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TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

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PREFAZIONE 11<br />

L'interesse per la penetrazione propriamente teologica <strong>della</strong><br />

<strong>liturgia</strong> cominciò a svegliarsi in modo più notevole solo pochi anni<br />

prima del concilio. Comunque, nel concilio stesso, la considerazione<br />

teologica <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, pur non intesa per se stessa, appare ovunque<br />

come la radice dalla quale, nel quadro di un concetto integrale delta<br />

realtà liturgica, s'illuminano le norme pastorali e quelle <strong>della</strong><br />

riforma.<br />

Ed è normale che sia così. È anzi necessario; non bisogna stancarsi<br />

di ripeterlo anche oggi, dopo il concilio, mentre siamo in piena<br />

euforia di riforme. Guai se si dimenticasse che queste riforme, per<br />

quanto importanti, non possono essere che uno strumento per facilitare<br />

il raggiungimento dello scopo <strong>della</strong> pastorale liturgica. Uno<br />

strumento che non è nemmeno il più decisivo sulla via verso la meta.<br />

Se il fine <strong>della</strong> pastorale liturgica è di ricondurre la <strong>liturgia</strong>, e nella<br />

titurgia, Cristo stesso, al popolo e il popolo alla <strong>liturgia</strong>, e così a<br />

Cristo, il mezzo decisivo sarà sempre quello <strong>della</strong> comprensione,<br />

meglio <strong>della</strong> penetrazione vitale, dell'anima del mondo liturgico.<br />

La riforma di struttura, di lingua, di canto, la creazione stessa<br />

di nuove forme liturgiche non possono essere che un aiuto, importante<br />

quanto si vuole, ma solo un aiuto per fare penetrare il popolo<br />

nel cuore del mondo <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>. Che quest'aiuto non sia decisivo<br />

l'aveva compreso molto bene quel sacerdote francese, il quale, in<br />

una discussione intorno alla lingua liturgica, osservò : « la <strong>liturgia</strong>,<br />

sia fatta in latino o sia fata in francese, per il mio popolo sarà sempre<br />

in ebraico! ».<br />

E anche oggi, dopo il concilio, la <strong>liturgia</strong>, felicemente ormai quasi<br />

tutta nella tingua materna, rimane sostanzialmente « in ebraico »,<br />

non solo per il popolo ma anche per il clero. E se il clero per primo<br />

non impara bene quest'ebraico e non lo spiega al popolo, la cristianizzazione<br />

del mondo non avrà guadagnato gran che dalla riforma<br />

liturgica.<br />

L'ebraico qui significa: il pensiero <strong>teologico</strong> <strong>della</strong> <strong>liturgia</strong>, non<br />

separato, naturalmente, dal pensiero biblico e spirituale. Solo una<br />

<strong>liturgia</strong> teologica, considerando la realtà liturgica alla luce dei suoi<br />

ultimi princìpi nel quadro <strong>della</strong> visione del mondo data dalla rivelazione<br />

e studiata dalla teologia generale, arriva al midollo del pensiero<br />

liturgico. Essa è quindi l'unica solida base di una spiritualità<br />

liturgica come di una pastorale liturgica.<br />

È da augurarsi che siano assai più numerosi di quanto lo sono<br />

stati fin qui i teologi che si occupino di <strong>liturgia</strong> e i liturgisti che<br />

si occupino di teologia. Se questo si verificherà su scala notevole<br />

ne deriverà grande profitto non solo alla <strong>liturgia</strong> e al movimento<br />

liturgico, ma anche alla stessa teologia.<br />

Per quanto riguarda poi l'insegnamento programmatico <strong>della</strong><br />

numero di saggi particolari, ai quali ci riferiremo nel corso di questo studio.<br />

Comunque, in fatto di teologia liturgica, si ha l'impressione che, assai spesso,<br />

più che scendere nella ricerca tecnica e sistematica, base necessaria di ogni<br />

lavoro in profondità, ci si sia accontentati di saggi sporadici e di larga divulgazione.

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