<strong>Repubblica</strong> Nazionale 38 14/05/2006
<strong>Repubblica</strong> Nazionale 39 14/05/2006 DOMENICA 14 MAGGIO 2006 le storie Islam e mercato <strong>La</strong> Turchia, Paese islamico moderato, è il secondo esportatore di biancheria intima e costumi da bagno dopo la Cina. I marchi di maggior successo vendono molto bene in Occidente i loro capi “osé”. “Non c’è contraddizione con l’osservanza religiosa”, dicono alla Ten, “solo il marito sa cosa indossa la sua donna” Operaie col velo per l’intimo sexy MARCO ANSALDO ISTANBUL Il sultano Abdul Hamid II, che regnò nell’ultimo periodo di un Impero ottomano in bancarotta, aveva un debole per le mutande francesi. <strong>La</strong> versione in seta di questo «meraviglioso capo lungo oltre il ginocchio», con l’inconfondibile simbolo imperiale stampato sulla fascia elasticizzata, ha il posto d’onore sulla parete dell’ufficio di Deha Orhan, produttore turco di intimo femminile che sta sbancando i mercati mondiali. Il signor Orhan ha conquistato le mutande del sultano a un’asta pubblica. Se lo può permettere, e poi nel suo caso si tratta di un ferro del mestiere. Anche se si resta sbalorditi quando il trentatreenne general manager della Ten apre l’armadio a scomparsa accanto alla sua spettacolosa scrivania davvero imperiale, lunga almeno quattro metri, e dice: «Le faccio vedere la mia collezione», mostrando, uno allineato all’altro, gli ultimi modelli di sottovesti colorate, capaci di insaporire le serate di qualsiasi coppia. <strong>La</strong> Turchia, Paese islamico moderato, è il secondo esportatore al mondo di intimo e costumi da bagno dopo la Cina. E molte celebri modelle, tra cui Claudia Schiffer, Cindy Crawford, Tyra Banks e Heidi Klum, hanno posato nei primi anni della loro carriera indossando i capi di Zeki Triko, azienda turca di indumenti da bagno. Un mercato che ha qui un giro d’affari di quasi quattro milioni di euro e dà lavoro a un milione di persone. Operaie perlopiù. E velate. Che ogni mattina, sotto il turban, assemblano senza imbarazzo guepière, reggicalze, pushup e bikini leopardati per le mogli degli infedeli occidentali. «Per le loro fidanzate, soprattutto», precisa il giovane Orhan con un sorriso compiaciuto. Sotto il suo ufficio, nel seminterrato dove colossali telai di ghisa tendono i fili immacolati, le lavoranti appaiono concentrate nell’unire coppe di reggiseni. Ci troviamo immersi nel quartiere di Yeni Bosna, Nuova Bosnia, periferia di Istanbul, zona ad alta concentrazione religiosa, popolazione in maggior parte seguace del partito musulmano moderato al potere. Proprio di fronte alla fabbrica di intimo si erge la solida struttura dell’Ihlas, la grande holding mediatica — giornali, emittenti, agenzia di stampa — di orientamento schiettamente islamico. Alla Ten sono impiegate circa ottocento persone, più della metà donne, molte velate. Con indosso i loro foulard colorati percorrono silenziose i locali interni, sciamando indifferenti fra corsetteria e atelier. Nello showroom annesso all’ufficio del general manager sono esibiti in bella mostra pizzi rossi trasparenti e calze fumé autoreggenti. Il catalogo 2006, con i disegni sulle diverse proporzioni del seno e le immagini patinate di modelle in carne e ossa vestite in guepière, sembra far concorrenza a Playboy. A volte è Orhan stesso, appassionato fotografo, a scattare. <strong>La</strong> parola che ricorre di più, conversando con lui in inglese, è bumps, termine gergale che tradurremo con «tette»: «Dipende dalla grandezza delle bumps»; «le ragazzine hanno le bumps», eccetera. «Non c’è nessuna contraddizione», afferma l’addetta alle relazioni pubbliche Arzu Karakadilar, «non ci sono differenze per chi indossa questo tipo di abbigliamento, si tratti di persone velate oppure no. Nessuno, marito a <strong>La</strong>voranti con il capo coperto