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Renzo Lodoli - La Repubblica

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<strong>Repubblica</strong> Nazionale 45 14/05/2006<br />

DOMENICA 14 MAGGIO 2006<br />

Delle ottanta tragedie di Eschilo<br />

solo sette sono arrivate fino a noi<br />

Lo stesso per Sofocle,<br />

che scrisse in tutto centoventi testi<br />

AUTORI FAMOSI<br />

Una foto di Ernest<br />

Hemingway<br />

al lavoro, nel 1940<br />

a Sun Valley<br />

A sinistra,<br />

un ritratto<br />

di William<br />

S. Burroughs<br />

Sopra,<br />

un’illustrazione<br />

di Tullio Pericoli<br />

I l<br />

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45<br />

Tre storie avventurose di manoscritti svaniti o ritrovati<br />

Le parole ribelli di Saint-Simon<br />

salve per le candele non pagate<br />

DARIA GALATERIA<br />

più grande rimpianto culturale del Novecento è certo la valigia di<br />

Walter Benjamin. A dicembre del ‘39, a Parigi, il filosofo aveva de-<br />

ciso, insieme a Hannah Arendt, di prendere lezioni di inglese, per<br />

emigrare negli Stati Uniti. Tre mesi prima in effetti, allo scoppio della<br />

guerra, Benjamin era stato internato, come gli altri ebrei tedeschi, nello<br />

stadio di Colombes, poi in un campo a Nevers, in Alta Loira; ma a novembre<br />

era di nuovo a Parigi, grazie a due amiche, Sylvia Beach e<br />

Adrienne Monnier, le austere fidanzate della libreria Shakespeare &<br />

Co (quelle che avevano pubblicato l’Ulissedi Joyce): per liberarlo, avevano<br />

mobilitato un amico diplomatico. Invece di partire subito,<br />

Benjamin però scrisse le Tesi sul concetto di storia.<br />

Il 14 giugno del 1940, quando le truppe tedesche entrarono<br />

a Parigi, Benjamin era a Lourdes, finalmente fuggito verso<br />

sud; voleva entrare in Svizzera e lì aspettare il visto per gli<br />

Usa. Quello che ottenne fu, a Marsiglia, un permesso di<br />

transito per la Spagna e il Portogallo, ma non il visto di uscita<br />

dalla Francia. Con due amici decise di attraversare il<br />

confine valicando i Pirenei. Li guidava una berlinese, Lisa<br />

Fittko, di cui Benjamin aveva conosciuto il marito nel campo<br />

di Nevers. Benjamin, raccontò la Fittko quarant’anni dopo,<br />

era molto provato dal cammino, e era sofferente di cuore,<br />

ma trascinava una pesante borsa nera. «È il mio nuovo manoscritto,<br />

non posso rischiare di perderlo», diceva, «deve essere<br />

salvato; è più importante di me». Sostenuto dai compagni,<br />

Benjamin arrivò nella notte tra il 25 e il 26 settembre a Port Bou,<br />

una cittadina sulla costa. <strong>La</strong> comitiva si fermò alla pensione della<br />

Fonda Francia, che esiste ancora. <strong>La</strong> polizia spagnola li minacciò di<br />

riconsegnarli alle autorità francesi, e quella stessa notte, con una dose<br />

di morfina, Benjamin si suicidò. <strong>La</strong>sciava agli amici un biglietto: «Vi<br />

prego di trasmettere il mio pensiero all’amico Adorno».<br />

Nella valigia doveva esserci Passagenwerke, uno dei capolavori del<br />

secolo, di cui ci resta una versione composta quasi solo di citazioni, e<br />

già è un’interpretazione potente della Parigi dell’Ottocento, dei suoi<br />

viali coperti — i Passaggi — e del suo poeta Baudelaire. Nel 1981 infatti<br />

il massimo studioso di Benjamin, Giorgio Agamben, ha fortunosamente<br />

ritrovato dei fogli che Benjamin aveva lasciato, fuggendo, a Bataille.<br />

Bataille, interpretando correttamente il doppio senso del biglietto<br />

d’addio di Benjamin, aveva mandato tutte le sue carte ad Adorno;<br />

ma per una pura svista aveva dimenticato alcuni fragili foglietti coperti<br />

da una scrittura minuta, evidenziati, come da un bambino disciplinato,<br />

da strazianti cerchietti, pallini e croci colorate; erano<br />

commenti alle poesie di Baudelaire. Quella valigia di Benjamin —<br />

menzionata nei primi rapporti della polizia franchista accorsa nella<br />

camera del suicida — potrebbe ancora spuntare. Forse qualcuno ha<br />

tenuto la borsa, e buttato tutti quei fogli in tedesco. O magari no, stanno<br />

