrude, 750s<br />

PIANO DI DIO : per la salvezza dell'uomo,<br />

318, 405, 428. Vedi: Storia Sacra<br />

PICCOLO UFFICIO: <strong>della</strong> Madonna nel M.<br />

E., 747<br />

PIETRO: primato di P. e lotta contro<br />

Satana, 360s<br />

PITTURA: Vedi: Arte<br />

PLATONISMO: sua influenza sugli antichi<br />

per capire il valore simbolico delle<br />

cose sensibili, 54s; come concezione<br />

di vita che disprezza il corpo fisico,<br />

è vivamente respinto dalla Chiesa,<br />

299; p. ed evoluzione semantica <strong>della</strong><br />

parola mysterion, 566s<br />

PNEUMATiKAf THYSIAI •: sacrifici spirituali,<br />

o nello Spirito, 157<br />

PNEUMATIKÓS : suo reale significato, 157<br />

POLITEISMO: sua viva opposizione a<br />

INDICE ANALITICO 907<br />

comprendere le grandi realtà <strong>della</strong><br />

dottrina e <strong>della</strong> vita cristiana, 320<br />

POLEMICA: nella Rivelazione e nella predicazione,<br />

810s; p. dottrinale e <strong>liturgia</strong>,<br />

482s; uso polemico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

presso i Padri, 577-85; principali opere<br />

patristiche dove viene fatto uso<br />

polemico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 561s<br />

POMPA DIABOLI: 368, 388<br />

POPOLO: come oggetto <strong>della</strong> pastorale,<br />

756-59; la partecipazione attiva e comunitaria<br />

del p. è meta <strong>della</strong> pastorale<br />

liturgica, 783-92; stato reale del<br />

p. di oggi rispetto alla <strong>liturgia</strong>, 794s;<br />

meta <strong>della</strong> pastorale liturgica è portare<br />

il p. a Cristo e Cristo al p. nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 796ss<br />

POPOLO DI DIO: elezione e formazione<br />

del p.d.Dio nei Salmi e nella <strong>liturgia</strong>,<br />

464s; p.d.Dio e Chiesa, 464s; p.d.<br />

Dio nell'epistola agli Ebrei, 251s; Dio<br />

nei suoi interventi nel mondo intende<br />

formarsi un p.: di qui la legge<br />

<strong>della</strong> salvezza in comunità, 269-74;<br />

terminologia del p.d.Dio, ripresa anche<br />

dal Conc. Vaticano II : populus<br />

Dei, 72; Ecclesia tua, familia tua,<br />

plebs Dei, populus tuus, 287; p. regale<br />

e sacerdotale, 334; nemici del<br />

p.d.Dio, 469. Vedi: Chiesa, Cristo,<br />

Israele, Pastorale<br />

POSITIVO-SCOLASTICA, teologia : teologia<br />

p.-s. e <strong>liturgia</strong>, 513-37; origine di questo<br />

tipo di teologia, 513-16; <strong>liturgia</strong><br />

e teologia nei teologi p.-s., 516-24; assimilazione<br />

insufficiente del materiale<br />

liturgico presso i p.-s., 530<br />

POSSESSIONI DIABOLICHE: nel N.T., 346s,<br />

349s; che cosa si deve pensarne, 371-<br />

77. Vedi: Demoni, Esorcismi, Satana,<br />

POSTCOMMUNIO : quadruplice dimensione<br />

dei segni liturgici nelle p., 170s<br />

POST MYSTERIUM: <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> mozarabica,<br />

228<br />

POST PRIDIE: <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> mozarabica,<br />

228, 395<br />

POST SECRETA: <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> mozarabica,<br />

228<br />

POTENZA DI DIO: come la <strong>liturgia</strong> intende<br />

i testi dell'A. T. che parlano <strong>della</strong><br />

p.d.D 437-40<br />

POTESTAS: ed imperium ricevuti dall'esorcista<br />

per cacciare i demoni, 403<br />

POVERI DI JAHWÈH: nei Salmi e nella <strong>liturgia</strong>,<br />

e loro significato, 470s<br />

POVERTÀ: in S. Francesco d'Assisi e suo<br />

significato per la vita spirituale, 622<br />

Praeclare custos virginum, 422<br />

PREDICAZIONE: nozione, 803s; ha la garanzia<br />

dell'infallibile assistenza divina,<br />

807; come spiegazione <strong>della</strong> Bibbia,<br />

è di istituzione divina, 807; è


908 INDICI<br />

l'annuncio <strong>della</strong> Parola di Dio, 811;<br />

suo oggetto è la Storia Sacra Mistero<br />

di Cristo, 809ss, 809-23; si struttura<br />

come il messaggio di Dio, 808;<br />

ma è annuncio di avvenimenti storici,<br />

808; suo centro è il mistero pasquale,<br />

812; ha il carattere di annuncio<br />

profetico, 808s; p. cherigmatica,<br />

811; p. e kerygma nel N. T. e nella<br />

tradizione, 811,19; la p. ha carattere di<br />

mistero, 807ss; sta tra i sacramenti ed<br />

i sacramentali, 804, 807; la p. come sacramentum,<br />

806; si iscrive sempre nella<br />

linea sacramentale, 806; la p. come<br />

mysterium, 804-8; ha la natura di una<br />

azione sacrale, 807s; unità con la <strong>liturgia</strong>,<br />

802, 823-26; ha identità di contenuto<br />

con Bibbia e <strong>liturgia</strong>, 802-827ss; sta<br />

in unione immediata tra proclamazione<br />

<strong>della</strong> Parola e sacrificio, 826s; sua<br />

somma attuazione è l'omelia, 826;<br />

predicazione e virtù morali, 806; e<br />

pentimento, 806; e fede, speranza e<br />

carità, 806; storia <strong>della</strong> p. rispetto<br />

al suo contenuto, 814 n. 29; oggetto<br />

principale <strong>della</strong> p. secondo S. Agostino<br />

è la Storia Sacra, 814-19; p.<br />

esplicativa delle feste nel periodo patristico,<br />

560s; la p. fino al sec. XII-<br />

XIII fu incentrata sul concetto di<br />

Storia Sacra, 814-19; il rinnovamento<br />

<strong>della</strong> p. sarà per incentramento sulla<br />

Storia Sacra, 819-23; critiche che<br />

si muovono oggi alla p., 819-23; in<br />

particolare, che è troppo moralistica,<br />

820; odierni desiderata sulla p., 819ss;<br />

che sia concreta, 820ss, 828; abbia visuale<br />

sintetico-unitaria <strong>della</strong> Rivelazione,<br />

822; sia liturgica, biblica, teologale,<br />

cristocentrica, 828; letteratura<br />

per una predicazione liturgica,<br />

829 n. 51; preparazione del predicatore<br />

e vita liturgica, 829; p. e catechesi:<br />

unità di Bibbia, insegnamento<br />

del magistero, <strong>liturgia</strong>, tradizione,<br />

teologia, p. ordinaria ai fedeli, catechesi<br />

ai catecumeni, 817; p. e catechismo,<br />

830; la p. deve essere distinta<br />

dall'insegnamento, 808; rinnovamento<br />

<strong>della</strong> p. in <strong>senso</strong> liturgico<br />

presso i protestanti, 823<br />

PREFAZI: teologia dei p. nel Sacramentario<br />

Leoniano, Gelasiano e Gregoriano,<br />

e oggi, 176s; p. dell'Ascensione,<br />

176; p. consacratori, 483; p. <strong>della</strong> Croce,<br />

176, 418; p. dell'Epifania, 176; p.<br />

dei martiri, 419; p. di Natale, 176; p.<br />

di Pasqua, 176; p. <strong>della</strong> Pentecoste,<br />

176; p. <strong>della</strong> riconciliazione del penitente,<br />

398<br />

PREGHIERA: la quadruplice dimensione<br />

del segno <strong>della</strong> p. liturgica, 36s, 97;<br />

p. <strong>della</strong> Chiesa attuata nei sacramentali,<br />

lOOs, 123, 659; dignità superiore<br />

alla p. solo privata, 130-34, 637-41; Vedi:<br />

Òpus operantis Ecclesiae; dottrina<br />

di tale maggiore dignità, 638s; suo<br />

carattere dogmatico sebbene non scolastico,<br />

307s; p. del Corpo mistico<br />

di Cristo, Capo e membri, lOls, 216;<br />

Cristo attore principale <strong>della</strong> p. liturgica,<br />

258s; lo scopo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

come culto è di far pregare i fedeli,<br />

non di istruirli direttamente, 481ss,<br />

494s; carattere comunitario ed ecclesiale<br />

<strong>della</strong> p. liturgica, 287; tensione<br />

tra natura comunitaria <strong>della</strong> p. liturgica<br />

e la sua necessaria interiorizzazione<br />

e personalizzazione, 288s,<br />

306s, 653s; p. e sacerdozio universale<br />

dei fedeli, 154s; p. extraliturgica e<br />

spiritualità liturgica, 632ss; p. liturgiche<br />

indirizzate direttamente alla<br />

Trinità, 211: p. e Spirito Santo, 213<br />

n. 20; personalizzazione <strong>della</strong> p. liturgica:<br />

Vedi: Persona; come la <strong>liturgia</strong><br />

comprende il precetto <strong>della</strong> p.<br />

contenuto nei testi dell'A. T., 441ss;<br />

p. e quaresima, 415ss; p. come mezzo<br />

per la tendenza alla perfezione,<br />

617; p. mentale e <strong>liturgia</strong>, 483ss; p.<br />

vocale e vita mistica: questione,<br />

671-74; secondo la testimonianza di<br />

Cassiano, 674-79; secondo la testimonianza<br />

<strong>della</strong> ven. Maria dell'Incarnazione,<br />

679-85; secondo un'inchiesta del<br />

p. Poulain, 687; p. extraliturgica e<br />

spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in S. Gertrude,<br />

742-52; p. e <strong>liturgia</strong> in S. Tommaso,<br />

546; preghiera di semplice sguardo,<br />

649; p. di lode: Vedi: Lode; schemi<br />

giudaici di p. eucaristiche, 213. Vedi:<br />

Contemplazione, Devozioni, Lode, Mistica,<br />

Orazione<br />

PRESENZA: p. nella <strong>liturgia</strong> delle cose<br />

significate dal segno liturgico secondo<br />

le quattro dimensioni del suo significato,<br />

113-22; p. di Cristo nella <strong>liturgia</strong>,<br />

261ss; p. di Dio nel suo popolo,<br />

466; come la <strong>liturgia</strong> comprende<br />

i testi dell'A. T. che parlano <strong>della</strong><br />

p. di Dio nel suo popolo, 438ss; tipologia<br />

<strong>della</strong> p. di Dio nel Tempio<br />

di Gerusalemme in Cristo, nella Chiesa<br />

dei tempi cristiani, nelle singole<br />

anime, nella Gerusalemme celeste,<br />

465s; grazia <strong>della</strong> p. di Cristo in<br />

S. Gertrude, 739; p. reale, 529, 532,<br />

577, 619s<br />

PRESENTAZIONE: di Maria al Tempio, e<br />

in che <strong>senso</strong> tale festa implica qualcosa<br />

come di fede, 491, 495; p. di<br />

Gesù al Tempio e precetti liturgici<br />

dell'A. T., 443


PRESEPIO: devozione al p. nella pietà<br />

del M. E., 748<br />

PRETERNATURALI, doni: debbono essere<br />

tenuti presenti per capire la vera situazione<br />

dell'uomo dopo il peccato<br />

d'Adamo, 376<br />

PRIMATO: di Pietro e lotta contro Satana,<br />

360; lo sviluppo dogmatico <strong>della</strong><br />

dottrina del p. del Papa fa comprendere<br />

meglio le parole « Tu sei Pietro<br />

», 452; p. del Papa e controversia<br />

foziana, 580 n. 51; vigeva a Roma nei<br />

sec. V-VI la persuasione del p. <strong>della</strong><br />

Chiesa di Roma, come si può desumere<br />

dal Sacramentario leoniano, 529<br />

PROFESSIONE DELLA FEDE : battesimale, Vedi:<br />

Simbolo <strong>della</strong> fede<br />

PROFESSIONE MONASTICA: come secondo<br />

battesimo, 410; p.m. e lotta contro<br />

Satana, 410s; p.m, ed eucaristia, 181<br />

PROFETISMO: e predicazione, 808<br />

PROFEZIE: come la <strong>liturgia</strong> comprende<br />

le p. proprie dell'A. T., 434ss, 443-46<br />

Proficiscere anima Christiana: suo <strong>senso</strong><br />

cristologico-trinitario, 236; e il<br />

posto degli angeli nella <strong>liturgia</strong> dei<br />

malati, 341.<br />

PROSAGO: accedere, e Prosagoge, accesso,<br />

e loro significato religioso cultuale<br />

nel N.T., 154<br />

PROSÉRCHOMAI : avvicinarsi, e suo significato<br />

religioso cultuale nel N. T., 154<br />

PROSPHORAN EPITELEÌN : « compiere l'offerta<br />

», terminologia <strong>della</strong> messa nella<br />

tradizione, 306<br />

PROTESTANTESIMO: misconosce il vero valore<br />

del segno sensibile nella religione<br />

cristiana, e conseguenze in tutto<br />

il suo atteggiamento religioso secondo<br />

R. Will, 77ss; <strong>senso</strong> comunitario p.<br />

e <strong>senso</strong> comunitario cattolico, 266-69;<br />

tradizione antica contraria alla mentalità<br />

p. livellatrice dei poteri nell'azione<br />

liturgica, 279ss; e contraria<br />

alla sua asserzione dell'autosufficienza<br />

essenziale dell'individuo di fronte<br />

agli altri individui nei suoi rapporti<br />

con Dio, 280; il p. si stacca fondamentalmente<br />

dal cattolicesimo per<br />

un misconoscimento <strong>della</strong> legge dell'incarnazione,<br />

295ss; ogni p. logico<br />

con se stesso è profondamente antiliturgico,<br />

296s; psicologismo p. nel<br />

modo di concepire il culto, 266s; la<br />

riscoperta <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel p. è un<br />

