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TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

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TRASVERBERAZIONE<br />

<strong>Il</strong> fatto avvenne non tanto prima <strong>della</strong> morte di Gertrude. E da<br />

esso il desiderio <strong>della</strong> morte, che già prima aveva fortissimo, andò<br />

in lei aumentando grandemente 3 -\ È troppo noto nella vita di<br />

S. Teresa d'Avila il fatto <strong>della</strong> sua trasverberazione nonché la descrizione<br />

e le spiegazioni che essa, a questo proposito, dà del fenomeno<br />

mistico <strong>della</strong> trafitta d'amore 12e , perché sia necessario insistere.<br />

S. Teresa, nella graduazione che, secondo la sua personale esperienza,<br />

pone tra i diversi gradi di unione e contemplazione mistica,<br />

pone quello <strong>della</strong> trafitta d'amore immediatamente prima del sommo<br />

grado o matrimonio spirituale. Ma non è necessario che indichi proprio<br />

questo preciso grado.<br />

In Gertrude si verificò pure il fenomeno mistico detto scambio<br />

dei cuori 127 , che consiste essenzialmente in una profonda trasforma-<br />

'-> Vedi, per es„ V 23 ss; I 10 p. 30 s.<br />

126 Ecco l'essenziale <strong>della</strong> relazione che Teresa ne dà nella sua Vita: «Mi<br />

sentivo morire dal desiderio di vedere Iddio: Egli era la mia vita e non lo<br />

sapevo trovare in nessun altro luogo che attraverso la morte. I trasporti di<br />

quest'amore... erano tali però da non saper più cosa fare; non v'era più nulla<br />

che mi potesse appagare, non capivo più in me e mi sembrava veramente che<br />

l'anima venisse divelta dal corpo... I trasporti di cui parlo... sono totalmente<br />

diversi da quelli che provengono da devozione sensibile... L'anima si duole per<br />

l'assenza di Dio, ma non è essa che se ne procura la pena la quale le viene<br />

causata da una certa saetta che di quando in quando le penetra il cuore e le<br />

viscere così al vivo da lasciarla come incapace di fare e di volere alcuna cosa.<br />

In tale stato intanto comprende assai bene di non voler altri che Dio, e le pare<br />

che il dardo da cui è ferita, sia temprato col sugo di un'erba che la spinga ad<br />

odiare se stessa e ad amare il Signore, per amore del quale farebbe ben volentieri<br />

anche il sacrificio <strong>della</strong> vita. <strong>Il</strong> modo con cui Dio fa nelle anime tali ferite<br />

è inesprimibile e non si può dichiarare. Quelle ferite producono un tal tormento<br />

che mentre è così vivo da lasciar l'anima come fuori di sé, è insieme tanto<br />

dolce da non poter essere paragonato con nessun piacere <strong>della</strong> terra. E per<br />

questo, come ho detto, l'anima vorrebbe star sempre morendo per la forza di<br />

un tal male... Quante volte, allorché mi trovo in questo stato, mi viene in mente<br />

il passo di David: Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarwn! Mi sembra<br />

allora che questo versetto si realizzi in me letteralmente. L'anima, intanto<br />

non sapendo far altro, va in cerca di qualche rimedio, e quando quel favore<br />

non è accompagnato da grande violenza, sembra che possa mitigare alquanto<br />

il suo tormento mediante alcune penitenze... Ma quel primo tormento è troppo<br />

grande... <strong>Il</strong> suo rimedio non sta qui. Le medicine <strong>della</strong> terra sono troppo basse<br />

e non possono guarire un male che è tanto sublime. Per poterlo alquanto mitigare<br />

e renderlo un po' più sopportabile, non v'è che da domandare il rimedio<br />

a Dio stesso. Ma l'anima, fuor <strong>della</strong> morte, non ne vede nessun altro; ed è soltanto<br />

per la morte ch'ella pensa di goder totalmente del suo Bene... Mentre<br />

stavo in questo stato, piacque a Dio di favorirmi a più riprese <strong>della</strong> seguente<br />

visione. Vedevo un angelo presso di me, al lato sinistro, un angelo sotto forma<br />

corporea... Quel cherubino, dunque, teneva in mano un lungo dardo d'oro sulla<br />

cui punta di ferro sembrava portare un po' di fuoco. Mi parve che me lo configgesse<br />

varie volte nel cuore, cacciandomelo dentro fino alle viscere che poi<br />

mi strappava fuori quando ritirava il dardo, lasciandomi ravvolta in una fornace<br />

di amore. Lo spasimo di quella ferita era così vivo che mi faceva uscire<br />

in quei gemiti di cui ho parlato più sopra, ma era insieme di una così grande<br />

soavità da impedirmi di desiderarne la fine e di cercar altra soddisfazione fuori<br />

di Dio... Tra l'anima e Dio passa allora un soavissimo idillio ». Vita 29, 8 s. Vedi<br />

un riassunto nello stesso <strong>senso</strong> in Castello VI 2, 2.<br />

12T Vedi, per es., Dict de spiritualité, s. v. Cceurs (échange de), 2 (1953)<br />

1046 ss.<br />

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