TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

542 CAP. XVIII - TEOLOGIA E LITURGIA IN S. TOMMASO
agli scolastici, e in specie a S. Tommaso, di realizzare il notevolissimo
e necessario progresso di determinare esattamente quello
che, fra tutti i riti liturgici in genere, distingue specificamente i sette
riti maggiori ed è loro proprio, specialmente rispetto alla loro istituzione,
alla loro efficacia e alla loro necessità. La teologia conquistò
così la coscienza riflessa e analitica della nostra distinzione, nel
seno del complesso liturgico, tra sacramenti da una parte, e dall'altra
sacramentali, riti liturgici e preghiera liturgica, distinzione
che è di capitale importanza nello studio teologico della liturgia,
come si è potuto vedere nella prima parte, mentre nella teologia
precedente era rimasta ancora troppo indeterminata.
Che poi i grandi concetti sopra recensiti e messi da S. Tommaso
alla base della sua teologia dei sette sacramenti, mediante
un opportuno e necessario allargamento e perfezionamento, richiesto
dalla natura stessa delle cose, possano e debbano applicarsi
a tutta la liturgia, salvo il modo speciale in cui essi si verificano
nei sette sacramenti, lo abbiamo mostrato nella prima parte di questo
lavoro.
Teologia del culto della legge antica
Un esempio tipico che, nella mente stessa di S. Tommaso,
questi concetti, salve le differenze che richiede la materia nei singoli
casi, ammettono un allargamento al di là della sfera ristretta
dei sette sacramenti, si tia nel suo trattato sul significato teologico
del culto dell'antica legge (III q 101-103), specialmente a proposito
del significato dei segni rituali della liturgia dell'Antico Testamento
(q 102). Qui S. Tommaso non solo applica a tutti i segni rituali
dell'antica legge il principio da lui espresso a proposito del significato
dei segni sacramentali della nuova: che, cioè, questi segni
hanno un valore dimostrativo di una realtà spirituale presente,
un valore rimemorativo di una realtà passata e un valore preannunziativo
di una realtà futura, (III q 60 a 3), ma, con terminologia
un po' diversa e derivata più direttamente dall'antica tradizione
patristica, precisa i particolari delle singole parti.
« Il fine dei precetti cerimoniali è doppio : erano infatti ordinati
al culto di Dio, per quel tempo, ed a figurare Cristo... Dunque
le ragioni dei precetti cerimoniali dell'antica legge si ricavano da
una doppia considerazione: la prima, dal motivo del culto divino
che si doveva allora osservare. Questo genere di ragioni l'indica
la lettera stessa della Scrittura e sono dirette sia ad evitare il culto
idolatrico, sia a ricordare alcuni benefici di Dio, sia ad inculcare
l'eccellenza divina o anche ad esprimere la disposizione della mente
che allora si richiedeva nei cultori di Dio. La seconda considerazione
atta a indicare le ragioni delle leggi cerimoniali è in quanto sono
ordinate a figurare Cristo. Così queste ragioni sono figurali e
mistiche, sia rispetto a Cristo stesso e alla Chiesa, ciò che spetta
all'allegoria; sia rispetto ai costumi del popolo cristiano, ciò che