riavvicinamento alla legge dell'incarnazione<br />

e quindi al cattolicesimo, 296;<br />

polemica anti-p. come esagerata<br />

preoccupazione <strong>della</strong> teologia positivo-scolastica,<br />

520, 522, 523s, 530-35; p.<br />

recente ed ansia di ritrovare più<br />

INDICE ANALITICO 909<br />

stretta unità tra predicazione e <strong>liturgia</strong>,<br />

823; valore del movimento liturgico<br />

nei rapporti tra p. e cattolici,<br />

776-80; odierna rinascita liturgica nel<br />

p., 777s; la <strong>liturgia</strong> nelle controversie<br />

anti-p., 478, 516-21; p. e teologia<br />

cattolica nel sec. XVI, 513-16<br />

PROVVIDENZA: come la <strong>liturgia</strong> comprende<br />

i testi <strong>della</strong> Bibbia che parlano<br />

<strong>della</strong> p. di Dio, 462ss<br />

PSICOLOGIA: la <strong>liturgia</strong> strutturata in regime<br />

di segni sensibili per rispondenza<br />

alla p. umana, 76ss; attualizzazione<br />

armonica delle facoltà p. nella <strong>liturgia</strong>,<br />

305-12; nella <strong>liturgia</strong> non predomina<br />

lo stile didattico per la legge<br />

di p. religiosa <strong>della</strong> preparazione<br />

immediata alla preghiera, 483ss; la<br />

plasmazione di una p. religiosa comunitaria<br />

indispensabile per comprendere<br />

e vivere la <strong>liturgia</strong>, 275s,<br />

627s; lo stile <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> è parco<br />

nel condurre all'introspezione religiosa,<br />

629; equilibrio proprio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

nel mettere in moto le facoltà<br />

p.: intelligenza, volontà, affetto,<br />

307ss, 630; efficacia p. <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

come azione comunitaria, 785ss; p. e<br />

sintonia interiore ed esteriore nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 301-4; p. delle masse e' <strong>liturgia</strong>,<br />

785ss; p. e pastorale liturgica,<br />

670, 795s, 797s; p. infantile, catechismo<br />

e <strong>liturgia</strong>, 830s<br />

PSICOLOGISMO: impotenza <strong>della</strong> semplice<br />

p. religiosa a raggiungere, la profondità<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 152 n. 39; nella<br />

<strong>liturgia</strong> non si tratta tanto di ascoltare<br />

le proprie reazioni p. dinanzi a<br />

Dio, quanto di andare a Dio, 112,<br />

307s; l'odierno p. ha affievolito il <strong>senso</strong><br />

vivo <strong>della</strong> lotta contro Satana,<br />

347, 365; p. protestante nel modo di<br />

concepire il culto, 266s<br />

PUER: appellativo di Gesù Cristo nelle<br />

liturgie, 213: Vedi: Pais<br />

PURGATORIO: la realtà del p. implicata<br />

nella prassi liturgica antica, 325s; anime<br />

del p. e anafora di S. Basilio,<br />

175s; difesa del dogma del p. contro<br />

i protestanti dalla <strong>liturgia</strong>, 518; comunione<br />

con le anime del p., 323<br />

Q«HAL JAHWÈH : Ekklesia toù Theoù, Ecclesia<br />

Dei, il Popolo sacro di Dio nell'A.-T.,<br />

73, 271, 323<br />

Quam oblationem: suo significato <strong>teologico</strong>,<br />

228<br />

QUARESIMA: e lotta contro Satana,<br />

415ss; periodo dei grandi annui spirituali<br />

esercizi <strong>della</strong> Chiesa, 415, 656;


910 INDICI<br />

q. e spiritualità liturgica, 667s; q. e<br />

mortificazione del corpo, 303<br />

QUATRIVIUM: nel M.E. era posto insieme<br />

al Triviutn a servizio <strong>della</strong> predicazione,<br />

560<br />

QUATTRO TEMPORA: 654, 668<br />

QUESTIONE BIBLICA: odierna q.b. e la q.<br />

liturgica, 510s<br />

Quicumque: 232<br />

Quid retribuam Domino : apologia <strong>della</strong><br />

messa di introduzione gallicana, 282<br />

n. 31<br />

QUIETE: nell'esperienza mistica: grazia<br />

mistica di q., 687; q. di giubilo, 687;<br />

q. pregante, 687<br />

QUIETISMO: pericolo di q. nella <strong>liturgia</strong>?,<br />

112<br />

Qui vivis et regnasi suo significato, cristologico-trinitario<br />

218<br />

Quod ore sumpsimus: come apologia<br />

viene introdotta nella messa per influsso<br />

gallicano, 282 n. 31<br />

RACCOGLIMENTO: dei sensi nell'azione liturgica,<br />

649<br />

RAZIONALISMO: e sua totale incomprensione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 525, 527, 532, 536;<br />

r. liberale, 531<br />

RE: come capo" del Popolo di Dio nel<br />

Salmi e nella <strong>liturgia</strong>, 465<br />

REALISMO: e <strong>liturgia</strong>, 113<br />

REDDITIO SYMBÓLI : nei riti sui competentes<br />

nel suo <strong>senso</strong> antidemoniaco, 383,<br />

387; nella letteratura dei Padri d'interesse<br />

<strong>teologico</strong> liturgico, 557<br />

REDDITIO ORATIONIS: nei riti sui competentes<br />

e suo <strong>senso</strong> antidemoniaco,<br />

383<br />

REDENZIONE: come oggetto del ciclo liturgico<br />

Settuagesima-Pentecoste, 102s<br />

REDITUS AD DEUM: il ritorno a Dio nel<br />

movimento cristologico-trinitario, 203,<br />

209, 232. Vedi: Exitus a Deo, Movimento<br />

cristologico-trinitario<br />

REGALE SACERDOTIUM : detto del Popolo<br />

di Dio, 785. Vedi: Chiesa, Ekklesia,<br />

Popolo di Dio<br />

REGNO DI DIO: nell'A. T., 269s; r. messianico,<br />

271<br />

REGNO DI SATANA: Vedi: Satana<br />

REGOLA DI FEDE: nell'antichità, 229s. Vedi:<br />

Simbolo <strong>della</strong> fede<br />

RELIGARE: suo significato incerto nella<br />

questione teorica <strong>della</strong> religione, 96<br />

RELIGIO: suo significato, 96<br />

<strong>RELIGIONE</strong>: la virtù di r. significata in<br />

ogni segno liturgico, 83, 86; concetto<br />

<strong>della</strong> virtù di r., 138-42; suo <strong>senso</strong> generale<br />

nella vita cristiana, 138s; suoi<br />

rapporti con le virtù morali, 140s; e<br />

con le virtù teologali, 140s, 48ls; la<br />

virtù di r. come quadro generale dell'esercizio<br />

delle virtù teologali nella<br />

azione liturgica, 657-62, 764s; teologia<br />

difficoltà dello storicismo positivista,<br />

<strong>della</strong> virtù di r. in S. Tommaso, 539;<br />

trattato <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> virtù di r. e<br />

<strong>liturgia</strong> in S. Tommaso, 546s<br />

RELIGIONI NATURALI: hanno a loro modo<br />

dei riti sacramenta, 76<br />

RELIQUIE: culto delle r. e <strong>liturgia</strong>, 489;<br />

venerazione di r. non autentiche, 496;<br />

la <strong>liturgia</strong> nella controversia contro<br />

Vigilanzio sul culto delle reliquie, 578;<br />

culto delle r. recondo S. Tommaso,<br />

548 n. 35; deposizione delle r. nella<br />

consacrazione dell'altare dopo l'esorcismo<br />

antidemoniaco, 408<br />

RES: dei sacramenti secondo S. Agostino,<br />

44<br />

RESTO D'ISRAELE: e la legge <strong>della</strong> salvezza<br />

in comunità, 272<br />

RESURREZIONE: come fase dell'intervento<br />

straordinario di Dio nel mondo, 21;<br />

dopo la R., la comunicazione <strong>della</strong><br />

vita divina all'uomo raggiunge il massimo,<br />

29; partecipata nel battesimo<br />

dal segno-parola, 60s; la R. in essenziale<br />

connessione con l'eucaristia,<br />

92; la r. dei corpi segnerà la massima<br />

santificazione dei medesimi, 99;<br />

dopo la r. dei corpi le creature infraumane<br />

saranno di nuovo a totale<br />

servizio <strong>della</strong> vita divina nel mondo,<br />

100; la R. oggetto di considerazione<br />

nel ciclo Settuagesima-Pentecoste in<br />

quanto vi predomina il tema <strong>della</strong><br />

redenzione, 102s, 183, 237ss, 415, 417;<br />

R. nella <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> messa al Sabato<br />

santo, 105; la R. di Cristo causa<br />

efficiente ed esemplare <strong>della</strong> nostra<br />

r. secondo S. Tommaso, 119 n. 16;<br />

la R. in sé non è stata un atto meritorio,<br />

121; la R. mai separata dall'attuazione<br />

presenziale rimemorativa<br />

<strong>della</strong> Croce, 122; tutta la fase preparativa<br />

storica dell'A. T. tendeva al<br />

Mistero di Cristo e quindi alla R.,<br />

168; la R. nell'anafora greca di S. Basilio,<br />

174s; la R. nell'anafora di S.<br />

Ippolito di Roma, 224 e nel canone<br />

romano, 177, 227, 335; la r. dei corpi<br />

nel cap. 6 <strong>della</strong> 1 Cor, 206; la r. dei<br />

corpi nella visuale di S. Policarpo,<br />

207; l'eucarestia compie l'anàmnesis<br />

<strong>della</strong> morte e R. di Cristo, 226, 264;<br />

la R. <strong>della</strong> carne considerata in essenziale<br />

connessione con lo Spirito<br />

Santo, 231; la r. come compimento<br />

dell'exitus a Deo e del reditus ad<br />

Deum, 232; la R. come termine nella<br />

considerazione di Gesù Cristo da par-


te del cristiano, 243; dopo il sec. XI<br />

si tende a portare al centro <strong>della</strong><br />

considerazione di Gesù l'uomo storico<br />

244s; difficoltà dell'odierno naturalismo<br />

di fronte alla R., 247; stessa<br />

difficoltà dello storicismo positivista,<br />

248; in ogni sacramento e sacramentale<br />

è vissuto il Mistero pasquale<br />

<strong>della</strong> passione, morte e R. di Cristo,<br />

263; con la R., l'incarnazione raggiunge<br />

tutti i suoi effetti, 292; la r.<br />

dei corpi e il dogma dell'unità sostanziale<br />

tra anima e corpo nell'uomo,<br />

299; la mortificazione del corpo<br />

è solo in vista <strong>della</strong> r., 300; la <strong>liturgia</strong><br />

nel contemplare la Storia Sacra<br />

ha come sfondo la r. finale, 303; nella<br />

visuale paolina la r. ristabilirà<br />

l'unità primitiva del cosmo, 316; la<br />

r. nell'Apocalisse, 317; la somma eucarestia<br />

<strong>della</strong> Chiesa a Dio sulla terra<br />

comprende sempre il ringraziamento<br />

<strong>della</strong> R., 329; la R. come trionfo<br />

su Satana nel N.T., 353; la R.<br />

come trionfo su Satana nell'Apocalisse,<br />

363; <strong>senso</strong> antidemoniaco del<br />

battesimo in quanto riproduce la<br />

morte e R. di Cristo, 369; la R. come<br />

trionfo su Satana nelle liturgie, 419;<br />

luce che la R. porta alle profezie del<br />

Salmo 21 e del Servo di Jahwèh<br />

lette nella <strong>liturgia</strong>, 445; ed alla profezia<br />

di Gioele sul dono dello Spirito<br />

Santo, 446; tipologia <strong>della</strong> R. e Giona<br />

nel ventre <strong>della</strong> balena, 449; i passi<br />

del N. T. sulla R. hanno effettivo<br />

contatto con la situazione personale<br />

esistenziale del singolo fedele, 453; la<br />

R. implica la fede a titolo diverso di<br />

altre feste liturgiche, 490; la R. nella<br />

considerazione teologica ma non direttamente<br />

liturgica di S. Tommaso,<br />

548 n. 35; dopo Giustino, la R. in<br />

quanto evento <strong>della</strong> Storia Sacra è<br />

un mysterion, 566; la R. nella letteratura<br />

patristica d'interesse <strong>teologico</strong>-liturgico,<br />

578; R. come punto di<br />

partenza per la meditazione nella <strong>liturgia</strong>,<br />

650; la r. dei corpi è oggetto<br />

di fede e di speranza per il fedele,<br />

661; la <strong>liturgia</strong> presenta il Mistero<br />

totale di Cristo e quindi la R. dell'umanità<br />

di Cristo, ormai gloriosa,<br />

747; ma nel M. E. la considerazione<br />

viene portata alla vita storica di Cristo<br />

prima <strong>della</strong> sua R., 748; la R. nell'annuncio<br />

del messaggio divino era<br />

considerata il perno, 811 n. 18; la R.<br />

come tema centrale <strong>della</strong> narratio<br />

nella predicazione di S. Agostino,<br />

815; dalla rivelazione a lui predicata,<br />

il fedele sa che per andare a Dio<br />

INDICE ANALITICO 911<br />

deve unirsi a Cristo nella sua morte<br />

e R., 824<br />

RETORICA: e <strong>liturgia</strong>, 483; r, e predicazione,<br />

803s<br />

RETRIBUZIONE: immediata o dilata, e<br />

questione teologica, 492<br />

RICONCILIAZIONE: dei penitenti in connessione<br />

con la messa del giovedì<br />

santo, 180; e quaresima come speciale<br />

lotta contro Satana, 415. Vedi: Penitenza<br />

RIFORME: liturgiche: come si pone la<br />

questione delle r.l., 798; successi recenti,<br />

valore e significato delle r.l.,<br />

lOs; r.l. di Pio V, 283<br />

RINUNZIA A SATANA: nei riti battesimali,<br />

379, 388s<br />

RITI COMUNISTI: e ammonimenti che<br />

ne vengono per la pastorale, 80<br />

RITIRI SPIRITUALI: e <strong>liturgia</strong>, 633<br />

RITO: nozione in genere, 74; tutti i riti<br />

cultuali compresi nel concetto di mysterion<br />

da Origene e dai Padri in genere<br />

a partire dal soc. IV-V, 569ss<br />

RITUALE ROMANO: e santificazione di tutte<br />

le attività umane oneste, 308s; r.<br />

e meditazione liturgica, 655<br />

RITUALI ARCAICI: d'Alessandria, Antiochia,<br />

Gerusalemme, Roma, 528<br />

RIVELAZIONE: come Storia Sacra sempre<br />

in atto degli interventi di Dio<br />

nel mondo, 18; r. come Storia Sacra<br />

e <strong>liturgia</strong>, 17-32. Vedi: Storia<br />

Sacra<br />

RIVELAZIONI PRIVATE: e <strong>liturgia</strong>, 495<br />

ROMANO PONTEFICE: e criterio prossimo<br />

<strong>della</strong> fede, 488; il nuovo comune dei<br />

r.p., 492; l'esplicitazione del dogma<br />

dell'infallibilità pontificia fa capire<br />

più profondamente il testo « Tu sei<br />

Pietro », 452; r.p. e infallibilità nel<br />

sacramentario leoniano e in altri documenti<br />

dei sec. V-VI, 529; primato<br />

del r.p. studiato nella <strong>liturgia</strong> da<br />

F. A. Zaccaria, 518<br />

ROSARIO: finora non fa parte <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

