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Renzo Lodoli - La Repubblica

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<strong>Repubblica</strong> Nazionale 37 14/05/2006<br />

DOMENICA 14 MAGGIO 2006<br />

affrontato senza esitazioni dal sovrano, che procedette<br />

ad un’efficace epurazione nelle alte sfere delle forze<br />

armate.<br />

Il timore dunque che la caduta della dittatura franchista<br />

riaprisse le antiche piaghe di una Spagna lacerata<br />

da incomponibili conflitti interni venne fugato.<br />

Neppure il terrorismo dei separatisti baschi dell’Eta<br />

sarebbe stato in grado di mettere in discussione la via<br />

maestra della nuova Spagna entrata nel grembo dell’Europa<br />

democratica. Qui si vede tutta la differenza<br />

che segnò la fine della dittatura nazional-fascistoide di<br />

Franco da quella della dittatura fascista in Italia, dove<br />

al 25 luglio del 1943 fece seguito il divampare della<br />

guerra civile del 1943-45, dove la riconquista della democrazia<br />

nel 1945 fu accompagnata da un referendum<br />

istituzionale nel 1946 che mostrò un paese spaccato in<br />

due tra repubblicani e monarchici, dove nel dopoguerra<br />

l’Italia dei resistenti si opponeva all’Italia legata<br />

ai conservatori e ai persistenti filofascisti, dove la<br />

guerra fredda internazionale si rovesciò sulla politica<br />

italiana divisa tra comunismo e anticomunismo, dove<br />

la memoria della Resistenza venne contestata ben pre-<br />

TOLOSA<br />

Ha un grosso dispiacere, Vincenzo Tonelli, che il 13<br />

luglio compirà novant’anni. «Sto diventando vecchio<br />

e le forze cominciano a mancare. Vorrei avere<br />

la forza di lottare ancora, e soprattutto di incontrare<br />

i giovani e di parlare. Vorrei dire: state attenti, il fascismo<br />

è sempre alla porta. E se per sbaglio lo lasciate entrare, dovrete<br />

dare tutto, anche la vita, per ricacciarlo fuori». <strong>La</strong> guerra di<br />

Spagna l’ha fatta dall’inizio alla fine e poi è stato anche partigiano<br />

in Italia. Ha visto morire più della metà dei suoi compagni.<br />

«Mi sono sentito anche un vigliacco, perché non ho avuto il coraggio<br />

di sparare a un mio compagno che era rimasto ferito. E<br />

così prima della morte ha incontrato anche la tortura». Ha istruito<br />

altri ragazzi più giovani a sparare con la mitragliatrice. «Lei mi<br />

chiede perché. Forse è stata colpa di due schiaffi, che mi hanno<br />

fatto diventare antifascista. Forse questa parola non basta. Io sono<br />

stato uno che i fascisti li ha odiati davvero, perché ho visto ciò<br />

che hanno fatto, in Italia e in Spagna».<br />

Un appartamento nella città di Tolosa, dove Vincenzo Tonelli<br />

è arrivato quando aveva quattordici anni. «Quel compleanno<br />

l’ho festeggiato con la carriola in mano, come garzone di muratore.<br />

I due schiaffi li avevo già presi, al mio paese, Castelnuovo<br />

del Friuli. Giocavo a calcio e l’allenatore, che era anche un piccolo<br />

gerarca, mi diede due sberle perché avevo lasciato l’allenamento<br />

senza chiedergli il permesso. Il motivo vero era un altro:<br />

non avevo voluto entrare nei Balilla e così anche a scuola mi tenevano<br />

all’ultimo banco. “Ti porto in Francia con me”, disse allora<br />

mio padre, che già era emigrato».<br />

Il viaggio a Tolosa, alla ricerca di un lavoro. «Non trovai nulla<br />

IERI E OGGI, IL LIBRO DEI SOPRAVVISSUTI<br />

Le foto di <strong>Renzo</strong> <strong>Lodoli</strong> (a sinistra) e di Vincenzo Tonelli<br />

