Documento - Scuola Superiore di Studi Storici, Geografici ...
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STUDI E TESTI PER LA STORIA RELIGIOSA<br />
DEL CINQUECENTO<br />
15<br />
ANTONIO ROTONDÒ<br />
STUDI DI STORIA ERETICALE<br />
DEL CINQUECENTO<br />
*<br />
FIRENZE<br />
LEO S. OLSCHKI EDITORE<br />
MMVIII
STUDI E TESTI PER LA STORIA RELIGIOSA<br />
DEL CINQUECENTO<br />
Comitato scientifico<br />
PETER G. BIETENHOLZ (Saskatoon), LUCIA FELICI (Firenze), MASSIMO FIRPO (Torino),<br />
CARLOS GILLY (Amsterdam), ALASTAIR HAMILTON (Leida), GIOVANNI MIC-<br />
COLI (Trieste), OTTAVIA NICCOLI (Bologna), ALESSANDRO PASTORE (Verona), MI-<br />
CHEL PLAISANCE (Parigi), GUILLAUME H. M. POSTHUMUS MEYJES (Leida), † ANTONIO<br />
ROTONDÒ (Firenze), ROBERTO RUSCONI (Salerno), MARTIN STEINMANN (Basilea),<br />
ALDO STELLA (Padova), JOHN A. TEDESCHI (Ma<strong>di</strong>son), CESARE VASOLI (Firenze),<br />
NATALIE ZEMON DAVIS (Princeton).<br />
Direzione<br />
† ANTONIO ROTONDÒ<br />
Redazione<br />
MARIO BIAGIONI, MATTEO DUNI, LUCIA FELICI
ISBN 978 88 222 5737 6
A Miriam, compagna <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> lavoro<br />
sempre serena e infaticabile
INDICE DEL VOLUME<br />
TOMO I<br />
Avvertenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. XI<br />
Contributo alla storia dei miei stu<strong>di</strong>. Note non solo autobiografiche » XIII<br />
Premessa a «Stu<strong>di</strong> e ricerche <strong>di</strong> storia ereticale italiana del Cinquecento»<br />
(1974) . . . . . . . . . . . . . . . . . . » XXIX<br />
I. I MOVIMENTI ERETICALI NELL’EUROPA DEL CINQUECENTO. DISCUSSIO-<br />
NE STORIOGRAFICA . . . . . . . . . . . . . . » 1<br />
II. ANTICRISTO E CHIESA ROMANA. DIFFUSIONE E METAMORFOSI D’UN LI-<br />
BELLO ANTIROMANO DEL CINQUECENTO . . . . . . . . » 45<br />
1. Tra Zurigo e l’Italia: le due facce dell’Anticristo . . . . » 45<br />
2. Anticristo e papato in Lutero . . . . . . . . . . » 60<br />
3. Il Liber generationis desolatoris Antichristi . . . . . . . » 75<br />
4. Deduzioni ra<strong>di</strong>cali: il Pasquino in estasi <strong>di</strong> Curione . . . . » 77<br />
5. Libellistica antiromana e gruppi ereticali a Bologna . . . » 93<br />
6. A Modena patrizi e popolani <strong>di</strong>scutono dell’Anticristo . . » 135<br />
7. Variazioni sul tema: Curione e Biandrata . . . . . . » 168<br />
III. ATTEGGIAMENTI DELLA VITA MORALE ITALIANA DEL CINQUECENTO. LA<br />
PRATICA NICODEMITICA . . . . . . . . . . . . . » 201<br />
1. In Europa. Il nicodemismo <strong>di</strong> Fausto Sozzini . . . . . » 201<br />
2. In Italia. Incidenza dello spiritualismo valdesiano . . . . » 226<br />
IV. PER LA STORIA DELL’ERESIA A BOLOGNA NEL SECOLO XVI . . . . » 249<br />
1. La pre<strong>di</strong>cazione bolognese <strong>di</strong> Lisia Fileno . . . . . . » 249<br />
2. Un episo<strong>di</strong>o bolognese della giovinezza <strong>di</strong> Lelio Sozzini . . » 277<br />
~ VII ~
INDICE DEL VOLUME<br />
V. CALVINO E GLI ANTITRINITARI ITALIANI . . . . . . . . . p. 297<br />
1. La <strong>di</strong>spersione degli antitrinitari italiani dalle città svizzere . » 297<br />
2. Oltre Serveto: evoluzione ra<strong>di</strong>cale dell’antitrinitarismo italiano<br />
. . . . . . . . . . . . . . . . . . » 305<br />
VI. SULLA DIFFUSIONE CLANDESTINA DELLE DOTTRINE DI LELIO SOZZINI . » 323<br />
1. Il nesso tra Serveto e gli antitrinitari italiani . . . . . » 323<br />
2. Risposte alle obiezioni <strong>di</strong> Jerome Friedman . . . . . » 325<br />
VII. VERSO LA CRISI DELL’ANTITRINITARISMO ITALIANO. GIORGIO BIAN-<br />
DRATA E JOHANN SOMMER . . . . . . . . . . . » 349<br />
1. L’influenza del Biandrata in Transilvania . . . . . . » 349<br />
2. Il Sommer da luterano a <strong>di</strong>vulgatore degli Stratagemata Satanae<br />
<strong>di</strong> Aconcio . . . . . . . . . . . . . . » 354<br />
3. La polemica trinitaria . . . . . . . . . . . . » 365<br />
4. Le posizioni ra<strong>di</strong>cali del Sommer e il ripiegamento del Biandrata<br />
. . . . . . . . . . . . . . . . . . » 381<br />
TOMO II<br />
VIII. ESULI ITALIANI IN VALTELLINA NEL CINQUECENTO . . . . . . » 403<br />
1. Protesta religiosa e rivolta sociale . . . . . . . . » 403<br />
2. Integrazione degli esuli italiani . . . . . . . . . » 420<br />
3. I <strong>di</strong>ssidenti irriducibili . . . . . . . . . . . . » 432<br />
IX. GUILLAUME POSTEL E BASILEA . . . . . . . . . . . » 443<br />
1. Vicende dei manoscritti postelliani . . . . . . . . » 443<br />
2. Reazioni dei teologi svizzeri alle idee <strong>di</strong> Postel . . . . » 448<br />
3. Le censure <strong>di</strong> Pellikan e i primi contrasti fra Postel e Oporino<br />
. . . . . . . . . . . . . . . . . . » 453<br />
4. L’utopia religiosa e politica <strong>di</strong> Postel nell’ine<strong>di</strong>ta Apologia del<br />
1549 . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 464<br />
5. Il definitivo <strong>di</strong>stacco <strong>di</strong> Oporino . . . . . . . . . » 474<br />
X. PIETRO PERNA E LA VITA CULTURALE E RELIGIOSA DI BASILEA FRA IL<br />
1570 E IL 1580 . . . . . . . . . . . . . . » 479<br />
1. L’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Castellione . . . . . . . . . . . . » 479<br />
~ VIII ~
INDICE DEL VOLUME<br />
2. Le e<strong>di</strong>zioni castellioniane del Perna . . . . . . . . p. 506<br />
3. Scienza, religione e magia. L’Arbatel . . . . . . . » 532<br />
4. Il Perna nel <strong>di</strong>battito su Paracelso e la magia naturale . . » 552<br />
XI. IL PRIMO SOGGIORNO IN INGHILTERRA E I PRIMI SCRITTI TEOLOGICI<br />
DI FRANCESCO PUCCI . . . . . . . . . . . . . » 577<br />
1. Il <strong>di</strong>battito con Fausto Sozzini sul concetto <strong>di</strong> giustizia <strong>di</strong>vina » 577<br />
2. I concetti <strong>di</strong> fede e <strong>di</strong> giustificazione nella lettera al Grynaeus<br />
. . . . . . . . . . . . . . . . . » 581<br />
3. La dottrina del peccato originale e il valore dell’educazione » 605<br />
XII. NUOVE TESTIMONIANZE SUL SOGGIORNO DI FRANCESCO PUCCI A BA-<br />
SILEA . . . . . . . . . . . . . . . . . » 617<br />
XIII. L’USO NON DOGMATICO DELLA RAGIONE: AGOSTINO DONI . . . » 635<br />
1. Fra aristotelici in crisi. La posizione <strong>di</strong> Zwinger . . . . » 635<br />
2. Il soggiorno a Basilea e la stesura del De natura hominis . . » 648<br />
3. La natura e l’uomo: demolizione critica della tra<strong>di</strong>zione classica<br />
. . . . . . . . . . . . . . . . . . » 658<br />
4. Da Basilea a Cracovia. L’incontro col Du<strong>di</strong>th . . . . » 690<br />
APPENDICE<br />
I. Due scritti ine<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> Guillaume Postel (1549) . . . . . » 703<br />
II. Guglielmo Grataroli a Bonifacio Amerbach (1559) . . . . » 719<br />
III. Iacopo Paleologo da Chio ad Alfonso II d’Este (1562) . . . » 721<br />
IV. Guglielmo Grataroli al Senato dell’Università <strong>di</strong> Basilea (1567) » 725<br />
V. Johann Sommer a Christoph Hanisius (1568) . . . . . . » 729<br />
VI. Prefazione <strong>di</strong> Johann Sommer al compen<strong>di</strong>o degli Stratagemata<br />
Satanae <strong>di</strong> Iacopo Aconcio (1570) . . . . . . . . » 733<br />
VII. Quaestiones Georgii Blandratae cum responsionibus Ioannis Sommeri<br />
(1573 ?) . . . . . . . . . . . . . . . . . » 737<br />
VIII. Francesco Pucci a Johann Jacob Grynaeus (1575) . . . . » 743<br />
IX. Théodore de Bèze a Johann Jacob Grynaeus (1575) . . . » 757<br />
X. Lettere <strong>di</strong> Agostino Doni (1580-1582) . . . . . . . . » 759<br />
XI. Francesco Patrizi a Girolamo Mercuriale (1580) . . . . . » 773<br />
XII. Charles Utenhove a Jean Bauhin (1580) . . . . . . . » 777<br />
XIII. Francesco Patrizi a Theodor Zwinger (1580) . . . . . . » 779<br />
In<strong>di</strong>ce dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . » 781<br />
~ IX ~
AVVERTENZA<br />
Si ripubblicano in questi due volumi i saggi già e<strong>di</strong>ti nel libro <strong>di</strong> Antonio Rotondò<br />
Stu<strong>di</strong> e ricerche <strong>di</strong> storia ereticale italiana del Cinquecento (1974) e<br />
altri cinque scritti usciti tra il 1962 e il 1991 in riviste o in opere miscellanee:<br />
l’or<strong>di</strong>ne in cui sono presentati, i criteri seguiti nella revisione, come ad esempio la<br />
decisione <strong>di</strong> non apportare – se non in rarissimi casi – aggiornamenti bibliografici,<br />
sono quelli stabiliti dall’Autore prima della sua scomparsa. La preparazione per la<br />
stampa è stata completata da Miriam Michelini Rotondò, coa<strong>di</strong>uvata dai Redattori.<br />
Gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> storia ereticale qui raccolti hanno profondamente arricchito e innovato<br />
la ricerca sull’argomento, aprendo molti ine<strong>di</strong>ti orizzonti d’indagine sia per<br />
l’importanza delle figure e dei problemi indagati, sia per l’ampliamento della prospettiva<br />
storica che essi hanno recato. Le figure emerse dallo scavo documentario rigoroso<br />
e dall’analisi luci<strong>di</strong>ssima <strong>di</strong> Rotondò animano infatti la storia culturale e<br />
religiosa dell’Europa, e non solo cinquecentesca: sono uomini accomunati dal rifiuto<br />
del conformismo e del dogmatismo – e sovente tragicamente segnati dalle conseguenze<br />
delle loro scelte – che, con le loro idee, posero le premesse per la successiva<br />
demolizione dell’architettura concettuale e istituzionale della società <strong>di</strong> antico regime.<br />
La limitazione temporale <strong>di</strong> questi stu<strong>di</strong> al secolo XVI non oscura dunque il<br />
più generale ambito problematico delle ricerche <strong>di</strong> Rotondò, che spazia dal Cinquecento<br />
al Settecento per in<strong>di</strong>viduare le linee <strong>di</strong>rettive lungo le quali si svolse la<br />
storia della critica razionale e della tolleranza nella compagine europea. Presente<br />
già in questi scritti come sfondo concettuale, l’indagine sulla genesi delle problematiche<br />
relative all’affermazione della libertà <strong>di</strong> pensiero e sulle loro proiezioni<br />
sei-settecentesche è stata all’origine delle due Collane concepite da Rotondò, «Stu<strong>di</strong><br />
e testi per la storia religiosa del Cinquecento» e «Stu<strong>di</strong> e testi per la storia della<br />
tolleranza in Europa nei secoli XVI-XVIII», che accolgono stu<strong>di</strong> suoi e <strong>di</strong> suoi<br />
allievi e collaboratori.<br />
Le ine<strong>di</strong>te pagine autobiografiche <strong>di</strong> Rotondò Contributo alla storia dei<br />
miei stu<strong>di</strong> (2003), che si è deciso <strong>di</strong> porre in apertura <strong>di</strong> questi volumi, illuminano<br />
l’itinerario intellettuale grazie a cui l’Autore maturò questa sua concezione storica,<br />
che – com’è ovvio – implica anche una precisa visione culturale e politica. Il<br />
loro interesse risiede però soprattutto nella capacità <strong>di</strong> Rotondò <strong>di</strong> trarre dal dato<br />
~ XI ~
AVVERTENZA<br />
personale motivi <strong>di</strong> riflessione sulla cultura e sulla società nella loro faticosa evoluzione<br />
verso un sempre maggiore sviluppo del pensiero critico. Questo il fine perseguito<br />
da Rotondò con il suo impegno scientifico e <strong>di</strong>dattico. Questo il fine, non ultimo,<br />
della pubblicazione della presente opera.<br />
Firenze, Settembre 2007.<br />
~ XII ~<br />
La Redazione
II<br />
ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
DIFFUSIONE E METAMORFOSI<br />
D’UN LIBELLO ANTIROMANO DEL CINQUECENTO *<br />
1. Tra Zurigo e l’Italia: le due facce dell’Anticristo<br />
Il 25 febbraio 1550, il cremonese Giacomo Susio scrisse a Rudolf<br />
Gwalther per informarlo che già da due anni aveva tradotto in italiano,<br />
dall’e<strong>di</strong>zione in latino del 1546, le sue cinque omelie sull’Anticristo (Der<br />
Endtchrist ... Fünff Pre<strong>di</strong>gen). Il Susio unì alla lettera il manoscritto della traduzione<br />
e sollecitò il teologo zurighese a far <strong>di</strong> tutto perché essa venisse<br />
messa a stampa prima possibile: «Te ego illud unum oro obsecroque, ut<br />
una cum Hieronymo nostro conficias cum typographis desque operam ut<br />
Italus Italiam protinus revisat». Non si hanno notizie <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ffusione in<br />
Italia <strong>di</strong> questa traduzione, che pure Johannes Oporinus (o Pietro Perna?)<br />
mise a stampa a Basilea in poco più d’un mese nella veste caratteristica delle<br />
stampe clandestine e nonostante che il Susio avesse interessato alla stampa<br />
e poi al trasferimento del libro in Italia Girolamo Donzellini, uno dei<br />
più abili e più fantasiosi <strong>di</strong>ffon<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> letteratura clandestina che operarono<br />
nel Cinquecento. Tuttavia, la persistenza, ben oltre il 1550, della convinzione<br />
che l’Anticristo si identificasse col papa tra gli argomenti <strong>di</strong> quanti<br />
in Italia giustificavano il loro <strong>di</strong>stacco da ogni prospettiva riformatrice <strong>di</strong><br />
iniziativa romana, rende quanto meno plausibili – a parte le amplificazioni<br />
retoriche e lo stile cerimonioso del Susio – le sue <strong>di</strong>chiarazioni sull’interesse<br />
con cui il libro era atteso in Italia: «Liber est profecto ab omnibus tum<br />
legi tum laudari tum etiam amplecti <strong>di</strong>gnissimus, nec ita facile credas quam<br />
avide, ne <strong>di</strong>cam ardenter, Italus expectetur Gualtheri Antichristus». 1 Co-<br />
* Pubblicato in Forme e destinazione del messaggio religioso. Aspetti della propaganda religiosa<br />
nel Cinquecento, a cura <strong>di</strong> ANTONIO ROTONDÒ (Stu<strong>di</strong> e testi per la storia religiosa del Cinquecento,<br />
2), Firenze, Olschki, 1991, pp. 19-164.<br />
1 Ve<strong>di</strong> più avanti Documenti, 3, p. 198 e le note relative. La traduzione del Susio fu<br />
messa a stampa a Basilea (cfr. nota 13) col titolo: L’Antichristo <strong>di</strong> M. Ridolfo Gualtero, ministro<br />
~ 45 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
me vedremo, l’iniziativa e<strong>di</strong>toriale partita da Cremona ebbe, comunque,<br />
esiti <strong>di</strong>versi dalle aspettative del Susio e dei suoi correligionari. Il rifiuto<br />
che ad essa venne opposto a Zurigo fu l’estrema conseguenza delle forti<br />
perplessità con cui precedentemente l’opera <strong>di</strong> Gwalther era stata giu<strong>di</strong>cata<br />
nelle due e<strong>di</strong>zioni in latino e in tedesco. Gwalther aveva trattato<br />
l’argomento con efficacia e competenza. Ma efficacia della scrittura e<br />
competenza dell’autore non significavano necessariamente attualità del<br />
tema pubblicistico prescelto. Ed è proprio su questo problema che le vicende<br />
poco note dell’opera del teologo zurighese possono suggerire<br />
qualche utile considerazione preliminare sul variare <strong>di</strong> intensità della carica<br />
emozionale che la pubblicistica fondata sull’equivalenza tra Anticristo<br />
e Chiesa romana era in grado <strong>di</strong> suscitare.<br />
Sorprendentemente, nell’ampia prefazione con cui Gwalther de<strong>di</strong>cò<br />
il libro «A i <strong>di</strong>letti fratelli che pre<strong>di</strong>cano l’Evangelio <strong>di</strong> Christo nel paese<br />
Tigurino», si legge, rivolto agli stessi de<strong>di</strong>catari, un severo rimprovero,<br />
appena attenuato da espressioni <strong>di</strong> riverenza e da ammissione <strong>di</strong> inesperienza<br />
giovanile. Gwalther lamenta che quanti hanno responsabilità <strong>di</strong><br />
ammaestrare il gregge abbiano lasciato cadere la denuncia del mistero <strong>di</strong><br />
iniquità incarnato dall’Anticristo romano: così sono venute meno tutte le<br />
più concrete in<strong>di</strong>cazioni capaci <strong>di</strong> svelare agli uomini «gli inganni della<br />
dottrina falsa, sì che possino schiffare i belletti delle superstitioni et fuggire<br />
le insi<strong>di</strong>e et i lacci delle menzogne et in nessun modo sieno offesi per<br />
la persecutione»; solo il costante riferimento alla realtà in cui si è incarnato<br />
l’Anticristo può in<strong>di</strong>care ai cristiani la vera ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> tutti i mali; «questo<br />
dunque – concludeva – ci bisogna riprendere et proporre alle chiese».<br />
2 Quanto a lui, Gwalther, <strong>di</strong>ceva d’avere intrapreso «questa fatica [...]<br />
<strong>di</strong> provare che il Papa Romano è il vero Antichristo [...] solo per dar<br />
conto degli stu<strong>di</strong> miei a coloro li quali, con fortezza d’animo et costanza<br />
della Chiesa Tigurina. Cioè cinque homilie nelle quali si prova che il Papa Romano è quel vero et<br />
grande Antichristo, il quale pre<strong>di</strong>ssero li Profeti, Christo et gli apostoli dover venire et doversi da noi<br />
schifare, senza in<strong>di</strong>cazioni e<strong>di</strong>toriali. Ne conosco il solo esemplare conservato nella Zentralbibliothek<br />
<strong>di</strong> Zurigo, mutilo del se<strong>di</strong>cesimo L, che cade tra le pp. 132 e 149. La traduzione<br />
(dalla quale qui si cita) è letterale, con poche <strong>di</strong>fferenze (per omissioni o aggiunte) nelle note<br />
marginali. Un secondo esemplare (che non ho visto) mi viene segnalato da Silvano Cavazza<br />
nella biblioteca dello Emmanuel College <strong>di</strong> Cambridge (H. M. ADAMS, Catalogue of Books<br />
Printed on the Continent of Europe, 1501-1600, in Cambridge Libraries, Cambridge, 1967, G<br />
1408). Martin Steinmann ( Johannes Oporinus. Ein Basler Buchdrucker um <strong>di</strong>e Mitte des 16.<br />
Jahrhunderts, Basel, Helbing und Lichtenhahn, 1966, p. 84) attribuisce congetturalmente la<br />
stampa a Oporino.<br />
2 L’Antichristo cit., p. A7r.<br />
~ 46 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
<strong>di</strong> fede, già molti anni ho veduti esser sudati con gran profitto intorno a<br />
questa istessa materia». 3 Ora, con rammarico, Gwalther doveva prendere<br />
atto che a Zurigo non c’era più nessuno che si de<strong>di</strong>casse a questa fatica<br />
meritoria; anzi, era costretto a esprimere <strong>di</strong>sappunto per il biasimo con<br />
cui la sua iniziativa era stata accolta non solo da generici fautori dell’«evangelica<br />
verità», ma anche da «maestri non volgari <strong>di</strong> quella». 4 Dunque,<br />
Gwalther è esplicito – e, quel che più conta, lo è in sede <strong>di</strong> pubblica<br />
scrittura – nel riferire le perplessità che aveva suscitato e continuava a suscitare<br />
a Zurigo il genere <strong>di</strong> pubblicistica antiromana da lui proposto.<br />
Purtroppo, la scarsità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> su figure anche <strong>di</strong> primo piano del mondo<br />
culturale e religioso zurighese del Cinquecento non facilita l’identificazione<br />
dei riferimenti <strong>di</strong> Gwalther. Un solo riferimento sembra, già a prima<br />
lettura, non potersi escludere: lo stesso capo della Chiesa <strong>di</strong> Zurigo,<br />
Heinrich Bullinger; e, come vedremo, si tratta d’un riferimento confermato<br />
da testimonianze indubitabili.<br />
Cinque anni prima della doppia e<strong>di</strong>zione zurighese del libro <strong>di</strong><br />
Gwalther, esattamente nell’agosto del 1541, su richiesta d’uno dei pre<strong>di</strong>catori<br />
<strong>di</strong> Francoforte, Melchior Ambach, Bullinger aveva autorizzato la<br />
stampa d’un suo libretto sull’Anticristo (Vom Antichrist und seinem Reich),<br />
nel quale era riprodotta, in traduzione tedesca, parte del suo commento<br />
del 1536 alle epistole paoline ai Tessalonicesi. 5 Ma né un simile scritto<br />
né un libro analogo a quello <strong>di</strong> Gwalther sarebbero pensabili nella produzione<br />
teologica <strong>di</strong> Bullinger della seconda metà degli anni Quaranta,<br />
cioè in anni nei quali la situazione generale era profondamente mutata in<br />
ragione d’un evento col quale nessuno poteva evitare <strong>di</strong> misurarsi: la<br />
convocazione del concilio. Nei due decenni precedenti, dentro e fuori<br />
del mondo germanico in rivolta, lo scetticismo sulla volontà riformatrice<br />
della Chiesa romana aveva fatto versare fiumi <strong>di</strong> inchiostro sulla sua riluttanza<br />
<strong>di</strong> fronte alla prospettiva della convocazione del concilio. Si era,<br />
poi, passati alla denuncia dell’egemonia che su <strong>di</strong> esso veniva esercitata da<br />
Roma: un tema pubblicistico sul quale, come è noto, concentrò subito<br />
buona parte delle sue energie l’esule Vergerio. Ma intanto bisognava<br />
prendere atto che ora il concilio c’era e lavorava con determinazione,<br />
analizzando e condannando – ormai quasi completamente al riparo da<br />
3 Ibid., p. B1r.<br />
4 Ibid., p. A7v.<br />
5 Heinrich Bullinger. Bibliographie, I, Beschreibendes Verzeichnis der gedruckten Werke von<br />
Heinrich Bullinger, bearbeitet von JOACHIM STAEDTKE, Zürich, Theologischer Verlag, 1972,<br />
n. 83, p. 44.<br />
~ 47 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
preoccupazioni e rimpianti per l’unità, vivissimi appena pochi anni prima<br />
– l’intero patrimonio delle novità teologiche accumulatosi in trent’anni<br />
<strong>di</strong> rivolta contro Roma. Di fronte a questo evento, a Zurigo come a<br />
Wittenberg e a Ginevra, la <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> quel patrimonio rendeva urgenti, più<br />
che l’isolato rilancio <strong>di</strong> ripetitive figurazioni apocalittiche, approfon<strong>di</strong>menti<br />
e contestazioni dottrinali tali da motivare, <strong>di</strong> fronte all’opinione<br />
pubblica religiosa e politica europea, l’irreversibilità della frattura.<br />
Certo, la riproposta, <strong>di</strong> natura prevalentemente emotiva, d’una globale<br />
identificazione dell’Anticristo con la Chiesa romana poteva avere<br />
una maggiore efficacia – come a Cremona pensava Giacomo Susio e nei<br />
Grigioni il Vergerio – tra le file del movimento eterodosso italiano, che<br />
vedeva rispecchiate le proprie aspettative <strong>di</strong> riforma in una visione più o<br />
meno chiara <strong>di</strong> quanto era stato attuato e <strong>di</strong> quanto tuttora avveniva oltralpe.<br />
Come è risaputo, il movimento era numericamente consistente,<br />
ma dottrinalmente e organizzativamente fragile. In esso, il grado <strong>di</strong> coesione<br />
<strong>di</strong> scelte e <strong>di</strong> orientamenti dottrinalmente <strong>di</strong>fformi dalla tra<strong>di</strong>zione<br />
o risolutamente avversi alla tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>pendeva molto spesso dalla più o<br />
meno sommaria convinzione che tutto ciò cui si era voltato le spalle costituiva<br />
una realtà da <strong>di</strong>struggere in quanto nata o escogitata «in synagoga<br />
<strong>di</strong>aboli». Era ciò che gli stessi inquisitori potevano sentirsi <strong>di</strong>re <strong>di</strong>rettamente<br />
o a proposito <strong>di</strong> uomini d’ogni ceto sociale: da un popolano milanese<br />
o da un girovago libraio bresciano o da un prete u<strong>di</strong>nese dalla giovinezza<br />
movimentata, o a proposito d’un podestà del contado modenese<br />
che (si <strong>di</strong>ceva) «subvertebat rusticos» e sosteneva che «papistas omnes annihilandos»,<br />
oppure a proposito d’un giovane dottore <strong>di</strong> legge <strong>di</strong> formazione<br />
padovana, che a Venezia andava mostrando allusivamente le immagini<br />
che illustravano gli pseudogioachimitici Vaticinia de summis pontificibus;<br />
6 e così via. Come <strong>di</strong>mostra il caso dell’utilizzazione <strong>di</strong> temi della<br />
6 Il popolano milanese è Damiano d’Angera, garzone <strong>di</strong> fabbricanti <strong>di</strong> velluto prima a<br />
Milano (1553), poi a Reggio, a Modena (1554), a Venezia e infine <strong>di</strong> nuovo a Modena, dove<br />
venne processato nel 1562. Alla consueta domanda dell’inquisitore se avesse mai parlato<br />
«de rebus fidei» rispose: «Se io avessi il Testamento novo latino o vulgare, ch’io ho letto, io<br />
saprei <strong>di</strong>r quello ch’io ho detto». Nello stesso interrogatorio del 3 aprile, <strong>di</strong>chiarò che «el Papa<br />
è satanasso et che l’ho ritrovato in le Scripture et che li preti et frati sono satanassi et che<br />
tutto provaria per le Scripture, et che li Lutherani sono uomini da bene» (Modena, Archivio<br />
<strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 3, Processi 1557-1563, fasc. «Damiano de Angleria»). Il libraio<br />
bresciano è Giovanni Giacomo Tabita, processato a Modena nel 1555. Nell’abiura, sul<br />
punto «de ecclesia» <strong>di</strong>chiarò «quod sit invisibilis, ex praedestinatis» e a proposito della Chiesa<br />
romana «quod non sit vera, sed synagoga <strong>di</strong>aboli» (ibid., busta 3, «Liber sextus», Processi<br />
1550-1561, c. 156r). Sulla già nota figura del prete u<strong>di</strong>nese Giovanni Battista Clario ve<strong>di</strong><br />
~ 48 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
tra<strong>di</strong>zione gioachimita, queste configurazioni della Chiesa romana come<br />
una gigantesca «anatomia Antichristi» attingevano anche alla letteratura<br />
apocalittica nelle forme più varie in cui essa ebbe voga in Italia nei primi<br />
decenni del Cinquecento. Tuttavia, rispetto alle forme antiche e recenti<br />
della letteratura apocalittica d’origine colta o <strong>di</strong> carattere e destinazione<br />
popolari, la caratteristica <strong>di</strong>stintiva <strong>di</strong> quelle configurazioni <strong>di</strong>aboliche<br />
della realtà ecclesiastica consisteva nel fatto che ora esse non tanto erano<br />
vòlte a suscitare aspettative quanto a descrivere una realtà già attuata e da<br />
demolire. Come vedremo, i contemporanei non sottovalutarono il nesso<br />
tra queste figurazioni sataniche delle strutture ecclesiastiche e – per rimanere<br />
nel genere <strong>di</strong> letteratura <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando – quel misto <strong>di</strong><br />
derisione, <strong>di</strong> ironia e <strong>di</strong> sarcasmo con cui il genere dell’invettiva anticlericale<br />
e il genere meno innocuo della letteratura pasquillesca avevano<br />
sgretolato l’immagine dell’istituzione e delle sue tra<strong>di</strong>zioni. Dalle critiche<br />
dell’invettiva anticlericale e dal <strong>di</strong>leggio della letteratura pasquillesca alle<br />
complessive configurazioni della Chiesa come costruzione <strong>di</strong>abolica il<br />
passaggio non era stato né era, <strong>di</strong> per sé, necessario. Ciò che lo rese possibile<br />
fu la mutuazione più o meno schematica – cioè a livelli molto variabili<br />
<strong>di</strong> consapevolezza degli obiettivi e delle conseguenze – <strong>di</strong> dottrine<br />
giunte in Italia grazie a una circolazione notoriamente <strong>di</strong>lagante del libro<br />
d’oltralpe. Il problema storico della cosiddetta «Riforma in Italia» è l’identificazione<br />
e la descrizione <strong>di</strong> queste variabili forme <strong>di</strong> consapevolezza<br />
con cui, per un cinquantennio, uomini d’ogni strato sociale ritennero –<br />
secondo una gradazione articolatissima <strong>di</strong> luci<strong>di</strong>tà e <strong>di</strong> impegno attivo –<br />
<strong>di</strong> poter demolire o trasformare o riformare o ritoccare le strutture e le<br />
forme che la società cristiana aveva assunto in Italia. Più avanti tenteremo<br />
– me<strong>di</strong>ante riferimenti a casi in<strong>di</strong>viduali e a qualche gruppo, momento e<br />
LUIGI FIRPO, Ricerche campanelliane, Firenze, Sansoni, 1947, pp. 28-32, 310-318 (su documenti<br />
veneziani), e LUIGI DE BIASIO, L’eresia protestante in Friuli nella seconda metà del secolo XVI,<br />
«Memorie forogiuliesi», LII, 1972, pp. 142-146 (su documenti u<strong>di</strong>nesi). Il podestà <strong>di</strong> Baisi,<br />
Girolamo Fogliano da Formigine, processato nel luglio del 1555, ricavava le sue idee sulla<br />
Chiesa e sul papato da assidue letture <strong>di</strong> libri eterodossi (Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo<br />
Inquisizione, busta 3, Processi 1550-1565, fasc. «Girolamo Foiano de Formigine»). Il <strong>di</strong>ffon<strong>di</strong>tore<br />
dei Vaticinia pseudogioachimitici era Francesco Regolo da Sebenico (Venezia, Archivio<br />
<strong>di</strong> Stato, Sant’Ufficio dell’Inquisizione, busta 11, fasc. «Francesco Regolo», costituto del 6 settembre<br />
1553, c. 44v: «Lui mi mostrò un certo libretto del beato Joachim in el qual ghe era<br />
de’ stemi stampati delli pontefici con de’ sparvieri in mano et chi de loro era a chavalo et<br />
chi aveva le chiavi in mano et chi una cosa et chi un’altra. Et ve <strong>di</strong>rò la pura verità, che<br />
quelle cose me <strong>di</strong>spiacevano, perché le mi pareva cosa vittuperosa et contra la giesa. Domandato<br />
che cosa <strong>di</strong>ceva el <strong>di</strong>to Francesco sopra el <strong>di</strong>to libro, respose: el <strong>di</strong>ceva che queste<br />
cose erano profezie»).<br />
~ 49 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
ambiente significativi – un’analisi della <strong>di</strong>versa ampiezza con cui la metafora<br />
dell’Anticristo veniva applicata alla realtà ecclesiastica e, <strong>di</strong> riflesso e<br />
spesso esplicitamente, alla società che vi si modellava. Sostituire, come è<br />
stato proposto recentemente, questa analisi con l’assunzione d’un generico<br />
criterio «della persecuzione e della sofferenza» in base al quale «delimitare<br />
l’area della Riforma», significa proporre un’evasiva stravaganza metodologica.<br />
7<br />
Ma intanto Cremona, U<strong>di</strong>ne, Brescia, Modena ... non erano Zurigo.<br />
Qui, <strong>di</strong> fronte all’offensiva del concilio, una chiesa teologicamente autorevole,<br />
dalle strutture ormai solide e dai contenuti dottrinali peculiarissimi,<br />
poteva apprestarsi valide <strong>di</strong>fese solo me<strong>di</strong>ante una chiara messa a<br />
punto delle ragioni <strong>di</strong> principio che l’avevano spinta a <strong>di</strong>ssociazioni irreversibili.<br />
Era un’urgenza che, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> Zurigo, investiva tutte le nuove<br />
realtà ecclesiastiche emerse dalla rivolta contro Roma, e ancor più dove<br />
la complessità della situazione e delle pressioni politiche poneva il problema<br />
della partecipazione al concilio. A Wittenberg, a questa urgenza si<br />
rispose con la Confessio Saxonica: un documento che Melantone, che lo<br />
scrisse, e gli esponenti <strong>di</strong> tutte le Chiese sassoni, che lo sottoscrissero,<br />
vollero privo <strong>di</strong> ogni esitazione nella riconferma intransigente della vali<strong>di</strong>tà<br />
del proprio patrimonio dottrinale, e solenne nel <strong>di</strong>chiarare, più che<br />
<strong>di</strong> fronte al concilio <strong>di</strong> fronte alla posterità, le ragioni dello strappo proclamato<br />
ormai come definitivo («Necesse est nos etiam ad posteros relinquere<br />
publica testimonia [...], ne posteritas de nobis secus iu<strong>di</strong>cet»); ma<br />
anche documento nel quale è solo apparentemente sorprendente il fatto<br />
che, a soli sei anni dall’ultima e più violenta raffigurazione della Chiesa<br />
romana come incarnazione dell’Anticristo pubblicata da Lutero, vi fossero<br />
abbandonati le figurazioni e i toni apocalittici che avevano predominato<br />
nella pubblicistica antiromana del trentennio precedente. A Zurigo,<br />
7 Mi riferisco a quanto si legge in SILVANA SEIDEL MENCHI, Erasmo in Italia, 1520-1580,<br />
Torino, Bollati Boringhieri, 1987, p. 23. Su questo libro dovrò tornare altrove, prevalentemente<br />
attraverso confronto tra la documentazione già a mia conoscenza e le conclusioni che<br />
ne sono state tratte. Quanto alla «sofferenza», in base alla quale si dovrebbe «delimitare l’area<br />
della Riforma», sarà opportuno ricordare che né il raffinato protonotario apostolico Pietro<br />
Carnesecchi – che all’alba del 1 o ottobre 1567 un osservatore fededegno vide presentarsi all’appuntamento<br />
del rogo «tutto attillato, con la camicia bianca, con un par <strong>di</strong> guanti e una<br />
pezzuola bianca in mano» – né quegli anabattisti veneti che preferivano rimanere nelle carceri<br />
veneziane per farvi propaganda delle loro dottrine tra gli altri detenuti, né Domenico<br />
Scandella detto Menocchio (e, ovviamente, neppure Silvio Pellico e Antonio Gramsci ...)<br />
chiedono agli storici <strong>di</strong> risolvere l’interpretazione delle loro vicende in termini <strong>di</strong> «sofferenza»:<br />
insomma, questa non è storia alla quale si possa guardare come a un deposito <strong>di</strong> vicende<br />
personali e <strong>di</strong> eventi sui quali esercitare un poco pu<strong>di</strong>co gusto del patetico.<br />
~ 50 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
l’equivalente della Confessio delle Chiese sassoni fu un contemporaneo<br />
opuscolo <strong>di</strong> Bullinger, che già solo dal titolo rivela le intenzioni dell’autore<br />
e le preoccupazioni del momento: Antithesis et compen<strong>di</strong>um evangelicae<br />
et papisticae doctrinae: unde nullo negotio quivis intelliget quantum inter se ho<strong>di</strong>e<br />
partes <strong>di</strong>stent et quid partium quaelibet vel probet vel improbet. 8 Al <strong>di</strong> là d’una<br />
simile messa a punto, tutto ciò che Bullinger era <strong>di</strong>sposto a <strong>di</strong>re nelle sue<br />
omelie era – come, per l’appunto, fece nel gennaio del 1551 – che il<br />
concilio non cercava la verità secondo Scritture, ma mirava a confermare<br />
gli errori <strong>di</strong> Roma. 9 Certo, Bullinger non rimase in<strong>di</strong>fferente alle reazio-<br />
8 Heinrich Bullinger, Bibliographie cit., I, nn. 239, 241, pp. 217-218. Una più tarda e<strong>di</strong>zione<br />
(1560), messa a stampa non si sa dove né da chi, altera sostanzialmente la struttura e le<br />
intenzioni originarie del libretto, aggiungendo una Declaratio de praestantissimis Christi et Antichristi<br />
moribus cuiusdam viri pii et fidelis. Per gli anni anteriori, l’attenzione <strong>di</strong> Bullinger ai <strong>di</strong>battiti<br />
conciliari è <strong>di</strong>mostrata dal contributo che egli <strong>di</strong>ede alla stampa degli Acta concilii Tridentini<br />
curata da Francisco de Enzinas (Dryander): Acta concilii Tridentini, anno MDXLVI celebrati:<br />
Una cum annotationibus piis et lectu <strong>di</strong>gnissimis. Item ratio cur qui Confessionem Augustanam<br />
profitentur non esse assentiendum iniquis concilii Tridentini sententiis iu<strong>di</strong>carunt: per Philippum Melanchthonem,<br />
[Basilea, Oporino], 1546. Sul pregio testuale delle copie dei primi decreti tridentini<br />
fornite da Bullinger a Dryander ve<strong>di</strong> HUBERT JEDIN, Storia del concilio <strong>di</strong> Trento, II,<br />
Brescia, Morcelliana, 1962, p. 363, che tuttavia ignora la già nota attribuzione della stampa<br />
degli Acta a Dryander (cfr. EDUARD BOEHMER, Francisci Dryandri Hispani epistolae quinquaginta,<br />
«Zeitschrift für historische Theologie», XL, 1870, pp. 395, 396, 398 sgg.). Il polemico<br />
Dryander tratta con notevole obiettività, nelle Annotationes, la materia dei decreti, certamente<br />
per influenza <strong>di</strong> Bullinger, col quale aveva avuto conversazioni al riguardo a Zurigo.<br />
9 È significativo che il testo latino e tedesco <strong>di</strong> questa omelia rimanesse ine<strong>di</strong>to fino al<br />
Settecento (cfr. Heinrich Bullinger, Bibliographie cit., I, nn. 229-230, p. 114). Circolò, invece,<br />
in una sconosciuta traduzione italiana del Vergerio, messa a stampa a Caspano nell’aprile del<br />
1551 (ibid., n. 228, p. 113). Le aggiunte del Vergerio («Scripsisti tu in hoc genere ea quae ex<br />
experientia rerum Germanicarum nosti; ad<strong>di</strong><strong>di</strong> ego ea quae ex Romanae curiae experientia<br />
novi») <strong>di</strong>pesero da iniziativa in<strong>di</strong>pendente dalla volontà <strong>di</strong> Bullinger (cfr. Bullingers Korrespondenz<br />
mit den Graubündnern, hg. von TRAUGOTT SCHIESS [Quellen zur Schweizer Geschichte,<br />
23], Basel, Adolf Geering, 1904, I, pp. 193-199). Iperbolicamente, Vergerio attribuiva<br />
alla <strong>di</strong>ffusione delle sue raffigurazioni dell’Anticristo un’influenza decisiva sull’andamento del<br />
concilio: «Quum Antichristus – scriveva a Bullinger a proposito della stampa dell’omelia da<br />
lui rimaneggiata e messa a stampa – concilium adornet veluti quoddam propugnaculum [...]<br />
certe evertimus illi a fundamentis quicquid coti<strong>di</strong>e e<strong>di</strong>ficat, quum passim huiuscemo<strong>di</strong> libellos<br />
evulgamus» (ibid.); e ancora ai primi <strong>di</strong> maggio: «Tua demonstratio iam sparsa est magno,<br />
quod certo rescivi, illius bestiae dolore. Sed insaniat et fremat; nam prope<strong>di</strong>em interficietur»<br />
(ibid., p. 200). L’annotazione <strong>di</strong> Bullinger nel suo <strong>di</strong>ario non esprime al riguardo reazione<br />
d’alcun genere (Diarium de Jabre 1504-1574, hg. von EMIL EGLI [Quellen zur Schweizer Geschichte,<br />
2], Basel, Adolf Geering, 1904, pp. 39-40). Non sappiamo se Bullinger fosse al<br />
corrente della volontà <strong>di</strong> Vergerio <strong>di</strong> presentarsi al concilio (FRIEDRICH HUBERT, Vergerios publizistische<br />
Thätigkeit nebst einer bibliographischen Übersicht, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht,<br />
1893, pp. 121-122).<br />
~ 51 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
ni della Confederazione contro il libro <strong>di</strong> Gwalther. 10 Ma è anche certo<br />
che egli ritenne inattuale il punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Gwalther secondo il quale,<br />
quando l’Anticristo incalza – come avveniva con l’apertura del concilio e<br />
nell’imminenza dello scontro tra l’imperatore e la lega <strong>di</strong> Smalcalda – «all’hora<br />
hassi a suonar fortemente la tromba [...] bisogna eccitar gl’huomini<br />
alle arme»: 11 insomma, una forma <strong>di</strong> pubblicistica che agli occhi <strong>di</strong> Bullinger<br />
non poteva che risultare evasiva, nel momento in cui urgevano<br />
approfon<strong>di</strong>menti dottrinali e riaffermazione dei princìpi. Tutto ciò sembrò<br />
a Gwalther un modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sertare il campo della lotta, seguìto da un<br />
inutile proliferare <strong>di</strong> <strong>di</strong>spute condotte da «theologi gonfiati e poco men<br />
che serafici»: l’Anticristo incalza – <strong>di</strong>ceva – e «eglino fra tanto sono mirabilmente<br />
industriosi et s’affaticano in travagliare qualche misero fratuccio<br />
et sacerdotuccio, et così si compiacciono et insuperbiscono a maraviglia<br />
se per avventura esce della lor bocca qualche bel detto, nuovo, mordace<br />
[...], ma non consentono che il capo et prencipe <strong>di</strong> costoro sia offeso». 12<br />
Sarebbe superfluo seguire qui le reazioni che il libro <strong>di</strong> Gwalther suscitò<br />
a Zurigo tra il 1546 e il 1550: se è vero che per un momento esso costituì<br />
un problema politico, un motivo <strong>di</strong> turbamento dei rapporti tra la<br />
Confederazione e la Chiesa <strong>di</strong> Zurigo, è pur vero che la prefazione documenta<br />
sufficientemente l’anteriore e forte <strong>di</strong>sparere degli ecclesiastici<br />
più autorevoli sul genere stesso <strong>di</strong> pubblicistica antiromana che Gwalther<br />
proponeva. Qui basterà prendere atto che fu proprio Bullinger a impe<strong>di</strong>re<br />
che la traduzione del Susio venisse stampata a Zurigo e poi a opporsi<br />
al trasferimento in Italia del libro già stampato a Basilea. Oswald Myconius,<br />
il teologo basileese che ci informa <strong>di</strong> ciò, scrisse a Bullinger che era<br />
10 Alla data del 29 gennaio 1547, Bullinger annota nel suo Diarium cit., p. 34: «Respon<strong>di</strong>mus,<br />
Gualterus et ego, ad accusationem Quinquepagicorum super e<strong>di</strong>to Antichristo,<br />
idque fecimus coram <strong>di</strong>aconis». Frequenti riferimenti alla lunga controversia tra la Confederazione<br />
e la Chiesa <strong>di</strong> Zurigo sono nelle delibere della Confederazione dal gennaio 1547 al<br />
12 settembre 1548 (cfr. Eidgenössische Abschieden, Zürich, Band 4, 1d, 1882, pp. 758, 775,<br />
794, 799, 830, 834, 876, 889, 1021). Le <strong>di</strong>scolpe <strong>di</strong> Gwalther in<strong>di</strong>rizzate alla Confederazione<br />
sono del 29 gennaio e del 28 maggio 1547 (Zurigo, Staatsarchiv, E. II. 440, cc. 341-343,<br />
344-345: Rudolf Gwalthers Verantwortung wegen der Vorwürfe gegen sein Büchlein vom Antichrist;<br />
per queste notizie devo vivi ringraziamenti al Dr. Ulrich Helfenstein, <strong>di</strong>rettore dello Staatsarchiv<br />
<strong>di</strong> Zurigo). In una lettera a Gwalther da Losanna, del 1 o marzo 1547, Pierre Viret si<br />
<strong>di</strong>ce molto preoccupato delle conseguenze che il contrasto aveva avuto a Zurigo (Zurigo,<br />
Zentralbibliothek, F. 41, c. 56r: «Mihi dolet quod au<strong>di</strong>am te tam cito experiri quod de eo<br />
scripsisti. Nam hic rumor est tibi ob huius libelli e<strong>di</strong>tionem gravissimas non solum tibi, sed<br />
toti vestrae civitati huius opera turbas esse excitatas»).<br />
11 L’Antichristo cit., p. A8r.<br />
12 Ibid., p. A7v.<br />
~ 52 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
giusto il parere <strong>di</strong> Vergerio, secondo il quale niente c’era da sperare dal<br />
nuovo papa, e che, impedendo che l’Antichristus <strong>di</strong> Gwalther venisse<br />
portato a conoscenza degli italiani, lui, Bullinger, aveva finito con l’impe<strong>di</strong>re<br />
che venisse portato alla loro conoscenza l’Anticristo stesso e «eius<br />
mysterium», cioè la connivenza e l’appoggio dell’imperatore, <strong>di</strong> re e<br />
principi, dei quali esso si giovava. 13<br />
Neppure sul tema più idoneo a «eccitar gl’huomini alle arme» Gwalther<br />
riuscì a suscitare emozioni e a riscuotere consensi. Scritto quando<br />
già si sapeva imminente l’attacco degli eserciti imperiali contro la lega <strong>di</strong><br />
Smalcalda, il libro si <strong>di</strong>ffonde nella descrizione delle rovinose turbolenze<br />
seguite ai contrasti tra principi e tra città della Germania. Gwalther sa<br />
provocare la concentrazione del lettore sulla gravità del momento contrapponendo,<br />
come in un fortissimo chiaroscuro, la situazione presente<br />
agli eventi degli ultimi decenni. Dopo che «la parola dell’Evangelio» fu<br />
rivelata «da venticinque et più anni ai popoli <strong>di</strong> Germania», l’essenziale<br />
era stato raggiunto: la tirannide dell’Anticristo era stata smascherata; la<br />
13 Il 12 aprile 1550, quando ancora era all’oscuro dell’intervento <strong>di</strong> Bullinger presso le<br />
autorità basileesi, Myconius gli scrisse: «Casu ho<strong>di</strong>e accepi conciones Gualtheri contra Antichristum<br />
versas esse Italice et hic impressas, ut mittantur in Italiam; pro<strong>di</strong>torem quemdam<br />
rem in<strong>di</strong>casse magistratui atque ho<strong>di</strong>e de hoc consultatum. Quid vero statutum adhuc nescio»<br />
(Zurigo, Staatsarchiv, E. II. 336a, c. 326r; cfr. CARLOs GILLY, Spanien und der Basler<br />
Buchdruck bis 1600. Ein Querschnitt durch <strong>di</strong>e Spanische Geistesgeschichte aus der Sicht einer europäischen<br />
Buchdruckerstadt, Basel und Frankfurt, Helbing und Lichtenhahn, 1985, p. 339, nota<br />
230). È decisiva per il chiarimento dell’episo<strong>di</strong>o la lettera che lo stesso Myconius scrisse a<br />
Bullinger il 1 o maggio successivo: «Comitiis futuris stupendum Caesaris consilium circumfertur,<br />
nempe quod in animo sit omnes, qui ipsius non receperint Interitum [rectius: Interim],<br />
excommunicare, eos autem qui receperint et non apte observent bello petere. Quod si<br />
verum est, ausim proclamare tyrannum qualis non fuit ab initio mun<strong>di</strong>. Quamobrem pie factum<br />
fuisset, si Antichristum Gualtheri Italice versum et hic impressum in lucem venire non prohibuisses,<br />
si non Antichristus solus potuisset agnosci, sed etiam eius mysterium: caesares, reges,<br />
principes etc. [...] Papa novus scribit concilium se facile laturum, modo se<strong>di</strong>s Romanae non<br />
sugilletur, sed maneat incolumis. Hic si Caesar vel micam haberet sapientiae coelestis, imo si<br />
humano more sapiens foret, an non deberet nosse Papam esse <strong>di</strong>abolum, postquam tot sunt<br />
mala sedem istam deturpantia? Sed coecus fertur ut equus furibundus usque dum praecipitem<br />
se dabit aliquando [...] Quamobrem non temere nuper Vergerius: Non est quod speres<br />
de Papa novo aliquid boni» (Zurigo, Staatsarchiv, E. II. 336a, c. 227r; il corsivo è sottolineato<br />
nel testo). Da Losanna, Pierre Viret si espresse con presupposti analoghi. Ma alla richiesta<br />
<strong>di</strong> Gwalther <strong>di</strong> procurare una traduzione in francese dell’Antichristus rispose: «Scribes<br />
de exitu tragoe<strong>di</strong>ae tibi et vestrae ecclesiae excitatae huius libelli, ut au<strong>di</strong>o, causa. Deinde<br />
maturius deliberabitur de versione» (Zurigo, Zentralbibliothek, F. 41, c. 56r). La traduzione<br />
promessa da Viret venne pubblicata a Ginevra solo do<strong>di</strong>ci anni dopo, nel 1559 (PAUL CHAIX,<br />
ALAIN DUFOUR, GUSTAVE MOECKLI, Les livres imprimés à Genève de 1550 à 1600, Genève,<br />
Droz, 1966 2 , p. 39).<br />
~ 53 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
nuova dottrina aveva mandato in rovina «tutta quella fabbrica dell’Anticristianesmo»,<br />
e «a guisa <strong>di</strong> fumo» erano scomparsi «li terrori delle conscientie».<br />
14 Il cammino non era stato privo <strong>di</strong> ostacoli, ma la verità aveva<br />
prevalso. Erano state vane le rabbiose reazioni dell’imperatore, <strong>di</strong> papi, re<br />
e principi potentissimi: «Volevano tagliar la tenerella biada dell’Evangelio»,<br />
e invece li «habbiamo noi veduti azzuffati insieme et tra sé consumati<br />
horribilmente». 15 Ma le cose sono mutate: «Hora quei medesimi ci<br />
stanno con le spade sul collo [...], hora rimescolano ogni cosa <strong>di</strong> incen<strong>di</strong><br />
et <strong>di</strong> uccisioni». 16 E gli effetti sono ormai palesi: la tirannide dell’Anticristo<br />
finora s’era rivolta contro i singoli cristiani; ora i suoi stratagemmi e<br />
le sue violenze si rivolgono «contra potentissimi principi, contra famosissime<br />
città», e già si vede «tutta la Germania ardere del suo fuoco». 17 «Risvegliamoci,<br />
adunque, fratelli» ecc. 18 Anche su questo punto è lo stesso<br />
Gwalther a registrare il parere contrario <strong>di</strong> quanti <strong>di</strong>cevano che c’erano<br />
già abbastanza <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e, tumulti. Gli si rispondeva: «Che giova<br />
porre il fuoco nella fornace et l’olio sul fuoco?». 19 Nel luglio del 1547, in<br />
un solenne rito pubblico indetto «propter bellum Germanicum a Caesare<br />
contra foedus Protestantium susceptum», Bullinger <strong>di</strong>ede inizio al commento<br />
della profezia <strong>di</strong> Daniele; ma non pubblicò mai queste omelie, se<br />
mai altre ne tenne, in quel contesto emotivo, oltre quella <strong>di</strong> cui parla nel<br />
suo <strong>di</strong>ario. 20<br />
Tra i teologi <strong>di</strong> Zurigo che svalutavano i moduli pubblicistici pre<strong>di</strong>letti<br />
da Gwalther, un’eccezione sembrerebbe essere rappresentata da<br />
Theodor Bibliander. Ma è un’eccezione solo apparente. Attorno al 1550,<br />
nessuno quanto questo già maturo e prestigioso teologo scrisse sul tema<br />
dell’Anticristo. Figura tra le più importanti, insieme col suo maestro e<br />
collega Konrad Pellikan, del mondo culturale e religioso zurighese del<br />
Cinquecento, Bibliander guardava, come si sa, all’Oriente: razionalista,<br />
per un momento si lasciò affascinare persino dai sogni <strong>di</strong> Postel e dalle<br />
sue visionarie assicurazioni che v’era colà un gran pullulare <strong>di</strong> «semichristiani»,<br />
<strong>di</strong> «nicodemisantes innumerabiles», che con inconscia impazienza<br />
14 L’Antichristo cit., p. B3r-v.<br />
15 Ibid., p. B3v.<br />
16 Ibid.<br />
17 Ibid., p. A6r.<br />
18 Ibid., p. A6v.<br />
19 Ibid., p. A7r-v.<br />
20<br />
HEINRICH BULLINGER, Diarium cit., p. 34.<br />
~ 54 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
attendevano il messaggio cristiano. 21 Ha, in parte, ra<strong>di</strong>ci in questi fervori<br />
visionari persino ciò che negli scritti <strong>di</strong> Bibliander si riesce a intravedere<br />
<strong>di</strong> un incipiente comparatismo tra religioni. 22 In generale, a chi, prima e<br />
dopo gli appelli del genere <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Gwalther, riduceva ogni prospettiva<br />
<strong>di</strong> riforma al solo esito dello scontro con Roma, queste visioni necessariamente<br />
dovevano apparire evasive: tali erano apparse, come vedremo,<br />
a Lutero e ben presto sarebbero apparse evasive a Zurigo nella versione<br />
che ne proponeva Postel. 23 Qui interessa che in questa <strong>di</strong>versa <strong>di</strong>mensione<br />
dell’orizzonte religioso <strong>di</strong> Bibliander la nozione <strong>di</strong> Anticristo<br />
necessariamente conservava le molteplici valenze antiche: designava la<br />
Chiesa romana, ma poteva ancora designare il Turco o l’imperatore, oppure,<br />
all’occorrenza, una combinazione <strong>di</strong> queste tre realtà. Nel papa,<br />
Bibliander è tentato <strong>di</strong> vedere – con un termine proprio della speculazione<br />
apocalittica antica – l’«Antichristus ultimus». 24 Ma, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questa<br />
figurazione apocalittica conclusiva della successione dei tempi nei quali<br />
Satana aveva operato e continuava a operare nel mondo, l’investitura del<br />
papa come Anticristo aveva negli scritti <strong>di</strong> Bibliander un significato <strong>di</strong>verso<br />
da quello che assumeva nel libro <strong>di</strong> Gwalther. Come Gwalther,<br />
anche Bibliander era convinto che la conoscenza dell’Anticristo andava<br />
approfon<strong>di</strong>ta: «Investigemus – scriveva – quia tempus et salus omnium<br />
postulat». 25 Ma, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Gwalther, Bibliander non ne deduceva incitamenti<br />
a escogitare mo<strong>di</strong> e forme con cui «eccitar gl’huomini alle arme»,<br />
né in senso proprio né in senso metaforico. Nel 1553, in un’Oratio<br />
de restituenda pace in Germanico Imperio, Bibliander incitò, sì, città e principi<br />
della Germania a espellere l’Anticristo; ma ciò <strong>di</strong>cendo, intendeva<br />
proporre loro la promozione d’un rivolgimento culturale negli animi e<br />
nelle menti: <strong>di</strong>ceva che non era vero che l’incivilimento culturale della<br />
21 Ve<strong>di</strong> più avanti, pp. 449-452, 457-458. Su Bibliander l’unico stu<strong>di</strong>o complessivo è:<br />
EMIL EGLI, Theodor Bibliander, «Analecta reformatoria», II, 1901, pp. 1-166. È ricco <strong>di</strong> nuove<br />
in<strong>di</strong>cazioni il capitolo «Bucer et Bibliander» in J. V. POLLET, Martin Bucer. Études su la correspondance,<br />
Paris, Presses Universitaires de France, II, 1962, pp. 309-334, in part. pp. 324-326,<br />
dove, per quanto riguarda l’Anticristo, sono trascurati gli aspetti che qui, invece, vengono<br />
sottolineati.<br />
22 Sull’argomento tornerò altrove.<br />
23 Ve<strong>di</strong> più avanti, pp. 454-461.<br />
24<br />
RUDOLF PFISTER, Das Türkenbüchlein Theodor Biblianders, «Theologische Zeitschrift»,<br />
IX, 1953, p. 447.<br />
25 Ad illustrissimos Germaniae principes et Optimates liberarum atque Imperialium civitatum:<br />
Oratio Theodori Bibliandri de restituenda pace in Germanico Imperio caeterisque politicis: deque conservan<strong>di</strong>s<br />
sacris et civilibus hominum coetibus quos turbare studet improbus hostis Antichristus, Basileae,<br />
per Ioannem Oporinum, 1553, p. 53.<br />
~ 55 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Germania era provenuto da Roma; asseriva con convinzione che i più<br />
lontani antenati dei principi e <strong>di</strong> quanti ora sedevano nei consigli citta<strong>di</strong>ni<br />
erano stati essi i primi a istituire accademie; ed era pur nata in Germania<br />
l’arte della stampa; osava persino suggerire che una tale opera <strong>di</strong> rifondazione<br />
culturale del «regnum Christi» avrebbe portato giovamento<br />
anche a Roma. 26 Del resto, Bibliander era dell’opinione che, se il papa<br />
incarnava l’Anticristo, tuttavia esso non era più una forza satanica temibile<br />
per la rettitu<strong>di</strong>ne della dottrina; la consapevolezza <strong>di</strong> far parte d’una<br />
realtà ecclesiastica separata ma già saldamente ra<strong>di</strong>cata, gli dava persino<br />
l’agio <strong>di</strong> affermare che gli effetti della Riforma erano ormai visibili anche<br />
a Roma, dove gli stessi pontefici ora giu<strong>di</strong>cavano, parlavano e scrivevano<br />
delle cose della Chiesa in modo <strong>di</strong>verso da come avveniva quarant’anni<br />
prima e da come era avvenuto nei secoli precedenti. 27 È significativo che,<br />
nel compen<strong>di</strong>are il suo noto libro contro il concilio (Amplior consideratio<br />
decreti synodalis Tridentini, 1551), Bibliander insistesse sulla necessità <strong>di</strong><br />
contrapporre a scontri e violenze verbali la più feconda opera <strong>di</strong> rimozione<br />
dell’ignoranza, che Bibliander riteneva la vera causa dello smarrimento<br />
nel quale era caduto il mondo cristiano; ma ciò doveva presupporre<br />
unicamente «notitiam rerum <strong>di</strong>vinarum, quae habet rationem non<br />
trucidan<strong>di</strong>, sed docen<strong>di</strong>». 28 La guerra, in una qualsiasi delle forme teorizzate<br />
fino a quegli anni («guerra santa», «guerra giusta» ecc.), sia tra cristiani<br />
sia contro non cristiani, era estranea all’orizzonte mentale <strong>di</strong> Bibliander.<br />
Nel 1553 – cioè l’anno stesso in cui s’era rivolto ai principi e alle<br />
città tedeschi – con la pubblicazione <strong>di</strong> una delle sue opere più suggestive,<br />
il De fatis monarchiae Romanae somnium vaticinum Esdrae prophetae, Bibliander<br />
impresse alla pubblicistica antiromana sull’Anticristo una svolta<br />
clamorosa, alla quale non si conoscono (o almeno io non conosco ancora)<br />
le reazioni dello stesso mondo teologico zurighese. 29 Ci aspetteremmo<br />
26 Ibid., p. 82.<br />
27 THEODORI BIBLIANDRI De legitima vin<strong>di</strong>catione Christianismi veri, Basileae, ex officina<br />
Ioannis Oporini, 1553, pp. 17-18: «Ipsi Romani pontifices aliter nunc iu<strong>di</strong>cant, aliter loquuntur,<br />
aliter scribunt de rebus ecclesiae quam ante annos quadraginta et retro saeculis aliquot<br />
sit factum». Cfr. MARTIN STEINMANN, Johannes Oporinus cit., pp. 74-75.<br />
28 Ve<strong>di</strong> Briefwechsel der Brüder Ambrosius und Thomas Blaurer, bearbeitet von TRAUGOTT<br />
SCHIESS, Freiburg i. Br., II, 1910, p. 138, lettera ad Ambrosius Blaurer, del 19 settembre 1551.<br />
29 De fatis monarchiae Romanae somnium vaticinum Esdrae prophetae: quod Theodorus Bibliander<br />
interpretatus est, non coniectatione privata, sed demonstratione theologica, historica et mathematica,<br />