125<br />

RUBRICHE: Vedi: Diritto liturgico<br />

SACERDOTALE ROMÀNUM : antenato del Rituale<br />

odierno, 421<br />

SACERDOTI: consacrazione dei s. e <strong>senso</strong><br />

cristologico-trinitario, 235; consacrazione<br />

dei S. nell'A.T. secondo S. Tommaso,<br />

548<br />

SACERDOZIO: concetto in genere, 156s;<br />

s. dell'A. T. e s. cristiano, 156s, 160s;<br />

analogia del concetto, 164s; concetto<br />

protestante e concetto cattolico del<br />

s., 267s; s. di Cristo in se stesso, 159s;


912<br />

l'intero sistema di santificazione e di<br />

culto <strong>della</strong> Chiesa incentrato nel s.<br />

e nel culto di Cristo come una sua<br />

partecipazione, 37, 152; il carattere sacramentale<br />

come partecipazione al s.<br />

di Cristo, 149-53; l'ordine come una<br />

partecipazione sui generis al s. di<br />

Cristo, 94; la <strong>liturgia</strong> come esercizio<br />

e continua epifania sulla terra del s.<br />

di Cristo, 260-64, 34 n. 2; il s. di Cristo<br />

secondo l'epistola agli Ebrei,<br />

250ss; il s. di Cristo in S. Tommaso,<br />

548 n. 35; s. gerarchico: nozione, e<br />

differenza dal s. comune a tutti i<br />

fedeli, 160-63; senza s.g. non vi è Chiesa<br />

e non vi sono sacramenti, 268s;<br />

un aggregato d'individui da esso viene<br />

trasformato e costituito in Chiesa,<br />

268, 274ss; s. di tutti i fedeli nel<br />

quadro del s. cristiano, 152-63; s. di<br />

tutti i fedeli e messa, lólss, 167-70; s.<br />

di tutti i fedeli e s. gerarchico, 787s;<br />

s. dell'A.T. figura del s. di Cristo e<br />

del s. cristiano, 448<br />

SACRA: i s. nella teologia di S. Tommaso,<br />

547<br />

SACRAMENTALI: come segni sensibili <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> con quadruplice dimensione<br />

di significato 36s, lOls; nozione<br />

e divisione, 97-100; e natura, 98-s; efficacia<br />

dei s. ex opere operantis Ecclesiae,<br />

122s; mentre alcuni loro effetti<br />

sono ottenuti per un certo opus<br />

operatimi, 122s; i s. sono ordinati all'eucarestia,<br />

181s; <strong>senso</strong> cristologicotrinitario<br />

dei s., 236; i s. e la riconsacrazione<br />

<strong>della</strong> creatura infraumana<br />

al servizio <strong>della</strong> vita divina nel mondo,<br />

98ss, 308s, 319ss; i s. e l'opposizione<br />

al panteismo, al politeismo, alla<br />

magia, al naturalismo ed alla profanità,<br />

320; s. ed angeli, 343; s. e lotta<br />

contro Satana, 405s; i s. nei manuali<br />

di teologia positivo-scolastica del sec.<br />

XX, 523; e nella Summa th. di S. Tommaso,<br />

541 s<br />

SACRAMENTARIA: i trattati teologici sui<br />

sacramenti in genere ed in specie, e<br />

la <strong>liturgia</strong>, 601s<br />

SACRAMENTI: come segni sensibili dalla<br />

quadruplice dimensione di significato,<br />

36s, 89-94; materia, forma, ministro,<br />

soggetto dei s. e <strong>liturgia</strong> nella<br />

teologia positivo-scolastica, 519s, 523;<br />

prova storica del carattere sacramentale,<br />

532 n. 46; numero settenario dei<br />

s. e prova storica, 532, n. 46; numero<br />

settenario dei s. e <strong>liturgia</strong> secondo Perrone,<br />

522 n. 24; tutti i s. sono ordinati<br />

all'eucarestia, 177-80; per cui la <strong>liturgia</strong><br />

tende in quanto è possibile a celebrare<br />

gli altri s. in connessione immediata<br />

INDICI<br />

con l'eucarestia, 180s; frequenza dei<br />

s. come mezzo verso la perfezione cristiana,<br />

618; struttura cristologico-trinitaria<br />

dei s., 229-36; s. e riconsacrazione<br />

<strong>della</strong> creatura infraumana al<br />

servizio <strong>della</strong> vita divina nel mondo,<br />

317-21; i s. e la proclamazione <strong>della</strong><br />

Parola di Dio sono i due grandi mezzi<br />

<strong>della</strong> Chiesa per trasmettere la vita<br />

divina nel mondo, 824; il trattato<br />

dei s. in genere ed in specie e la<br />

<strong>liturgia</strong>, 599-602; trattato dei s. e <strong>liturgia</strong><br />

nei teologi positivo-scolastici<br />

del sec. XVIII, 519, 532; ed in Perrone,<br />

520s; tipologia dei s. in genere<br />

nella Summa th. di S. Tommaso,<br />

540ss; trattato dei s. in genere e <strong>liturgia</strong><br />

nella Summa th. di S. Tommaso,<br />

544ss; raffronto dei rapporti tra<br />

teologia e <strong>liturgia</strong> nella Summa th.<br />

di S. Tommaso e nella teologia odierna,<br />

546; doppio fine dei s., santificazione<br />

e culto, secondo S. Tommaso,<br />

541; caratteri sacramentali e cul^<br />

to nella teologia di S. Tommaso, 149,<br />

153, 541; ordinamento di tutti i s. all'eucarestia<br />

secondo lo Pseudo Dionigi<br />

e S. Tommaso, 177s, 541; i s.<br />

dell'A.T. (circoncisione, agnello pasquale,<br />

consacrazione dei sacerdoti)<br />

secondo S. Tommaso, 547s<br />

SACRAMENTUM: come segno, 36-39; presso<br />

i latini, 571s, 496s; nelle liturgie,<br />

572s; incarnazione e s. in Cristo, nella<br />

Chiesa, nella <strong>liturgia</strong>, 75s; s. e<br />

giuramento nel battesimo, 89s; incentramento<br />

delle spiegazioni liturgiche<br />

dei Padri nel concetto di mysterion,<br />

mysterium, sacramentum, 564-76; meriti<br />

<strong>della</strong> Scolastica, e specialmente<br />

di S. Tommaso, nell'elaborazione del<br />

concetto di s., 576; la predicazione<br />

come s., 804-8. Vedi: Mistero, Mysterion,<br />

Mysterium<br />

SACRIFICIO: come segno, 36; concetto in<br />

genere, }57s; come concetto analogo,<br />

164s; sommo atto <strong>della</strong> religione e<br />

del culto, 142, 158; s. e Spirito Santo,<br />

37s; s. d'Isacco e di Melchisedec figure<br />

del sacrificio eucaristico, 451; s.<br />

e virtù di religione secondo S. Tommaso,<br />

546s; s. dell'A. T. secondo S.<br />

Tommaso, 457s. Vedi: Messa<br />

SACRO CUORE: devozione al S. C, nozione,<br />

620; fino a qual punto la <strong>liturgia</strong><br />

richiede la fede alle rivelazioni<br />

del S. C. a S. Margherita Maria Alacoque,<br />

495; pratica del mese del S. C.<br />

e <strong>liturgia</strong>, 633; come la <strong>liturgia</strong> nella<br />

festa del S. C. interpreta i testi di<br />

Geremia sull'instaurazione del Nuovo<br />

ed eterno Patto, 446; S. C. e culto di


Cristo secondo S. Tommaso, 548 n.<br />

35; il S.C. in S. Gertrude e lo spirito<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 748ss<br />

SALE : il significato anche antidemoniaco<br />

<strong>della</strong> degustazione del s. nei riti battesimali,<br />

382; esorcismo del s., 407<br />

SALMI: e loro riferimento al Mistero<br />

di Cristo nella <strong>liturgia</strong>, 457-73; la considerazione<br />

dei s. dal punto di vista<br />

dei grandi temi teologici biblici <strong>della</strong><br />

Storia Sacra, 457-62; loro raggruppamento<br />

secondo questi temi, 458ss;<br />

considerazione filologica, critica e storica<br />

dei s., 458; il modo in cui i Padri<br />

li consideravano, 459; canto e recitazione<br />

dei s. ed esperienza mistica<br />

secondo Cassiano, 675s, 678s; e secondo<br />

la ven. Maria dell'Incarnazione,<br />

682-85; e secondo S. Teresa, 438, 686;<br />

secondo un'inchiesta del P. Poulain,<br />

687; s. e mistica in S. Gertrude, 732<br />

SALMICHE: orazioni, 654<br />

SALMODIA: Vedi: Salmi<br />

SANCTUS : dei Serafini in Isaia, 331s; <strong>della</strong><br />

messa ed unione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> celeste<br />

con quella terrestre, 226, 328,<br />

337s<br />

SANTI: oggetto del culto di dulia, 146;<br />

culto, venerazione ed intercessione<br />

dei s., 322, 326-29, 489; festa di tutti<br />

i s.: Vedi: Ognissanti; comunione coi<br />

s. del cielo e <strong>liturgia</strong>, 326-29; momento<br />

dei s. nelle anafore, 175ss, 326;<br />

sviluppo del loro culto, 326ss; e il<br />

culto dei s. mai esistiti?, 495; significato<br />

generale delle feste dei s., 184;<br />

s. e meditazione liturgica, 650; s. e<br />

forza" moralizzatrice <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

664; s. e vita liturgica in S. Gertrude,<br />

722; <strong>liturgia</strong> e difesa del loro culto<br />

contro i protestanti, 518, 522 n. 24;<br />

invocazione dei s. secondo S. Tommaso,<br />

548 n. 35<br />

SANTIFICAZIONE: in che <strong>senso</strong> si può<br />

parlare <strong>della</strong> s. delle persone, 98ss;<br />

s. e culto nella <strong>liturgia</strong>, 37s, 40, 135ss;<br />

s. e sacramentali, lOls<br />

SANTITÀ: <strong>della</strong> Chiesa e autorità <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> secondo S. Cipriano e S. Agostino,<br />

583; s. di Dio e catechismo<br />

secondo lo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 838<br />

SAPIENTIA: agostiniana 587; s. come<br />

ideale <strong>della</strong> teologia dei Padri: Vedi:<br />

Gnosi<br />

SAPIENZA: come la <strong>liturgia</strong> comprende i<br />

testi dell'A. T. che parlano <strong>della</strong> s. di<br />

Dio, 438s<br />

SATANA: suo influsso sulla creatura inferiore<br />

dopo il peccato, 319; esorcismi<br />

per impedire questo influsso,<br />

319s; la lotta contro S. nel N.T., 348;<br />

e nella tradizione posteriore, 366-71;<br />

INDICE ANALITICO 913<br />

cos'è di fede su questo punto, 371-77;<br />

la <strong>liturgia</strong> dell'iniziazione cristiana come<br />

lotta contro S., 377-95; la lotta contro<br />

S. nei principali sacramentali non<br />

connessi direttamente coi riti dei sette<br />

sacramenti, 405-13; la lotta contro<br />

S. nel temporale e nel santorale,<br />

413-23; cacciata di S. e Regno di Dio,<br />

351-54, 354; lotta contro S. nell'Apocalisse,<br />

361ss; lotta contro S. e giudizio<br />

particolare secondo Origene, 370; lotta<br />

contro S. in genere secondo la<br />

fede, 347s; è una verità di cui oggi<br />

si è perduto il <strong>senso</strong> vivo, 346; le<br />

possessioni, 347; S. ed i suoi satelliti<br />

nei Salmi che parlano dei nemici del<br />

Popolo di Dio, 467ss; S. ed angeli buoni,<br />

333s, 342s. Vedi: Esorcismo<br />

SCHOLA CANTORUM: è contro il <strong>senso</strong> comunitario<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> se la s. e.<br />

esegue canti che spettano al popolo<br />

(o ai ministri) rendendo questo spettatore<br />

muto, 283<br />

SCIENZA: concetto di s., 592s; s. e gnosi,<br />

592; la teologia come s. ed i rapporti<br />

tra teologia e <strong>liturgia</strong>, 592-96<br />

SCIENZA LITURGICA: modo di concepirne<br />

la natura e l'insegnamento, 8ss, 602-7<br />

SCOMUNICA: sua portata reale, 394, 397ss<br />

SCOLASTICA: teologia scolastica e <strong>liturgia</strong><br />

nell'esempio di s. Tommaso,<br />

538-55<br />

SCRITTURA: e <strong>liturgia</strong>, 428-73; posto <strong>della</strong><br />

