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TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

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374 CAP. XIII - LE DUE CITTA<br />

in questa prospettiva sarà alterazione <strong>della</strong> « natura », sarà considerato<br />

non « naturale ». I fattori che hanno causato all'origine o<br />

tengono in vita questa alterazione saranno anzitutto considerati sotto<br />

l'aspetto di fattori non « naturali ».<br />

Questa prospettiva non è quella del filosofo, perché nel considerare<br />

la cosa nel suo stato primitivo concreto, quando nasce, essa<br />

non analizza entitativamente ciò che è essenza e ciò che è accidente;<br />

non si pone la questione di sapere quali sono, tra le doti che quella<br />

cosa di fatto possiede, quelle con le quali avrebbe potuto anche non<br />

nascere e quelle senza le quali è assolutamente impossibile che<br />

possa non nascere o possa sussistere in qualsiasi stato del suo<br />

successivo sviluppo.<br />

Orbene, questa prospettiva storico-concreta è la prospettiva<br />

<strong>della</strong> Scrittura e <strong>della</strong> tradizione antica riguardo alla « natura »<br />

dell'uomo e delle cose; a quello che ad esse è « naturale » e a quello<br />

che, invece, va attribuito a fattori fuori <strong>della</strong> cerchia <strong>della</strong> loro<br />

« natura ». Per il Nuovo Testamento e per la tradizione antica, se<br />

qualcosa sopravviene all'uomo o al mondo che sia fuori o contro la<br />

linea dello stato primigenio nel quale si trovavano storicamente e<br />

concretamente parlando quando uscirono dalle mani di Dio, essa,<br />

anche senza l'uso <strong>della</strong> parola « naturale », è considerata come intrusa<br />

e non « naturale » nell'uomo e nel mondo. <strong>Il</strong> Nuovo Testamento<br />

e la tradizione antica vi si interessano a questo solo titolo; la loro<br />

attenzione si porta immediatamente ed unicamente sul fattore che<br />

l'ha causata storicamente e che è estraneo alla « natura » ossia allo<br />

stato primitivo dell'uomo e del mondo.<br />

Questa mentalità storico-concreta regnò quasi incontrastata<br />

nella storia del pensiero cristiano fino al secolo XIII circa, quando,<br />

pian piano, nella considerazione delle cose, e quindi anche nel concetto<br />

di « natura », cominciò ad imporsi l'altra prospettiva, quella<br />

di tipo entitativo filosofico. A partire poi dal secolo XVI, ossia dalle<br />

liti antiprotestanti e antibaianiste, questa seconda prospettiva dovette<br />

essere messa talmente in rilievo contro le predétte eresie che,<br />

non di rado, si ebbe poi difficoltà a capire il punto di vista <strong>della</strong><br />

Scrittura e <strong>della</strong> tradizione antica e specialmente a tener sufficiente<br />

conto di ciò che il punto di vista antico voleva inculcare e giustamente<br />

rivendicare.<br />

<strong>Il</strong> punto di vista filosofico, nel considerare le cose, vuole analizzarle<br />

nella loro struttura metafisica astraendo dalla concretezza di<br />

tempo, di spazio e di individui: distinguere anzitutto in una cosa<br />

ciò che in essa, in ogni stato e condizione di tempo, di spazio e d'individuo,<br />

è necessario e ciò che non lo è, e determinare ogni aspetto<br />

secondo i diversi gradi nella scala dell'essere necessario ed universale.<br />

In questa prospettiva la « natura » di una cosa è la stessa sua<br />

essenza; essenza necessaria, universale, identica in tutti gli individui<br />

<strong>della</strong> stessa specie e stati concreti in cui essi possono trovarsi successivamente<br />

o simultaneamente; e, più precisamente, è l'essenza<br />

di questa cosa in quanto è principio delle sue operazioni specifiche.

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