Basileae, [Oporinus, 1553]. Il rimando all’Oratio de restituenda pace in Germanico Imperio,<br />
a p. b 4v, in<strong>di</strong>ca chiaramente la connessione tra le due opere. Faccio uso dell’esemplare<br />
della Biblioteca Nazionale Centrale <strong>di</strong> Firenze, Raccolta Guicciar<strong>di</strong>ni, 2-3-13.<br />
~ 56 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
(noi e probabilmente molti lettori coevi, a Zurigo e altrove) pagine risonanti<br />
<strong>di</strong> invettive nello stile con cui per primo Lutero aveva descritto la<br />
«monarchia romana» come la prima causa e insieme l’esito ultimo dell’opera<br />
corruttrice dell’Anticristo. Il libro si apre, invece, con una lunga de<strong>di</strong>ca<br />
«Ad Iulium III et caeteros ecclesiae Romanae praesides», nella quale<br />
vengono argomentate ampiamente le ragioni dell’invito a concorrere a<br />
un’iniziativa missionaria verso i popoli ancora lontani dal cristianesimo e<br />
per l’instaurazione della pace universale. 30 L’orizzonte al quale Bibliander<br />
guarda non ha confini. La comune pre<strong>di</strong>cazione si sarebbe dovuta rivolgere<br />
«ad Iudaeos et Mahume<strong>di</strong>cos, Turcas, Tartaros, Saracenos et alias<br />
gentes»: 31 il messaggio che proveniva dalla profezia <strong>di</strong> Esdra era sufficientemente<br />
autorevole per spingere tutti i cristiani a intraprendere concordemente<br />
ciò che, inascoltati, avevano già suggerito Giovan Francesco Pico<br />
della Mirandola, Reuchlin, Lutero, Zwingli, Ecolampa<strong>di</strong>o. 32 Bibliander<br />
poneva una sola con<strong>di</strong>zione: che la Chiesa romana la smettesse <strong>di</strong><br />
guardare con intolleranza alle altre Chiese cristiane: «Quare vos etiam aequiore<br />
animo ferre decebat aliarum Christi ecclesiarum iu<strong>di</strong>cia et meminisse<br />
illius vulgaris versiculi: qui quae vult <strong>di</strong>cit, quae non vult au<strong>di</strong>at<br />
idem». 33 Significativamente, il «vulgaris versiculus» è tratto dagli Adagia <strong>di</strong><br />
Erasmo. 34 E la nozione <strong>di</strong> Anticristo qui non designa più alcuna realtà<br />
istituzionale: l’Anticristo torna a essere l’impersonale potenza del male,<br />
che in questo caso opera allontanando dalle verità del cristianesimo popoli<br />
e stirpi. Visibilmente, questi scritti <strong>di</strong> Bibliander documentano il<br />
30 Ibid., pp. a 2r-a 4v: «Ad Iulium III et caeteros ecclesiae Romanae praesides consideratio<br />
de Iudaeorum et Christianorum defectione a Christo et ecclesia et fide catholica: itemque<br />
de Iudaeorum et Christianorum conversione ad Christum Iesum et ecclesiam Dei sanctam<br />
ac fidem catholicam». A p. a 2r-v: «Proinde res ipsa clamat me vestram salutem quaerere<br />
et solidam gloriam et ecclesiae Romanae totius incolumitatem, puto aequissimum esse ut<br />
statuatis haec a me scripta esse et vobis ante alios omnes oblata, sique manusculum non<br />
aspernamini, nuncupata et de<strong>di</strong>cata vobis non ex o<strong>di</strong>o et malevolentia aut insolentia, sed ex<br />
animo cupido provehen<strong>di</strong> notitiam Christi servatoris et gloriam necnon ecclesiae Dei sanctae<br />
incolumitatem, pacem, decus et singulorum Christianorum, Mahume<strong>di</strong>corum, Iudaeorum,<br />
Paganorum, quantum a me per Domini bonam voluntatem et opem fieri possit, aeternam<br />
et temporariam salutem».<br />
31 Ibid., p. b 4r.<br />
32 Ibid., p. b 1r.<br />
33 Ibid.<br />
34 DESIDERI ERASMI ROTERODAMI Opera omnia, Lugduni Batavorum, curis et impensis<br />
Petri Vander, II, 1703, pp. 36F-37A.<br />
~ 57 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
massimo <strong>di</strong> decantazione del genere <strong>di</strong> pubblicistica antiromana fondata<br />
sull’equivalenza Anticristo-papato. Ma, sia pure in forma tendenziale,<br />
questa decantazione si avverte anche negli scritti <strong>di</strong> Bullinger, uomo non<br />
certo trasgressivo, come Bibliander era sempre sul punto <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire, e<br />
scettico verso le prospettive semivisionarie del genere <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong> Bibliander.<br />
Nelle cento omelie sull’Apocalisse pubblicate nel 1557, Bullinger<br />
riconduce l’analisi del testo dall’«esegesi attualizzata» – secondo l’espressione<br />
appropriata con cui Hans Dieter Rauh ha caratterizzato aspetti<br />
del pensiero escatologico <strong>di</strong> Gerhoch von Reichersberg 35 – alla profezia<br />
dell’imminenza della fine dei tempi: con sod<strong>di</strong>sfazione <strong>di</strong> Calvino e dei<br />
ginevrini, l’Anticristo romano tornava ad avervi rilievo; ma Bullinger sapeva<br />
bene che degli «omnes per Germaniam et Helvetiam Galliae, Angliae,<br />
Italiae aliorumque regnorum vel nationum nomine Christi exules»,<br />
ai quali il libro era de<strong>di</strong>cato, in realtà non tutti erano esuli per responsabilità<br />
romane. 36 Pochi anni dopo, con sessantasei omelie su Daniele, pubblicate<br />
nel 1565, ma pronunciate a partire dal 1562, cioè nel clima dell’imminente<br />
esplosione delle guerre <strong>di</strong> religione annunciata dall’ecci<strong>di</strong>o<br />
<strong>di</strong> Vassy, Bullinger intese spiegare ai pre<strong>di</strong>catori quale uso essi dovevano<br />
fare del libro <strong>di</strong> Daniele e quale fosse l’utilità che poteva trarsi da un<br />
commentario <strong>di</strong> esso: ma visibilmente Bullinger guardava ora a una molteplicità<br />
<strong>di</strong> realtà pericolose, nelle quali l’Anticristo operava subdolamente;<br />
e la magra silloge dei luoghi biblici addotti da Bullinger a sostegno<br />
anche dell’identificazione dell’Anticristo con la Chiesa romana risulta<br />
piuttosto convenzionale. 37<br />
35 HANS DIETER RAUH, Das Bild des Antichrist im Mittelalter: von Tyconius zum deutschen<br />
Symbolismus (Beiträge zur Geschichte der Philosophie und Theologie des Mittelalters. N.F,<br />
Bd. 9), Münster, Aschendorff, 1973, p. 437 sgg.<br />
36 In Apocalypsim ... conciones centum, authore Heinrycho Bullingero, Basileae, per Ioannem<br />
Oporinum, 1557. Sulle <strong>di</strong>fficoltà che la censura basileese oppose a Oporino per la stampa del<br />
libro ve<strong>di</strong> MARTIN STEINMANN, Johannes Oporinus cit., pp. 89-90. Sulle reazioni favorevoli <strong>di</strong><br />
Ginevra ve<strong>di</strong> ANDRÉ BOUVIER, Henri Bullinger réformateur et conseiller oecuménique, le successeur<br />
de Zwingli, d’après sa correspondance avec les réformés et les humanistes de langue française, Neuchâtel,<br />
Delachaux, Paris, Droz, 1940, pp. 184-187, e per le quattro e<strong>di</strong>zioni ginevrine in francese<br />
PAUL CHAIX, ALAIN DUFOUR, GUSTAVE MOECKLI, Les livres imprimés à Genève cit., pp. 33-<br />
34, 58, 61. È una delle opere più <strong>di</strong>ffuse <strong>di</strong> Bullinger: sulle otto e<strong>di</strong>zioni in latino e sulle<br />
ventun e<strong>di</strong>zioni in francese, tedesco, inglese e olandese ve<strong>di</strong> Heinrich Bullinger, Bibliographie<br />
cit., I, nn. 327-356, pp. 155-168.<br />
37 Daniel sapientissimus Dei propheta, qui a vetustis polystor, id est multiscius, est <strong>di</strong>ctus, expositus<br />
homeliis LXVI ..., authore Heinrycho Bullingero, Tiguri, excudebat C. Froschoverus, 1565.<br />
Dichiaratamente, Bullinger non intende dare un commentario esegetico, ma scrive perché<br />
«omnibus in ecclesia docentibus commonstratur quomodo perspicue, iusto or<strong>di</strong>ne et cum<br />
~ 58 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
Da quando Rudolf Gwalther aveva proposto il rilancio d’una forma<br />
<strong>di</strong> pubblicistica esasperatamente incentrata sull’identificazione dell’Anticristo<br />
con la Chiesa romana, erano passati solo pochi anni. Evidentemente,<br />
sono i mutamenti della prospettiva storica generale, e non la sola analisi<br />
interna <strong>di</strong> questo genere cupo <strong>di</strong> letteratura religiosa, a fornire le ragioni<br />
per cui l’equivalenza papato-Anticristo <strong>di</strong>venne sempre meno o<br />
ad<strong>di</strong>rittura cessò (come nel caso <strong>di</strong> Bibliander) <strong>di</strong> essere l’unico ed essenziale<br />
nucleo emozionale della pubblicistica antiromana. Una, forse la più<br />
decisiva, <strong>di</strong> queste ragioni fu l’apertura e poi lo svolgimento del concilio<br />
fino alla conclusione della sua seconda fase trentina: il fallimento del confronto<br />
<strong>di</strong>retto con gli evangelici e i protestanti approfondì la frattura, ma<br />
consolidò la coscienza delle alterità e facilitò la comune percezione delle<br />
<strong>di</strong>versità. Come è noto, Paolo Sarpi attribuì al concilio la responsabilità<br />
d’avere «stabilito lo schisma et ostinate le parti»; né, dopo quattro secoli,<br />
è ancora del tutto scomparsa la tentazione <strong>di</strong> dar veste <strong>di</strong> problema storico<br />
alla questione degli errori che sarebbero stati commessi da entrambe le<br />
parti. In realtà, con le sue ridefinizioni e delimitazioni dottrinali e col lavoro<br />
<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento teologico che queste sollecitarono nelle nuove<br />
chiese, il concilio contribuì potentemente a razionalizzare la tumultuosa<br />
e ineliminabile realtà <strong>di</strong> fratture già avvenute nelle articolazioni politiche,<br />
religiose e culturali dell’Europa. E gli storici, in quanto tali, non hanno<br />
<strong>di</strong> che stracciarsi le vesti. L’esistenza, sempre contestata ma riconosciuta<br />
come realtà <strong>di</strong> fatto, d’una molteplicità <strong>di</strong> chiese con istituzioni, accademie<br />
e corpi dottrinali autonomi spostò i contrasti sempre <strong>di</strong> più sul piano<br />
dottrinale. È appena il caso <strong>di</strong> ricordare che l’Anticristo non scomparve<br />
dalle elaborazioni teologiche e dai congegni controversistici delle nuove<br />
chiese, né come figurazione propriamente apocalittica né come complessiva<br />
rappresentazione della Chiesa romana: è noto quanto teologi e pubblicisti<br />
come Pierre Viret e Lambert Daneau (e i loro confutatori <strong>di</strong> parte<br />
avversa) abbiano contribuito alla formazione e al consolidamento d’una<br />
sorta <strong>di</strong> logica generale dell’antitesi Cristo-Anticristo come contrapposizione<br />
tra Chiesa romana e mondo teologico ed ecclesiastico emerso dalla<br />
Riforma; agli inizi degli anni Ottanta, il teologo William Whitacker ne<br />
fece argomento <strong>di</strong> corsi alla Facoltà teologica <strong>di</strong> Cambridge; e la negazione<br />
dell’equivalenza Anticristo-Chiesa romana accrebbe l’avversione<br />
dei calvinisti verso Grozio; e così via. Ma, una volta delimitato il suo<br />
utilitate populo Dei hic propheta prae<strong>di</strong>cari possit». La data <strong>di</strong> inizio delle omelie è a p. aa2r.<br />
La rapida silloge dei luoghi biblici sul papa come Anticristo è alle pp. 129v-131r.<br />
~ 59 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
campo d’azione (si <strong>di</strong>ceva: «le terre dell’Anticristo») e cessata la sua funzione<br />
<strong>di</strong> oppressore dell’intera cristianità, l’Anticristo romano assunse il<br />
volto dell’ostinato seminatore <strong>di</strong> errori: <strong>di</strong>venne – salvo che in emergenze<br />
tragiche quali, ad esempio, le guerre <strong>di</strong> religione – una costante, ma<br />
svigorita iterazione concettuale. Nel frattempo, altre realtà avevano già<br />
cominciato a can<strong>di</strong>darsi all’investitura <strong>di</strong> Anticristo. Ad esempio, il precoce<br />
modulo propagan<strong>di</strong>stico dell’Anticristo nelle vesti <strong>di</strong> Lutero riprese<br />
una particolare voga in rapporto ai <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> conquista cattolica del<br />
Nuovo Mondo. 38 E nell’ultima parte <strong>di</strong> questo scritto vedremo che il papato,<br />
uno dei termini del tra<strong>di</strong>zionale binomio papato-Anticristo, <strong>di</strong>venne,<br />
già a partire dal 1550, la designazione metaforica d’ogni genere <strong>di</strong><br />
potere oppressivo.<br />
2. Anticristo e papato in Lutero<br />
Una ben <strong>di</strong>versa capacità <strong>di</strong> suggestione rivoluzionaria l’identificazione<br />
dell’Anticristo col papato aveva avuto agli inizi della Riforma. La <strong>di</strong>mensione<br />
che questa identificazione finì con l’assumere nel pensiero <strong>di</strong><br />
Lutero nei primi anni della sua ribellione contro Roma è qui un passaggio<br />
obbligato. 39<br />
38 Per l’Italia, uno dei primi scritti (se non il primo in assoluto) in cui l’identificazione<br />
dell’Anticristo con Lutero è connessa ai <strong>di</strong>segni missionari verso il Nuovo Mondo è la Breve<br />
<strong>di</strong>chiaratione sopra l’apocalipse de Giovanni, dove si prova esser venuto il precursor de Antichristo et<br />
avvicinarsi la percossa da lui predetta nel sesto sigillo, opera a’ fedeli utilissima (colophon: Impresso<br />
in Milano per Francesco Cantaloro et Nocento da Cicognera chi sta in Verzero. Nel<br />
MDXXXVIII. A dì sedece <strong>di</strong> Novembre). Il nome dell’autore, il canonico regolare lateranense<br />
Serafino da Fermo, è nella sottoscrizione della de<strong>di</strong>ca a Lucrezia Pico Rangoni e a p.<br />
78v. Uso l’esemplare della Biblioteca Nazionale Centrale <strong>di</strong> Firenze, Pal. x. 3. 1. 25, in<strong>di</strong>catomi<br />
dal collega Cesare Vasoli, che ringrazio. Bibliografia precedente su Serafino e collocazione<br />
della Breve <strong>di</strong>chiaratione nell’apocalitticismo legato al Nuovo Mondo, in ADRIANO PRO-<br />
SPERI, America e Apocalisse. Note sulla «conquista spirituale» del Nuovo Mondo, «Critica storica»,<br />
XIII, 1976, pp. 1-61, in part. pp. 40-44.<br />
39 Sull’argomento resta fondamentale HANS PREUSS, Die Vorstellungen vom Antichrist im<br />
späteren Mittelalter, bei Luther und in der konfessionellen Polemik. Ein Beitrag zur Theologie Luthers<br />
und zur Geschichte der christlichen Frömmigkeit, Leipzig, J. C. Hinrich, 1906, in part. pp. 83-<br />
182. In polemica con Preuss, HARTMANN GRISAR-FRANZ HEEGE, Luthers Kampfbilder, I, «Passional<br />
Christi und Antichristi». Eröffnung des Bildenkampfer (1521), Freiburg i. B., Herder, 1921,<br />
in part. pp. 11-15. Sul periodo più tardo della vita <strong>di</strong> Lutero, MARK U. EDWARDS Jr., Luther’s<br />
Last Battles. Politics and Polemics, 1531-1546, Leiden, Brill, 1983, in part. pp. 33-36, 78-79,<br />
109-110, 182-183. Opportune avvertenze sulle deformanti interpretazioni «ecumeniche» al<br />
riguardo sono ora in HEIKO A. OBERMAN, Teufelsdreck: Eschatology and Schatology in the «Old»<br />
~ 60 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
L’equiparazione papato-Anticristo s’era fatta strada nella mente <strong>di</strong><br />
Lutero – non senza qualche riluttanza ad attenuare lo scetticismo con cui<br />
egli aveva sempre guardato alla letteratura apocalittica – già nell’anno<br />
successivo alla pubblicazione delle Tesi: nel <strong>di</strong>cembre del 1518, il papa è<br />
già peggiore del Turco. 40 Gli si era imposta come un’ammissione liberatoria<br />
da dubbi angosciosi alla lettura della Declamatio <strong>di</strong> Valla nell’e<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong> Hutten: un libro del quale Lutero rimase incantato, come scrisse<br />
Pontien Polman sia pure con una punta <strong>di</strong> ironia storicamente del tutto<br />
immotivata. 41 Poi l’immagine gli si era ingigantita sotto la penna durante<br />
i ventun mesi circa intercorsi tra la <strong>di</strong>sputa <strong>di</strong> Lipsia e la <strong>di</strong>eta <strong>di</strong> Worms.<br />
La mostruosa rappresentazione dell’Anticristo in vesti pontificali gli si era<br />
ingigantita nella mente e negli scritti nella misura in cui si era venuto<br />
convincendo che riforma ed eliminazione delle degenerazioni del costume<br />
ecclesiastico implicavano necessariamente aperto contrasto con Roma.<br />
Al momento della partenza per Worms, questa convinzione non<br />
ammetteva più compromessi: indulgenze, papa, concili, pareri delle università,<br />
canoni – scriveva nella risposta ad Ambrogio Catarino – dovevano<br />
considerarsi questioni definitivamente chiuse; con le sue argomentazioni<br />
ormai Catarino giungeva troppo tar<strong>di</strong>; che il papa fosse l’Anticristo<br />
era ormai una conclusione irrinunciabile («conclusum est papam esse An-<br />
Luther, «The Sixteenth Century Journal», XIX, 1988, pp. 435-450. Molta bibliografia generale<br />
in KLAUS AICHELE, Das Antichristdrama des Mittelalters, der Reformation und Gegenreformation,<br />
Den Haag, Martinus Nijhoff, 1974, pp. 211-226. È ancora utile la ricerca pionieristica<br />
<strong>di</strong> MAURICE GRAVIER, Luther et l’opinion publique. Essai sur la littérature satirique et polémique en<br />
langue allemande pendant les années décisives de la Réforme (1520-1530), Paris, Aubier, s.d. (ma<br />
1942). Ma sull’argomento, stu<strong>di</strong> recenti innovano decisamente: si cita, per tutti, ROBIN<br />
BRUCE BARNES, Prophecy and Gnosis. Apokalipticism in the Wake of the Lutheran Reformation,<br />
Stanford, California, Stanford University Press, 1988. D’ora in avanti, nelle citazioni delle<br />
opere <strong>di</strong> Lutero, farò uso delle sigle WA (Weimarer Ausgabe) e EA (Erlangener Ausgabe).<br />
40 WA, Briefwechsel, I, p. 270, lettera a Wenceslaus Link, del 15 <strong>di</strong>cembre 1518: «Peiorem<br />
Turcis esse Romam ho<strong>di</strong>e puto me demonstrare posse».<br />
41 WA, Briefwechsel, II, pp. 48-49, lettera a Spalatino, del 24 febbraio 1520. PONTIEN<br />
POLMAN, L’élément historique dans la controverse religieuse du XVI e siècle (Universitas Catholica<br />
Lovaniensis. Dissertationes. Series II, t. 23), Gembloux, J. Duculot, 1932, p. 172. L’ironia <strong>di</strong><br />
Polman deriva dal fatto che egli (seguendo, come del resto tutta la storiografia cattolica del<br />
tempo, il Grisar) nega che ci sia stata evoluzione nel pensiero <strong>di</strong> Lutero sull’Anticristo: «L’idée<br />
du pape-antichrist n’est pas le fruit mûr d’une évolution pénible de la pensée de Luther:<br />
elle n’est somme toute qu’une manoeuvre de sa polémique: l’expression la plus mordante de<br />
sa haine envers le pape» (p. 173). Il riferimento polemico è a HANS PREUSS, Die Vorstellungen<br />
cit., pp. 102-119. Ma sull’efficacia che la Declamatio <strong>di</strong> Valla ebbe in Germania ve<strong>di</strong> ora l’eccellente<br />
stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> WALFRAM SETZ, Lorenzo Vallas Schrift gegen <strong>di</strong>e Konstantinische Schenkung: zur<br />
Interpretation und Wirkungsgeschichte, Tübingen, Niemeyer, 1975 (per Lutero e, in genere, per<br />
il primo Cinquecento, pp. 151-176).<br />
~ 61 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
tichristum»). 42 La Responsio a Catarino è datata 1 o aprile 1521, cioè il<br />
giorno precedente la partenza <strong>di</strong> Lutero per Worms. 43<br />
Gran parte della Responsio è un’esposizione dei vv. 23-25 del cap.<br />
VIII <strong>di</strong> Daniele. In essa Lutero non si preoccupa <strong>di</strong> avvolgere annunci<br />
profetici in ambigue formulazioni oracolari: analizza una realtà nella quale<br />
la profezia <strong>di</strong> Daniele è presupposta come già attuata compiutamente.<br />
Tuttavia, se in Daniele Lutero legge la previsione d’una realtà che nel papato<br />
è già «perfecte impleta [...] ac si post factum descripsisset», 44 significativamente<br />
egli fonda la sua nozione <strong>di</strong> Anticristo principalmente su II<br />
Thess., II, 4: l’Anticristo è colui che si eleverà al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> Dio e ne<br />
usurperà il posto nel tempio. 45 Senza esitare, Lutero attribuisce al testo<br />
paolino – topos tra i più ricorrenti, ma anche tra i più controversi della<br />
letteratura escatologica me<strong>di</strong>oevale – un significato pienamente attuale:<br />
l’incon<strong>di</strong>zionata autorità che il papa si attribuisce e la tirannide che egli<br />
esercita nella Chiesa e sulle coscienze dei cristiani sono il riscontro storico<br />
esauriente della piena attuazione della pre<strong>di</strong>zione paolina. 46 Anzi, è<br />
questo l’unico riscontro storico possibile: poiché l’Anticristo non può essere<br />
fuori della Chiesa («nemo enim extra ecclesiam Dei est Antichristus»),<br />
esso non può essere impersonato dal Turco. 47 Il Turco è una realtà<br />
42 Ad librum eximii nostri magistri Ambrosii Catharini, defensoris Silvestri Prieriatis acerrimi responsio.<br />
Cum exposita versione Danielis VIII de Antichristo, in WA, VIII, pp. 707-778.<br />
43 Ad librum ... Catharini ... responsio cit., p. 778 (testo e apparato).<br />
44 WA, Tischreden, III, n. 3555, p. 409.<br />
45 Ad esempio, Ad librum ... Catharini ... responsio cit., pp. 729, 734, 741, 742, 764, 769,<br />
776; Adversus execrabilem Antichristi bullam, WA, VI, p. 602; De captivitate Babylonica ecclesiae<br />
praelu<strong>di</strong>um, WA, VI, p. 537. Frequentemente anche in WA, Tischreden, ad esempio III, n.<br />
3055a, p. 158; n. 3055b, p. 159; n. 3130, p. 179.<br />
46 Ad librum ... Catharini ... responsio cit., pp. 741-742. È noto che per l’oscurità del testo<br />
paolino s’era già pronunciato s. Agostino (Civ. Dei, XX, 19), e questa ammissione autorevole<br />
rese più facilmente <strong>di</strong>latabile la varietà delle interpretazioni successive. Sulle <strong>di</strong>fficoltà<br />
degli esegeti me<strong>di</strong>evali informa <strong>di</strong>ffusamente HANS DIETER RAUH, Das Bild des Antichrist cit.,<br />
pp. 55-71.<br />
47 WA, Tischreden, III, n. 3443, p. 318. Sul pensiero <strong>di</strong> Lutero e sulla letteratura luterana<br />
coeva sui Turchi ve<strong>di</strong> HARVEY BUCHANAN, Luther and the Turks, 1519-1529, «Archiv für<br />
Reformationsgeschichte», XLVII, 1956, pp. 145-159, e JOHN W. BOHNSTEDT, The Infidel<br />
Scourge of God: The Turkish Menace as Seen by German Pamphleteers of the Reformation Era<br />
(Transactions of the American Philosophical Society, 56, part 9), Philadelphia, 1968. Ma su<br />
tutti gli aspetti della propaganda antiturca per l’intero Cinquecento sono ora fondamentali<br />
gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> MICHAEL J. HEATH, Crusa<strong>di</strong>ng Commonplaces: La Noue, Lucigne and Rethoric against<br />
the Turks, Genève, Droz, 1986 (in particolare per Lutero e i suoi oppositori, pp. 13-21); e<br />
IDEM, Islamic Themes in Religious Polemic, «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», L,<br />
1988, pp. 289-315. Non si può escludere che Lutero conoscesse il Tractatus de futuris Chris-<br />
~ 62 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
esterna al cristianesimo: è «mala bestia», ma non incarna l’Anticristo,<br />
«quia non est in ecclesia Dei». 48 Com’è noto, il problema era reso <strong>di</strong><br />
scottante attualità dalla crescente presenza militare turca in Europa e <strong>di</strong>venne<br />
tragico sul finire degli anni Venti con l’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Vienna. La letteratura<br />
antiturca contro la quale Lutero reagiva è in gran parte nota, così<br />
come è noto che, insieme con profezie e vaticinii vecchi e nuovi, essa<br />
comprendeva – com’è del resto caratteristico <strong>di</strong> tutte le tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> testi<br />
profetici – riprese e adattamenti fortemente attualizzanti anche <strong>di</strong> scritti<br />
basilari della escatologia me<strong>di</strong>oevale. Pubblicisti tra i più impegnati nella<br />
propaganda antiturca rivolgevano in alto, a principi, a monarchi e all’imperatore,<br />
i loro appelli alla crociata, e stimolavano, in basso, le emozioni<br />
religiose della gente comune. L’esempio <strong>di</strong> Sebastian Brant è caratteristico<br />
dell’insistenza in queste due <strong>di</strong>rezioni della pubblicistica antiturca nei<br />
primi due decenni del Cinquecento, fino ai primi interventi <strong>di</strong> Lutero.<br />
In scritti <strong>di</strong> intonazione eroico-umanistica, per un ventennio Brant promise<br />
a Massimiliano sicure vittorie sui Turchi, e nello stesso ventennio,<br />
con le ben sessantuno <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>ose silografie <strong>di</strong> cui corredò le sue almeno<br />
quattro e<strong>di</strong>zioni dello scritto più importante dell’escatologia me<strong>di</strong>oevale,<br />
la Revelatio (o Revelationes) dello Pseudo-Meto<strong>di</strong>o, <strong>di</strong>ffuse figurazioni <strong>di</strong><br />
truci massacri <strong>di</strong> infedeli e <strong>di</strong> folgoranti vittorie dei cristiani sull’Anticristo,<br />
«quo facilius – scriveva nella prefazione – spiritus prophetici multis<br />
innotescat vaticinium»: e i «multi» cui Brant si rivolgeva erano gli strati<br />
popolari («popularis provincia»), gli «i<strong>di</strong>otae» (qui identificati con gli<br />
analfabeti). 49 Nel giro d’un decennio, il fallimento della Guerra dei con-<br />
tianorum triumphis in Saracenos <strong>di</strong> Annio da Viterbo, uno dei più convinti sostenitori dell’idea<br />
che l’Anticristo si fosse storicamente incarnato in Maometto e fosse operante nella minacciosa<br />
realtà del mondo islamico. Sul trattato <strong>di</strong> Annio, sulle varie e<strong>di</strong>zioni e sulla nota aggiunta<br />
da Lutero alla e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Wittenberg (1537) della De monarchia <strong>di</strong>sputatio dello stesso Annio<br />
ve<strong>di</strong> l’importante saggio <strong>di</strong> CESARE VASOLI, Profezia e astrologia in un testo <strong>di</strong> Annio da Viterbo,<br />
in Stu<strong>di</strong> sul Me<strong>di</strong>oevo cristiano offerti a Raffaello Morghen per il novantesimo anniversario dett’Istituto<br />
Italiano per il Me<strong>di</strong>o Evo (1883-1973), Roma, nella sede dell’Istituto, 1974, II, pp. 1027-1060<br />
(ora in IDEM, I miti e gli astri, Napoli, Guida, 1977, pp. 17-49).<br />
48 WA, Tischreden, III, n. 3443, p. 318.<br />
49 Sulle e<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> Pseudo-Meto<strong>di</strong>o ve<strong>di</strong> ERNST SACKUR, Sibyllinische Texte und Forschungen,<br />
Halle a. S., Max Niemeyer, 1898, pp. 3-7, in part. pp. 3-4, dove tuttavia è ignorata<br />
l’e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Brant del 1515, che a sua volta è la sola nota a MARJORIE REEVES, The Influence<br />
of Prophecy in the Later Middle Ages. A Study in Joachimism, Oxford, The Clarendon Press,<br />
1969, p. 353. Io uso l’e<strong>di</strong>zione del 1504 nell’esemplare posseduto dalla Biblioteca Nazionale<br />
Centrale <strong>di</strong> Firenze (Magl. 15. 5. 195): De revelatione facta ab angelo beato Metho<strong>di</strong>o, Basileae.<br />
per Michaelem Furter, opera et vigilantia Sebastiani Brant Anno, 1504, <strong>di</strong>e XII Martii (colophon),<br />
terza delle e<strong>di</strong>zioni del Brant a me note, dopo quelle del 1498 e del 1500 (quest’ul-<br />
~ 63 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
ta<strong>di</strong>ni renderà gli strati popolari delle città e delle campagne tedesche ancor<br />
più impermeabili alla proposta <strong>di</strong> simili miraggi. Mi limito a un solo<br />
esempio. Nel febbraio del 1527, l’umanista Wolfgang Rychard scriverà<br />
da Ulm: «Apud agricolas et civitatensem plebem summa spes est in Turcae<br />
adventu. Hinc evenit quod, proh dolor, nostrum vulgus clandestine<br />
adfectat Turcae adventum et imaginatur lenius vivere sub Turca vel <strong>di</strong>abolo<br />
quam sub suis quibus hactenus dominis». 50 Quanto a Lutero, già nel<br />
1518, l’anno stesso in cui Brant de<strong>di</strong>cò a Massimiliano l’ultima delle sue<br />
«neniae nyciteriae», scrisse che «praeliare adversus Turcas est repugnare<br />
Deo visitanti iniquitates per illos»; e l’affermazione venne inclusa fra le<br />
sue quarantun proposizioni erronee elencate nella bolla Exsurge Domine,<br />
fu condannata dalla Sorbona (1521) ed entrò nel Catalogus haereticorum<br />
omnium pene <strong>di</strong> Bernardo <strong>di</strong> Lussemburgo (1524). 51 Neppure la generale<br />
emozione suscitata dall’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Vienna <strong>di</strong>stolse Lutero dal riproporre il<br />
problema che sarebbe stato <strong>di</strong>battuto durante tutto il secolo: cioè l’illiceità<br />
della «guerra santa». Emozioni religiose suscitate dall’appello alla crociata<br />
e promesse <strong>di</strong> fulgi<strong>di</strong> trionfi contro l’Anticristo erano visti da Lutero<br />
come <strong>di</strong>versivi dalla riflessione sui mali propri della cristianità: le pietre<br />
del sepolcro <strong>di</strong> Cristo («sepulchrum illud corporale, quod Saraceni tenent»)<br />
– <strong>di</strong>ceva – non interessano a Dio più <strong>di</strong> quanto, secondo s. Paolo,<br />
possa interessargli un branco <strong>di</strong> buoi; il vero sepolcro da liberare è la<br />
tima con contemporanea e<strong>di</strong>zione in tedesco). Non mi risulta che queste e<strong>di</strong>zioni procurate<br />
da Brant siano state stu<strong>di</strong>ate nella loro caratteristica <strong>di</strong> stampe popolari, a proposito della<br />
quale ve<strong>di</strong> la lettera <strong>di</strong> de<strong>di</strong>ca del Brant a Johannes Meder: «... motus fortassis Gregorianae<br />
constitutionis lectione, qua scriptum reliquit picturam rerum gestarum esse necessariam.<br />
Nam quod legentibus scriptura hoc et i<strong>di</strong>otis praestat pictura cernentibus, quia in ipsa ignorantes<br />
vident quid sequi debeant, in ipsa legunt qui literas nesciunt. Unde et praecipue imperitis<br />
pro lectione pictura est. Tuo igitur iussu Deo amabilis pater tuoque suasit hanc quam<br />
coram cernis popularem subii provinciam. Tabulas utcunque sculpendas or<strong>di</strong>navi quo facilius<br />
spiritus prophetici multis innotescat vaticinium. Fecique id eo libentius quo gloriosum<br />
reipublicae Christianae contra Infideles Thurcasque inibi repromissum propius existimo fore<br />
triumphum» (c. aiv). Sul testo della Revelatio ve<strong>di</strong> ora MARC LAUREYS, DANIEL VERHELST,<br />
Pseudo-Metho<strong>di</strong>us, Revelationes: Textgeschichte und kritische E<strong>di</strong>tion. Eirc Leuven-Groninger Forschungsprojekt,<br />
in The use and abuse of Eschatology in the Middle Ages, ed. by DANIEL VERHELST,<br />
Leuven Univ. Press, 1988, pp. 112-136. Sugli altri scritti antiturchi del Brant, ve<strong>di</strong> EDWIN<br />
H. ZEYDEL, Sebastian Brant, New York, Twayne Publishers, 1967, pp. 125-142.<br />
50 CARL TH. KEIM, Wolfgang Richard, der Ulmer Arzt. Ein Bild aus der Reformationszeit,<br />
«Tübinger theologische Jahrbuch», XII, 1853, pp. 307-373, in part. p. 340.<br />
51 GEORGE W. FORELL, Luther and the War against the Turks, «Church History», XIV,<br />
1945, p. 257 (con riferimento alle Resolutiones <strong>di</strong>sputationum del 1518); HERVEY BUCHANAN,<br />
Luther and the Turks cit., pp. 148-149; MICHAEL HEATH, Crusa<strong>di</strong>ng Commonplaces cit., p. 15.<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
Scrittura, «in qua veritas Christi, per papistas occisa, sepulta iacuit». 52 Insomma,<br />
Lutero non era <strong>di</strong>sposto a identificare l’Anticristo né col Turco<br />
né con alcun’altra realtà esterna al cristianesimo, e ancora meno era <strong>di</strong>sposto<br />
ad avvolgere la sua convinzione che esso fosse già operante nel<br />
mondo e fra i cristiani nelle ambiguità delle profezie, che – <strong>di</strong>ceva – «pro<br />
ambiguitate ante implentur quam intelliguntur, tum longe in aliud spectant<br />
quam vulgo sonant». 53 Concetto, figurazione e forme della popolarizzazione<br />
dell’immagine dell’Anticristo cessavano <strong>di</strong> essere le tra<strong>di</strong>zionali<br />
espressioni d’una letteratura suscitatrice <strong>di</strong> emozioni e <strong>di</strong> aspettazioni, per<br />
<strong>di</strong>venire denuncia <strong>di</strong>retta dell’istituzione ecclesiastica, la mostruosa rappresentazione<br />
<strong>di</strong> un’abnorme realtà da demolire.<br />
Con una metafora suggestiva uno stu<strong>di</strong>oso tedesco ha definito<br />
«Transsubstantiation des Bösen» questa trasformazione ra<strong>di</strong>cale della vecchia<br />
leggenda escatologica dell’Anticristo operata da Lutero. 54 Ma questa<br />
immagine efficace è storicamente valida solo se con essa si vuole in<strong>di</strong>care<br />
la profon<strong>di</strong>tà del mutamento, non una capacità quasi magica <strong>di</strong> operare<br />
un improvviso rovesciamento <strong>di</strong> strutture mentali tenaci – in questo caso<br />
la comune e ra<strong>di</strong>cata convinzione che la realtà del cristianesimo vivesse<br />
<strong>di</strong> una contrapposizione permanente con l’impersonale potenza del male<br />
designata dalla nozione biblica <strong>di</strong> Anticristo: una contrapposizione i cui<br />
esiti ultimi si riteneva fossero decifrabili. Lutero sapeva bene che designazioni<br />
<strong>di</strong> singoli papi come in<strong>di</strong>viduali incarnazioni dell’Anticristo non<br />
erano mancate nella letteratura escatologica me<strong>di</strong>oevale – ultime, le escogitazioni<br />
profetiche dell’ammirato Savonarola. La tra<strong>di</strong>zione gioachimita<br />
rimasta più aderente al pensiero <strong>di</strong> Gioacchino si era attenuta alla <strong>di</strong>stinzione<br />
tra una «ecclesia spiritualis», che la Chiesa romana non aveva perduto<br />
i titoli a rappresentare neppure nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> peggiore decadenza, e<br />
una «ecclesia carnalis», impersonata da Roma quale centro e sede corruttrice<br />
dell’Impero. 55 Ma questa <strong>di</strong>stinzione non sempre era valsa a salvare i<br />
movimenti <strong>di</strong> ispirazione gioachimita dall’accusa <strong>di</strong> sconfinamenti nell’eresia.<br />
Pietro <strong>di</strong> Giovanni Olivi si mantenne riservato – per esitazione o<br />
per la logica stessa del suo pensiero – sulla possibilità <strong>di</strong> identificare<br />
l’«Antichristus mysticus» col papa e con l’intera struttura gerarchica della<br />
52 De abroganda missa privata, in WA, VIII, p. 477.<br />
53 Ibid., p. 476.<br />
54 WILL ERICH PEUCKERT, Die grosse Wende: I, Das apokalyptische Saeculum und Luther,<br />
Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1966, pp. 110-119.<br />
55 Ve<strong>di</strong> MARJORIE REEVES - BEATRICE HARSCH, The «Figurae» of Joachim of Fiore, Oxford,<br />
The Clarendon Press, 1972, pp. 147-149, 184-191, 282-283.<br />
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ANTONIO ROTONDÒ<br />
Chiesa. 56 Ma Ubertino da Casale e Beghini e Spirituali <strong>di</strong> Provenza – che<br />
pure si richiamavano tanto a Gioacchino quanto all’Olivi – non esitarono,<br />
con una forte ra<strong>di</strong>calizzazione del pensiero tanto <strong>di</strong> Gioacchino<br />
quanto dell’Olivi, a identificare l’Anticristo con Bonifacio VIII o con<br />
Giovanni XXII o con Benedetto XI. 57 Con frequenza sempre maggiore,<br />
in<strong>di</strong>zi della presenza dell’Anticristo erano stati in<strong>di</strong>viduati in singoli<br />
aspetti della realtà ecclesiastica. L’utilizzazione del tema escatologico dell’Anticristo<br />
in funzione riformatrice si era valsa da tempo della nozione<br />
plurima <strong>di</strong> «Anticristi», intesi come prefigurazioni <strong>di</strong> quell’Anticristo la<br />
cui comparsa veniva annunciata e minacciata come il compimento d’un<br />
evento catastrofico risolutore. Sia pure per un momento, persino Adsone<br />
seppe vedere (se non si tratta, come io sospetto, d’una interpretazione attualizzante<br />
d’altra età) membra del «corpus Antichristi» dovunque chierici<br />
e laici, canonici e monaci spregiavano il bene, contravvenivano alla<br />
regola e vivevano contro giustizia. 58 Con Gerhoch von Reichersberg,<br />
«praeambula» dell’Anticristo vengono intravisti praticamente in ogni angolo<br />
della Chiesa e della cristianità. 59 E una simile esegesi attualizzante – è<br />
appena il caso <strong>di</strong> ricordarlo – era al fondo della nota ripresa del profeti-<br />
56 MARJORIE REEVES, The Influence of Prophecy cit., pp. 194-201; RAOUL MANSELLI, La<br />
«Lectura in Apocalypsim» <strong>di</strong> Pietro <strong>di</strong> Giovanni Olivi. Ricerche sull’escatologismo me<strong>di</strong>oevale, Roma,<br />
Istituto Italiano per il Me<strong>di</strong>o Evo, 1955, pp. 219-255; IDEM, La terza età, Babylon e l’Anticristo<br />
mistico (A proposito <strong>di</strong> Pietro <strong>di</strong> Giovanni Olivi), «Bullettino dell’Istituto storico italiano per<br />
il Me<strong>di</strong>o Evo e Archivio Muratoriano», LXXXII, 1970 (ma 1974), pp. 45-79, in part. p. 70<br />
sgg.<br />
57 HANS PREUSS, Die Vorstellungen cit., p. 45, e ora più ampiamente RAOUL MANSELLI,<br />
Spirituali e Beghini in Provenza, Roma, Istituto storico italiano per il Me<strong>di</strong>o Evo, 1955, pp.<br />
162-163; MARJORIE REEVES, The Influence of Prophecy cit., pp. 203-207; e ancora, in polemica<br />
con la Reeves, RAOUL MANSELLI, La terza età cit., pp. 70-71, che sottolinea il ra<strong>di</strong>calismo <strong>di</strong><br />
queste identificazioni dell’Anticristo con singoli papi e il significato che esse ebbero fino a<br />
Lutero: dove, tuttavia, l’accenno a Lutero non può che in<strong>di</strong>care una continuità soltanto<br />
morfologica; una <strong>di</strong>fferenza sulla quale ricordo con vivo rimpianto le conversazioni avute<br />
con l’amico Manselli.<br />
58 ERNST SACKUR, Sibyllinische Texte und Forschungen cit., pp. 105-106: «Nunc quoque<br />
nostro tempore multos Antichristos novimus esse. Quicunque enim sive laycus, sive canonicus<br />
sive monachus contra iustitiam vivit et or<strong>di</strong>nis sui regulam impugnat et quod bonum est<br />
blasphemat, Antichristus est et minister Sathanae». Il testo del Libellus de Antichristo <strong>di</strong> Adsone<br />
è riportato interamente, dall’e<strong>di</strong>zione Sackur, anche in KARL YOUNG, The Drama of the<br />
Me<strong>di</strong>eval Church, Oxford, The Clarendon Press, 1933, II, pp. 496-500 (il brano cit. è a p.<br />
497). Importante su Adsone HANS DIETER RAUH, Das Bild des Antichrist cit., pp. 153-164.<br />
59 Cfr. soprattutto De investigatione Antichristi, I, 7 (MGH: Libelli de lite imperatorum et<br />
pontificum, t. III, p. 317), la descrizione della Chiesa come «Spelunca latronum et synagoga<br />
Sathanae». Fondamentale su Gerhoch, HANS DIETER RAUH, Das Bild des Antichrist cit., pp.<br />
416-474, in part. sul De investigatione, pp. 446-467.<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
smo gioachimita dei primi decenni del Cinquecento. Rimane da stabilire<br />
con precisione fino a qual punto Lutero avesse conoscenza <strong>di</strong> questa letteratura<br />
e ne traesse suggestioni; ma sarebbe assurdo affermare che il contesto<br />
in cui maturò il suo pensiero fosse estraneo a queste forme <strong>di</strong> aspettazioni<br />
apocalittiche – come da tempo va giustamente sottolineando<br />
Heiko A. Oberman.<br />
Tuttavia Lutero ruppe con questa tra<strong>di</strong>zione escatologica. Tutta l’escatologia<br />
me<strong>di</strong>oevale, comprese le sue reviviscenze, considerate genericamente<br />
gioachimitiche, degli anni in cui Lutero scriveva, in<strong>di</strong>viduava<br />
mali presenti e ne definiva la rilevanza nella prospettiva <strong>di</strong> un’imminenza<br />
catastrofica più o meno ravvicinata, più o meno <strong>di</strong>fferita nel tempo. Ciò<br />
che entrava in gioco erano il presente e il futuro, mai le ra<strong>di</strong>ci del presente.<br />
Fu questo loro inse<strong>di</strong>arsi nello spazio insondabile tra presente e futuro<br />
a consentire a profeti, astrologi e visionari <strong>di</strong> suscitare emozioni e aspettative,<br />
<strong>di</strong> farsi a loro modo interpreti delle tensioni e delle fluttuazioni<br />
della vita religiosa e politica europea e <strong>di</strong> operare su <strong>di</strong> essa. Loro formidabile<br />
strumento era la possibilità <strong>di</strong> accelerare o <strong>di</strong>fferire l’imminenza <strong>di</strong><br />
eventi catastrofici o il compimento dei tempi. Come abbiamo visto, Lutero<br />
ironizzò sul gioco dei calcolatissimi rapporti tra previsione e compimento.<br />
Per lui, il futuro cessava <strong>di</strong> essere oggetto <strong>di</strong> escogitazioni profetiche:<br />
l’Anticristo aveva già compiuto la sua opera; presente e futuro dovevano<br />
essere i tempi della riforma da realizzare me<strong>di</strong>ante la lotta per lo<br />
sra<strong>di</strong>camento <strong>di</strong> tutti i mali ere<strong>di</strong>tati dal passato. In fondo, fu questo rovesciamento<br />
dei tempi a determinare la prospettiva storica propria <strong>di</strong> Flacio<br />
Illirico e dei suoi collaboratori, nella cui opera monumentale, come<br />
si sa, il ricorso a testi profetici è logicamente più che frequente. 60 Significativamente,<br />
della letteratura escatologica me<strong>di</strong>oevale Lutero si sentì interessato<br />
soltanto a quella che era riducibile a profezia post eventum: come<br />
nel caso della celebre utilizzazione che nel 1527 Andreas Osiander fece<br />
dei Vaticinia de summis pontificibus. 61 Il significato esclusivamente attuale in<br />
60 Su questo genere <strong>di</strong> problemi, anche se per epoca <strong>di</strong>versa, suggerimenti <strong>di</strong> metodo si<br />
traggono da uno degli ultimi saggi e<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> ARNALDO MOMIGLIANO, Dalla Sibilla pagana alla Sibilla<br />
cristiana: profezia come storia della religione, «Annali della <strong>Scuola</strong> Normale <strong>Superiore</strong> <strong>di</strong> Pisa».<br />
Classe <strong>di</strong> lettere e filosofia, s. III, vol. XVII, 1987, pp. 407-428.<br />
61 Sull’e<strong>di</strong>zione in tedesco <strong>di</strong> Osiander ve<strong>di</strong> GOTTFRIED SEEBASS, Bibliographia Osiandrica.<br />
Bibliographie der Gedruckten Schriften Andreas Osianders d. Ä (1496-1552), Nieuwkoop, De<br />
Graaf, 1971, p. 41. Sul contenuto e sulle reazioni <strong>di</strong> Lutero e <strong>di</strong> Melantone, ve<strong>di</strong> MARJORIE<br />
REEVES, The Influence of Prophecy cit., pp. 452-454, 490; EAD., Some popular Prophecies from the<br />
fourteenth to the seventeenth Centuries, in Popular Belief and Practice, ed. by G. J. CUMING and<br />
DEREK BAKER, Cambridge, University Press, 1972, pp. 107-134, in part. p. 122; ROBERT W.<br />
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ANTONIO ROTONDÒ<br />
cui Lutero assunse la nozione <strong>di</strong> Anticristo è una delle ragioni che spiegano<br />
anche il suo interesse per il pensiero <strong>di</strong> Wyclif e <strong>di</strong> Hus sull’argomento.<br />
E in questo caso il legame del pensiero <strong>di</strong> Lutero con la tra<strong>di</strong>zione<br />
escatologica tardo-me<strong>di</strong>oevale si presenta veramente consistente.<br />
Non c’è ragione <strong>di</strong> dubitare che, quando Lutero consultò a Lipsia gli<br />
atti del concilio <strong>di</strong> Costanza per documentarsi contro le accuse <strong>di</strong> hussitismo<br />
rivoltegli da Eck, abbia riflettuto, oltre che sulle dottrine <strong>di</strong> Hus,<br />
anche sui cinquantotto errori attribuiti a Wyclif e condannati a Costanza<br />
– tanto più che, com’è noto, uno dei trenta errori <strong>di</strong> Hus (il venticinquesimo)<br />
rimandava al precedente elenco degli errori <strong>di</strong> Wyclif. 62 Quale<br />
che sia la soluzione da dare alla questione del momento in cui il pensiero<br />
<strong>di</strong> Wyclif entrò nell’evoluzione <strong>di</strong> Lutero, è dunque certo che fin dal luglio<br />
del 1519 egli seppe che opinione <strong>di</strong> Wyclif era che «patulus Antichristus»<br />
non era solo questo o quel papa, ma tutta la loro successione, «a<br />
tempore donationis ecclesiae». 63 Tutto ciò non potrebbe suggerire molto<br />
<strong>di</strong> più che la ricerca <strong>di</strong> sempre opinabili analogie tra il pensiero <strong>di</strong> Wyclif<br />
e quello <strong>di</strong> Lutero, se Lutero stesso non avesse provveduto a precisare la<br />
misura della sua <strong>di</strong>pendenza dal pensiero <strong>di</strong> Wyclif. Nel 1528, quando<br />
volle dare forza persuasiva alla sua equiparazione <strong>di</strong> papato e Anticristo,<br />
Lutero pubblicò il commento all’Apocalisse del lollardo John Purvey, «ut<br />
orbi – scrisse nella relativa prefazione – notum faceremus nos non esse<br />
primos qui papatum pro Antichristi regno interpretentur». 64 La prefazione<br />
al commento <strong>di</strong> Purvey è uno dei documenti più importanti per sta-<br />
SCRIBNER, For the Sake of Simple Folk. Popular Propaganda for the German Reformation, Cambridge,<br />
University Press, 1981, pp. 142-147, e ora in particolare DAVID HEFNER, «Regnum vs.<br />
sacerdotium» in a Reformation Pamphlet, «The Sixteenth Century Journal», XX, 1989, pp. 617-<br />
630. Per esempi analoghi <strong>di</strong> utilizzazione <strong>di</strong> profezie gioachimite nel mondo protestante ancora<br />
MARJORIE REEVES, Joachim of Fiore and the Prophetic Future, London, SPCK, 1976, pp.<br />
136-165 («Joachim and Protestantism»), in part. pp. 137-139.<br />
62 La prima stampa degli atti del concilio <strong>di</strong> Costanza, che è anche quella consultata da<br />
Lutero nella biblioteca universitaria <strong>di</strong> Lipsia nel corso della Disputa, è: Acta scitu <strong>di</strong>gnissima<br />
docteque concinnata Constantiensis concilii celebratissimi, Hagenau, Heinrich Grun, 1500. I due<br />
elenchi degli errori <strong>di</strong> Wyclif e <strong>di</strong> Hus sono in appen<strong>di</strong>ce.<br />
63 «Papa est patulus antichristus. Non solum illa persona simplex, sed multitudo paparum<br />
a tempore donationis ecclesiae, car<strong>di</strong>nalium, episcoporum, et suorum complicum aliorum,<br />
est antichristi persona composita, monstruosa» (Conciliorum oecumenicorum decreta, curantibus<br />
JOSEPHO ALBERIGO et al., consultante HUBERTO JEDIN, e<strong>di</strong>tio tertia, Bologna, Istituto per<br />
le scienze religiose, 1973, p. 423, dove la lezione «patulus antichristus» sostituisce quella, attenuante,<br />
<strong>di</strong> «patronus antichristi» dell’e<strong>di</strong>zione Mansi, con ritorno alla stampa del 1500).<br />
64 La prefazione <strong>di</strong> Lutero è in WA, XXVI, p. 123. Il mio scolaro Paolo Bal<strong>di</strong> richiama<br />
la mia attenzione sul fatto che essa è riportata da Matthias Flacius nel suo Catalogus testium<br />
veritatis qui ante nostram aetatem reclamarunt papae (ed. Basileae, Oporinus, 1556, pp. 928-930).<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
bilire il confine che separa Lutero anche dalle più ra<strong>di</strong>cali attualizzazioni<br />
dell’escatologia tardo-me<strong>di</strong>oevale. Lutero lavorò alla stampa del commento<br />
<strong>di</strong> Purvey nello stesso anno in cui Osiander attualizzò gli pseudogioachimitici<br />
Vaticinia de summis pontificibus. E anch’egli, combinando<br />
esattezze, approssimazioni e vere e proprie imprecisioni, fece del commento<br />
apocalittico lollardo un messaggio suggestivo: con approssimative<br />
notazioni paleografiche riportò il manoscritto a un settantennio prima,<br />
cioè al clima <strong>di</strong> qualche decennio posteriore a quello scisma «quod tandem<br />
Constantiensi conciliabolo per sanguinem Iohannis Hus et Hieronymi<br />
Pragensis velut sacrificio quodam placatum et finitum est»; l’attribuzione<br />
del commento a Purvey gli consentì <strong>di</strong> evocare il carcere <strong>di</strong><br />
Lutterworth, nel quale Purvey era stato cappellano durante la detenzione<br />
<strong>di</strong> Wyclif; la costanza nella fede e i supplizi subiti dagli uomini cui il<br />
commento <strong>di</strong> Purvey dava voce erano un ammonimento, cosicché,<br />
«quanquam nos simus hoc saeculo illis longe eru<strong>di</strong>tiores et liberiores, pudendum<br />
tamen sit quod in tanta barbarie et captivitate detenti nobis tanto<br />
spiritu et fortitu<strong>di</strong>ne fuerint fortiores et audaciores». Tuttavia neppure<br />
lì Lutero omise <strong>di</strong> avvertire che Purvey, «vitio temporis et regno caliginis<br />
impe<strong>di</strong>tus», non aveva visto con sufficiente chiarezza ciò che «hoc saeculo<br />
nostro loquimur et sentimus». Si riferiva al limite che egli sottolineò<br />
ripetutamente nella rappresentazione della Chiesa romana come personificazione<br />
dell’Anticristo tanto <strong>di</strong> Wyclif quanto <strong>di</strong> Hus. Vi torneremo tra<br />
breve.<br />
Nel 1519, anche nelle posizioni <strong>di</strong> Hus Lutero trovò quanto bastava<br />
perché la sua visione della Chiesa romana ne venisse spinta sempre <strong>di</strong> più<br />
verso una globale identificazione <strong>di</strong> essa con l’Anticristo. È noto che l’incontro<br />
<strong>di</strong> Lutero con la tra<strong>di</strong>zione hussita non fu facile. 65 Quanto sia stata<br />
decisiva la pur impulsiva scoperta che ne fece a Lipsia è <strong>di</strong>mostrato – per<br />
quanto riguarda, in particolare, la problematica <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando<br />
– dal <strong>di</strong>lagare, nella pubblicistica luterana, <strong>di</strong> contenuti e forme della<br />
pubblicistica hussita: a cominciare dallo scritto <strong>di</strong> maggiore <strong>di</strong>ffusione<br />
della prima pubblicistica luterana, il Passional Christi und Antichristi, che<br />
riprendeva i contenuti e l’efficace modulo propagan<strong>di</strong>stico dell’«antitesi»<br />
65 Ve<strong>di</strong> SAMUEL HARRISON THOMSON, Luther and Bohemia, «Archiv für Reformationsgeschichte»,<br />
XLIV, 1953, pp. 170-187; WALTER DELIUS, Luther und Hus, «Luther-Jahrbuch»,<br />
XXXVIII, 1971, pp. 9-25. Le note affermazioni <strong>di</strong> Lutero a Lipsia sono finemente analizzate<br />
da SCOTT H. HENDRIX, We all are Hussits?, «Archiv für Reformationsgeschichte», LXV,<br />
1974, pp. 133-161.<br />
~ 69 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
da almeno due precedenti modelli della letteratura hussita. 66 Quando nel<br />
1524 Otto Brunfels gli de<strong>di</strong>cò la sua e<strong>di</strong>zione degli scritti <strong>di</strong> Mattia <strong>di</strong> Janov<br />
(ma sotto il nome <strong>di</strong> Hus), Lutero si era già reso conto delle molte<br />
affinità che il proprio pensiero presentava con le visioni della Chiesa romana<br />
come incarnazione dell’Anticristo elaborate dal movimento hussita,<br />
da Jan Milič a Mattia <strong>di</strong> Janov e allo stesso Hus: affinità consistenti, più<br />
precisamente, nella negazione che l’Anticristo fosse realtà esterna al cristianesimo<br />
e nella negazione che il suo avvento riguardasse il futuro e<br />
non il presente e il passato. 67<br />
Ciò che, invece, secondo Lutero, né Wyclif né Hus avevano visto<br />
chiaramente era il fatto che l’Anticristo aveva attuato i suoi <strong>di</strong>segni <strong>di</strong><br />
corruzione nella dottrina prima che nei costumi. L’avvento nel mondo<br />
della potenza del male designata dalla nozione biblica <strong>di</strong> Anticristo risale,<br />
sì, al momento stesso in cui è sorta l’istituzione nella quale essa ha potuto<br />
inse<strong>di</strong>arsi. Ma secondo Lutero ciò andava inteso nel senso che l’assetto<br />
del cristianesimo nella forma visibile dell’istituzione ecclesiastica era la<br />
lunga storia della costruzione d’un e<strong>di</strong>ficio nel quale prima <strong>di</strong> tutto erano<br />
stati i principi cristiani ad essere completamente capovolti. Perciò, l’Anticristo<br />
non è una realtà rappresentabile soltanto nella forma d’una mostruosa<br />
«anatomia» (l’«anatomia Antichristi» della pubblicistica hussita) alle<br />
cui membra corrispondano le varie parti della realtà ecclesiastica corrotta.<br />
Esso è prima <strong>di</strong> tutto una forza perversa che ha operato e opera<br />
66 È ancora fondamentale al riguardo l’introduzione <strong>di</strong> GEORG KAWERAU all’e<strong>di</strong>zione<br />
del Passional Christi und Antichristi, in WA, IX, pp. 677-700, in part. pp. 678-679. L’e<strong>di</strong>zione<br />
delle Tabulae <strong>di</strong> Nicola <strong>di</strong> Dresda ora in MASTER NICHOLAS OF DRESDEN, The Old Color<br />
and the New, by HOWARD KAMINSKY et al. (Transactions of the American Philosophical Society»,<br />
n.s., LV, part I), Philadelphia, 1965, con importante introduzione dello stesso Kaminsky.<br />
Ve<strong>di</strong> ora GERALD FLEMING, On the Origins of the «Passional Christi und Antichristi» and<br />
Lucas Cranach the Elder’s Contribution to Reformation Polemics in the Iconography of the Passional,<br />
«Gutenberg Jahrbuch», 1973, pp. 351-368. Un’acuta analisi del contenuto in ROBERT W.<br />
SCRIBNER, For the Sake of Simple Folk cit., pp. 150-158. Sulla forma pubblicistica dell’«antitesi»<br />
ve<strong>di</strong> KLAUS AICHELE, Das Antichristdrama cit., pp. 166-174, e sull’«antitesi» nel particolare<br />
genere del Passional KONRAD HOFFMANN, Typologie, Exemplarik und reformatorische Bildsatire, in<br />
Kontinuität und Umbruch. Theologie und Frömmigkeit in Flugschriften und Kleinliteratur an der<br />
Wende vom 15. zum 16. Jahrhundert, hg. von JOSEPH NOLTE, HELLA TROMPERT, CHRISTOF<br />
WINDHORST (Tübinger Beiträge zur Geschichtsforschung, 2), Stuttgart, Klett-Cotta, 1978, p.<br />
189 sgg. Sulla propaganda hussita nei primi anni della Riforma ve<strong>di</strong> SIEGFRIED OYER, Jan Hus<br />
und der Hussitismus in den Flugschriften des ersten Jahrzehnts der Reformation, in Flugschriften als<br />
Massenme<strong>di</strong>um der Reformationszeit, hg. von HANS-JOACHIM KÖHLER (Tiibinger Beiträge zur<br />
Geschichtsforschung, 13), Stuttgart, Klett-Cotta, 1980, pp. 291-307.<br />
67 In generale, HOWARD KAMINSKY, A History of the Hussite Revolution, Berkeley and Los<br />
Angeles, University of California Press, 1967, pp. 39-55.<br />
~ 70 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
pre<strong>di</strong>sponendo ingannevoli congegni teorici e insinuando con successo<br />
falsi princìpi, antitetici ai presupposti essenziali del cristianesimo. Con gli<br />
anni, Lutero tornò sempre più frequentemente su questa <strong>di</strong>fferenza, insistendovi<br />
fino al limite della <strong>di</strong>ssociazione della propria azione dall’operato<br />
<strong>di</strong> Wyclif e <strong>di</strong> Hus. Nel 1533, <strong>di</strong>sse che tanto le idee <strong>di</strong> Wyclif (cioè il<br />
trattato De Christo et suo adversario Antichristo) quanto la pre<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong><br />
Hus non avevano tenuto conto della <strong>di</strong>stinzione tra insegnamento e modo<br />
<strong>di</strong> vivere, tra corruzione della dottrina e corruzione dei costumi. A se<br />
stesso, invece, Lutero riven<strong>di</strong>cò il primato assoluto («non era ancora mai<br />
avvenuto ...») d’aver combattuto il papato non «sotto l’aspetto morale»,<br />
ma «sotto l’aspetto teologico»: la sua «vocazione» era stata quella <strong>di</strong> confutare<br />
l’insegnamento del papa e <strong>di</strong> contestarne «il regno e l’ufficio», non<br />