S. nella <strong>liturgia</strong> in genere, 427;<br />

principio fondamentale secondo il<br />

quale la <strong>liturgia</strong> usa la S., 428ss; quadruplice<br />

profondità dell'unico <strong>senso</strong><br />

dei testi biblici, 430-34; approfondimento<br />

<strong>della</strong> prospettiva dei contemporanei<br />

nei testi dell'A.T. usati dalla<br />

<strong>liturgia</strong>, 436-51; approfondimento dei<br />

testi del N.T. nella <strong>liturgia</strong>, 451-56;<br />

come la <strong>liturgia</strong> comprende i Salmi,<br />

457-73; interesse vitale <strong>della</strong> S. vissuta<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 455s; la lettura e<br />

l'interpretazione liturgica <strong>della</strong> S.: è<br />

la catechesi biblica tradizionale <strong>della</strong><br />

Chiesa, 445; interpretazione liturgica<br />

<strong>della</strong> S. e arte ed iconografia<br />

paleocristiane ed in buona parte anche<br />

medievali, 456; interdipendenza<br />

<strong>della</strong> questione biblica e di quella<br />

liturgica, 510s; la S. può essere capita<br />

integralmente solo nella <strong>liturgia</strong>,<br />

472s; le letture bibliche nella <strong>liturgia</strong><br />

sono determinate dal concetto di<br />

mysterium, Storia Sacra, 573s; lettura<br />

e meditazione <strong>della</strong> S. durante la<br />

quaresima nello spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

415ss; la legge dell'incarnazione<br />

e la S., 567ss; la S. e la rivelazione<br />

come Storia Sacra, 17-32; carattere


914 INDICI<br />

biblico <strong>della</strong> spiritualità liturgica,<br />

631; insegnamento <strong>della</strong> S. ed iniziazione<br />

alla <strong>liturgia</strong>, 604; S., Storia Sacra<br />

e gnosi, 585-88; S. come mysterion<br />

derivato dal mysterion di Cristo<br />

in Origene, 75s, 567ss; personalizzazione<br />

<strong>della</strong> S. nella lettura cristiana<br />

e liturgica di essa, 432ss. Vedi:<br />

Persona; movimento biblico e catechesi<br />

liturgica nell'opera del p. Pius<br />

Parsch, 782; desiderio di una più intima<br />

unità tra S., predicazione e <strong>liturgia</strong>,<br />

819-23, 822; la S. nella teologia<br />

positivo-scolastica, 530s, 534. Vedi;<br />

Storia Sacra. Salmi, Cristo, Trinità,<br />

Sacerdozio, Segno, Tipologia,<br />

Salvezza in comunità, Creatura infraumana,<br />

Uomo, Angeli, Gerusalemme<br />

Celeste, Satana<br />

SCRUTINI: prebattesimali e loro significato<br />

antidemoniaco, 383-89<br />

SCUOLE DI SPIRITOALITX : in che <strong>senso</strong><br />

vi possono essere diverse s.d.s.; in<br />

seno al cattolicesimo, 615-22; spiritualità<br />

liturgica una delle tante s.d.<br />

s.?, 637-41; spiritualità liturgica, spiritualità<br />

benedettina? 641-44; la Chiesa,<br />

desiderando che penetri ovunque lo<br />

spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, intende forse<br />

abolire le diverse s.d.s.? 639s<br />

SEGNO: e <strong>liturgia</strong>, 33-106; il s. in genere,<br />

46-56; il s. nella <strong>liturgia</strong>, 56-81; le<br />

cose significate dal s. nella <strong>liturgia</strong><br />

secondo la quadruplice dimensione<br />

del s. liturgico, 82-106; S. Tommaso<br />

conosce la quadruplice dimensione<br />

del s.. liturgico, 543; mentalità antica<br />

e mentalità moderna intorno al concetto<br />

di s., e loro riflessi nel modo<br />

di concepire la <strong>liturgia</strong>, 50-6; efficacia<br />

del s. liturgico, 37, 107-34; come<br />

nella messa il s. liturgico ha la somma<br />

espressione ed efficacia, 166-77; il<br />

concetto di s. secondo la Summa th.<br />

di S. Tommaso, 540; la dottrina di<br />

S. Tommaso sulla triplice dimensione<br />

del s. sacramentale, 540<br />

SEMINARI: e <strong>liturgia</strong>, 509, 602-5, 792ss;<br />

insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei s.,<br />

stato di fatto ed osservazioni, 509,<br />

602-5<br />

SEMIPELAGIANESIMO : controversia semipelagiana<br />

e <strong>liturgia</strong>, 482, 496s, 518,<br />

578s, 714, 778<br />

SEMIRAZIONALISMO : e <strong>liturgia</strong>, 527<br />

SENSI DELLA SCRITTURA: la quadruplice<br />

profondità dell'unico <strong>senso</strong> dei testi<br />

biblici, la tradizionalità di tale punto<br />

di vista e la sua messa in opera nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 430-56<br />

SENSI UMANI: cura ed esercizio dei s.<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 303-7; comparazione<br />

dei diversi s. secondo l'uso che trovano<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 73s; difficoltà'che<br />

la <strong>liturgia</strong> sembra frapporre per disporre<br />

il soggetto all'atto mistico,<br />

per il notevole e continuo esercizio<br />

dei s. anche esterni che essa implica,<br />

671-74, 678s, 681s, 688s<br />

SENSO CRISTIANO: evoluzione dei dogmi<br />

e <strong>liturgia</strong>, 500-8<br />

SENSO ESTETICO: e <strong>liturgia</strong>, 308s, 64-72<br />

SENSUS CHRISTI: 103s<br />

SENTIMENTO: nutrimento del s. nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 307s; s. religioso e <strong>liturgia</strong><br />

secondo i modernisti, 497s. Vedi: Affetto,<br />

Amore<br />

SENTIMENTALISMO: e predicazione, 822<br />

SEPOLTURA: riti <strong>della</strong> s. spiegati dai Padri,<br />

557-62; angelo custode del sepolcro,<br />

342<br />

SERAFINI: e loro posto nella <strong>liturgia</strong>,<br />

332, 337, 341. Vedi: Angeli<br />

SERPENTE: nel deserto, figura tipologica<br />

di Cristo in croce, 449s<br />

SERVIZIO: di Dio e sua importanza nella<br />

spiritualità di S. Ignazio di Loyola,<br />

641<br />

SETTANTA: versione greca <strong>della</strong> Bibbia,<br />

33<br />

SETTUAGESIMA-PENTECOSTE : significato generale<br />

di questo ciclo liturgico, 183s;<br />

sua struttura cristologico-trinitaria,<br />

23742; come la <strong>liturgia</strong> in questo periodo<br />

comprende le profezie del Servo<br />

di Jahweh e di Gioele sullo Spirito<br />

Santo, 446; e messa, 183<br />

SGUARDO: come esperienza mistica: s.<br />

amoroso, 672; di riposo, 672; s. amoroso<br />

in S. Gertrude, 731<br />

SHEMONEH ESREH: preghiera sinagogale,<br />

337<br />

SIGNATIO CRUCIS: 304, 380, 384s<br />

SIGNUM: e concetti connessi di mysterion,<br />

mysterium, figura, symboton,<br />

symbolum, imago: Vedi questi stessi<br />

concetti.<br />

SILENZIO: momenti di preghiera in s.<br />

nella <strong>liturgia</strong> antica, 305, 653s<br />

SIMBOLISMO: delle cose sensibili e associazione<br />

del mondo infraumano alla<br />

lode di Dio, 321; s. patristico nella<br />

spiegazione <strong>della</strong> Bibbia, 429s; tendenza<br />

simbolista generale nel M.E.,<br />

555 n. 53, 698-703. Vedi: Allegoria, Esemplarismo,<br />

Tipologia<br />

SIMBOLO: nozione, 49s; mentalità antica<br />

e moderna intorno al concetto di<br />

s. ed ai concetti affini, 50-56; s. e mysterion,<br />

567ss. Vedi : Esemplarismo,<br />

Segno, Tipologia<br />

SIMBOLO DELLA FEDE: e battesimo, 230;<br />

struttura cristologico-trinitaria, 230-<br />

33; nella <strong>liturgia</strong>, 482; suo valore an-


tidemoniaco, 401; sua costruzione secondo<br />

lo schema di Storia Sacra, 23,<br />

812; s. apostolico, 23, 43, 231; s. detto<br />

atanasiano, 23, 232, 482; s. niceno,<br />

232; s. niceno-costantinopolitano, 211,<br />

232, 482, 488, 580; s. romano, 231<br />

SINASSI: schema connaturale <strong>della</strong> s.<br />

eucologica non sacrificale: lettura,<br />

omelia, canto, preghiera in silenzio,<br />

orazione conclusiva del presidente<br />

ad alta voce, 654, 827<br />

SION: il Monte santo, la Chiesa e la<br />

Gerusalemme celeste, 465s<br />

SIRI: monofisiti e loro concetto di mysterion<br />

come tutta la <strong>liturgia</strong>, 570s<br />

SIRIACA: letteratura liturgica s., 559<br />

SOCIETÀ: e <strong>liturgia</strong>: socialità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

e sua struttura in segni sensibili,<br />

79ss; individuo e s. nella <strong>liturgia</strong>,<br />

265-89. Vedi: Comunità, Individuo<br />

SOCINIANI: e <strong>liturgia</strong>, 518<br />

SOCIOLOGIA: e <strong>liturgia</strong>, 794 n. 65<br />

SOGGETTIVISMO: e oggettivismo in spiritualità<br />

in genere, 621; s., oggettivismo<br />

e <strong>liturgia</strong>, 112, 190-93, 629s<br />

SONNO: mistico: 689; s. delle potenze,<br />

686<br />

SOLA SCRIPTURA: principio protestante e<br />

influsso del movimento liturgico protestante<br />

su di esso, 780<br />

SOPRANNATURALE: sviluppo storico, determinazione<br />

teorica del concetto e<br />

sua importanza per capire la <strong>liturgia</strong><br />

intorno all'influsso di Satana nel<br />

mondo dopo il peccato d'Adamo,<br />

372-77<br />

SOSPENSIONE DEI SENSI: nella vita mistica,<br />

o s. delle potenze, o s. dell'intelletto,<br />

686s, 689; s.d.s. nella vita mistica<br />

e la questione dei rapporti tra <strong>liturgia</strong><br />

e mistica, 671-74, 678s, 682, 688-<br />

92<br />

SOUCAS: laura di, 662<br />

SPECULAZIONE: l'aspetto s. <strong>della</strong> fede e<br />

la questione dei rapporti tra catechismo<br />

e <strong>liturgia</strong>, 831s; tra predicazione<br />

e <strong>liturgia</strong>, 809s<br />

SPERANZA: e fede e carità in esercizio<br />

nell'azione liturgica nel quadro <strong>della</strong><br />

virtù di religione, 481ss, 656-62; s.<br />

e predicazione escatologica, 822<br />

SPERIMENTALISMO: e suo pericolo nella<br />

vita mistica, 693<br />

SFHRAGIS: consignatio nei riti battesimali,<br />

380s<br />

SPIRITO SANTO: culto, <strong>liturgia</strong>, battesimo,<br />

sacramenti, preghiera in Spirìtu:<br />

37s; lo S.S. e il movimento cristologico-trinitario<br />

<strong>della</strong> rivelazione e<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 196-242; lo S.S. nelle<br />

conclusioni delle orazioni liturgiche<br />

e il <strong>senso</strong> di in unitale S.S. Deus,<br />

INDICE ANALITICO 915<br />

216ss; S.S. e Chiesa, 30ss; S.S. e sacrificio,<br />

224; lo S.S. nelle anafore e<br />

nel canone romano, 224-29; nei sacramenti,<br />

229-36; nei ciclo Settuagesima-<br />

Pentecoste, 237ss; nell'epistola agli<br />

Ebrei, 250 n. 12; S.S. e battesimo,<br />

339; e benedizione dell'acqua battesimale,<br />

389; lo S.S. nella definizione<br />

dei dogmi, 506; come la <strong>liturgia</strong> di<br />

Pentecoste interpreta la profezia di<br />

Gioele sul dono dello S.S., 446; doni<br />

dello S.S., 612 n. 1; la divinità dello<br />

S.S. provata dalla <strong>liturgia</strong> in F. A.<br />

Zaccaria, 518<br />

SPIRITUALISMO : spiritualismo disincarnato<br />

<strong>della</strong> tradizione orfica, platonica,<br />

neoplatonica, e s. cristiano, 299s<br />

SPIRITUALITÀ: e <strong>liturgia</strong>, 611-52; nozione<br />

<strong>della</strong> s., 611-15; diverse scuole di<br />

s. in seno alla Chièsa, 615-22; tipi di<br />

s. intellettualistica, volontaristica, affettiva,<br />

619s; s. e carattere ascetico<br />

mistico, 622; nozione e caratteristiche<br />

<strong>della</strong> s. liturgica, 624-68; suo carattere<br />

dogmatico, 630s; s. liturgica s.<br />

<strong>della</strong> Chiesa a un titolo che non<br />

compete alle altre s., 639ss; s. liturgica<br />

s. benedettina? 641-44; s. liturgica<br />

ed attualizzazione delle facoltà<br />

psicologiche dell'uomo, 305-12; incentramento<br />

<strong>della</strong> s. liturgica nella messa,<br />

166-85: Vedi: Messa; s. liturgica<br />

ed aspirazioni odierne, 693ss; s. liturgica<br />

in S. Gertrude, 696-752; la s. liturgica<br />

contiene dei pericoli? 668s,<br />

692s; rapporti tra s. ed insegnamento<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 605ss; tipi di s.: s. apostolica,<br />