(a destra), entrambi ritratti oggi e nel 1936, sono tratte<br />

dal libro “Ellos y nosotros” della fotografa madrilena<br />

Sofia Moro, in uscita ai primi di giugno per l’editore Blume,<br />

328 pagine, 35 euro. Sofia Moro ha ricostruito<br />

per immagini la storia di chi, arrivato in Spagna da tutta<br />

Europa, settant’anni fa combatté in opposte trincee<br />

Nella foto grande, le barricate degli operai repubblicani<br />

nel luglio 1936 a Barcellona<br />

sto da un’opposta memoria.<br />

<strong>La</strong> Spagna che guarda oggi al passato della guerra civile<br />

del 1936-39 lo fa con distacco, e può farlo. Ovviamente<br />

un simile atteggiamento non ha, non può avere<br />

a che fare con una sorta di disinteresse. Quel passato è<br />

stato un uragano di tale peso e violenza che la sua memoria<br />

è un elemento costitutivo incancellabile della<br />

Spagna attuale. Ma vi è un aspetto di straordinaria importanza<br />

che rende possibile quel distacco. E cioè che<br />

nessuna delle parti in conflitto mortale in quegli anni è<br />

più in grado di trasmettere un messaggio che possa venire<br />

raccolto dal popolo spagnolo di oggi, salvo che in<br />

piccole nicchie di irriducibili ma ininfluenti nostalgici.<br />

Che cosa possono “dire” alla Spagna democratica le<br />

bandiere per un verso della Spagna dei militari golpisti,<br />

dei falangisti, dei fanatici clericali e per l’altro dei<br />

comunisti staliniani, dei comunisti trotskisti o semitrotskisti,<br />

degli anarchici catalani, degli anticlericali e<br />

degli atei? Fatto è che in Spagna, col concorso della monarchia,<br />

dei cattolici, dei socialisti, dei comunisti, la<br />

democrazia ha fatto sì che il passato della guerra civile<br />

passasse davvero, che il presente venisse fondato su<br />

valori, istituzioni e comportamenti che quel passato<br />

non era per contro in alcun modo in condizione di trasmettere.<br />

E quindi la memoria storica della guerra civile, epoca<br />

delle più aspre e sanguinose contrapposizioni, si<br />

presenta come una riflessione che non può certo fondare,<br />

legittimare e ispirare il presente politico e civile<br />

della Spagna seguita al 1975. <strong>La</strong> pagina è stata voltata.<br />

Il che non ha nulla a che vedere con l’indifferenza oppure<br />

con l’idea che la lotta dei franchisti vada “pareggiata”<br />

a quella dei repubblicani. Gli uni e gli altri, infatti,<br />

vanno capiti nelle loro rispettive “ragioni” alla luce<br />

dei principi e dei valori che all’epoca della grande lotta<br />

li hanno contrapposti e dei valori e dei principi che<br />

contemporaneamente fanno sentire quel capitolo come<br />

davvero una storia d’altri tempi, politicamente<br />

chiusa ma sempre aperta, per la sua enorme importanza,<br />

alla riflessione dei contemporanei.<br />

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37<br />

<strong>La</strong> lezione di Vincenzo il rosso<br />

JENNER MELETTI<br />

‘‘ Vincenzo Tonelli<br />

Vorrei lottare ancora,<br />

incontrare i giovani e parlare<br />

Dire: state attenti, il fascismo<br />

è sempre alla porta. E se<br />

per sbaglio lo lasciate entrare,<br />

dovrete dare tutto, anche<br />

la vita, per ricacciarlo fuori<br />

perché il gelo dell’inverno aveva fatto chiudere tutti i cantieri.<br />

Chiesi un aiuto al console italiano. <strong>La</strong> prima volta mi diede cinque<br />

franchi, sufficienti per un solo pasto al ristorante operaio.<br />

<strong>La</strong> seconda mi disse che mi avrebbe fatto arrestare e rimpatriare<br />

in Italia, così potevo andare a fare la guerra per il Duce in Abissinia».<br />

«L’odio per la dittatura — dice — me lo sono sentito crescere<br />

dentro. Mi sono iscritto alla gioventù comunista a Tolosa. Arrivavano<br />

le prime notizie dalla Spagna. Il Partito diceva che bisognava<br />

portare aiuto ai compagni spagnoli. Avevo un amico molto<br />

caro, l’italiano Armelino Giuliani. Si sa come vanno le cose fra<br />

i ragazzi: segui l’amico che ritieni più preparato di te, più intelligente.<br />