<strong>di</strong> condannare i costumi dei papisti, che del resto, <strong>di</strong>ceva, non sempre<br />
erano peggiori dei costumi <strong>di</strong> quanti pure si erano affrancati dalla tirannide<br />
romana; mutamenti e riforme nella prassi cristiana sarebbero necessariamente<br />
conseguiti alla confutazione della dottrina; e concludeva: «Io ho<br />
vinto, e non ho vinto in altro modo che insegnando giustamente». 68 Insomma<br />
– quali che fossero, nel 1533, le ragioni per paventare gli effetti<br />
d’un rapporto imme<strong>di</strong>ato tra elaborazione dottrinale e scontro con la<br />
realtà – sta <strong>di</strong> fatto che agli inizi degli anni Trenta Lutero si <strong>di</strong>ceva convinto<br />
del principio secondo il quale rinnovata consapevolezza dottrinale<br />
significa <strong>di</strong> per sé rivolgimenti nella realtà e riforme.<br />
Un decennio prima – cioè negli anni decisivi della sua ribellione<br />
contro Roma, e decisivi anche per l’elaborazione e la <strong>di</strong>ffusione della tematica<br />
antiromana <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando – Lutero non aveva né<br />
pensato né operato con atteggiamento mentale così scisso tra dottrina e<br />
realtà. Il problema è stato <strong>di</strong>scusso in passato e sarà <strong>di</strong>scusso probabilmente<br />
all’infinito. Sta <strong>di</strong> fatto che in quegli anni l’esposizione del pensiero <strong>di</strong><br />
Lutero fu sempre vigorosamente impastata <strong>di</strong> riscontri in una realtà antitetica.<br />
Non si tratta soltanto della violenta polemica sugli abusi nell’appello<br />
alla nobiltà tedesca – dove è spiegabile che la denuncia fosse martellante.<br />
La denuncia della corruzione <strong>di</strong> tutta la realtà ecclesiastica del<br />
tempo non era stata meno martellante quando, meno <strong>di</strong> due mesi prima,<br />
Lutero aveva contrapposto risolutamente la sua concezione della chiesa<br />
come invisibile comunità spirituale dei credenti alla Chiesa romana ridotta<br />
a realtà «esteriore e materiale», costruzione visibile fondata solo sui<br />
canoni e non sulle Scritture, e pertanto priva della capacità <strong>di</strong> assicurare<br />
68 WA, Tischreden, I, pp. 294-295.<br />
~ 71 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
mezzi <strong>di</strong> salvezza. Insomma, anche in questo caso l’attacco al papato<br />
«sotto l’aspetto teologico», che in Vom dem Bapstum zu Rom è senza dubbio<br />
la parte più importante dello scritto, non fu affatto <strong>di</strong>sgiunto dall’attacco<br />
«sotto l’aspetto morale». Da un punto <strong>di</strong> vista puramente morfologico<br />
– cioè delle forme e degli schemi propri della letteratura escatologica<br />
– questa contrapposizione tra chiesa spirituale e invisibile e chiesa materiale<br />
e visibile poteva richiamare (e in Italia in qualche caso richiamò)<br />
la contrapposizione tra «ecclesia spiritualis» e «ecclesia carnalis» dell’escatologia<br />
me<strong>di</strong>oevale <strong>di</strong> ascendenza prevalentemente gioachimita. Sennonché<br />
nella contrapposizione teorizzata da Lutero era ormai <strong>di</strong>verso lo<br />
schema storico al quale le due nozioni <strong>di</strong> chiesa si riferivano. Il pathos (e,<br />
all’interno degli or<strong>di</strong>ni religiosi, l’angoscia tragica) che l’escatologia me<strong>di</strong>oevale<br />
fu in grado <strong>di</strong> suscitare derivava dalla previsione o dall’annuncio<br />
o anche solo dalla percezione del pericolo che la Chiesa, in quanto «ecclesia<br />
spiritualis», e l’Impero, quale «ecclesia carnalis», tendessero a confondersi,<br />
quando non ad<strong>di</strong>rittura a combaciare. Nella prospettiva <strong>di</strong> Lutero<br />
una simile fenomenologia delle emozioni indotte dalle <strong>di</strong>namiche<br />
del profetare <strong>di</strong>veniva inoperante. Niente <strong>di</strong> meno immaginabile che a<br />
simili emozioni fosse ormai <strong>di</strong>sponibile un qualsiasi lettore o fautore o<br />
seguace della polemica antiromana <strong>di</strong> Hutten. Negate la continuità e la<br />
sopravvivenza dell’Impero, Lutero eliminava uno dei due termini sui<br />
quali si era fondata tanto la bilanciata, ma pur sempre instabile, <strong>di</strong>stinzione<br />
me<strong>di</strong>oevale tra sacro e profano quanto le conseguenti tensioni escatologiche<br />
derivanti <strong>di</strong> tempo in tempo dalla contrapposizione tra l’uno e<br />
l’altro. L’Impero romano, quarto (secondo l’esegesi <strong>di</strong> Lutero) dei regni<br />
<strong>di</strong> Daniele, era definitivamente morto: al popolo germanico ne era stata<br />
trasmessa una parvenza puramente verbale. In realtà, ad esso era succeduto<br />
il papato che, proprio in virtù <strong>di</strong> questa finzione della sopravvivenza<br />
dell’Impero, sorretta fraudolentemente dalla falsa donazione <strong>di</strong> Costantino,<br />
aveva potuto innalzarsi «super omnes reges, super omnes episcopos,<br />
super coelum et terram». 69 Insomma, Lutero addossava al papato, isolato<br />
sullo scenario <strong>di</strong> almeno do<strong>di</strong>ci secoli <strong>di</strong> storia (cioè «dal tempo in cui<br />
ebbe la presunzione <strong>di</strong> innalzarsi sopra l’intera cristianità» 70 ), la responsa-<br />
69 Ad librum ... Catharini responsio cit., p. 723: «Translatum est autem ad Germanos Romani<br />
imperii vocabulum, cum res iam nulla imperii amplius esset. Tamen ea occasio erat<br />
qua elevaretur homo ille super omnes reges, super omnes episcopos, super coelum et terram,<br />
et sic firmaretur regnum in manu eius, effecto etiam in hoc mendacium <strong>di</strong>plomate non<br />
tam mendaci quam stoli<strong>di</strong>ssimo de donatione Constantini».<br />
70 Von dem Bapstum zu Rom, in WA, VI, p. 315.<br />
~ 72 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
bilità <strong>di</strong> impersonare, da solo, l’«ecclesia carnalis» della vecchia escatologia<br />
me<strong>di</strong>oevale. Non è mai esistita manipolazione profetica del futuro in<br />
funzione del presente priva del tutto <strong>di</strong> escatologia, cioè priva <strong>di</strong> presupposti<br />
in uno schema <strong>di</strong> storia universale – e ciò vale probabilmente, quale<br />
che ne sia la misura, persino per la produzione oracolare dell’antichità<br />
classica. 71 La risaputa impermeabilità <strong>di</strong> Lutero a suggestioni gioachimitiche<br />
<strong>di</strong>pese precisamente dal mutamento ra<strong>di</strong>cale che egli apportò allo<br />
schema storico generale: a Roma non c’erano mai state due realtà, e<br />
conseguentemente non c’era mai stata alcuna sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettica contrapposizione<br />
tra una chiesa dello spirito e una chiesa della carne; essa era stata<br />
sempre e soltanto la sede in cui l’Anticristo aveva messo in opera i<br />
congegni d’un potere esercitato ai danni <strong>di</strong> tutta la cristianità. Per gli anni<br />
in cui Lutero elaborò e <strong>di</strong>ffuse freneticamente questa identificazione<br />
del papato con l’Anticristo, la <strong>di</strong>retta denuncia della realtà fu tale che –<br />
quale che debba essere l’accezione del termine propaganda negli stu<strong>di</strong> relativi<br />
– è arduo <strong>di</strong>stinguere tra elaborazione teorica, da una parte, e, dall’altra,<br />
tecniche e processi argomentativi me<strong>di</strong>ante i quali egli rese plausibile<br />
questa sua rappresentazione del papato a lettori d’ogni strato sociale.<br />
L’incontro dei suoi scritti con la più <strong>di</strong>ffusa letteratura antiromana fu imme<strong>di</strong>ato.<br />
Fin dalle Tesi: due (50 e 86) delle novantacinque proposizioni,<br />
evidenziando il contrasto tra le ricchezze della Curia e la miseria del popolino<br />
tedesco esposto alle «estorsioni» dei pre<strong>di</strong>catori <strong>di</strong> indulgenze, facilitarono<br />
la lettura dell’intero documento nel contesto della polemica<br />
antiromana <strong>di</strong> Hutten. Almeno una delle numerose reminiscenze del Va<strong>di</strong>scus<br />
<strong>di</strong> Hutten nell’appello alla nobiltà tedesca è sicuramente testuale.<br />
Tuttavia l’ampiezza della penetrazione dei motivi antiromani elaborati da<br />
Lutero va, ovviamente, ben al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ciò che è possibile accertare attraverso<br />
minuti riscontri filologici. Sui testi <strong>di</strong> Lutero subito Melantone poté<br />
costruire facilmente i suoi efficacissimi commenti alle ventisei incisioni<br />
<strong>di</strong> Cranach nel Passional Christi und Antichristi. La popolarizzazione dell’immagine<br />
dell’Anticristo in paramenti pontificali fu rapi<strong>di</strong>ssima: nell’e-<br />
71 La negazione più recente del carattere messianico della quarta ecloga <strong>di</strong> Virgilio è in<br />
MORTON SMITH, On the History of a’ p o k a l ú p t w and a¿ p u k á l u f i v in Apocalypticism in the Me<strong>di</strong>terranean<br />
World and the Near East. Procee<strong>di</strong>ngs of the International Colloquium on Apocalypticism.<br />
Uppsala, August 12-17, 1979, ed. by DAVID HELLHOLM, Tübingen, J. B. Mohr, 1983, p. 13.<br />
Ve<strong>di</strong>, in contrario, ARNALDO MOMIGLIANO, Dalla Sibilla pagana alla Sibilla cristiana cit., pp.<br />
411-412, dove tuttavia si lascia cadere la testimonianza dell’Alessandra <strong>di</strong> Licofrone addotta<br />
in una delle precedenti stesure dello stesso saggio (cfr. IDEM, Saggi <strong>di</strong> storia della religione romana.<br />
Stu<strong>di</strong> e lezioni 1983-1986, a cura <strong>di</strong> RICCARDO DI DONATO, Brescia, Morcelliana, 1988,<br />
p. 187.<br />
~ 73 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
secrazione <strong>di</strong> quella mostruosa figurazione si espressero le proteste e le<br />
aspettative così <strong>di</strong> lettori dei Colloqui <strong>di</strong> Erasmo come <strong>di</strong> autori e lettori<br />
della già foltissima letteratura pasquillesca o delle Epistolae obscurorum virorum<br />
o della Trias Romana e degli altri scritti antiromani <strong>di</strong> Hutten. Nella<br />
primavera del 1521, la Litaneia Germanorum, <strong>di</strong>ffusa e poi cantata paro<strong>di</strong>sticamente<br />
nelle città tedesche fra le trepidazioni popolari e le incertezze<br />
che caratterizzarono la vigilia della partenza e poi il viaggio <strong>di</strong> Lutero<br />
verso Worms («Ut Martinum Lutherum ... brevi Wormaciam venturum<br />
...»), compen<strong>di</strong>ò tutte le attese con cui veniva seguita e fatta propria<br />
la violentissima polemica <strong>di</strong> Lutero contro Roma. Vi si invocava la definitiva<br />
liberazione dalla tirannide romana, dalla sfrenata barbarie dei teologi<br />
sofisti, dalla minaccia delle scomuniche e dalle superstizioni dei monaci.<br />
Dal giovane imperatore e dai principi riuniti a Worms si attendeva la<br />
liberazione delle popolazioni tedesche e dei loro vescovi dalle esosità fiscali<br />
della Curia. Si invocava il ristabilimento della pace religiosa e il ritorno<br />
al costume cristiano me<strong>di</strong>ante la liberazione dai sofismi degli scolastici<br />
e dalle ipocrisie <strong>di</strong> pseudoteologi e pseudoprofeti. La paro<strong>di</strong>a si<br />
chiudeva con l’invocazione dell’abbattimento del papa, idolo dei prepotenti<br />
e fomite <strong>di</strong> corruzione, con un’immagine che in quegli stessi mesi<br />
Cranach veniva incidendo nell’ultima tavola del Passional Christi und Antichristi:<br />
«Dominus praecipitet eum de cathedra pestilentiae et conterat<br />
caput eius, et qui seipsum fecit deum orbis terrarum sit alibi <strong>di</strong>abolus <strong>di</strong>abolorum<br />
in aeternum». 72 Una libellistica notoriamente sterminata riprese<br />
e inculcò questa immagine con cui si esprimevano il rifiuto delle strutture<br />
ecclesiastiche e la condanna ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> tutta la loro storia, in base alla<br />
convinzione che la corruzione della dottrina aveva generato pratiche e<br />
istituti a loro volta generatori <strong>di</strong> corruzione, in un processo <strong>di</strong> destituzione<br />
dei fondamenti del cristianesimo durato quanto l’intera storia del papato.<br />
73<br />
72 ULRICI HUTTENI Opera quae reperiri potuerunt omnia, ed. EDUARDUS BÖCKING, Lipsiae,<br />
II, 1859, pp. 52-59, dove si esclude l’attribuzione della Litaneia a Hutten.<br />
73 Sulla propaganda religiosa nel Cinquecento è fondamentale il volume già citato Flugschriften<br />
als Massenme<strong>di</strong>um der Reformationszeit, curato da HANS-JOACHIM KÖHLER con stu<strong>di</strong> importanti<br />
specialmente sulle tecniche e i processi della propaganda. Sui criteri <strong>di</strong> ricerca e sui<br />
primi risultati del «Tübinger Flugschriftenprojekt», <strong>di</strong>retto dallo stesso Köhler, quest’ultimo<br />
ha informato recentemente in The «Flugschriften» and their Importance in Religious Debate: A<br />
Quantitative Approach, in «Astrologi hallucinati». Stars and the End of the World in Luther’s Time,<br />
ed. by PAOLA ZAMBELLI, Berlin-New York, Walter de Gruyter, 1986, pp. 153-175. Sul <strong>di</strong>verso<br />
uso dei libelli le posizioni più lontane sono rappresentate dagli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Köhler (ad<br />
esempio, Fragestellungen und Methoden zur Interpretation frühneuzeitlicher Flugschriften, in Flug-<br />
~ 74 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
3. Il «Liber generationis desolatoris Antichristi»<br />
Non conosco scritto propagan<strong>di</strong>stico <strong>di</strong> provenienza luterana (posto<br />
che sia mai possibile avere una conoscenza esauriente d’una simile inesauribile<br />
letteratura) in cui questa interazione generatrice <strong>di</strong> corruzione<br />
tra dottrina e istituti sia resa facilmente accessibile a un largo pubblico<br />
più <strong>di</strong> quanto lo è nel libello <strong>di</strong> cui inten<strong>di</strong>amo seguire la <strong>di</strong>ffusione e gli<br />
adattamenti, o la sua presenza anche soltanto sintomatica, in vari ambienti<br />
e situazioni della storia religiosa del Cinquecento. Leggiamone intanto<br />
il testo intero nella redazione che ne giunse nelle mani <strong>di</strong> Andreas Stangwald,<br />
uno degli interlocutori e commensali <strong>di</strong> Lutero. 74<br />
Liber generationis desolatoris Antichristi,<br />
filii hypocriseos, Diaboli filii.<br />
Diabolus genuit caliginem.<br />
Caligo autem genuit ignorantiam.<br />
Ignorantia autem genuit errorem et fratres eius.<br />
Error autem genuit liberum arbitrium et arrogantiam ex philautia.<br />
Liberum arbitrium autem genuit meritum.<br />
Meritum autem genuit gratiae oblivionem.<br />
Gratiae autem oblivio genuit praevaricationem.<br />
Praevaricatio autem genuit <strong>di</strong>ffidentiam.<br />
Diffidentia autem genuit satisfactionem.<br />
Satisfactio autem genuit sacrificium.<br />
Sacrificium autem genuit sacerdotem ex unctione sacerdotii.<br />
Sacerdos ex unctione genuit superstitionem.<br />
Superstitio autem genuit hypocrisin regem.<br />
schriften als Massenme<strong>di</strong>um cit., pp. 1-27) e <strong>di</strong> Steven Ozment (cfr. Pamphlet Literature of the<br />
German Reformation, in Reformation Europe: A Guide to Research, ed. by STEVEN OZMENT, St.<br />
Louis, Center for Reformation Research, 1982, pp. 87-105, con ampia bibliografia). Esempi<br />
recenti <strong>di</strong> ricerche esemplari: ROBERT W. SCRIBNER, For the Sake of Simple Folk cit. e ora<br />
IDEM, Popular Culture and Popular-Movements in Reformation Germany, London and Ronceverte,<br />
The Hambledon Press, 1987; PAUL A. RUSSELL, Lay Theology in the Reformation. Popular<br />
Pamphleteers in Southwest Germany, 1521-1525, Cambridge University Press, 1986.<br />
74 Riporto il testo da EA, Tischreden, IV, pp. 281-283, sostituendo, nel titolo, «desolationis»<br />
con «desolatoris», secondo le altre redazioni delle quali si parlerà più avanti. Ibid., p.<br />
281 (e WA, Tischreden, VI, p. 230) i riferimenti alle e<strong>di</strong>zioni del libello nelle raccolte cinquecentesche<br />
delle Tischreden (Aurifaber, Stangwald, Selnecker).<br />
~ 75 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Hypocrisis autem rex genuit quaestum et ea quae sunt offertorii.<br />
Quaestus autem genuit purgatorium.<br />
Purgatorium autem genuit fundationem anniversariorum.<br />
Fundatio anniversariorum autem genuit patrimonium ecclesiae.<br />
Patrimonium autem ecclesiae genuit mammona.<br />
Mammon autem genuit luxum.<br />
Luxus autem genuit saturitatem.<br />
Saturitas autem genuit ferociam.<br />
Ferocia autem genuit immunitatem.<br />
Immunitas autem genuit dominationem.<br />
Dominatio autem genuit pompam.<br />
Pompa autem genuit ambitionem.<br />
Ambitio autem genuit simoniam.<br />
Simonia autem genuit papam et fratres eius car<strong>di</strong>nales in transmigratione<br />
Babylonis.<br />
Et post transmigrationem Babylonis papa genuit mysterium iniquitatis.<br />
Mysterium autem iniquitatis genuit theologiam sophisticam.<br />
Theologia autem sophistica genuit abiectionem Scripturae.<br />
Abiectio autem Scripturae genuit tyrannidem.<br />
Tyrannis autem genuit mactationem sanctorum.<br />
Mactatio autem sanctorum genuit contemptum Dei.<br />
Contemptus autem Dei genuit <strong>di</strong>spensationem.<br />
Dispensatio autem genuit licentiam peccan<strong>di</strong>.<br />
Licentia autem peccan<strong>di</strong> genuit abominationem.<br />
Abominatio autem genuit confusionem.<br />
Confusio autem genuit anxietatem.<br />
Anxietas autem genuit quaestionem.<br />
Quaestio autem genuit argumentum veritatis, ex qua revelatus est<br />
desolator papa, qui <strong>di</strong>citur Antichristus.<br />
Il libello è anonimo, come gran parte degli scritti analoghi. 75 La competenza<br />
teologica dell’autore è <strong>di</strong>mostrata dalla sua abilità nel dedurre<br />
l’uno dall’altro tutti gli aspetti della corruzione ecclesiastica, in una complessiva<br />
concatenazione concettuale e storica che mira a dare un com-<br />
75 Le mie ricerche per l’identificazione dell’autore non hanno avuto esito. Il solo che, a<br />
mia conoscenza, si sia posto il problema fu EDUARD BOEHMER, Spanisb Reformers of two Centuries<br />
from 1520, Strassburg and London, II, 1883, p. 110, che però si limita a riferire il suggerimento<br />
<strong>di</strong> John T. Betts <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are le analogie con la Trage<strong>di</strong>a del libero arbitrio <strong>di</strong> Francesco<br />
Negri.<br />
~ 76 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
pen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tutta la polemica antiromana e delle connessioni tra denuncia<br />
della corruzione della dottrina e denuncia della corruzione dell’istituzione.<br />
Si penserebbe alla provenienza dello scritto da uno dei centri <strong>di</strong> elaborazione<br />
della nuova teologia. È comunque certo che il libello circolò<br />
in Germania in una versione tedesca eseguita su un originario testo in latino.<br />
Giunse a Wittenberg e Lutero ne parlò a tavola, come testimonia<br />
Johannes Aurifaber, che ne accolse il testo in tedesco nella sua raccolta<br />
delle Tischreden. Tutte le successive raccolte delle Tischreden, fino a quella<br />
compresa nell’e<strong>di</strong>zione critica <strong>di</strong> Weimar delle opere <strong>di</strong> Lutero, riportano<br />
il libello o nel solo testo tedesco o nella doppia redazione tedesca e<br />
latina. L’attribuzione a Lutero, della cui penna il libello non sarebbe indegno,<br />
è esclusa dalla testimonianza autorevole <strong>di</strong> Stangwald, il secondo,<br />
dopo Aurifaber, della serie <strong>di</strong> or<strong>di</strong>natori delle Tischreden. Le notizie date<br />
dallo Stangwald sono preziose: «Dieser schöne Pasquillus – egli scrive –<br />
ist nicht von D. Martin, sondern von einem andern Theologen gestellet,<br />
weil er aber im Deutschen was dunkel, hab ich das lateinische Original<br />
allhie setzen wöllen». 76 L’inclusione del libello nella serie delle «Tischreden<br />
aus veschiedenen Jahren» dell’e<strong>di</strong>zione critica <strong>di</strong> Weimar significa<br />
che da esse non si possono trarre elementi per la sua datazione. L’esistenza<br />
d’un originale in latino in<strong>di</strong>ca che non necessariamente il pasquillo fu<br />
composto in Germania. La data anteriore a ogni altra riguardante la sua<br />
circolazione è, come vedremo, quella in cui esso circolò in Italia agli inizi<br />
degli anni Quaranta, cioè in anni nei quali comparvero analoghi scritti<br />
italiani <strong>di</strong> non minore perizia e abilità. Insomma, il libello potrebbe anche<br />
essere opera <strong>di</strong> un italiano: scritti come l’Imagine <strong>di</strong> Antechristo dell’Ochino<br />
o come il Pasquino in estasi del Curione furono subito ritenuti<br />
degni d’essere letti in tedesco. 77<br />
4. Deduzioni ra<strong>di</strong>cali: il «Pasquino in estasi» <strong>di</strong> Curione<br />
Una prima testimonianza importante della circolazione che il libello<br />
ebbe in Italia è la copia che se ne conserva in un co<strong>di</strong>ce vaticano conte-<br />
76 EA, Tischreden, IV, pp. 281-282.<br />
77 Per le due traduzioni in tedesco dell’Imagine <strong>di</strong> Antechristo dell’Ochino ve<strong>di</strong> EDUARD<br />
BOEHMER, Spanish Reformers cit., II, pp. 107, 109; e per le traduzioni del Pasquino in estasi<br />
MARKUS KUTTER, Celio Secondo Curione. Sein Leben und sein Werk (1503-1569), Basel und<br />
Stuttgart, Helbing und Lichtenhahn, 1955, p. 285.<br />
~ 77 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
nente scritti e documenti raccolti da Vittore Soranzo. 78 Segnalato laconicamente<br />
fin dal 1925 da Pio Paschini, solo recentemente questo co<strong>di</strong>ce è<br />
<strong>di</strong>venuto oggetto <strong>di</strong> un’analisi dall’ampiezza adeguata al suo valore <strong>di</strong><br />
complessiva testimonianza delle relazioni che, tra il 1540 e il 1550, si stabilirono,<br />
da una parte, tra prelati e gruppi <strong>di</strong> tendenze già pronunciatamente<br />
eterodosse sparsi in varie città italiane e, dall’altra, personalità anche<br />
tra le più eminenti del movimento riformatore in Germania (Lutero,<br />
Butzer). 79 Ciò che si intravede attraverso questa raccolta <strong>di</strong> carte compromettenti<br />
è solo la punta emergente d’un mondo ancora in gran parte<br />
sommerso: un mondo che potrebbe forse riemergere dagli atti del processo<br />
del Soranzo e dalle carte sequestrategli a Bergamo da Michele Ghislieri<br />
nella primavera del 1551. 80 La copia del libello si inserisce nella rete<br />
<strong>di</strong> relazioni che il co<strong>di</strong>ce già documenta. E probabilmente non è da considerare<br />
casuale il fatto che la raccolta del Soranzo si apra con il Liber generationis<br />
Antichristi: cioè, non con una qualsiasi pasquinata, ma con uno<br />
degli scritti <strong>di</strong> propaganda antiromana tra i più violenti e tra i più abilmente<br />
congegnati <strong>di</strong> tutta la libellistica del secolo.<br />
78 Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano latino 10755, cc. 1r-2r. Cfr. Bibliothecae Apostolicae<br />
Vaticanae Co<strong>di</strong>ces Vaticani Latini 10701-10875, recensuit JOHANNES BAPTISTA BORINO,<br />
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1947, p. 205.<br />
79 PIO PASCHINI, Un episo<strong>di</strong>o dell’Inquisizione nell’Italia del Cinquecento. Il vescovo <strong>di</strong> Bergamo<br />
Vittore Soranzo, Roma, E<strong>di</strong>trice F.I.U.C., 1925, p. 59 (ora, con ritocchi, IDEM, Tre ricerche<br />
<strong>di</strong> storia della Chiesa nel Cinquecento, Roma, E<strong>di</strong>zioni liturgiche, 1945, p. 140), dove gli scritti<br />
conservati dal co<strong>di</strong>ce vaticano sono detti erroneamente in «versione». Ve<strong>di</strong> ora PAOLO SI-<br />
MONCELLI, Inquisizione romana e Riforma in Italia, «Rivista storica italiana», C, 1988, pp. 5-<br />
125, dove (pp. 16-17) sono pubblicate integralmente la lettera <strong>di</strong> Lutero <strong>di</strong>retta «Pr. Rom.<br />
Curiae» e (pp. 107-113) le due lettere <strong>di</strong> Butzer rispettivamente del 23 <strong>di</strong>cembre 1541 e 1 o<br />
aprile 1544. Al collega Símoncelli sono grato per aver richiamato la mia attenzione sul co<strong>di</strong>ce,<br />
ancora prima della pubblicazione del suo saggio.<br />
80 Sull’entità del fascicolo processuale del Soranzo sono importanti i documenti utilizzati<br />
da LUIGI CHIODI, Eresia protestante a Bergamo nella prima metà del Cinquecento e il vescovo Soranzo.<br />
Appunti per una riconsiderazione storica, «Rivista <strong>di</strong> storia della Chiesa in Italia», XXXV,<br />
1981, pp. 456-485. Da una supplica che i fratelli del Soranzo rivolsero al Consiglio dei Dieci<br />
risulta che il Ghislieri era andato «propria auctoritate nel stu<strong>di</strong>o del nostro fratello, asportando<br />
quello li è parso <strong>di</strong> quello» (p. 473). Non c’è ragione <strong>di</strong> ritenere che il co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> cui ci stiamo<br />
occupando e il cui possesso fu rimproverato al Soranzo in Castel Sant’Angelo il 26 giugno<br />
1551 sia la sola cosa compromettente che il Ghislieri portò con sé al suo rientro a Roma.<br />
Rimasero, invece, a Bergamo i libri del Soranzo che il Ghislieri confiscò «in casa <strong>di</strong> un<br />
conta<strong>di</strong>no» («certe casse», secondo un’istruzione del Consiglio dei Dieci al residente veneziano<br />
a Roma; «due casse», secondo la citata supplica dei fratelli del Soranzo»), se nel <strong>di</strong>cembre<br />
del 1552 l’inquisitore <strong>di</strong> Bergamo «era per far bruciare pubblicamente in quella città alcuni<br />
libri del Rev.do Episcopo che furon tolti al tempo che esso si trovava a Roma» (ibid., pp.<br />
472-474).<br />
~ 78 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
In questa redazione, il libello presenta due caratteristiche notevoli.<br />
Prima <strong>di</strong> tutto nel titolo. A parte un’analoga ma non altrettanto efficace<br />
particolarità in una redazione che, come vedremo, circolò più tar<strong>di</strong> in<br />
Transilvania, il titolo riproduce quello <strong>di</strong> tutte le altre redazioni note; ma<br />
qui è sormontato da un titolo più generale: Genealogia papae. Più tar<strong>di</strong><br />
prevarrà, come vedremo, questo titolo. Trattandosi <strong>di</strong> scritto <strong>di</strong> propaganda,<br />
il particolare non è irrilevante.<br />
«Genealogia papae» comunica più imme<strong>di</strong>atamente l’idea centrale<br />
dello scritto: la nascita e la progressiva rivelazione dell’Anticristo coincidono<br />
con la nascita del papato e col processo attraverso il quale esso ha<br />
attuato la sua opera <strong>di</strong> corruzione. L’efficacia della formula propagan<strong>di</strong>stica<br />
usata dall’anonimo autore del libello <strong>di</strong>pende proprio dall’adozione<br />
dello schema genealogico (suggerito da Matth., I, 1-16), che non mi risulta<br />
fosse consueto nella libellistica coeva sull’Anticristo. Erano comuni<br />
schemi meno rigi<strong>di</strong>, come «de ortu et tempore», «de nativitate et moribus»:<br />
il primo aveva il suo archetipo nel celebre scritto <strong>di</strong> Adsone; il secondo,<br />
più insistentemente, nella libellistica hussita. 81 A fronte <strong>di</strong> forme<br />
<strong>di</strong> propaganda basate su un simile sistema <strong>di</strong>latabile <strong>di</strong> concetti, l’assun-<br />
81 Va, tuttavia, notato che, per quanto riguarda il De ortu et tempore Antichristi <strong>di</strong> Adsone,<br />
la tra<strong>di</strong>zione manoscritta si arresta al secolo XV (cfr. ADSO DERVENSIS, De ortu et tempore<br />
Antichristi necnon et tractatus qui ab eo dependunt, e<strong>di</strong><strong>di</strong>t D. VERHELST [Corpus Christianorum.<br />
Continuatio Me<strong>di</strong>aevalis, XLV], Turnholti, Typographi Brepols e<strong>di</strong>tores Pontificii, 1976, pp.<br />
8-19, 35-42). La tematica espressa dalla formula «de vita et moribus» si arricchì notevolmente,<br />
allorché nel 1524 comparvero a stampa, a cura <strong>di</strong> Otto Brunfels e sotto il nome <strong>di</strong> Hus,<br />
gli scritti <strong>di</strong> Mattia <strong>di</strong> Janov: cfr. MATTHIAS JANOV, Opera, Nachdruck der Ausgabe Strassburg,<br />
1524. Mit einem Vorwort von ERICH BEYREUTER und einer Einleitung von WERNER-<br />
FRIEDRICH-ALOIS JACOBSMEIER, Hildsheim-New York, Georg Olms, 1975. La flessibilità <strong>di</strong><br />
queste formule consentiva una facile <strong>di</strong>latazione del tema a seconda dell’ampiezza della realtà<br />
storica che si intendeva denunciare come manifestazione dell’Anticristo, adattandosi agevolmente<br />
a forme <strong>di</strong> denuncia che collegavano la realtà religiosa a quella politica e sociale.<br />
Qualche esempio. Scriveva Mattia <strong>di</strong> Janov nel De regno, populo, vita et moribus Antichristi:<br />
«Antichristo adhaerebunt maxime potentes, magnates, <strong>di</strong>vites, canonici doctoresque et religiosi»;<br />
oppure: «Antichristi versutias intelligent simplices, docti a Deo et qui Deum in veritate<br />
quaerunt» (pp. LXXXVII e XC). Quando nel 1522 usci ad Augusta una traduzione in tedesco<br />
del celebre Dialogus inter clericum et militem super <strong>di</strong>gnitate papali et regia <strong>di</strong> Giovanni <strong>di</strong> Parigi<br />
(Cfr. MICHAEL PEGG, A Catalogue of German Reformation Pamphlets (1516-1550) in Swiss<br />
Libraries, Baden-Baden, Valentin Koerner, 1983, n. 1044, p. 94), essa costituì un messaggio<br />
coerente con i contenuti della libellistica politica <strong>di</strong> quegli anni; ma il Dialogus ancor più<br />
rappresentò un messaggio politico-religioso per lettori dei primi scritti antiromani <strong>di</strong> Lutero,<br />
allorché fu ristampato insieme con l’anonimo De nativitate et moribus Antichristi (la stampa è<br />
priva <strong>di</strong> data e <strong>di</strong> insegne e<strong>di</strong>toriali; sull’esemplare conservato alla Zentralbibliothek <strong>di</strong> Zurigo<br />
il possessore colto annotò: «Dialogus sapit Marsilium de Padua»).<br />
~ 79 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
zione dello schema genealogico imponeva la costruzione d’una linea<br />
d’argomenti la cui efficacia <strong>di</strong>pendeva dalla concatenazione tra loro e<br />
dalla concatenazione dell’assieme. In ciò l’anonimo autore del Liber generationis<br />
Antichristi <strong>di</strong>mostrò una straor<strong>di</strong>naria abilità. In primo luogo, per<br />
quanti (ed erano quelli ai quali principalmente il libello era rivolto) avevano<br />
della polemica antiromana <strong>di</strong> Lutero una conoscenza frammentaria,<br />
desunta da letture casuali o da <strong>di</strong>scorsi occasionali, egli articolò e insieme<br />
sintetizzò, nella forma d’un rapido processo deduttivo, tutto il precedente<br />
lavorio polemico <strong>di</strong> scansione dei tempi dottrinali e storici della corruzione<br />
della Chiesa: e l’evidenza dei nessi genealogici sostituiva la sintassi<br />
propria della trattazione e dell’invettiva argomentate su complesse basi<br />
storico-dottrinali. 82 Ridotte al minimo, per non <strong>di</strong>re pressocché inesistenti,<br />
anche le <strong>di</strong>fficoltà linguistiche che potevano opporsi a un facile accesso<br />
al contenuto e alla linea logica del libello: l’impiego d’un solo termine<br />
veramente dotto («... arrogantiam ex philautia») sembrerebbe presupporre<br />
soltanto lettori colti; ma, come vedremo, sono innumerevoli i<br />
casi, noti e meno noti, in cui il facile latino del libello e d’altri scritti simili<br />
non costituì una barriera insormontabile neppure per lettori socialmente<br />
«senza latino», se dalla coscienza turbata. Ma <strong>di</strong> efficacia straor<strong>di</strong>naria<br />
è soprattutto l’impianto generale del processo <strong>di</strong> nascita del papato<br />
e della sua rivelazione come creazione <strong>di</strong>abolica. L’autore non si avvale<br />
dei consueti richiami scritturistici carichi d’una collaudata suggestività:<br />
niente Daniele e simili; nessun richiamo a escogitazioni e calcoli profetici<br />
caratteristici dei testi escatologici antichi e recenti. L’inizio e il compimento<br />
del processo <strong>di</strong> rivelazione dell’Anticristo e della sua vera identità<br />
sono contrassegnati da due scenari tragici. Alle origini, Satana ha <strong>di</strong>ffuso<br />
nel mondo una densa caligine. Ne è seguito un generale offuscamento<br />
degli animi e delle menti. La conseguente propensione degli uomini all’errore<br />
li ha indotti all’arroganza della fiducia in se stessi. È un prologo<br />
in cui Satana ha già compiuto interamente il suo <strong>di</strong>segno, avendo le sue<br />
arti subdole creato una situazione in cui libero arbitrio e presunzione <strong>di</strong><br />
meriti personali capaci <strong>di</strong> riscatto hanno generato la <strong>di</strong>menticanza della<br />
82 Sulle tecniche della semplificazione del linguaggio nei pamphlets ve<strong>di</strong> il bel libro <strong>di</strong><br />
JOSEF SCHMIDT, Lestern, lesen und lesen hören: Kommunikationsstu<strong>di</strong>en zur deutschen Prosasatire der<br />
Reformationszeit, Bern, Lang, 1977. In particolare, MONIKA RÖSSING-HAGER, Wie stark findet<br />
nichtlesekun<strong>di</strong>ge Rezipient Berücksichtigung in den Flugschriften?, in Flugschriften als Massenme<strong>di</strong>um<br />
cit., pp. 77-137, ha analizzato le semplificazioni sintattiche (con particolare riferimento a<br />
Eberlin von Günzburg).<br />
~ 80 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
grazia («gratiae oblivio»). Intenzione del libellista è <strong>di</strong> esaltare e inculcare<br />
il principio della giustificazione per la sola fede. Ma evidentemente la<br />
forma prescelta non è quella dell’esaltazione assertiva. Né quanti in Italia<br />
leggevano e <strong>di</strong>ffondevano il libello ritenevano che funzione e pregio dello<br />
scritto consistessero in una semplice riproposta della giustificazione per<br />
fede. Per lettori che già contrapponevano la fede alle opere e per lettori<br />
ancora alla ricerca d’una soluzione meno esitante del problema, l’efficacia<br />
persuasiva del libello consisteva nell’evidenza con cui vi era dedotta dall’abbandono<br />
della fede l’intero processo <strong>di</strong> capovolgimento del messaggio<br />
cristiano, qui scan<strong>di</strong>to nelle varie fasi, sapientemente annodate l’una all’altra,<br />
della perversione dottrinale e della corruzione del costume. La <strong>di</strong>menticanza<br />
della grazia, cioè lo smarrimento della fede nella giustificazione<br />
per i meriti <strong>di</strong> Cristo, ha generato la convinzione della necessità e vali<strong>di</strong>tà<br />
<strong>di</strong> opere satisfatorie («Diffidentia autem genuit satisfactionem»). E<br />
così ha preso avvio, con l’istituzione della pratica sacrificale («Satisfactio<br />
autem genuit sacrificium. Sacrificium autem genuit sacerdotem ex unctione<br />
sacerdotii»), la progressiva costruzione d’un e<strong>di</strong>ficio nel quale l’offerta<br />
venale <strong>di</strong> surrettizi mezzi <strong>di</strong> salvezza ha costituito la base dell’accumulo<br />
<strong>di</strong> potenza e <strong>di</strong> ricchezze. Era nient’altro che una sequenza scheletrica<br />
degli argomenti essenziali della teologia <strong>di</strong> Lutero e della Riforma<br />
in generale.<br />
Verso la fine degli anni Quaranta, lettori italiani <strong>di</strong> scritti così efficacemente<br />
compen<strong>di</strong>osi avrebbero compreso più facilmente perché Francesco<br />
Negri chiamava il libero arbitrio una «trage<strong>di</strong>a». Ma, agli inizi dello<br />
stesso decennio, una ra<strong>di</strong>cale condanna della Chiesa come proliferazione<br />
<strong>di</strong> un’originaria astuzia <strong>di</strong> Satana era una deduzione ancora niente affatto<br />
ovvia e necessaria tra quei larghi strati <strong>di</strong> lettori italiani ai quali pure la<br />
lettura del Liber generationis Antichristi sembrava proponibile. Notoriamente,<br />
nozioni come giustificazione, opere, fede, meriti, libero arbitrio<br />
erano già da tempo al centro delle preoccupazioni religiose <strong>di</strong> uomini e<br />
donne <strong>di</strong> tutti gli strati della società italiana: in alto, così al centro delle<br />
conversazioni nelle corti come al centro delle aspettative <strong>di</strong> quei prelati,<br />
chierici e pii umanisti che, ad esempio, guardavano con interesse allo<br />
svolgimento e agli esiti dei colloqui <strong>di</strong> Ratisbona; in basso, persino al<br />
centro delle or<strong>di</strong>narie conversazioni delle donnette nei lavatoi pubblici e<br />
dei frequentatori dei mercati – secondo una arcinota informazione lasciata<br />
da un preoccupato testimone del tempo. Non mancano testimonianze<br />
che, all’interno stesso <strong>di</strong> questa concor<strong>di</strong>a nell’esaltazione del primato<br />
della fede o, più decisamente, dell’unicità della fede giustificante, una<br />
consapevolezza non generica <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzioni e <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> orientamenti già<br />
~ 81 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
si esprimeva in reazioni dai toni polemici. Ci si riferisce, evidentemente,<br />
non alle più frequenti testimonianze <strong>di</strong> condanna provenienti da ambienti<br />
ecclesiastici (inquisitoriali e non) avversi a ogni avvisaglia e istanza <strong>di</strong><br />
novità: in queste si condanna tutto e tutti, con conseguenze prospettiche<br />
che dovremo vedere in almeno un caso, quello del vicario <strong>di</strong>ocesano<br />
Giovanni Domenico Sigibal<strong>di</strong> e della caratteristica situazione <strong>di</strong> Modena.<br />
Nel 1541, cioè nell’anno stesso per il quale è documentata la <strong>di</strong>ffusione<br />
in Italia del Liber generationis Antichristi, il ben noto orefice veneziano<br />
Alessandro Caravia – per rimanere nell’ambito d’una letteratura rivolta a<br />
larghi strati popolari – univa insieme incon<strong>di</strong>zionata esaltazione del primato<br />
della fede e tra<strong>di</strong>zionale invettiva anticlericale contro la Chiesa <strong>di</strong>venuta<br />
«mercato» e i suoi comandamenti «mercantia»; ma al tempo stesso<br />
il Caravia biasimava anche con astio («che la polve gli abbrugi del salnitrio»)<br />
che fossero in troppi gli «ignoranti», gli «artesanuzzi», che si atteggiavano<br />
a dottori <strong>di</strong> Sacre Scritture e che <strong>di</strong> predestinazione e <strong>di</strong> libero<br />
arbitrio si <strong>di</strong>scutesse nelle barberie, nelle sartorie e nelle fucine dei maniscalchi:<br />
una ritornante curiosità, non <strong>di</strong>ssimile, secondo il Caravia, dalle<br />
sottigliezze teologiche dei frati, <strong>di</strong> volere «si per sottile / vedere il pel <strong>di</strong><br />
l’ovo in la gallina», quando doveva bastare «veder de’ Vangeli bene il testo»,<br />
limitarsi a «creder nel Credo e <strong>di</strong>r il Pater nostro / e non <strong>di</strong> fede far<br />
mille scappuzzi». 83<br />
Tuttavia, sebbene attestata da innumerevoli testimonianze simili a<br />
quella del Caravia, l’esistenza d’una <strong>di</strong>ffusa tendenza popolare a dedurre<br />
dalla giustificazione per la sola fede un complessivo <strong>di</strong>scorso teologico alternativo<br />
– cioè a percorrere lo stesso itinerario concettuale suggerito da<br />
scritti come il Liber generationis Antichristi – resta ancora una mera consta-<br />
83 Il sogno <strong>di</strong>l Caravia, con gratia e privilegio, 1541 (colophon: In Vinegia. Nelle case <strong>di</strong><br />
Giovann’Antonio <strong>di</strong> Nicolini da Sabbio. Ne gli anni del Signore, MDXLI. Dil mese <strong>di</strong><br />
Maggio), pp. B IIIv, B IVv (cfr. CARLO GINZBURG, Il formaggio e i vermi. Il cosmo d’un mugnaio<br />
del ’500, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1976, pp. 30-31, 162-163). Sul Caravia resta fondamentale VIT-<br />
TORIO ROSSI, Un aneddoto della storia della Riforma a Venezia, in IDEM, Scritti <strong>di</strong> critica letteraria,<br />
III: Dal Rinascimento al Risorgimento, Firenze, Sansoni, 1930, pp. 191-222. L’incartamento<br />
del processo veneziano è ora pubblicato da ENRICA BENINI CLEMENTI, IL processo del gioielliere<br />
veneziano Alessandro Caravia, «Nuova rivista storica», LXV, 1981, pp. 628-644. Importante<br />
ROBERTO SIMIONATO, Alessandro Caravia: la fortuna e<strong>di</strong>toriale e critica, «Quaderni veneti», IV,<br />
1987, pp. 87-120. Il sogno, debitamente annotato, comparirà in appen<strong>di</strong>ce alla monografia<br />
sul Caravia che la dott. Benini Clementi sta preparando per la collana «Stu<strong>di</strong> e testi per la<br />
storia religiosa del Cinquecento». [Ve<strong>di</strong> ora ENRICA BENINI CLEMENTI, Riforma religiosa e poesia<br />
popolare a Venezia nel Cinquecento. Alessandro Caravia (Stu<strong>di</strong> e testi per la storia religiosa del<br />
Cinquecento, 7), Firenze, Olschki, 2000].<br />
~ 82 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
tazione: ciò che resta ancora oscuro è il processo attraverso il quale una<br />
sequenza <strong>di</strong> ragionate deduzioni dal principio dell’unicità della fede giustificante<br />
fornì argomenti per la negazione della vali<strong>di</strong>tà della realtà ecclesiastica<br />
qualitativamente <strong>di</strong>versi dalla tra<strong>di</strong>zionale invettiva contro la corruzione<br />
della Chiesa. La ricostruzione <strong>di</strong> questo processo non può che<br />
procedere nel rispetto delle sequenze cronologiche. I pochi processi superstiti<br />
intentati prima del 1542 contro mercanti e bottegai, maestri <strong>di</strong><br />
scuola, monaci, notai, preti, rivenduglioli e artigiani, e quelli, più numerosi,<br />
intentati, a partire dalla seconda metà del 1542, dai rinnovati tribunali<br />
dell’Inquisizione, evidenziano molti scorci <strong>di</strong> questa evoluzione.<br />
Il riferimento insistente, nei processi contro quella gente comune, agli<br />
aspetti più corposi, istituzionali, della realtà ecclesiastica e la conseguente<br />
denuncia <strong>di</strong> essa e delle sue ra<strong>di</strong>cazioni nella società consentono <strong>di</strong> identificare<br />
un genere <strong>di</strong> evoluzione in cui l’inquietu<strong>di</strong>ne religiosa e il <strong>di</strong>ffuso<br />
<strong>di</strong>sagio (o l’«ansietà», come <strong>di</strong>ceva il nostro anonimo libellista) delle coscienze<br />
non si arrestano più all’esigenza mistica d’una riforma interiore<br />
incentrata, sia pure con <strong>di</strong>fferenze evidentemente non trascurabili, sull’esaltazione<br />
o sul primato o sull’unicità della fede giustificante. In forma<br />
sempre più insistente, la nozione <strong>di</strong> Anticristo nel significato elaborato da<br />
Lutero e <strong>di</strong>ffuso dalla pubblicistica luterana e protestante in genere, <strong>di</strong>venne,<br />
come vedremo, la cifra delle invettive antiecclesiastiche che caratterizzarono<br />
questa evoluzione. Libri e libelli e l’ampiezza, i mo<strong>di</strong> e l’incidenza<br />
della loro circolazione restano lo strumento tra i più idonei alla<br />
ricostruzione <strong>di</strong> questo processo. Soffermiamoci su almeno uno dei libri<br />
che agli inizi degli anni Quaranta ebbero in Italia maggiore <strong>di</strong>ffusione, il<br />
Pasquino in estasi: soprattutto perché con esso il Curione, osservatore già<br />
da più d’un decennio della realtà religiosa italiana attraverso una vasta rete<br />
<strong>di</strong> conoscenze e <strong>di</strong> frequentazioni, sollecitò e insieme finì col descrivere<br />
quel processo <strong>di</strong> deduzioni ra<strong>di</strong>cali dal principio della giustificazione<br />
per fede, nel quale venne a inserirsi la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> scritti come il Liber<br />
generationis Antichristi.<br />
Tutta l’irridente polemica antiromana del Curione si fonda sulla contrapposizione<br />
tra «philautia» e fede, dove il termine fede ha significato rigorosamente<br />
esclusivo <strong>di</strong> ogni altra alternativa <strong>di</strong> salvezza: nelle e<strong>di</strong>zioni<br />
accresciute, l’inferno è la sede <strong>di</strong> «tutti quelli che hanno avuto fidanza<br />
della lor salute in alcun’altra cosa, che in Giesù Christo». 84 La Chiesa è<br />
84 Pasquino in estasi, nuovo, e molto più pieno, ch’el primo, insieme co’l viaggio de l’inferno.<br />
Aggiunte le Propositioni del medesimo da <strong>di</strong>sputare nel Concilio <strong>di</strong> Trento (colophon: Stampato a<br />
~ 83 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
una costruzione <strong>di</strong> canonisti. E non c’è conciliazione tra pietà e canoni:<br />
con la rappresentazione degli effetti <strong>di</strong> quella costruzione, proiettata abilmente<br />
in una visione ultraterrena – cioè al <strong>di</strong> fuori delle frammentarie e<br />
perciò riduttive percezioni quoti<strong>di</strong>ane d’una realtà completamente <strong>di</strong>storta<br />
– Curione intende evidenziarne globalmente la natura mistificante.<br />
Quale che debba essere, tra le successive rielaborazioni in latino e in volgare<br />
del Pasquino in estasi, lo strato testuale più vicino all’elaborazione anteriore<br />
all’espatrio del Curione (estate 1542), 85 ciò che resta immutato in<br />
Roma, nella botega <strong>di</strong> Pasquino, a l’istanza <strong>di</strong> Papa Paulo Farnese con gratia et privilegio),<br />
p. 212.<br />
85 Sulle e<strong>di</strong>zioni in italiano e in latino e sulle traduzioni in altre lingue, ve<strong>di</strong> MARKUS<br />
KUTTER, Celio Secondo Curione cit., pp. 284-285. Sull’e<strong>di</strong>zione in italiano anteriore all’espatrio<br />
del Curione restano fondamentali le due lettere del nunzio a Venezia Fabio Mignanelli<br />
al car<strong>di</strong>nale Alessandro Farnese del 1 o e del 22 febbraio 1543 (cfr. BENEDETTO NICOLINI,<br />
Aspetti della vita religiosa, politica e letteraria del Cinquecento, Bologna, Tamari E<strong>di</strong>tori, 1963, pp.<br />
67-68). La <strong>di</strong>ffusione del Pasquino in estasi nell’e<strong>di</strong>zione segnalata dal Mignanelli dovette essere<br />
così larga da meritare, insieme con la prima raccolta ginevrina delle Pre<strong>di</strong>che dell’Ochino,<br />
una menzione speciale nel primo decreto contro i libri pericolosi emanato il 12 luglio<br />
1543 dall’Inquisizione romana ( JOSEPH HILGERS, Der Index der verbotenen Bücher, in seiner<br />
neuen Fassung. Dargelegt und rechtlich-historisch gewür<strong>di</strong>gt, Freiburg i. Breisgau, Herdersche<br />
Verlagshandlung, 1904, pp. 483-486, in part. p. 484). Tuttavia le testimonianze precise su<br />
lettori <strong>di</strong> questa prima e<strong>di</strong>zione sono molto rare: due riguardano vicende della vita religiosa<br />
bolognese (cfr. sotto, nota 192). Che la prima idea dell’opera (se non ad<strong>di</strong>rittura una prima<br />
stesura) risalga al soggiorno veneziano del Curione risulta dalla de<strong>di</strong>ca ai due magistrati bernesi<br />
Hans Franz Nägeli e Jakob von Wattenwyl <strong>di</strong> Caeli Secun<strong>di</strong> Curionis Pasquillus ecstaticus,<br />
una cum aliis etiam aliquot sanctis pariter et lepi<strong>di</strong>s Dialogis, quibus praecipua religionis nostrae Capita<br />
elegantissime explicantur, senza data né luogo, p. a4r (cfr. MARKUS KUTTER, Celio Secondo Curione<br />
cit., p. 28). La congettura che la redazione più vicina a quella anteriore all’esilio sia<br />
quella in latino inclusa nei Pasquillorum tomi duo, Eleutheropoli, 1544, II, pp. 427-529, si<br />
fonda sulla sola constatazione che questa è la redazione più breve rispetto alle successive,<br />
cioè quella ancora priva della narrazione della <strong>di</strong>scesa all’inferno. Per un’esposizione vivace<br />
dell’opera e per alcuni suoi temi polemici caratteristici, ve<strong>di</strong> ALBANO BIONDI, Il «Pasquillus<br />
extaticus» <strong>di</strong> C. S. Curione nella vita religiosa della prima metà del ’500, «Bollettino della Società<br />
<strong>di</strong> stu<strong>di</strong> valdesi», 1970, n. 128, pp. 29-38. Vale la pena osservare che le date <strong>di</strong> stampa delle<br />
successive e<strong>di</strong>zioni potrebbero essere precisate stabilendo la data esatta delle note vicende<br />
della nobildonna lucchese Camilla Guinigi, rispetto alle quali, <strong>di</strong> e<strong>di</strong>zione in e<strong>di</strong>zione, il<br />
Curione aggiorna le <strong>di</strong>stanze <strong>di</strong> tempo («... abhinc triennum puto» in Pasquillus exstaticus cit.,<br />
p. 41; «già cinque anni» in Pasquino in estasi, nuovo, e molto più pieno cit., p. 49). Qui si fa uso<br />
prevalentemente della redazione in latino <strong>di</strong> Pasquillorum tomi duo e <strong>di</strong> quella in italiano <strong>di</strong><br />
Pasquino in estasi, nuovo, e molto più pieno cit. Resta da chiarire a quale delle redazioni latine e<br />
italiane si riferisca la notizia sulla traduzione eseguita a Venezia, con la connivenza del Carnesecchi,<br />
da Francesco Maria Strozzi (GIOVANNI SFORZA, Riflessi della Controriforma nella Repubblica<br />
<strong>di</strong> Venezia, «Archivio storico italiano», XCIII, 1935, pp. 214-216; cfr. GIGLIOLA FRA-<br />
GNITO, Un pratese alla corte <strong>di</strong> Cosimo I. Riflessioni e materiali per un profilo <strong>di</strong> Pierfrancesco Riccio,<br />
«Archivio storico pratese», LXII, 1986, p. 18).<br />
~ 84 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
tutte le redazioni sono i due punti essenziali del messaggio che l’autore<br />
affida al libro: il papa è l’incarnazione pienamente attuata dell’Anticristo;<br />
il cristiano ha il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere e il dovere <strong>di</strong> confutare, sulla base<br />
delle Scritture, i principi <strong>di</strong>storti e le perverse strategie con cui esso è riuscito<br />
a modellare la realtà storica del cristianesimo. È la proposta e insieme,<br />
attraverso la narrazione della metamorfosi <strong>di</strong> Marforio, l’interlocutore<br />
<strong>di</strong> Pasquino, la descrizione d’un passaggio non facile dal rifugio mistico<br />
nell’esaltazione della fede alla rappresentazione della Chiesa come costruzione<br />
e personificazione dell’Anticristo. È il riscontro <strong>di</strong> questo passaggio<br />
che bisogna cercare nei documenti, se si vuole identificare, al <strong>di</strong> là<br />
d’una originaria concor<strong>di</strong>a sulla centralità e l’unicità della fede giustificante,<br />
processi che in quegli anni si arrestano e altri che si evolvono e si<br />
ra<strong>di</strong>calizzano.<br />
Con Marforio, l’itinerario descritto dal Curione comincia, per così<br />
<strong>di</strong>re, da zero. In lui Curione impersona il tipo <strong>di</strong> credente dalla formazione<br />
rigidamente tra<strong>di</strong>zionale: non ha letto il Vangelo; ha solo familiarità<br />
(«solum assuevi») con le Clementine e con le Decretali. 86 Nonostante<br />
la sua armatura canonistica («tot annis in iure canonico et subtilitatibus<br />
Ioannis de gamba rotta versatus sum»), 87 Marforio ha <strong>di</strong>sponibilità a informarsi<br />
<strong>di</strong> tutte le strane e rumorose novità che sente intorno. E va da<br />
Pasquino. La curiosità <strong>di</strong> Marforio è dapprima puntigliosa: se, a proposito<br />
del culto dei santi, Pasquino parla, senza tante <strong>di</strong>stinzioni, <strong>di</strong> usanze idolatriche,<br />
lui lo avverte: «De <strong>di</strong>is Christianorum loquimur, Pasquille»; e<br />
trova sconveniente parlarne come se si trattasse <strong>di</strong> inezie lucianesche<br />
(«mittamus nugas Lucianicas suo authori»); 88 uso ad apprendere soltanto<br />
attraverso il genere <strong>di</strong> comunicazione assertiva, ha <strong>di</strong>fficoltà a seguire le<br />
finezze maieutiche del Curione («nimis Socratice mecum <strong>di</strong>sputas»). 89 È<br />
ovvio che, come vuole l’intenzione e il genere stesso del <strong>di</strong>alogo, alla fine<br />
Marforio è vinto: alla fine della prima e<strong>di</strong>zione, si congeda con la<br />
promessa <strong>di</strong> essere «sincerus et Christianus»; e alla fine delle e<strong>di</strong>zioni accresciute,<br />
si licenzia desideroso che Pasquino mantenga presto la promessa,<br />
nientemeno, «<strong>di</strong> fargli vedere ancora in estasi la rovina del mondo e ’l<br />
iu<strong>di</strong>cio tremendo <strong>di</strong> Giesù Christo». 90 Tuttavia, l’itinerario <strong>di</strong> Marforio<br />
86 Pasquillorum tomi duo cit., II, p. 466.<br />
87 Ibid., II, p. 435.<br />
88 Ibid., II, p. 428.<br />
89 Ibid., II, pp. 436-437.<br />
90 Pasquino in estasi cit., p. 274.<br />
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ANTONIO ROTONDÒ<br />
da canonista a cristiano non avviene senza <strong>di</strong>fficoltà. Basterà soffermarsi<br />
su due fasi della sua metamorfosi.<br />
A Marforio non sono estranee escogitazioni escatologiche. Canonista,<br />
non avrà avuto le inquietu<strong>di</strong>ni o – come nel 1515 rilevava Leandro<br />
Alberti nella sua de<strong>di</strong>catoria degli pseudogioachimitici Vaticinia de summis<br />
pontificibus – la coeva «curiositate delli mortali [...] che non lassa cosa alcuna<br />
ad fare, per poter venire a la cognitione de le cose passate, et investigare<br />
la presente et etiam le future»; 91 ma inquietu<strong>di</strong>ni e attese erano<br />
troppo <strong>di</strong>ffuse perché Curione non dovesse plausibilmente presupporre<br />
che potesse esserne toccato anche un uomo dalla formazione <strong>di</strong> Marforio.<br />
La convinzione <strong>di</strong> Marforio è quella comune, che cioè la venuta dell’Anticristo<br />
è cosa che riguarda il futuro, non il presente: dunque, non<br />
una realtà, ma eventualmente una minaccia, e per giunta una minaccia<br />
tra le meno preoccupanti, cioè tra le più <strong>di</strong>fferite nel tempo («... cum Iudeorum<br />
Meschia venturum»). 92 Nel corso del <strong>di</strong>alogo, come nella realtà<br />
<strong>di</strong> quegli anni, la metamorfosi <strong>di</strong> Marforio può giungere, senza troppe<br />
<strong>di</strong>fficoltà, fino al traguardo della sostituzione della struttura canonistica<br />
del suo sapere religioso con l’esaltazione della fede e con un alternativo<br />
gusto della pietà. E su questa base, Marforio può anche finire col con<strong>di</strong>videre,<br />
come avveniva al Caravia, il genere dell’invettiva tra<strong>di</strong>zionale<br />
contro il malcostume e la corruzione della Chiesa. Ma Marforio non sa<br />
dove trovare i segni dell’attuale presenza dell’Anticristo, <strong>di</strong> cui gli parla il<br />
Curione: «Qui possum scire an iam sit?». 93 La scoperta <strong>di</strong> segni della presenza<br />
già operante dell’Anticristo e ancor più la deduzione che la Chiesa,<br />
ed essa soltanto, ne era la personificazione, presupponevano un impegnativo<br />
processo <strong>di</strong> deduzioni: sul piano generale della storia che stiamo narrando<br />
implicava, in sostanza, <strong>di</strong>stacco irreversibile, a meno <strong>di</strong> costrizioni<br />
e processi, da quella matrice <strong>di</strong> moderate aspirazioni riformatrici che usa<br />
