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TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

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MESSA AZIONE COMUNITARIA 279<br />

fora: solo il vescovo, o il presbitero che ne fa le veci, ha, tra tutti,<br />

il diritto di dirla. Solo egli consacra le oblate dicendo questa grande<br />

eucaristia. In essa egli ripete quello che fece Cristo, in sua vece<br />

e come suo rappresentante. Eppure anche in essa non è separato<br />

dal popolo che appunto per questo risponde l'Amen finale. Anche<br />

nella comunione colui che riceve il corpo e il sangue di Cristo dal<br />

Vescovo o dai diaconi, alla formula relativa, da questi recitata,<br />

risponde: Amen.<br />

<strong>Il</strong> popolo è intorno all'altare; il quale non è relegato in una<br />

parte lontana <strong>della</strong> chiesa lungi dagli assistenti che possono vedere<br />

solo da lontano, e malamente, quello che sopra vi si fa. Tanto meno<br />

l'altare viene nascosto al popolo.<br />

Non si concepisce l'assistenza alla messa senza la comunione.<br />

Chi assiste, comunica, perché la comunione è, essenzialmente, e<br />

nel <strong>senso</strong> più profondo, il rito di partecipazione al convivio sacrificale.<br />

Infatti, ha qualcosa di strano il modo di « partecipare » a<br />

una cena comune sacrificale alla quale si è invitati, o a un sacrifìcio<br />

conviviale, come è appunto la messa, se si viene solo a vedere gli<br />

altri mangiare. Agli assenti impediti di assistere si porta la comunione,<br />

appunto perché possano partecipare al sacrificio compiuto 23 .<br />

Nel corsa del terzo secolo appare il rito dell'offertorio di tutto<br />

il popolo: il popolo offre al sacerdote la materia del sacrificio che<br />

questi consacrerà. Si accentua così fortemente il carattere comunitario<br />

dell'azione eucaristica: tutti offrono e tutti comunicano<br />

sebbene solo il sacerdote consacri. Tale prassi si mantenne in<br />

occidente fino al secolo XI e anche dopo M .<br />

Altra magnifica espressione del carattere comunitario <strong>della</strong><br />

messa è l'uso romano (e anche di altri vescovi) del fermentum per<br />

cui il Papa, nei giorni festivi, in segno di comunione, mandava ai<br />

sacerdoti parroci di Roma e ai vescovi suburbicari, una particella<br />

del pane da lui consacrato nella messa solenne, particella che poi,<br />

quei parroci e vescovi, versavano nel calice del sacrificio da loro<br />

stessi celebrato. A Roma l'uso si mantenne fino al secolo IX 25 .<br />

Chi non fa parte <strong>della</strong> comunità ecclesiale non può assistere<br />

alla messa. La messa è l'atto per eccellenza Sed esclusivo <strong>della</strong><br />

comunità ecclesiale.<br />

Azione essenzialmente comunitaria, la messa rimane sempre<br />

un'azione differenziata nella quale ognuno aveva la sua funzione<br />

specifica. Azione di tutti, ma in modo diverso. Clemente romano<br />

ebbe a reagire in questo <strong>senso</strong> contro disordini <strong>della</strong> comunità di<br />

Corinto : « Dobbiamo fare con ordine tutto ciò che il Signore ci<br />

prescrisse di compiere nei tempi stabiliti. Egli ci prescrisse di<br />

compiere le offerte e i servizi sacri (leitourgias); e non già a caso<br />

e senz'ordine, ma nei tempi e nelle ore determinate. Ed Egli stesso,<br />

con la sua sovrana volontà, determinò dove e da chi vuole che<br />

23 Vedi GIUSTINO, Apol. I 65.<br />

2« Vedi RIGHETTI, IH 248 ss.<br />

» Vedi Ibid. p. 404 s.

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