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Renzo Lodoli - La Repubblica

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DOMENICA 14 MAGGIO 2006<br />

Mozzarella in carrozza<br />

I sandwich di pancarrè<br />

senza crosta e mozzarella<br />

vanno immersi di taglio<br />

nella farina. <strong>La</strong> parte<br />

infarinata si bagna<br />

poi nell’acqua tiepida<br />

per “bloccare” la mozzarella<br />

Prima di friggere, coprire<br />

un’ora con uovo sbattuto<br />

Parmigiana<br />

Tagliate, fatte spurgare<br />

(con poco sale e un peso<br />

sopra) e asciugate,<br />

le melanzane fritte o grigliate<br />

(versione light), si alternano<br />

in teglia con salsa ristretta<br />

di pomodoro, parmigiano<br />

grattugiato, mozzarella<br />

a fette sottili e scolata<br />

Peperonata<br />

Si alleggerisce sbucciando<br />

i peperoni e i pomodori,<br />

aggiungendo un cucchiaino<br />

di zucchero e due di aceto<br />

Frullata con foglie di basilico<br />

è una meravigliosa salsa<br />

per pasta o crostini<br />

Passata al setaccio diventa<br />

una mousse deliziosa<br />

‘‘ Bernard Malamud<br />

Olga infilò una<br />

mano nella borsa<br />

della spesa<br />

e ne trasse diversi<br />

pacchetti.<br />

Li scartò,<br />

e vennero fuori<br />

pane, salsicce,<br />

aringhe, formaggio<br />

italiano, salame<br />

dolce, sottaceti…<br />

Da LA RAGAZZA<br />

DEI MIEI SOGNI<br />

Polpette<br />

Esistono infinite varianti<br />

per il simbolo del comfortfood.<br />

L’impasto<br />

più classico è a base<br />

di carni e verdure legate<br />

da uova e mollica di pane<br />

bagnata nel latte<br />

Nelle cucine orientali,<br />

si cuociono al vapore<br />

I l<br />

Salame di tonno<br />

Con la regola del due<br />

– gli etti di tonno sott’olio,<br />

le uova, i cucchiai<br />

di parmigiano e pangrattato<br />

– si assembla un salame<br />

e lo si avvolge nella carta<br />

da forno. Cotto in acqua<br />

bollente salata, si gusta<br />

freddo con maionese<br />

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49<br />

<strong>La</strong> celebre tela di Manet del 1863<br />

Donne nude e cibi grassi<br />

tutto partì da un quadro<br />

STEFANO MALATESTA<br />

picnic sull’erba, all’aria aperta, è un rito, un costume<br />

diffuso ovunque, eccetto forse che nelle<br />

distese dell’Antartide o sull’altopiano del Pa-<br />

mir d’inverno, quando i venti ghiacciati piombano<br />

sulle carovane congelandole come nel freezer.<br />

Sembra che il nome sia di origine francese, passato<br />

poi all’inglese. Ma se è vero che tutti i nomi cercano<br />

di ricordare nella loro pronuncia qualcosa<br />

della loro funzione, allora picnic suona svelto, leggero,<br />

elegante: può essere associato al sandwich,<br />

non alla polenta con gli osei, per quanto meravigliosa<br />

possa risultare quando viene servita in<br />

montagna (ma nella baita).<br />

Inoltre il picnic nasce precario e fantasioso, qualcosa<br />

che si mette insieme con allegria e una leggera<br />

improntitudine: ognuno porta quello che trova o<br />

che ha già, senza curarsi troppo di acquistare cibi sopraffini<br />

o di scegliere le posate migliori. È il piacere<br />

di stare insieme in modo inconsueto che fa scattare<br />

la sua molla, non la fame o la sete; è la speranza che,<br />

accanto al fuoco improvvisato con gli sterpi che si<br />

spegne sempre, nasca quella confidenza così difficile<br />

da raggiungere in condizioni di normalità. Dunque<br />

lasciate in vetrina quelle magnifiche valigette di<br />

vimini intrecciati e foderati di panno verde che contengono<br />

piatti di plastica sopraffina e posate con il<br />

manico di bambù e «tutto quello che serve per il picnic»<br />

come è scritto accanto a un prezzo da ladroni. È<br />

un controsenso.<br />

Gli inglesi continuano a mantenere il picnic nelle<br />

dimensioni di quello che dovrebbe essere uno<br />

spuntino. Durante le famose corse di Ascott come il<br />

King George and Elizabeth Stakes, e ad Epson il<br />

