TEOLOGIA.RELIGIONE. Vagaggini C. - Il senso teologico della liturgia

LITURGIA E OPERE D'APOSTOLATO 767
umana non bisogna per tali individui farla troppo lunga, né troppo
spesso perché diversamente non si otterrebbe il fine intento. Inoltre,
sebbene sia più perfetto per sé fare più spesso possibile la liturgia che
non farla, tuttavia per un Tizio che ha vocazione personale per altre
opere, avviene il contrario; oppure perché la Chiesa si trova in tale
situazione di pericolo e di urgente bisogno è necessario che molti
si dedichino alle opere di apostolato.
In tutto questo niente di straordinario. È ben noto ed inoppugnabile
l'esempio classico, già portato da Aristotele, nel campo profano:
per sua natura, indipendentemente dalle circostanze contingenti,
è più nobile filosofare che spegnere un fuoco; ma, quando, per
circostanza particolare, il fuoco è appiccato alla casa, per tutti quelli
che sono presenti e per la società è più perfetto ed utile spegnere
il fuoco che filosofare. È più perfetto filosofare che mangiare, ma
quando uno ha fame,' per lui è più utile mangiare che filosofare.
È più perfetto ed utile per sé filosofare che costruire una strada, un
ponte, una macchina. Ma quando la società ha bisogno di una strada,
di un ponte, delle macchine, fintanto che dura quella necessità è
più utile costruirle. Per l'uomo in genere è più perfetto filosofare che
lavorare la terra, ma per Tizio, che non ha indole né capacità da filosofo,
è più perfetto ed utile zappare la terra. E così all'infinito.
Dal fatto dunque che si dice che l'azione liturgica, fatta con carità,
è, per sé, più nobile ed utile alla Chiesa che le altre opere di
apostolato, non segue affatto che, praticamente, nella Chiesa, debbano
essere più numerosi, o anche che debbano necessariamente essere
molto numerosi, coloro che all'azione liturgica dedicano anche la
parte quantitativamente maggiore del tempo; tanto meno che nella
società ecclesiale si possa trascurare le opere di apostolato di ogni
genere secondo i bisogni concreti nei quali si trova la Chiesa. Come
per il fatto inoppugnabile che, per sé, filosofare è più nobile di qualsiasi
altra azione umana nel campo naturale, non segue affatto che
nella società, come è concretamente, ci debbano essere più filosofi
che agricoltori, o muratori, o ingegneri, o medici, o militari. Eppure,
per il fatto che, a causa delle circostanze concrete nelle quali si trova
l'umana società, è inevitabile e necessario che, in una società bene
ordinata, gli agricoltori, gli ingegneri, i medici siano assai più numerosi
dei filosofi, non si fa alcun torto a quei primi lavoratori o professionisti
affermando fortemente che, tuttavia, il filosofare è più nobile
che coltivare i campi o costruire case.
Si dirà forse che, se l'utilità della Chiesa, per via di fatto, nella
società come è concretamente, richiede che il numero di coloro che
dedicano la maggior parte del tempo alle opere di apostolato anziché
alla liturgia, sia grande o anche maggiore, non vale la pena insistere
sulla superiorità per sé dell'azione liturgica. Non mancherà anzi chi,
infetto dal vecchio nominalismo, che tanto spesso, oggi, si dà aria
di grande novità sotto le mentite spoglie di esistenzialismo, dirà che
i « per sé » sono astrazioni che non toccano la realtà delle cose.
È un errore. Anzitutto il fatto che, per sé, l'azione liturgica è la
cosa più nobile e utile, assegna alle altre operosità della Chiesa il