denominarsi «evangelismo». Il Pasquino in estasi è, come il Liber generationis<br />
Antichristi, tra gli scritti <strong>di</strong> larga <strong>di</strong>ffusione che intesero accelerare e,<br />
come vedremo, accelerarono questo processo.<br />
Sull’esempio <strong>di</strong> Lutero, Curione contrappone a Marforio, e in gene-<br />
91 Prophetia dello Abbate Ioachino circa li Pontifici, Stampada ne l’alma et inclita Città <strong>di</strong><br />
Bologna per magistro Hieronymo <strong>di</strong> Bene<strong>di</strong>cti Citta<strong>di</strong>no Bolognese, 1515, p. C2r (cfr. RO-<br />
BERTO RUSCONI, «Ex quodam antiquissimo libello». La tra<strong>di</strong>zione manoscritta delle profezie nell’Italia<br />
tardome<strong>di</strong>oevale: dalle collezioni profetiche alle prime e<strong>di</strong>zioni a stampa, in The Use and Abuse of<br />
Eschatology cit., p. 462).<br />
92 Pasquillorum tomi duo cit., II, pp. 437-438.<br />
93 Ibid., II, p. 438.<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
re a quelle che egli considera visioni e calcoli escatologici <strong>di</strong>latorî, l’interpretazione<br />
<strong>di</strong> II Thess., II, 4 come profezia già pienamente attuata: Cristo<br />
è già stato scacciato dal tempio e non c’è chi meriti più appropriatamente<br />
il nome <strong>di</strong> Anticristo <strong>di</strong> colui che gli si è sostituito e vi si fa adorare. 94<br />
L’identificazione dell’Anticristo col papa sarà meglio esplicitata nelle e<strong>di</strong>zioni<br />
accresciute del Pasquino in estasi, me<strong>di</strong>ante un ammiccante gioco<br />
anagrammatico. 95 Nella redazione che plausibilmente è da supporre la più<br />
vicina alla prima e<strong>di</strong>zione, l’Anticristo impersona colui che ha la responsabilità<br />
d’avere introdotto nella Chiesa, al posto dell’esemplare umiltà e<br />
mitezza <strong>di</strong> Cristo, un’abnorme quantità <strong>di</strong> elementi numinosi. E qui<br />
davvero Curione alza il tiro. All’atterrito Marforio (che, una volta vinto,<br />
<strong>di</strong>rà: «Miracula me cogebant»). 96 Curione propone una sua teoria dell’uso<br />
politico dei miracoli. I miracoli, <strong>di</strong>ce Pasquino, sono caratteristici dei<br />
tempi in cui si annunciano sovvertimenti e rovine nell’or<strong>di</strong>ne della società;<br />
ogni volta che, «ob perversam religionem», l’ira <strong>di</strong> Dio sta per abbattersi<br />
sul mondo e «rem publicam fun<strong>di</strong>tus velle evertere», ci sono santi<br />
che fanno miracoli, «gentem ne resipiscat miraculis retinent»; il Vecchio<br />
Testamento testimonia che i miracoli <strong>di</strong> Baal furono tanto più frequenti<br />
quanto più i profeti annunciavano l’ira <strong>di</strong> Dio. 97 La forza propria dell’educazione<br />
e la persuasività del portento ra<strong>di</strong>cano nelle menti la religione<br />
in cui si nasce al punto <strong>di</strong> non poter più giu<strong>di</strong>care <strong>di</strong>versamente («... ut si<br />
velim in hac re iu<strong>di</strong>care – confessa Marforio – non possim neque etiam<br />
audeam»), mentre a <strong>di</strong>chiarazioni e comportamenti trasgressivi consegue<br />
il pericolo che essa subito ti si rivolga contro e si ven<strong>di</strong>chi («timeo ne, si<br />
quid in illius maiestatem <strong>di</strong>cam, illa se subito de me vin<strong>di</strong>cet»). 98 È la surrettizia<br />
capacità dell’Anticristo <strong>di</strong> operare portenti persuasivi e, all’occorrenza,<br />
minacciosi («saeva miracula») a tenere vincolate le coscienze. Visibilmente,<br />
Curione fa del culto dei santi e <strong>di</strong> tutta la struttura devozionale<br />
fondata su <strong>di</strong> esso la manifestazione della presenza falsamente numinosa<br />
dell’Anticristo: una millenaria, gigantesca operazione <strong>di</strong> sublimazione numinosa<br />
<strong>di</strong> uomini la cui unica preoccupazione era stata, invece, l’imitazione<br />
<strong>di</strong> Cristo con mitezza e umiltà <strong>di</strong> cuore («Qui fit ergo, ut sanctos<br />
ceu quosdam immanes tyrannos et vin<strong>di</strong>ctae appetentissimos metuas?»); e<br />
l’umanista Curione auspica la <strong>di</strong>struzione, o quanto meno una profonda<br />
94 Ibid.<br />
95 Pasquino in estasi, nuovo, e molto più pieno cit., pp. 18-19.<br />
96 Pasquillorum tomi duo cit., II, p. 437.<br />
97 Ibid., II, pp. 438-439.<br />
98 Ibid., II, p. 436.<br />
~ 87 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
revisione critica, della letteratura agiografica. 99 Non ci sarà rinnovamento<br />
della società cristiana fino a quando la fede sarà soffocata da queste parvenze<br />
numinose che persuadono e atterriscono, ma che, in realtà, possono<br />
nuocere soltanto a chi vi crede, non a chi le respinge e le condanna: 100<br />
«Et quid te – domanda, spazientito, Pasquino – tam superciliose urgent<br />
miracula? Nescis ubi illa sunt frequentia summae insi<strong>di</strong>ae esse signa?». 101 Se<br />
così non fosse, cosa sarebbe dovuto accadere in Germania, dove «partim<br />
combusserunt, partim in cryptas reiecerunt» tutti questi simulacri dell’Anticristo?<br />
102<br />
Ma a questo punto l’itinerario <strong>di</strong> Marforio rischia <strong>di</strong> arrestarsi. La<br />
somma <strong>di</strong> novità prospettategli da Curione era sconvolgente: dall’uso<br />
politico dei miracoli, con quell’irrefutabile riferimento testamentario alla<br />
tirannide idolatrica <strong>di</strong> Baal, alla denuncia dei vincoli imposti alle coscienze<br />
dalla nascita e dalla forza dell’educazione, a quel richiamo impassibile<br />
della recisa iconoclastia operata in Germania. E Marforio risponde: «Tu<br />
nimis altum sapis, Pasquille»; bisogna credere con semplicità, e non importa<br />
che semplicità equivalga a ignoranza («... simplicitatem et ignorantiam<br />
unam esse et eandem»). 103 I documenti del tempo testimoniano abbondantemente<br />
la realtà <strong>di</strong> questo passaggio <strong>di</strong>fficile dell’evoluzione <strong>di</strong><br />
Marforio, questo suo moto <strong>di</strong> resipiscenza, l’impulso a tornare, <strong>di</strong> fronte<br />
a spinte ra<strong>di</strong>cali, alle rassicuranti certezze della tra<strong>di</strong>zione: meglio essere<br />
semplici e ignoranti, e «non multum fatigare cum rebus sacris et permittere<br />
magnis theologis omnia». 104 Su questo punto Alessandro Caravia aveva<br />
possibilità <strong>di</strong> essere ascoltato. Un solo esempio. Un artigiano modenese<br />
processato a Bologna e poi giustiziato a Modena, nel ripercorrere le<br />
sollecitazioni cui era stato sottoposto per anni dai componenti più audaci<br />
del gruppo <strong>di</strong> cui aveva fatto parte, narrò all’inquisitore: «Sempre, in tutti<br />
li ragionamenti occorsi tra noi <strong>di</strong> tal materia, io havevo <strong>di</strong>splicentia nell’animo,<br />
et sentivo cruccio nella mia mente, et partito ch’io era da loro,<br />
99 Ibid., II, p. 437. A p. 492 si auspica l’eliminazione della letteratura agiografica: «... et<br />
utinam habeamus horum [dei santi] historias aliquando eliminatas; miraberis tam vastam<br />
mendaciorum partem rescissam». Meno ra<strong>di</strong>calmente in Pasquillus exstaticus cit., p. 65: «... et<br />
utinam habeamus horum historias repurgatas».<br />
100 Pasquillorum tomi duo, II, p. 439.<br />
101 Ibid., II, p. 438.<br />
102 Ibid., II, p. 439.<br />
103 Ibid.; a p. 441: «Certe, Pasquille, ego hactenus semper cre<strong>di</strong><strong>di</strong>, debere nos simplices,<br />
hoc est ignorantes esse».<br />
104 Ibid., II, p. 439.<br />
~ 88 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
me n’andavo pure alle mie <strong>di</strong>votioni, cioè alle chiese, alle messe et alle<br />
pre<strong>di</strong>che in S. Petronio et in S. Martino». 105 La <strong>di</strong>stinzione tra semplicità e<br />
ignoranza, tra candore e credulità, è il secondo dei due temi essenziali del<br />
Pasquino in estasi. La semplicità <strong>di</strong> per sé associata all’ignoranza è concetto<br />
coniato da quanti hanno avuto interesse a trarne vantaggi («Sic censuerunt<br />
quos horum saeculorum ignorantia pingues fecit»). 106 La semplicità<br />
del cristiano va, invece, associata all’obbligo d’una perfetta conoscenza<br />
della dottrina che egli professa. 107 Il precetto evangelico «Scrutamini<br />
Scripturas» (Iohan., V, 39) è rivolto a tutti i cristiani. 108 Lasciarsi sottrarre<br />
le Scritture, com’è avvenuto col consolidarsi degli or<strong>di</strong>ni religiosi e con<br />
la nascita delle scuole teologiche, significa esporsi a ogni sopruso in nome<br />
<strong>di</strong> esse:<br />
Quis est enim – conclude il Curione – qui nescit superioribus saeculis, dum<br />
adhuc dormitarent literae, Christianos omnes istos ceu dei nepotes aestimasse eorumque<br />
consulta pluris fecisse quam Christi? Nam Christum ignorabant, quem ex<br />
Evangelio, quod apud hos captivum erat, oportebat cognovisse. Porro isti cum librum<br />
pacis et libertatis soli tractarent, vulgus autem putaret eos omnia sua ex hoc<br />
unico libro adducere, cum ipsi mendaciis undequaquam contractis et horren<strong>di</strong>s miraculis<br />
et purgatoriis confictis populum onerarent, fuit factum ut partim sui admiratione,<br />
partim timore miserum popellum ad omnes nugas credendas compulerint. Si<br />
velis Evangelium illorum temporum videre et onera et sarcinas quibus populum<br />
onerarint, iurabis legem Iudaicam centuplo (quantum ad externa pertinet) mitiorem<br />
fuisse. Et ut ad propositum redeamus, cum Evangelium huiusmo<strong>di</strong> consiliis olim<br />
extinctum sit, et iam rursus reviviscat, necessum est ad eadem reme<strong>di</strong>a recurrere et<br />
iccirco est quod <strong>di</strong>cebam, novas rursus larvas apud eos excogitari, quibus stultos<br />
mortales rursus avocent ad suam illam tam sor<strong>di</strong>dam servitutem. 109<br />
Insomma, il Curione sollecita i suoi lettori in senso contrario a quello<br />
che abbiamo esemplificato con la posizione del Caravia e col suo biasimo<br />
dell’in<strong>di</strong>screzione teologica <strong>di</strong> sarti, barbieri e fabbri. Le varie raccolte<br />
<strong>di</strong> Pre<strong>di</strong>che dell’Ochino, la cui circolazione in quegli anni risulta<br />
spesso segnalata e denunciata unitamente o contemporaneamente al Pa-<br />
105 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 4, processo Marco Magnavacca,<br />
costituto del 17 <strong>di</strong>cembre 1566.<br />
106 Pasquillorum tomi duo cit., II, p. 441.<br />
107 Ibid., II, pp. 441-442.<br />
108 Ibid., II, p. 439.<br />
109 Ibid., II, p. 465.<br />
~ 89 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
squino in estasi e all’Imagine <strong>di</strong> Antechristo dello stesso Ochino, 110 riba<strong>di</strong>scono<br />
gli stessi concetti. In una delle più <strong>di</strong>ffuse raccolte delle sue pre<strong>di</strong>che,<br />
il problema dell’accesso alle Scritture da parte <strong>di</strong> «inliterati, i<strong>di</strong>oti et simplici»<br />
è svolto in un apposito e polemicissimo capitolo, Se è bene, o male,<br />
che ciascheduno cerchi chiarirsi della sua fede, se l’è vera, o no: molti, «e particolarmente<br />
nel regno <strong>di</strong> Antechristo» – scrive l’Ochino – ritengono che<br />
sia un gran male che nelle verità <strong>di</strong> fede ormai voglia veder chiaro<br />
«ognuno in<strong>di</strong>fferentemente, maxime le donne, li inliterati, i<strong>di</strong>oti et simplici».<br />
La ragione che <strong>di</strong> ciò Ochino comunica ai suoi lettori è «che li capi<br />
del regno <strong>di</strong> Antechristo, con sottile e <strong>di</strong>abolica astutia, si sieno sforzati<br />
così <strong>di</strong> occultarle per esser tanto più adorati chome persone <strong>di</strong>vine e tali<br />
che soli infra li altri habbin lume de’ <strong>di</strong>vini secreti»; è pretestuosa l’ipotesi<br />
che, se gli «i<strong>di</strong>oti» avessero accesso alle Scritture, facilmente cadrebbero<br />
in errori ed eresie, perché, al contrario, sono «i savi et prudenti del mondo»<br />
i più inclini agli errori, in quanto «la loro magior prudentia et sapientia<br />
humana», che Dio considera stoltezza, li <strong>di</strong>spone a resistere all’azione<br />
dello Spirito; del resto, «s’è visto per esperientia che dove li simplici<br />
hanno acceptato lo Evangelio et creduto in Christo, li savi del mondo<br />
non li hano creduto, imo l’hanno perseguitato»; 111 e così via. Con tutto<br />
questo non era, ovviamente, incompatibile il messaggio che a questo<br />
stesso riguardo era provenuto dalla traduzione del Nuovo Testamento <strong>di</strong><br />
Brucioli; ma, al confronto, esso ora appariva generico. Come il Curione<br />
e già prima <strong>di</strong> lui in tutta la sua «larvata» pre<strong>di</strong>cazione italiana, anche l’Ochino<br />
partiva dalla contrapposizione tra «philautia» e fede: come per il<br />
Curione, anche per l’Ochino la corruzione della Chiesa non era una<br />
realtà la cui denuncia potesse esaurirsi in una sterile invettiva; bisognava<br />
cercare la ragione originaria che aveva fatto della Chiesa una costruzione<br />
<strong>di</strong>abolica; e questa ragione era la <strong>di</strong>menticanza della fede e della grazia;<br />
«Et tutto è stato con <strong>di</strong>abolica astutia, per havere occasione d’arricchirsi<br />
et d’ingran<strong>di</strong>re la loro autorità, acciò sieno adorati come dei in terra [...].<br />
Et che sia il vero, guarda che sopra questa <strong>di</strong>abolica opinione dell’opere<br />
sono fondati tutti li loro mulinelli dell’impie satisfationi, quanto al foro<br />
110 Ve<strong>di</strong> la lettera del Mignanelli cit. alla nota 85 («Pasquino in estasi, Pre<strong>di</strong>che <strong>di</strong> fra Bernar<strong>di</strong>no,<br />
Antichristi stampati et cartelli impii et vituperosi sono andati tanto attorno in Venezia<br />
...»). Tre giorni dopo, l’ambasciatore estense a Venezia, Tebaldo Tebal<strong>di</strong>, mandava a Ercole<br />
II d’Este una copia dell’Imagine <strong>di</strong> Antechristo (cfr. BENEDETTO NICOLINI, Aspetti della vita<br />
religiosa, politica e letteraria del Cinquecento cit., p. 57).<br />
111 Sermones de fide Bernar<strong>di</strong>ni Ochini Senensis, s.l. (ma Ginevra) 1544, pp. d3r-v, d6r-v,<br />
d7v (cfr. Espositione <strong>di</strong> Bernar<strong>di</strong>no Ochino <strong>di</strong> Siena, sopra la Epistola <strong>di</strong> S. Paulo alli Romani, s.l.<br />
(ma Ginevra), 1545, p. A2v).<br />
~ 90 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
spirituale, del sacrifitio della messa, de’ meriti, indulgentie, purgatorio,<br />
voti et religioni humane, et così dell’assolutioni, bene<strong>di</strong>tioni, simonie et<br />
altre loro impiissime impietà». 112 L’analogia con l’impianto concettuale del<br />
Liber generationis Antichristi è tale da giustificare almeno la tentazione d’attribuirlo<br />
all’Ochino.<br />
Quanti avevano già letto il Liber generationis Antichristi (come vedremo<br />
tra breve, in almeno una delle redazioni note esso circolò in Italia<br />
prima che il Pasquino in estasi e le Pre<strong>di</strong>che) vi avevano trovato i presupposti<br />
essenziali tanto delle invettive dell’Ochino quanto della narrazione<br />
della metamorfosi <strong>di</strong> Marforio. Anche nell’anonimo libello è centrale la<br />
ragione per cui il «mysterium iniquitatis», originato dalla «gratiae oblivio»,<br />
si è ra<strong>di</strong>cato nella realtà: cioè la nascita della teologia («Mysterium<br />
autem iniquitatis genuit theologiam sophisticam»), intesa come sofisma,<br />
cioè come giustificazione ideologica dell’e<strong>di</strong>ficio costruito da Satana. Nei<br />
principi e nella pratica, una tale elaborazione teorica si è risolta nell’abbandono<br />
e nel <strong>di</strong>sprezzo delle Scritture. E <strong>di</strong> qui – deduce genealogicamente<br />
l’autore del libello – tirannide, «mactatio sanctorum», <strong>di</strong>spense e<br />
licenza <strong>di</strong> peccare, fino al completo abominio. L’effetto ultimo <strong>di</strong> questo<br />
processo <strong>di</strong> corruzione sono stati una generale ansietà e un <strong>di</strong>ffuso turbamento<br />
delle coscienze («Confusio autem genuit anxietatem»). Già vari<br />
stu<strong>di</strong>osi hanno analizzato con acume questo <strong>di</strong>ffuso stato <strong>di</strong> ansietà come<br />
terreno propizio al <strong>di</strong>ffondersi delle nuove idee religiose. 113 Il nostro libellista<br />
ne fa il secondo degli scenari tragici in cui egli colloca la nascita e la<br />
rivelazione dell’Anticristo: il processo genealogico della progressiva corruzione<br />
del cristianesimo s’era aperto, come abbiamo visto, con un generale<br />
stato <strong>di</strong> offuscamento delle coscienze e delle menti; si chiude con un<br />
generale turbamento e con un’attesa ansiosa, tali da rendere in<strong>di</strong>fferibili la<br />
soluzione del problema e la rivelazione della verità («Quaestio autem genuit<br />
argumentum veritatis»); e il momento della verità è rappresentato<br />
dalla rivelazione che il papa è l’incarnazione dell’Anticristo. Volutamente,<br />
lo scritto non ha riferimenti attuali: intenzione del libellista è che la<br />
concatenazione dell’assieme <strong>di</strong>a il senso della ineluttabilità dell’inizio della<br />
Riforma.<br />
112 Pre<strong>di</strong>che <strong>di</strong> Bernar<strong>di</strong>no Ochino da Siena. Novellamente ristampate e con grande <strong>di</strong>ligentia rivedute<br />
e corrette, s.l. né a., p. A7r.<br />
113 Ve<strong>di</strong>, ad esempio, STEVEN OZMENT, The Reformation in the Cities. The Appeal of Protestantism<br />
to Sixteenth-Century Germany and Switzerland, New Haven, Yale University Press,<br />
1975, in part. p. 49; e con riferimento alla pratica della confessione, THOMAS N. TENTLER,<br />
Sin and Confession on the Eve of the Reformation, Princeton, Princeton University Press, 1977,<br />
in part. pp. 155-156.<br />
~ 91 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Nella redazione del libello conservata da Vittore Soranzo, una particolarità,<br />
alla quale abbiamo già accennato, consiste nell’invettiva finale,<br />
con richiamo implicito <strong>di</strong> Iohan., VIII, 9:<br />
Vos ex patre <strong>di</strong>abolo estis, et desideria patris vestri vultis facere. Ille homicida<br />
erat ab initio et in veritate non stetit.<br />
Com’è noto, anche l’itinerario religioso del Soranzo ebbe inizio dalla<br />
riflessione sul rapporto tra fede e opere. Ma, a parte l’annotazione <strong>di</strong> sua<br />
mano con cui, durante la detenzione in Castel Sant’Angelo, il Soranzo<br />
riconobbe il possesso del manoscritto nel quale è conservato il Liber generationis<br />
Antichristi, non si conosce a tutt’oggi (se non vado errato) una sola<br />
carta su cui egli abbia <strong>di</strong>chiarato alcunché delle sue idee. Risulta, perciò,<br />
<strong>di</strong>fficile ricostruire, nel suo caso, quel seguito <strong>di</strong> progressive «illazioni» dal<br />
principio della giustificazione per fede che, per sé e per gli amici, Carnesecchi<br />
descrisse ai suoi giu<strong>di</strong>ci romani («Son cose, come ogni uno sa, che<br />
obrepunt a pocho a pocho nelli animi nostri»). 114 È significativo che nel<br />
febbraio del 1551, pochi mesi prima della sua fuga in Svizzera, Celso<br />
Martinengo fosse convinto che colloqui col Soranzo fossero i più idonei<br />
ad acquietare le sue laceranti riflessioni («questa è piaga del core») sul<br />
problema del rapporto tra fede e opere. 115 Com’è noto, nell’estate dello<br />
stesso anno, il papa da poco regnante, il moderato Giulio III Del Monte,<br />
sospese extragiu<strong>di</strong>zialmente, cioè con effetti provvisori, il processo contro<br />
il Soranzo – anche se non è da sottovalutare la gravità del fatto che a<br />
patrizio veneziano veniva interdetto il pieno esercizio delle funzioni episcopali<br />
nella sua <strong>di</strong>ocesi in terra veneta. 116 Ciò che ancora resta da sapere è<br />
la reazione degli organi dell’Inquisizione <strong>di</strong> fronte a quella specie <strong>di</strong> male<strong>di</strong>zione<br />
contro l’intera gerarchia ecclesiastica come figlia <strong>di</strong> Satana, con<br />
cui si chiudeva un libello al quale poi seguiva, come una sorta <strong>di</strong> sua appen<strong>di</strong>ce,<br />
una notevole documentazione sul <strong>di</strong>battito sulla giustificazione,<br />
a partire dai colloqui <strong>di</strong> Ratisbona, e una quantità cospicua <strong>di</strong> testimonianze<br />
sui rapporti che gruppi eterodossi italiani avevano stabilito tra loro<br />
114 Estratto del processo <strong>di</strong> Pietro Carnesecchi, a cura <strong>di</strong> GIACOMO MANZONI, «Miscellanea <strong>di</strong><br />
storia italiana», X, 1870, p. 197.<br />
115 MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone.<br />
E<strong>di</strong>zione critica, Roma, Istituto storico italiano per la storia moderna e contemporanea, 1981-<br />
1989, 5 voll., II, 1984, pp. 1111-1112, lettera a Ippolito Chizzuola del 15 febbraio 1551 da<br />
Milano.<br />
116 PIO PASCHINI, Tre ricerche <strong>di</strong> storia della Chiesa cit., p. 140 sgg.<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
e col mondo religioso d’Oltralpe. 117 È una documentazione che si riferisce<br />
all’arco d’un intero decennio: cosicché solo dalle risultanze della severa<br />
inchiesta del Ghislieri (se ancora si conservano le carte relative) potremmo<br />
sapere quando il Liber generationis Antichristi entrò a far parte delle letture<br />
del Soranzo, se il violento contenuto del libello trova rispondenze<br />
nella sua evoluzione religiosa, se esso circolò nella rete <strong>di</strong> relazioni del<br />
vescovo <strong>di</strong> Bergamo e in che misura e su quanti ebbe capacità <strong>di</strong> suggestione<br />
e riscosse consensi. Ogni altro <strong>di</strong>scorso sul significato che il Liber<br />
generationis Antichristi ha nel contesto del problematico zibaldone del Soranzo<br />
non può, per ora, andare oltre questi quesiti.<br />
5. Libellistica antiromana e gruppi ereticali a Bologna<br />
Circostanze e particolari più precisi emergono, invece, dalla documentazione<br />
sulla circolazione che il Liber generationis Antichristi ebbe a<br />
Modena e a Bologna. La data è il particolare più rilevante: 1541, cioè anteriormente<br />
alla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> scritti tra i più affini, per genere e per contenuto,<br />
come il Pasquino in estasi del Curione e soprattutto l’Imagine <strong>di</strong><br />
Antechristo dell’Ochino, col quale più tar<strong>di</strong> il Liber generationis Antichristi<br />
apparirà congiunto, come vedremo, in almeno una stampa in lingua spagnola.<br />
Il 14 giugno 1541, il governatore <strong>di</strong> Modena Francesco Villa scrisse<br />
al duca <strong>di</strong> Ferrara che il Liber generationis Antichristi «per pasquineria era<br />
molto lodata». 118 Vedremo tra breve le circostanze in cui da Bologna il libello<br />
giunse a Modena e il significato della sua comparsa nel contesto<br />
d’altri scritti simili e dei fermenti religiosi che si venivano manifestando<br />
sempre più apertamente nelle due città. Intanto le lo<strong>di</strong> del libello riferite<br />
da Francesco Villa propongono la questione più generale del modo in<br />
cui era accolta e letta e della funzione che ebbe in quegli anni la libellistica<br />
<strong>di</strong> larga <strong>di</strong>ffusione, la multiforme letteratura della derisione e del vitu-<br />
117 Per la documentazione sul <strong>di</strong>battito sulla giustificazione e per il resto del contenuto<br />
del co<strong>di</strong>ce si rimanda alla già citata descrizione <strong>di</strong> Giovanni Battista Borino (cfr. sopra, nota<br />
78). A c. 153r-161v la lunga lettera <strong>di</strong> «Fr. Bernar<strong>di</strong>no [Ochino] cappuzzino a M. B. D. fratel<br />
maggior in Christo», ora pubblicata in BENEDETTO NICOLINI, Aspetti della vita religiosa, politica<br />
e letteraria del Cinquecento cit., pp. 90-97, con la congettura che si tratti <strong>di</strong> «una rielaborazione<br />
<strong>di</strong> una o più lettere del frate senese, compilata con intenti propagan<strong>di</strong>stici o dallo stesso<br />
Soranzo o da altro seguace del Contarini».<br />
118 Ve<strong>di</strong> Documenti, 1, p. 192.<br />
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ANTONIO ROTONDÒ<br />
perio antiecclesiastici, della quale il Liber generationis Antichristi è un’espressione<br />
tra le più violente. 119<br />
Nel presentare la più recente raccolta <strong>di</strong> pasquinate romane del Cinquecento,<br />
Giovanni Aquilecchia ha fatto al riguardo osservazioni acutissime:<br />
a Roma, la polemica pasquillesca, espressione d’una società che si<br />
modella secondo l’immagine, le fazioni e i contrasti della corte pontificia,<br />
è priva <strong>di</strong> «qualsiasi esortazione alternativa, fosse pur solo sul generico<br />
piano ideologico e religioso»; persino dalla sua reazione all’azione repressiva<br />
<strong>di</strong> Paolo IV «risulta confermato il carattere sostanzialmente conservativo<br />
della polemica pasquillesca: carattere inerente del resto a qualsivoglia<br />
protesta <strong>di</strong> stampo ra<strong>di</strong>cale che miri – tramite la denuncia e conseguente<br />
eliminazione del vizio (quando pure la denuncia non sia ingiustificata) –<br />
a una più corretta e quin<strong>di</strong> efficace amministrazione dello stato esistente»;<br />
insomma, «una produzione versificatoria che pur essendo da cima a fondo<br />
imbastita <strong>di</strong> vituperi ad personam, si guarda poi bene dallo scalfire pur<br />
minimamente la compattezza del sistema istituzionale e gerarchico <strong>di</strong> cui<br />
i personaggi colpiti pur sono l’imme<strong>di</strong>ato prodotto». 120 Innocue nel qua-<br />
119 Preziosa la recente raccolta Pasquinate romane del Cinquecento, a cura <strong>di</strong> VALERIO MA-<br />
RUCCI, ANTONIO MARZO e ANGELO ROMANO, presentazione <strong>di</strong> GIOVANNI AQUILECCHIA, Roma,<br />
Salerno E<strong>di</strong>trice, 1983, 2 voll. Su <strong>di</strong> essa ve<strong>di</strong> i rilievi <strong>di</strong> MASSIMO FIRPO, Pasquinate romane del<br />
Cinquecento, «Rivista storica italiana», XCVI, 1984, pp. 600-621, e XCVII, 1985, pp. 775-<br />
783, le rispettive repliche del Marucci e dello stesso Firpo. Altre in<strong>di</strong>cazioni in VALERIO MA-<br />
RUCCI, Nuove fonti manoscritte <strong>di</strong> pasquinate del Cinque e Seicento, «Filologia e critica», XIII,<br />
1988, pp. 102-109. Il vero limite dell’efficacia della raccolta in rapporto ad argomenti quale<br />
quello <strong>di</strong> cui stiamo trattando è che essa include soltanto produzione pasquillesca in versi. Il<br />
campo <strong>di</strong> indagine rimane ancora sterminato. Mi limito a una sola in<strong>di</strong>cazione. Il ms. O. II.<br />
49 della Universitätsbibliothek <strong>di</strong> Basilea conserva una quantità notevole <strong>di</strong> pasquinate in<br />
italiano e in latino (alcune in redazione italiana e latina) e<strong>di</strong>te e ine<strong>di</strong>te. Come risulta da varie<br />
annotazioni marginali (ad esempio: «Quae praecedunt sex folia in catalogum cum reliquis<br />
huc transferenda sunt», c. 16r), il materiale pasquillesco adunato nel ms. era in preparazione<br />
della stampa d’una raccolta <strong>di</strong> Girolamo Massari, della quale non ho altra notizia, oppure in<br />
funzione <strong>di</strong> una delle raccolte <strong>di</strong> pasquilli che in quegli anni venivano curate a Basilea specialmente<br />
da Thomas Kirchmeyer. Il contributo italiano a queste raccolte provenne, oltre<br />
che dalla ristampa <strong>di</strong> pasquilli già comparsi nei Pasquillorum tomi duo <strong>di</strong> Curione, dallo stesso<br />
Massari, come risulta da una sua lettera a Gilbert Cousin del 24 ottobre 1553 (c. 11v). Segue<br />
la pasquinata: Hieronymus Massarius ad Iulium Tertium P. M. qui se annos centum et viginti victurum<br />
sperat.<br />
120 Pasquinate romane del Cinquecento cit., I, pp. XI-XVI, e a pp. XXI-XXII anche le osservazioni<br />
<strong>di</strong> Valerio Marucci. Reazioni <strong>di</strong> segno <strong>di</strong>verso erano rare e potevano provenire solo da<br />
un mondo religiosamente estraneo a quello romano, com’è, ad esempio, il caso della lettera<br />
del 24 aprile 1555 con cui il gesuita Giovan Battista Viola, incitando Marcello II alle riforme,<br />
concludeva: «... sarebbono a loro <strong>di</strong>spetto constretti dalla stessa conscienza [...], gietando<br />
li loro Pasquini et Marphoi nel fiume, col medemo Pasquino et Marphoio, con quali si va<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
dro religioso, politico e sociale romano, le pasquinate, come ogni altra<br />
forma <strong>di</strong> libellistica analoga, hanno, invece, ben altra efficacia e comunque<br />
ben altra intenzione allorché, <strong>di</strong>ffuse fuori della cornice del mondo<br />
romano o prodotte fuori <strong>di</strong> Roma, si accompagnano alla <strong>di</strong>ffusione e alla<br />
lettura <strong>di</strong> scritti che dalla realistica descrizione della corruzione della<br />
Chiesa traggono o suggeriscono la riprova della necessità <strong>di</strong> contestazioni<br />
più ra<strong>di</strong>cali delle istituzioni e del mondo <strong>di</strong>leggiati e vituperati da Pasquino.<br />
A questo genere <strong>di</strong> efficacia pensava a Basilea il teologo Wolfgang<br />
Wissenburg, quando nel 1555, in anni <strong>di</strong> rinato interesse per la satira<br />
pasquillesca a un decennio dalla famosa raccolta del Curione, incluse le<br />
pasquinate tra le altre forme <strong>di</strong> letteratura <strong>di</strong> larga <strong>di</strong>ffusione, efficace per<br />
la denuncia della corruzione della Chiesa (figurazioni per ogni genere <strong>di</strong><br />
persone «non minus doctis quam appositis», cantilene, scritti allusivi,<br />
profezie ecc.). 121 Limitiamoci a un solo esempio.<br />
Nel maggio del 1568, alla domanda dell’inquisitore se fosse <strong>di</strong> sua<br />
mano una copia del Divi Severi episcopi Neapolitani vaticinium mirabile, il<br />
padovano Marziale Clementi rispose che si trattava <strong>di</strong> «pasquinate, et chi<br />
cercasse – aggiungeva – le case <strong>di</strong> questa terra el se ghe ne troveria in tutte<br />
de qualche sorte». 122 Evidentemente, nella <strong>di</strong>chiarazione del Clementi il<br />
termine pasquinate, esteso alla nota Prophetia Sancti Severi (vedremo quale<br />
ridendo il mondo de sommi pontifici, prelati et ministri dela chiesa santa» (Epistolae mixtae<br />
ex variis Europae locis ab anno 1537 ad 1556 scriptae, nunc primum a patribus Societatis Iesu in lucem<br />
e<strong>di</strong>tae, Matriti, excudebat Augustinus Avrial, t. IV, 1900, pp. 598-599; in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong><br />
Ottavia Niccoli, che ringrazio).<br />
121 Antilogia Papae: hoc est de corrupto ecclesiae statu, et totius Cleri Papistici perversitate. Scripta<br />
aliquot veterum authorum, ante annos plus minus CCC et interea: nunc primum in lucem eruta, et ab<br />
interitu vin<strong>di</strong>cata. Cum praefatione D. Wolfgangi Wissenburgii Theologi Basiliensis, ex officina<br />
Ioannis Oporini, 1555, pp. a 6v-7r: «Hos [<strong>di</strong>fensori della vera fede] autem de<strong>di</strong>t [Dominus]<br />
non unius generis, sed <strong>di</strong>versos ac variis mo<strong>di</strong>s armatos [...]. Pasquilli (ut vocant) quibus non<br />
nuper, sed ab ingruente fere errore liberius semper, etiam in ipsa urbe Roma et pontificis<br />
conspectu, Romanensium vicia et cleri statum corruptissimum corripere licuit. Quod praeter<br />
<strong>di</strong>vinam or<strong>di</strong>nationem factum esse minime censendum est: utcunque lusum eam rem fecerint<br />
pontifices».<br />
122 Venezia, Archivio <strong>di</strong> Stato, Sant’Ufficio dell’Inquisizione, busta 25, Contra Martialem <strong>di</strong><br />
Clemente, costituto del 26 maggio 1568. L’importanza <strong>di</strong> questo processo va molto al <strong>di</strong> là<br />
dell’utilizzazione che se ne fa qui. Si compone <strong>di</strong> due serie <strong>di</strong> costituti e interrogatori testimoniali:<br />
quelli padovani, dal 15 aprile 1567 al 21 luglio 1568; quelli veneziani dal 19 agosto<br />
al 26 ottobre 1568. Gli atti padovani sono in copia spe<strong>di</strong>ta a Venezia. La fase veneziana del<br />
processo si chiude con una <strong>di</strong>chiarazione dei giu<strong>di</strong>ci («videntes eum debilem, macilentum et<br />
languidum») <strong>di</strong> inabilità dell’imputato alla tortura. Il processo fu probabilmente revocato<br />
dalla Congregazione del Sant’Ufficio, alla quale fin dal luglio del 1568 l’inquisitore padovano<br />
aveva inviato gli atti e parte delle carte dell’imputato insieme col quesito «se egli sia da<br />
esser iu<strong>di</strong>cato per heretico convinto <strong>di</strong> violente suspicione e presoncione overo <strong>di</strong> vehemente».<br />
~ 95 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
fosse la versione che il Clementi ne <strong>di</strong>ffondeva), assumeva un significato<br />
molto lato: in ogni caso, se anche l’inquisito mirò, con ciò, ad attenuare<br />
la gravità dell’accusa <strong>di</strong> essere stato possessore e <strong>di</strong>ffon<strong>di</strong>tore dell’impressionante<br />
vaticinio, l’inquisitore padovano non si mostrò <strong>di</strong>sposto a fare<br />
<strong>di</strong>stinzioni. L’inizio dell’inchiesta sul Clementi e i lunghi interrogatori<br />
che ne seguirono a Padova e a Venezia sono relativamente tar<strong>di</strong> (aprile<br />
1567-novembre 1568). Ma il relativo incartamento è tra i non pochi <strong>di</strong><br />
quegli anni che consentono <strong>di</strong> risalire a parecchi decenni prima – in questo<br />
caso, per l’appunto, agli inizi degli anni Quaranta.<br />
La lunga storia del Clementi emerse particolarmente dall’esame delle<br />
sue carte. Erano tante che si dovette procedere al loro esame in due tempi.<br />
La prima accusa, fondata sull’esame delle scritture più compromettenti,<br />
fu d’aver sostenuto che il papa era l’Anticristo. Veniva dedotta prima<br />
<strong>di</strong> tutto dal possesso <strong>di</strong> alcune copie della Prophetia Sancti Severi. Nella<br />
versione che ne fu trovata fra le scritture del Clementi, questa profezia,<br />
tratta, com’è noto, dal Mirabilis liber, presenta evidenti adattamenti alla situazione<br />
del Regno <strong>di</strong> Napoli. Riformare significava prima <strong>di</strong> tutto demolire.<br />
Perciò essa prometteva lo sterminio del papa e <strong>di</strong> tutti i prelati<br />
(rappresentati in forma <strong>di</strong> lupi): un feroce condottiero proveniente da<br />
Oriente («bestia orientalis») presto avrebbe aggre<strong>di</strong>ta e assoggettata tutta<br />
l’Italia; le città che avrebbero opposto resistenza sarebbero state rase al<br />
suolo, le altre avrebbero avuto la libertà; l’Apulia sarebbe rimasta incerta;<br />
Napoli sarebbe stata conquistata e privata <strong>di</strong> tutto il suo fasto; all’avvicinarsi<br />
del conquistatore, il papa sarebbe fuggito da Roma, dovunque fatto<br />
segno <strong>di</strong> lu<strong>di</strong>brio, fin a quando «a bestia devorabitur cum suis lupis»; entrato<br />
in Roma, il vincitore vi sarebbe stato accolto con giubilo dai Romani<br />
«expulsione luporum»; qui, a opera dello Spirito Santo, si sarebbe<br />
fatto battezzare con tutto il suo popolo; <strong>di</strong>venuto «agnus mansuetissimus»,<br />
avrebbe fatto eleggere un pastore angelico che, insieme con do<strong>di</strong>ci<br />
car<strong>di</strong>nali, avrebbe retto la Chiesa con santità e nella povertà; «et tunc ecclesia<br />
Dei erit vera ecclesia»; ne sarebbe seguita un’età felice, senza guerre;<br />
tutti i tiranni della terra sarebbero stati sterminati. 123 Il Clementi <strong>di</strong>sse<br />
123 Trascrivo l’intero testo della profezia, che si presenta come una variante notevole rispetto<br />
alle redazioni già note: «Divi Severi episcopi Neapolitani vaticinium mirabile. Sole<br />
intrante Thaurum bestia orientalis cum incomparabili classe et inexpugnabili exercitu aggre<strong>di</strong>etur<br />
Italiam. Laceram a militibus obtinebit. Civitates patentes libertate donabit, repugnantes<br />
vero solo aequabit. Apulia fluctuabit. A. et P. succumbent in proelio et in arbore suspendentur.<br />
Partenope calcabitur et omni fastu privabitur. Princeps lupus fugiet cum suis lupis ab<br />
aspectu bestiae, sed quo ierit lu<strong>di</strong>brio habebitur, tandem a bestia devorabitur cum suis lupis.<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
d’avere avuto copia della profezia a Salerno, dove tra il 1540 e il 1545<br />
aveva compiuto i suoi stu<strong>di</strong> ed era entrato a far parte della corte del principe<br />
Ferrante Sanseverino. 124 All’inquisitore <strong>di</strong>sse anche che l’aveva avuta<br />
«nel tempo che fu posta fuori la inquisicione et lì credo che fusse posta<br />
fuori questa profezia». 125 Si trattava probabilmente d’una delle reazioni alla<br />
pubblicazione della bolla istitutiva dell’Inquisizione romana, in questo<br />
caso da parte d’un gruppo eterodosso salernitano ancora poco noto, che<br />
si muoveva attorno e all’interno stesso della corte del Sanseverino e che<br />
in lettere allo stesso Sanseverino si autodefiniva «chiesa <strong>di</strong> Salerno». 126 Do-<br />
F. et C. fugient ad extrema terrarum. Gentes quae in acquis sunt simulabunt metu bestiae<br />
ingentis. Bestia autem subacta Italia, Romam revertetur. Romani gaudebunt expulsione luporum.<br />
Bestia autem Spiritu Sancto cohoperante baptizabitur cum omnibus suis populis, et<br />
ex bestia efficietur agnus mansuetissimus, et elligi faciet pastorem angelicum qui in omni<br />
sanctitate vitae et paupertate regat ecclesiam Dei cum duodecim car<strong>di</strong>nalibus et tunc ecclesia<br />
Dei erit vera ecclesia, et erit secundum tempus quietum et tranquillum sine aliquo bello, et<br />
extinguet omnes tyrannos qui sunt in terra. Forma triquetra laniabitur. Aenaria sequenti anno<br />
submerget et magna pars Ianuae ex terraemotu corruet». Non sono riuscito a sciogliere le<br />
abbreviazioni, che evidentemente costituiscono elementi allusivi importanti per una piena<br />
decifrazione del senso della profezia. Sul posto che essa occupa nel Mirabilis liber ve<strong>di</strong> JENNI-<br />
FER BRITNELL, DEREK STUBBS, The «Mirabilis Liber»: Its Compilation and Influence, «Journal of<br />
the Warburg and Courtauld Institutes», XLIX, 1986, pp. 126-149, in part. pp. 134-135.<br />
124 Costituto padovano del 30 giugno 1568 («son stato cinque anni a Napoli», dove Napoli<br />
è da intendersi Regno <strong>di</strong> Napoli), e costituto veneziano del 21 agosto 1568 («ero stato a<br />
Salerno 4 o 5 anni»). Nel costituto padovano del 26 maggio 1568, il Clementi <strong>di</strong>chiara d’avere<br />
avuto la profezia «da 25 in 30 forsi anni».<br />
125 Costituto padovano del 3 luglio 1568. Nel riprodurre la profezia nel suo Thrésor des<br />
prophéties, in una redazione vicina a quella del Mirabilis liber, Guillaume Postel scrisse che essa<br />
era «commune en l’Italie» quando ne ebbe una copia a Parma nel 1543 (cfr. GUILLAUME PO-<br />
STEL, Thrésor des prophéties de l’univers. Manuscrit publié avec une introduction et des notes<br />
par FRANÇOIS SECRET, La Haye, Martinus Nijhoff, 1969, pp. 165-166).<br />
126 La mancanza <strong>di</strong> notizie sulla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> dottrine eterodosse a Salerno rende preziose<br />
le informazioni che il Clementi <strong>di</strong>ede all’inquisitore veneziano, in particolare nei costituti<br />
del 19 e del 21 agosto 1568. Ha importanza soprattutto una lunga lettera (non datata) scritta<br />
al Sanseverino, a nome della «chiesa <strong>di</strong> Salerno», da tale Ludovico, che dal costituto padovano<br />
del 1 o luglio 1568 risulta essere Ludovico Dell’Oro («salernitano, scolare overo dotore»).<br />
Il Dell’Oro scrive al Sanseverino come a chi ha ricevuto la «regeneratione», ma non ancora<br />
la «renovatione». La lettera è in copia autenticata dal cancelliere del Sant’Ufficio padovano,<br />
Ludovico Graziani. Alla corte salernitana il Clementi aveva conosciuto Bernardo Tasso,<br />
Vincenzo Martelli, Girolamo Bulli, Orazio Vicari, Giovan Battista Capogrossi, Francesco<br />
Torres e Alessandro Gran<strong>di</strong>; ma aveva avuto relazioni più strette solo con un gruppo <strong>di</strong> «otto<br />
o nove» persone che non nomina (costituto veneziano del 21 agosto 1568). Poiché nel<br />
costituto padovano del 1 o luglio 1568 l’inquisitore esorta il Clementi a confessare tutto «per<br />
scrivere a Salerno et estirpar questa mala pravità», probabilmente <strong>di</strong>pese proprio dalle informazioni<br />
ricevute da Padova l’inchiesta svolta a Salerno nel luglio dello stesso anno, sulla<br />
quale ve<strong>di</strong> MICHELE MIELE, La penetrazione protestante a Salerno verso la metà del Cinquecento se-<br />
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ANTONIO ROTONDÒ<br />
po molte reticenze, il Clementi ammise d’aver <strong>di</strong>ffuso la profezia al suo<br />
rientro a Padova. 127<br />
Negli anni successivi, la sua attività <strong>di</strong> propaganda antiromana non si<br />
era più arrestata. Quando furono aperte le casse contenenti il blocco più<br />
consistente delle sue carte, «ellevatae fuerunt infinitae literae familiares et<br />
quidam libri et scripturae». 128 Subito l’attenzione dell’inquisitore fu attirata<br />
da un’oscura scrittura, un misto <strong>di</strong> lettere e <strong>di</strong> numeri, in cui una nota<br />
esplicativa assicurava che poteva dedursene con certezza che Paolo IV era<br />
la bestia descritta nel XIII capitolo dell’Apocalisse: e il richiamo a quel<br />
topos tra i più ricorrenti nella letteratura escatologica d’ogni tempo – in<br />
particolare, all’attesa e alla fiducia dei santi che chi ha usato la spada è<br />
giusto che muoia <strong>di</strong> spada (qui in gla<strong>di</strong>o occiderit oportet eum gla<strong>di</strong>o occi<strong>di</strong>. Hic<br />
est patientia et fides sanctorum) – apparentava questa scrittura, attribuita anch’essa<br />
alla penna <strong>di</strong> Pasquino, al contenuto della manipolazione in senso<br />
violento della Prophetia Sancti Severi. Quando l’inquisitore gli mostrò un<br />
fascio <strong>di</strong> altre pasquinate, il Clementi tentò ancora una volta <strong>di</strong> minimizzare:<br />
<strong>di</strong>chiarò d’averne avute «quattro volte de quelle che mi havi trovà»,<br />
tutte venute da Roma o da Venezia e <strong>di</strong>ffuse «in qua et in là da <strong>di</strong>versi<br />
scolari». 129 In realtà, le ventisette pasquinate selezionate dall’inquisitore<br />
componevano una rappresentazione della corruzione della Chiesa che risultava<br />
coerente con le scritture esaminate dal tribunale con maggiore attenzione.<br />
130 Soprattutto era una rappresentazione coerente con quanto<br />
delle più impegnative riflessioni del Clementi risulta dalle testimonianze<br />
sui suoi <strong>di</strong>scorsi e dal resto delle sue carte. Nel carcere <strong>di</strong> Padova il Clementi<br />
leggeva libri dai quali tentava <strong>di</strong> insegnare ai detenuti a dedurre l’inesistenza<br />
del purgatorio e dell’inferno: il purgatorio erano le prigioni,<br />
l’inferno la povertà e la miseria. 131 In un «liberculus manuscriptus», che<br />
aveva custo<strong>di</strong>to gelosamente per molti anni (e del quale si conserva nel<br />
fascicolo processuale la trascrizione della seconda parte), leggeva che<br />
messe votive e purgatorio, scomuniche e indulgenze erano mezzi con i<br />
condo un documento dell’Inquisizione, in Miscellanea Gilles Gérard Meersseman, Padova, E<strong>di</strong>trice<br />
Antenore, 1970, II, pp. 829-848.<br />
127 Costituto padovano del 3 luglio 1568.<br />
128 Atto del 22 giugno 1568.<br />
129 Costituto padovano del 30 giugno 1568.<br />
130 Sono elencate, con i rispettivi incipit e explicit, nei costituti padovani del 30 giugno e<br />
del 1 o luglio 1568. Otto <strong>di</strong> esse corrispondono a Pasquinate romane del Cinquecento cit., nn.<br />
398, 636, 651, 653, 654, 655, 661, 682.<br />
131 Costituto padovano del 16 settembre 1568.<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
quali «questi sacerdoti <strong>di</strong> Venere e <strong>di</strong> Bacco più facilmente si cavano tutte<br />
le loro voglie con la roba, anzi con il sangue delle vedove et pupilli». 132<br />
E non perdeva occasione per <strong>di</strong>chiarare che «non è più cativa fede al<br />
mondo quanto tra preti, frati et car<strong>di</strong>nali». 133 A ogni colpo <strong>di</strong> scandaglio<br />
nelle carte e nelle convinzioni del Clementi, le accuse si facevano via via<br />
più gravi: ad esempio, d’aver negato i miracoli e la venerazione dei santi,<br />
«a tanto de <strong>di</strong>re che Giesù Christo farebbe bene a scaciarli dal para<strong>di</strong>so»<br />
(sulla base <strong>di</strong> appunti sul canone Venerabiles e sul salmo CXXXIV, 15, Simulacra<br />
gentium argentum et aurum, opera manuum hominum); d’aver negato<br />
la presenza reale del corpo e del sangue <strong>di</strong> Cristo nell’eucaristia (sulla base<br />
del «liberculus manuscriptus»); d’aver sostenuto che non bisogna perseguitare<br />
gli eretici (sulla base d’una scrittura a stampa «cartarum quinque<br />
cum <strong>di</strong>mi<strong>di</strong>a, in quarto»); e così via. 134<br />
Una simile compenetrazione <strong>di</strong> negazioni ra<strong>di</strong>cali della tra<strong>di</strong>zione<br />
dottrinale e insieme <strong>di</strong> propaganda antiecclesiastica ispirata al genere della<br />
derisione pasquillesca, non era un’eccezione. Il processo del Clementi è<br />
tra i non pochi che documentano l’ampiezza <strong>di</strong> questa compenetrazione:<br />
le reticenti ammissioni del Clementi finirono col coinvolgere esponenti<br />
del patriziato veneziano come Alvise Cornaro e Antonio Barbarigo;<br />
dubbi degli inquisitori, forse elusi dall’abilità <strong>di</strong>ssimulatoria del Clementi,<br />
riguardarono, ad esempio, Sperone Speroni e «la madama Giovacchina»,<br />
cioè la nobildonna genovese Caterina Sauli, moglie <strong>di</strong> Giovanni Gioacchino<br />
da Passano, per almeno un ventennio figura centrale del movimento<br />
eterodosso nel Veneto; e tra la folla <strong>di</strong> quanti componevano, leggevano<br />
e <strong>di</strong>ffondevano pasquinate s’affaccia, ancora una volta in modo<br />
enigmatico, un «Tizian» attivo negli anni Quaranta tra Venezia e Padova,<br />
con notizie che non sono incompatibili – compreso il suo servizio presso<br />
i Cornaro – con quanto sappiamo del noto capo anabattista. 135<br />
132 La parte del «liberculus manuscriptus» conservata in trascrizione si intitola Sermone secundo<br />
della cena del Signore (il brano riportato nel testo è alla c. 14 non num.). Lo scritto era<br />
in possesso del Clementi fin dal 1562 (costituto padovano del 1 o luglio 1568).<br />
133 Costituto padovano del 16 settembre 1567.<br />
134 Costituti padovani del 9 luglio 1567 e del 26 maggio 1568.<br />
135 Era «<strong>di</strong> mano del quondam magnifico messer Alvise Cornaro» una pasquinata inclusa<br />
in un «libercolo» <strong>di</strong> scritti analoghi, composti da tale Giovanni Paccalona, e portata a Padova<br />
dal «suddetto Titian, mio compare, che alhora stava in ca’ Cornaro» (costituto padovano del<br />
4 giugno 1568). Del Barbarigo viene fra l’altro esibita al Clementi una lettera compromettente<br />
(in data 27 novembre 1549) riguardante la <strong>di</strong>ffusione della Prophetia Sancti Severi (costituto<br />
padovano del 1 o luglio 1568: «Io non ho ancora potuto haver la profezia, essendo nelle<br />
~ 99 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Quando agli inizi degli anni Quaranta comparve a Bologna il Liber<br />
generationis Antichristi, nella situazione religiosa della città c’erano già tutti<br />
i presupposti perché la <strong>di</strong>ffusione d’un qualsiasi genere <strong>di</strong> libellistica antiromana<br />
stimolasse reazioni <strong>di</strong>verse dalla tra<strong>di</strong>zionale invettiva anticlericale.<br />
Nel caso particolare del Liber generationis Antichristi, esso giungeva come<br />
un compen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> dottrine già ampiamente note anche in larghi strati<br />
popolari. È significativo che nel 1532 venisse stampato proprio a Bologna,<br />
con approvazione e lo<strong>di</strong> anche <strong>di</strong> Leandro Alberti, il cosiddetto Incen<strong>di</strong>o<br />
de zizanie Lutherane del francescano osservante (tre anni dopo <strong>di</strong>venuto<br />
cappuccino) Giovanni da Fano, cioè la prima opera controversistica<br />
in volgare in cui l’urgenza <strong>di</strong> insegnare a «fuggire et schivare tutti li heretici,<br />
massime Luthero per<strong>di</strong>to Antichristo con tutta la canaglia de la sua<br />
excommunicata setta», era dedotta dalla constatazione che le loro dottrine<br />
erano ormai penetrate largamente in mezzo a «li i<strong>di</strong>oti, illiterati et<br />
simplici». 136 Allo stato attuale delle ricerche, ogni tentativo <strong>di</strong> identificare<br />
perio<strong>di</strong> e fasi <strong>di</strong> maggiore o minor crescita e poi declino del movimento<br />
religioso eterodosso a Bologna nella prima metà del Cinquecento e oltre,<br />
è destinato a scontrarsi con l’insufficienza delle nostre conoscenze: la<br />
frammentarietà delle notizie non consente ancora <strong>di</strong> valutare la reale entità<br />
delle adesioni; soltanto in<strong>di</strong>zi spora<strong>di</strong>ci consentono <strong>di</strong> stabilire collegamenti<br />
tra conventicole e gruppi la cui esistenza affiora insistentemente<br />
mani <strong>di</strong> persona con cui non si può fare così a suo modo»). Nello stesso costituto le domande<br />
dell’inquisitore se il Clementi conosceva «missier Speron Speroni», «uno misier Fortunio<br />
et uno misier Trapolino», e Caterina Sauli. Con essi, il Clementi <strong>di</strong>sse d’avere avuto soltanto<br />
relazioni generiche.<br />
136 Opera utilissima vulgare contra le pernitiosissime heresie Lutherane per li simplici (colophon:<br />
Giovan Battista Faello bolognese in Bologna impresse l’anno del Signore 1532 del mese <strong>di</strong><br />
Settembre). Incen<strong>di</strong>o de zizanie Lutherane compare nel titolo ripetuto nel prologo. Dopo la<br />
de<strong>di</strong>catoria a Paolo Pisotti, generale dell’or<strong>di</strong>ne, il testo è preceduto dall’approvazione <strong>di</strong><br />
Agostino Zanetti, in qualità <strong>di</strong> vicario del vescovo Alessandro Campeggi, e <strong>di</strong> Leandro Alberti,<br />
in qualità <strong>di</strong> vicario dell’inquisitore Stefano Foscarari. L’Alberti <strong>di</strong>ce d’aver letto il libro<br />
con grande sod<strong>di</strong>sfazione, avendovi trovato, «vulgari sermone confectum», una specie <strong>di</strong><br />
epitome («veluti epithoma quoddam») degli analoghi scritti <strong>di</strong> Fisher, <strong>di</strong> Catarino e <strong>di</strong> Eck.<br />
Faccio uso dell’esemplare della Biblioteca Nazionale Centrale <strong>di</strong> Firenze, Raccolta Guicciar<strong>di</strong>ni,<br />
11.11.78. A p. 104 è riportato il testo <strong>di</strong> una paro<strong>di</strong>a del Te Deum, preceduta dall’avvertimento:<br />
«Alcuni amici <strong>di</strong> Martin Luth. in laude sua cantano». Probabilmente si tratta <strong>di</strong><br />
scritto <strong>di</strong>verso dal libello del quale dà notizia Francesco Villa a Ercole II d’Este come giunto<br />
a Modena insieme con il Liber generationis Antichristi (cfr. Documenti, 1, p. 194). Il 9 luglio<br />
1545, il residente estense a Venezia Tebaldo Tebal<strong>di</strong> ne mandò una copia a Ferrara, interpretandolo<br />
come un libello antiluterano (Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Ambasciatori, Venezia,<br />
busta 33, 85. III. 37: «Qui allegato mando all’Ecc.za V. il Te deum contra Luthero per farla<br />
anchor consapevole delle basse nuove <strong>di</strong> qua»).<br />
~ 100 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
dai documenti; e ancora poco o niente sappiamo delle me<strong>di</strong>azioni che<br />
resero possibile una notevole omogeneità <strong>di</strong> dottrine e credenze nuove<br />
in strati eterogenei della società bolognese. Nel decennio anteriore ai<br />
provve<strong>di</strong>menti repressivi presi in coincidenza con la fase bolognese del<br />
concilio e anteriore all’azione svolta, tra il 1548 e gli inizi del 1550, dall’inquisitore<br />
Girolamo Muzzarelli, i dati più rilevanti della situazione religiosa<br />
bolognese sono due: in primo luogo, una notevole tensione del<br />
<strong>di</strong>battito pubblico sulla giustificazione e sulle questioni più imme<strong>di</strong>atamente<br />
connesse (libero arbitrio, predestinazione); in secondo luogo, il facile<br />
accesso alla letteratura eterodossa proveniente d’Oltralpe, tanto a<br />
opera del normale anche se guar<strong>di</strong>ngo commercio librario quanto attraverso<br />
i numerosi studenti della «nazione germanica». E tutto ciò nella<br />
cornice d’una situazione citta<strong>di</strong>na caratterizzata dalla singolarità delle due<br />
successive legazioni del Contarini e del Morone: inevitabilmente, la loro<br />
fama <strong>di</strong> sostenitori della giustificazione per fede confermava nella vali<strong>di</strong>tà<br />
delle loro inquietu<strong>di</strong>ni quanti avevano dubbi sulla dottrina tra<strong>di</strong>zionale<br />
della salvezza, oppure alimentava, in quanti avevano già abbracciato la<br />
nuova dottrina, la supposizione d’una solidarietà ai vertici della chiesa<br />
bolognese; 137 e in quegli anni, a Bologna, pre<strong>di</strong>che <strong>di</strong>scor<strong>di</strong> e <strong>di</strong>scussioni<br />
pubbliche sul problema della giustificazione erano, con l’analoga eccezione<br />
<strong>di</strong> Modena, comportamenti meno trasgressivi che altrove.<br />
A tener desta la tensione sul problema della salvezza nella forma del<br />
<strong>di</strong>lemma tra fede e opere un forte stimolo proveniva da frequenti pre<strong>di</strong>che<br />
e cicli <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cazione dagli orientamenti <strong>di</strong>scor<strong>di</strong> o clamorosamente<br />
contrapposti. È <strong>di</strong>fficile sottovalutare l’effetto <strong>di</strong> simili eventi in situazioni<br />
in cui la percezione del nuovo si viveva ancora nella forma del turbamento<br />
e dell’incertezza. I casi ai quali si riferiscono cronache citta<strong>di</strong>ne e<br />
documenti <strong>di</strong> vario genere meriterebbero <strong>di</strong> essere stu<strong>di</strong>ati approfon<strong>di</strong>tamente.<br />
Sull’argomento dovremo tornare tra breve, con riferimento ai<br />
processi mentali che quella pre<strong>di</strong>cazione senza univoche certezze finiva<br />
con l’accelerare. Intanto una testimonianza uscita dalla penna d’un singolare<br />
osservatore della realtà religiosa bolognese <strong>di</strong> quegli anni può dare la<br />
137 Giustificata o meno che fosse, a tale supposizione offrivano base obbiettiva, ad esempio,<br />
