Renzo Lodoli - La Repubblica
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DOMENICA 14 MAGGIO 2006<br />
T-SHIRT D’AUTORE<br />
Un’opera<br />
del pittore<br />
americano<br />
realista Andrew<br />
Wyeth riprodotta<br />
su una t-shirt<br />
A 24 dollari<br />
al Museo delle arti<br />
di Boston<br />
LA STORIA<br />
IN TESTA<br />
Dal Philadelphia<br />
Museum of Art,<br />
ricchissimo<br />
nella sezione<br />
storica, berretto<br />
“firmato”<br />
Benjamin Franklin<br />
a 22 dollari<br />
LA DOMENICA DI REPUBBLICA 51<br />
IL TEMPO A COLORI<br />
Uno degli orologi<br />
multicolore disegnati<br />
negli anni ‘50<br />
da George Nelson<br />
ed esposti in vari<br />
musei del mondo,<br />
si acquista anche<br />
negli shop<br />
del Noguchi Museum<br />
di New York per circa<br />
250 dollari<br />
Gae Aulenti: i negozi, se di qualità, avvicinano le grandi opere alla gente<br />
“Così l’arte diventa più laica”<br />
«I<br />
negozi nei musei non sono di per sé negativi.<br />
E il mantenimento della qualità dipende,<br />
al solito, dai gestori». L’architetto Gae Au-<br />
lenti lo vede così il fenomeno dilagante dello shop-<br />
ping nei musei.<br />
Ma cosa ha a che fare il consumo con un luogo<br />
da sempre simbolo di conservazione?<br />
«Oggi non si progetta spazio espositivo, anche<br />
importante, che non abbia il suo negozio. È diventata<br />
una regola. Il fatto è che un tempo il museo era<br />
un luogo di restauro, solidità, memoria. Adesso, in<br />
molti casi, è un semplice contenitore di eventi,<br />
piazza dove inscenare la comunicazione. Il marketing<br />
è diventato molto sensibile alle<br />
possibilità pubblicitarie di un’occasione<br />
culturale. Per questo molti si riempiono<br />
di opere effimere, installazioni,<br />
video, merce cosiddetta moderna<br />
ma che in realtà è solo transitoria.<br />
Andare a vedere una mostra è<br />
un’azione che sollecita domande.<br />
<strong>La</strong> gente trova opere e oggetti fortemente<br />
evocativi. Trova testimonianze<br />
di passato ma anche di presente,<br />
racconti di una storia che è<br />
stata ma che ancora è. Si sente al<br />
centro. Un’esperienza intellettuale e sensoriale.<br />
Che è anche possibile corteggiare».<br />
Si finisce per comprare il souvenir. Semplice<br />
feticismo consumistico o anche qualcos’altro?<br />
Non c’è forse il bisogno di appropriarsi di una conoscenza?<br />
«Al Metropolitan di New York c’è uno degli store<br />
più noti, vendono oggetti anche molto costosi.<br />
Chi compra lì lo fa da un parte per portare a casa<br />
uno status, dall’altra perché sa di trovare qualità.<br />
Il merchandising cosiddetto culturale ha spesso il<br />
pregio di garantire livelli piuttosto alti nei materiali<br />
e nel design. Da questo punto di vista l’acquisto<br />
è anche una forma di educazione alle forme e<br />
ai pensieri. <strong>La</strong> laicizzazione dei musei, quando<br />
fatta, ripeto, in modo intelligente, è una possibilità<br />
di allargamento della cultura, di democratizzazione<br />
delle esperienze. Si diventa adulti attra-<br />
verso molte maniere, e nella nostra società quella<br />
del mercato è una realtà che non va sottovalutata.<br />
<strong>La</strong> conoscenza accessibile è un dovere e una<br />
grande conquista dei nostri tempi. Non lo è la<br />
spettacolarizzazione del bello: l’idea della decorazione<br />
tout court, alla quale hanno contribuito le<br />
riviste femminili, ha fatto sì che di certi prodotti<br />
venga apprezzato solo l’effetto scenico, la marca<br />
e la griffe. Il consumo può essere invece un gesto<br />
consapevole e di forte impatto emotivo e cognitivo,<br />
ma solo se è maturo e responsabile. Non ha significato<br />
tutto ciò che è autoreferenziale, che si<br />
consuma e autofagocita. Per essere coscienti, per<br />
essere dei veri cittadini e non solo consumatori,<br />
serve molto di più».<br />
Per esempio?<br />
«Serve la città. Serve che la città sia<br />
un melange di culture, non l’orrenda<br />
categorizzazione cui sono stati sottoposti<br />
molti centri. Le banlieue parigine,<br />
per esempio. Il ghetto, dove anche<br />
la bruttezza degli edifici deve<br />
aver provocato nel tempo il rifiuto e<br />
la rabbia. O come attorno alla Bibliotheque,<br />
sempre a Parigi, schemi<br />
abitativi tagliati con l’accetta sociale.<br />
Le nostre periferie, quelle di molte altre realtà urbane<br />
e suburbane. Questo è il vero tradimento<br />
della modernità, non il mercato, non lo shopping<br />
culturale. Bisogna mischiare la gente, intrecciare<br />
i servizi, creare una vera comunicazione.<br />
Io non credo nei fantasmi del bello, credo negli<br />
edifici specie quelli pubblici, credo nella solidità<br />
e insieme apertura di un progetto, credo nell’architettura<br />
come scambio. Qualsiasi costruzione<br />
deve avere a che fare col contesto,<br />
parlargli. Anche gli oggetti diventano belli quando<br />
sanno raccontare cosa sono e a cosa servono.<br />
Non ho ancora visitato l’Ara Pacis a Roma, so che<br />
la ristrutturazione è stata contestata, ma a occhio,<br />
non mi sembra male. Il pregiudizio, pensare<br />
che il moderno non può stare con le rovine,<br />
non è mai una buona partenza per capire».<br />
(a.r.)<br />
GADGET E DESIGN<br />
Al museo del Louvre<br />
di Parigi le riproduzioni<br />
della Venere di Milo<br />
si comprano per circa<br />
100 euro; la miniatura<br />
della poltrona “Ball Chair”<br />
disegnata nel ’65<br />
da Aarnio si trova<br />
a 184 euro<br />
al Vitra Design Museum<br />
di Weil am Rhein,<br />
così come la tazza<br />
da tè disegnata<br />
da Noguchi nel ’52 ,<br />
che costa 70 euro