Sieog 2-2008
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li di colpa, ritiene non sufficientemente provato che la corion-amnionite,<br />
la rottura delle membrane e il conseguente<br />
aborto siano causalmente connessi alla condotta del sanitario.<br />
La sentenza in esame, dunque, non si ferma al riconoscimento<br />
della colpa e si spinge a verificare correttamente,<br />
altresì, se la condotta dell’agente, riconosciuta colposa, si possa<br />
considerare reale causa dell’evento verificatosi.<br />
L’iter motivazionale sottolinea, inoltre, come dal materiale<br />
probatorio, e in particolare dalle consulenze medico-legali,<br />
non sia emerso in modo certo se, nel caso concreto, il ricorso<br />
a un numero di tentativi superiore a tre abbia effettivamente<br />
aumentato il rischio di cedimento delle membrane,<br />
poiché un evento simile poteva essere riconducibile anche<br />
a una sola perforazione.<br />
Ed è proprio sulla base di questi elementi che la sentenza<br />
ha risolto il problema dell’accertamento causale fra la riconosciuta<br />
condotta imprudente - rappresentata dall’avere effettuato<br />
più di tre tentativi - e l’evento lesivo.<br />
Trasferito questo principio al caso di specie, il giudice, per<br />
mezzo di una verifica ex post, giunge così ad escludere la<br />
presenza del nesso causale, non potendosi individuare una<br />
legge scientifica idonea a dimostrare che la corion-amnionite<br />
e l’aborto siano conseguenza diretta della quarta o della<br />
quinta perforazione e non di uno tra i primi tre tentativi<br />
rientranti nell’area del rischio consentito.<br />
Ecco che il giudice di prime cure ritiene doverosa una verifica<br />
ex post dell’episodio storico oggetto del giudizio, al fine<br />
di riscontrare se possano essere intervenuti fattori di rischio<br />
diversi dalla condotta dell’imputato. In ordine a tale<br />
impostazione, indi, solamente qualora si pervenga ad escludere<br />
oltre ogni ragionevole dubbio che la parte offesa sia<br />
stata esposta ad altri fattori di rischio, allora potrà addebitarsi<br />
con ragionevole certezza l’evento al comportamento<br />
dell’imputato.<br />
Alla luce di quanto detto, il giudicante del caso de quo giunge<br />
a statuire che manca il nesso eziologico tra l’evento morte<br />
hic et nunc realizzatosi e la condotta del sanitario poiché<br />
neppure il coefficiente più elastico della probabilità si<br />
rivela sufficiente a dimostrare la successione causale tra gli<br />
eventi, pervenendo alla conclusione che anche le leggi di<br />
natura statistica “non portano ad una ragionevole esclusione<br />
di un diverso decorso causale rispetto alla condotta colposa,<br />
in quanto non è affatto escludibile che la corion-amnionite<br />
e l’aborto siano stati cagionati da una delle prime<br />
tre perforazioni, che costituirebbero una condotta del tutto<br />
legittima e priva di colpa”.<br />
In ossequio al principio “in dubio pro reo”, il giudice padovano,<br />
pure riconoscendo come l’infezione e l’aborto siano<br />
conseguenza dell’esecuzione di un numero eccessivo di tentativi<br />
di funicolocentesi, ritiene non provato il rapporto di<br />
causalità tra gli eventi contestati e la condotta colposa del<br />
sanitario.<br />
Tale soluzione appare sicuramente discutibile in un settore<br />
ove non può essere altro che la valutazione probabilistica<br />
a regolare diagnosi, malattie e la stessa attribuzione causale,<br />
non potendosi dimenticare come nelle discipline cliniche<br />
si abbia quasi sempre a che fare con l’incertezza e il<br />
rischio.<br />
In armonia con l’orientamento giudiziario oggi di maggio-<br />
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ranza, perciò, la condotta colposa del medico, pur in concreto<br />
casualmente significativa, a fronte di una incertezza<br />
del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale,<br />
conduce all’esito assolutorio del giudizio, anche a scapito<br />
del probabile sacrificio di esigenze di repressione, peraltro<br />
generalmente riconosciute”.<br />
II) Corte d’Appello Penale di Venezia, sez. I, sentenza<br />
dell’8 maggio 2003, così massimata: “…va confermata l’assoluzione<br />
del medico ginecologo per radicale insussistenza<br />
del fatto, non solo stante l’impossibilità di individuare con<br />
certezza, sul piano della causalità materiale, un nesso tra<br />
il suo operato e l’eziogenesi dell’aborto, ma anche perché<br />
la condotta deve ritenersi esente da qualsiasi nota di colpa,<br />
in quanto l’eventuale differimento di perforazioni ulteriori<br />
ad altro giorno non avrebbe comunque ridotto l’autonomo<br />
rischio di infezioni o cedimento delle membrane con<br />
conseguente aborto”.<br />
La dianzi citata giurista, Alice Ferrato, si è così espressa<br />
in merito a questo giudicato: “…Avverso la sentenza del<br />
Tribunale di Padova, il Pubblico Ministero, in aperta opposizione<br />
alle conclusioni dedotte nella pronuncia di primo grado,<br />
richiama l’attenzione in sede di appello sull’esame dei<br />
consulenti, dai cui emerge chiaramente una proporzionalità<br />
tra il numero degli interventi praticati e l’aumento del rischio<br />
della corion-amnionite: secondo quest’ordine di idee, pertanto,<br />
il medico avrebbe dovuto interrompere le perforazioni dopo<br />
il terzo tentativo fallito, comportando la prosecuzione dell’esame<br />
un ingiustificato rischio ulteriore di infezioni.<br />
La Corte d’Appello, chiamata a riesaminare la questione,<br />
giunge, in realtà, a confermare la sentenza impugnata, pervenendo<br />
a conclusioni ancora più favorevoli in relazione all’operato<br />
del medico e, addirittura, a escludere ogni elemento<br />
di colpa nella sua condotta.<br />
Si osserva infatti come l’intera struttura del reato colposo<br />
venga a fondarsi sul rapporto tra inosservanza della regola<br />
cautelare di condotta ed evento che, alla luce della definizione<br />
codicistica dell’art. 43 c.p., costituisce anche la causa<br />
dello stesso. In linea con tale corollario, affinché possa<br />
muoversi un rimprovero a titolo di colpa al soggetto agente<br />
per l’evento cagionato, appare necessario accertare, in<br />
primis, la contrarietà della condotta realizzata alla regola<br />
di diligenza. Il quesito che i giudicanti si pongono richiede,<br />
pertanto, l’accertamento che l’evento si sia verificato a causa<br />
dell’inosservanza della regola di diligenza, di prudenza o<br />
di perizia.<br />
Nel caso in esame, la Corte non ritiene inoltre ravvisabile<br />
in termini di certezza il nesso eziologico tra condotta del<br />
sanitario e morte del feto. La totale mancanza di questo<br />
accertamento giustifica e conduce alla confermata assoluzione<br />
dell’imputato. Secondo il Collegio veneziano, infatti,<br />
non risulta provato che un ipotizzato differimento delle ultime<br />
due perforazioni a qualche giorno dopo avrebbe ridotto<br />
il pericolo di infezioni, dato l’autonomo rischio che<br />
ognuna porta in sé, indipendentemente dalla distanza di<br />
tempo con cui viene eseguita.<br />
Nel ribadire, quindi, un concetto “forte” di causalità penalmente<br />
rilevante, i giudici concludono per la mancanza di<br />
elementi tali da consentire di qualificare con certezza co-