le lettere in<strong>di</strong>rizzate a Giovan Battista Scotti dal Carnesecchi e dal Soranzo, sulle quali<br />
ve<strong>di</strong> sotto, nota 160. Le <strong>di</strong>chiarazioni dello Scotti, secondo le quali il Morone «promisse <strong>di</strong><br />
non essequire commissione de Roma contra lutherani de Bologna, senza che prima non gli<br />
facesse advertiti. Et feceli elemosine de parecchi scu<strong>di</strong> ad esso Scoto, per <strong>di</strong>spensare a poveri<br />
lutherani de Bologna», in MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal<br />
Giovanni Morone cit., II, pp. 248-249, 349, 762-764.<br />
~ 101 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
misura dell’entità del fenomeno e delle sue risonanze nella vita citta<strong>di</strong>na.<br />
Il 17 maggio 1546, un giovane studente svizzero destinato a grande rinomanza<br />
nel mondo scientifico e politico europeo, Thomas Erastus, fece al<br />
teologo zurighese Konrad Pellikan un resoconto del genere <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cazione<br />
che aveva ascoltato a Bologna dal periodo dell’avvento fino al<br />
giorno stesso in cui scriveva. Riferiva che durante l’avvento, poi durante<br />
la quaresima e poi ancora durante gli otto giorni del capitolo dei domenicani,<br />
aveva visto succedersi sui pulpiti delle chiese bolognesi, seguìti da<br />
un gran concorso <strong>di</strong> folle, pre<strong>di</strong>catori dalle voci <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>. Durante la quaresima<br />
aveva potuto ascoltare «quosdam in<strong>di</strong>ssimulanter impios, quosdam<br />
penitus pios nihil a veritate alienum <strong>di</strong>centes». Altri avevano pre<strong>di</strong>cato<br />
«via me<strong>di</strong>a incedentes, nunc bene, nunc me<strong>di</strong>ocriter, mox male iam optime<br />
<strong>di</strong>sputantes». Su tutti era prevalsa, suscitando emozione, la voce<br />
d’uno degli ultimi pre<strong>di</strong>catori al capitolo dei domenicani, che aveva parlato<br />
della predestinazione «<strong>di</strong>vinissime» (ed Erastus s’affrettava ad annotare<br />
che gli era sembrato si fosse espresso con parole tratte letteralmente da<br />
scritti <strong>di</strong> Zwingli). La voce più incisiva gli era parsa quella d’un agostiniano<br />
che, in una delle sue quaranta pre<strong>di</strong>che «de regno Dei», non aveva<br />
proferito – <strong>di</strong>ceva – una sola parola empia («nullum verbum impium»),<br />
ma soprattutto aveva parlato «docens sola gratia et misericor<strong>di</strong>a Dei in<br />
hoc regnum nos adoptari propter merita non nostra sed Christi, et hanc<br />
gratiam sola fiducia percipi posse intrepide affirmavit»; fra le altre sue<br />
pre<strong>di</strong>che una era stata particolarmente rilevante, «de tollen<strong>di</strong>s imaginibus<br />
sancta et pia». È anche sintomo evidente del coinvolgimento della città<br />
nell’attesa <strong>di</strong> tutto ciò che <strong>di</strong> volta in volta poteva essere u<strong>di</strong>to pre<strong>di</strong>care<br />
dai pulpiti il fatto che Erastus facilmente fosse riuscito anche a sapere (e<br />
quin<strong>di</strong> a comunicare a Zurigo) che durante il capitolo degli agostiniani<br />
da poco cominciato «illi qui sunt prae<strong>di</strong>caturi pii sunt viri, docti, religiosi<br />
et sancti». Ma le attese della città non erano le stesse <strong>di</strong> Erastus. Il giovane<br />
ascoltatore zwingliano concentrava la sua attenzione sulle asserzioni dei<br />
pre<strong>di</strong>catori, alla ricerca <strong>di</strong> più o meno lontane consonanze con le proprie<br />
dottrine e convinzioni e alla ricerca <strong>di</strong> tutto quanto potesse rendere intelligibile<br />
la situazione religiosa bolognese ai suoi lontani interlocutori <strong>di</strong><br />
Zurigo – dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Zurigo. In<strong>di</strong>fferente alle ragioni <strong>di</strong> una<br />
pre<strong>di</strong>cazione ancora così <strong>di</strong>scorde, Erastus è anche in<strong>di</strong>fferente alle emozioni<br />
dell’u<strong>di</strong>torio <strong>di</strong> fronte a quelle forme <strong>di</strong> eloquio così contrastanti.<br />
La sola volta che egli sposta l’attenzione dal pulpito sulla folla lo fa perché<br />
<strong>di</strong>stratto dal clamore suscitato dalla reazione <strong>di</strong> un’ascoltatrice emozionata<br />
dalle argomentazioni del pre<strong>di</strong>catore sulla predestinazione: ed<br />
Erastus considera quella reazione una manifestazione <strong>di</strong> parossismo <strong>di</strong>a-<br />
~ 102 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
bolico. 138 Il fatto è che, se testimonianze come questa <strong>di</strong> Erastus ci informano<br />
su una pre<strong>di</strong>cazione così <strong>di</strong>scorde e ci assicurano che i contenuti <strong>di</strong><br />
quella pre<strong>di</strong>cazione potevano non <strong>di</strong> rado trovare rispondenze nel sistema<br />
<strong>di</strong> dottrine <strong>di</strong> chi ascoltava da una posizione <strong>di</strong> consapevole alterità,<br />
tuttavia esse sono espressione d’un tipo <strong>di</strong> osservazione fortemente selettiva<br />
degli aspetti che caratterizzavano in quegli anni, a Bologna e altrove,<br />
quei momenti collettivi dell’inquieta realtà religiosa italiana. Insomma,<br />
sfugge all’osservazione <strong>di</strong> un testimone come Erastus ciò che, invece, per<br />
lo storico è un elemento essenziale: la flui<strong>di</strong>tà d’una situazione in cui<br />
emozione e turbamento generati da incertezza e contrad<strong>di</strong>zioni stimolano<br />
al confronto e alla <strong>di</strong>scussione e avviano alla ricerca d’una consapevolezza<br />
delle scelte. La propaganda opera con successo in queste situazioni<br />
<strong>di</strong> ricerca e <strong>di</strong> tensione emotiva.<br />
Anche sul genere e sulla quantità della letteratura eterodossa che<br />
giungeva e circolava a Bologna, la testimonianza d’un altro osservatore<br />
straniero, il polacco Stefan Micanus, dà informazioni tagliate secondo<br />
138 Zurigo, Zentralbibliothek, S. 60, n. 92: «Superioribus <strong>di</strong>ebus Daemonicanes, Dominicani<br />
volui <strong>di</strong>cere, celebrarunt capitulum Bononiae et singulis illis octo <strong>di</strong>ebus aliquis eorum<br />
suggestum conscen<strong>di</strong>t, inter quos penultimus praedestinationem cum <strong>di</strong>vinissime interpretaretur<br />
(videbatur mihi ipsissima Huldrici Zwinglii verba recitare), mulier quaedam daemonio<br />
vexata, erectis in coelum et oculis et manibus, clamavit ne amplius loqueretur, se<br />
non posse au<strong>di</strong>re. Hoc bis fecit me vidente. Sed eodem tempore concionator aliquantulum<br />
stupefactus obticuit, sed mox in se reversus, maiore stu<strong>di</strong>o, fervore et zelo ad finem or<strong>di</strong>tam<br />
telam perduxit. Hoc XIV Maii factum est. XVI eodem de loco concionatus est ille, quem<br />
superiori adventu ibidem concionatum esse scripsi, de cognitione Dei et quomodo in illam<br />
perveniamus pie docuit. XVII autem quidam ex Augustini familia concionem de regno Dei<br />
sanctissime habuit, docens sola gratia et misericor<strong>di</strong>a Dei in hoc regnum nos adoptari propter<br />
merita non nostra, sed Christi, et hanc gratiam sola fiducia percipi posse intrepide affirmavit.<br />
Cras, id est XVIII, succedet alius eiusdem or<strong>di</strong>nis et deinceps usque ad octo. Nam et<br />
hi suum capitulum heri, id est XVI, inceperunt. Omnes autem illi qui sunt prae<strong>di</strong>caturi pii<br />
sunt viri, docti, religiosi et sancti. Quadragesima habuimus quosdam in<strong>di</strong>ssimulanter impios,<br />
quosdam penitus pios nihil a veritate alienum <strong>di</strong>centes. Sed hic unus locum occupat: est autem<br />
Augustinianus et in templo <strong>di</strong>vi Iacobi magna frequentia, magna integritate, pietate et<br />
sanctimonia veritatem annuntiavit quadraginta concionibus et in omnibus istis nullum verbum<br />
impium protulit. Quosdam postea habuimus me<strong>di</strong>a via incedentes, nunc bene, nunc<br />
me<strong>di</strong>ocriter, mox male iam optime <strong>di</strong>sputantes, inter quos <strong>di</strong>vi Francisci habere potes. Inter<br />
ceteras suas conciones de tollen<strong>di</strong>s imaginibus sanctam et piam habuit». Dell’interesse con<br />
cui le lettere <strong>di</strong> Erastus dall’Italia erano lette a Zurigo si ricorderà Johannes Wolf in una lettera<br />
in<strong>di</strong>rizzatagli il 5 febbraio 1569 (Zurigo, Zentralbibliothek, F. 41, c. 205). Sul lungo<br />
soggiorno <strong>di</strong> Erastus a Bologna ve<strong>di</strong> RUTH WESEL-ROTH, Thomas Erastus. Ein Beitrag zur Geschichte<br />
der reformierten Kirche und zur Lehre von der Staatssouveränität, Lahr-Baden, Moritz<br />
Schauenburg, 1954, pp. 3-4, dove tuttavia non sono utilizzate né questa né altre lettere importanti<br />
<strong>di</strong> Erastus da Bologna.<br />
~ 103 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
l’ottica tanto dell’osservatore quanto del destinatario delle informazioni<br />
(anche in questo caso Konrad Pellikan). 139 Ma nel caso <strong>di</strong> questo polacco<br />
la testimonianza dà qualcosa <strong>di</strong> più significativo. Appena giunto a Bologna<br />
da Padova per continuarvi gli stu<strong>di</strong> non <strong>di</strong> legge, ma, seguendo il<br />
consiglio <strong>di</strong> Melantone, <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina, subito Micanus era venuto a conoscenza<br />
delle dottrine e degli orientamenti religiosi che avevano maggior<br />
voga tra gli studenti, e non solo fra gli studenti della «nazione germanica»,<br />
ma più propriamente tra gli «Itali fratres». Ciò che v’è <strong>di</strong> notevole<br />
nella testimonianza del Micanus è il fatto che egli decida <strong>di</strong> riprendere<br />
contatto col suo vecchio maestro zurighese non, com’era consueto, per<br />
invocare aiuto in un’attività <strong>di</strong> proselitismo, ma perché era stato proprio<br />
l’ambiente bolognese a risvegliare in lui il ricordo dell’insegnamento del<br />
Pellikan a Zurigo. 140 A Bologna non mancavano al Micanus – come egli<br />
stesso <strong>di</strong>ceva – occasione e possibilità <strong>di</strong> riprendere il filo dei suoi interessi<br />
religiosi, spezzato sei anni prima da dolorose vicende familiari dopo il<br />
ritorno da Zurigo a Cracovia: <strong>di</strong>sponibilità e garanzia nel sod<strong>di</strong>sfare le<br />
sue richieste gli erano assicurate da Lorenzo Torrentino e da Thomas<br />
Anglus, un libraio itinerante che batteva anche le vie commerciali tra<br />
Bologna e Zurigo; anzi, presso il Torrentino Micanus aveva, come Erastus,<br />
il suo recapito postale e nella libreria del mercante brabantino conobbe,<br />
attraverso Erastus, il giovane imolese Andrea Coletto rientrato da<br />
poco da Basilea dopo aver incontrato, ancora in compagnia <strong>di</strong> Erastus, il<br />
Pellikan a Zurigo, e ora corrispondente <strong>di</strong> Curione. 141 Ma l’osservatorio<br />
139 Ve<strong>di</strong> Documenti, 2, pp. 195-197.<br />
140 Ibid.; ma ve<strong>di</strong> anche Zurigo, Zentralbibliothek, F. 47, cc. 103-104 (originale), S. 56,<br />
n. 111 (copia), la lettera dello stesso Micanus a Pellikan del 6 gennaio 1545: «Nunc autem<br />
occasio scriben<strong>di</strong> fuit ista. Vi<strong>di</strong> ho<strong>di</strong>e Biblia sacra Latina impressa apud vos nomenque tuum<br />
in praefatione adscriptum legi. Statim oravi Laurentium, Germanum bibliopolam, ut literas,<br />
quas ad te dare curaret, tibi tuto perferendas. Promisit et intra decem <strong>di</strong>es perventuras ad te<br />
testatus est, quod utinam intelligam ex responso tuo quamprimum. Deus det ut te aliquando<br />
videam». Le «Biblia sacra Latina» sono Biblia sacrosancta Testamenti Veteris et Novi nella traduzione<br />
<strong>di</strong>retta da Leo Jud, che Froschoverus aveva messo a stampa a Zurigo due anni prima,<br />
con prefazione del Pellikan. Sulla <strong>di</strong>ffusione delle opere del Pellikan a Bologna ve<strong>di</strong> MASSIMO<br />
FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone cit., II, pp. 430,<br />
451-452. Il «Laurentius Germanus bibliopola» è il brabantino Lorenzo Torrentino, più noto<br />
per la sua attività <strong>di</strong> stampatore ducale al servizio <strong>di</strong> Cosimo I dei Me<strong>di</strong>ci a partire dal 1547<br />
(cfr. LEANDRO PERINI, E<strong>di</strong>tori e potere in Italia dalla fine del secolo XV all’Unità, in Storia d’Italia,<br />
Annali 4, Intellettuali e potere, a cura <strong>di</strong> CORRADO VIVANTI, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1981, pp. 788,<br />
790-798).<br />
141 Sul libraio itinerante Thomas Anglus e sulla sua <strong>di</strong>sponibilità verso il Micanus ve<strong>di</strong><br />
Documenti, 2, p. 196. La già citata lettera del Micanus a Pellikan del 6 gennaio 1545 (cfr. no-<br />
~ 104 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
del giovane polacco sulla realtà religiosa bolognese e sugli orientamenti<br />
dottrinali che vi prevalevano non era soltanto il mondo ristretto dei frequentatori<br />
della libreria del Torrentino. Una più larga cerchia <strong>di</strong> conoscenze,<br />
contratte subito nello Stu<strong>di</strong>o, gli consentì <strong>di</strong> valutare la vastità<br />
delle informazioni che si avevano della letteratura teologica d’Oltralpe, e<br />
anzi <strong>di</strong> fare una specie <strong>di</strong> graduatoria delle preferenze. Era constatazione<br />
<strong>di</strong> Micanus che tutti «omnibus recentioribus praeferunt <strong>di</strong>vinissime et<br />
syncerissime scribentem Huldricum Zuinglium». La grande stima che si<br />
aveva dello stesso Pellikan era stata la ragione che aveva spinto Micanus a<br />
riprendere i contatti con lui. Erano apprezzate le opere <strong>di</strong> Lutero, <strong>di</strong><br />
Bullinger, <strong>di</strong> Brenz e <strong>di</strong> Calvino. Sul problema dell’eucaristia molti – <strong>di</strong>ceva<br />
– sono ancora luterani, ma la maggioranza «cum Zuinglio et nobiscum<br />
sentiunt». 142 Le informazioni <strong>di</strong> Micanus sul prevalere a Bologna, negli<br />
anni Quaranta, <strong>di</strong> un orientamento teologico in senso zwingliano trovano<br />
conferma in innumerevoli altre testimonianze già note. Il limite del<br />
profilo che Micanus presenta della situazione religiosa bolognese è piuttosto<br />
nell’omogeneità e unilateralità dottrinali che egli ne deduce, con<br />
evidente compiacimento: quanti ancora propendono per le dottrine <strong>di</strong><br />
Lutero – scrive, ad esempio, sicuro <strong>di</strong> compiacere i teologi <strong>di</strong> Zurigo –<br />
lo fanno perché questi «magis nominatus et celebrior est», ma soprattutto<br />
perché non hanno ancora letto le opere <strong>di</strong> Zwingli. 143 Insomma, sembra a<br />
Micanus assai meno significativo rilevare per proprio conto, e poi comunicare<br />
a Zurigo, che circolava a Bologna anche una letteratura che non<br />
ta 140) si chiude con la seguente raccomandazione: «Titulus literarum tuarum in Italiam talis<br />
sit: Stephano Micano Polono, me<strong>di</strong>cinae stu<strong>di</strong>oso, Bononiae. Eo absente, Laurentio bibliopolae<br />
dentur». La stessa raccomandazione è, ad esempio, nella lettera <strong>di</strong> Erastus a Pellikan del<br />
21 gennaio (1542?) (Zurigo, Zentralbibliothek, F. 47, c. 300: «Literas quas mittere volueris<br />
mitte ad librariam Laurentii Torrentini Germani bibliopolae»). La lettera <strong>di</strong> Curione <strong>di</strong>retta<br />
«Fortio Colletto», che Andrea Coletto portò in Italia al ritorno da Basilea, è in COELI SECUN-<br />
DI CURIONIS Selectarum epistolarum libri duo, Basileae, per Ioannem Oporinum, 1553, pp. 375-<br />
383 (cfr. Documenti, II, nota 3). Le notizie sulla repressione inquisitoriale a Imola, che sulla<br />
base <strong>di</strong> informazioni del Coletto Erastus fece giungere a Pellikan con lettera del 31 <strong>di</strong>cembre<br />
1544 (cfr. DANIEL GERDES, Specimen Italiae reformatae, Leiden, 1765, p. 70, riassunto, con rimando<br />
a Hottinger e a Schelhorn), vanno completate con la lettera, ben più importante,<br />
dello stesso Coletto a Pellikan dell’11 febbraio 1545 (Zurigo, Zentralbibliothek, F. 47, c.<br />
109, originale; S. 56, n. 158, copia). Le notizie essenziali riguardano le voci <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferimento<br />
del concilio, da cui il Coletto deduce che «Antichristus conatur quantum potest tenere imperium<br />
mun<strong>di</strong>», e soprattutto la reazione d’un giovane imolese contro la pre<strong>di</strong>ca d’un frate<br />
zoccolante che esaltava il valore delle opere.<br />
142 Cfr. Documenti, 2, p. 196.<br />
143 Ibid.<br />
~ 105 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
poteva certo avere rilievo nell’ottica d’un osservatore zwingliano, ma che<br />
intanto era il veicolo più efficace della <strong>di</strong>ffusione delle idee nuove in più<br />
larghi strati sociali. Era il genere <strong>di</strong> letteratura <strong>di</strong> cui faceva parte il Liber<br />
generationis Antichristi. Come vedremo, su questo punto il primo e<strong>di</strong>tto<br />
dell’Inquisizione riguardante la circolazione <strong>di</strong> libri eterodossi, emanato a<br />
Bologna due anni prima, era stato meno unilaterale.<br />
Il violento libello certamente circolò nello Stu<strong>di</strong>o bolognese, se il già<br />
ricordato Francesco Villa scrisse a Ercole II d’Este che responsabile della<br />
sua <strong>di</strong>ffusione a Modena era uno studente mantovano <strong>di</strong> nome Pellegrino<br />
(goliardescamente detto Mastino) fermatosi a Modena nel suo viaggio<br />
<strong>di</strong> ritorno da Bologna a Mantova. 144 In tutta l’esigua documentazione sul<br />
movimento eterodosso bolognese non si incontra (se ho visto bene) nessun’altra<br />
testimonianza sulla circolazione del libello a Bologna, né agli<br />
inizi degli anni Quaranta né negli anni e decenni successivi. Ma non si<br />
tratta d’un caso eccezionale: in particolare per gli inizi degli anni Quaranta,<br />
non si hanno che pochissime testimonianze (credo non più <strong>di</strong> due)<br />
della circolazione persino <strong>di</strong> un’opera <strong>di</strong> larghissima <strong>di</strong>ffusione come il<br />
Pasquino in estasi. 145 La scomparsa o l’irreperibilità degli incartamenti processuali<br />
ci privano – <strong>di</strong>versamente che per altre situazioni – della possibilità<br />
<strong>di</strong> cogliere la presenza <strong>di</strong> scritti e libri nelle testimonianze sui luoghi e<br />
sulle vicende in cui essi operarono. Scritto, non <strong>di</strong> rilevanza teorica, ma,<br />
come abbiamo visto, <strong>di</strong> grande efficacia propagan<strong>di</strong>stica, il Liber generationis<br />
Antichristi è l’espressione compen<strong>di</strong>osa d’una letteratura eterodossa<br />
che, come ormai dovrebbe essere evidente, circolava abbondantemente<br />
nello Stu<strong>di</strong>o bolognese. Ciò che, dunque, interessa qui è il fatto che la<br />
circolazione del libello nello Stu<strong>di</strong>o e l’impegno nel <strong>di</strong>ffonderlo testimoniano,<br />
già nel 1541, accettazione del suo contenuto, cioè quel processo<br />
<strong>di</strong> deduzioni che dal principio della giustificazione per la sola fede come<br />
unico mezzo <strong>di</strong> salvezza portava alla rappresentazione della Chiesa come<br />
incarnazione dell’Anticristo. Il passaggio e la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> quelle deduzioni<br />
ra<strong>di</strong>cali dall’élite colta dello Stu<strong>di</strong>o e del patriziato (insomma i lettori<br />
ai quali si riferiva il Micanus) in larghi strati popolari presuppongono<br />
ciò che è realmente caratteristico del movimento eterodosso bolognese,<br />
cioè la sua notevole promiscuità sociale. Accenneremo soltanto ad alcuni<br />
episo<strong>di</strong>.<br />
È noto che tra il 1542 e il 1543 fu messo in atto a Bologna il primo<br />
144 Cfr. Documenti, 1, p. 192.<br />
145 Ve<strong>di</strong> sotto, note 149 e 192.<br />
~ 106 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
consistente intervento repressivo. La scomparsa dei relativi incartamenti<br />
inquisitoriali non impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> conoscere l’ampiezza numerica e la promiscuità<br />
sociale del gruppo <strong>di</strong> parecchie decine <strong>di</strong> persone che subito vi<br />
furono <strong>di</strong>rettamente coinvolte. In due testimonianze che attribuiscono a<br />
Benedetto Accolti la funzione <strong>di</strong> capo <strong>di</strong> quella «congregazione» da poco<br />
<strong>di</strong>spersa, si legge che «quasi tutti erano mercanti et gente bassa», «gente<br />
basse et plebeie». 146 Ma gli ascoltatori e seguaci dell’Accolti sapevano che<br />
la loro attività avveniva in un più vasto contesto <strong>di</strong> complicità: fuggito da<br />
Bologna l’Accolti, il ricorso alla tortura consentì <strong>di</strong> «scoprire infiniti <strong>di</strong><br />
altri fuori della congregatione, ma <strong>di</strong> una medesima dottrina». 147 Negli anni<br />
successivi, l’Accolti minacciò e fece rivelazioni su quanti finì col considerare<br />
i responsabili dei suoi errori e della sua «rovina». I suoi primi riferimenti<br />
furono all’ambiente dello Stu<strong>di</strong>o: lì – sappiamo – egli aveva sostituito<br />
gli svogliati stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto con la volontà d’apprendere il greco<br />
«per intender benissimo certe oppinioni oscure nelle Epistole <strong>di</strong> Paolo»; e<br />
dallo Stu<strong>di</strong>o, sul filo dei suoi contatti con gli studenti tedeschi, aveva<br />
preso la via della libreria del Torrentino, dove «vendé in parte et in parte<br />
cambiò in libri luterani» «la bellissima libreria <strong>di</strong> legge» <strong>di</strong> cui il cugino<br />
prelato l’aveva dotato. 148 Nel 1547 e poi nel 1564, sempre con riferimento<br />
alle sue esperienze degli anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o a Bologna, minacce <strong>di</strong> rivelazioni<br />
146 Il 3 febbraio 1543, il car<strong>di</strong>nale Benedetto Accolti informò da Roma il suo procuratore<br />
in Ferrara Silvestro Aldobran<strong>di</strong>ni dell’operato bolognese del suo omonimo cugino, scrivendo:<br />
«Mercoredì prossimo vi scrissi ch’io havevo nuova da Bologna che quel nefario nimico<br />
<strong>di</strong> Christo haveva risoluto quel suo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> theologia nel essersi scoperto per il più<br />
abbominevole luterano che sia ancora stato dapoi che questa pestifera setta è in piede, et che<br />
non solo si contentava d’esser lui impio et tra<strong>di</strong>tore a Christo et alla religione, ma andava <strong>di</strong>ligentissimamente<br />
seminando queste empietà a gente basse et plebeie, alle quali leggeva per<br />
vulgare in camera sua et andava visitandone sotto spetie <strong>di</strong> charità quando erono amalati, et<br />
instruendoli in questi dogmi et opinioni <strong>di</strong>aboliche» (cfr. RENZO RISTORI, Benedetto Accolti: a<br />
proposito <strong>di</strong> un riformato toscano del Cinquecento (testi e documenti), «Rinascimento», serie II, vol.<br />
II, 1962, doc. IV, p. 252). Con le informazioni dell’Accolti concordano le notizie che tre<br />
giorni dopo, il 6 febbraio, il letterato Scipione Bianchini scrisse da Bologna a Ludovico<br />
Beccadelli: «Delli nostri Lutherani la cosa sta così: un ms. Benedetto, nepote [rectius: cugino]<br />
del Car.le <strong>di</strong> Ravenna giovane, era Dottore <strong>di</strong> questa setta: haveva una casuzza in fiaccailcollo,<br />
nella quale la sera, dopo l’avemaria, convenivano da cinquanta au<strong>di</strong>tori ad au<strong>di</strong>re S.<br />
Paulo, i quali quasi tutti erano mercanti et gente bassa. La cosa si è scoperta et il capo se ne è<br />
fugito. De <strong>di</strong>scipuli ne sono stati presi molti, huomini et donne» (cfr. GIGLIOLA FRAGNITO,<br />
Gli «spirituali» e la fuga <strong>di</strong> Bernar<strong>di</strong>no Ochino, «Rivista storica italiana», LXXXIV, 1972, p.<br />
800, ora in EAD., Gasparo Contarini, un magistrato veneziano al servizio della cristianità, Firenze,<br />
Olschki, 1988, p. 286).<br />
147 Ibid., p. 286.<br />
148 RENZO RISTORI, Benedetto Accolti cit., doc. XX, p. 285.<br />
~ 107 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
e poi rivelazioni seriamente compromettenti dell’Accolti riguardarono,<br />
in primo luogo, il fiorentino Giovan Battista Maggi, una figura ancora<br />
oscura, ma sulla quale sappiamo abbastanza per collocarla a mezzo tra l’azione<br />
<strong>di</strong> proselitismo in strati alti e bassi della città e il mondo dello Stu<strong>di</strong>o,<br />
dal quale quell’azione in gran parte traeva impulso. Nel Maggi l’Accolti<br />
in<strong>di</strong>cò colui che – <strong>di</strong>ceva – «mi mostrò il Pasquino in ecstasi che ero<br />
alhora un putto»; ma è più significativa l’accusa che la sua abitazione bolognese<br />
era <strong>di</strong>venuta il punto <strong>di</strong> confluenza delle relazioni e delle complicità<br />
che l’Accolti e il Maggi stesso avevano stabilito con studenti tedeschi,<br />
che nella casa del Maggi avevano portato libri eterodossi d’ogni genere<br />
(«ce ne venevano le cataste»). 149 Nel più ampio quadro citta<strong>di</strong>no,<br />
l’Accolti segnalava, poi, responsabilità in quei ceti alti della società bolognese<br />
che subito videro e maggiormente, verso la fine del decennio,<br />
avrebbero visto colpiti da processi e condanne parecchi dei loro esponenti.<br />
150 Il riferimento, ad esempio, al «Cavalier Danese» in<strong>di</strong>cava responsabilità<br />
d’un esponente del patriziato, sia che si trattasse <strong>di</strong> Ercole Danesi,<br />
più tar<strong>di</strong> Anziano della comunità, sia che si trattasse – come io ritengo<br />
più probabile – <strong>di</strong> Giulio Danesi, il patrizio che pochi anni prima aveva<br />
accolto nella sua casa Lisia Fileno quale precettore dei suoi tre figli. 151<br />
Dello stesso genere <strong>di</strong> complicità nel tipo <strong>di</strong> propaganda e <strong>di</strong> proselitismo<br />
a destinazione popolare svolto dall’Accolti è prova il fatto che l’imme<strong>di</strong>ato<br />
arresto e poi il clamoroso processo <strong>di</strong> Angelo Ruggeri, già Anziano<br />
della comunità e da almeno due decenni prestigioso esponente del notariato,<br />
<strong>di</strong>pesero proprio dalle rivelazioni estorte con la tortura ad alcuni <strong>di</strong><br />
quei «mercanti et gente bassa» che si erano adunati attorno all’Accolti. 152<br />
Ma l’ampiezza delle <strong>di</strong>ramazioni e la promiscuità sociale del movi-<br />
149 Ibid., doc. XVIII, p. 280 e doc. XXXII, pp. 304-305.<br />
150 A quanto è già noto sull’argomento va ora aggiunto l’importante contributo <strong>di</strong> MA-<br />
RIO FANTI, Un progetto <strong>di</strong> riforma del Senato e una vicenda <strong>di</strong> eresia a Bologna alla metà del Cinquecento,<br />
«L’Archiginnasio», LXXIX, 1984, pp. 313-335.<br />
151 RENZO RISTORI, Benedetto Accolti cit., doc. XVIII, p. 280, e a p. 233 la congettura su<br />
Ercole Danesi. Su Giulio Danesi ve<strong>di</strong> CAMILLO RENATO, Opere, documenti e testimonianze, a<br />
cura <strong>di</strong> ANTONIO ROTONDÒ, Firenze, Sansoni, Chicago, The Newberry Library, 1968, pp.<br />
13, 59.<br />
152 GIGLIOLA FRAGNITO, Gasparo Contarini cit., p. 286. Le più tarde (1547) minacce <strong>di</strong> rivelazioni<br />
sul Danesi da parte dell’Accolti in RENZO RISTORI, Benedetto Accolti cit., doc.<br />
XVIII, p. 280. Ma sul Ruggeri ve<strong>di</strong> ora le notizie raccolte in MASSIMO FIRPO, DARIO MAR-<br />
CATTO, Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone cit., I, pp. 249-250, IV, pp. 197-<br />
198 e V ad in<strong>di</strong>cem.<br />
~ 108 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
mento eterodosso operante a Bologna agli inizi degli anni Quaranta<br />
emergono soprattutto dall’attività del merciaio Giovan Battista Scotti.<br />
Anch’egli fu oggetto delle minacce <strong>di</strong> rivelazioni da parte dell’Accolti. 153<br />
Il profilo <strong>di</strong> questo controverso personaggio affiora, ora, più <strong>di</strong>stintamente<br />
da quattro importanti documenti che hanno trovato posto nella recente<br />
ricostruzione del processo del Morone. 154 Tutto in lui risulta singolare,<br />
a cominciare dalla sua collocazione sociale. Quando morì nel 1586, un<br />
cronista annotò che «era il primo mercante <strong>di</strong> Bologna». 155 Si trattò certamente<br />
<strong>di</strong> un’ascesa sociale conseguita nel ventennio successivo all’abiura<br />
definitiva (1547) dei suoi gravi trascorsi giovanili. Un altro merciaio, che<br />
lo conobbe attorno al 1540 e fu suo complice, lo ricorda, per quegli anni,<br />
come «persona ville, per esser nato da uno che faceva il mestiero del<br />
garzolare, et credo fossero conta<strong>di</strong>ni». 156 Nel 1558, all’età <strong>di</strong> quarant’anni,<br />
si <strong>di</strong>chiarò possessore d’uno stabile in Bologna e d’una fortuna <strong>di</strong> oltre<br />
duemila scu<strong>di</strong> investiti in due arti <strong>di</strong>verse. 157 Tutto lascia pensare che la<br />
sua provenienza fosse da famiglia da poco inurbata, de<strong>di</strong>ta a investire nell’esercizio<br />
<strong>di</strong> varie arti il peculio derivante da red<strong>di</strong>ti nel contado. È presumibile<br />
un suo buon livello <strong>di</strong> formazione giovanile – probabilmente<br />
anche con cognizioni <strong>di</strong> latino, come nel caso del suo complice e poi<br />
suo accusatore, il merciaio Domenico Rocca («intendo il parlare latino<br />
cussì grossamente»). 158 Non si spiegherebbe altrimenti la quantità stupefacente<br />
<strong>di</strong> relazioni personali che lo Scotti riuscì a contrarre con intellettuali<br />
<strong>di</strong> tendenze <strong>di</strong>chiaratamente eterodosse come, ad esempio, Ludovico<br />
Castelvetro, Francesco Porto, Filippo Valentini, e con prelati come il<br />
153 RENZO RISTORI, Benedetto Accolti cit., doc. XVIII, p. 280. Nel 1549 fu, invece, lo<br />
Scotti a fare rivelazioni sull’Accolti (ibid., doc. XXXI, p. 301).<br />
154 Si tratta delle tre deposizioni dello Scotti contro il Morone (MASSIMO FIRPO, DARIO<br />
MARCATTO, Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone cit., II, pp. 245-249, 347-368,<br />
753-769) e della deposizione <strong>di</strong> Domenico Rocca contro lo Scotti (ibid., IV, pp. 462-472).<br />
Cfr. anche MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il primo processo inquisitoriale contro il car<strong>di</strong>nal<br />
Giovanni Morone (1552-1553), «Rivista storica italiana», XCIII, 1981, pp. 92-98, e MASSIMO<br />
FIRPO, La fase <strong>di</strong>fensiva del processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Morone: documenti e problemi, «Critica<br />
storica», XXIII, 1986, pp. 138-142.<br />
155<br />
MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone<br />
cit., IV, p. 463, nota 3.<br />
156 Ibid., p. 471.<br />
157 Ibid., II, p. 754.<br />
158 Ibid., IV, p. 464. In altra parte della stessa deposizione, il Rocca <strong>di</strong>chiara, nel visibile<br />
tentativo <strong>di</strong> attenuare le proprie responsabilità, <strong>di</strong> essere «persona i<strong>di</strong>otta et ignorante che<br />
non havea cognitione <strong>di</strong> lettere latine» (p. 466).<br />
~ 109 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Morone, il Pole, il Soranzo, il Carnesecchi. 159 Sue <strong>di</strong>chiarazioni a prima<br />
vista tra le meno cre<strong>di</strong>bili risultano fondate: ad esempio, una lettera <strong>di</strong><br />
Carnesecchi, in<strong>di</strong>rizzatagli il 30 aprile 1544, <strong>di</strong>mostra persino più <strong>di</strong><br />
quanto lo Scotti avrebbe <strong>di</strong>chiarato più tar<strong>di</strong>, cioè che il Carnesecchi gli<br />
si era rivolto come all’esponente <strong>di</strong> maggior rilievo del movimento eterodosso<br />
bolognese e gli aveva inviato scritti ine<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> Valdés; e la consegna<br />
all’Inquisizione, da parte dello Scotti, delle lettere che aveva ricevuto<br />
dal Soranzo conferma ovviamente le sue strette relazioni col vescovo <strong>di</strong><br />
Bergamo 160 – e queste stesse relazioni sono, probabilmente, alla base delle<br />
due circostanze che il Liber generationis Antichristi circolò a Bologna e che<br />
si trovi nello zibaldone del Soranzo. Collocazione nel quadro sociale delle<br />
arti e relazioni a livelli alti del mondo culturale e religioso davano allo<br />
Scotti la possibilità <strong>di</strong> attrarre alle sue idee uomini del suo stesso ceto e<br />
insieme gli conferivano autorevolezza su <strong>di</strong> essi. Nel 1560, il suo accusatore<br />
ricorderà che, fin da quando l’aveva conosciuto («sono vintidoi in<br />
vintiquattro anni»), lo Scotti «faceva setta et congregatione <strong>di</strong> molte gente,<br />
done, homini, frati, sore et d’ogni sorte». 161 Decideva la destinazione<br />
della gran quantità <strong>di</strong> libri che faceva giungere a Bologna e «havea <strong>di</strong>stinto<br />
li principali della accademia et congregatione che dovessero pre<strong>di</strong>care<br />
et legere a quisti et a quilli che aderivano alle sue opinioni et haveano bisogno<br />
<strong>di</strong> essere in esse e<strong>di</strong>ficati». 162 Tanto l’attività dell’Accolti e del suo<br />
gruppo quanto l’attività delle minori conventicole già note sono, ora, riconducibili<br />
a questa azione <strong>di</strong> proselitismo organizzata dallo Scotti. Agli<br />
inizi del 1543, dal carcere bolognese lo Scotti ritenne urgente procurare<br />
che l’onnipresente tessitore Tommaso Bavellino, in quanto detentore <strong>di</strong><br />
troppi segreti, sfuggisse alla cattura riparando a Modena. 163<br />
159 Ibid., II, pp. 246, 350, 357-359, 761, 765. Cfr. MASSIMO FIRPO, La fase <strong>di</strong>fensiva del<br />
processo cit., pp. 139-140.<br />
160 La lettera <strong>di</strong> Carnesecchi allo Scotti, già in Estratto del processo <strong>di</strong> Pietro Carnesecchi cit.,<br />
pp. 518-519, è ora, con annotazioni, in MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale<br />
del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone cit., II, pp. 1107-1109. Le <strong>di</strong>chiarazioni dello Scotti che si<br />
riferiscono a quella lettera ibid., II, pp. 248, 357, 756. Sulla consegna all’Inquisizione delle<br />
lettere del Soranzo ibid., II, p. 355.<br />
161 Ibid., IV, p. 464.<br />
162 Ibid., pp. 466-467.<br />
163 Ibid., pp. 467-468. Cfr. ANTONIO ROTONDÒ, Per la storia dell’eresia a Bologna cit., qui a<br />
pp. 279-281 e la «voce» che ne ho redatta per il Dizionario biografico degli Italiani, VII, 1965,<br />
p. 306. Nel processo intentato contro il Bavellino a Modena nel settembre del 1545 e conclusosi<br />
con la condanna in contumacia, le sue relazioni col Ruggeri sono testimoniate, come<br />
voce corrente, da Antonio Mascarelli («... au<strong>di</strong>vit <strong>di</strong>ci ipsum fugisse Bononia propter quem-<br />
~ 110 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
Le certezze religiose <strong>di</strong> questo tessitore e l’audacia con cui egli le esibiva<br />
persino in aperta polemica con l’inquisitore sono uno degli esiti, che<br />
anche ai contemporanei sembrò clamoroso, dell’attività <strong>di</strong> questi circoli,<br />
nei quali, in situazioni <strong>di</strong> simbiosi tra uomini <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti livelli culturali,<br />
le inquietu<strong>di</strong>ni si mutavano in riflessione, i dubbi in convinzioni. Nel<br />
noto gruppo del quale fece parte il droghiere Girolamo Rinal<strong>di</strong> (o Ranial<strong>di</strong>)<br />
– un caso più volte addotto come sintomatico del manifestarsi in<br />
strati sociali bassi dell’esigenza d’approfon<strong>di</strong>re problemi religiosi forzando<br />
le tra<strong>di</strong>zionali barriere culturali 164 – tra i quin<strong>di</strong>ci partecipi, popolani, osti,<br />
notai, calzolai, maestri <strong>di</strong> scuola, dei quali il Rinal<strong>di</strong> rivelò i nomi (oltre<br />
«alios de quorum nominibus particulariter non recordatur»), risalta la<br />
presenza <strong>di</strong> Angelo Ruggeri e del maestro <strong>di</strong> scuola Alessandro Gan<strong>di</strong>no.<br />
165 Di questi circoli socialmente eterogenei numerose testimonianze<br />
documentano l’esistenza per tutti gli anni Quaranta e oltre: verso la fine<br />
del decennio, il calzolaio Bernardo Brascaglia sa che per suoi dubbi religiosi<br />
può far riferimento a un circolo che comprendeva esponenti vecchi<br />
e giovani del patriziato e dello Stu<strong>di</strong>o; 166 e più avanti vedremo il caso<br />
d’un circolo sopravvissuto sino alla fine degli anni Sessanta. Nel settembre<br />
del 1549, il legato bolognese Giovanni Maria Del Monte informò il<br />
car<strong>di</strong>nale Marcello Cervini che, dopo l’abiura solenne pronunciata in San<br />
Petronio da Ulisse Aldrovan<strong>di</strong>, da Girolamo Del Pino e da Bernardo<br />
Brascaglia, l’inquisitore aveva fatto una severa reprimenda «a ciaschedun<br />
dam qui illo fuit combustus, cuius erat socius») e da Pietro Gioioso («Ho inteso ch’el sudetto<br />
Bavello è fugito da Bologna per paura de uno suo compagno el qual per causa de heresia fu<br />
brusiato a Bologna»): Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 2, «Contra Thomam<br />
Bavellam». I due testimoni si riferiscono alla voce che la sentenza contro il Ruggeri<br />
fosse stata eseguita pro forma (cfr. ANTONIO BATTISTELLA, Il S. Officio e la Riforma religiosa in Bologna,<br />
Bologna, 1905, p. 24). Il fiorentino Francesco Tavani ricorderà, più <strong>di</strong> trent’anni dopo,<br />
l’efficacia della pre<strong>di</strong>cazione del Bavellino: «Io havevo maestro Thomaso Bavellino per<br />
huomo c’havesse tanta sufficientia che con la sua dottrina l’havesse superato et vinto gli Inquisitori<br />
et frati per quanto mi era stato detto» (ibid., busta 6, processo Francesco Tavani,<br />
costituto del 19 ottobre 1579). Altri ricor<strong>di</strong> tar<strong>di</strong> della pre<strong>di</strong>cazione del Bavellino sono nel<br />
processo contro Francesco Piccinino (ibid., busta 5).<br />
164 Ve<strong>di</strong> più avanti pp. 277-278; cfr. ADRIANO PROSPERI, Intellettuali e Chiesa all’inizio<br />
dell’età moderna, in Storia d’Italia, Annali 4 cit., p. 186.<br />
165 Ve<strong>di</strong> p. 278, n. 90, dove «Angelo Nigerio praeceptor filiorum D. Polidori de Castello»<br />
è lettura errata del documento, per «Ser Angelo Rugerio» (ve<strong>di</strong> ora MASSIMO FIRPO, DA-<br />
RIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone cit., IV, p. 151). Dei se<strong>di</strong>ci<br />
complici rivelati dal Rinal<strong>di</strong> probabilmente era notaio anche «Ser Vincentius de Mangano».<br />
Sul Gan<strong>di</strong>no e la sua posteriore condanna a morte (1583) ve<strong>di</strong> ANTONIO BATTISTELLA, Il S.<br />
Officio cit., p. 106.<br />
166 Ve<strong>di</strong> pp. 284-290; cfr. CAMILLO RENATO, Opere cit., pp. 224-227.<br />
~ 111 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
d’essi secondo la sua qualità: al canonico come canonico, al scholar come<br />
scholare, al calzolaro come calzolaro». 167 È lecito dubitare che, della folla<br />
che s’accalcava in San Petronio, quanto meno i tre condannati fossero<br />
ancora <strong>di</strong>sposti a valutare le ragioni e la fondatezza delle loro convinzioni<br />
in base al rispettivo ruolo sociale.<br />
L’ampiezza e la composizione sociale non sono tutta la realtà d’una<br />
situazione <strong>di</strong> tensioni religiose (così come d’ogni altra situazione <strong>di</strong> tensioni):<br />
eludere l’identificazione dei suoi contenuti, o – come qui si preferisce<br />
– il progressivo prender forma dei suoi contenuti, significa restar<br />
fermi a caratterizzazioni generiche, compreso l’inflazionato termine «<strong>di</strong>ssenso».<br />
Agli inizi degli anni Quaranta è già in atto a Bologna, nella cornice<br />
d’una originaria e <strong>di</strong>ffusa concor<strong>di</strong>a sull’esaltazione del primato della<br />
fede, un processo <strong>di</strong> profonda <strong>di</strong>versificazione degli orientamenti. Quando<br />
nel <strong>di</strong>cembre del 1542 puntualmente giunse anche a Bologna, preceduta<br />
da avvertimenti romani, la prima raccolta ginevrina delle Pre<strong>di</strong>che<br />
dell’Ochino, il letterato Scipione Bianchini, già membro della famiglia<br />
car<strong>di</strong>nalizia del Contarini, informò Ludovico Beccadelli dell’interesse<br />
con cui il libretto veniva letto. 168 È ottima congettura che la minimizzazione,<br />
da parte del Bianchini, del pregiu<strong>di</strong>zio che la decima e ultima <strong>di</strong><br />
quelle Pre<strong>di</strong>che avrebbe arrecato alla memoria del Contarini – come si sa,<br />
chiamato in causa dall’Ochino come corresponsabile della sua fuga – <strong>di</strong>pendesse<br />
dalla sua adesione, quale che ne fosse la misura, alla concezione<br />
contariniana della giustificazione. 169 Ma è ovvio che ciò non bastava perché<br />
il Bianchini si sentisse parte <strong>di</strong> una ben più inquieta realtà <strong>di</strong> uomini<br />
e <strong>di</strong> circoli che si era via via venuta profilando a Bologna: perciò, senza<br />
scandalo ma con <strong>di</strong>stacco, il Bianchini in<strong>di</strong>cò quanti avevano accolto con<br />
maggior interesse il libretto dell’Ochino come «questi novi nostri chri-<br />
167 GOTTFRIED BUSCHBELL, Reformation und Inquisition in Italien um <strong>di</strong>e Mitte des XVI<br />
Jahrhunderts, Paderborn, Fer<strong>di</strong>nand Schöningh 1910, p. 203.<br />
168 GIGLIOLA FRAGNITO, Gasparo Contarini cit., pp. 284, 304. Si riferiva alle Pre<strong>di</strong>che <strong>di</strong><br />
Bernar<strong>di</strong>no Ochino da Siena. Si me persequuti sunt, et vos persequentur. Sed omnia vincit veritas,<br />
[Ginevra, Jean Gérard], 1542, <strong>di</strong>e X Octobris, da non confondere con la raccolta dello stesso<br />
titolo, comprendente venti pre<strong>di</strong>che e nella quale la parola «Finis» dopo le prime <strong>di</strong>eci pre<strong>di</strong>che<br />
e l’aggiunta, con numerazione autonoma, del libello Imagine <strong>di</strong> Antechristo, in<strong>di</strong>cano<br />
un’e<strong>di</strong>zione in cui sono stati utilizzati gli esemplari residui delle stampe precedenti tanto delle<br />
Pre<strong>di</strong>che quanto del libello (faccio uso dell’esemplare della Raccolta Guicciar<strong>di</strong>ni, 3.3.65).<br />
Per i precedenti avvertimenti da Roma, <strong>di</strong>retti a Leandro Alberti e a Nicola Bargellesi, ve<strong>di</strong><br />
MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone cit., IV,<br />
p. 192.<br />
169 GIGLIOLA FRAGNITO, Gasparo Contarini cit., p. 288.<br />
~ 112 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
stiani», i «nostri Lutherani» – ai quali, dunque, inutilmente si sarebbe rivolto<br />
per avere un esemplare delle Pre<strong>di</strong>che («non mi hanno per suo confidente»).<br />
170<br />
La <strong>di</strong>ssociazione riguardava prima <strong>di</strong> tutto il contenuto del libro dell’Ochino<br />
e il <strong>di</strong>verso interesse con cui «Lutherani» e «novi christiani» lo<br />
leggevano: ciò che per il Bianchini era interesse occasionale a un evento<br />
clamoroso che coinvolgeva la chiesa bolognese, per i «novi christiani»<br />
era, invece, interesse agli sviluppi del problema della giustificazione, sul<br />
quale le loro riflessioni e <strong>di</strong>scussioni erano stimolate da un più vasto contesto<br />
<strong>di</strong> letture analoghe. Gli argomenti dell’Ochino ponevano ancora<br />
l’accento prevalentemente sulla fruizione interiore della giustificazione<br />
per fede, sulla sua funzione pacificatrice delle coscienze: 171 e ciò spiega le<br />
esitazioni del Seripando, ondeggiante tra l’impressione che nelle Pre<strong>di</strong>che<br />
l’Ochino «tutto haveva raccolto nelli scritti de’ Lutherani» e il giu<strong>di</strong>zio<br />
del giorno dopo, secondo il quale in esse non vi era «cosa alcuna che non<br />
fosse christianissima». 172 In realtà, col <strong>di</strong>stacco dell’esilio, l’Ochino era andato<br />
assai oltre. Dalla prevalente esaltazione della giustificazione come rifugio<br />
mistico nella fede era passato all’invettiva contro tutto ciò che si<br />
opponeva alla necessità che il cristiano «renascesse et <strong>di</strong>ventasse un uomo<br />
spirituale et che con viva fede sentisse et gustasse el gran beneficio <strong>di</strong><br />
Christo». 173 All’argomento de<strong>di</strong>cò un’intera pre<strong>di</strong>ca (la terza, Chome la iustificatione<br />
per Christo è iniustamente perseguitata et falsamente calunniata). Innanzitutto<br />
vi spiegava, con una notevole ripresa <strong>di</strong> argomenti propri della<br />
tra<strong>di</strong>zione pauperistica, che calunniatori e persecutori della giustificazione<br />
per la sola fede perpetuavano l’antico <strong>di</strong>sprezzo <strong>di</strong> quanti ritennero<br />
«una cosa stolta che per un crucifixo siamo iustificati» e rifiutarono il<br />
«Christo crucifixo» perché segnacolo <strong>di</strong> debolezza e non <strong>di</strong> ricchezza e <strong>di</strong><br />
potenza, una cosa «humana, infirma, povera, misera, vile, abiecta et<br />
ignominiosa». 174 Probabilmente, i «novi christiani» bolognesi potevano<br />
170 Ibid., p. 284.<br />
171 Pre<strong>di</strong>che cit., soprattutto nella più ampia e più efficace delle <strong>di</strong>eci pre<strong>di</strong>che, l’ottava,<br />
Delli effecti che fa la iustificatione per Christo (pp. D8v-E3r): «In prima, el iustificato sente la pace<br />
della conscientia, imperoché sente che Christo ha satisfacto per li suoi peccati perfectissimamente,<br />
in modo tale che non dubita che li sono perdonati se ha perfecta fede, et questa<br />
pace non si può per altre vie havere».<br />
172 EDMONDO SOLMI, La fuga <strong>di</strong> Bernar<strong>di</strong>no Ochino secondo i documenti dell’Archivio Gonzaga<br />
<strong>di</strong> Mantova, «Bullettino senese <strong>di</strong> storia patria», XV, 1908, p. 97 (cfr. GIGLIOLA FRAGNITO, Gasparo<br />
Contarini cit., p. 288).<br />
173 Pre<strong>di</strong>che cit., p. B3r.<br />
174 Ibid., p. B3v.<br />
~ 113 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
leggere già nella prima redazione del Pasquino in estasi argomenti simili,<br />
caratteristici della coeva tendenza all’umanizzazione <strong>di</strong> Cristo e alla rappresentazione<br />
del Cristo povero come antitesi al cristianesimo dei potenti.<br />
175 È spiegabile, insegnava loro l’Ochino, che quell’antico <strong>di</strong>sprezzo<br />
venga perpetuato dalla Chiesa romana; la giustificazione per fede, che essa<br />
nega e perseguita, è contraria a tutto ciò che essa sancisce: ipocrisie e<br />
superstizioni, forme illusorie <strong>di</strong> giustificazione per meriti satisfatorî, indulgenze<br />
e pratiche simoniache, «tutte le religioni trovate per humano et<br />
<strong>di</strong>abolico spirito», entrate e autorità empiamente usurpate. È tutta la perversa<br />
realtà contro cui la dottrina della giustificazione per fede si rivolge:<br />
«Et finalmente destrugge el regno <strong>di</strong> Antechristo». 176 Tutta la pur esigua<br />
documentazione superstite sull’intervento repressivo degli inizi del 1543<br />
in<strong>di</strong>ca che i «novi christiani» bolognesi riflettevano e <strong>di</strong>scutevano sull’antitesi<br />
tra giustificazione per fede e realtà ecclesiastiche, fino a trarne una<br />
rappresentazione della Chiesa come incarnazione dell’Anticristo.<br />
C’è un documento che non mi risulta sia mai stato messo nella debita<br />
relazione con la storia religiosa bolognese degli anni dei quali ci stiamo<br />
occupando: il decreto con cui il 12 luglio 1543 l’Inquisizione romana intervenne<br />
drasticamente contro la circolazione dei libri eterodossi. 177 Tutto<br />
ciò che in quel documento non è linguaggio caratteristico dell’ufficialità<br />
universale delle Congregazioni romane, è realtà bolognese: una realtà che<br />
Paolo III e la corte pontificia avevano potuto osservare da vicino e sulla<br />
quale anche intervenire <strong>di</strong>rettamente durante i mesi del loro soggiorno a<br />
Bologna. 178 Uno degli aspetti della realtà bolognese che il decreto recepi-<br />
175 Cfr. Pasquillorum tomi duo cit., II, p. 444 («... maxime in pauperibus, qui eius [Cristo]<br />
personam gerunt»), rimasto immutato in tutte le successive redazioni.<br />
176 Pre<strong>di</strong>che cit., pp. C5v-C6r: «La perseguitano ancho molto più perché la iustificatione<br />
per Christo gitta per terra tutte le religioni trovate per humano et <strong>di</strong>abolico spirito, anichila<br />
le nostre proprie iustificationi, dà bando alle humane indulgentie, manifesta le alchimie de’<br />
falsi christiani, fa fallir li simoniaci, tolle la auctorità a quelli che impiamente sela sonno<br />
usurpata, et finalmente destrugge el regno <strong>di</strong> Antechristo. Però non è da maravigliarsi se dalli<br />
falsi et impii christiani et dalli membri <strong>di</strong> Antechristo è perseguitata, che se la non <strong>di</strong>minuisse<br />
la auctorità né facesse danno alle entrate, se ben fusse a Christo contraria, li impii non sene<br />
curarebbeno».<br />
177 JOSEPH HILGERS, Der Index der verbotenen Biicher cit., pp. 483-486 (cfr. FRANZ HEIN-<br />
RICH REUSCH, Der Index der verbotenen Biicher. Ein Beitrag zur Kirchen- und Literaturgeschichte,<br />
Bonn, Verlag von Max Cohen und Sohn, 1883-1885, 2 voll., I, pp. 170-171).<br />
178 Il decreto è datato Bologna. Il compito dell’inchiesta e della successiva sorveglianza<br />
sui libri eterodossi in circolazione veniva affidato a Tommaso Maria Beccadelli, inquisitore<br />
<strong>di</strong> Bologna, Ferrara e Modena, o a un suo sostituto («et N. eius substitutum»), che per Bologna<br />
fu Leandro Alberti o il dotto «inquisitor librorum» Nicola Bargellesi. Preso atto dell’ina-<br />
~ 114 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
sce è la propagazione orale delle dottrine eterodosse («... ne quis audeat<br />
libros prae<strong>di</strong>ctos haereticos [...] ab aliis lectos au<strong>di</strong>re, nec cum aliquo,<br />
verbo vel in scriptis, communicare, docere nec prae<strong>di</strong>care»). È ovvio che<br />
non si trattava d’un fenomeno nuovo né, per l’Italia, tipicamente bolognese.<br />
In questi ultimi anni, gli stu<strong>di</strong> sulla penetrazione per via <strong>di</strong> propaganda<br />
orale <strong>di</strong> dottrine eterodosse e <strong>di</strong> idee <strong>di</strong>fformi dalla tra<strong>di</strong>zione e<br />
dalla norma, sul rapporto tra chi legge e chi ascolta e sui più o meno percettibili<br />
esiti non meccanici <strong>di</strong> questo rapporto, hanno fatto progressi notevoli,<br />
rivelando in ogni situazione l’ampiezza e l’incisività del fenomeno,<br />
in molti casi anche con deduzioni teoriche <strong>di</strong> notevole importanza<br />
per lo stu<strong>di</strong>o, più in generale, delle <strong>di</strong>namiche dei rapporti tra <strong>di</strong>fferenti<br />
strati sociali. Qui appare rilevante il fatto che la <strong>di</strong>mensione preoccupante<br />
della propaganda orale venisse recepita nel primo importante decreto<br />
dell’Inquisizione romana sulla base dell’osservazione <strong>di</strong>retta della situazione<br />
bolognese; e ancora più importante appare il fatto che dell’ampiezza<br />
<strong>di</strong> quel fenomeno l’inquisitore Tommaso Maria Beccadelli fosse venuto<br />
a conoscenza <strong>di</strong>retta nella sua pratica inquisitoria dei mesi precedenti.<br />
La situazione quale si presentò al Beccadelli subito dopo i primi arresti è<br />
quella che abbiamo già descritta sommariamente attraverso l’azione <strong>di</strong><br />
proselitismo <strong>di</strong> Benedetto Accolti e <strong>di</strong> Giovan Battista Scotti. Dagli interrogatori<br />
<strong>di</strong> popolani risultò subito che dubbi suscitati da pre<strong>di</strong>che ambigue<br />
o <strong>di</strong>ssonanti dall’ortodossia, <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> libelli e <strong>di</strong> letteratura pasquillesca,<br />
<strong>di</strong>scussioni e letture in comune in circoli e conventicole avevano<br />
già ra<strong>di</strong>cato negli strati popolari una quantità preoccupante <strong>di</strong> errori<br />
gravissimi. La somma delle proposizioni teologicamente erronee registrate<br />
dall’inquisitore ci interessa qui meno dei percorsi mentali nei quali il<br />
passaggio da iniziali inquietu<strong>di</strong>ni alla riflessione e alle convinzioni si identifica<br />
con un lento processo <strong>di</strong> acquisizione <strong>di</strong> concetti propri dell’élite<br />
deguatezza dei mezzi per far fronte alla gravità della situazione generale («quia nos praemissa<br />
<strong>di</strong>versis in partibus exequi et agere non valemus»), l’Inquisizione decideva la pubblicazione<br />
del decreto (cioè l’inizio dell’inchiesta) nella sola giuris<strong>di</strong>zione inquisitoria del Beccadelli. La<br />
corte pontificia <strong>di</strong> stanza a Bologna poté rendersi conto della gravità della situazione a Modena<br />
e Ferrara durante i suoi spostamenti anche in queste città. Testimonianze sulla rete <strong>di</strong><br />
complicità che univa Bologna, Modena, Ferrara e Sassuolo nella circolazione <strong>di</strong> libri eterodossi<br />
nel periodo in cui fu stilato il decreto, sono nelle <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> Benedetto Accolti<br />
(RENZO RISTORI, Benedetto Accolti cit., doc. XXXII, 2, pp. 304-305) e nella deposizione <strong>di</strong><br />
Domenico Rocca a carico <strong>di</strong> Giovan Battista Scotti (MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il<br />
processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone cit., IV, p. 467). Per interventi <strong>di</strong>retti dei<br />
car<strong>di</strong>nali al seguito <strong>di</strong> Paolo III nelle vicende inquisitorie bolognesi ve<strong>di</strong> JACOPO RAINIERI,<br />
Diario bolognese, Bologna, Regia Tipografia, 1887, p. 79.<br />
~ 115 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
colta (dubbi sulla fondatezza della Vulgata, rifiuto critico della letteratura<br />
agiografica, <strong>di</strong>ssociazione del sacro dal magico, e così via): insomma, alle<br />
registrazioni giu<strong>di</strong>ziarie dell’inquisitore si preferisce il genere della narrazione<br />
curioniana della metamorfosi <strong>di</strong> Marforio.<br />
Una simile metamorfosi è possibile seguire attraverso la storia del già<br />
ricordato droghiere Girolamo Rinal<strong>di</strong>, che presumibilmente è quella<br />
stessa dei suoi complici, ai quali egli attribuì le sue convinzioni. 179 Non<br />
sappiamo quando e come ebbe inizio l’interesse del Rinal<strong>di</strong> alle novità<br />
religiose; ma certo, al momento dell’arresto, non era più un interesse recente,<br />
se egli aveva raggiunto una fermezza <strong>di</strong> convinzioni tale da confermarle<br />
davanti all’inquisitore. Il suo primo assillo era stato il problema<br />