622; s. benedettina, 615, 637,<br />

641, 643; s. carmelitana, 615, 622; s.<br />

certosina, 622; s. per il clero diocesano,<br />

615. 619; s. domenicana, 615; s.<br />

francescana, 615; s. ignaziana, 615,<br />

641; s. per i laici, 615, 619; s. salesiana,<br />

615<br />

SPONSALI: spiegati nei trattati liturgici<br />

dei Padri, 557-62<br />

SPORT: benedizione dello s. e degli attrezzi<br />

sportivi nel rituale romano,<br />

308s<br />

SPOSA: <strong>senso</strong> anche antidemoniaco <strong>della</strong><br />

benedizione <strong>della</strong> s., 405<br />

SPOSALIZIO: mistico, 685; in S. Gertrude,<br />

731<br />

STATI DI VITA: diversi e spiritualità liturgica,<br />

642ss, 679ss<br />

STATO PRIMITIVO DELL'UOMO: O stato paradisiaco:<br />

313s, 331<br />

Stella maris Maria: 709<br />

STILE DELL'UOMO: modo con cui Dio<br />

agisce verso l'uomo rispettandone la<br />

natura umana, 76, 294. Vedi: Legge<br />

dell'incarnazione


916 INDICI<br />

STIMMATE: che fede richiede la <strong>liturgia</strong><br />

nel fatto storico delle stimmate di<br />

S. Francesco nella festa omonima,<br />

478, 491; le s. invisibili di S. Gertrude,<br />

741<br />

STOICISMO: 431<br />

STORIA: per Aristotele e gli scolastici<br />

non è una scienza propriamente detta,<br />

593s; la s. tra le scienze coglie<br />

più delle altre l'aspetto temporale e<br />

quindi concreto ed individuale dell'essere,<br />

594; aspetto storico ed aspetto<br />

filosofico dell'essere, 17-23, 372-77;<br />

s. e teologia, 533ss; l'ideale prevalentemente<br />

storico <strong>della</strong> scienza liturgica,<br />

8ss; s., filologia e critica nell'indagine<br />

liturgica, 486s; indagine storica<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei sec. XVI-XVIII,<br />

516; che fede esige la <strong>liturgia</strong> nei<br />

fatti supposti storici delle vite dei<br />

santi nel II notturno del breviario,<br />

495s; la s. nel metodo scolastico, 550s;<br />

le conseguenze che ha per S. Tommaso<br />

nella questione dei rapporti<br />

tra la teologia e la <strong>liturgia</strong> la sua<br />

opinione intorno alla s. come scienza,<br />

555<br />

STORIA DELLE RELIGIONI: come si spiegano<br />

le somiglianze tra i riti liturgici<br />

cristiani e i riti religiosi in altre religioni,<br />

311s<br />

STORIA SACRA: la Rivelazione si presenta<br />

anzitutto come s.s., concetto che<br />

costituisce lo sfondo generale <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong>: il fatto, le grandi fasi di tale<br />

s., il loro significato in quanto<br />

visione biblica, teologia <strong>della</strong> s., mistero,<br />

Mistero di Cristo, mistero <strong>della</strong><br />

Chiesa, 17-32; unità tra le diverse<br />

fasi <strong>della</strong> s.s., 428s; la s.s. come oggetto<br />

<strong>della</strong> teologia antica negli esempi<br />

di Ireneo, Origene, Agostino,<br />

812-19; come oggetto <strong>della</strong> predicazione<br />

fino ai sec. XII-XIII, 814-19; la<br />

realtà di s.s. come centro unificatore<br />

e vivificatore di Bibbia, tradizione,<br />

insegnamento del magistero, teologia,<br />

predicazione, catechismo, <strong>liturgia</strong>,<br />

spiritualità, 817, 827, 832s; s.s.<br />

come punto di vista unificatore nell'impostazione<br />

del nuovo catechismo<br />

tedesco, 834-39; s.s. e rinnovamento<br />

<strong>della</strong> predicazione, 819-23; la <strong>liturgia</strong><br />

non si può capire fuori del quadro<br />

<strong>della</strong> s.s., la quale trova la sua massima<br />

concretizzazione appunto nella<br />

<strong>liturgia</strong>, 17-32, 38s, 103-6, 185; ed anzitutto<br />

quindi nella messa, 166-85; fintanto<br />

che la teologia non è concepita<br />

come spiegazione <strong>della</strong> s.s., la<br />

<strong>liturgia</strong> non vi trova posto adeguato,<br />

554s; s.s. come, mysterion, 565ss; s.s.<br />

e Salmi, 459s; s.s. ed attualizzazione<br />

<strong>della</strong> fede, <strong>della</strong> speranza e <strong>della</strong> carità<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 660; l'aspetto di<br />

s.s. relegato al secondo piano nel<br />

concetto di mysterion dello Pseudo<br />

Dionigi e nella tendenza da lui dipendente,<br />

574<br />

STUDIA LECTIONUM: nell'esperienza spirituale<br />

di Cassiano, 679<br />

STUPOR SUBITAE ILLUMINATIONIS: nell'esperienza<br />

spirituale di Cassiano,<br />

677<br />

SUAVITATES PSALMODIARUM : nell'esperienza<br />

spirituale di Cassiano, 679<br />

SUBTILITATES MEDITATIONUM : nell'esperienza<br />

spirituale di Cassiano, 679<br />

Subvenite sancti Dei: e il posto degli<br />

angeli e dei santi nella <strong>liturgia</strong> dei<br />

defunti, 341<br />

Super flumina Babylonis, 468<br />

SUPPELLETTILE: liturgica, spiegata dai<br />

Padri nei trattati teologici d'interesse<br />

liturgico, 557-62<br />

SUPPLETIO: il concetto di s. in S. Gertrude<br />

e lo spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 713s,<br />

719, 749<br />

Supplices te rogamus: del canone romano,<br />

e suo significato, 228, 335<br />

Supra quae: del canone romano e suo<br />

significato, 335<br />

Surge, illuminare Jerusalem : <strong>senso</strong> <strong>della</strong><br />

profezia nella <strong>liturgia</strong> del periodo<br />

Avvento-Epifania, 435<br />

Suscipe, Sancta Trinitas: sua introduzione<br />

gallicana nella messa, 282 n. 31<br />

Suscipe, Sancte Pater: sua introduzione<br />

gallicana nella Messa, 282, n. 31<br />

Suscipìat: sua introduzione gallicana<br />

nella messa, 282 n. 31<br />

SYMBOLUM: e concetti affini di mysterion,<br />

figura, imago, 571s<br />

SYMPÀTHEIA: 431<br />

SYNTAXIS: e apótaxis nei riti battesimali<br />

orientali, 389 n. 81<br />

TAGLIONE: legge del, 469<br />

TAIZÈ: comunità di T. e suoi meriti<br />

per il movimento liturgico protestante,<br />

777<br />

TEANDRISMO: in Cristo, nella Chiesa,<br />

nella <strong>liturgia</strong>, 291s<br />

TECNICA: teologia <strong>della</strong> t., 301 n. 7<br />

Te decet laus: 219, 221, 223<br />

Te Deum: 218, 221, 223, 648<br />

Te dicimus praeconio: 422<br />

Te iure laudani: 718<br />

TELEIOSIS: e suo significato cristologico,<br />

253<br />

TELONfA: e loro aspetto demonologico,<br />

370, 402, 411s


TEMPIO DI GERUSALEMME: Cristo, Chiesa,<br />

singole anime, tempi cristiani,<br />

Gerusalemme celeste, 465s<br />

TEMPO: presente, passato, futuro nei<br />

segni liturgici, 85s; t., individuazione<br />

delle azioni e teoria di O. Casel sul<br />

mistero, 115, 117s; il superamento del<br />

t. nella <strong>liturgia</strong>, 102-6, 184s, 261s; i t.<br />

sacri dell'A.T. secondo S. Tommaso,<br />

547. Vedi: Storia Sacra<br />

TEMPORALI: <strong>senso</strong> antidemoniaco degli<br />

scongiuri contro i temporali, 408s<br />

TEMPORALIS DISPENSATO SALVATIONIS: come<br />

Storia <strong>della</strong> Salvezza in S. Agostino,<br />

815<br />

TEOCENTRISMO : <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e <strong>della</strong> spiritualità<br />

liturgica, 112s, 152, 629s, 631;<br />

desiderio d'una predicazione più teocentrica,<br />

820, 822<br />

TEOLOGALI: virtù t. e religione, 481ss.<br />

Vedi: Carità, Fede, Speranza, Virtù<br />

<strong>TEOLOGIA</strong>: note teoriche sul concetto di<br />

t., 591-96; la t. come scienza, 592s; ma<br />

includente anche l'indagine dell'aspetto<br />

empirico storico del dato rivelato,<br />

593-96; origine <strong>della</strong> t. positivo-scolastica,<br />

513-16; il suo ideale <strong>della</strong><br />

prova apologetica dalle fonti, 525s;<br />

lo schema tipo di esposizione nella<br />

t. positivo-scolastica, 525s; la t. positiva<br />

nella corrente positivo-scolastica<br />

514s, 516s, 525s; t. positivo-scolastica<br />

e catechismo, 832s; il metodo<br />

<strong>della</strong> quaestio nella t. scolastica,<br />

548ss; preoccupazione dominante nella<br />

teologia di S. Tommaso, 554s; contributo<br />

specifico e limiti <strong>della</strong> t. positivo-scolastica,<br />

818s; la t. patristica<br />

come gnosi: origine, natura, pregi e<br />

difetti, 585-90; t. patristica incentrata<br />

sulla Storia Sacra, 812-19; la t. pastorale,<br />

754ss; t. <strong>della</strong> tecnica moderna,<br />

301; t. del lavoro, 301; t. delle realtà<br />

terrestri, 301; t. simbolica o figurativa,<br />

555 n. 53, 575s<br />

<strong>TEOLOGIA</strong> E LITURGIA: il giudizio <strong>teologico</strong><br />

nell'indagine liturgica, 478s, 487;<br />

quattro regole principali per determinare<br />

l'autorità teologica d'un singolo<br />

punto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, 487-96; i rapporti<br />

tra t. sintetica generale e <strong>liturgia</strong>,<br />

509-607; la questione generale, 509-12;<br />

i rapporti tra t. sintetica generale e<br />

<strong>liturgia</strong> nella t. positivo-scolastica,<br />

509-37, 478, 544 n. 4, 518; e nella t. di<br />

S. Tommaso, 538-55; confronto da<br />

questo punto di vista tra la t. positivo-scolastica<br />

e quella di S. Tommaso,<br />

552-55; rapporti tra t. e <strong>liturgia</strong><br />

presso i Padri, 556-90; note teoriche<br />

sulla questione dei rapporti tra<br />

t. sintetica generale e <strong>liturgia</strong>, 591-<br />

INDICE ANALITICO 917<br />

607; indagine dell'aspetto <strong>teologico</strong><br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, lOss; natura, necessità,<br />

oggetto, divisione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> teologica,<br />

12; t. e <strong>liturgia</strong> e i loro rapporti<br />

con la Storia Sacra, 554s; <strong>liturgia</strong><br />

e t. nel M.E. fino al sec. XII,<br />

561; aspetto liturgico dei singoli trattati<br />

teologici, 599-602<br />

TERRA PROMESSA: ingresso nella t.p. figura<br />

del battesimo nella <strong>liturgia</strong>, 450;<br />

e figura dell'ingresso nel cielo, 464<br />

TEURGISMO: nello Pseudo Dionigi, 574<br />

THEORIA: suo significato <strong>teologico</strong>, 305<br />

THYSfA: sacrificio, 157<br />

TIMORATI DI DIO: nei Salmi e nella <strong>liturgia</strong>,<br />

470s<br />

TIPOLOGIA: biblica, patristica, liturgica,<br />

10 n. 10; concetto ed esistenza <strong>della</strong><br />

t. nella Bibbia, 447-51; fin dove si<br />

estende nei particolari la relazione<br />

tipologica tra il N. e l'A.T.?, 449ss;<br />

i Padri e la t., 449ss; la t. nella <strong>liturgia</strong>,<br />

450s; t. e gnosi, 587s; t. e mysterium<br />

o sacramentum, 572s; differenza<br />

tra t. ed allegorismo ellenistico,<br />

430 n. 3, 543<br />

TOCCHI DIVINI: come esperienza mistica,<br />

685<br />

TRADITIO: evangelii e suo significato antidemoniaco,<br />

383; t. orationis dominicae,<br />

23, 557; suo significato antidemoniaco,<br />

383; t. symboli, 23; suo significato<br />

antidemoniaco, 383<br />

TRADIZIONE: e autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

presso i Padri, 581-84; la <strong>liturgia</strong> come<br />

prova <strong>della</strong> tradizione dell'apostolicità<br />

di una dottrina secondo i teologi<br />

positivo-scolastici, 527, 532; carattere<br />

tradizionale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

797s<br />

TRADUZIONI: liturgiche, e proibizione<br />

posttridentina di tradurre in volgare<br />

il messale, 283<br />

TRAFITTA D'AMORE: come esperienza mistica<br />

in S. Gertrude, 734ss<br />

TRATTATI: teologici e loro rapporto alla<br />

<strong>liturgia</strong>, 599-602; t. spiegativi <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

nell'età patristica, 557-62<br />

TRASVERBERAZIONE: come esperienza mistica<br />

in S. Gertrude, 734ss<br />

TREMENDUM: suo rapporto con la religione<br />

e con la <strong>liturgia</strong>, 137, 139<br />

TRINITÀ: il movimento cristologico-trinitario<br />

<strong>della</strong> Rivelazione e <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>,<br />

