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ERA DEI MARTIRI

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cfr. Eusebio, De vita Constantini, II, 50-51). Ma, anche dopo l'oracolo, Diocleziano<br />

continuò nella sua azione moderatrice: persecuzione, sì, ma senza spargimento di<br />

sangue, mentre Galerio voleva addirittura che fossero bruciati vivi coloro che<br />

rifiutassero di sacrificare (Lattanzio, ivi).<br />

Fu preparato un editto conforme al volere di Diocleziano; per il momento Galerio<br />

si contentò di quello, prevedendo facilmente che più tardi sarebbero seguiti altri<br />

provvedimenti secondo i suoi propri desideri. L'editto colpiva chiese, scritture e<br />

persone cristiane, ma non comminava la pena di morte: i cristiani, anche se insigniti<br />

di alte cariche, dovevano essere privati di ogni prerogativa, sottoposti alla tortura,<br />

interdetti di adire ai tribunali per difendersi da qualunque accusa o per querelarsi di<br />

ingiurie, adulterio o furto, e se erano schiavi perdevano il diritto d'affrancamento; le<br />

chiese dovevano essere demolite; i libri sacri, bruciati.<br />

L'editto fu affisso pubblicamente in Nicomedia il 24 febbraio, ma fin dal giorno<br />

precedente si cominciò ad eseguirlo. Era infatti un giorno di buon auspicio, e non<br />

bisognava lasciarselo sfuggire: erano le feste Terminali, celebrate in onore del dio<br />

Termine che presiedeva ai termini dei campi e delle proprietà terriere, e quindi<br />

simboleggiava bene la fine del cristianesimo ormai racchiuso dentro i suoi termini di<br />

morte. Di buon'ora un forte nerbo di truppe, con tribuni e ufficiali del fisco, mosse<br />

verso la chiesa di Nicomedia; abbattute le porte, tutti irrompono dentro, bruciano i<br />

libri delle Scritture che trovano, depredano, rubano ogni cosa e si dànno a correre di<br />

qua e di là. Gl'imperatori osservando dall'alto d'una finestra ­ la chiesa era visibile<br />

dalla reggia - discutevano tra loro se bisognasse incendiarla o no; prevalse il parere di<br />

Diocleziano, il quale temeva che il causa del grande incendio prendesse fuoco<br />

qualche parte della città (Lattanzio, ivi, 12). Giunti perciò i pretoriani, distrussero con<br />

scuri e picconi l'edificio in poche ore.<br />

48. Il giorno seguente fu affisso l'editto che forniva la spiegazione legale di quanto<br />

era avvenuto.<br />

Sennonché l'editto campeggiava là sull'albo littorio da poche ore, quando un<br />

cristiano lo staccò e lo fece in pezzi: atto coraggioso ma inutile - come osserva<br />

giustamente Lattanzio - giacché non servì neppure a far conoscere l'opinione dei<br />

cristiani, perché questa facilmente s'indovinava. L'audace cristiano, di cui non ci<br />

viene trasmesso il nome, fu arrestato, poi tormentato a fuoco lento, e infine bruciato<br />

vivo, sopportando egli con gran fermezza il supplizio. Ma i capi della comunità<br />

cristiana non approvarono il suo atto: essi piuttosto, edotti dalle persecuzioni<br />

precedenti, raccomandavano la calma, e il nascondimento o la fuga, ben sapendo che

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