della giustificazione. Quando il 23 gennaio 1543 l’inquisitore gli chiese le<br />
ragioni per le quali negava la vali<strong>di</strong>tà delle orazioni rivolte alla Madonna<br />
e ai santi, il Rinal<strong>di</strong> addusse l’autorità del versetto <strong>di</strong> Giovanni, X, 1, Qui<br />
non intrat per ostium in ovile ovium, sed ascen<strong>di</strong>t aliunde, ille fur est et latro. 180 A<br />
partire da questo punto, tutte le fasi della metamorfosi religiosa <strong>di</strong> questo<br />
popolano riflettono aspetti generali della storia religiosa bolognese <strong>di</strong><br />
quegli anni. I primi dubbi sull’efficacia delle opere, e conseguentemente<br />
sulla vali<strong>di</strong>tà d’ogni forma <strong>di</strong> pratica religiosa che non fosse il ricorso a<br />
Cristo, gli erano stati suscitati dalla pubblica pre<strong>di</strong>cazione nelle chiese<br />
della città. Il riferimento d’un pre<strong>di</strong>catore al versetto del Vangelo <strong>di</strong> s.<br />
Giovanni l’aveva particolarmente impressionato; da allora, la novità del<br />
<strong>di</strong>scorso l’aveva spinto a cercarne conferma in altre pre<strong>di</strong>che, che era andato<br />
ad ascoltare nelle chiese bolognesi. Spiegando all’inquisitore le origini<br />
della sua convinzione che i meriti <strong>di</strong> Cristo escludevano il ricorso alla<br />
Madonna e ai santi, il Rinal<strong>di</strong> le ricondusse interamente all’effetto <strong>di</strong><br />
179 Bologna, Biblioteca Comunale (Archiginnasio), Ms. B. 1927, cc. 1r-2r. Cfr. più<br />
avanti, p. 277. Ritengo opportuno – anche a causa delle sviste in cui a suo tempo sono incorso<br />
– trascrivere le parti del documento riguardanti i complici dei quali il Rinal<strong>di</strong> fece i<br />
nomi. Costituto del 23 gennaio: «Interrogatus respon<strong>di</strong>t quod pluries alloquutus fuit Julianum<br />
Forbicinum, magistrum Albertum de Peregrino, ser Vincentium de Mangano, et alios<br />
de quorum nominibus particulariter non recordatur, exceptis Vincentio Garzolino et Jacobo<br />
de Ruvere et Francisco Pestinella et Vincentio Buccaferro» (c. 1r). Costituto del 25 gennaio:<br />
«Ultra nominatos in examine supra<strong>di</strong>cto ipse constitutus alloquutus fuit cum Hieronymo de<br />
Cavazonibus, ser Angelo Rugerio preceptor filiorum D. Polidori de Castello, Nicholao de<br />
Christianis, magistro Alexandro Gan<strong>di</strong>no, Francisco pistore, Petronio de Rigo sive de Amico<br />
vestito beretinii, Thoma Bavellino et magistro Blasio pistore cognato ipsius constituti.<br />
Qui omnes habent opiniones ipsius constituti et cum quibus multoties alloquutus fuit de similibus<br />
materiis de quibus supra ipse constitutus fuit interrogatus» (c. 2r).<br />
180 Bologna, Biblioteca Comunale (Archiginnasio), B. 1927, c. 1r.<br />
~ 116 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
quelle pre<strong>di</strong>che («Et prae<strong>di</strong>cta <strong>di</strong>ci au<strong>di</strong>vit publice a prae<strong>di</strong>catoribus in civitate<br />
Bononiae in ecclesiis principalibus et sic interpretatus est ipse constitutus<br />
quod illa doctrina evangelica excludat sanctos et Virginem»). 181 In<br />
realtà, le cose non erano state così semplici.<br />
È stato osservato giustamente che in quegli anni il confine tra ortodossia<br />
e eresia non era netto né per i pre<strong>di</strong>catori né per i loro ascoltatori.<br />
182 Né poteva contribuire a stabilire <strong>di</strong>stinzioni nette l’alternarsi <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>che<br />
e cicli <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cazione dagli orientamenti <strong>di</strong>vergenti: come abbiamo<br />
visto, per un periodo che comprendeva la pre<strong>di</strong>cazione dell’avvento<br />
e della quaresima e il capitolo d’uno degli or<strong>di</strong>ni religiosi più importanti,<br />
Erastus poté fare, da Bologna, un resoconto impressionante della contrad<strong>di</strong>ttoria<br />
varietà <strong>di</strong> messaggi che provenivano dai pulpiti; aveva potuto<br />
riscontrare contrad<strong>di</strong>zioni persino tra quel che taluni pre<strong>di</strong>catori asserivano<br />
dal pulpito e quanto quegli stessi precedentemente avevano affermato<br />
in <strong>di</strong>spute e <strong>di</strong>scussioni («mox male iam optime <strong>di</strong>sputantes»). Insomma,<br />
era proprio <strong>di</strong> questi eventi collettivi suscitare dubbi e emozioni, non infondere<br />
consapevolezze dottrinali. Certo, non mancavano ascoltatori in<br />
grado <strong>di</strong> opporre ferma convinzione della vali<strong>di</strong>tà della tra<strong>di</strong>zione oppure,<br />
al contrario, argomenti fondati su una già matura consapevolezza della<br />
necessità <strong>di</strong> negare, tutta o in parte, la vali<strong>di</strong>tà della tra<strong>di</strong>zione. È caratteristica<br />
dell’estraneità agli esiti emotivi del genere <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> cui ci<br />
stiamo occupando, la reazione d’un fabbricante d’armi bresciano <strong>di</strong>mo-<br />
181 Ibid.<br />
182 CARLO GINZBURG, ADRIANO PROSPERI, Giochi <strong>di</strong> pazienza. Un seminario sul «Beneficio <strong>di</strong><br />
Cristo», Torino, Einau<strong>di</strong>, 1975, pp. 26-29. Tuttavia, sul caso dal quale le osservazioni <strong>di</strong><br />
Ginzburg e Prosperi hanno preso le mosse, la pre<strong>di</strong>cazione modenese (1551) del canonico<br />
regolare Giovanni Francesco da Bagnacavallo (cfr. ANTONIO ROTONDÒ, Atteggiamenti della vita<br />
morale italiana cit., qui a pp. 234-236), io continuo a ritenere che si trattò <strong>di</strong> ambiguità<br />
volontaria: a cinque anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dal decreto tridentino, ambiguità involontaria sul problema<br />
della giustificazione in chi <strong>di</strong>chiarava d’aver letto autori come Butzer è inimmaginabile;<br />
e nel 1558 i testimoni non intendono scagionare il pre<strong>di</strong>catore, ma, per l’appunto, ricordarne<br />
l’ambiguità, della quale alcuni ascoltatori si erano scandalizzati e avevano deciso <strong>di</strong><br />
non andare a sentire chi non poteva pre<strong>di</strong>care – <strong>di</strong>cevano – liberamente come in Germania.<br />
Le stesse considerazioni valgono per il caso del pre<strong>di</strong>catore del quale, nel settembre del<br />
1553, Ludovico Beccadelli scriveva a Marcello Cervini che «più tosto l’error suo è stato in<br />
tacer quello c’havria potuto et dovuto <strong>di</strong>re contra li dogmi lutherani che per haver pre<strong>di</strong>cato<br />
mala dottrina» (Giochi <strong>di</strong> pazienza cit., p. 196). Il seguito della lettera informa che il pre<strong>di</strong>catore<br />
era ritenuto colpevole anche «per il favor li facevano le persone suspette <strong>di</strong> quel luoco<br />
[Capo<strong>di</strong>stria?]». Non si tratta <strong>di</strong> «ignoto pre<strong>di</strong>catore», ma, come scrive lo stesso Beccadelli,<br />
del servita fra Cornelio da Bologna, noto ai frequentatori del circolo bolognese dell’Aldrovan<strong>di</strong><br />
e <strong>di</strong> Lelio Sozzini (ve<strong>di</strong> pp. 290-291; cfr. CAMILLO RENATO, Opere cit., p. 227).<br />
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ANTONIO ROTONDÒ<br />
rante a Bologna già da un ventennio: Ludovico Medegini. 183 Fuggito da<br />
Bologna poco prima che venissero arrestati quattor<strong>di</strong>ci dei suoi complici<br />
(alcuni dei quali suoi <strong>di</strong>pendenti) e raggiunto dall’inquisitore <strong>di</strong> Brescia<br />
evidentemente su richiesta <strong>di</strong> Tommaso Maria Beccadelli, anche il Medegini<br />
fece riferimento alle pre<strong>di</strong>che che aveva ascoltato a Bologna, in<br />
particolare a quella d’un pre<strong>di</strong>catore che aveva <strong>di</strong>stinto tra luterani che<br />
opportunamente denunciavano gli abusi e luterani che negavano i sacramenti:<br />
i primi non erano da biasimare; gli altri «erano da fusere et da essere<br />
aschivati». 184 Non si trattava, come si sa, d’un fatto eccezionale. La<br />
sua reazione a questa aperta e non inconsueta interpretazione morale della<br />
protesta <strong>di</strong> Lutero il Medegini la espose ai suoi <strong>di</strong>pendenti, con argomenti<br />
che lasciano trasparire un contesto <strong>di</strong> riflessioni sul quale purtroppo<br />
le sue <strong>di</strong>chiarazioni non danno più <strong>di</strong> qualche elemento allusivo: sulla<br />
base d’uno dei luoghi delle Scritture tra i più oscuri e dei più ricorrenti<br />
nella letteratura chiliastica d’ogni tempo, il cap. XX dell’Apocalisse, tentò<br />
<strong>di</strong> convincere i suoi interlocutori che non c’erano <strong>di</strong>stinzioni da fare; Satana<br />
dominava incontrastato «da poi che sancto Silvestro ha dotata la giesa»;<br />
e la cristianità era popolata <strong>di</strong> falsi profeti. 185<br />
Probabilmente l’evoluzione religiosa del Medegini aveva avuto inizi<br />
remoti: forse l’avevano accelerata esperienze e incontri fatti in viaggi e<br />
spostamenti impostigli dall’esercizio della sua arte. La metamorfosi del<br />
Rinal<strong>di</strong> sembra compiersi, invece, tutta in orizzonte bolognese. Il filo<br />
delle sue riflessioni non si svolge nell’isolamento: partecipa, non <strong>di</strong> rado<br />
con comportamenti polemici, alle pratiche devote; 186 ma i luoghi della<br />
sua nuova formazione sono i circoli, nei quali si va sempre più <strong>di</strong>slocando<br />
la sede della riflessione religiosa sua e dei suoi amici. Dai dubbi suscitatigli<br />
dai pre<strong>di</strong>catori alla certezza che Cristo è la sola via <strong>di</strong> salvezza il<br />
Rinal<strong>di</strong> giunge attraverso la <strong>di</strong>scussione con laici ed ecclesiastici («... a<br />
quibusdam tam religiosis quam saecularibus, quibus cre<strong>di</strong><strong>di</strong>t et cre<strong>di</strong>t ipse<br />
constitutus quod ostium est Christus»). 187 Tutta la sua successiva riflessione<br />
si rivolse alle implicazioni <strong>di</strong> questa certezza, con esiti inimmaginabili al<br />
183 Venezia, Archivio <strong>di</strong> Stato, Sant’Ufficio dell’Inquisizione, busta 1, Processi 1541-1545,<br />
n. 4. Cfr. p. 279.<br />
184 Ibid.<br />
185 Ibid.<br />
186 Bologna, Biblioteca Comunale (Archiginnasio), Ms. B. 1927, c. 1r (cfr. ADRIANO<br />
PROSPERI, Intellettuali e Chiesa all’inizio dell’età moderna cit., p. 186; SILVANA SEIDEL MENCHI,<br />
Erasmo in Italia cit., p. 73).<br />
187 Bologna, Biblioteca Comunale (Archiginnasio), Ms. B. 1927, c. 1r.<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
<strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> un’osmosi tra istanze religiose <strong>di</strong> questo popolano e più o meno<br />
mature consapevolezze e convinzioni <strong>di</strong> suoi interlocutori <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso<br />
livello culturale. Non sorprende che il Rinal<strong>di</strong> possedesse un Testamento<br />
in volgare; singolare, anche se non del tutto eccezionale, è, invece, il fatto<br />
che egli si fosse dotato anche d’un Novum Testamentum <strong>di</strong> Erasmo,<br />
«quem <strong>di</strong>xit aliter non intelligere», ma al quale tentò <strong>di</strong> accedere (senza<br />
esito) dandosi appositi strumenti. 188 L’assunzione del Testamento come<br />
unica autorità poneva al centro delle riflessioni del Rinal<strong>di</strong> e delle <strong>di</strong>scussioni<br />
della conventicola <strong>di</strong> cui faceva parte il confronto tra testo sacro e<br />
realtà religiosa circostante: come abbiamo visto, le <strong>di</strong>scussioni sull’interpretazione<br />
da dare del luogo <strong>di</strong> Giovanni, X, 1 (e relativo contesto) rappresentarono<br />
un passaggio cruciale nell’evoluzione religiosa del Rinal<strong>di</strong>. 189<br />
In <strong>di</strong>scussioni alle quali partecipavano, insieme con popolani, uomini <strong>di</strong><br />
livello culturale più alto, non sorprende che dalla funzione determinante<br />
che vi assumeva l’esatta interpretazione del testo scaturisse il suggerimen-<br />
188 Ve<strong>di</strong> p. 278. Cfr. SILVANA SEIDEL MENCHI, Erasmo in Italia cit., pp. 73-74, con amplificazíone<br />
retorica del significato dell’episo<strong>di</strong>o.<br />
189 Solo che il Rinal<strong>di</strong> e i suoi amici abbiano avuto sentore della clamorosa pre<strong>di</strong>cazione<br />
bolognese <strong>di</strong> Lisia Fileno (Paolo Ricci, poi Camillo Renato), rimasero certo impressionati<br />
della sua quasi ossessiva insistenza sulla necessità che tutto, Erasmo compreso, andasse posposto<br />
alla lettura del Testamento (CAMILLO RENATO, Opere cit., p. 70). Per quanto riguarda il<br />
soggiorno del Fileno a Bologna, a poca <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> tempo dalla pubblicazione della mia e<strong>di</strong>zione<br />
delle sue Opere, Carlo Ginzburg (Il nicodemismo. Simulazione e <strong>di</strong>ssimulazione religiosa<br />
nell’Europa del ’500, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1970, p. 140) sostenne, in base ai risultati d’una ine<strong>di</strong>ta<br />
ricerca <strong>di</strong> Alberto Merola «<strong>di</strong> imminente pubblicazione», che il Fileno sarebbe stato a Strasburgo<br />
alla scuola <strong>di</strong> Capitone, deducendone che tale soggiorno strasburghese gettava «una<br />
nuova luce sull’intero movimento ereticale italiano». Il cre<strong>di</strong>to dello stu<strong>di</strong>oso Ginzburg e,<br />
pur senza esagerare, l’interesse della prospettiva, crearono una viva ma prudente attesa dei risultati<br />
delle ricerche del Merola. Per quanto mi riguarda, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> circa vent’anni, credo<br />
si possa – perché no? – attendere ancora. Chi, invece, non ha perduto tempo è stata Silvana<br />
Seidel Menchi (Sulla fortuna <strong>di</strong> Erasmo in Italia. Ortensio Lando e altri eterodossi della prima metà<br />
del Cinquecento, «Rivista storica svizzera», XXIV, 1974, pp. 537-634), che si è affrettata a<br />
confermare anche più <strong>di</strong> quanto sappiamo delle conclusioni del Merola, col seguente proce<strong>di</strong>mento:<br />
1. l’A. utilizza ampiamente (p. 549 sgg.) la lunga lettera <strong>di</strong> Giovanni Angelo Odoni<br />
a Erasmo del marzo (?) 1535, da Strasburgo (ALLEN, XI, n. 3002, pp. 81-104), nella quale<br />
si legge (p. 95, ll. 598-599) che Fileno Lunar<strong>di</strong> era bolognese («An non Bononiensis meus hic<br />
Philaenus Italus est?»); 2. utilizza (pp. 560-562) l’Apologia <strong>di</strong> Lisia Fileno (Camillo Renato),<br />
dove questi fin dal titolo si <strong>di</strong>ce siciliano; 3. conclusione dell’A.: «Qui si accetta l’identificazione<br />
<strong>di</strong> Fileno Lunar<strong>di</strong> con Lisia Fileno, alias Camillo Renato, proposta da Alberto Merola»<br />
(p. 549). Rilevare negli stu<strong>di</strong> altrui sviste e errori <strong>di</strong> poco conto è colpevole almeno quanto<br />
le sviste e gli errori in cui tutti incorriamo. Non, pero, quando si presume <strong>di</strong> poter fondare<br />
su un uso così <strong>di</strong>sinvolto delle fonti un evento che dovrebbe far «nuova luce sull’intero movimento<br />
ereticale italiano».<br />
~ 119 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
to al controllo e all’approfon<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> esso me<strong>di</strong>ante il ricorso all’interpretazione<br />
<strong>di</strong> Erasmo. Il documento non consente <strong>di</strong> andare oltre; ma<br />
quel che se ne deduce non è poco: in situazioni <strong>di</strong> promiscuità sociale e<br />
culturale, a Bologna come altrove, i «mercanti et gente bassa» <strong>di</strong> cui parlava<br />
il Bianchini tentavano <strong>di</strong> dare fondamenti culturali alla loro riflessione<br />
religiosa; sia pure in forma <strong>di</strong> un’esigenza cui si opponevano le limitazioni<br />
culturali proprie dell’appartenenza a strati sociali «senza latino», il<br />
controllo critico del testo spingeva al <strong>di</strong> là dell’assunzione della semplice<br />
formula «sola Scriptura»; e la lettura delle vite dei santi (ma il Rinal<strong>di</strong><br />
non <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> quale libro si trattasse), 190 condotta alla luce della ferma convinzione<br />
dell’unicità del ricorso a Cristo, significava quanto meno un<br />
embrione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffidenza critica sulla letteratura agiografica, secondo il suggerimento<br />
dato a Marforio dall’umanista Curione. Gli inquisitori (e non<br />
<strong>di</strong> rado, in passato, gli storici) registravano come qualcosa tra l’avventato<br />
e lo stravagante le asserzioni <strong>di</strong>ssonanti dall’ortodossia <strong>di</strong> queste «gente<br />
basse et plebeie» – in<strong>di</strong>fferenti ai processi attraverso i quali idee contrarie<br />
alla norma si ra<strong>di</strong>cavano nelle loro menti. In realtà, ogni volta che il documento<br />
inquisitorio offre il varco alla possibilità <strong>di</strong> analisi non succube<br />
degli schemi e delle formulazioni giu<strong>di</strong>ziarie, è possibile intravedere processi<br />
<strong>di</strong> mutazione religiosa e culturale non <strong>di</strong>ssimili da quello descritto<br />
dal Curione. Come Marforio, il Rinal<strong>di</strong> e gli uomini della sua cerchia,<br />
acquisita la certezza dell’unicità della fede giustificante, non si arrestarono<br />
più. Dalla <strong>di</strong>scussione particolarmente insistente sull’inanità <strong>di</strong> pratiche<br />
devote («super veneratione Virginis et sanctorum, super precibus illis<br />
porrigen<strong>di</strong>s ... super imaginibus») i loro <strong>di</strong>scorsi si estesero progressivamente<br />
ad argomenti come la predestinazione, il libero arbitrio, il rapporto<br />
tra fede e opere; poi, si mutarono in denuncia della realtà ecclesiastica:<br />
denuncia delle ricchezze della Chiesa e dei mezzi con cui essa se le procacciava<br />
(purgatorio, indulgenze), dei voti monastici, del celibato del<br />
clero, dell’autorità dei concili. 191 Era un passaggio non facile dalle idee alla<br />
realtà, cioè dalla riflessione su principi teologici nuovi, o riproposti e<br />
sentiti come nuovi, a una denuncia della realtà ecclesiastica motivata <strong>di</strong>-<br />
190 Bologna, Biblioteca Comunale (Archiginnasio), Ms. B. 1927, c. 1r.<br />
191 Ibid., cc. 1v-2r: «... allocutus fuit super praedestinatione, super libero arbitrio, super<br />
veneratione Virginis et sanctorum, super precibus illis porrigen<strong>di</strong>s, super conciliis, super fide<br />
et operibus, super imaginibus, super votis, super caelibatu praesbiterorum, super <strong>di</strong>vitiis ecclesiae,<br />
de indulgentiis, de purgatorio» (ve<strong>di</strong> p. 278; cfr. MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO,<br />
Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone cit., IV, p. 466).<br />
~ 120 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
versamente che in passato: passaggio non facile né nel caso del circolo del<br />
Rinal<strong>di</strong> – qui, evidentemente, assunto come filo conduttore della storia<br />
delle inquietu<strong>di</strong>ni religiose popolari e della loro evoluzione nella Bologna<br />
degli inizi degli anni Quaranta – né in infiniti altri casi. Sulla base dei<br />
soli incartamenti inquisitoriali è sempre poco agevole, quando non ad<strong>di</strong>rittura<br />
impossibile, <strong>di</strong>panare – ed è ciò che qui interessa maggiormente –<br />
il filo <strong>di</strong> questi processi <strong>di</strong> graduale penetrazione e approfon<strong>di</strong>mento della<br />
protesta religiosa come un progressivo ra<strong>di</strong>carsi <strong>di</strong> nuove convinzioni.<br />
Eppure è solo dai risultati d’un simile lavoro che può <strong>di</strong>pendere la rilevanza<br />
storica della partecipazione al movimento riformatore <strong>di</strong> strati sociali<br />
dei quali, per Bologna, abbiamo assunto come prototipo il droghiere<br />
Rinal<strong>di</strong>. Sollecitazioni e stimoli intellettuali che evoluzioni in<strong>di</strong>viduali<br />
ricevono dal contesto in cui esse avvengono, ed esiti non meccanici d’una<br />
propaganda stimolatrice qui sono essenziali.<br />
La presenza <strong>di</strong> Tommaso Bavellino tra i complici del Rinal<strong>di</strong>, oltre<br />
che prova della vivacità e dell’audacia delle <strong>di</strong>scussioni che si svolgevano<br />
in quel circolo, è anche prova che esso era parte <strong>di</strong> quella più ampia fascia<br />
<strong>di</strong> interlocutori ai quali Giovan Battista Scotti rivolgeva, come s’è<br />
visto, la sua intensa propaganda con oculata <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> libri e <strong>di</strong><br />
ammaestramenti orali. Ed è persino inimmaginabile che, in un circolo<br />
frequentato da un uomo della levatura intellettuale <strong>di</strong> Angelo Ruggeri e<br />
nel quale poteva maturare persino l’esigenza d’un popolano <strong>di</strong> accedere<br />
alle interpretazioni neotestamentarie <strong>di</strong> Erasmo, non giungessero gli effetti<br />
<strong>di</strong> quelle forme <strong>di</strong> propagazione delle nuove idee rilevate nel già ricordato<br />
decreto del 12 luglio 1543. Delle due sole opere che in quel decreto<br />
venivano segnalate nominativamente – il Pasquino in estasi e le Pre<strong>di</strong>che<br />
dell’Ochino – la prima fu certamente tra le letture del Rinal<strong>di</strong>; 192 e<br />
dopo quanto s’è detto precedentemente, non occorre insistere sugli effetti<br />
sollecitatori d’una simile lettura. Influenza più precisamente riscontrabile<br />
sull’evoluzione religiosa del Rinal<strong>di</strong> ebbe un altro scritto del Curione,<br />
il Pasquino incarcerato. 193<br />
192 JOSEPH HILGERS, Der Index der verbotenen Bücher cit., p. 484; Bologna, Biblioteca Comunale<br />
(Archiginnasio), Ms. B. 1927, c. 2r: «Vi<strong>di</strong>t Pasquinum in estesi sibi constituto tra<strong>di</strong>tum<br />
a quodam filio Marci de Covellis».<br />
193 Ibid., c. 2r: «Et quidam magister Alexander [Gan<strong>di</strong>no] habet librum Pasquini carcerati».<br />
Del libello si conosce soltanto il testo latino in due redazioni, pubblicate entrambe in<br />
Pasquillus ecstaticus cit., pp. 182-201 (Iu<strong>di</strong>cium Pasquilli, seu Pasquillus captivus), pp. 253-286<br />
(Exemplum processus sive actionis adversus Pasquillum a Pontifice Paulo tertio in concilio Car<strong>di</strong>nalium<br />
institutae). La seconda redazione informa, dopo il titolo: «Ex Italica in Germanicam, et ex<br />
~ 121 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Libello <strong>di</strong> piccola mole, il Pasquino incarcerato non presentava, certo,<br />
nulla <strong>di</strong> paragonabile all’impressionante gran<strong>di</strong>osità tragicomica della visione<br />
del cielo papistico del Pasquino in estasi. Ma la sua efficacia propagan<strong>di</strong>stica<br />
non era da meno. Scritto dopo la riorganizzazione dell’Inquisizione,<br />
esso era l’immaginaria e tempestiva descrizione d’un processo <strong>di</strong>retto<br />
dal car<strong>di</strong>nal Carafa alla presenza della corte pontificia. Le imputazioni<br />
e le risposte dell’imputato componevano la somma dei nuovi principi<br />
<strong>di</strong> fede che il Curione vedeva messi in causa e dei quali inculcava,<br />
con la descrizione del comportamento <strong>di</strong> Pasquino («hic sum in imo turris<br />
neque erubesco vinctus caussa Christi»), la necessità della professione<br />
aperta. 194 La rispondenza delle imputazioni rivolte contro Pasquino agli<br />
errori confessati dal Rinal<strong>di</strong> fa <strong>di</strong> questo libretto del Curione la trama<br />
delle riflessioni che sottostanno alle <strong>di</strong>chiarazioni del Rinal<strong>di</strong> stesso nella<br />
pur schematica registrazione processuale del suo inquisitore. Come nel<br />
caso delle Pre<strong>di</strong>che dell’Ochino, anche in quello del Pasquino incarcerato<br />
c’era, come vedremo, almeno una ragione particolare perché esso destasse<br />
l’interesse <strong>di</strong> lettori bolognesi. In risposta all’accusa <strong>di</strong> negare l’efficacia<br />
delle opere, ovviamente Curione mette in bocca a Pasquino contestazioni<br />
sapientemente intessute <strong>di</strong> riferimenti testamentari. 195 Ma in questo<br />
violento libello Curione non intese montare lo scenario <strong>di</strong> una <strong>di</strong>sputa<br />
sulla giustificazione: gli premeva denunciare ciò che per lui era l’esito<br />
preve<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> speranze cullate da molti negli anni precedenti («O quam<br />
stupidum est vulgus, quam ignarus orbis, posteaquam sperat vestris con-<br />
Germanica rursus in Latinam a quodam pietatis stu<strong>di</strong>oso conversum». La menzione del<br />
Pasquillus captivus nel processo del Rinal<strong>di</strong> prova ora che il libello fu scritto certamente nel<br />
1542. Più precisamente, è da ritenere che fu scritto posteriormente al 21 luglio 1542, data<br />
della bolla (Licet ab initio) <strong>di</strong> istituzione del Sant’Ufficio: a p. 182 il «Rabbinum quendam cacologiae<br />
peritissimum, inquisitorem primarium, Daemonicanum, hostem evangelii» è il car<strong>di</strong>nal<br />
Carafa (cfr. p. 184). Se non sono intervenuti ritocchi nella traduzione in latino, il libello<br />
è da considerare scritto posteriormente alla morte del Contarini (24 agosto 1542): «Interrogare<br />
Car<strong>di</strong>nalem Contarenum vestrum poteratis, num hunc articulum concesserit protestantibus,<br />
illum scilicet verum et sanctum (quemadmodum est) agnoscens, etsi vos illum in<br />
consistorio vestro noluistis comprobare: quod si hunc negatis, quem concedetis?» (p. 190).<br />
Lo stesso riferimento al Contarini nell’Exemplum processus sembra, invece, in<strong>di</strong>care che questo<br />
fu scritto prima della morte del prelato veneziano: «Quaerite ex Car<strong>di</strong>nali Contareno,<br />
num Lutheranis hoc axioma in comitiis Ratisbonensibus concesserit. Certe catholicum hoc<br />
et sanctum, ut est, confessus fuit, licet in conciliabulo ut parum recte concessum nolueritis».<br />
Segue quella che è una probabile aggiunta: «Interim bonus ille Contarenus Bononiae ob hanc<br />
confessionem pharmaco interiit: quod ipse non multis horis antequam animam ageret, confessus<br />
fuit» (p. 267).<br />
194 Iu<strong>di</strong>cium Pasquilli cit., p. 201.<br />
195 Ibid., pp. 188-189.<br />
~ 122 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
ciliis restitutam iri ecclesiam Dei»), 196 insomma, il crollo d’ogni aspettativa<br />
<strong>di</strong> riforma <strong>di</strong> iniziativa romana. In una situazione in cui fede e opere sono<br />
assunte come contrassegni <strong>di</strong> scelte ormai inconciliabilmente contrapposte,<br />
sulla bocca <strong>di</strong> Pasquino la negazione dell’efficacia delle opere<br />
non può che mutarsi in denuncia delle opere della Chiesa stessa: «Haec<br />
sunt opera vestra». 197 E la denuncia era fondata sulla contrapposizione<br />
tra Scritture e canoni («An non estis Christiani? non legitis Scripturas<br />
sacras?», chiede Pasquino; e il tribunale: «Sunt nobis statuta nostra, decreta<br />
nostra et decretalia»). 198 Lettori particolarmente <strong>di</strong>sponibili ad accogliere<br />
la prospettiva polemica del Curione erano perciò quanti già avevano<br />
assunto le Scritture come unico termine <strong>di</strong> confronto tra verità <strong>di</strong><br />
fede e pratiche religiose: un’humus religiosa in parte preesistente a questi<br />
impulsi alla denuncia dell’istituzione ecclesiastica provenienti da scritti<br />
come quello del Curione; ma neppure o non più riconducibile a caratterizzazioni<br />
vaghe come «evangelismo», «paolinismo» ecc. In ceti colti, un<br />
tale rapporto <strong>di</strong>retto tra Scritture e pratica religiosa generava critica consapevole<br />
e si mutava in una progressiva eliminazione ragionata dell’autorità<br />
della tra<strong>di</strong>zione. Nei ceti popolari generava critica e rifiuto della funzione<br />
normatrice dell’istituzione ecclesiastica, con argomenti in cui il richiamo<br />
alle Scritture si combinava con constatazioni suggerite dall’esperienza<br />
quoti<strong>di</strong>ana e dalla saggezza popolare: Francesco Tavani – un tessitore<br />
la cui partecipazione ai circoli eterodossi inizia a Bologna nei primi<br />
anni Quaranta e si chiude a Modena con un terzo processo <strong>di</strong> tre decenni<br />
dopo – <strong>di</strong>ceva ai suoi salariati che non trovava nelle spole e nelle navelle<br />
con le quali tesseva la «dottrina» secondo la quale gli or<strong>di</strong>ni men<strong>di</strong>canti<br />
dovevano vivere <strong>di</strong> elemosine; e a un popolano del contado modenese,<br />
Natale Andreotti, «pareva gran cosa che si potesse aiutare un morto<br />
co’ danari, massimamente da un povero a un ricco che non ne habia bisogno<br />
et che non gli li domanda». 199 A questa critica frammentaria <strong>di</strong><br />
aspetti incongruenti della realtà ecclesiastica, desunta dall’esperienza quoti<strong>di</strong>ana<br />
e con una logica elementare, scritti come il Sommario della Sacra<br />
Scrittura o le Pre<strong>di</strong>che dell’Ochino o gli scritti pasquilleschi del Curione<br />
sostituivano, con quella loro efficace mescolanza <strong>di</strong> principi e <strong>di</strong> rappre-<br />
196 Ibid., p. 190.<br />
197 Ibid., p. 193.<br />
198 Ibid., p. 183.<br />
199 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 5, processo Francesco Tavani,<br />
costituto del 7 ottobre 1579; processo Natale Andreotti da Nirano, costituto del 14 aprile<br />
1572.<br />
~ 123 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
sentazione, una chiave <strong>di</strong> interpretazione che trascendeva l’orizzonte sociale<br />
dell’esperienza quoti<strong>di</strong>ana: fornivano una rappresentazione globale<br />
della realtà ecclesiastica e delle sue ra<strong>di</strong>cazioni nella società come costruzione<br />
religiosamente e socialmente mistificante. Il percorso religioso del<br />
Rinal<strong>di</strong> è tipico. Il riferimento alle Scritture (forse con qualche incursione,<br />
me<strong>di</strong>ata da appartenenti al circolo <strong>di</strong> cui faceva parte, nelle annotazioni<br />
neotestamentarie <strong>di</strong> Erasmo) lo aveva <strong>di</strong>sincagliato dai primi dubbi,<br />
suscitatigli da una pre<strong>di</strong>cazione incerta e contrad<strong>di</strong>ttoria, sul problema<br />
della salvezza come alternativa inquietante tra fede e opere. Poi, a lui e ai<br />
suoi amici, il Pasquino in estasi aveva presentato quella visione sconcertante<br />
del cielo in cui la proiezione della Chiesa e delle sue articolazioni<br />
istituzionali rappresentava una somma <strong>di</strong> valori capovolti. Tra tutti i libri<br />
e libelli che circolarono a Bologna in quel periodo, non sarà stato, certo,<br />
il solo Pasquino incarcerato ad accendere fra il Rinal<strong>di</strong> e i suoi amici l’interesse<br />
e la <strong>di</strong>scussione sui fondamenti dell’istituzione ecclesiastica. 200 Ma è<br />
certo che furono la lettura e il contenuto <strong>di</strong> quel libello a dar forma alle<br />
loro riflessioni e a determinare l’andamento dei loro <strong>di</strong>scorsi. Le loro <strong>di</strong>scussioni<br />
su purgatorio, indulgenze e ricchezze della Chiesa ebbero la loro<br />
efficace base argomentativa nelle corrispondenti pagine del libello del<br />
Curione: il vero purgatorio del cristiano è la croce della sua stessa esistenza,<br />
durante la quale egli si purifica con la fede nel sacrificio <strong>di</strong> Cristo;<br />
la Chiesa gli propone, invece, una sorta <strong>di</strong> «pagatorium», una rete vastissima<br />
<strong>di</strong> pratiche, nella quale restano impigliate le anime degli incauti; le<br />
200 È ovvio che il possesso e la lettura del Pasquino incarcerato, documentati dal processo,<br />
e la corrispondenza precisa tra il contenuto del libello e le confessioni del Rinal<strong>di</strong> non escludono<br />
che scritti dello stesso genere abbiano alimentato le <strong>di</strong>scussioni sue e dei suoi amici. La<br />
documentazione qui utilizzata – da quella riguardante l’attività <strong>di</strong> Benedetto Accolti alle accuse<br />
contro Giovanni Battista Scotti e all’e<strong>di</strong>tto dell’Inquisizione del 12 luglio 1543 – prova<br />
l’ampia circolazione <strong>di</strong> analoga letteratura eterodossa a Bologna in quegli anni. Ma, quando<br />
si tratta <strong>di</strong> ricostruire i processi mentali <strong>di</strong> uomini come il Rinal<strong>di</strong>, occorre in<strong>di</strong>viduare letture<br />
e testi precisi, non surrogabili da testimonianze generiche o surrettizie. Non ho trovato,<br />
ad esempio, alcuna prova che circolasse a Bologna An den christlichen Adel deutscher Nation <strong>di</strong><br />
Lutero nell’anonima traduzione e manipolazione Libro de la emendatione et correctione <strong>di</strong>l stato<br />
Christiano, Anno MDXXXIII (uso uno dei due esemplari della Raccolta Guicciar<strong>di</strong>ni della<br />
Biblioteca Nazionale Centrale <strong>di</strong> Firenze, segnatura 3-3-333), contrariamente a quanto scrive<br />
SILVANA SEIDEL MENCHI, Sulla fortuna <strong>di</strong> Erasmo in Italia cit., p. 544 (cfr. EAD., Le traduzioni<br />
italiane <strong>di</strong> Lutero nella prima metà del Cinquecento, «Rinascimento», XVII, 1977, p. 64), dove è<br />
pubblicata (pp. 626-631) un’importante lettera, ine<strong>di</strong>ta ma già nota, <strong>di</strong> Giovanni Angelo<br />
Odoni a Martin Butzer, del 13 giugno 1534 da Venezia, nella quale si <strong>di</strong>ce che «hic» (cioè a<br />
Venezia) un libro «italice versus, cui titulus est de Ecclesiae instauratione» si vende «quatuor<br />
... marcellis argenteis» (cioè in moneta veneziana). Non si vede come questa lettera dell’Odoni<br />
possa documentare che il libro «andava a ruba» a Bologna!<br />
~ 124 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
indulgenze e le mille altre invenzioni <strong>di</strong>aboliche, con cui si inebriano gli<br />
sprovveduti, messe, bolle, visite delle chiese, anniversari, sono state escogitate<br />
«solum amplifican<strong>di</strong> caussa regnum Antichristi, ut uberiores reddantur<br />
census vestri». 201 E così sul resto delle <strong>di</strong>scussioni vagamente confessate<br />
dal Rinal<strong>di</strong> (o registrate schematicamente dall’inquisitore): il celibato,<br />
che s. Paolo attribuisce a suggerimenti del <strong>di</strong>avolo, copre un’immensa<br />
realtà <strong>di</strong> ipocrisia e <strong>di</strong> corruzione; 202 conventi, monaci e voti monastici<br />
sono <strong>di</strong>venuti una tale realtà che «si re<strong>di</strong>rent qui haec collegia<br />
constituerunt, ea ra<strong>di</strong>citus estirparent»; pronunciano voti «ut sibi mercentur<br />
para<strong>di</strong>sum» e fondano nuove regole «ne observent quae sunt<br />
Christi»; ingor<strong>di</strong> e <strong>di</strong> peso al mondo, dovrebbero essere costretti a guadagnarsi<br />
da vivere col sudore della fronte; non si vede quale utilità apporti<br />
alle vedove e ai poveri tutta quella loro profusione <strong>di</strong> ricchezza nel costruire<br />
cappelle e conventi. 203 Ma da questa rappresentazione del malcostume<br />
ecclesiastico, <strong>di</strong>venuta usuale nella libellistica <strong>di</strong> quegli anni (il<br />
malcostume monastico era anche al centro del Sommario della Sacra Scrittura),<br />
i popolani del circolo bolognese del Rinal<strong>di</strong> non traevano semplici<br />
denunce del genere tra<strong>di</strong>zionale dell’invettiva antiromana e antimonastica.<br />
Certo, la rappresentazione <strong>di</strong> tutto ciò che l’umanista Curione considerava<br />
effetto del potere catalettico dell’ignoranza e della superstizione<br />
traeva forza persuasiva anche dai riferimenti ad aspetti propri dell’orizzonte<br />
sociale <strong>di</strong> quei popolani: le ricchezze accumulate dalla Chiesa grazie<br />
a pratiche devote che, come lacciuoli invisibili, avvolgono e tengono<br />
«simplicem plebeculam intricatam et captivam»; 204 i costumi smodati degli<br />
or<strong>di</strong>ni men<strong>di</strong>canti «ex sudore et sanguine pauperum ociosi victitantes»; 205<br />
la credulità <strong>di</strong> tante povere conta<strong>di</strong>ne che, pur essendo state già defraudate<br />
del poco che possedevano per i loro figli, tuttavia destinano ancora<br />
qualcosa alla celebrazione <strong>di</strong> messe <strong>di</strong> suffragio; 206 e così via. Ma né queste<br />
rappresentazioni del Curione né le reazioni dei lettori del suo libello si<br />
rivolgevano solo contro una somma <strong>di</strong> abusi: la loro denuncia riguardava<br />
il principio che aveva rappresentato e rappresentava <strong>di</strong> per sé un’alternativa<br />
<strong>di</strong> corruzione, cioè l’esaltazione delle opere rispetto alla fede, dei<br />
meriti rispetto alla giustificazione per la sola fede. Un’alternativa <strong>di</strong> prin-<br />
201 Iu<strong>di</strong>cium Pasquilli cit., p. 185.<br />
202 Ibid., p. 186.<br />
203 Ibid., p. 197.<br />
204 Exemplum processus cit., p. 257.<br />
205 Ibid., p. 279.<br />
206 Iu<strong>di</strong>cium Pasquilli cit., p. 197.<br />
~ 125 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
cipio che il Curione evidenziava, collocando tra le contestazioni <strong>di</strong> Pasquino<br />
il richiamo – propagan<strong>di</strong>sticamente bene assestato – alle ultime<br />
vicende del Contarini: prima ne avevano <strong>di</strong>sapprovato le concessioni fatte<br />
a Ratisbona sul principio della giustificazione; poi lo avevano avvelenato.<br />
207 La confessione resa dal Rinal<strong>di</strong> all’inquisitore d’aver creduto e <strong>di</strong><br />
credere tuttora «quod ostium est Christus» e la congiunta confessione che<br />
la riflessione sua e del gruppo dei suoi amici si era spinta – per deduzione<br />
o per suggestioni tratte da scritti come quelli del Curione – alla denuncia<br />
degli aspetti fondamentali dell’istituzione ecclesiastica e delle sue ra<strong>di</strong>cazioni<br />
nella società, in<strong>di</strong>cano quale fosse il salto qualitativo della posizione<br />
assunta da quei popolani <strong>di</strong> fronte alla situazione religiosa del loro tempo:<br />
dalla satira anticlericale e dall’invettiva antimonastica <strong>di</strong> tipo tra<strong>di</strong>zionale,<br />
l’una e l’altra desunte da esperienze e constatazioni circoscritte al loro<br />
orizzonte sociale, erano passati alla convinzione che la riforma della<br />
Chiesa e della società che su <strong>di</strong> essa si modellava era possibile soltanto attraverso<br />
un mutamento <strong>di</strong> istituzioni e <strong>di</strong> princìpi.<br />
Dalle poche carte del processo del Rinal<strong>di</strong> non risulta che né lui né i<br />
suoi amici si spingessero fino ad affermare apertamente che la Chiesa era<br />
creazione dell’Anticristo. Per altre vie, o per le stesse vie percorse dal Rinal<strong>di</strong>,<br />
era, invece, giunto a questa conclusione esplicita Ludovico Medegini.<br />
L’assidua lettura del Vangelo e dei «santi padri» l’aveva convinto che<br />
«seguitar la fede <strong>di</strong> Christo secondo lo Evangelio et non secondo li moderni<br />
sacerdoti» significava rifiutare la me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> un’istituzione corrotta,<br />
che suggeriva precetti mistificanti: era sufficiente confessarsi «avanti<br />
a Dio»; la preghiera regolata da ritmi liturgici e imposta da precetti («<strong>di</strong>r<br />
determinatamente tanti pater noster et tante ave Maria») era una «pazzia»;<br />
«le giese sono apotheghe»; e come abbiamo già visto, aveva finito col<br />
considerare la Chiesa un’istituzione interamente pervasa dallo spirito dell’Anticristo,<br />
a partire dalla donazione <strong>di</strong> Costantino. 208 Più significativo è<br />
il fatto che a Bologna a questa stessa conclusione era giunto colui che si<br />
considerava ed era considerato il mentore dell’intero movimento, Giovanni<br />
Battista Scotti: il suo accusatore, Domenico Rocca, riferì all’inquisitore<br />
che, in «congregationi et adunationi <strong>di</strong> ogni sorta <strong>di</strong> gente», lo<br />
Scotti aveva insegnato che il papa era l’Anticristo, essendo contrario agli<br />
207 Cfr. sopra, nota 193. Sulle voci <strong>di</strong> morte per avvelenamento del Contarini ve<strong>di</strong> GI-<br />
GLIOLA FRAGNITO, Gasparo Contarini cit., pp. 274, 296, 298.<br />
208 Cfr. sopra, nota 185.<br />
~ 126 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
insegnamenti <strong>di</strong> Cristo tutto il suo operato. 209 A <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> vent’anni, il<br />
Rocca ricordava ancora uno dei «molti passi della Scrittura» che lo Scotti<br />
aveva addotto al riguardo: il versetto <strong>di</strong> Matteo, XXIII, 2, Super cathedram<br />
Moysi sederunt scribae et pharisaei. Vedremo almeno altri due casi in cui<br />
questo riferimento scritturistico ebbe un rilievo particolare.<br />
L’equivalenza <strong>di</strong> Anticristo e Chiesa romana era una delle convinzioni<br />
alle quali si era giunti in un vero e proprio sodalizio bolognese, del<br />
quale facevano parte uomini <strong>di</strong> chiostro ed esponenti dello Stu<strong>di</strong>o e del<br />
patriziato e la cui importanza è stata messa in risalto da stu<strong>di</strong> recenti per<br />
la partecipazione <strong>di</strong> Ulisse Aldrovan<strong>di</strong> e <strong>di</strong> Lelio Sozzini. 210 Non vi era<br />
estraneo il gusto della derisione <strong>di</strong> aspetti superstiziosi della pratica religiosa<br />
e del culto, e ad<strong>di</strong>rittura l’escogitazione beffarda <strong>di</strong> analogie con i<br />
fondamenti dei dogmi; né si escludeva – come nel caso del Sozzini – la<br />
manifestazione pubblica <strong>di</strong> protesta. 211 La nozione <strong>di</strong> Anticristo vi era intesa<br />
come pervasiva dell’intera realtà ecclesiastica: il «moderno papa» è<br />
l’Anticristo previsto in «molti detti [...] della Scrittura»; la Chiesa romana<br />
è fondata sull’adulterazione del pensiero dei «dottori»; essa è «synagoga<br />
del <strong>di</strong>avolo», quella «germanica santa et giusta». Non era esclusa la partecipazione<br />
<strong>di</strong> popolani: per dubbi sull’eucaristia si rivolse all’Aldrovan<strong>di</strong> il<br />
calzolaio Bernardo Brascaglia, vent’anni dopo giustiziato come sostenitore<br />
dell’idea che la Chiesa era personificazione dell’Anticristo. 212 A metà<br />
del 1549 la <strong>di</strong>spersione <strong>di</strong> questo circolo non pose fine alla partecipazione<br />
dell’élite colta e del patriziato al movimento eterodosso bolognese. Lo si<br />
209 MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone<br />
cit., IV, pp. 465-466.<br />
210 Ve<strong>di</strong> pp. 285-290. Il primo dei due costituti, in data 5 luglio 1549, del processo<br />
contro Ulisse Aldrovan<strong>di</strong> (in copia mandata all’inquisizione <strong>di</strong> Modena) è e<strong>di</strong>to in CAMILLO<br />
RENATO, Opere cit., pp. 224-227. Il secondo, in data 13 giugno (nell’originale, probabilmente<br />
per errore del copista, luglio), è in Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Inquisizione, busta 6, Processi<br />
1575-1580), fasc. «Miscellanea». L’annotazione, in calce al secondo costituto: «Isti sunt<br />
contestes; desunt alii singulares graviores» <strong>di</strong>mostra che le nove persone menzionate nel documento<br />
erano solo una parte dei membri <strong>di</strong> quel sodalizio.<br />
211 Cfr. costituto del 13 giugno: «Dicea che l’hostia consecrata gli facea racordar l’andata<br />
del pontico nelle forze della gatta, la qual, doppo il trastular con esso, il magna»; «Sonando<br />
<strong>di</strong> festa la città per le rogationi, messer Ulisse mi <strong>di</strong>cea nella camera soa: ‘Ol<strong>di</strong>, ol<strong>di</strong> l’idolatria’».<br />
Sulla protesta pubblica del Sozzini ve<strong>di</strong> LELIO SOZZINI, Opere cit., pp. 31-32.<br />
212 La menzione del Brascaglia è nel costituto del 5 luglio (cfr. CAMILLO RENATO, Opere<br />
cit., p. 225); la sentenza della sua condanna a morte, in data 28 gennaio 1567 in ANTONIO<br />
BATTISTELLA, Il S. Officio cit., pp. 182-184 (p. 182: «... contra Pontificem romanum quod sit<br />
Antichristus, non maioris auctoritatis quam ceteri homines»). Il resto, nel cit. costituto del<br />
13 giugno.<br />
~ 127 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
vide vent’anni dopo, quando l’inquisitore Antonio Balduzzi mise in atto<br />
la stessa severa azione repressiva con cui aveva operato Girolamo Muzzarelli.<br />
Agli inizi del 1567, la fuga in Valtellina del più noto inquisito bolognese<br />
<strong>di</strong> quell’anno, Giovanni Battista Bovio, fu, non l’esito della vicenda<br />
religiosa d’un isolato, ma il <strong>di</strong>stacco da un contesto <strong>di</strong> complicità e <strong>di</strong><br />
contemporanee condanne <strong>di</strong> uomini dello stesso ceto sociale alto: pochi<br />
mesi dopo, il gentiluomo Matteo Lupari confesserà d’aver «dato certi denari<br />
ad uno heretico, per mandarli a Chiavenna a Battista dei Boi heretico<br />
fugitivo». 213 E la sentenza <strong>di</strong> condanna a morte in contumacia <strong>di</strong> Girolamo<br />
Vittori delinea una figura la cui attività determinò la sorte degli altri<br />
numerosi gentiluomini (Paolo e Matteo Lupari, Antonio Ludovisi, Girolamo<br />
Guastavillani, Ludovico Fiera) che nello stesso anno il Balduzzi sottopose<br />
a processo. 214<br />
Sembra, invece – per quanto è possibile dedurre da una documentazione<br />
estremamente frammentaria – che l’azione inquisitoria del 1549<br />
abbia posto fine a quella promiscuità sociale che aveva caratterizzato il<br />
movimento eterodosso bolognese nel decennio precedente. È quanto risulta<br />
dalle vicende ancora sconosciute d’un consistente gruppo <strong>di</strong> popolani<br />
– merciai, tessitori, tintori, battilana, pittori, stracciaiuoli, sarti, cia-<br />
213 Dublino, Library of Trinity College, ms. 1224, c. 165 (cfr. T. K. ABBOTT, Catalogue<br />
of the Manuscripts in the Library of Trinity College, Dublin, Dublin and London, 1900, n. 89, p.<br />
248; KARL BENRATH, Atti degli Archivi romani della Biblioteca della Trinità in Dublino, «La rivista<br />
cristiana», VIII, 1880, p. 141). Per l’identificazione esatta della figura e della provenienza sociale<br />
del Bovio ve<strong>di</strong> ora MARIO FANTI, Un progetto cit., pp. 326-330; sul suo pensiero durante<br />
l’esilio DELIO CANTIMORI, Eretici italiani del Cinquecento cit., pp. 313-315, 343.<br />
214 ANTONIO BATTISTELLA, Il S. Officio cit., p. 185: «... se veluti caput et magistrum in civitate<br />
Bononia professum fuisse, esse, habuisse errores et haereses huiusmo<strong>di</strong> et inter alios<br />
<strong>di</strong>sseminando et quamplures personas edocendo et in talibus erroribus et haeresibus inducendo<br />
et instruendo et aliis haereticis libros haereticales ope, consilio et auxilio favisse eosque<br />
caeteros ad scholam et in propriis ipsius Hieronymi ae<strong>di</strong>bus convocando et ipsis convocatis<br />
legendo et cum eis super talibus erroribus et haeresibus ut in suum sensum et errores<br />
ipsos ac haereses traheret et confirmaret tractando, <strong>di</strong>sputando, <strong>di</strong>sserendo, aliquid <strong>di</strong>cendo<br />
et faciendo ac procurando ut quamplures lucrifaceret ad sui ipsius ac caeterorum haereticorum<br />
sectam per<strong>di</strong>tissimam». La sentenza è del 22 marzo 1567. La data delle sentenze riguardanti<br />
gli altri gentiluomini bolognesi (20 settembre 1567) sembra in<strong>di</strong>care che il proce<strong>di</strong>mento<br />
contro <strong>di</strong> loro fu una conseguenza del processo contro il Vittori. Nella sentenza <strong>di</strong><br />
condanna del Guastavillani si legge: «Havendo notitia il padre Inquisitore <strong>di</strong> Bologna che tu,<br />
Hieronimo Guastavillani, figliuolo <strong>di</strong> messer Angelo Michele gentilhuomo bolognese, eri<br />
sospetto de heresia et che, essendo stato a<strong>di</strong>mandato se sapevi che Hieronimo Vittorio fosse heretico<br />
et in casa sua si facessero conventicole, l’havevi negato, sapendo essere vero» (Dublino, Library<br />
of Trinity College, ms. 1224, cc. 203r-204r). Per la presenza del Vittori a Ginevra nel<br />
1567 ve<strong>di</strong> JEAN BARTHÉLEMY G. GALIFFE, Le refuge italien de Genève aux XVI e et XVII e siècles,<br />
Genève, H. Georg, 1881, p. 159.<br />
~ 128 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
battini – la cui attività durò ininterrotta per due decenni. 215 Si muovevano<br />
tutti, <strong>di</strong> preferenza, nel mondo mobilissimo dei tessitori, tra Bologna,<br />
Modena, Ferrara, Venezia, Mantova: il tessitore Tommaso Bavellino –<br />
che è quanto meno alle origini della formazione <strong>di</strong> questo gruppo, prima<br />
<strong>di</strong> sparire del tutto dagli atti inquisitoriali se non, come abbiamo già visto,<br />
per il ricordo vivissimo che aveva lasciato <strong>di</strong> sé tra i suoi complici –<br />
si sposta a suo agio tra Bologna, Modena e Ferrara, a seconda dell’andamento<br />
dell’azione repressiva nelle tre città; per gli stessi motivi, Francesco<br />
Tavani sposta almeno due volte, da Modena a Bologna e poi da Bologna<br />
a Modena, la sua azienda tessile (che nel 1579 comprendeva, tra<br />
l’altro, «due tellari da panno» e «uno da rassette basse»), sempre incontenibile,<br />
in entrambe le città, nel <strong>di</strong>chiarare ai suoi <strong>di</strong>pendenti avversione<br />
ra<strong>di</strong>cale alle strutture ecclesiastiche (con evidente allusione a uno dei testi<br />
più ricorrenti nella pubblicistica sull’Anticristo, II Thess., II, 4, <strong>di</strong>ceva<br />
che il papa «si facea adorare»; e confesserà che, insieme con i suoi amici,<br />
aveva detto «d’ogni cosa contra la Santa Chiesa Romana»); proveniente<br />
da Venezia, dove, secondo il racconto della moglie Diana, era «<strong>di</strong>venuto<br />
heretico», si unì al gruppo bolognese il tessitore Antonio Albertanza, irrefrenabile<br />
nel <strong>di</strong>r «male de’ preti et frati»; il tintore Rinaldo Brugato da<br />
Cento, dopo aver lavorato per quattro anni a Modena, viene anch’egli a<br />
integrarsi in questo gruppo bolognese <strong>di</strong> inquieti tessitori e, fuggito dalle<br />
carceri dell’inquisizione, muore nel 1571 in casa del tintore mantovano<br />
Alessandro Roveda, presso il quale s’era rifugiato in attesa <strong>di</strong> partire per<br />
Ginevra; 216 e così via. Nessuna delle pur numerose testimonianze che li<br />
215 Oltre che dal già cit. processo <strong>di</strong> Francesco Tavani (cfr. sopra, nota 199), notizie dettagliate<br />
su questo gruppo <strong>di</strong> popolani provengono dal processo del sarto modenese Marco<br />
Magnavacca, giustiziato il 22 febbraio 1567 (Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione,<br />
busta 4, Contra Marcum Magnavaccam tonsorem pannorum). Ricco <strong>di</strong> notizie, in particolare sulle<br />
relazioni che gli aderenti a quel gruppo intrattenevano col mondo dei tessitori fuori <strong>di</strong> Bologna,<br />
è il voluminoso incartamento riguardante Lucrezia Cavalieri, moglie del tintore romagnolo<br />
Rinaldo Brugato, complice del Magnavacca e fuggito dalla prigione bolognese<br />
(ibid., busta 5).<br />
216 Sul Bavellino ve<strong>di</strong> sopra, nota 163. Sul Tavani il suo processo già citato (cfr. sopra,<br />
nota 163), costituto del 16 novembre 1579, dove l’inquisito fa risalire agli anni Quaranta un<br />
suo soggiorno bolognese <strong>di</strong> 12-13 anni, e, con riferimento a un primo processo, «questo –<br />
<strong>di</strong>sse – fu dell’anno (credo) 1549». Nello stesso costituto: «Bacigavo poi alcuni seduttori i<br />
quali mi furono messi per le mani dal sudetto Antonio Amadeo et particolarmente mi messe<br />
per le mani un Giov. B. Rasaro et un maestro Marco Magnavacca [...]. Et mi ricordo anche<br />
che mi lodavano un messer Vincenzo Cenerini da Bologna, mercante da panno, con <strong>di</strong>rmi<br />
che loro era galanti huomini et particolarmente che Giov. Batt. Rasaro era litterato et che<br />
leggeva bene». Il riferimento al Bavellino e al Magnavacca documenta le origini dell’attività<br />
~ 129 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
riguardano fa riferimento a complicità in ambienti <strong>di</strong> livello sociale più<br />
alto. Anche i loro processi sono degli anni 1566-1567, cioè contemporanei<br />
ai processi contro il Vittori e contro il Bovio; ma è una contemporaneità<br />
che si spiega con la severità dell’azione repressiva cui subito aveva<br />
dato impulso anche a Bologna la recente elezione <strong>di</strong> Pio V Ghislieri. Insomma,<br />
è forte l’impressione che, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto era accaduto negli<br />
anni Quaranta, ci fosse ora una netta <strong>di</strong>varicazione tra il mondo religioso<br />
<strong>di</strong> questi popolani e la cerchia dei gentiluomini che si riunivano attorno<br />
al Vittori. Neppure può essere considerata una testimonianza <strong>di</strong> relazioni<br />
e <strong>di</strong> osmosi <strong>di</strong> idee la coincidenza tra la convinzione <strong>di</strong> questi artigiani<br />
che non fosse lecito uccidere gli eretici («Quod ecclesia non deberet<br />
effundere sanguinem haereticorum») 217 e quanto pochi anni dopo il<br />
Bovio sostenne in Valtellina. 218 Si tratta <strong>di</strong> idee la cui <strong>di</strong>ffusione nei ceti<br />
popolari non presuppone necessariamente, per decenni così inoltrati del<br />
Cinquecento, la frequentazione e la me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> ceti colti. L’impressionante<br />
complesso <strong>di</strong> dottrine ereticali che nel 1570 l’inquisitore <strong>di</strong> Ferrara,<br />
Paolo Costabili, poté attribuire (parte per confessione, parte in base<br />
a testimonianze) al conta<strong>di</strong>no modenese Pellegrino Baroni non è spiegabile<br />
con una sua frequentazione della «casa <strong>di</strong> qualche gentilhuomo» che,<br />
ipotizzata come ovvia dal visitatore della <strong>di</strong>ocesi modenese, è stata confermata<br />
con buone congetture come esperienza fatta soltanto trent’anni<br />
prima in casa <strong>di</strong> gentiluomini bolognesi. 219 Nel frattempo la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong><br />
del gruppo e insieme la sua continuità come è documentata dal processo del Magnavacca<br />
stesso. L’inventario, in data 19 novembre 1579, dei beni del Tavani, affidati alla moglie Camilla<br />
Marescotti, in Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 1, alla data. Per<br />
Antonio Albertanza (o Albertazzi) ve<strong>di</strong> il cit. processo <strong>di</strong> Lucrezia Cavalieri, costituto della<br />
moglie Diana, senza data; e nel costituto della stessa Lucrezia del 1 o settembre 1571 le notizie<br />
su Rinaldo Brugato; ve<strong>di</strong> anche il processo del Magnavacca, costituto del 17 <strong>di</strong>cembre<br />
1566. 217 La proposizione figura nelle due sentenze <strong>di</strong> condanna del Magnavacca, quella bolognese<br />
