Renzo Lodoli - La Repubblica
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DOMENICA 14 MAGGIO 2006<br />
LA VITA<br />
L’INFANZIA<br />
Nasce fra il 1155<br />
e il 1167. Il padre,<br />
capo della tribù<br />
mongola dei Kiyad<br />
lo chiama Temujin,<br />
come un nemico<br />
ucciso in battaglia<br />
UN’ARMATA MULTICULTURALE<br />
Nella foto grande, un’immagine dal film “Gengis khan”, del 2004<br />
Nella cartina, i confini dell’impero più vasto della storia<br />
Qui sopra, una stampa dell’epoca raffigurante Gengis khan<br />
e, sotto, un guerriero del suo esercito<br />
L’ASCESA<br />
Nel 1206, fonda<br />
l’Impero Mongolo<br />
e viene proclamato<br />
Gran khan<br />
dei mongoli col titolo<br />
di Gengis khan, cioè<br />
sovrano oceanico<br />
LE CONQUISTE<br />
Nel 1221 avvia<br />
il grande progetto<br />
di conquista di Cina,<br />
Asia centrale<br />
ed Europa orientale<br />
per avere l’impero<br />
più grande della storia<br />
garantirsi la lealtà dei popoli sottomessi<br />
Gengis e i suoi familiari sposarono<br />
un’infinità di principessine asiatiche.<br />
Ricorsero al matrimonio per legare al<br />
khanato monarchie e capitribù.<br />
Il problema costante dei khan, infatti,<br />
fu la difficoltà di esercitare il proprio<br />
dominio su un territorio immenso con<br />
truppe numericamente esigue. Queste<br />
avevano sui nemici l’enorme vantaggio<br />
strategico che derivava dai cavalli, i leggeri<br />
cavallini mongoli che non affondano<br />
nella neve; e soprattutto dall’arco<br />
composito, costruito assemblando legno<br />
ed osso, le cui frecce hanno gittata<br />
e forza d’impatto maggiori dell’arco<br />
tradizionale. Inoltre i mongoli erano<br />
cavalieri impareggiabili sia nella tecnica<br />
individuale sia nelle manovre, come<br />
dimostravano nell’attività da cui trassero<br />
i loro schemi tattici, la caccia al lupo.<br />
Ma i soldati dell’esercito mongolo<br />
non raggiungevano neppure i centomila,<br />
e quelli di cui il khan poteva fidarsi<br />
ciecamente erano anche meno. Pochissimi<br />
per controllare un territorio che<br />
per alcuni anni spaziò dalla Cina all’Ungheria,<br />
la più vasta estensione mai<br />
raggiunta da un impero.<br />
Questa sproporzione potrebbe spiegare<br />
anche il terribile paradosso mongolo<br />
per il quale Gengis e la sua famiglia<br />
furono estremi non solo nel procreare<br />
ma anche nello sterminare, nel dare la<br />
vita come nel dare la morte. <strong>La</strong> loro frenesia<br />
riproduttiva, biologica, fu l’altra<br />
faccia d’una frenesia di uccidere che<br />
non ha eguali nella storia umana. Sommando<br />
le cronache redatte da persiani,<br />
cristiani, cinesi e arabi, si ricava che i<br />
mongoli sterminarono dieci milioni<br />
d’umani in un mondo allora spopolato.<br />
Probabilmente le loro vittime furono<br />
assai meno, però la fama sinistra che li<br />
precedeva non era immeritata. Ma senza<br />
il terrore che incutevano, le sparute<br />
guarnigioni mongole non avrebbero<br />
potuto dominare popoli e nazioni dai<br />
boschi delle piane magiare fino al Mar<br />
Giallo. Al confronto la crudeltà europea,<br />
assai meno letale in termini numerici,<br />
era molto più gratuita. Quando i<br />
mongoli sbaragliarono la crema della<br />
cavalleria cristiana nelle piane polacche,<br />
la Mitteleuropa vendicò il disastro<br />
ammazzando ebrei, accusati senza colpa<br />
alcuna di complicità con gli invasori.<br />
Ma anche con queste avvertenze<br />
LA MORTE<br />
Muore nell’agosto<br />