196-242; culto, santificazione e<br />

T. nella <strong>liturgia</strong>, 37ss; lo schema aper-in-ad<br />

nel modo di considerare la<br />

T., 37ss, 202-12; la T. nelle orazioni,<br />

212-18; nelle dossologie, 218-24; nella<br />

messa, 224-29; nei sacramenti, 229-36;<br />

nei sacramentali, 236; nei cicli liturgici,<br />

237-42; l'introduzione ed il sen-


918 INDICI<br />

so <strong>della</strong> festa <strong>della</strong> SS.ma T., 211, 239-<br />

42; inabitazione delle Persone <strong>della</strong><br />

T. nell'anima del giusto, e spiritualità,<br />

619; T. ed esperienza mistica,<br />

683; liti trinitarie e <strong>liturgia</strong>, 518, 578;<br />

T. e <strong>liturgia</strong> in S. Tommaso, 551; la<br />

T. e il concetto <strong>della</strong> predicazione,<br />

805; T. e vita liturgica e mistica in<br />

S. Gertrude, 716-18, 738. Vedi: Movimento<br />

cristologico-trinitarìo.<br />

TRENTO: concilio di T. e <strong>liturgia</strong>, 519<br />

TRISAGIO: 579<br />

TRIVIUM: nel M. E. col Quatrivium era<br />

posto al servizio <strong>della</strong> predicazione,<br />

560<br />

TYPOS: 50, 52, 447ss, 565s<br />

UFFICIO DIVINO : Cristo ne è l'attore principale,<br />

258; suo carattere comunitario<br />

ed ecclesiale, 287; l'u.d. recitato<br />

da persone a ciò deputate dalla Chiesa<br />

e nelle forme richieste per la sua<br />

validità, attua la preghiera del corpo<br />

mistico, Capo e membri, per un<br />

certo opus operatum a parte la dignità<br />

personale di colui che lo compie,<br />

123, 124 n. 18; in esso il fine cultuale<br />

è prevalente sul fine didattico,<br />

483; l'u.d. è essenzialmente connesso<br />

con l'eucarestia, 181; u.d. e associazione<br />

<strong>della</strong> creatura infraumana<br />

alla lode di Dio, 320; u.d. ed angeli,<br />

342s; e lotta contro Satana; 423s;<br />

u. dei defunti come u. supererogatorio<br />

nel M.E., 747; u.d. ed esperienza<br />

mistica secondo Cassiano, 676s, 678s;<br />

e secondo la ven. Maria dell'Incarnazione,<br />

683s; e secondo un'inchiesta<br />

del p. Poulain, 687; u.d. ed esperienze<br />

mistiche in s. Gertrude, 732; perché<br />

alcuni, quando sono invasi dall'esperienza<br />

mistica, sono impediti<br />

dal recitare l'u.d. e di parteciparvi<br />

normalmente, 687s; u.d. e spiritualità<br />

liturgica in S. Gertrude, 697s, 725; leggende<br />

nell'u.d. e fede da prestarvi,<br />

495; u.d. spiegato dai Padri, 557-62;<br />

u. d. e lode vocale divina secondo<br />

S. Tommaso, 547. Vedi: Ore canoniche;<br />

Breviario<br />

ULTIMA CENA: e Golgota, 159<br />

UMANITÀ DI N. S.: e devozione nel M.E.,<br />

747<br />

UMANISTI: e sviluppo <strong>teologico</strong> nel sec.<br />

XVI, 513<br />

UMILTÀ: in S. Benedetto, 622<br />

UNITÀ COSMICA: secondo la Rivelazione<br />

e la <strong>liturgia</strong>: creatura infraumana,<br />

uomo, angeli, santi, anime del purgatorio,<br />

298-345; u, dei fedeli, dei san­<br />

ti, delle anime del purgatorio nell'anafora<br />

di S. Basilio, 175s<br />

UNITÀ DEI DUE TESTAMENTI: e <strong>della</strong> Storia<br />

Sacra come fondamento per capire<br />

in che modo la <strong>liturgia</strong> usa la<br />

Bibbia, 428ss<br />

UNITOTALITÀ: la <strong>liturgia</strong> e la legge dell'u.<br />

cosmica del Regno di Dio: creatura<br />

infraumana, uomo, angeli, anime<br />

del purgatorio, 298-345; u. del cosmo<br />

e spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in S. Gertrude,<br />

720-26<br />

UNZIONE BATTESIMALE: 389S<br />

UOMO: nella legge dell'unitotalità cosmica<br />

del Regno di Dio assieme alle<br />

creature infarumane, agli angeli e<br />

beati del cielo, alle anime del purgatorio,<br />

290-345; Tu. è considerato come<br />

unità sostanziale di anima e di corpo<br />

nella Rivelazione e nella <strong>liturgia</strong>,<br />

298-304; attività umane per sé oneste<br />

santificate dalla <strong>liturgia</strong>, 300s; attualizzazione<br />

delle facoltà psicologiche<br />

umane nella <strong>liturgia</strong>, 305-12; trattato<br />

<strong>teologico</strong> dell'u. e <strong>liturgia</strong>, 600<br />

VALIDITÀ: la <strong>liturgia</strong> non mira solo a<br />

porre validamente gli atti liturgici,<br />

ma anche a conseguirne il frutto plenario,<br />

individuale e sociale, 786s<br />

VASI SACRI: nell'A. T. secondo S. Tommaso,<br />

547<br />

VEGLIE: per i defunti nell'antichità,<br />

325; per i martiri ed i santi, 326<br />

VENERDÌ SANTO: le grandi orazioni del<br />

v.s., 306<br />

V£ni, Sanctificator : e sua introduzione<br />

gallicana nella messa, 282 n. 31<br />

VENUTA EPIFANICA: del Signore: come<br />

oggetto del ciclo liturgico Avvento-<br />

Epifania, 102, 183; seconda v. del Signore:<br />

Vedi: Parusia<br />

VERGINITÀ: e sacerdozio universale dei<br />

fedeli, 154, 164; <strong>senso</strong> cristologico trinitario<br />

<strong>della</strong> consacrazione delle ver-<br />

- gini, 236; consacrazione delle v. e lotta<br />

contro Satana, 369, 409; consacrazione<br />

delle v. spiegata dai P., 557-62;<br />

rito <strong>della</strong> consacrazione delle v. ed<br />

Esercizi di S. Gertrude, 745<br />

VESCOVO: come segno nella <strong>liturgia</strong>, 73;<br />

il v. anzitutto come liturgo rappresentante<br />

ed incarnante la comunità<br />

locale secondo S. Ignazio d'Antiochia,<br />

280s; grande sacerdote del gregge,<br />

790; principio esterno umano immediato<br />

di trasmissione e di coesione<br />

<strong>della</strong> vita divina, 790; <strong>senso</strong><br />

cristologico-trinitario <strong>della</strong> consacrazione<br />

dei v., 235; movimento liturgico


e rivalorizzazione <strong>della</strong> teologia del<br />

v., 789ss<br />

VESTE BATTESIMALE: e suo significato antidemoniaco,<br />

390<br />

VESTI SACERDOTALI: loro significato spiegato<br />

dai Padri, 557-62; nella spiegazione<br />

di S. Tommaso, 546; v.s. dell'A.<br />

T. secondo S. Tommaso, 548<br />

VIA CRUCIS: e <strong>liturgia</strong>, 633, 638<br />

VIATICO: SUO valore anche antidemoniaco,<br />

401<br />

Vidi Domine facie ad faciem, 732<br />

VINO: opinione medievale <strong>della</strong> consacrazione<br />

del vino nel calice per semplice<br />

contatto con l'ostia consacrata,<br />

478, 492; opinione di S. Tommaso sulla<br />

mescita del vino non consacrato<br />

per allungare il vino consacrato, 545<br />

VIRTÙ: trattato delle v. infuse e <strong>liturgia</strong>,<br />

601; esercizio delle virtù morali<br />

e teologali nella spiritualità in genere,<br />

621s; esercizio ascetico delle v.<br />

e spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> in S. Gertrude,<br />

706-15; le v. teologali come mate­<br />

INDICE ANALITICO 919<br />

ria scelta di cui si serve la v. di religione<br />

per attuare se stessa, 140s; le<br />

v. teologali esercitate nell'azione liturgica<br />

nel quadro <strong>della</strong> v. di religione,<br />

657-62; v. teologali e predicazione,<br />

824. Vedi: Carità, Fede, Speranza<br />

VISIONI: in S. Gertrude e loro significato,<br />

698-703<br />

VITA: rapporti tra <strong>liturgia</strong> e v.: <strong>liturgia</strong><br />

e spiritualità, <strong>liturgia</strong> e pastorale,<br />

611-842; modo liturgico di presentare<br />

la questione dello scopo e del<br />

<strong>senso</strong> <strong>della</strong> vita nel nuovo catechismo<br />

tedesco, 836s; spiritualità liturgica ed<br />

esercizio delle virtù nella v. pratica<br />

extraliturgica, 667s; v. attiva e v. contemplativa<br />

nella spiritualità liturgica,<br />

764-68; v. cristiana e lotta contro<br />

Satana, 356-60. Vedi : -Ascesi, Catechesi,<br />

Catechismo, Mistica, Pastorale,<br />

Predicazione<br />

VOLONTÀ: modo proprio <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

d'impegnare la v. nella tendenza verso<br />

la perfezione, 307s, 483ss, 630, 650


INDICE GENERALE<br />

Prefazione 7<br />

Prefazione alla quarta edizione 13<br />

PARTE I<br />

IL CONCETTO DI LITURGIA<br />

CAPITOLO I. - Lo sfondo generale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>: la rivelazione come storia<br />

sacra 17<br />

1. - La rivelazione si presenta anzitutto come una storia sacra 17<br />

2. - Le grandi fasi di questa storia 24<br />

3. - Annotazioni esplicative 25<br />

È biblica 26<br />

È una teologia <strong>della</strong> storia 26<br />

È il « mistero », il mistero di Cristo, il mistero pasquale 27<br />

6 il mistero <strong>della</strong> Chiesa 29<br />

CAPITOLO II. - La <strong>liturgia</strong> come complesso di segni sensibili 33<br />

1. - La definizione generale <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 33<br />

Questione impregiudicata" 34<br />

Perché una definizione tecnica rigorosa? Ciò che essa esige 35<br />

Descrizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> per le sue note essenziali 36<br />

La definizione tecnica rigorosa <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 39<br />

Osservazioni intorno ad altre definizioni 41<br />

Definizione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e Sacramentum 42<br />

2. - <strong>Il</strong> segno 46<br />

Nozione 46<br />

Divisione 47<br />

Segno, immagine e simbolo 49<br />

Mentalità antica e moderna intorno ai concetti di segno, immagine,<br />

simbolo e connessi 50<br />

3. - <strong>Il</strong> segno nella <strong>liturgia</strong> 56<br />

<strong>Il</strong> criterio <strong>della</strong> sua esistenza ed interpretazione 57<br />

I gruppi principali dei segni liturgici 60<br />

Perché l'incontro tra Dio e gli uomini in un regime di- segni? 74<br />

pag.


pag.<br />

• Le cose significate dal segno nella <strong>liturgia</strong> 82<br />

Le quattro dimensioni del segno liturgico in genere 82<br />

La quadruplice dimensione dei segni liturgici d'istituzione divina 89<br />

La quadruplice dimensione dei segni liturgici d'istituzione ecclesiastica<br />

95<br />

CAPITOLO III. - La <strong>liturgia</strong> come complesso di segni sensibili efficaci 107<br />

1. - Cosa vuol dire in genere che nella <strong>liturgia</strong> i segni sono efficaci <strong>della</strong><br />

santificazione e del culto <strong>della</strong> chiesa? 107<br />

2. • L'efficacia dei segni liturgici d'istituzione divina 110<br />

L'« opus operatum » ed alcune caratteristiche <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 110<br />

L'« opus operatum » e la presenzialità reale delle realtà spirituali<br />

significate dal segno sacramentale, specialmente nella sua funzione<br />

rimemorativa 113<br />

3. - L'efficacia dei segni liturgici d'istituzione ecclesiastica 122<br />

La nozione dell'* opus operantis ecclesia? » 124<br />

L'« opus operantis ecclesia; » e la distinzione tra <strong>liturgia</strong> e « pii<br />

esercizi » 127<br />

<strong>Il</strong> fondamento dell'efficacia <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> « ex opere operantis ecclesia;<br />

» 130<br />

CAPITOLO IV. - La <strong>liturgia</strong> come complesso di segni sensibili efficaci <strong>della</strong><br />

santificazione e del culto <strong>della</strong> Chiesa 135<br />

1. - Santificazione e culto nella <strong>liturgia</strong> in genere 135<br />

2. • La religione e la « devotio » 138<br />

La religione 138<br />

La « devotio » 142<br />

3. - <strong>Il</strong> culto in genere 143<br />

Nozione 143<br />

Divisioni 144<br />

4. - I caratteri sacramentali e il culto cristiano 149<br />

5. - <strong>Il</strong> sacerdozio cristiano e il sacerdozio di tutti i fedeli 153<br />