del 16 maggio 1560 e quella del 10 febbraio 1567 (entrambe nel cit. fascicolo del processo<br />
Magnavacca).<br />
218 DELIO CANTIMORI, Eretici italiani cit., p. 315.<br />
219 L’ipotesi del visitatore della <strong>di</strong>ocesi modenese, fra Girolamo da Montalcino, è in Archivio<br />
Vaticano, Concilio Tridentino, filza 94: Visita della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Modena, 1565, c. 82r: «In<br />
quel populo [Savignano sul Panaro] v’è Pelegrino Grasso, concubinario, lutherano, quale fu<br />
accusato dal visitatore, anzi, minacciato, si fuggì da Modena, intendo <strong>di</strong>re essere ripatriato.<br />
Questo è un povaro conta<strong>di</strong>no infermo, bruttissimo, basso <strong>di</strong> statura. Parlando con esso, mi<br />
faceva stupire, <strong>di</strong>cendo cose false, ma ingegniose, per il che ho giu<strong>di</strong>cato che l’habbia imparate<br />
in casa <strong>di</strong> qualche gentilhuomo» (cfr. CARLO GINZBURG, Il formaggio e i vermi cit., pp.<br />
136-145, in partic. p. 140). «Povaro conta<strong>di</strong>no» è da intendersi come espressione <strong>di</strong> compatimento.<br />
In realtà, il Baroni, generoso nel fare elemosine (Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo<br />
~ 130 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
dottrine <strong>di</strong> provenienza anabattista era stata larghissima anche tra popolani<br />
le cui vicende e le cui idee non sono sempre riportabili all’ambito del<br />
movimento anabattista così come risulta delimitato nella nota delazione<br />
<strong>di</strong> don Pietro Manelfi. Ora, se, per Bologna, le testimonianze tuttora a<br />
<strong>di</strong>sposizione non documentano rapporti tra la cerchia del Vittori e il vivace<br />
gruppo bolognese <strong>di</strong> tessitori che Antonio Balduzzi <strong>di</strong>sperse negli<br />
stessi anni, esse documentano, invece, che al centro del loro mondo religioso<br />
vi fu la figura d’un popolano che già nel 1551 il Manelfi aveva denunciato<br />
come anabattista proprio in quella parte della sua delazione<br />
consegnata, a Bologna, nelle mani dell’inquisitore Leandro Alberti.<br />
Era giunto a Bologna probabilmente nel 1555. Lo conoscevano tutti<br />
– compreso il Manelfi – come Baldassarre «bambinaro», dal suo mestiere<br />
<strong>di</strong> fabbricante <strong>di</strong> bambole. 220 In un estratto del processo bolognese <strong>di</strong><br />
Marco Magnavacca (1566) è detto «Baldassar quondam Ioannis de Venetiis»;<br />
nella sentenza che il 22 gennaio 1567 deferì lui stesso al braccio se-<br />
Inquisizione, busta 6, Processi 1569-1573, «Liber duodecimus», processo Pighino Baroni, testimonianza<br />
<strong>di</strong> Andrea Martini del 21 maggio 1570), era un conta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni agiate,<br />
possedendo cinque pezze <strong>di</strong> terra «arborate a vite» e una pezza «casamentiva» in Savignano<br />
(ibid., Rettori: Modena e Modenese, Savignano, copialettere, f. 86r: «Pelegrino Baroni detto<br />
Grasso»). Molte delle idee che Pighino, secondo la <strong>di</strong>stinzione dell’inquisitore, confessò o gli<br />
vennero attribuite, erano ampiamente <strong>di</strong>ffuse nel contado modenese. Ad esempio, nel feudo<br />
<strong>di</strong> Nirano (presso Fiorano), Natale Andreotti sosteneva che «morto il corpo era morta l’anima»,<br />
con le stesse contrad<strong>di</strong>zioni rilevate da Ginzburg a proposito <strong>di</strong> Pighino (ve<strong>di</strong> processo<br />
Natale Andreotti da Nirano cit. alla nota 199, deposizione <strong>di</strong> Bernar<strong>di</strong>na Pellicani del 25<br />
gennaio 1574). A Monfestino, il prete Giovanni Tremanini, del quale un testimone <strong>di</strong>ceva<br />
«pare habbia devorato la Grecia» (l’inquisitore Camillo Campeggio lo descriveva così: «Presbyter<br />
quidam nomine Ioannes Tremaninus [...] modo huc modo illuc tamquam profugus se<br />
transfert et iu<strong>di</strong>cis faciem declinare studet») sosteneva pubblicamente (a detta d’un testimone,<br />
anche fra i conta<strong>di</strong>ni) che «l’anima è mortale». Questa convinzione del Tremanini risaliva<br />
a vent’anni prima, secondo la testimonianza <strong>di</strong> Giovanni Antonio Del Pino, che fra l’altro<br />
<strong>di</strong>chiarò: «Io ho inteso <strong>di</strong>re a esso don Giovanni che per il tempo passato havea tenuto et<br />
creduto morto il corpo perisse anchora l’anima, ma <strong>di</strong> puoi si era levato <strong>di</strong> questa openione<br />
per haver sentito al tempo <strong>di</strong> notte certi strepiti in un palazzo, per i quali haveva conosciuto<br />
che erano spiriti» (ibid., busta 3, Processi 1550-1565, «Liber octavus», processo Don Giovanni<br />
Tremanini, deposizione <strong>di</strong> Giovanni Antonio Del Pino del 23 agosto 1564). A Sassomolare<br />
(presso Pavullo), il conte Cesare Montecuccoli negava l’esistenza dell’inferno e l’immortalità<br />
dell’anima, secondo la testimonianza d’un gruppo <strong>di</strong> preti, che associavano tali credenze del<br />
Montecuccoli ai suoi costumi libertini (oltre che ai suoi soprusi ai danni della giuris<strong>di</strong>zione<br />
parrocchiale): ibid., busta 6, Processi 1569-1573, «Liber duodecimus», processo Cesare Montecuccoli,<br />
deposizione del 29 maggio 1570. E così via.<br />
220 Cfr. CARLO GINZBURG, I costituti <strong>di</strong> don Pietro Manelfi, Firenze, Sansoni, Chicago, The<br />
Newberry Library, 1970, p. 39: «Baldessera colla moglie, anabattisti». Nel suo costituto del<br />
13 agosto 1571, Lucrezia Cavalieri raccontò all’inquisitore che il marito Rinaldo era riuscito<br />
a fuggire da Bologna prima dell’arresto perché avvertito da un figlio <strong>di</strong> Baldassarre.<br />
~ 131 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
colare, «Baldassarre <strong>di</strong> Giovanni <strong>di</strong> Santa Maria del Gallo». 221 Quanti frequentavano<br />
la sua bottega e la sua abitazione soprastante per <strong>di</strong>scutere <strong>di</strong><br />
problemi religiosi, vi si recavano con circospezione: vi «convenivano<br />
non tutti in una volta – accertò l’inquisitore – ma quando una parte e<br />
quando un’altra [...] e tutti sapevano l’uno dell’altro». 222 Spesso, d’estate,<br />
«mentre il fromento era nelle spighe», ritenevano più prudente riunirsi<br />
fuori <strong>di</strong> Bologna, «nelli prati delli Crosati», oppure «verso il Monte», per<br />
stu<strong>di</strong>o comune del Testamento o anche per la lettura <strong>di</strong> scritti d’attualità<br />
religiosa (ad esempio, «alcuni fogli <strong>di</strong> carta scritta a mano [...] in <strong>di</strong>fesa<br />
del Vergellio, che già era fuggito per lutherano»). 223<br />
Con queste cautele e forse anche perché, morto Leandro Alberti<br />
(1552), si era perduta a Bologna la memoria della sua menzione nella delazione<br />
del Manelfi, per un decennio Baldassarre poté svolgere in<strong>di</strong>sturbato<br />
un’intensa propaganda. Parlatore accattivante («molto efficace e veloce<br />
nel parlare», secondo Pietro Lago), traeva autorevolezza dal racconto<br />
del proprio passato. Presentava le sue esperienze religiose come legate a<br />
una lunga pratica del mondo (parlava <strong>di</strong> «<strong>di</strong>versi viaggi <strong>di</strong> mare et combattimenti<br />
navali, dell’arsenale <strong>di</strong> Venezia» 224 ), a conoscenza <strong>di</strong> uomini e<br />
221 La sentenza è in Bologna, Archivio <strong>di</strong> Stato, Atti del Torrone, n. 393, 1567, cc. 57v-<br />
59v; l’estratto del processo, un ampio costituto del 1 o settembre 1566, è nel cit. processo del<br />
Magnavacca.<br />
222 Lettera dell’inquisitore <strong>di</strong> Bologna, Antonio Balduzzi, all’inquisitore <strong>di</strong> Modena Nicolò<br />
del Finale, del 26 novembre 1566, che accompagnava la copia <strong>di</strong> sei costituti del processo<br />
del Magnavacca, che perciò sono inclusi nel suo cit. fascicolo modenese. Scriveva il<br />
Balduzzi: «Et acciò Vostra Paternità habbi maggior lume in venire in cognitione della verità,<br />
l’avertirò d’alcuni particolari. Et prima che quelli che sono nominati nelle scritture che gli<br />
mando, cioè maestro Baldessara Venetiano, mastro Bernar<strong>di</strong>no Milanese agucchiarolo, maestro<br />
Marc’Antonio [da Manerbio] <strong>di</strong>pintore, maestro Piero chiamato Romagnolo, maestro<br />
Zanino Magnano, maestro Rinaldo tintore et esso maestro Marco cimatore, convenivano<br />
non tutti in una volta, ma quando una parte e quando un’altra nella casa del detto maestro<br />
Baldessara nella Mascharella, a trattare <strong>di</strong> queste cose heretice che sono deposte, e tutti sapevano<br />
l’uno dell’altro e si conoscevano per tali». Per <strong>di</strong>strazione, il Balduzzi non menziona<br />
Girolamo Castellati, del quale pure unisce copia <strong>di</strong> parte d’un costituto del 28 settembre<br />
1566. La sentenza <strong>di</strong> Bernar<strong>di</strong>no Rasola, in data 22 marzo 1567, in Bologna, Archivio <strong>di</strong><br />
Stato, Atti del Torrone, n. 393, 1567, cc. 316v-319r-v (cfr. ANTONIO BATTISTELLA, Il S. Officio<br />
cit., p. 99). In una successiva lettera del 17 <strong>di</strong>cembre, il Balduzzi comunicava che altri complici<br />
erano stati «maestro Marino Francese zavattino» e «un altro chiamato Alessandro Panzachia<br />
marzaro». La sentenza del Panzacchi in Bologna, Archivio <strong>di</strong> Stato, Atti del Torrone, n.<br />
393, 1567, cc. 313r-314r. Per la esecuzione, avvenuta l’8 ottobre, cfr. ANTONIO BATTISTELLA,<br />
Il S. Officio cit., p. 99.<br />
223 Processo <strong>di</strong> Marco Magnavacca, costituto del 17 <strong>di</strong>cembre 1567.<br />
224 Ibid., estratto dell’interrogatorio <strong>di</strong> Baldassarre del 1 o settembre 1566.<br />
~ 132 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
<strong>di</strong> eventi, a una lunga attività clandestina svolta a Venezia e a Ferrara: «Si<br />
vantava, sentendo io lui et gli altri compagni – testimonia il Magnavacca<br />
– che lui in Ferrara haveva insegnato et persuaso molti altri in questa fede<br />
lutherana in Ferrara et in Venetia, et ci <strong>di</strong>ceva che lui era stato ministro<br />
in Ferrara et haveva hospitalità in casa sua, perché la Duchessa vecchia <strong>di</strong><br />
Ferrara gli dava degli letti et danaro, tanto al mese, per alloggiare i lutherani<br />
forastieri che capitavano a Ferrara». 225 Non erano vanterie. Era giunto<br />
a Ferrara prima del 1543, anno in cui vi subì un processo, come risulta<br />
dalla sentenza bolognese del 1567. Nel 1555 Ambrogio Milanese, alias<br />
Girolamo Cavalli, <strong>di</strong>chiarò che, insieme con altri due anabattisti (un facoltoso<br />
orefice e un sarto <strong>di</strong> nome Filippo), Baldassarre aveva avuto libero<br />
accesso presso Renata ogni volta che gli era occorso danaro. 226 Agli<br />
amici bolognesi non nascose le sue convinzioni e la sua stessa identità <strong>di</strong><br />
anabattista: dalla sentenza risulta che aveva sostenuto l’inefficacia del battesimo<br />
degli infanti e la necessità del ribattesimo. Gli incartamenti processuali<br />
<strong>di</strong> Baldassarre e dei suoi complici, deferiti come lui al braccio secolare<br />
agli inizi del 1567, permetterebbero <strong>di</strong> verificare quali fossero, in<br />
quegli anni, le possibilità e le <strong>di</strong>fficoltà d’una propaganda volta intenzionalmente<br />
a ra<strong>di</strong>calizzare precedenti posizioni «luterane», a provocare il<br />
passaggio dal «luteranesimo» all’anabattismo («... et de Lutherano perfetto<br />
lo facessimo anabattista», spiegava il Manelfi 227 ). Ma la documentazione<br />
sopravvissuta non consente <strong>di</strong> <strong>di</strong>re se ebbero effetti i tentativi <strong>di</strong> Baldassarre<br />
<strong>di</strong> ra<strong>di</strong>care le sue convinzioni in quel gruppo nel quale pure era<br />
ascoltato come «precettore et maestro». 228 Le sole <strong>di</strong>chiarazioni (quelle del<br />
Magnavacca) nelle quali vengono evocate frammentariamente le <strong>di</strong>scussioni<br />
che le idee <strong>di</strong> Baldassarre suscitavano hanno il limite caratteristico<br />
<strong>di</strong> questo genere <strong>di</strong> fonti, cioè la reticenza: ora esse accennano a reazioni<br />
unanimi <strong>di</strong> rifiuto e ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> aborrimento, ora ammettono che vi<br />
fossero stati consensi e <strong>di</strong>ssensi. 229 Ciò su cui l’intera documentazione te-<br />
225 Processo Magnavacca, costituto del 17 <strong>di</strong>cembre 1566.<br />
226 BARTOLOMMEO FONTANA, Renata <strong>di</strong> Francia duchessa <strong>di</strong> Ferrara, Roma, Forzani e C.,<br />
III, 1899, p. LI. Il sarto Filippo è ricordato dal Manelfi (CARLO GINZBURG, I costituti cit., p. 39).<br />
227 IDEM, I costituti cit., p. 72.<br />
228 Processo Magnavacca, costituto del 19 <strong>di</strong>cembre 1566.<br />
229 Costituto del Magnavacca del 17 <strong>di</strong>cembre 1566: «Voleva che credessimo tutti tre<br />
[oltre al Magnavacca, Rinaldo Brugato e Giannino Magnano] che Christo non era nato <strong>di</strong><br />
Maria Vergine, ma che Dio haveva fabricato un bambino al modo suo et lo pose ai pie<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
Maria Vergine, et lei poi lo notrì et allatò, ma la cosa ci spiacque tanto a tutti, che mostrassimo<br />
<strong>di</strong> aborirla molto, che poi lui non hebbe ar<strong>di</strong>re <strong>di</strong> proseguire più tal pazzia. Et alle volte<br />
mi trovava solo et mi <strong>di</strong>ceva: ‘‘Io ho da <strong>di</strong>re <strong>di</strong> gran cose, ma ..., et non seguiva più inanti,<br />
~ 133 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
stimonia unanimità è la ra<strong>di</strong>cale condanna delle istituzioni ecclesiastiche.<br />
Su questo punto, il presupposto della propaganda <strong>di</strong> Baldassarre era, evidentemente,<br />
quello che gli anabattisti italiani avevano posto, secondo il<br />
Manelfi, tra i punti qualificanti della loro dottrina: «Tenere la Chiesa romana<br />
essere <strong>di</strong>abolica et antecristiana». 230 In sede processuale, l’affermazione<br />
sarebbe stata gravissima; e Baldassarre e i suoi amici <strong>di</strong>ssimularono:<br />
<strong>di</strong>ssero che negavano «l’authorità del papa», genericamente; oppure che<br />
ne rifiutavano l’autorità temporale come usurpazione; e Baldassarre <strong>di</strong>ssimulò<br />
al punto <strong>di</strong> affermare «ch’el papa fosse vescovo <strong>di</strong> San Giovanni<br />
Latherano e non <strong>di</strong> più authorità ch’habbino gli altri episcopi». 231 Ma al <strong>di</strong><br />
là <strong>di</strong> queste <strong>di</strong>ssimulate attenuazioni delle loro convinzioni, il vero pensiero<br />
<strong>di</strong> Baldassarre e dei suoi amici sulle strutture ecclesiastiche e su tutto<br />
ciò che essi respingevano come «constitutioni humane», 232 non resta inattingibile.<br />
Lo lasciarono intravedere quando dovettero rispondere all’inquisitore<br />
sulla questione centrale d’ogni proce<strong>di</strong>mento inquisitorio: quali<br />
fossero i mezzi della salvezza. Marco Magnavacca <strong>di</strong>chiarò che era convinzione<br />
comune a tutti la certezza della grazia impetrata <strong>di</strong>rettamente da<br />
Dio, e perciò la certezza della salvezza («certus eras te habere gratiam Dei<br />
et gloriam consequuturum»). 233 La presenza preminente <strong>di</strong> Baldassarre farebbe<br />
pensare alla formulazione che <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>latabilissimo tema teologico<br />
era stata data nel sinodo anabattistico <strong>di</strong> Venezia del settembre del<br />
ma soggiongeva: Questo ‘ma’ vuole <strong>di</strong>re <strong>di</strong> gran cose’’». Ad altra domanda il Magnavacca risponde<br />
con incertezza: «Non solo io, ma anco gli altri [mostravamo] <strong>di</strong> credere contro li<br />
detti articoli [...] Potrebbe però ancor essere che qualcheduno delli predetti miei compagni<br />
non credesse così tutti li predetti articoli et gl’altri non nominati, ma hereticali però, et io<br />
ero uno <strong>di</strong> quelli che non credeno tutto quello che persuadeva il detto Baldassara».<br />
230 CARLO GINZBURG, I costituti cit., p. 33.<br />
231 Processo Magnavacca, costituto del 17 <strong>di</strong>cembre 1566; sentenza modenese del l o febbraio<br />
1567; estratto dell’interrogatorio <strong>di</strong> Baldassarre del 1 o settembre 1566. Nell’interrogatorio<br />
<strong>di</strong> Bernar<strong>di</strong>no Rasola, dello stesso giorno: «Dissero anchora che il papa non haveva authorità<br />
alcuna et che le sue cose valevano niente et che faceva per cavare denari».<br />
232 Ibid., costituto del 17 <strong>di</strong>cembre 1566.<br />
233 La proposizione è nella sentenza modenese del Magnavacca già citata (cfr. sopra, nota<br />
231). L’abiura bolognese (cfr. ibid.): «Item iuro me credere corde et profiteor ore quod<br />
homo absque speciali Dei revelatione non potest esse certus se habere gratiam Dei et debere<br />
salvari. Et consequenter abiuro, revoco, detestor et abnego illam haeresim qua <strong>di</strong>xi me esse<br />
certum habere gratiam Dei et gloriam consequuturum». Nella versione <strong>di</strong> Baldassarre, secondo<br />
l’estratto del suo interrogatorio del 1 o settembre 1566: «Del libero arbitrio io tenevo<br />
questo, che noi non potevamo cosa alcuna senza la gratia d’Id<strong>di</strong>o; ma, aiutati dalla gratía<br />
d’Id<strong>di</strong>o, eramo poi liberi ad ogni cosa, et tutti <strong>di</strong>cevamo et tenevamo che, quando Dio dona<br />
la gratia ad alcuno, l’homo è sforzato ad accettarla et non gli può fare resistenza».<br />
~ 134 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
1550: «Gli eletti essere giustificati per la eterna misericor<strong>di</strong>a et charità <strong>di</strong><br />
Dio senza nessuna opera visibile; intendendo senza la morte, il sangue et<br />
gli meriti <strong>di</strong> Cristo». 234 Ma, o Baldassarre non aveva con<strong>di</strong>viso gli esiti del<br />
movimentato sinodo <strong>di</strong> Venezia, oppure <strong>di</strong>ssimulò: la fede nel beneficio<br />
della morte <strong>di</strong> Cristo ri<strong>di</strong>venta nelle sue <strong>di</strong>chiarazioni il fondamento della<br />
certezza della grazia e della salvezza. 235 Tra l’infinita misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dio e<br />
l’uomo, che egli salva gratuitamente, la Chiesa ha interposto «institutioni<br />
humane» fomiti <strong>di</strong> idolatria: indebitamente s’è costituita in surrettizio or<strong>di</strong>ne<br />
sacro, mentre l’unico sacerdote è Cristo; col culto dei santi ha <strong>di</strong>stolto<br />
dall’invocazione dovuta soltanto a Dio; versa il sangue degli eretici;<br />
stabilisce speciose <strong>di</strong>fferenze tra i peccati, che invece «sunt aequalia»,<br />
essendo l’unico peccato mortale «mori sine gratia Dei»; è idolatria l’eucaristia;<br />
idolatria il culto delle immagini, escogitato «pro libro ignorantium».<br />
Uno dei più assidui frequentatori <strong>di</strong> queste riunioni, il tessitore<br />
faentino Pietro Lago, sapeva in<strong>di</strong>care ai suoi amici quello che gli sembrava<br />
il luogo delle Scritture più adatto alla riflessione su questa abnorme<br />
costruzione satanica: il sesto capitolo <strong>di</strong> Baruch. 236<br />
6. A Modena patrizi e popolani <strong>di</strong>scutono dell’Anticristo<br />
Il modo in cui nel giugno del 1541 il Liber generationis Antichristi venne<br />
nelle mani del vicario della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Modena, Giovanni Domenico<br />
Sigibal<strong>di</strong>, è un episo<strong>di</strong>o caratteristico del genere <strong>di</strong> sorveglianza messo in<br />
atto dal vicario nel tentativo <strong>di</strong> identificare i responsabili della preoccupante<br />
<strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> dottrine eterodosse nella città. La rapida inchiesta che<br />
il Sigibal<strong>di</strong> formalizzò nella sede del vescovado all’insaputa, come sembra,<br />
del pur <strong>di</strong>namico inquisitore fra Domenico da Bergamo, mirò a tener<br />
segreta la fonte delle informazioni: un chierico, don Orio Bastar<strong>di</strong>,<br />
frequentatore resipiscente del circolo degli «accademici», convinto dal Sigibal<strong>di</strong><br />
a non rendere pubblica la propria resipiscenza, «per poter penetrar<br />
234 CARLO GINZBURG, I costituti cit., p. 35.<br />
235 Estratto dell’interrogatorio <strong>di</strong> Baldassarre del 1 o settembre 1566.<br />
236 Costituto del Magnavacca del 19 <strong>di</strong>cembre 1566: «... lessi alla presentia <strong>di</strong> detto Baldassarre,<br />
<strong>di</strong> detto Pietro, quel vecchio <strong>di</strong>pintore [Marcantonio da Manerbio], il detto Girolamo<br />
[Castellati], un capitolo capitale (?), cioè il sesto <strong>di</strong> Barucco profeta, che mi fu mostrato<br />
da detto Pietro col <strong>di</strong>to, <strong>di</strong>cendomi ch’io lo legessi, et lessi anco sopra il Testamento Novo<br />
un capitolo della epistola <strong>di</strong> s. Paolo alli Corinthi». Se la lettura dei due testi faceva parte<br />
d’un <strong>di</strong>scorso unitario, il secondo riferimento può essere a II Cor., XIII, 1 sgg.<br />
~ 135 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
li secreti loro». 237 I due interrogatori <strong>di</strong> cui si compone l’inchiesta non lasciano<br />
dubbi su un particolare rilevante: lo studente mantovano in viaggio<br />
da Bologna verso Mantova aveva consegnato il libello al mercante<br />
Alberto Baranzoni come ad amico, «ut ostendere posset aliquibus eius<br />
amicis». 238 Si tratta, dunque, d’un episo<strong>di</strong>o che rientra nel quadro delle<br />
iniziative e intenti propagan<strong>di</strong>stici comuni che erano alla base delle strette<br />
relazioni tra circoli eterodossi <strong>di</strong> Modena e <strong>di</strong> Bologna. 239 Se le <strong>di</strong>chiarazioni<br />
del Baranzoni non furono volutamente riduttive, la circolazione<br />
del Liber generationis Antichristi non sfuggì alla sorveglianza del Sigibal<strong>di</strong><br />
per più d’una settimana. Ma tanto era bastato perché, come s’è già visto,<br />
il governatore <strong>di</strong> Modena, Francesco Villa, potesse riferire a Ferrara che il<br />
libello era molto apprezzato («per pasquineria è molto lodata»). 240 La linea<br />
237 Ve<strong>di</strong> Documenti, 1, nota 3.<br />
238 Ibid., p. 195.<br />
239 Per gli inizi degli anni Quaranta, le testimonianze più significative sono quelle che<br />
riguardano l’attività bolognese <strong>di</strong> Giovanni Battista Scotti e <strong>di</strong> Benedetto Accolti. Per lo<br />
Scotti ve<strong>di</strong> MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale cit., II, pp. 246, 350,<br />
358-359, 362; IV, p. 467 (contatti personali e corrispondenza con Ludovico Castelvetro, Filippo<br />
Valentini, Gabriele Falloppia, Francesco Porto, Antonio Gadal<strong>di</strong>no, Francesco Camurana).<br />
Quanto all’Accolti, dopo la fuga da Bologna trovò ospitalità e libri a Modena e a Sassuolo.<br />
In particolare, egli stesso <strong>di</strong>chiarò d’aver trovato ospitalità e libri («un’infinità») in casa<br />
del me<strong>di</strong>co Niccolò Machella, una delle figure più prestigiose tra quante convenivano nel<br />
circolo verso il quale il Sigibal<strong>di</strong> aveva in<strong>di</strong>rizzato le prestazioni delatorie del suo chierico<br />
(cfr. RENZO RISTORI, Benedetto Accolti cit., p. 365). A conferma della <strong>di</strong>chiarazione dell’Accolti<br />
sui libri che aveva potuto leggere a Sassuolo, si veda la lettera <strong>di</strong> fra Domenico da Imola<br />
al Morone in data 7 giugno 1567: «Si tiene bene che il Bonvicino debbia <strong>di</strong>re <strong>di</strong> qualcuno<br />
che già erano suoi amici, a qualli ancho li dava de libri, et questo vogliano che sia circa le<br />
decine delli anni» (ANGELO MERCATI, Il sommario del processo <strong>di</strong> Giordano Bruno, con appen<strong>di</strong>ce <strong>di</strong><br />
documenti sull’eresia e l’inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano, Biblioteca<br />
Apostolica Vaticana, 1942, p. 141). Il Mercati (ibid.) propose congetturalmente <strong>di</strong> identificare<br />
il Bonvicino <strong>di</strong> questa lettera <strong>di</strong> fra Domenico da Imola con Buonvicini Possidonio. Si<br />
tratta, invece, <strong>di</strong> Tommaso Bonvicino, capitano e luogotenente <strong>di</strong> Ercole Pio. Il processo<br />
contro <strong>di</strong> lui è in Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 4, Processi 1567-1568,<br />
«Liber decimus», ricco <strong>di</strong> particolari sulla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> dottrine e libri eterodossi a Sassuolo e<br />
nella giuris<strong>di</strong>zione dei Pio (ad esempio, testimonianza <strong>di</strong> fra Pietro da Rimini del 3 luglio<br />
1566: «Ho sentito <strong>di</strong>re che lui ha una catastra de libri lutherani»; testimonianza <strong>di</strong> Giacomo<br />
Lolli del 5 febbraio 1567: «Morotto Bonvicino suo fratello, mi <strong>di</strong>sse ch’a lui Thomaso venevano<br />
le montagne de libri»). Un «avviso» da Roma in data 20 luglio 1568 informava: «È arrivato<br />
da Sassuolo il Bonvicino et è stato posto all’inquisitione, et così il mastro <strong>di</strong> casa <strong>di</strong><br />
donna Giulia Gonzaga» (ibid., Cancelleria ducale: Avvisi, busta 6, c. 363). Doveva essere libero<br />
già nel febbraio del 1570, se il 19 <strong>di</strong> quel mese Ercole Pio concede un privilegio a lui («doctor<br />
Thomas») e ai fratelli Morotto, Antonio e Domenico (ibid., Particolari: Bonvicini, sub<br />
Tommaso).<br />
240 Cfr. Documenti, 1, p. 192.<br />
~ 136 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
argomentativa, che già conosciamo, del libello neppure lascia dubbi su<br />
chi poteva leggerlo col pieno consenso e con le lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> cui parlava il Villa.<br />
Si trattava evidentemente <strong>di</strong> lettori non più <strong>di</strong>sposti soltanto a una polemica<br />
antiecclesiastica incentrata unicamente sulla denuncia degli abusi.<br />
Fu questo l’equivoco in cui cadde il Sigibal<strong>di</strong>, allorché tentò <strong>di</strong> dare una<br />
definizione complessiva <strong>di</strong> tutta quell’inau<strong>di</strong>ta eruzione <strong>di</strong> fermenti <strong>di</strong> ribellione<br />
che gli suggerì la rappresentazione <strong>di</strong> Modena come una nuova<br />
Praga. 241 Tutto ciò che il Sigibal<strong>di</strong> sembra fosse riuscito a capire era che i<br />
«lutheranizzanti» modenesi erroneamente deducessero dalla critica degli<br />
abusi la loro volontà <strong>di</strong> «esterminar l’authorità et potestà ecclesiastica et<br />
pontificia»: erroneamente, perché – <strong>di</strong>ceva – il fondamento <strong>di</strong> quell’autorità<br />
e potestà «non consiste ne li costumi, come loro presupponeno». 242<br />
Non affideremo la soluzione d’un simile problema a effimere lo<strong>di</strong> d’un<br />
pasquillo.<br />
Certo, c’erano ragioni perché il Sigibal<strong>di</strong> s’appigliasse a questa semplificazione.<br />
A Modena, la polemica contro la corruzione ai vertici e alla<br />
periferia dell’istituzione ecclesiastica continuava a essere violenta: una<br />
realtà ra<strong>di</strong>catasi nell’opinione pubblica specialmente negli anni della recente<br />
dominazione pontificia. Il cronista Tommasino Lancillotti registra<br />
un campionario inesauribile <strong>di</strong> simili reazioni. E Pasquino era stato, testimone<br />
lo stesso Lancillotti, un interlocutore dell’opinione pubblica modenese<br />
particolarmente irridente. Neppure il Sacco <strong>di</strong> Roma vi aveva suscitato<br />
forti emozioni; anzi, in anni più vicini a quelli che qui interessano,<br />
quello stesso evento poteva ad<strong>di</strong>rittura essere evocato come l’esempio<br />
d’altri eventi possibili, punitivi del malo esempio della curia e – nello<br />
stile ed espressioni <strong>di</strong> Pasquino – dell’idolatria romana dell’oro e dell’argento.<br />
243 Ma la sommaria assimilazione delle idee dei «lutheranizzanti»<br />
241 MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale cit., II, p. 897, lettera al<br />
Morone del 10 novembre 1540 (cfr. p. 695).<br />
242 Ibid., p. 885, lettera al Morone del 26 ottobre 1540.<br />
243 Non ne era rimasto emozionato il Lancillotti, che, sebbene uomo notoriamente pio,<br />
non esitò ad annotare che «Dio ha fatto un grande miracolo a punire tutta Roma da capo a<br />
piede» (TOMMASINO DE’ BIANCHI detto DE’ LANCELLOTTI, Cronaca modenese [«Monumenti <strong>di</strong><br />
storia patria delle provincie modenesi», Parma, Fiaccadori, II-XIII, 1862-1884], II, 1865, p.<br />
304). L’annotazione del Lancillotti è tanto più significativa in quanto segue alla trascrizione<br />
d’una violenta pasquinata che, giunta a Modena nel 1518, era stata rimessa in circolazione<br />
nel 1527 e che al cronista sembrò degna <strong>di</strong> nota «per essere al proposito al presente, e per essere<br />
accaduto è stato per le cause sottoscrite, perché el non se credeva se non in oro e argento»<br />
(ibid.). Gli e<strong>di</strong>tori ottocenteschi della Cronaca hanno omesso il testo della pasquinata, che<br />
si trova, oltre che nel ms. della Cronaca (Modena, Biblioteca Estense, a. T. 1. 3 = Ital. 533,<br />
~ 137 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
modenesi a queste <strong>di</strong>ffuse espressioni della polemica antiecclesiastica derivava<br />
da presupposti ra<strong>di</strong>cati nella mentalità d’un esperto <strong>di</strong> canoni e già<br />
da più d’un ventennio accorto amministratore della <strong>di</strong>ocesi quale era il<br />
Sigibal<strong>di</strong>. Derivava, in primo luogo, dall’in<strong>di</strong>fferenza del Sigibal<strong>di</strong> a una<br />
conoscenza ravvicinata, anche se non necessariamente compromissoria,<br />
delle idee che si esprimevano nella crescente protesta <strong>di</strong> tanta parte della<br />
città. Nel periodo più agitato della pre<strong>di</strong>cazione modenese dell’agostiniano<br />
Egi<strong>di</strong>o da Bergamo, tutto ciò che egli seppe riferire al Morone sul<br />
contenuto delle pre<strong>di</strong>che fu che «alchuno m’ha pur detto non so che, alchuno<br />
ch’el pre<strong>di</strong>ca catholicamente»; né seppe riferire <strong>di</strong> più sul controverso<br />
passato del frate se non che gli erano state attribuite «certe heresie».<br />
244 Quando, poi, dal suo osservatorio <strong>di</strong> Modena Sigibal<strong>di</strong> provava a<br />
guardare alla complessiva rivoluzione del secolo, compen<strong>di</strong>ava tutte le<br />
deviazioni dei «moderni heretici» nella «speranza (utinam vana) – come<br />
scriveva sempre al Morone – che l’authorità ecclesiastica vada in fumo et<br />
che ne li altri articoli li sia licito quel che li piace, secondo la libertà christiana<br />
carnale a loro modo intesa». 245 La polemica contro gli abusi – che<br />
forse preoccupavano il Sigibal<strong>di</strong> più <strong>di</strong> quanto fosse la norma d’un vicario<br />
<strong>di</strong>ocesano del tempo – era irrilevante rispetto all’intangibilità del canone<br />
che sorreggeva la potestà dell’istituzione; ma quando essa si risolveva<br />
in critica dell’incontestabile esercizio dell’autorità ecclesiastica, allora<br />
costituiva una minaccia alla sola garanzia contro l’instaurazione d’una «libertà<br />
christiana carnale». Probabilmente da questa visione delle cose nacque<br />
la rottura <strong>di</strong> Giovanni Bertari col Sigibal<strong>di</strong> in iniziative riformatrici<br />
cc. 63v-64r), nei Pasquillorum tomi duo cit., II, pp. 302-305 (cfr. Carmina Burana, ed. HILKA-<br />
SCHUMANN, Heidelberg, Carl Winter, 1930, I, p. 44, con bibliografia, che tuttavia ignora l’e<strong>di</strong>zione<br />
del Curione). Dieci anni dopo, nel febbraio del 1537, in un singolare <strong>di</strong>alogo epistolare<br />
tra Pasquino e la Bonissima (figurazione modenese della saggezza popolare), quest’ultima<br />
trasse occasione dalla pubblica denuncia <strong>di</strong> un’usurpazione <strong>di</strong> uffici perpetrata in <strong>di</strong>spregio<br />
degli or<strong>di</strong>namenti citta<strong>di</strong>ni, per deplorare ciò che, eccezione a Modena, a Roma era invece<br />
malo esempio e norma <strong>di</strong> curia: un groviglio <strong>di</strong> benefici «intertiati et intrigati» con arbitrarie<br />
designazioni ere<strong>di</strong>tarie <strong>di</strong> nipoti e pronipoti, tale «ch’el <strong>di</strong>avolo non saperia far peggio»;<br />
non c’era <strong>di</strong> che meravigliarsi se Dio aveva mandato i lanzichenecchi a porre almeno<br />
un provvisorio rime<strong>di</strong>o («a schurmar la pignata»); c’era, invece, da prevedere che «una favilla<br />
del presente serà più del passato fiamma». E Tommasino trascrisse (ma anche questo fu<br />
omesso nell’e<strong>di</strong>zione ottocentesca) nella Cronaca quel fittizio carteggio tra le «cose degne <strong>di</strong><br />
memoria», compresa l’investitura <strong>di</strong> Pasquino come «protettore del populo modenese». Sul<br />
Sacco <strong>di</strong> Roma come avveramento, secondo Lancillotti, <strong>di</strong> varie profezie, ve<strong>di</strong> OTTAVIA<br />
NICCOLI, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Bari, Laterza, 1987, pp. 15-17, 222-225.<br />
244 MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, IL processo inquisitoriale cit., II, pp. 924, 932, lettera<br />
al Morone del 1 o marzo 1541.<br />
245 Ibid., p. 1020, lettera al Morone del 3 giugno 1541.<br />
~ 138 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
ispirate dal Morone prima della sua partenza per la Germania («ad reformationem<br />
cleri, ad doctrinae sanitatem et ad vitiorum exstirpationem ac<br />
morum correctionem»): una <strong>di</strong>ssociazione che, come <strong>di</strong>mostra l’evoluzione<br />
religiosa del Bertari, significò comunque <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> vedute sul<br />
rapporto tra abusi e dottrina, cioè sul concetto stesso <strong>di</strong> riforma. 246 Un<br />
comportamento meno in<strong>di</strong>fferente, un interesse meno generico, anche se<br />
<strong>di</strong>staccato e polemico, alla conoscenza dei problemi che venivano emergendo<br />
anche dalle poche azioni inquisitorie che a Modena si intrecciarono<br />
con i tempi della sua corrispondenza col Morone, avrebbero rivelato<br />
al Sigibal<strong>di</strong> che non si trattava più <strong>di</strong> denuncia della corruzione e <strong>di</strong> polemica<br />
contro gli abusi: gli avrebbero rivelato quanto si fosse ormai andati<br />
lontano in fatto <strong>di</strong> connessione tra abusi e dottrina e <strong>di</strong> motivazioni<br />
dottrinali della negazione dei fondamenti dell’istituzione ecclesiastica.<br />
Erano gli ambienti nei quali il Liber generationis Antichristi venne subito<br />
letto e lodato e nei quali la rappresentazione della Chiesa e delle sue ra<strong>di</strong>cazioni<br />
nella società si evolverà proprio nel senso suggerito da quel libello<br />
e da letteratura analoga. Per Modena, la documentazione utile per la<br />
ricostruzione <strong>di</strong> queste posizioni religiose e della loro evoluzione è più<br />
abbondante che per le altre situazioni. La utilizzeremo per casi che qui si<br />
presentano particolarmente significativi.<br />
Il 1 o marzo 1541, Sigibal<strong>di</strong> informò il Morone dello scandalo suscitato<br />
da una <strong>di</strong>sputa che «uno Francesco Sighizzo» aveva avuto col gesuita<br />
Giacomo Laínez (un testimone riferì che «propter multitu<strong>di</strong>nem astantium<br />
non potuit ingre<strong>di</strong> cameram in qua contendebatur»). 247 Al processo<br />
246 Il motu proprio (privo <strong>di</strong> data nella copia che se ne conserva) con cui Paolo III designava<br />
il Bertari tra i coa<strong>di</strong>utori del Sigibal<strong>di</strong>, è pubblicato in MASSIMO FIRPO, DARIO MAR-<br />
CATTO, Il processo inquisitoriale cit., III, pp. 111-112. Sulle futili ragioni con cui il Sigibal<strong>di</strong><br />
spiegò al Morone l’evoluzione religiosa del collaboratore ve<strong>di</strong> ibid., II, p. 981.<br />
247 Ibid., p. 925. Il processo in Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 2,<br />
Processi 1489-1549, «Liber quintus», processo Francesco Sighizzi (l’informazione sulla folla<br />
dei presenti è nella testimonianza <strong>di</strong> Filippo Bergola del 15 febbraio 1541). Era <strong>di</strong> solido<br />
ceppo mercantesco, coinvolto anche nei decenni successivi in azioni inquisitoriali. Il 20<br />
marzo 1568 abiurò davanti al Morone Giulio Cesare <strong>di</strong> Girolamo Sighizzi, dando notizie<br />
che risalgono agli anni della pre<strong>di</strong>cazione modenese del canonico regolare Giovanni Francesco<br />
da Bagnacavallo, cioè agli inizi degli anni Cinquanta (ibid., busta 4, «Liber decimus»). A<br />
una stretta sorveglianza sarà sottoposto, più tar<strong>di</strong>, Spinazzo Sighizzi a causa delle sue relazioni<br />
con l’esule Giulio Sadoleto, del quale era procuratore: in un tardo Elenco <strong>di</strong> denunciati, <strong>di</strong><br />
quelli che abiurarono, c. 33v, si legge: «Spinatius Sighitius defertur, sed dubitative, velut suspectus<br />
de fautoria haereticorum, praecipue Iulii Sadoleti» (ibid., busta 1, Carteggio 1329-<br />
1601, inserto 10; cfr. ANTONIO ROTONDÒ, Esuli italiani in Valtellina nel Cinquecento, «Rivista<br />
storica italiana», LXXXVIII, 1976, qui a p. 427). Quando nel 1550 Francesco mori appena<br />
~ 139 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
che ne era seguito a metà febbraio vari stu<strong>di</strong>osi hanno già fatto riferimenti<br />
occasionali. 248 Ma nel contesto <strong>di</strong> questa ricerca la figura e l’attività del<br />
Sighizzi meritano ben altra attenzione. Rapporti sospetti, forse anche parentela,<br />
con i Caran<strong>di</strong>ni – ospiti, com’è noto, <strong>di</strong> Lisia Fileno nella loro<br />
villa della Staggia – e partecipazione attiva alle lezioni <strong>di</strong> Giovanni Bertari<br />
su s. Paolo in<strong>di</strong>cano l’ambito nel quale il Sighizzi s’era formate o aveva<br />
consolidate le proprie convinzioni. 249 Il processo riguardò prevalentemente<br />
affermazioni del Sighizzi sulla predestinazione. Ma la <strong>di</strong>scussione su<br />
questo argomento non poteva essersi svolta se non in un contesto <strong>di</strong> altre<br />
affermazioni su questioni controverse, come del resto <strong>di</strong>chiarò uno dei<br />
presenti («contentionem habuerunt de multis circa fidem, praesertim de<br />
praedestinatione»). 250 L’intransigenza con cui il Sighizzi negava il valore<br />
meritorio delle opere gli valse l’ovvio richiamo del Laínez all’obbligo <strong>di</strong><br />
sottostare all’autorità della Chiesa. E su questo punto la negazione del Sighizzi<br />
non fu meno intransigente. Il primato delle Scritture toglieva all’istituzione<br />
ecclesiastica ogni esclusiva autorevolezza dottrinale: l’autorità<br />
della Chiesa non era superiore a quella <strong>di</strong> chiunque altro esibisse le Scritture<br />
(«non solum ecclesiae se remittebat, sed cuilibet qui ostenderet eidem<br />
sacras literas»). 251 Con particolare energia il Sighizzi contestava l’identificazione,<br />
su cui insisteva il Laínez, della Chiesa con la «sede apostolica».<br />
E proprio a questo riguardo il Sighizzi si lasciò andare ad affermazioni<br />
(le sole che gli atti del processo riportano in volgare) che uscivano<br />
dalla pur audace esibizione <strong>di</strong>sputativa delle proprie convinzioni e <strong>di</strong>stin-<br />
quarantenne, il Lancillotti (Cronaca cit., IX, p. 273) annotò che era vissuto con eccessiva<br />
«sumptuosità» e che era «ignorante e senza lettere». Delle due annotazioni la seconda è la meno<br />
probabile. Nel cit. Elenco <strong>di</strong> denunciati, c. 11r, si legge: «Franciscus Sigitius, de haeresi delatus<br />
anno 1541 a pluribus. Examinatus, partim negat partim exponit <strong>di</strong>cta sua; sine conclusione<br />
est processus. Nominatus postmodum invenitur a multis ut haereticus de anno 1562». Ma<br />
nei pochi processi modenesi del 1562 conservatisi non ho trovato riferimenti al Sighizzi.<br />
248 SUSANNA PEYRONEL RAMBALDI, Speranze e crisi cit., pp. 246-247; MASSIMO FIRPO, DA-<br />
RIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale cit., II, p. 925.<br />
249 Probabilmente era una Caran<strong>di</strong>ni la moglie Elena. In degli Excerpta ex libro Domini<br />
episcopi Foscararii, c. 3v si legge: «Francesco Sigitio, Barbara Caran<strong>di</strong>ni: cre<strong>di</strong>tur quod isti<br />
obierint et quod sint relationes antiquae» (Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione,<br />
busta 1, Carteggio 1329-1601, ins. 8). Per la comune opera <strong>di</strong> proselitismo con Tommaso<br />
Caran<strong>di</strong>ni ve<strong>di</strong> più avanti. Sull’ospitalità data a Lisia Fileno da Anna e Tommaso Caran<strong>di</strong>ni<br />
nella loro villa della Staggia ve<strong>di</strong> CAMILLO RENATO, Opere cit., pp. 78, 167, 169, 192-193,<br />
200. L’attenta partecipazione del Sighizzi alle letture paoline del Bertari è <strong>di</strong>mostrata dalla<br />
sua testimonianza del 13 aprile nel processo <strong>di</strong> quest’ultimo (ibid., busta 2, Processi 1489-<br />
1549, «Liber quintus», c. 6r).<br />
250 Processo Francesco Sighizzi, testimonianza <strong>di</strong> Egi<strong>di</strong>o Guidoni del 15 febbraio 1541.<br />
251 Ibid., costituto del 16 febbraio 1541.<br />
~ 140 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
guevano polemicamente tra insegnamento dei papi e l’esser buon cristiano:<br />
i papi «gli sono homini, potriano cosi fallare come mi, se non mostrano<br />
la Sacra Scrittura. Io qui starò e voglio essere bon cristiano». 252 Il<br />
processo si interruppe senza accertare quali fossero le conseguenze che il<br />
Sighizzi traeva da questa sua <strong>di</strong>stinzione. Quando nel 1550 il Sighizzi<br />
morì, sia pure con qualche esitazione il Lancillotti annotò che si era ritirato<br />
«alquanto»: solo avrebbe aspettato il momento delle <strong>di</strong>sposizioni testamentarie<br />
per assegnare alla scelta <strong>di</strong> esequie <strong>di</strong>messe il significato d’un<br />
rifiuto polemico <strong>di</strong> voler «pompa e finzere santità». 253<br />
Ma non fu così. In realtà, anche dopo il processo il Sighizzi svolse<br />
un’intensa attività <strong>di</strong> propaganda. Intanto, già dal processo era emerso<br />
che andava <strong>di</strong>ffondendo «multa haereticalia» nelle vicine campagne modenesi<br />
(«per villam Freti, scilicet parochie S. Salvatoris, inter comitatinos<br />
<strong>di</strong>cit et <strong>di</strong>sseminat multa haereticalia»); e il testimone se ne <strong>di</strong>ceva così<br />
certo da suggerire che «possunt sumi informationes ab ipsis comitatinis». 254<br />
Né questa né la coeva testimonianza sul genere <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cazione con cui<br />
Lisia Fileno «andava suvertendo li villani» sono le sole su tentativi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ramazioni<br />
del robusto movimento eterodosso modenese dalla città nel<br />
contado: e se anche l’analisi <strong>di</strong> esse non mo<strong>di</strong>fica – per quanto provvisoriamente<br />
mi risulta – la tesi generale d’una scarsa recettività del mondo<br />
rustico italiano alle idee riformatrici, tuttavia esse testimoniano, per Modena<br />
e il Modenese, una possibilità <strong>di</strong> espansione che si giovava d’una<br />
ancora forte persistenza <strong>di</strong> rapporti tra città e campagna. Ciò che risulta<br />
evidente da tutte le testimonianze sull’evoluzione religiosa del Sighizzi e<br />
sulla sua propaganda è la coerente deduzione d’una ra<strong>di</strong>cale polemica antiecclesiastica<br />
da un’originaria opzione per l’unicità della fede giustificante:<br />
insomma, un caso tipico dei percorsi religiosi <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando<br />
in queste pagine. Quanto la propaganda del Sighizzi sia stata incisiva<br />
risulta da un episo<strong>di</strong>o tardo dell’attività inquisitoriale modenese: un<br />
episo<strong>di</strong>o che, tuttavia, credo sia destinato a rimanere oscuro nei suoi<br />
aspetti forse più interessanti, nonostante l’indagine contestuale sempre<br />
252 Ibid., testimonianza <strong>di</strong> Benedetto Caran<strong>di</strong>ni del 15 febbraio 1541.<br />
253 Le annotazioni del Lancillotti (Cronaca cit., IX, p. 273) sono confermate da una denuncia<br />
contro Elena Sighizzi («Domina Helena de Brexillo quondam uxor D. Francisci de<br />
Sigitiis») presentata da una sua domestica al vicario dell’inquisizione <strong>di</strong> Modena, fra Costanzo<br />
da Modena, in data 24 marzo 1553: «Au<strong>di</strong>visse ab eadem quod, cum mortuus est maritus<br />
suus, fecit eum sepelire sine luminibus et aliis solemnitatibus solitis» (Modena, Archivio <strong>di</strong><br />
Stato, Fondo Inquisizione, busta 3, Processi 1550-1559).<br />
254 Processo Francesco Sighizzi, testimonianza <strong>di</strong> Tommaso Fontana del 15 febbraio 1541.<br />
~ 141 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
necessaria in una documentazione che, per Modena in particolare, si presenta<br />
frammentaria in primo luogo a causa della varietà dei criteri <strong>di</strong> conduzione<br />
dell’ufficio che l’ha prodotta. Nel marzo del 1568, Giovanni<br />
Battista <strong>di</strong> Stefano Capello attribuì l’origine dei suoi errori a «istigatione<br />
et sugestione» <strong>di</strong> Francesco Sighizzi e <strong>di</strong> Cesare Bellencini, il primo suo<br />
parente, cognato il secondo: dunque, un trio legato da vincoli <strong>di</strong> parentela,<br />
<strong>di</strong> solido ceppo mercantesco con <strong>di</strong>sponibilità finanziarie in città e<br />
possessi nel contado. 255 Tra le «heresie» alle quali, «circa vinti anni» prima,<br />
i due congiunti avevano cercato <strong>di</strong> guadagnarlo, ce n’erano d’un genere<br />
che il Capello asserì <strong>di</strong> non aver mai voluto con<strong>di</strong>videre, soprattutto –<br />
<strong>di</strong>ceva – «perché non mi parea che le ragioni et authorita<strong>di</strong> della Scrittura<br />
Sacra che mi adducevano fossero così chiare»; aveva tenuto e letto i<br />
«libri latini et volgari che trattavano delli suddetti et altri errori» che i due<br />
congiunti gli avevano dato, ma aveva saputo sempre evitare errori <strong>di</strong>versi<br />
da quelli cui ora stava per abiurare. Come si vede, una ricostruzione<br />
quanto meno sospetta. 256 Tuttavia, a parte i più o meno gravi errori che<br />
255 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 4, Processi 1566-1568, «Liber<br />
decimus». Il processo si compone della sola deposizione del 29 marzo 1568.<br />
256 Il solo filo che potrebbe portarci agli errori che il Capello si premurò <strong>di</strong> escludere<br />
dal ricordo delle sue ventennali convinzioni è dato dal poco che si sa delle vicende inquisitoriali<br />
del Bellencini. Su <strong>di</strong> lui, attivo e poi morto nel clima <strong>di</strong> tolleranza instaurato a Modena<br />
dal Foscarari, l’inquisizione modenese non ebbe modo <strong>di</strong> intentare processi e produrre<br />
carte. Risultava «suspectus» all’inquisitore Angelo Valentini, allorché nell’agosto del 1555<br />
questi fu richiesto <strong>di</strong> deporre nell’ambito del processo del Morone (MASSIMO FIRPO, DARIO<br />
MARCATTO, Il processo inquisitoriale cit., II, p. 413). Probabilmente fu la morte a evitargli l’arresto,<br />
del quale si attendeva l’or<strong>di</strong>ne da Roma, come risulta da una lettera <strong>di</strong> Ercole II d’Este<br />
al governatore <strong>di</strong> Modena, Alfonso Trotti, del 18 settembre 1558: «Appresso volemo che, se<br />
per caso venisse commissione alcuna da Roma de ritenere messer Cesare Bellencini, ce ne<br />
avvisiate, non [riferendo?] altro sin che non vi facciamo saper la mente nostra intorno a ciò»<br />
(Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Rettori dello Stato: Modena, cart. 66b, Alfonso Trotti, 1558, alla<br />
data). Ma tutto ciò che resta <strong>di</strong> più preciso è una breve annotazione che si legge nei cit.<br />
Excerpta ex libro Domini episcopi Foscararii, c. 1r: «Cesar Belencinus, in Sancto Barnaba. 16 Ian.<br />
ego secum egi de baptismate, de certitu<strong>di</strong>ne gratiae, de perseverantia gratiae, promisit responsurum<br />
de purgatorio». Il fatto che la conversazione col Foscarari vertesse in primo luogo<br />
sul battesimo richiama la partecipazione del Bellencini alla cerchia dell’influentissimo<br />
Giovanni Maria Taglia<strong>di</strong> detto il Maranello, maestro <strong>di</strong> grammatica, lettore <strong>di</strong> Serveto con<br />
propensioni (forse soltanto episo<strong>di</strong>che) anabattiste (ibid., Fondo Inquisizione, busta 4, Processi<br />
1566-1568, «Liber decimus», Contra Ioannem Mariam Taliatum a Maranello). Il Taglia<strong>di</strong> s’era<br />
<strong>di</strong>sfatto <strong>di</strong> molti libri (Serveto, Erasmo, il Sommario della Sacra Scrittura) nel 1559, quando fu<br />
pubblicato l’Index librorum prohibitorum <strong>di</strong> Paolo IV (costituto del 25 gennaio 1567, c. 2v).<br />
Nel costituto del 13 febbraio 1570 il Bellencini è ricordato dal Maranello tra i «complici in<br />
buona parte delli miei errori» (c. 12v). Tuttavia va notato che la parte sul battesimo della<br />
conversazione col Foscarari poteva anche riferirsi a quanto in una delle sue pre<strong>di</strong>che mode-<br />
~ 142 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
Giovanni Battista Capello si premurò <strong>di</strong> rimuovere dal proprio passato,<br />
anche solo ciò <strong>di</strong> cui il Sighizzi e il Bellencini erano riusciti a convincerlo<br />
l’aveva mutato profondamente: soprattutto ne aveva mutato ra<strong>di</strong>calmente<br />
il modo <strong>di</strong> porsi <strong>di</strong> fronte all’istituzione ecclesiastica. Gli avevano<br />
insegnato un cristianesimo spoglio <strong>di</strong> esteriorità e <strong>di</strong> pratiche devote e riti<br />
surrettizi. Il principio della giustificazione per fede gli aveva rivelato l’inanità<br />
<strong>di</strong> tutta quella gigantesca struttura devozionale che era il culto dei<br />
santi, la futilità <strong>di</strong> venerare immagini e accendere lumi davanti «alle figure<br />
de’ santi et de Dio», l’infondatezza della nozione stessa <strong>di</strong> purgatorio e<br />
della conseguente pratica dei suffragi: insomma, un itinerario religioso simile<br />
a quello <strong>di</strong> Marforio. Il Capello ne aveva tratto conseguenze imme<strong>di</strong>ate:<br />
aveva finito persino col chiudere «una certa chiesa la quale – <strong>di</strong>ceva<br />
– [è] sopra certi miei terreni». Probabilmente, il Capello tenne chiusa<br />
la pieve nelle sue terre per tutti gli anni («circa <strong>di</strong>eci anni») durante i quali<br />
rimase «in tali errori». Non sappiamo quali fossero, <strong>di</strong> fronte a quell’improvviso<br />
mutamento delle consuetu<strong>di</strong>ni religiose in quell’angolo del<br />
mondo rustico, le reazioni dei conta<strong>di</strong>ni che <strong>di</strong>pendevano da questa figura<br />
socialmente anfibia, non rara nel movimento eterodosso modenese.<br />
Qui le idee e le azioni <strong>di</strong> uomini come il Sighizzi, il Bellencini, il Capello,<br />
così come le idee, le azioni e le <strong>di</strong>savventure <strong>di</strong> innumerevoli altri che<br />
la documentazione associa a loro, interessano in quanto evidenziano il<br />
maturare e il ra<strong>di</strong>carsi d’un rifiuto dell’istituzione ecclesiastica spinto fino<br />
alla rappresentazione <strong>di</strong> essa come costruzione dell’Anticristo. È una rappresentazione<br />
che a Modena <strong>di</strong>venne via via più frequente fino a tutti gli<br />
anni Sessanta. La documentazione ne in<strong>di</strong>ca insistentemente l’origine e la<br />
costruzione concettuale già nella cerchia dei Caran<strong>di</strong>ni nella villa della<br />
Staggia e nella connessa pre<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Camillo Renato ancora nelle vesti<br />
<strong>di</strong> Lisia Fileno. Lasciamoci guidare ancora dal filo dell’attività del Sighizzi.<br />
Alla fine degli anni Sessanta, un popolano, «magister Iacobus quondam<br />
Ioannis de Gandulphis», rievocò davanti all’inquisitore fatti e persone<br />
<strong>di</strong> poco meno d’un trentennio. 257 Lo fece con la percezione esatta che<br />
nesi aveva <strong>di</strong>chiarato Giovanni Francesco da Bagnacavallo (nella versione d’un testimone:<br />
«Prae<strong>di</strong>cando de baptismo ipse prae<strong>di</strong>cator omnia videbatur tribuere misericor<strong>di</strong>ae Dei, nihil<br />
de operibus»), che il Bellencini aveva frequentato anche privatamente (ve<strong>di</strong> p. 236).<br />
257 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 4, Processi 1567-1568, «Liber<br />
decimus», Contra Iacobum Gandulfum Mutinensem. Il fascicolo si compone d’un rapido interrogatorio<br />
condotto da fra Nicolò del Finale, inquisitore <strong>di</strong> Ferrara, in presenza del Morone,<br />
il 24 marzo 1568 e della conseguente abiura. Più ampio è il costituto del 10 marzo 1569,<br />
~ 143 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
il clima nella città era mutato non solo in conseguenza delle particolari<br />
con<strong>di</strong>zioni createsi al ritorno del Morone: su eventuali deviazioni del<br />
presente il Gandolfi rispose che «non si parlava più in Modena <strong>di</strong> queste<br />
cose»; i complici erano tutti morti; ed erano morti anche i più lontani<br />
responsabili dei suoi errori, Tommaso Caran<strong>di</strong>ni e Francesco Sighizzi. 258<br />
Sennonché, ciò che nei tar<strong>di</strong> costituti del Gandolfi è narrazione compen<strong>di</strong>osa,<br />
comprensibilmente selettiva <strong>di</strong> esperienze che si erano sovrapposte<br />
nel corso <strong>di</strong> decenni, è invece rappresentazione <strong>di</strong>retta in un atto <strong>di</strong> denuncia<br />
del marzo 1545, nel quale la moglie, «domina Catharina uxor domini<br />
Iacobi de Gandulphis», espone all’inquisitore tutto ciò che il marito<br />
sentiva <strong>di</strong>re continuamente («continue au<strong>di</strong>t») in casa Caran<strong>di</strong>ni e poi riferiva<br />
a lei, in parte soltanto come cose u<strong>di</strong>te, in parte come convinzioni<br />
già fatte proprie («aliquando ex ore eorum, aliquando [...] affirmative»). 259<br />
Dunque, <strong>di</strong> contro a compendî tar<strong>di</strong> <strong>di</strong> vicende contratte in schematici<br />
atti d’abiura, una testimonianza che ci riporta, in un momento ancora<br />
fluido della vita religiosa modenese, al centro delle <strong>di</strong>scussioni attraverso<br />
le quali, in uno dei circoli più vivaci della Modena <strong>di</strong> quegli anni, un generico<br />
<strong>di</strong>ssenso veniva prendendo forma d’una visione ra<strong>di</strong>calmente alternativa<br />