del 1227, mentre<br />
stava per terminare<br />
la conquista<br />
della Cina. L’impero<br />
viene diviso<br />
tra i quattro figli<br />
Gengis resterebbe una figura solamente<br />
odiosa se egli non avesse mostrato<br />
per le religioni e i costumi dei popoli<br />
sottomessi uno straordinario rispetto,<br />
sovente un’acuta curiosità. Dopo la sua<br />
morte il francescano Giovanni Pian del<br />
Carpine, messo pontificio, trovò nella<br />
capitale mongola, Karakorum, templi<br />
cristiani, musulmani e sciamanici che<br />
convivevano serenamente. In una sorprendente<br />
anticipazione dell’ecumenismo<br />
l’impero decretò che ciascuna<br />
fede rappresentava un percorso legittimo<br />
e degno verso l’ente supremo, il Cielo<br />
Eterno. Quest’ultimo appariva come<br />
una sorta di casa comune delle religioni.<br />
Le comprendeva tutte e non ne<br />
escludeva alcuna, purché accettasse<br />
l’autorità dell’imperatore. Rifiutare obbedienza<br />
al khan rappresentava così<br />
una ribellione al Cielo, blasfemia punita<br />
con la morte dalla Legge universale, il<br />
codice dei mongoli.<br />
Secondo quanto mi disse lo storico<br />
Nyam-Osorh, all’origine delle grandi<br />
stragi mongole c’è soprattutto questa<br />
concezione rigida della legalità, da cui<br />
neppure il khan poteva derogare. Inoltre<br />
la Legge universale accordava tutela<br />
assoluta agli ambasciatori, mentre cristiani<br />
e musulmani usavano scannarli<br />
se latori di messaggi sgraditi: anche<br />
questo aizzò le terribili vendette di Gengis.<br />
Ma potremmo sospettare che fu decisivo<br />
il disprezzo antropologico del<br />
nomade a cavallo per lo stanziale appiedato,<br />
e soprattutto per il contadino,<br />
che i mongoli consideravano creatura<br />
assai meno rispettabile dei loro amati<br />
destrieri. Quando conquistarono un<br />
gran pezzo della Cina rurale discussero<br />
a lungo, e seriamente, se lasciare in vita<br />
un’umanità così sordida.<br />
Secondo le cronache<br />
di persiani, cristiani,<br />
cinesi e arabi,<br />
10 milioni di uomini<br />
furono sterminati<br />
dai cavalieri mongoli<br />
FOTO CORBIS<br />
L’<br />
LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41<br />
Appunti di viaggio in Mongolia<br />
<strong>La</strong> vita e la morte<br />
in groppa al cavallo<br />
EMANUELA AUDISIO<br />
imperatore a cavallo, il popolo<br />
pure. Nella steppa c’è posto.<br />
<strong>La</strong> Mongolia ha trenta milioni<br />
di animali, ogni persona in media ne<br />
ha dodici, tra cavalli, yak, mucche,<br />
cammelli, pecore, capre. Gengis khan<br />
conquistò il mondo senza mai scendere<br />
da cavallo, l’unica volta che fu costretto<br />
a farlo, per una caduta, morì.<br />
Da queste parti nessuno se lo scorda:<br />
la vita ti mette in sella, tocca a te restarci.<br />
Brindi con l’airag, latte di cavalla<br />
fermentato, dodici gradi di volume<br />
alcolico. E quando scendi, cammini a<br />
gambe larghe: cavalcare storpia.<br />
Il Naadam, la festa con cui a luglio la<br />
Mongolia celebra la sua indipendenza<br />
(1921) non dimentica Gengis khan<br />
e il tempo lontano in cui un uomo affrontò<br />
un mostro a cinque teste. Nelle<br />
favole capita, il mostro perse le tre prove:<br />
lotta, corsa a cavallo, tiro. Se capitate<br />
in Mongolia in quel periodo vi<br />
sembrerà di stare in un film di John<br />
Ford. Nitriti, escrementi, liquidi, bave<br />
gialle, chiappe sudate, rumore di galoppo,<br />
erba calpestata, terra che vibra,<br />
