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TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

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148 CAP. IV - LITURGIA, SANTIFICAZIONE, CULTO<br />

l'uomo è essere sociale e anche come tale, dunque in società, deve<br />

rendere a Dio il culto che è a Lui debito; ma senza l'esteriorizzazione<br />

del culto non c'è culto sociale.<br />

La struttura connaturale del culto come risposta dell'uomo a<br />

Dio, fatta d'animo interno che si concretizza anche esteriormente,<br />

corrisponde quindi perfettamente alla connaturale struttura <strong>della</strong><br />

santificazione come discesa di Dio nell'uomo fatta di vita divina comunicata<br />

all'uomo attraverso cose anche materiali e sensibili. È sempre<br />

la legge dell'incarnazione che presiede all'incontro tra l'uomo e Dio.<br />

Nel culto interiore a Dio non si può mai peccare per eccesso,<br />

che anzi, in questo, tutto quello che l'uomo farà sarà sempre inferiore<br />

a quello che egli sarebbe in debito di fare verso Dio come<br />

suo sommo creatore, governatore e fine. Infatti, l'eccellenza di Dio,<br />

a cui nel culto si rende omaggio, eccede ogni misura, e dunque la<br />

creatura non potrà mai onorarla tanto quanto è degna di essere<br />

onorata.<br />

Gli atti esterni del culto sono invece regolati dalla prudenza.<br />

Vuol dire che, in questi, si può peccare non solo per difetto, ma<br />

anche per eccesso o per imponderatezza nelle circostanze di modo,<br />

di quantità, di tempo. Però nel culto pubblico soprannaturale regolato<br />

dalla Chiesa, non si può peccare per eccesso nell'osservanza<br />

degli atti anche esterni che la Chiesa impone come obbligatori.<br />

Invece riguardo agli atti esterni di culto approvati dalla Chiesa,<br />

ma non imposti come obbligatori, in ognuno deve intervenire la<br />

prudenza per osservare la giusta misura secondo le circostanze di<br />

persone, di luogo e di tempo. Questa osservazione ha non piccola<br />

importanza nelle questioni dei rapporti tra <strong>liturgia</strong> e spiritualità, <strong>liturgia</strong><br />

e pastorale.<br />

Considerando l'uomo come essere sociale, il suo culto si divide<br />

in culto privato e in culto pubblico. <strong>Il</strong> culto privato può essere<br />

o solo interno o interno ed esterno nello stesso tempo. Non vi<br />

è vero culto che sia solo esterno. Quello pubblico è nello stesso<br />

tempo interno ed esterno, dato che l'uomo non comunica con gli<br />

altri uomini x ché attraverso l'esterno. <strong>Il</strong> culto pubblico ufficiale è<br />

quello reso\ dalla società come tale, ossia dagli uomini in quanto<br />

corpo sociale strutturato in gerarchia. Ma gli uomini sono corpo<br />

sociale formalmente in quanto i singoli individui dipendono, in<br />

quello che riguarda il fine <strong>della</strong> società, dall'autorità che li informa,<br />

li dirige, li rappresenta ed agisce a loro nome. Così il culto pubblico<br />

ufficiale è solo quello che è riconosciuto dalla legittima autorità<br />

come culto <strong>della</strong> società, ordinato e reso da essa, come forma e<br />

rappresentante di tutto il corpo sociale.<br />

La legittimità, anzi la necessità, di un culto pubblico per l'uomo<br />

in genere, deriva dalla sua natura sociale, per cui egli non nasce,<br />

non sussiste, non si sviluppa e non raggiunge la sua perfezione,<br />

sotto qualsiasi aspetto, se non in società come membro di un<br />

corpo strutturato da un'autorità. Dunque, in qualche modo, anche<br />

come essere sociale e membro di un corpo socialmente strutturato,

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