TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

L'INCARNAZIONE IN CRISTO 291
Questa legge determina maggiormente ed accentua con forza
la legge dell'oggettività. Nelle nostre relazioni con Dio, la via per
andare a Lui è cosa talmente oggettiva e normativa del nostro soggetto,
che è di natura umano-divina, sensibile-spirituale, e che il risultato
ne è una vera partecipazione alla natura divina, non solo nel
campo del conoscere e degli affetti, ma dell'essere stesso, che è la
radice del conoscere, del volere e del sentire.
Cristo, Verbo incarnato, uomo-Dio, è il prototipo in cui la predetta
legge si verifica al sommo grado sotto tutti i suoi aspetti. Ed
è naturale che sia così poiché Cristo è il riassunto concreto di tutta
l'economia di Dio verso gli uomini, l'anello di congiunzione tra
l'uomo e Dio. In Lui la natura umana, sin dal primo istante del
suo esistere, è assunta dalla persona divina. È il mistero di quella
unione inaudita che la teologia chiama ipostatica. In Cristo un'integra
natura umana, corpo e anima, è compenetrata dalla persona
divina e come imbevuta della divinità, non solo nell'ordine del conoscere
e del volere, ma più radicalmente ancora, nell'ordine dell'essere.
E la santificazione più reale e più plenaria che sia
possibile a essere creato. È il divino che scende nell'umano e l'umano
che è attratto nel divino nel modo più perfetto che si possa
concepire. È quindi il teandrismo nella sua stessa sorgente e nel
suo massimo prototipo di cui tutte le altre elevazioni all'ordine divino
non potranno essere che imitazioni e partecipazioni 1 .
Ora questa comunicazione in Cristo è un'incarnazione. È vero
che il Verbo divino assunse non solo un corpo umano, ma una.
natura umana integra, anima e corpo. Ma in Cristo, durante la sua
vita mortale, la divinità fu nascosta principalmente sotto il velo
dell'elemento sensibile e materiale del suo corpo. È per questo che
l'incarnazione fu nello stesso tempo la manifestazione plenaria di
Dio nel mondo, l'epifania di Dio 2 , e il suo nascondimento. Nell'uomo-
Dio, Cristo Gesù, Dio si nasconde nello stesso tempo che si manifesta
3 .
Non bastava ai contemporanei di Gesù di Nazareth, guardarlo,
vivere magari accanto a Lui, per vedere in Lui l'uomo Dio. La divinità,
che pur si manifestava in Lui in modo tanto misterioso, non
1 Vedi, per esempio, la magnifica orazione per la festa di Natale nel sacramentario
leoniano : « Omnipotens sempiterne Deus, qui in Domini nostri Jesu
Christi filii tui nativitate tribuisti totius religionis initium perfectionemque constare;
da nobis, quaesumus, in ejus portione censeri, in quo totius satutis humanae
summa consisti! » (n. 1248 ed. Mohlberg. p. 159). Cristo, che appare nel
mondo il giorno della sua nascita, costituisce non solo la fonte iniziale da cui
deriva ogni culto accetto a Dio (religionis initium), ma anche la perfezione massima
di questo culto e di ogni santificazione che Dio fa degli uomini (perfectio;
summa). Per gli altri uomini si tratta solo di essere uniti a Cristo e di parte
cipare alla sua pienezza (in ejus portione censeri).
2 Cfr. Tt 2,11; 3.4.
3 Giustamente Dionigi l'areopagita : « Nell'umanità di Cristo, il Superessenziale
si è manifestato nell'essenza umana, senza pertanto cessare di essere nascosto
dopo questa manifestazione, o, per esprimersi in modo più divino, in
questa manifestazione stessa » (Ep. 3. PG 3, 1069 B).