TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

CULTO NELL'ANTICA LEGGE 543
spetta al significato morale, sia rispetto allo stato di futura gloria,
in quanto vi siamo introdotti per Cristo, ciò che spetta al significato
anagogico » (I-II q 102 a 2).
Così, i precetti cerimoniali dell'antica legge avevano un significato
rispetto ad una realtà presente, che era quella delle disposizioni
d'animo interne in cui consisteva il culto a Dio, comprendenti
l'allontanamento dal culto idolatrico e l'idea dell'eccellenza divina;
un significato rispetto ad una realtà passata, che erano i benefici
di Dio allora ricordati; un significato rispetto a una realtà futura
che si suddivideva a sua volta in un triplice oggetto: Cristo stesso
e la Chiesa, i costumi morali del popolo cristiano, la gloria futura
finale. Sebbene tutto questo sia qui espresso da S. Tommaso in
un modo alquanto involuto, per l'influsso della terminologia patristica
sui diversi sensi della Scrittura, per cui la questione dell'articolo
è « se i precetti cerimoniali abbiano una causa letterale oppure
figurativa soltanto », nondimeno è assai facile riconoscere nelle sue
osservazioni il fondamento di ciò che nella prima parte di questo
lavoro abbiamo chiamato la quadruplice dimensione di significato
di ogni segno liturgico.
Effettivamente, S. Tommaso negli articoli della questione 102
e 103 spiega il senso di tutta la liturgia dell'Antico Testamento secondo
questa falsariga d'innegabile valore teologico, anche se, naturalmente,
nell'assegnare nei particolari i significati figurativi dei
singoli riti, egli cade abbondantemente nelle fantasie allegoriste
d'origine filoniana e giudaica medievale (Mosè Maimonide è spesso
citato in questi articoli) e in alcune d'origine patristica o medievale.
Queste fantasie, come si sa, derivano dalla contaminazione del concetto
biblico di tipologia e di figurazione con il concetto ellenistico
di allegoria, e dal fatto che, già in parte i Padri, ma specialmente
i medievali, avevano dimenticato la regola, che abbiamo a suo
luogo spiegata: che, cioè, il significato preciso figurativo del rito
liturgico (e questo vale anche per il rito liturgico dell'antica legge)
è determinato dall'autorità competente che lo ha istituito e lo
spiega attraverso i suoi organi competenti d'espressione (nel caso
dell'Antico Testamento, dalla Scrittura e dalla Chiesa) e non già
dall'arbitrio di un privato qualsiasi.
Comunque, quanto abbiamo detto può bastare per convincerci
dell'esistenza, nella teologia sintetica di S. Tommaso, dei princìpi
essenziali che possono servire di base alla costruzione di una teologia
liturgica fondamentale, specialmente del concetto base del rito
liturgico come segno dalla quadruplice dimensione della santificazione
e del culto.
Che S. Tommaso, oltre la visione teoretica dei princìpi teologici
fondamentali intorno alla natura della liturgia, abbia avuto un senso
e come un istinto liturgico tradizionale sano e finissimo, ce lo
dimostra con evidenza la messa e l'ufficiatura della festa del Corpus
Domini se, come si ritiene, sono sua opera e nella quale è notevole,
tra le altre cose, il senso simbolico realista o delle varie
dimensioni del segno liturgico.