impallidendo in qualche granaio, come un gioiello disperso di Diderot,<br />

il racconto del 1768 Mystification, che, sfiorato dalle bombe della<br />

stessa Seconda guerra mondiale, fu ritrovato e stampato nel 1954.<br />

Non una valigia, ma un vero baule di scritti conobbe, per il più bizzarro<br />

dei motivi, un lungo sonno che lo salvò. Le più belle memorie,<br />

forse, di tutti i tempi ci sono state conservate grazie al droghiere di un<br />

piccolo angolo di Francia, <strong>La</strong> Ferté-Vidame. Nel castello del luogo si<br />

era ritirato a scrivere le sue colleriche, scandalose e smaglianti memorie<br />

sulla corte di Francia all’epoca del re Sole e della Reggenza il duca<br />

Louis de Saint-Simon. Quando morì, nel 1755, un commissario del<br />

re si affrettò a apporre i sigilli al suo appartamento di Parigi, e un messo<br />

fu immediatamente inviato a fare lo stesso a <strong>La</strong> Ferté: era noto che<br />

Saint-Simon aveva scritto sulla monarchia pagine feroci, che era bene<br />

far scomparire. Ma il fiero duca era morto lasciando in sospeso un<br />

conto di candele. Il conto, dal punto di vista del droghiere, era incresciosamente<br />

astronomico, e l’uomo, in nome del suo credito, aveva<br />

già preteso un elenco dei beni del deceduto. Il legatario universale, il<br />

vescovo di Metz, e la corona dovettero insomma impegnarsi in un inventario<br />

accuratissimo; per sette giorni, gli ufficiali giudiziari stilarono<br />

la più scrupolosa e metodica lista dei beni del debitore, tra cui settecento<br />

quaderni, raccolti in grandi cartelle di pelle, istoriate con le armi<br />

del duca. L’esecutore del re<br />

Choiseul dovette limitarsi a decretare<br />

che gli scritti di Saint-Simon,<br />

poiché concernevano affari della<br />

corona, venivano secretati. L’erede,<br />

per sottrarli alle pretese del<br />

creditore, diede il suo consenso.<br />

Saint-Simon era in salvo — ma<br />

ignoto. Brevi saggi di quella sua<br />

animata animosità cominciarono<br />

a circolare verso l’epoca rivoluzionaria,<br />

deliziando le dame. Nel<br />

1814 un discendente del duca<br />

chiese al re se era possibile liberare<br />

il suo antenato, «imbastigliato<br />

da quasi cent’anni». Il re sorrise,<br />

ma gli Archivi fecero ancora resistenza.<br />

Intanto il baule inchiavardato<br />

si trasferiva, insieme agli Archivi,<br />

da Versailles all’hotel Gallifet,<br />

a palazzo Maurepas e infine al<br />

Quai d’Orsay. A ogni successiva rivoluzione,<br />

mentre la politica si addolciva<br />

e il tempo stemperava gli<br />

scandali d’altri secoli, nacquero le<br />

prime edizioni, e solo oggi ha preso<br />

estesamente corpo il ritratto,<br />

comico e atroce, della vecchia corte<br />

in preda all’omosessualità, al libertinaggio,<br />

alla religiosità dei tartufi,<br />

all’ascesa dei bastardi del re,<br />

al balletto degli adulatori.<br />

Una valigia letteraria a lieto fine<br />

è quella di Camus. Quando il 4<br />

gennaio 1960 lo scrittore si<br />

schiantò contro un albero sulla nazionale sopra Sens, era ministro di<br />

Francia uno scrittore, Malraux. Prima ancora di dolersi — in tanti, a<br />

Parigi, per le strade, piangevano — spedì un emissario a controllare se<br />

lo scrittore portava con sé dei manoscritti. Ma già il sindaco di Sens ci<br />

aveva pensato, e consegnò religiosamente la borsa di Camus. C’era<br />

dentro il manoscritto di uno dei più bei romanzi dello scrittore, insolitamente<br />

sentimentale, Il primo uomo — la storia della sua infanzia,<br />

dell’Algeria primitiva in cui arabi e pieds-noirs francesi vivevano fianco<br />

a fianco. Ma erano gli anni della guerra d’indipendenza d’Algeria, e<br />

della dittatura di Sartre, che con Camus aveva rotto. <strong>La</strong> casa editrice<br />

Gallimard ritenne inopportuno pubblicare il romanzo: «Autocensura»,<br />

confessarono poi. Le premier homme è uscito nel 1994.

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