E così quando Armelino ha detto che andava in Spagna,<br />

per me è stato naturale seguirlo. Povero Armelino: si è preso una<br />

raffica di mitragliatrice al primo fronte, e non aveva ancora sparato<br />

un colpo».<br />

Cosa resta dentro, dopo settant’anni? «Resta tutto, anche se<br />

provo a non pensarci troppo. Cerco di ricordare le facce dei compagni<br />

caduti, ed anche i momenti belli. Quando arrivammo in<br />

Spagna con la brigata, gli spagnoli ci aspettavano sulle strade e<br />

ci offrivano fiori e arance. Restano nel cuore, queste cose. Ma resta<br />

anche la disperazione del capitano Mario Traversi, che era di<br />

Genova. Eravamo al fronte di Estremadura e subivamo perdite<br />

gravissime. Durante una ritirata ero fra gli ultimi perché dovevo,<br />

assieme agli altri, raccogliere armi e feriti. Il capitano era stato<br />

colpito, era a terra. Io provai a sollevarlo ma era grande e grosso,<br />

non riuscivo a muoverlo. Lui mi disse: sparami. Sapeva che i<br />

falangisti stavano arrivando e lo avrebbero prima torturato e poi<br />

ucciso. Io non ce l’ho fatta, a sparargli. E purtroppo il capitano<br />

aveva ragione. Vede, anche per la Spagna c’è chi cerca di cambiare<br />

le carte in tavola. Tutti violenti, si dice, tutti assassini. No,<br />

gli assassini erano dall’altra parte. Avevano aerei per bombardare<br />

e distruggere Guernica e le altre città, avevano i carri armati.<br />

Torturavano i feriti prima di eliminarli. Quando catturavamo<br />

un falangista ferito, noi lo curavamo come fosse dei nostri».<br />

Una ferita a una gamba, per un colpo di fucile, vicino a Madrid.<br />

«All’Ebro ho passato, come tutti gli altri, ventuno giorni fra la vita<br />

e la morte. Si era tutti in agonia: in quelle tre settimane ho perso<br />

l’ottanta per cento dei miei compagni. Li porto tutti nel cuore,<br />

ma alla sera quando ripenso a questa mia vita un po’ troppo<br />

movimentata cerco di ricordare i colpi di fortuna. Una volta mi<br />

sono perso e sono finito in mezzo ad un accampamento nemico.<br />

Nel buio, mi fermavo a salutare come se fossi uno di loro. Sono<br />

riuscito a passare fra bivacchi e carri armati e a infilarmi in un<br />

bosco».<br />

<strong>La</strong> guerra spagnola di Vincenzo Tonelli finisce in un campo di<br />

concentramento, a Les Vernet d’Ariége, in Francia. «Dopo sei<br />

mesi mi hanno messo in catene e consegnato agli italiani, a Mentone.<br />

Mi hanno portato in galera a Udine. Non sapevo quasi nulla<br />

della situazione italiana. I fascisti picchiavano contro le sbarre<br />

della mia cella e mi insultavano: «Traditore del Duce, della patria,<br />

del re». Non sapevo nemmeno chi fosse nelle celle vicine.<br />

Poi una notte ho sentito che nell’altro braccio del carcere cantavano<br />

Bandiera rossa».<br />

<strong>La</strong> liberazione dopo la caduta del fascismo. «Torno a casa e mi<br />

arriva la cartolina da militare: dovevo presentarmi al 38° reggimento<br />

fanteria di Tortona. Sono scappato dopo l’otto settembre.<br />

Mi ha salvato la vita un vecchio ferroviere che, sul treno fermato<br />

dai tedeschi, mi prestò la sua giacca. Non sono rimasto a<br />

casa a lungo. A Castelnuovo fascisti e tedeschi avevano cominciato<br />

i rastrellamenti. Io e gli altri ci siamo messi a cercare le armi.<br />

E così ho iniziato un’altra guerra, quella partigiana».<br />

Il ritorno a Tolosa, «perché lì ormai c’era la mia vita». I racconti<br />

fatti ai giovani che per ascoltarlo partono anche dall’Italia. «State<br />

attenti, se il fascismo riesce ad aprire la porta...».<br />

FOTO EFE-ANSA/JUAN GUZMÁN

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