assemblano reggiseni push-up e bikini leopardati “Con Internet”, dice il giovane manager Deha Orhan, “le vendite vanno benissimo, grazie soprattutto alla clientela maschile, che nei negozi è solo il 5 per cento” parte, può sapere che cosa porta sotto gli abiti la donna coperta dal copricapo. <strong>La</strong> lingerie è la stessa, con il velo o senza velo. Non ci sono capi speciali o diversi. Anzi, secondo i nostri tabulati, una città come Konya (considerata la più religiosa della Turchia e storica patria dei dervisci rotanti, ndr) è ai primi posti negli acquisti di prodotti così particolari». Internet ha portato la sua rivoluzione anche qui. «Da quando siamo presenti sul web», aggiunge orgoglioso Orhan, «le vendite vanno benissimo. Un successo accresciuto soprattutto grazie agli uomini. <strong>La</strong> nostra clientela maschile è infatti solo il cinque per cento nei negozi. Ma diventa il sessanta se parliamo di ordinazioni via Internet». Il mercato appare in forte espansione. L’azienda di Istanbul, già produttrice del marchio LoliTen per le teenager dai quindici ai vent’anni («preferito però dalle trentacinquenni», aggiunge Orhan, «che vogliono apparire più colorate e sexy»), è ora pronta a lanciare il prodotto più maturo Ten Extreme e ha negozi ovunque. Quattro nella sola metropoli sul Bosforo e altri dieci sparsi in tutto il Paese, confini di Iran e Siria compresi, a Kars come ad Adana, a Erzurum e fino a Diyarbakir. Vende inoltre a 2.500 boutique locali e sta preparando il grande sbarco in Europa, dove intende aprire nuovi punti vendita. Prima in Russia ed Egitto, poi in Grecia e infine a Parigi. Per la fine dell’anno Ten arriverà anche in Italia, dove si è accordata per l’apertura di due centri a Milano. «<strong>La</strong> nostra strategia è chiara», dice il suo combattivo leader, «la Turchia è un pesce piccolo rispetto alle grandi aziende americane e dobbiamo difenderci. I colossi degli Stati Uniti vengono qui a comprarsi pezzi di imprese nazionali. Che cosa bisogna fare? Come reagire? Attaccando all’estero. E questo è il momento giusto per farlo. Non faccio i miei piani programmandoli sull’ipotetico ingresso di Ankara nell’Unione europea, perché non sarà questione di poco tempo. Però punto a fare di Ten un marchio davvero internazionale». Le signore con il velo possono in ogni caso contare anche su altre aziende capaci di garantire gusti, diciamo così, più contenuti e costruire un mix appropriato fra le esigenze della femminilità e il comportamento religiosamente corretto. Il marchio Hasema, ad esempio, manifattura di stile rigorosamente islamico nata a Istanbul nel 1993, è diventato il nome più noto tra i musulmani devoti di tutto il mondo. Per gli uomini ci sono solidi costumi da bagno a mezza gamba capaci, secondo il fondatore di Hasema, Mehmet Sahin, «di non sottolineare la parte privata». Per le donne gli stilisti turchi hanno invece ideato costumi a corpo intero tipo Spiderman, con apposito cappuccio a ricoprire i capelli. L’intimo ardito non sembra comunque contraddire la consuetudine del velo. Alla Ten ricordano ancora con soddisfazione quando l’attuale ministro dell’Economia, Ali Babacan, che al suo incarico ha recentemente aggiunto quello di negoziatore per l’ingresso in Europa e la cui moglie indossa il turban come quella del primo ministro Tayyip Erdogan, lavorava da loro come agente distributore. Fosse vissuto oggi, il sultano Abdul Hamid avrebbe sicuramente scelto sotto i suoi abiti dei comodi boxer turchi, assicura Deha Orhan, «perché sono proprio buoni, se non i migliori». LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39 LE MUTANDE DEL SULTANO Nelle foto, lo stabilimento della Ten a Istanbul. In alto a sinistra, il general manager della Ten Deha Orhan davanti a esemplari di mutande francesi appartenute al sultano Abdul Hamid II