La questione 153<br />

Saggio di sistemazione del concetto di sacerdozio cristiano 155<br />

Sacerdozio di Cristo 155<br />

Materia del sacrificio 158<br />

CAPITOLO V. - La nozione <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e la Messa come realizzazione ed<br />

espressione sintetica di tutto il complesso liturgico 166<br />

1. - Come nella Messa la quadruplice dimensione dei segni liturgici ha<br />

il sommo grado di espressione e di efficacia 167<br />

2. - L'espressione liturgica di questo fatto nelle anafore - 170<br />

Le anafore orientali 171<br />

L'anafora greca di S. Basilio 172<br />

<strong>Il</strong> canone romano 176<br />

3. - Nella <strong>liturgia</strong> tutto è ordinato alla Messa 177<br />

<strong>Il</strong> fatto <strong>teologico</strong> 177<br />

L'espressione liturgica 180<br />

4. - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> delle feste liturgiche e dei cicli liturgici 182


PARTE II<br />

LA LITURGIA E LE LEGGI GENERALI<br />

DELL'ECONOMIA DIVINA NEL MONDO<br />

CAPITOLO VI. - La <strong>liturgia</strong> e la legge dell'oggettività 189<br />

1. • Oggettivismo, soggettivismo e <strong>liturgia</strong> 190<br />

2. - Sfumature di atteggiamenti diversi possibili e il pieno rendimento<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 193<br />

CAPITOLO VII. - Dal Padre, per Cristo nello Spirito Santo, al Padre: la<br />

<strong>liturgia</strong> e il movimento cristologico-trinitario dell'economia<br />

divina 196<br />

1. - Due modi di considerare la Trinità: <strong>Il</strong> modo del Nuovo Testamento<br />

e <strong>della</strong> tradizione più antica 196<br />

Dall'unità <strong>della</strong> natura alla trinità delle Persone e dalla trinità delle<br />

Persone alla unità <strong>della</strong> natura 197<br />

Punto di vista primariamente entitativo intratrinitario e punto di<br />

vista primariamente extratrinitario dell'intervento delle Persone<br />

nel mondo 200<br />

La formula riassuntiva « a », « per », « in », « ad » nel Nuovo Testamento<br />

202<br />

La formula « a », « per », « in », « ad » nella tradizione antica 206<br />

2. - La prospettiva generale Cristologico-trinitaria nella <strong>liturgia</strong> 209<br />

Le orazioni 212<br />

Le dossologie 2l8<br />

<strong>Il</strong> sacrificio <strong>della</strong> Messa 224<br />

I sacramenti 229<br />

I sacramentali 236<br />

I cicli liturgici 237<br />

CAPITOLO Vili. - II Kyrios, il mistero pasquale, l'unico liturgo e l'unica<br />

<strong>liturgia</strong> 243<br />

1. - <strong>Il</strong> Kyrios 243<br />

2. - <strong>Il</strong> mistero pasquale e la sua centralità nell'economia <strong>della</strong> salvezza 245<br />

3. - Perché ci è oggi difficile comprendere la centralità del mistero pasquale<br />

248<br />

4. - <strong>Il</strong> sacerdozio celeste di Cristo 249<br />

5. - Liturgia celeste e <strong>liturgia</strong> terrestre 253<br />

6. - Conseguenze per la natura <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 260<br />

CAPITOLO IX. - La <strong>liturgia</strong> e la legge <strong>della</strong> salvezza in comunità 265<br />

1. - <strong>Il</strong> <strong>senso</strong> comunitario protestante e <strong>senso</strong> comunitario cattolico 266<br />

2. - Storia sacra e salvezza in comunità secondo la rivelazione 269<br />

3. - Chiesa e <strong>liturgia</strong> nella legge <strong>della</strong> salvezza 274<br />

4. - L'espressione rituale <strong>della</strong> natura comunitaria <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>; storia<br />

e attualità 276<br />

Nella Messa 277<br />

Negli altri sacramenti 284<br />

Nello stile delle preghiere liturgiche e nel breviario 287<br />

pag.


pag.<br />

CAPITOLO X. - La <strong>liturgia</strong> e la legge dell'incarnazione 290<br />

1. - La legge dell'incarnazione nei rapporti tra l'uomo e Dio 290<br />

2. - L'incarnazione e la <strong>liturgia</strong> 294<br />

CAPITOLO XI. - La <strong>liturgia</strong> e la legge dell'unitotalità cosmica del regno di<br />

Dio (<strong>liturgia</strong>, uomo e mondo infraumano) 298<br />

1. - La <strong>liturgia</strong> e l'attualizzazione plenaria di tutto l'uomo 298<br />

La rivelazione considera l'uomo come unità sostanziale 298<br />

La <strong>liturgia</strong> fa lo stesso: anima e corpo 301<br />

Attualizzazione armonica di tutte le facoltà psicologiche 305<br />

Intelligenza, volontà, sentimento nella <strong>liturgia</strong> 307<br />

Diverse attività <strong>della</strong> vita; <strong>senso</strong> estetico; efficacia pedagogica 308<br />

Rispetto delle doti dei singoli popoli e principio di adattamento 310<br />

2. - La <strong>liturgia</strong> e l'attualizzazione cultica del mondo infraumano ai fini<br />

del regno di Dio 312<br />

L'unità tra l'uomo e la creatura infraumana nella rivelazione 312<br />

L'unità tra l'uomo e la creatura infraumana nella <strong>liturgia</strong> 317<br />

CAPITOLO XII. - La <strong>liturgia</strong> e la legge dell'unitotalità cosmica del regno di<br />

Dio (<strong>liturgia</strong>, santi e angeli) 322<br />

1. - La <strong>liturgia</strong> e i giusti arrivati al termine 322<br />

Comunione con le anime del Purgatorio 323<br />

Comunione con i santi del cielo 326<br />

2. - La <strong>liturgia</strong> e il mondo angelico 330<br />

Unità con il mondo angelico secondo la rivelazione 330<br />

Unità con il mondo angelico nella <strong>liturgia</strong>: angelo del sacrificio 335<br />

Angeli e Messa 336<br />

Angeli e battesimo 339<br />

Angeli, penitenza, matrimonio, ordinazioni 340<br />

Angeli e <strong>liturgia</strong> dei malati 341<br />

Angeli, ufficio canonico, benedizioni 342<br />

Angeli e anno liturgico 343<br />

CAPITOLO XIII. - Le due città, la <strong>liturgia</strong> e la lotta contro satana 346<br />

1. - La lotta contro satana nel Nuovo Testamento 347<br />

<strong>Il</strong> fatto di satana nel Nuovo Testamento in genere 348<br />

La missione e l'opera di Cristo come lotta contro satana 350<br />

La missione degli Apostoli come lotta contro satana 354<br />

La situazione generale del cristiano e del mondo di fronte a satana<br />

dopo Cristo 356<br />

La vita del singolo cristiano come lotta contro satana 358<br />

La vita <strong>della</strong> Chiesa come lotta contro Satana 360<br />

La lotta contro Satana negli ultimi tempi 364<br />

2. - Principali sviluppi <strong>della</strong> tradizione posteriore fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

intorno alla lotta contro satana 366<br />

Demoni, corpo umano, vita pagana, elementi naturali 367<br />

Demoni, battesimo, martirio, vita monastica, giudizio particolare 369<br />

3. - Cos'è di fede e cosa non lo è nelle affermazioni del Nuovo Testamento<br />

e <strong>della</strong> tradizione posteriore intorno alla lotta contro<br />

satana 371<br />

4. - La <strong>liturgia</strong> dell'iniziazione cristiana e la lotta contro satana 377<br />

I riti sugli « audientes » 379


pag.<br />

I riti sui « competentes » 382<br />

La benedizione del fonte e la unzione postbattesimale 389<br />

La confermazione 390<br />

L'eucaristia 392<br />

La lotta contro satana nella <strong>liturgia</strong> degli altri sacramenti 395<br />

La <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> penitenza 396<br />

La <strong>liturgia</strong> dei malati 399<br />

La <strong>liturgia</strong> degli ordini ecclesiastici: l'esorcistato 402<br />

La <strong>liturgia</strong> matrimoniale 404<br />

• La lotta contro satana nei principali sacramentali non connessi<br />

immediatamente con i riti dei sette sacramenti maggiori 405<br />

In genere 405<br />

L'acqua lustrale 406<br />

Gli scongiuri contro i temporali 408<br />

La consacrazione delle vergini 409<br />

La professione monastica 410<br />

La <strong>liturgia</strong> per i defunti 411<br />

La lotta contro satana nel temporale e nel santorale 413<br />

Tempo di avvento - Epifania 413<br />

La quaresima come lotta dei fedeli contro Satana 415<br />

La lotta e il trionfo di Cristo su Satana nella <strong>liturgia</strong> <strong>della</strong> domenica<br />

di passione e dell'ascensione 417<br />

La lotta contro Satana nel santorale: il martirio, specialmente delle<br />

donne, come vittoria su satana 419<br />

Gli angeli, Maria e la lotta contro satana 420<br />

La lotta contro satana nell'ufficio feriale 422<br />

PARTE HI<br />

LITURGIA E BIBBIA<br />

CAPITOLO XIV. - In che modo la <strong>liturgia</strong> usa la scrittura 428<br />

1. - <strong>Il</strong> fondamento: <strong>Il</strong> concetto dell'unità dei due testamenti e <strong>della</strong><br />

storia sacra 428<br />

2. - La quadruplice profondità dell'unico <strong>senso</strong> dei testi scritturistici<br />

in genere 430<br />

3. - La profondità dei contemporanei nei testi biblici usati dalla scrittura 434<br />

4. - L'approfondimento <strong>della</strong> prospettiva dei contemporanei nei testi<br />

dell'antico testamento usati dalla Liturgia 436<br />

Affermazioni dottrinali 437<br />

Precetti e ammonimenti 441<br />

Profezie propriamente dette 443<br />

<strong>Il</strong> significato di persone, cose, avvenimenti storici, istituzioni. La<br />

tipologia 447<br />

5. - I testi del Nuovo Testamento nella <strong>liturgia</strong>: loro approfondimento 451<br />

CAPITOLO XV. - Nota sui temi centrali dei singoli salmi e il loro riferimento<br />

al mistero di Cristo nella <strong>liturgia</strong> 457<br />

1. - La considerazione dei salmi dal punto di vista dei grandi temi<br />

teologici biblici <strong>della</strong> storia sacra, mistero di Cristo 457


pag.<br />

Raggruppamento generale dei salmi secondo il tema principale di<br />

ognuno in rapporto alla storia sacra e loro prolungamento fino<br />

alle realtà eristiche, cristiane ed escatologiche 462<br />

PARTE IV<br />

LITURGIA, FEDE E <strong>TEOLOGIA</strong><br />

CAPITOLO XVI. - Liturgia e fede ATI<br />

1. - In che <strong>senso</strong> la <strong>liturgia</strong> è « didascalia <strong>della</strong> chiesa » 479<br />

La <strong>liturgia</strong> azione vitale complessa di tutta la Chiesa corpo mistico 480<br />

Fine didattico <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sottoposto al fine cultuale immediato 481<br />

Perciò nella <strong>liturgia</strong> non predomina lo stile didattico diretto 483<br />

E tuttavia la <strong>liturgia</strong> ha grande efficacia didattica 485<br />

2. - Alcune regole generali per determinare fino a qual punto nella<br />

<strong>liturgia</strong> la chiesa impone qualcosa come di fede 486<br />

Indagine filologica, critica; storica ed ulteriore giudizio <strong>teologico</strong> 486<br />

Quattro regole principali per arrivare al giudizio <strong>teologico</strong> 487<br />

3. - Lex orandi lex credendi, reciproco influsso <strong>della</strong> fede e <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 496<br />

La frase dell'* Indiculus » e il suo <strong>senso</strong> generale 496<br />

La <strong>liturgia</strong> come espressione e mezzo corroborativo nei fedeli dei<br />

dogmi già espliciti 498<br />

L'importanza <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nel processo esplicativo dei dogmi 500<br />

CAPITOLO XVII. - Teologia positivo-scolastica e <strong>liturgia</strong> 509<br />

1. - La questione dei rapporti tra teologia sintetica generale e <strong>liturgia</strong> 510<br />

2. - Lo stato di fatto dei rapporti tra teologia positivo-scolastica e<br />

<strong>liturgia</strong> 513<br />

L'origine di questo tipo di teologia: i desiderata dei secoli XV-XVI 513<br />

Nuove tendenze 514<br />

Melchior Cano 515<br />

Liturgia storica 516<br />

Liturgia e teologia nei positivo-scolastici 517<br />

3. - Se l'ideale positivo-scolastico <strong>della</strong> teologia permette l'assimilazione,<br />

in teologia sintetica generale, del materiale <strong>teologico</strong> incluso<br />

nella teologia 525<br />

L'ideale positivo-scolastico <strong>della</strong> prova apologetica delle fonti 525<br />

La <strong>liturgia</strong> come prova dalla tradizione dell'apostolicità di una<br />

dottrina: la sua possibilità, e a questo scopo, sua poco utilità<br />

effettiva 527<br />

Assimilazione insufficiente del materiale liturgico nella positivo-scolastica<br />

per esagerazione <strong>della</strong> preoccupazione apologetica 530<br />

Giudizio conclusivo 535<br />

CAPITOLO XVIII. - Teologia e <strong>liturgia</strong> in S. Tommaso 538<br />

1. - Nozioni fondamentali <strong>della</strong> Somma che possono servire di base<br />

ad una <strong>liturgia</strong> teologica generale 539<br />

Teologia <strong>della</strong> religione e del culto 539<br />

Teologia dei sacramenti in genere 540<br />

Teologia del culto <strong>della</strong> legge antica 542<br />

2. - Spunti d'inserimento metodico diretto dell'aspetto <strong>teologico</strong> liturgico<br />

nelle singole questioni di teologia sintetica generale in san<br />

Tommaso 544


pag.<br />

Nel trattato dei sacramenti in specie 544<br />

Nel trattato <strong>della</strong> virtù <strong>della</strong> religione 546<br />