pentole con stufato di montone. E i<br />
gutul, stivali facili da infilare, senza<br />
differenza tra il destro e il sinistro, la<br />
punta è all’insù per motivi religiosi,<br />
così si uccidono meno insetti.<br />
Cavalli ovunque: a destra, sinistra,<br />
in pianura. Generale, dietro la collina<br />
ci sta la notte buia e assassina, cantava<br />
De Gregori. Fuori da Ulaanbaatar invece<br />
quasi mille animali lanciati al galoppo.<br />
<strong>La</strong> razza mongola è un incrocio<br />
tra i mustang e i berberi, sono animali<br />
piccoli, ma veloci. Il cavallo originario<br />
è conosciuto con il nome di Takhi (spirito)<br />
e assomiglia più a una zebra: collo<br />
massiccio, zampe corte, criniera<br />
breve e ispida, manto color sabbia che<br />
si scurisce nei mesi invernali, non più<br />
di 140 centimetri al garrese. I mongoli<br />
montano sin da bambini, per loro non<br />
esiste che al mondo ci siano uomini incapaci<br />
di cavalcare. Un imperatore<br />
nasce a cavallo, e deve subito far capire<br />
all’animale chi comanda. Hanno<br />
idee chiare anche sull’astronomia. «Il<br />
cielo è la tenda degli dei e le stelle sono<br />
i buchi per fare entrare la luce e il vento.<br />
Il chiodo tiene su tutto». Il chiodo è<br />
la stella polare. Se si smonta dalla sella<br />
è per riposare sotto la tenda, gher, uno<br />
scheletro di tronchi di betulla ricoperto<br />
da feltro e pelli.<br />
Il giornalista Federico Pistone che<br />
cercava gli uomini-renna è stato messo<br />
in sella (una tavola di legno sottile),<br />
avviato nella taiga, e invitato a gridare<br />
«Ciù, ciù», come fanno da secoli i cavalieri<br />
mongoli. Pistone non era mai<br />
montato a cavallo in vita sua. Queste<br />
le parole della sua avventura: «Macchie<br />
rosse sempre più fitte e vaste<br />
sporcano il mantello bianco del cavallo:<br />
è il sangue che affiora dalle voragini<br />
aperte da enormi tafani verdastri,<br />
incoraggiati dall’ultimo acquazzone<br />
e agevolati dall’assenza del vento.<br />
Anch’io ho le braccia e il viso devastati<br />
ma non posso mollare le briglia<br />
nemmeno un attimo, volerei via. Il cavallo<br />
perfeziona un metodo per allontanare<br />
gli insetti: in piena corsa si struscia<br />
contro gli alberi, dimenticandosi<br />
di avere in groppa qualcuno, che dovrebbe<br />
essere quello che comanda. I<br />
rovi mi lacerano i vestiti e la pelle, cerco<br />
di stare basso, di schivare i rami ma<br />
uno mi colpisce in piena faccia, disarcionandomi».<br />
Quando all’improvviso in fondo alle<br />
valle, tra le montagne, si leva una colonna<br />
di polvere, significa che la corsa<br />
è partita. Venticinque chilometri più<br />
in là, distanza stabilita da Gengis<br />
khan. Mille cavalli che piombano sul<br />
traguardo sono un bel rumore. Anche<br />
perché pure gli spettatori sono a cavallo,<br />
anzi in piedi sugli animali. In gara<br />
bambini di poca età e peso, quattrosette<br />
anni. Non conta chi guida, ma la<br />
velocità dell’animale. E alla fine conta<br />
darsela a gambe perché i puledri nervosi,<br />
frementi, agitati piombano sulla<br />
folla, senza annuncio, né telecronaca.<br />
Mentre c’è chi si precipita ad asciugare<br />
il sudore dell’animale con un raschietto<br />
fatto col becco di un pellicano.<br />
E Nemehbaatar ti fa le uniche domande<br />
che interessano i mongoli:<br />
«Sai camminare a lungo? Sai cavalcare?<br />
Sai sgozzare una pecora?». No, Nemehbaatar<br />
la pecora no. Ma che te lo<br />
dico a fare, se sei già al galoppo.