Derby, si vedono ancora come una volta i gentili<br />

sudditi di Sua Maestà Britannica, qui nel loro ambiente<br />

quasi scomparso altrove. Sdraiati sull’erba<br />

mandano giù il prosciutto di York, quello introvabile,<br />

più affumicato del cotto, tra due fette imburrate<br />

del loro pessimo pane. Mentre in Francia, dove da<br />

sempre si è potuto scherzare e ridere su persone e<br />

istituzioni non importa quanto grandi, ma non sulla<br />

“bouffe”, fin dall’inizio il picnic ha preso dimensioni<br />

tali da diventare uno dei miti della fine del secolo<br />

decimonono, insieme con i canottieri dalla maglia<br />

a righe bianche e rosse, le spiagge lungo la Senna<br />

e i cappelli di paglia di Firenze con nastri delle signorine<br />

in camicie di picchè bianche.<br />

Ora date solo un’occhiata al più famoso quadro<br />

della storia della pittura sul picnic: Le déjeuner sur<br />

l’herbe di Edouard Manet, rifiutato dal Salon del<br />

1863 perché presentava in primo piano una signora<br />

nuda in compagnia di due supposti gentlemen<br />

completamente vestiti. Non so se quest’opera sia<br />

un’anticipazione dell’avanguardia del Novecento<br />

come dicono oggi numerosi critici. L’ho sempre trovata<br />

inferiore a quei capolavori di pittura pura che<br />

sono l’Olimpia e la Lola de Valence, e come pittura<br />

en plein air è sorpassata da quell’immortale capolavoro<br />

di Claude Monet dallo stesso titolo che si trova<br />

a Mosca al Museo Pushkin. Ma quello che è interessante<br />

ai nostri fini è il contenuto non la forma, come<br />

diceva don Benedetto. Sparsi sull’ampia tovaglia<br />

non ci sono cestini con cotolette fritte ed altre pietanze<br />

facili da preparare e da trasportare ma tutta la<br />

gamma della grassa cucina francese di quell’epoca:<br />

le zuppiere, i contenitori di timballi, le salsiere per gli<br />

arrosti e i contorni, i roast beef e i brasati, le galline<br />

fredde sotto gelatina e burro di Normandia. E non vi<br />

fate ingannare dall’aria goffa che hanno gli uomini,<br />

infagottati negli abiti di campagna. I francesi hanno<br />

sempre amato stare all’aria aperta convinti che c’è<br />

del potere taumaturgico in una natura non contaminata.<br />

Ma nello stesso tempo non hanno mai saputo<br />

rinunciare a un pasto che fosse un pasto.<br />

Da qualche parte ho letto che Le déjeuner sur l’herbe<br />

deriverebbe da modelli primari come la Festa<br />

campestre di Tiziano e altre opere di pittori italiani.<br />

Ma queste feste rinascimentali erano in genere aristocratiche,<br />

raffinate e di corte, si basavano sulla<br />

musica — la festa campestre di Tiziano è sostanzialmente<br />

una festa musicale e non gastronomica — e<br />

non avevano nulla di quella predisposizione borghese<br />

ai cibi nutrienti e ben cucinati. Ho qualche<br />

dubbio sulla disposizione mentale degli italiani nei<br />

confronti della vita all’aperto. Il lunedì di Pasqua li<br />

vedo sempre uscire per pochi metri dall’autostrada<br />

e parcheggiare nelle vicinanze per gustare un pasto<br />

inquinato dagli scappamenti di mille auto.<br />

Sapete qual è la parola che più frequentemente<br />

viene pronunciata ad alta voce nei ristoranti di Napoli<br />

e dintorni dopo «il conto»? È «la porta», ogni volta<br />

che entra un nuovo cliente e non chiude dietro di<br />

sé ermeticamente l’ingresso, con il pericolo di far<br />

entrare correnti d’aria considerate più perniciose<br />

della cavalleria mongola. E come volete che si possa<br />

gustare un pranzo all’aperto quando le correnti d’aria<br />

sono viste come un attentato alle nostre famiglie?<br />

Torta di mele<br />

Da Nonna Papera<br />

alla scuola alberghiera,<br />

è il dolce-base della cucina<br />

di casa. A impreziosirlo,<br />

briciole di amaretti, uva<br />

passa, mandorle tritate,<br />

scagliette di cioccolato<br />

fondente. Nella versione<br />

"adulta" si aggiunge rum

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