Nel trattato <strong>della</strong> legge antica 547<br />

3. - L'uso <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come « auctoritas » nel quadro <strong>della</strong> quaestio<br />

e del metodo sic et non attraverso la teologia di S. Tommaso 548<br />

L'« auctoritas » e la « quaestio » nel metodo scolastico 549<br />

Spigolature del ricorso alla <strong>liturgia</strong> nella Somma come una auctoritas<br />

nel quadro <strong>della</strong> « quaestio » 551<br />

Giudizio conclusivo 552<br />

CAPITOLO XIX. - Teologia e <strong>liturgia</strong> nei Padri 556<br />

1. • Letteratura patristica essenziale d'interesse <strong>teologico</strong> liturgico fino<br />

al sec. XII in Occidente e al secolo XVI in Oriente 557<br />

2. - <strong>Il</strong> punto di vista anzitutto <strong>teologico</strong> irenico dell'interesse dei Padri<br />

per la <strong>liturgia</strong> 562<br />

3. - Incentramento delle spiegazioni <strong>teologico</strong>-liturgiche dei Padri nel<br />

concetto di Mysterion, Mysterium, Sacramentum 564<br />

Origine e sviluppo del concetto di « mysterion » 565<br />

<strong>Il</strong> significato principale di « mysterion » come appare, per esempio,<br />

in Origene 567<br />

Accettazione e applicazione generale del concetto di « mysterion »<br />

a tutta la <strong>liturgia</strong> del sec. IV anche presso i Siri 570<br />

« Mysterium » e « Sacramentum » presso i latini 571<br />

Riflessi di questa terminologia nelle liturgie 572<br />

La spiegazione teologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> presso i Padri, come spiegazione<br />

dei suoi « misteri » 573<br />

Discriminazione da fare in queste spiegazioni: pregi e imperfezioni 574<br />

4. - La questione dell'autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e il suo uso polemico presso<br />

i Padri 577<br />

Le controversie nelle quali il ricorso alla <strong>liturgia</strong> fu notevole 577<br />

Unione del pensiero dei Padri tra autorità <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> e sua apostolicità<br />

e universalità. Indeterminazioni in questo campo 580<br />

5. - L'ideale <strong>della</strong> teologia come gnosi, ultima radice <strong>della</strong> posizione<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nella teologia dei Padri. Aspetti positivi e aspetti<br />

negativi 585<br />

Cenno sull'origine e la natura dell'ideale <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> gnosi 585<br />

Conie la <strong>liturgia</strong> entri nel quadro <strong>della</strong> teologia come gnosi. Pregi<br />

e difetti 588<br />

CAPITOLO XX. - Suggerimenti per l'inclusione sistematica dell'aspetto <strong>teologico</strong>-liturgico<br />

nelle singole questioni di teologia sintetica<br />

generale 591<br />

1. - Note teoriche sul concetto di teologia 591<br />

Si deve prendere come base il concetto di teologia come scienza 592<br />

Bisogna includere come parte integrale nella teologia come scienza<br />

non solo l'indagine dell'aspetto entitativo ma anche quella dell'aspetto<br />

empirico storico avente valore scientifico già per se<br />

stessa 593<br />

2. - Posto generale dell'elaborazione dell'aspetto liturgico nell'indagine<br />

teologica così concepita 596<br />

Differenza <strong>della</strong> posizione positivo-scolastica, patristica 596<br />

L'opposizione 597<br />

3. - L'aspetto liturgico dei singoli trattati di teologia generale 599


Pag.<br />

4. - Osservazioni sui programmi e l'insegnamento <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> nei seminari<br />

e nelle facoltà teologiche 602<br />

Lo stato di fatto 602<br />

Conseguenze dell'unità del sapere <strong>teologico</strong> e in specie dell'unità<br />

<strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> teologica con la teologia sintetica generale e la<br />

scrittura 603<br />

Relazione reciproca e dosatura rispettiva dell'aspetto storico giuridico,<br />

<strong>teologico</strong>, ascetico, mistico e pastorale in un'iniziazione<br />

generale integra alla <strong>liturgia</strong> 605<br />

PARTE V<br />

LITURGIA E VITA<br />

CAPITOLO XXI. - Liturgia e spiritualità 611<br />

1. - La spiritualità e le spiritualità 611<br />

La nozione di spiritualità 612<br />

Diverse spiritualità in seno al cattolicesimo 515<br />

Conclusione 623<br />

2. - Nozione e caratteristiche generali <strong>della</strong> spiritualità liturgica 624<br />

Nozione 624<br />

Alcune caratteristiche generali <strong>della</strong> spiritualità liturgica considerate<br />

nell'azione liturgica stessa 627<br />

Spiritualità liturgica e forme extraliturgiche di pietà 632<br />

Spiritualità liturgica e attività extraliturgiche 634<br />

Spiritualità liturgica una tra le tante scuole di spiritualità 637<br />

Spiritualità liturgica spiritualità benedettina? 641<br />

3. - Lo sforzo ascetico nella tendenza alla perfezione e la spiritualità<br />

liturgica 644<br />

La spiritualità liturgica e lo sforzo ascetico in genere 645<br />

II valore di mediazione discorsiva incluso nell'azione liturgica 646<br />

Obiezioni e risposte 650<br />

La meditazione discorsiva fuori dell'azione liturgica in clima di<br />

spiritualità liturgica 654<br />

Esercizi spirituali in clima di spiritualità liturgica 656<br />

Spiritualità liturgica ed esercizio operoso delle virtà teologali e morali 656<br />

Conclusione 668<br />

4. - Vita mistica e spiritualità liturgica 670<br />

Richiamo di alcuni punti di dottrina intorno alla vita mistica 670<br />

La questione 671<br />

Un testo di Cassiano 674<br />

La testimonianza <strong>della</strong> Venerabile Maria dell'Incarnazione, orsolina 679<br />

Liturgia e orazione di quiete 685<br />

Perché esperienza mistica e partecipazione attiva all'azione liturgica<br />

vanno ottimamente insieme 688<br />

Contemplazione nella <strong>liturgia</strong> e contemplazione fuori <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 690<br />

Conclusione su <strong>liturgia</strong> e mistica _ 692<br />

Conclusione del capitolo : spiritualità liturgica e aspirazioni odierne 693<br />

CAPITOLO XXII. - L'esempio di una mistica: S. Gertrude e la spiritualità<br />

liturgica ' 696<br />

1. - Premesse 697<br />

Liturgia e spiritualità nelle opere di S. Gertrude in genere 697<br />

Senso e valore che Gertrude dava alle sue visioni immaginative 698


Pag.<br />

Espressioni ed immagini di vita nuziale 703<br />

Quadro <strong>della</strong> vita esterna di Gertrude 704<br />

2. - Purificazione, esercizio delle virtù e vita liturgica di Gertrude 706<br />

In genere 706<br />

La « compunctio » 707<br />

Purificazione da tendenze meno buone 709<br />

Forza purificatrice <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 712<br />

Sforzo ascetico e coscienza <strong>della</strong> grazia. La « suppletio » 713<br />

Amore come incessante omaggio di lode e di ringraziamento 714<br />

3. - L'attenzione vitale relativa data ai diversi dogmi <strong>della</strong> fede e la<br />

vita liturgica di Gertrude 715<br />

La trinità 716<br />

Cristo mediatore 718<br />

Liturgia celeste 719<br />

L'unitotalità del cosmo 720<br />

La Messa 727<br />

4. - Vita mistica e vita liturgica in Gertrude 728<br />

Vita mistica: aspetto principale in Gertrude 728<br />

Grazie mistiche senza tensioni psicologiche o sfasamenti con la<br />

vita liturgica 730<br />

Principali grazie mistiche ricevute da Gertrude nell'azione liturgica<br />

stessa o in connessione con essa 731<br />

La lezione di Gertrude intorno ai rapporti tra vita mistica e vita<br />

liturgica 741<br />

5. - Preghiera extraliturgica, meditazioni, devozioni e spirito <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong><br />

in Gertrude 742<br />

Ut devotio illius concordaret cum offìciis Ecclesia; 743<br />

Esercizi di S. Gertrude e <strong>liturgia</strong> 743<br />

Le devozioni e la <strong>liturgia</strong> in Gertrude 746<br />

La devozione all'umanità di nostro Signore in genere 747<br />

La devozione al S. Cuore in specie 748<br />

Devozione alle membra, alle piaghe, alla Passione di Nostro Signore 750<br />

Conclusione 752<br />

CAPITOLO XXIII. - Liturgia e pastorale. I principi 753<br />

1. - Dalla nozione di pastorale in genere 754<br />

Definizione <strong>della</strong> pastorale 754<br />

La pastorale come arte 754<br />

<strong>Il</strong> popolo oggetto <strong>della</strong> pastorale 756<br />

2. - L'unione tra pastorale e <strong>liturgia</strong> 759<br />

La <strong>liturgia</strong>, per sua natura, centro, meta e fonte <strong>della</strong> pastorale 760<br />

Obiezione 764<br />

Efficacia psicologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> sotto l'aspetto pastorale 770<br />

Valore missionario <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> 771<br />

Liturgia ed ecumenismo 776<br />

La pastorale liturgica caratteristica <strong>della</strong> fase attuale del movimento<br />

liturgico 781<br />

3. - La partecipazione attiva plenaria meta <strong>della</strong> pastorale liturgica 783<br />

Partecipazione plenaria esterna ed interna 784<br />

Attiva 784<br />

Comunitaria 785<br />

Gerarchicamente strutturata 787<br />

Di tutto il popolo 788<br />

Convergente nella diocesi e nella parrocchia 789


pag.<br />

4. - Tre presupposti e due direttrici generali di lavoro <strong>della</strong> pastorale<br />

liturgica 792<br />

Formazione del Clero 792<br />

Chiara diagnosi del popolo 794<br />

Progressività 795<br />

Elevare il popolo alla <strong>liturgia</strong> 796<br />

Portare la <strong>liturgia</strong> al popolo 798<br />

CAPITOLO XXIV. - Cenni sui mezzi <strong>della</strong> pastorale liturgica. In specie, predicazione,<br />

e <strong>liturgia</strong>, catechismo e <strong>liturgia</strong> 799<br />

1. - Premessa: L'iniziazione alla <strong>liturgia</strong> 799<br />

2. - Predicazione e <strong>liturgia</strong> 802<br />

Nozione <strong>della</strong> predicazione 803<br />

Predicazione come mysterium. La predicazione tra i sacramentali<br />

e i sacramenti? 804<br />

Carattere profetico <strong>della</strong> predicazione 808<br />

Contenuto <strong>della</strong> predicazione: storia sacra, mistero di Cristo oggetto<br />

centrale <strong>della</strong> predicazione 809<br />

Storia sacra, mistero di Cristo oggetto centrale <strong>della</strong> predicazione<br />

per intrinseca necessità di natura <strong>della</strong> predicazione stessa 811<br />

Storia sacra mistero di Cristo e gli odierni desiderata intorno a un<br />

ravvivamento <strong>della</strong> predicazione 819<br />

Intima unità in genere tra la predicazione e <strong>liturgia</strong> ' 823<br />

La somma attuazione <strong>della</strong> predicazione quando è parte integrante<br />

dell'azione liturgica o l'omelia 826<br />

<strong>Il</strong> contenuto <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong> come contenuto <strong>della</strong> predicazione 827<br />

3. - Catechismo e <strong>liturgia</strong> 830<br />

La questione odierna del catechismo 830<br />

Soluzione <strong>della</strong> questione del catechismo per suo incentramento<br />

nella storia sacra del mistero di Cristo e così per intima unità tra<br />

catechismo e <strong>liturgia</strong> 832<br />

Esempio del nuovo catechismo tedesco 834<br />

Epilogo 840<br />

Indice dei nomi 845<br />

Indice analitico 855


Stampato nella Pia Società S. Paolo<br />

Via Alessandro Severo, 56 - Roma<br />

Luglio 1965


Collana THEOLOGICA<br />

Bartmann<br />

<strong>TEOLOGIA</strong> DOGMATICA<br />

Voi. I, pp. 565 - L. 2000; voi. II, pp. 667<br />

L. 3000; voi. <strong>Il</strong>i, pp. 601 - L. 3000; volume<br />

unico in carta india, pp. 1821 - L. 8500.<br />

Falco»<br />

MANUALE DI APOLOGETICA<br />

pp. 574 - L. 2500.<br />

Joyce<br />

IL MATRIMONIO CRISTIANO<br />

pp. 603 - L. 2300.<br />

Llamera<br />

<strong>TEOLOGIA</strong> DI S. GIUSEPPE<br />

pp. 345 - L. 1500.<br />

Lortz<br />

STORIA DELLA CHIESA nello sviluppo<br />

delle sue idee<br />

pp. 485 - L. 2200.<br />

Mausbacb-Ermecke<br />

<strong>TEOLOGIA</strong> MORALE<br />

3 voli. - L. 2000 ciascuno; volume unico in<br />

carta india - L. 7000.<br />

Most<br />

NOVUM TENTAMEN AD SOLUTIONEM<br />

DE GRATIA ET PRiEDESTINATIONE<br />

pp. 487 - L. 3500<br />

Ridder<br />

MANUALE DI STORIA ECCLESIASTICA<br />

pp. 665 - L. 3000.<br />

Schedi<br />

STORIA DEL VECCHIO TESTAMENTO<br />

4 voli. - L. 2700 ciascuno.<br />

Scburr<br />

CURA D'ANIME IN UN MONDO NUOVO<br />

pp. 358 - L. 2000.<br />

Specialisti<br />

SOMMA DEL CRISTIANESIMO<br />

2 voli, di pp. 3100 - L. 15.000.<br />

ENCICLOPEDIA MODERNA DEL CRI­<br />

STIANESIMO<br />

Quattro volumi di 4193 pagine complessive<br />

- L. 40.000.<br />

<strong>Vagaggini</strong><br />

IL SENSO TEOLOGICO DELLA<br />

LITURGIA

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!