della vita religiosa, tanto nella dottrina quanto nella pratica.<br />
Non sapendo leggere, il Gandolfi era costretto a farsi leggere da altri i libri<br />
che gli venivano dati da Tommaso Caran<strong>di</strong>ni e dal Sighizzi: due in<br />
particolare, «unus qui est fratris Bernar<strong>di</strong>ni Occhini, alter domini Petri<br />
Martyris Florentini. 260 Come vedremo, le argomentazioni svolte nel libro<br />
sollecitato all’inquisitore <strong>di</strong> Ferrara fra Paolo Costabili dal car<strong>di</strong>nale Scipione Rebiba. In<br />
quest’ultimo il Gandolfi <strong>di</strong>chiara d’avere «circa sessantatre anni». Sull’atto <strong>di</strong> denuncia della<br />
moglie Caterina ve<strong>di</strong> sotto, nota 259.<br />
258 Processo Gandolfi, costituto del 24 marzo 1568: «Io fui instrutto da messer Tomaso<br />
Caran<strong>di</strong>no vinti anni sono et messer Francesco Sigizzo, ambedui morti». La risposta sulla<br />
scomparsa a Modena <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi devianti è nel costituto del 10 marzo 1569.<br />
259 La denuncia <strong>di</strong> Caterina Gandolfi, in data 8 marzo 1545, è nello stesso fascicolo. È<br />
seguita da una breve deposizione <strong>di</strong> Bartolomea Boarina «quasi uno ore confitens superscripta<br />
omnia esse vera». Se ho visto bene, dopo questa denuncia il nome del Gandolfi non compare<br />
in altri atti inquisitoriali modenesi, comprese le citate annotazioni del Foscarari, fino al<br />
processo del 1568.<br />
260 Mentre è <strong>di</strong>fficile stabilire quale fosse la raccolta <strong>di</strong> Pre<strong>di</strong>che dell’Ochino, il libro del<br />
Vermigli non può che essere il suo solo scritto in volgare finora noto; Una semplice <strong>di</strong>chiaratione<br />
sopra gli XII articoli della fede christiana <strong>di</strong> M. Pietro Martyre Vermigli Firentino (sic). Non<br />
moriar, sed vivam, et narrabo opera Domini, Psal. 117. Nella inclyta Basilea, dell’Anno 1544,<br />
del mese <strong>di</strong> Febr. (uso l’esemplare della Raccolta Guicciar<strong>di</strong>ni, 6-8-60). Nel costituito del<br />
24 marzo 1568 il Gandolfi <strong>di</strong>chiarerà: «Io hebbi una volta un libretto volgare dal suddetto<br />
Tomaso [Caran<strong>di</strong>ni] quale <strong>di</strong>cea male della religione de santi»; e nel costituto del 10 marzo<br />
~ 144 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
del Vermigli, facilmente identificabile con Una semplice <strong>di</strong>chiaratione sopra<br />
gli XII articoli della fede christiana, si intrecciano, anche esplicitamente, con<br />
le insistenti argomentazioni dell’Ochino sulla Chiesa come costruzione<br />
dell’Anticristo. Probabilmente, queste letture suggerite alla Staggia ebbero,<br />
anche solo attraverso il Gandolfi, una propagazione più consistente <strong>di</strong><br />
quanto risulti dai documenti. 261 Quanto al Gandolfi, si trattava questa volta<br />
d’un destinatario dell’opera <strong>di</strong> persuasione e <strong>di</strong> propaganda del Caran<strong>di</strong>ni<br />
e del Sighizzi sprovvisto degli strumenti che consentivano, invece, a<br />
Giovanni Battista Capello <strong>di</strong> controllare «le ragioni et authorita<strong>di</strong> della<br />
Scrittura» che <strong>di</strong> volta in volta gli venivano addotte. Questa assenza d’un<br />
personale filtro culturale fa delle informazioni date dal Gandolfi una fonte<br />
molto atten<strong>di</strong>bile, probabilmente unica, sui contenuti precisi <strong>di</strong> quelle<br />
«mille heresie» che Tommasino Lancillotti vedeva provenire da casa Caran<strong>di</strong>ni<br />
e propagarsi persino tra i conta<strong>di</strong>ni delle ville del Nonantolano,<br />
intorno alla Staggia. 262<br />
Gran parte delle affermazioni conseguenti all’assunzione del principio<br />
della fede giustificante che il Gandolfi sentiva pronunciare e <strong>di</strong>scutere alla<br />
Staggia – negazione del purgatorio, condanna delle messe votive, rifiuto<br />
1569: «Io non so leggere, ma hebbi uno libro picolo dal sudetto Caran<strong>di</strong>no, qual libro mi<br />
faceva legere da le done in qua e là».<br />
261 La denuncia del 1545, e poi il costituto del 10 marzo 1569, ricordano soltanto un<br />
«maestro Antonio cappellaro», nella cui casa il Gandolfi aveva portato i libri avuti dal Caran<strong>di</strong>ni.<br />
Ma anche le tracce <strong>di</strong> quest’altro popolano, originario <strong>di</strong> Novara, si perdono negli anni<br />
successivi, per ricomparire, se ho visto bene, soltanto nei processi contro il tessitore <strong>di</strong> lana<br />
Francesco Bor<strong>di</strong>ga e contro il falegname Francesco Secchiari (Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato,<br />
Fondo Inquisizione, busta 5A, Processi 1568, «Liber undecimus»).<br />
262 LANCILLOTTI, Cronaca cit., VIII, p. 195. L’importanza del circolo della Staggia non è<br />
sufficientemente sottolineata negli stu<strong>di</strong> recenti. La denuncia <strong>di</strong> Caterina Gandolfi è, ch’io<br />
sappia, il documento più ricco sulle idee che vi si <strong>di</strong>scutevano. Ma testimonianze più particolari<br />
non sono rare. Un episo<strong>di</strong>o analogo a quello del Gandolfi riguarda Francesco <strong>di</strong> Ludovico<br />
Villanova, che nel marzo del 1568 confesserà al Morone: «Io ho creduto da più <strong>di</strong> 25<br />
anni in qua che non si trova altro purgatorio delli nostri peccati che Giesù Christo, et questo<br />
perché, havendo sentito un padre <strong>di</strong> S. Domenico della Mirandola che, legendo le epistole<br />
<strong>di</strong> S. Paolo in Domo qua in Modena et allegando alcune parole <strong>di</strong> S. Paolo alli hebrei,<br />
<strong>di</strong>sse che il nostro purgatorio siede alla destra del Padre et trovandomi io un giorno <strong>di</strong> poi<br />
nella villa detta la Stazza et rifferendo tali parole con messer Thomaso Caran<strong>di</strong>no detto Barbazza,<br />
cercassimo et trovassimo in S. Paolo a gli hebrei in vulgare simili parole, per il che io<br />
mi fermai et seguitai in detta opinione» (Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta<br />
5A, Processi 1568, «Liber undecimus», processo Francesco Villanova, costituto del 25<br />
marzo 1568). L’episo<strong>di</strong>o risale alla primavera del 1541 e ai controversi effetti della pre<strong>di</strong>cazione<br />
<strong>di</strong> fra Bartolomeo Ghiselini della Mirandola, interlocutore del Renato e poi sospettato<br />
<strong>di</strong> eresia (CAMILLO RENATO, Opere cit., p. 87; MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo<br />
inquisitoriale cit., II, pp. 965-966).<br />
~ 145 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
del culto delle reliquie, inanità dei <strong>di</strong>giuni, critica del celibato ecclesiastico,<br />
critica del culto dei santi – trova riscontro nel documento che rispecchia<br />
anche le idee che negli anni precedenti si erano venute ra<strong>di</strong>cando in<br />
quel circolo, cioè l’Apologia che Lisia Fileno pronunciò davanti agli inquisitori<br />
<strong>di</strong> Ferrara nella prima decade <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre del 1540. 263 Il fatto che<br />
alla Staggia il Gandolfi sentisse argomentare la negazione del culto dei<br />
santi con la dottrina del sonno delle anime dopo la morte è prova del<br />
persistere dell’insegnamento del Siciliano nella cerchia che lo aveva ospitato<br />
fino al giorno dell’arresto. 264 Sennonché, già a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> pochi anni<br />
dalla scomparsa del Fileno dalla scena religiosa modenese, i problemi che<br />
si <strong>di</strong>scutevano alla Staggia erano ormai lontani da quello che era stato il<br />
tema centrale della sua pre<strong>di</strong>cazione, cioè la ricerca <strong>di</strong> una «communis<br />
concor<strong>di</strong>a totius ecclesiae Dei», in una prospettiva consistente «in pacifìcanda<br />
Germania cum ecclesia Romana». 265 Bruciata in pochi anni una simile<br />
prospettiva, ora anche nella cerchia dei Caran<strong>di</strong>ni non solo era caduta,<br />
ma si escludeva ogni possibilità <strong>di</strong> conciliazione. Caterina Gandolfi<br />
riferì che il marito vi aveva sentito esaltare «omnes Lutheranos qui sunt<br />
in Germania»: espressioni che, come si sa, in molti casi erano prive <strong>di</strong><br />
reali e durature implicazioni, ma che nel contesto in cui erano pronunciate<br />
esprimevano una forte polemica contro la Chiesa romana, considerata<br />
una realtà irreformabile, una costruzione satanica. È quanto risulta<br />
dal confronto tra il contenuto del libro del Vermigli, giunto prontamente<br />
da Basilea alla Staggia, e le schematiche <strong>di</strong>chiarazioni del Gandolfi.<br />
Quanto del contenuto <strong>di</strong> quel libretto questo popolano sia riuscito a far<br />
proprio facendoselo leggere «in qua e là» qui è meno importante della<br />
constatazione che il Caran<strong>di</strong>ni e il Sighizzi decisero <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffonderlo con la<br />
destinazione che il Vermigli stesso gli aveva assegnato, cioè come «cathe-<br />
263 CAMILLO RENATO, Opere cit., pp. 33-89.<br />
264 Nello stesso interrogatorio Caterina Gandolfi formula in due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi, ma non<br />
contrad<strong>di</strong>ttori, la negazione del culto dei santi riferitale dal marito: «Quod de sanctis male<br />
sentit, scilicet quod non sunt adoran<strong>di</strong> et quod sunt homines sicut nos»; «quod sancti non<br />
sunt in para<strong>di</strong>so» e «quod nos erimus sicut ipsi». Tanto nell’Apologia quanto nel corso degli<br />
interrogatori del processo (costituto del 13 <strong>di</strong>cembre 1540), il Fileno delimitò la sua trattazione<br />
della dottrina del sonno delle anime a <strong>di</strong>scussioni con studenti bolognesi (CAMILLO RE-<br />
NATO, Opere cit., pp. 64-65, 184; cfr. qui avanti, pp. 271-273). Ma della <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa<br />
stessa dottrina a Modena il Morone scrisse al Contarini il 21 maggio 1542 (Epistolarum Reginal<strong>di</strong><br />
Poli S. R. E. car<strong>di</strong>nalis et aliorum ad ipsum, ed. ANGELO MARIA QUIRINI, Brescia, Giovanni<br />
Maria Rizzar<strong>di</strong>, 1744-1757, III, p. CCLXVII; cfr. MASSIMO FIRPO, Gli «spirituali», l’Accademia <strong>di</strong><br />
Modena e il formulario <strong>di</strong> fede del 1542: controllo del <strong>di</strong>ssenso religioso e nicodemismo, «Rivista <strong>di</strong> storia<br />
e letteratura religiosa», XXX, 1984, p. 61).<br />
265 CAMILLO RENATO, Opere cit., pp. 74-75.<br />
~ 146 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
chismo a’ rozzi et non piena dottrina agl’intendenti christiani». 266 Insomma,<br />
la volontà <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffonderlo presupponeva ovviamente adesione al suo<br />
contenuto. In esso, non poteva essere più netta la contrapposizione tra la<br />
Chiesa romana e la «congregatione de’ fedeli» intesa come «corpo universalmente<br />
raccolto d’ogni sorte [<strong>di</strong>] persone», senza <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> lingue<br />
e <strong>di</strong> nazioni, «composta <strong>di</strong> tutti coloro i quali alla christiana fede sono<br />
per ispirito santo chiamati»: «qualunque <strong>di</strong> spirito santo son <strong>di</strong>giuni e<br />
privi a questo corpo non s’appartengono». 267 E <strong>di</strong> questa funzione essenziale<br />
dell’ispirazione il Gandolfi aveva parlato alla moglie Caterina («quod<br />
Spiritus Sanctus loquitur per os eius»). Il Vermigli assicurava, poi, ai suoi<br />
lettori che questa chiesa invisibile esisteva tuttora. Con le sue «arti sataniche»,<br />
la Chiesa romana l’aveva sempre insi<strong>di</strong>ata, non <strong>di</strong>strutta. 268 Una <strong>di</strong><br />
queste arti con cui Roma «ha perturbato e confuso ogni cosa» è l’aver<br />
sovrapposto al Vangelo una sapienza estranea, aver voluto «rimescolare<br />
infinite abominationi della gentilità riformandole et correggendole (come<br />
essi <strong>di</strong>cono, anci mentono) in meglio». 269 Probabilmente l’inquisitore riassunse<br />
con una proposizione corrente nella polemica antiromana quanto il<br />
Gandolfi aveva riferito alla moglie sulle <strong>di</strong>scussioni che al riguardo si facevano<br />
alla Staggia: «quod evangelium nunquam est prae<strong>di</strong>catum nisi<br />
nunc». Ma venticinque anni dopo fu lo stesso Gandolfi a precisare che<br />
alla Staggia aveva «sentito <strong>di</strong>re da quelli prenominati che altre volte si<br />
pre<strong>di</strong>cava Aristotile et simili cose», non il Vangelo. 270 Ma i papi, che «singolarmente<br />
et capi della Chiesa et apostolici si fanno chiamare», hanno<br />
escogitato – continuava il Vermigli – ben più perverse alternative al dominio<br />
dello Spirito sulla comunità cristiana. Si sono opposti e si oppongono<br />
«con tutta la lor potenza» alla <strong>di</strong>ffusione d’una retta concezione della<br />
giustificazione, che hanno sostituito con «humani statuti, infiniti lacci<br />
et trappole». 271 Tutto ne è risultato sfigurato: in primo luogo i sacramenti.<br />
Intenzionalmente, il Vermigli si limitava (promettendo una trattazione<br />
più ampia) a denunciare l’«intolerabile idolatria» alla quale era stata, <strong>di</strong><br />
conseguenza, ridotta l’eucaristia. 272 E tra le <strong>di</strong>scussioni che avvenivano alla<br />
266 Una semplice <strong>di</strong>chiaratione cit., p. 56.<br />
267 Ibid, pp. 115, 117.<br />
268 Ibid., p. 123.<br />
269 Ibid., p. 122.<br />
270 Costituto del 10 marzo 1569.<br />
271 Una semplice <strong>di</strong>chiaratione cit., pp. 124-125.<br />
272 Ibid., p. 126.<br />
~ 147 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Staggia, Caterina Gandolfi denunciò per prime quelle sull’eucaristia («<strong>di</strong>cit<br />
assertive quod in hostia consecrata non est corpus verum in carne, sed<br />
in spiritu»). Probabilmente, tra i contenuti religiosi condensati e irrigi<strong>di</strong>ti<br />
in verbali inquisitoriali come la denuncia <strong>di</strong> Caterina Gandolfi, da una<br />
parte, e dall’altra l’esposizione articolata delle fonti (in questo caso Una<br />
semplice <strong>di</strong>chiaratione del Vermigli) cui essi sono, in tutto o in parte, riferibili,<br />
ci sarà sempre uno scarto ineliminabile. Così, poteva essere facilmente<br />
accessibile, o quanto meno esercitar fascino su popolani come il<br />
Gandolfi, la prospettiva d’una chiesa invisibile che, in quanto priva <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzioni<br />
sociali, attuava il concetto dell’«impartialità <strong>di</strong> Dio» («non conta<strong>di</strong>ni,<br />
non femine, non principi, non servi, non poveri, non ricchi, non<br />
barbari, non civili o gentil populi ha riguardato, quasi che a eleggerli per<br />
la con<strong>di</strong>ttione volesse muoversi»). 273 Più ostico, meno imme<strong>di</strong>ato, doveva<br />
risultare (per un popolano come il Gandolfi, ma forse anche per i suoi<br />
mentori della Staggia) il <strong>di</strong>stacco dai sia pur criticati e respinti meccanismi<br />
quoti<strong>di</strong>ani del sacro, per accedere a una nozione <strong>di</strong> Spirito come<br />
«virtù occulta che habbia forza <strong>di</strong> spignere et muovere», insomma a una<br />
forma aristocratica <strong>di</strong> religiosità le cui esigenze venivano esaurite dall’ispirazione,<br />
dalla fiducia in una forza che «gl’animi et cuori de’ fedeli efficacemente<br />
spigne, muove, persuade, regge, consola, illumina et finalmente<br />
opera quanto a nostra santificatione s’appartiene». 274 In ogni caso, la<br />
prospettiva religiosa del Vermigli provvedeva un ideale para<strong>di</strong>gma, il<br />
modello polemico d’una chiesa il cui fine non era «l’amplificare tyrannide,<br />
monarchia o temporal giuris<strong>di</strong>ttione, non [...] l’accumulare thesori et<br />
richeze terrene, non [...] reggere stati, trattar guerre, occupare città, sottomettersi<br />
provincie et regni». 275 Tanto più che l’invettiva antiromana del<br />
Vermigli era quanto mai aspra. Con l’usurpazione della dottrina, con l’escogitazione<br />
<strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni il cui fine era «il trarre da ogni parte qualche<br />
guadagni, il <strong>di</strong>latare o confermare la loro tyrannica autorità», i papi avevano<br />
fatto <strong>di</strong> sé degli idoli. Bernar<strong>di</strong>no Ochino aveva, sia pure succintamente<br />
(il riferimento è certamente all’Imagine <strong>di</strong> Antechristo), <strong>di</strong>mostrato<br />
quanto fossero stridenti le antitesi tra Cristo e colui che si fa chiamare<br />
suo vicario: è <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>re che cosa «hoggi vi sia rimaso da Antichristo et<br />
dal Diavolo non corrotto et guasto». 276 E su testimonianza del marito, Ca-<br />
273 Ibid., p. 120.<br />
274 Ibid., pp. 98-99.<br />
275 Ibid., pp. 123-124.<br />
276 Ibid., p. 135.<br />
~ 148 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
terina Gandolfi denunciava che alla Staggia si <strong>di</strong>ceva che il papa era l’Anticristo<br />
(«de papa <strong>di</strong>cit quod est Antichristus»).<br />
Con la ricostruzione dell’attività <strong>di</strong> Francesco Sighizzi si è inteso in<strong>di</strong>care<br />
la varietà degli strati sociali nei quali trovava interlocutori una<br />
propaganda fortemente polemica contro l’istituzione ecclesiastica. Non è<br />
un caso eccezionale. Altri profili simili si potrebbero ricostruire sulla base<br />
della documentazione inquisitoriale modenese. Ma agli inizi degli anni<br />
Quaranta fu soprattutto un evento dalla forte risonanza collettiva ad accelerare,<br />
a Modena, la riflessione e le scelte d’un vasto pubblico sul rapporto<br />
tra fede e istituzione. Le emozioni e le reazioni che esso suscitò determinarono<br />
una tipica situazione <strong>di</strong> tensione propizia all’espansione delle<br />
nuove idee e a iniziative <strong>di</strong> propaganda. Si tratta della pre<strong>di</strong>cazione quaresimale<br />
del noto francescano conventuale Bartolomeo della Pergola. 277<br />
L’episo<strong>di</strong>o ha una data significativa, 1544; coincide, perciò, con la<br />
presenza a Modena dell’altro francescano (da poco uscito dall’or<strong>di</strong>ne)<br />
Bartolomeo Fonzio. 278 Al <strong>di</strong> là degli ingegnosi aggiustamenti che il Pergola<br />
tentò d’apportare al contenuto delle sue pre<strong>di</strong>che nella pubblica ritrattazione<br />
del giugno successivo, qui evidentemente contano più le testimonianze<br />
<strong>di</strong>rette degli u<strong>di</strong>tori sull’impressione che essi stessi ne ebbero e<br />
sulle conseguenze che ne trassero. La documentazione mette in evidenza<br />
una varietà molto sfumata <strong>di</strong> reazioni, rispondente alla varietà <strong>di</strong> reazioni<br />
che simili eventi collettivi suscitavano, come abbiamo già visto per Bologna,<br />
in anni <strong>di</strong> incertezza e <strong>di</strong> orientamenti ancora non definiti. Ma ci<br />
furono anche ascoltatori che nelle pre<strong>di</strong>che del Pergola trovarono stimoli<br />
ad approfon<strong>di</strong>re loro dubbi suscitati da altri eventi più o meno recenti.<br />
Ercole Platesio, un pio mercante destinato a fare esperienze religiose più<br />
complesse durante suoi soggiorni in Francia, vi trovò la soluzione <strong>di</strong><br />
277 È ovvio che, trattandosi qui delle risonanze che la pre<strong>di</strong>cazione del Pergola ebbe tra<br />
i suoi ascoltatori, la per<strong>di</strong>ta tanto del processo del 1544 quanto <strong>di</strong> quello del 1556 ci priva<br />
delle fonti più importanti. Molto, tuttavia, ci <strong>di</strong>cono al riguardo soprattutto le parti del processo<br />
del 1544 che ci sono pervenute perché incluse nel processo del Morone: la Ritrattazione<br />
pronunciata a Modena nei giorni 15-16 giugno 1544 e le osservazioni dell’inquisitore <strong>di</strong><br />
Bologna, Tommaso Maria Beccadelli, sulla prima stesura della medesima (MASSIMO FIRPO,<br />
DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale cit., II, pp. 435-436; III, pp. 236-279; per le due<br />
deposizioni del Pergola nel processo contro il Morone ve<strong>di</strong> II, pp. 429-440, e III, pp. 736-<br />
745). Sul Pergola ve<strong>di</strong> ora CESARE BIANCO, Bartolomeo della Pergola e la sua pre<strong>di</strong>cazione eterodossa<br />
a Modena nel 1544, «Bollettino della Società <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> valdesi», n. 151, luglio 1982,<br />
pp. 3-49.<br />
278 Ve<strong>di</strong> più avanti, p. 279; cfr. ESTER ZILLE, Gli eretici a Cittadella nel Cinquecento, Cittadella,<br />
Rebellato E<strong>di</strong>tore, 1971, pp. 169-172; SUSANNA PEYRONEL RAMBALDI, Speranze e crisi<br />
cit., pp. 250-252.<br />
~ 149 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
dubbi suscitatigli già dalla lettura del Sommario della Sacra Scrittura e dalle<br />
pre<strong>di</strong>che su s. Paolo <strong>di</strong> Bartolomeo Ghiselini della Mirandola, ascoltate<br />
in duomo tre anni prima. 279 Più esplicitamente, l’orefice Ercole Cervi si<br />
<strong>di</strong>rà sicuro d’essersi «confermato meglio nelli errori» ascoltando il Pergola,<br />
dopo che i primi dubbi gli erano stati suscitati dalla pre<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> fra<br />
Tommaso da Brescia nella quaresima del 1540, cioè nel pieno della contrastata<br />
pre<strong>di</strong>cazione modenese degli Agostiniani. 280 Altri vi trovarono<br />
conferme e spinte a una ra<strong>di</strong>calizzazione <strong>di</strong> loro certezze già acquisite. Il<br />
caso più notevole è quello del marchese Giovanni Rangoni, una figura<br />
raramente assente dalle carte inquisitoriali modenesi riguardanti i due decenni<br />
successivi, prima che nel 1567 morisse esule a Sondrio. 281 Del Pergola<br />
<strong>di</strong>ceva che gli si sentiva obbligato più che verso il padre. 282 Ma era<br />
anche tra i frequentatori del Fonzio. 283 Dei due francescani il Rangoni fece<br />
propria, in primo luogo, la polemica ra<strong>di</strong>cale contro l’istituzione ecclesiastica.<br />
Fu certamente tra gli ascoltatori del Pergola che ne compen<strong>di</strong>avano<br />
il pensiero, deducendo dalla sua insistenza sulla nozione <strong>di</strong> «perdon<br />
generale» («ogni giorno replicava questo vocabulo ‘perdon generale’»)<br />
la critica <strong>di</strong>ssimulata dell’istituzione ecclesiastica come una somma <strong>di</strong><br />
tra<strong>di</strong>zioni umane («se <strong>di</strong>ffuse assai nelle tra<strong>di</strong>tioni humane, per il qual ragionamento<br />
pareva che lui escludesse tutte le tra<strong>di</strong>tioni della chiesa). 284<br />
Una deduzione che assumeva per gli ascoltatori un carattere tanto più ra<strong>di</strong>cale<br />
quanto più netta sembrava loro la contrapposizione che intravedevano<br />
nelle argomentazioni del Pergola: da una parte, la certezza della salvezza<br />
assicurata a tutti i credenti in virtù del «perdon generale»; dall’altra,<br />
279 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 5, Processi 1568, «Liber undecimus»,<br />
processo Ercole Platesio, costituto del 27 marzo 1568.<br />
280 Ibid., processo Ercole Cervi, costituto del 15 marzo 1568: «Pre<strong>di</strong>cò in questa città <strong>di</strong><br />
Modena un frate <strong>di</strong> Santo Agostino chiamato, credo, fra Tommaso, et <strong>di</strong>cendo in pulpito<br />
manifestamente heresie, io cominciai ad accostarli et crederli in molti punti, et <strong>di</strong> poi, havendo<br />
il Pergola, frate <strong>di</strong> Santo Francesco, a pre<strong>di</strong>car in questa città et ancor lui pre<strong>di</strong>cando<br />
cose hereticali et ascoltandolo, io mi confermai meglio nelli errori, cioè credendo che nell’altra<br />
vita non sia purgatorio et conseguentemente che i suffragi dei vivi non giovino ai<br />
morti et che il papa non habbia autorità sopra la chiesa <strong>di</strong> Christo, cioè <strong>di</strong> far leggi, et che<br />
però non sia peccato il mangiar carne in dì prohibiti». Su fra Tommaso da Brescia ve<strong>di</strong> MAS-<br />
SIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale cit., II, pp. 954, 955.<br />
281 Ve<strong>di</strong> pp. 241-244.<br />
282 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 3, Processi 1550-1565, processo<br />
Giovanni Rangoni, testimonianza <strong>di</strong> Antonio Mascarelli del 2 agosto 1552 («quod maiorem<br />
obligationem habebat prae<strong>di</strong>catori illi qui nominatur il Pergola quam patri suo»).<br />
283 Ibid., busta 5, Processi 1568-1573, «Liber duodecimus», processo Antonio Maria Ferrarese,<br />
costituto del 26 marzo 1568.<br />
284 MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale cit., III, pp. 238, 242, 268.<br />
~ 150 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
una somma <strong>di</strong> pratiche e <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni che il francescano sembrava svalutare<br />
in base al principio – a detta d’un testimone, enunciato fin dal primo<br />
giorno – secondo il quale «tutte le religioni sono fondate dalla sapientia<br />
della carne». 285 Insomma, i lettori modenesi del Beneficio <strong>di</strong> Cristo vi ritrovavano<br />
il suo presupposto fondamentale. 286 Ma soprattutto ciò che <strong>di</strong><br />
energicamente nuovo gli ascoltatori del Pergola trovavano nelle sue pre<strong>di</strong>che<br />
era, in sostanza, l’esplicitazione delle potenzialità eversive <strong>di</strong> quel<br />
rassicurante libretto: il testo della sua ritrattazione contiene quanto basta a<br />
documentare che un u<strong>di</strong>torio ormai sensibilissimo al gioco dell’esplicito<br />
e dell’implicito, delle affermazioni e dei silenzi, ritenne che per tutta la<br />
quaresima il francescano aveva insinuato una denuncia estesissima <strong>di</strong> tutto<br />
quanto – a fronte della sola valida garanzia <strong>di</strong> salvezza consistente nella<br />
fede nel beneficio <strong>di</strong> Cristo – rientrava nel novero delle tra<strong>di</strong>zioni umane,<br />
delle escogitazioni suggerite dalla «sapientia della carne», in un millennio<br />
e mezzo <strong>di</strong> errori e in conseguenza del fatto che l’ipocrisia s’era<br />
assisa «super cathedram Moysi». 287 Insomma, ancora un caso <strong>di</strong> sollecitazione<br />
al passaggio dalla me<strong>di</strong>tazione in<strong>di</strong>viduale caratterizzata dall’«allegrezza»<br />
interiore che un libro <strong>di</strong> pietà come il Beneficio <strong>di</strong> Cristo mirava ad<br />
infondere, alla denuncia <strong>di</strong> tutto ciò che nella realtà era in contrasto con<br />
esso. Gli effetti <strong>di</strong> questa sollecitazione risultano dalle <strong>di</strong>chiarazioni e dalla<br />
stessa attività <strong>di</strong> quanti allora e poi, per decenni, si richiamarono agli insegnamenti<br />
del Pergola. Risultano, in primo luogo, dalle <strong>di</strong>chiarazioni<br />
del Rangoni.<br />
Il nome del Rangoni compare tra quelli d’un gruppo <strong>di</strong> persone<br />
contro il quale l’inquisizione modenese svolse un’inchiesta in data molto<br />
vicina alla pre<strong>di</strong>cazione del Pergola. Risultò che quattro <strong>di</strong> esse, compre-<br />
285 Ibid., pp. 246, 263, 265.<br />
286 Rispondenze plausibili tra il Beneficio <strong>di</strong> Cristo e le affermazioni attribuite al Pergola<br />
da testimoni che deposero nel corso del processo e riportate spesso testualmente nel testo<br />
della ritrattazione, sono state notate da CESARE BIANCO, Bartolomeo della Pergola cit., pp. 29-<br />
30. Ma sono riscontrabili persino reminiscenze testuali. Tale è, ad esempio, oltre che la ripresa<br />
<strong>di</strong> concetti come «perdon generale», «allegrezza» ecc. (cfr. BENEDETTO DA MANTOVA, Il<br />
Beneficio <strong>di</strong> Cristo. Con le versioni del secolo XVI. Documenti e testimonianze, a cura <strong>di</strong> SALVATORE<br />
CAPONETTO, Firenze, Sansoni-Chicago, The Newberry Library, 1972, pp. 19, 22, 26, 41,<br />
43, 69), l’espressione «ha tolto sopra <strong>di</strong> sé tutti gli peccati nostri» (ibid., pp. 22-23; cfr. MAS-<br />
SIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale cit., III, p. 268).<br />
287 Ibid., pp. 243-244. L’accusa <strong>di</strong> omissione, in quegli anni sempre più frequente nei<br />
confronti dei pre<strong>di</strong>catori, ricorre spesso nella Ritrattazione. Le accuse d’essersi richiamato a<br />
Matth., XXIII, 2, Super cathedram Moysi sederunt scribae et pharisei, e d’aver detto «che la chiesa<br />
è stata in errore 1.500 anni» non sono riferite testualmente. Quanto alla seconda, l’osservazione<br />
del Beccadelli informa che «multi testes hoc deponunt» (ibid., II, p. 435).<br />
~ 151 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
so il Rangoni, riprendevano argomenti del Pergola sulla confessione: il<br />
fedele ricorre al sacerdote, soltanto «tanquam accipiens consilium»; e<br />
questa negazione d’ogni autorità del sacerdote sulle anime investiva l’intera<br />
struttura ecclesiastica. 288 Su questo punto, in se<strong>di</strong> più riservate, quanti<br />
frequentavano il Fonzio avevano appreso idee più drastiche: si partiva<br />
dalla critica delle comuni pratiche devozionali («letaniae autem et aliae<br />
supplicationes et invocationes sanctorum»), per finire col <strong>di</strong>scutere e negare<br />
i fondamenti stessi dell’autorità che le aveva istituite: la vera chiesa<br />
non ha mai istituito simili pratiche, che «potius sunt [...] infidelitates et<br />
praesumptiones quam aliquid aliud catholicum»; la plausibilità <strong>di</strong> tali frivole<br />
istituzioni umane <strong>di</strong>pende dal fatto che «ecclesia semper Christi apparenter<br />
extabat in pontificibus et phariseis et scribis»; in realtà, come alle<br />
origini la vera chiesa era rappresentata da Giuseppe, da Maria e da Nicodemo,<br />
così oggi («nostris temporibus») essa risiede non nei pontefici e nei<br />
prelati, ma «in pauperibus personis non cognitis mundo». 289 È impossibile<br />
288 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 2, Processi 1489-1549, Contra<br />
plures et praesertim dominum Vincentium Ferraronum presbyterum, Gabriotum Tassonum, Geminianum<br />
Manzolum, Ioannem Rangonum. Si tratta d’una denuncia <strong>di</strong> fra Teofilo da Mantova al vicario<br />
dell’inquisizione fra Agostino da Imola in data 25 <strong>di</strong>cembre 1546. Dichiarava fra Teofilo:<br />
«Hi omnes una eamet sententia atque opinione ore proprio <strong>di</strong>xerunt quod homo vel<br />
mulier, quando va<strong>di</strong>t ad sacerdotem, non confitetur ut remittantur peccata sua, quia sacerdos<br />
non habet auctoritatem remitten<strong>di</strong>, sed va<strong>di</strong>t ad sacerdotem tanquam accipiens consilium<br />
et est potius signum humiliationis quando huiusmo<strong>di</strong> personae vadunt ad sacerdotem.<br />
Item <strong>di</strong>xerunt quod summus pontifex nullam habet auctoritatem super animas nostras». Segue<br />
l’accusa <strong>di</strong> negare il purgatorio e il culto dei santi e <strong>di</strong> dubitare del libero arbitrio. Per le<br />
corrispondenti accuse rivolte al Pergola d’aver negato la potestà del sacerdote <strong>di</strong> assolvere,<br />
ma soltanto <strong>di</strong> dare consigli e in generale d’aver taciuto sull’«autorità della chiesa et suoi prelati<br />
<strong>di</strong> assolvere et ligare li peccati et excomunicare et absolvere dalla excomunicatione, imporre<br />
<strong>di</strong>giuni et altre autorità», ve<strong>di</strong> MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale<br />
cit., III, pp. 251-252, 258.<br />
289 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Sant’Ufficio dell’Inquisizione, busta 2, De quodam Bartholomeo<br />
Fontio Veneto presbitero, deposizione <strong>di</strong> Pietro Gioioso del 24 aprile 1544: «... quod <strong>di</strong>cta<br />
institutio [delle litanie, invocazioni dei santi ecc.] non erat a Deo, et respondendo tacitae<br />
obiectioni forsan sibi faciendae, asseruit quod fuerunt institutae ab ecclesia ex eo quod ecclesia<br />
fuit illa quae Christum crucifixit et ipsi non est credendum quoniam ecclesia semper<br />
Christi apparenter extabat in pontificibus et phariseis et scribis, sed vere erat in Iosepho et<br />
Maria et Nicodemo etc., et sic nostris temporibus ecclesia extat in pauperibus personis non<br />
cognitis mundo, non autem in istis summis pontificibus et reliquis prelatis ecclesiae, quoniam<br />
de summis pontificibus, ut constat in aliquo concilio, possunt esse aliqui haeretici. Et<br />
ideo non est credendum istis [litanie ecc.], quoniam a vera ecclesia non sunt institutae, quia<br />
sunt or<strong>di</strong>nationes hominis et absque verbo Dei, ut potius sunt huiusmo<strong>di</strong> letaniae et similes<br />
invocationes infidelitates et praesumptiones quam aliquid aliud catholicum». Il resto delle<br />
accuse è riferito anche in una lettera del vicario dell’inquisizione Angelo Valentini al duca <strong>di</strong><br />
Ferrara del 30 giugno 1545, inclusa nel fascicolo.<br />
~ 152 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
<strong>di</strong>re fino a qual punto l’insinuante pre<strong>di</strong>cazione del Pergola nella cornice<br />
ufficiale del maggior tempio citta<strong>di</strong>no e la meno inibita pre<strong>di</strong>cazione semiclandestina<br />
del Fonzio concordassero su concetti così eversivi dei fondamenti<br />
dell’or<strong>di</strong>namento ecclesiastico. Ma è certo che i loro ascoltatori<br />
vi trovarono un filo comune che le univa. Di quei concetti il Rangoni<br />
fu uno degli assertori più convinti. Ne fu anche un <strong>di</strong>ffon<strong>di</strong>tore senza remore<br />
in una cerchia che con gli anni si andò allargando sempre <strong>di</strong> più.<br />
La convinzione <strong>di</strong> far parte d’un movimento che univa quanti si andavano<br />
«confortando l’un l’altro con darsi speranza che un giorno si debba<br />
pre<strong>di</strong>car la verità evangelica tanto tempo fa perseguitata et occultata», lo<br />
spingeva a un’intensa attività <strong>di</strong> propaganda, sorretta anche dalla presunzione<br />
che il prestigio del casato lo mettesse al riparo da azioni inquisitorie.<br />
290 Assunse come motivo ispiratore <strong>di</strong> questa sua attività l’ammonimento<br />
<strong>di</strong> Matth., XXIV, 24-26, Surgent enim pseudochristi et pseudoprophetae<br />
..., uno dei testi più ricorrenti nella letteratura d’ogni tempo contro<br />
«pseudocristi» e «pseudoprofeti», che il Rangoni applicava all’intera struttura<br />
ecclesiastica e ai suoi annunci quoti<strong>di</strong>ani della presenza <strong>di</strong> Cristo in<br />
essa, smentiti insieme dalla falsità della dottrina e dalla corruzione dei costumi.<br />
291 Quanto alla dottrina, il Rangoni riteneva che norma inderogabile<br />
dovesse essere il richiamo alle Scritture, la cui testimonianza egli esigeva<br />
sempre e dovunque, persino in conversazioni che egli intavolava «in<br />
ecclesia maiore». 292 Non perdeva occasione per denunciare come idolatria<br />
tutte le forme esteriori del culto, dallo «strepito» delle campane, che a<br />
nient’altro chiamavano se non «ad idolatriam committendam», alla celebrazione<br />
della messa. 293 Era noto per la sua capacità <strong>di</strong> suscitare dubbi e<br />
turbamenti: un popolano, Andrea Tosabecco, confidò al canonico Nicolò<br />
Buzale che era stato il Rangoni a suscitargli tali dubbi sull’eucaristia<br />
«ut non posset pacata conscientia interesse missae». 294 Lo stravolgimento<br />
delle Scritture aveva fatto della Chiesa un’istituzione satanica, un’incarnazione<br />
dell’Anticristo; e non temeva <strong>di</strong> in<strong>di</strong>carne i responsabili allo stesso<br />
canonico Buzale, al quale <strong>di</strong>ceva «summum pontificem esse Antichristum<br />
et quod car<strong>di</strong>nales nihil aliud erant quam demones. Item <strong>di</strong>cebat de<br />
290 Ibid., busta 3, Processi 1550-1565, processo Giovanni Rangoni, testimonianza <strong>di</strong> Ludovico<br />
da Lione del 19 marzo 1566.<br />
291 Ibid., deposizione <strong>di</strong> Nicolò Buzale del 13 maggio 1563.<br />
292 Ibid., denuncia <strong>di</strong> Antonio Mascarelli del 12 agosto 1552.<br />
293 Ibid., deposizione <strong>di</strong> Nicolò Buzale del 13 maggio 1563.<br />
294 Ibid.<br />
~ 153 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
fratribus quod erant demones». 295 Della sua volontà <strong>di</strong> dare ampia <strong>di</strong>ffusione<br />
a queste ragioni della sua polemica contro l’or<strong>di</strong>namento ecclesiastico<br />
si conosce un solo episo<strong>di</strong>o: la sua proposta al pittore Girolamo Comi,<br />
incontrato nel duomo, <strong>di</strong> riprodurre una «carta stampata», il cui contenuto<br />
più tar<strong>di</strong> il Comi descrisse all’inquisitore così: vi «erano alcuni vescovi<br />
che dormivano et alcuni lupi che portavano via le pecore et alcuni<br />
vescovi che giocavano et alcuni cappellani che lasciavano portar via le<br />
pecore et alcune volpi vestite da frati che pre<strong>di</strong>cavano alli agnelli». 296 La<br />
circolazione <strong>di</strong> questa «carta stampata» giunta a Modena nelle mani del<br />
Rangoni e popolata <strong>di</strong> figure (lupi, volpi, agnelli) ricorrenti nella libellistica<br />
antiromana, figurata e non, del tempo, è un’ulteriore testimonianza<br />
dell’uso propagan<strong>di</strong>stico che <strong>di</strong> questo genere <strong>di</strong> immagini («cartelli impii<br />
et vituperosi» li chiamava il nunzio a Venezia Fabio Mignanelli) 297 si faceva<br />
anche in Italia: un uso sul quale si conoscono varie testimonianze generali,<br />
ma la cui <strong>di</strong>mensione quantitativa resta tuttora inesplorata. 298<br />
Neppure il caso del Rangoni è un’eccezione. La configurazione della<br />
Chiesa romana come personificazione dell’Anticristo è un tema ricorrente<br />
nella documentazione inquisitoriale modenese (nelle ammissioni, sia<br />
pure reticenti, degli stessi inquisiti, oltre che nelle accuse contro <strong>di</strong> essi).<br />
Una delle <strong>di</strong>fficoltà nel precisarne le <strong>di</strong>mensioni e le variazioni <strong>di</strong> significato<br />
<strong>di</strong>pende da una particolarità delle fonti, alla quale s’è già accennato.<br />
Nel 1568, l’anno in cui si concentra il maggior numero <strong>di</strong> processi (e<br />
perciò la maggior quantità <strong>di</strong> documenti), la certezza dell’assoluzione in<br />
forza del noto privilegio concesso da Pio V al Morone provocò un gran<br />
295 Ibid.<br />
296 Ibid., busta 5, Processi 1568, «Liber undecimus», processo Girolamo Comi, costituto<br />
del 22 marzo 1568. Il Comi <strong>di</strong>sse d’essersi rifiutato <strong>di</strong> riprodurre l’immagine.<br />
297 Ve<strong>di</strong> sopra, nota 110.<br />
298 Un esempio caratteristico è quello descritto dal residente estense a Venezia Tebaldo<br />
Tebal<strong>di</strong> in una lettera a Ercole II del 9 <strong>di</strong>cembre 1544: «Da Trevigi è stato mandato al legato<br />
apostolico uno Christo in croce stampato in un foglio <strong>di</strong> carta reale, con un arbore pieno <strong>di</strong><br />
detti della Scrittura, che conchiudono niuno essere ubligato a far opera buona, volendosi<br />
salvare, impercioché Christo, con la sua passione ha supplito per tutti» (Modena, Archivio <strong>di</strong><br />
Stato, Cancelleria ducale: Ambasciatori, Venezia, busta 33/85, II, 66). Un esempio interessante<br />
è la figura commissionata dal noto pre<strong>di</strong>catore Andrea Ghetti da Volterra a «un più saggio<br />
pittore che non è il Michelangelo» e da lui stesso descritta al car<strong>di</strong>nale Benedetto Accolti in<br />
una lettera del luglio 1544 (GIGLIOLA FRAGNITO, Un pratese cit., p. 24). Un esemplare della<br />
medaglia <strong>di</strong> cui si parla nella testimonianza sulla propaganda <strong>di</strong> un abitante <strong>di</strong> Oderzo (cfr.<br />
GIOVANNA PAOLIN, I conta<strong>di</strong>ni anabattisti <strong>di</strong> Cinto, «Il Noncello», n. 50, 1980, p. 93) è riprodotto<br />
in Forme e destinazione del messaggio religioso cit., p. 96, tavv. 3-4.<br />
~ 154 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
numero <strong>di</strong> comparizioni e <strong>di</strong> confessioni spontanee. 299 Gli atti relativi, per<br />
quanto schematici, contengono, certo, preziosi elementi retrospettivi sul<br />
trentennio precedente e oltre. Ma il limite del loro valore documentario<br />
è ovvio: quando è possibile, un confronto, anche solo per assaggi, con la<br />
documentazione anteriore al 1568 in<strong>di</strong>ca che la procedura sommaria prevista<br />
dal breve <strong>di</strong> Pio V assicurò, <strong>di</strong> fatto, a parecchie decine <strong>di</strong> persone<br />
dal passato compromettente anche l’immunità per confessioni fortemente<br />
selettive. Una garantita facilità <strong>di</strong> omissioni in cui si attuava, nella mutata<br />
situazione della città, una volontà <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssimulazione, <strong>di</strong> reticenza e <strong>di</strong><br />
oblio, comune anche a quanti, parallelamente, subivano, come «vehementer<br />
suspecti», proce<strong>di</strong>menti inquisitorî preceduti dalla normale fase<br />
istruttoria e articolati in interrogatorî stringenti. 300<br />
I casi in cui negli atti <strong>di</strong> entrambi i tipi <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>menti compare la<br />
confessione d’aver creduto che la Chiesa romana (identificata, <strong>di</strong> norma,<br />
col papa) fosse l’Anticristo sono rarissimi. Vi ricorre più spesso l’ammissione<br />
d’aver creduto e sostenuto che il papa non avesse alcuna autorità<br />
sulla Chiesa o d’avere applicato temporaneamente la nozione <strong>di</strong> Anticristo<br />
a singoli eventi e a personalità singole. Il fabbro Giovanni Battista<br />
Meschiari <strong>di</strong>sse d’aver perseverato per quin<strong>di</strong>ci anni nella convinzione<br />
che il papa non aveva «authorità sopra la Chiesa <strong>di</strong> Dio», se fosse stato<br />
«un papa cattivo, cioè <strong>di</strong> mala vita»; 301 e Girolamo Comi, il pittore al<br />
quale s’era rivolto il Rangoni, ammise d’aver creduto che Paolo IV ave-<br />
299 Il breve <strong>di</strong> Pio V (10 febbraio 1568) è in CESARE CANTÙ, Italiani illustri, Milano, Libreria<br />
Brignola, II, 1873, pp. 455-456. Concedeva al Morone «piena et libera licenza et potestà<br />
<strong>di</strong> potere liberare et absolvere nell’uno et l’altro foro da tutte l’heresie et censure et pene<br />
[...] ciascuno heretico della città et <strong>di</strong>ocese sopradetta che havrà ricorso a te». Diversamente<br />
che nel caso <strong>di</strong> analogo privilegio concesso molti anni prima da Giulio III al Foscarari,<br />
il breve <strong>di</strong> Pio V imponeva la «presenza <strong>di</strong> pubblico notaro et testimoni» nonché <strong>di</strong> due<br />
maestri in theologia o professori <strong>di</strong> quella o altri periti, secondo la forma dei sacri canoni». Il<br />
breve è richiamato all’inizio <strong>di</strong> ognuno dei proce<strong>di</strong>menti sommari cui esso <strong>di</strong>ede luogo, e<br />
ciò serve a <strong>di</strong>stinguerli agevolmente dai processi che, parallelamente, il vicario dell’inquisizione<br />
conduceva contro già in<strong>di</strong>ziati o incarcerati e contro renitenti all’invito del Morone.<br />
300 L’esatta consistenza numerica dei due tipi <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>menti rimane tuttora da accertare.<br />
Il già citato (cfr. sopra, nota 247) Elenco <strong>di</strong> denunciati, <strong>di</strong> quelli che abiurarono, cc. 1r-2v<br />
elenca ventun nomi <strong>di</strong> persone che «abiuraverunt coram Ill.mo et R.mo Card. Morone de<br />
mense Martii 1568» (in realtà due abiure, quelle <strong>di</strong> Giulio Cesare Pazzani e <strong>di</strong> Ludovico<br />
Mazzoni, avvennero il 27 aprile). Dai miei appunti (non più ricontrollati sui documenti)<br />
tanto questo numero quanto quello riguardante processati al <strong>di</strong> fuori degli effetti del breve <strong>di</strong><br />
Pio V, risultano inesatti per <strong>di</strong>fetto.<br />
301 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 4, Processi 1566-1568, «Liber<br />
decimus», processo Giovanni Battista Meschiari, costituto del 23 marzo 1568.<br />
~ 155 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
va incarnato l’Anticristo quando «<strong>di</strong>stenne in prigione il vescovo <strong>di</strong> Modena<br />
et altre persone ingiustamente»; poi il Comi s’era ricreduto sullo<br />
stesso papa Carafa. 302 È ovvio che si trattava della confessione <strong>di</strong> errori ben<br />
più lievi <strong>di</strong> quello in cui erano incorsi quanti avevano letto e lodato il Liber<br />
generationis Antichristi e si erano lasciati convincere dalle deduzioni genealogiche<br />
<strong>di</strong> quel libello o da argomenti simili svolti in scritti analoghi.<br />
L’assunzione della nozione <strong>di</strong> Anticristo come definita nel genere <strong>di</strong><br />
scritti <strong>di</strong> cui quel libello è un esempio particolarmente incisivo, significava<br />
condanna globale dell’istituzione ecclesiastica; molto meno colpevolmente,<br />
l’applicazione episo<strong>di</strong>ca del concetto <strong>di</strong> Anticristo a eventi, figure<br />
e aspetti singoli della realtà ecclesiastica rientrava, tutto sommato, nel solco<br />
<strong>di</strong> quella corrente dell’escatologia me<strong>di</strong>oevale nella quale la nozione<br />
<strong>di</strong> Anticristo (e la derivata nozione plurima <strong>di</strong> «Anticristi») era stata ed<br />
era in funzione della denuncia <strong>di</strong> singoli aspetti o <strong>di</strong> singoli momenti della<br />
corruzione ecclesiastica. Di questa scala <strong>di</strong> gravità si rendevano conto,<br />
oltre che gli inquisitori, anche gli inquisiti. Ed è significativo che la consapevolezza<br />
<strong>di</strong> una tale <strong>di</strong>stinzione fornisse plausibili argomenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa<br />
anche in strati popolari: nel 1553, il sarto Ludovico Zinanino ammise<br />
d’aver parlato male del papa con i suoi lavoranti; ma – si affrettò a precisare<br />
– «non de pertinentibus ad fidem, sed ad mores». 303 Nell’aprile del<br />
1568, fu processato, tra i «vehementer suspecti», Erasmo Barbieri, un<br />
ven<strong>di</strong>tore ambulante <strong>di</strong> stracci e vetri, dei quali andava a rifornirsi a Venezia,<br />
e figura tra le più vivaci <strong>di</strong> quel mondo <strong>di</strong> popolani le cui storie,<br />
sul finire degli anni Sessanta, l’inquisitore modenese setacciò attentamente:<br />
solo al quarto interrogatorio il Barbieri ammise, sotto tortura, d’aver<br />
creduto e sostenuto che il papa era l’Anticristo. 304 Un mese prima, Giacomo<br />
Gandolfi non aveva dovuto temere d’essere sottoposto a tortura o ad<br />
altri scandagli inquisitorî ammettendo, davanti al Morone, d’aver creduto<br />
che «il papa che si trova in peccato non ha authorità nella chiesa <strong>di</strong><br />
Dio». 305 Ma ora sappiamo che con questa sua tarda ammissione il Gandolfi<br />
copriva un passato <strong>di</strong> opinioni ben più ra<strong>di</strong>cali, apprese venticinque anni<br />
302 Ibid., busta 5, Processi 1568-1574, «Liber undecimus», processo Girolamo Comi, costituto<br />
del 22 marzo 1568.<br />
303 Ibid., busta 3, Processi 1550-1565, processo Gabriele e Ercole Zinaro e Ludovico Zi-<br />
nanino.<br />
304 Ibid., busta 4, Processi 1566-1568, «Liber decimus», processo Erasmo Barbieri, costituto<br />
del 21 aprile 1568.<br />
305 Processo <strong>di</strong> Giacomo Gandolfi cit., costituto del 24 marzo.<br />
~ 156 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
prima alla Staggia e attraverso la lettura, <strong>di</strong>retta o in<strong>di</strong>retta, <strong>di</strong> scritti dell’Ochino<br />
e del Vermigli, la cui <strong>di</strong>ffusione era partita proprio da quel circolo<br />
ancora oggi più celebre che realmente noto. Nel 1568 (e negli anni<br />
vicini al 1568), tra i modenesi processati come «vehementer suspecti» o<br />
che si affollarono nel vescovado per abiurare spontaneamente, quanti tacquero<br />
d’aver creduto, in un passato più o meno lontano, che la Chiesa<br />
romana incarnasse l’Anticristo? E quanti quelli che, come fece il Gandolfi,<br />
derubricarono il loro reato d’opinione me<strong>di</strong>ante un consapevole spostamento<br />
<strong>di</strong> significato d’una nozione come quella <strong>di</strong> Anticristo, che la<br />
propaganda delle nuove idee aveva caricato <strong>di</strong> sensi ben più eversivi <strong>di</strong><br />
quello corrente attraverso le stampe «gioachimitiche» in volgare, in pre<strong>di</strong>che,<br />
pronostici e profezie? Se ho visto bene, tra quanti abiurarono<br />
spontaneamente, soltanto uno, il mercante Giulio <strong>di</strong> Giovanni Antonio<br />
Abbati, confessò d’aver «tenuto et creduto il papa essere Antichristo et<br />
non havere alcuna authorità nella chiesa universale»; 306 e tra i processati<br />
come «vehementer suspecti», soltanto pochi altri, oltre il Barbieri, fornirono<br />
agli inquisitori qualche laconica informazione sull’insistenza e sui<br />
mo<strong>di</strong> con cui il tema dell’equivalenza tra Anticristo e Chiesa romana era<br />
tornato in tutto quell’intreccio <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussioni e <strong>di</strong> letture che per più<br />
d’un trentennio avevano avuto come loro sfondo le case private, la piazza<br />
e le botteghe. Nel complesso, in ambedue i tipi <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>menti, le<br />
reticenze degli inquisiti mirarono a frapporre uno spesso schermo tra loro<br />
e un passato che li aveva visti coinvolti in una condanna globale dell’istituzione<br />
ecclesiastica. E tuttavia non si tratta d’uno schermo impenetrabile.<br />
Bisogna risalire agli anni anteriori al 1568 e alla relativa documentazione.<br />
Da essa risulta che l’inquisizione modenese s’era trovata ben presto<br />
<strong>di</strong> fronte alla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> idee che negavano ra<strong>di</strong>calmente tutti i fondamenti<br />
dell’istituzione ecclesiastica. Quando nel settembre del 1555 venne<br />
convocato dal vescovo Egi<strong>di</strong>o Foscarari, lo stampatore bresciano Giovanni<br />
Giacomo Tabita già da sette anni era convinto che la chiesa invisibile<br />
dei predestinati fosse la sola vera chiesa. 307 Anche nel caso del Tabita,<br />
la forte contrapposizione tra la chiesa invisibile e quella romana considerata<br />
«synagoga <strong>di</strong>aboli», fa riferimento a fonti <strong>di</strong>chiarate: fra le altre, come<br />
306 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 4, Processi 1566-1568, «Liber<br />
decimus», processo Giulio Abbati, costituto del 28 marzo 1568.<br />
307 Ibid., busta 3, Processi 1550-1565, «Liber sextus», cc. 155r-158r, De abiuratione Io.<br />
Iacobi Tabitae Brixiensis. Il suo nome risulta annotato nei cit. Excerpta ex libro Domini Episcopi<br />
Foscararii, c. 3v: «Giovanni Iacobo da Bressa stampatore».<br />
~ 157 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
nel caso del Gandolfi, anche scritti dell’Ochino e Una semplice <strong>di</strong>chiaratione<br />
del Vermigli. 308 L’intero corpo delle convinzioni del Tabita (l’elenco delle<br />
sue «culpae et mala opera contra fidem catholicam», che il Foscarari<br />
compose prima <strong>di</strong> sottoporlo ad abiura) è un riflesso caratteristico della<br />
sua piccola biblioteca <strong>di</strong> lettore fortemente interessato a problemi religiosi<br />
e forse anche <strong>di</strong> stampatore trasgressivo. La negazione dei meriti delle<br />
opere («negabat satisfactionem et merita operum») gli era stata suggerita o<br />
confermata o rafforzata dalla lettura d’un libro, il Beneficio <strong>di</strong> Cristo, che<br />
<strong>di</strong>fficilmente poteva sfuggire a chi a qualsiasi titolo operava nel mondo<br />
librario. Nel passaggio dalla convinzione del valore salvifico della sola fede<br />
nel beneficio <strong>di</strong> Cristo alla valutazione e giu<strong>di</strong>zio della realtà ecclesiastica,<br />
le conclusioni del Tabita furono severe, una critica <strong>di</strong>struttiva.<br />
L’osservazione della realtà era, ovviamente, alla ra<strong>di</strong>ce delle sue reazioni e<br />
riflessioni; ma gli argomenti che espose al Foscarari erano quelli <strong>di</strong> altre<br />
due opere delle quali confessò il possesso e la lettura, il Pasquino in estasi e<br />
la Trage<strong>di</strong>a del libero arbitrio <strong>di</strong> Francesco Negri. Si <strong>di</strong>sse convinto che il<br />
cristiano non è tenuto ad alcuna osservanza e cerimonia («nullam esse<br />
obligationem ad observantias et ceremonias»); sono abominazioni idolatriche<br />
la messa e il culto delle immagini, e superstizione la venerazione<br />
dei santi; nella chiesa invisibile degli eletti il battesimo «est protestatio<br />
tantum fidei»; nella chiesa visibile, della quale Satana ha fatto la sua sede,<br />
domina l’Anticristo nella persona del papa; le sue scomuniche non hanno<br />
alcun valore; il cristiano ha come sola norma <strong>di</strong> verità il Vangelo («nil<br />
credendum nisi evangelio»).<br />
Non esiste, ch’io sappia, una sola testimonianza d’un commercio <strong>di</strong><br />
libri e <strong>di</strong> idee che il Tabita abbia avuto con esponenti del movimento<br />
eterodosso durante gli anni del suo lungo soggiorno a Modena. Ma se<br />
comunicò ad altri le sue idee, certo non gli mancarono interlocutori.<br />
Dalla stessa documentazione sugli anni della blanda sorveglianza del Foscarari<br />
emerge la figura d’un popolano la cui attività e la cui ra<strong>di</strong>cazione<br />
nel movimento eterodosso ne fanno molto più d’un caso in<strong>di</strong>viduale. Si<br />
tratta del tessitore <strong>di</strong> velluto Paolo Antonio da Campogalliano, le cui vicende<br />
religiose si conclusero anch’esse alla fine degli anni Sessanta non a<br />
Modena, ma a Venezia, dove s’era già recato spesso e dove si trasferì de-<br />
308 Ibid.: «Item quod legit libros, videlicet il Stancharo, pasquini in extase, la trage<strong>di</strong>a del<br />
libero arbitrio, Bernar<strong>di</strong>no Ochino e Iulio Milanese, fra Pietro Martire sopra i do<strong>di</strong>ci articoli,<br />
il beneficio <strong>di</strong> Cristo».<br />
~ 158 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
finitivamente nel 1559. 309 Non c’è circolo sospetto in cui i documenti<br />
non segnalino la sua presenza. Il numero delle persone con le quali ebbe<br />
comunanza d’attività e <strong>di</strong> idee va molto al <strong>di</strong> là dei venti nomi che egli<br />
elencò in uno dei costituti del processo veneziano: e già, tra questi, i nomi<br />
<strong>di</strong> esponenti tra i più prestigiosi del movimento eterodosso modenese,<br />
come Giovanni Rangoni, Francesco Camurana, Pietro Curioni, Nicolò<br />
Machella, Giacomo Graziani, Pietro Giovanni Biancolini. 310<br />
Fra questi uomini che vantavano prestigio citta<strong>di</strong>no per casato, per<br />
professione o per censo, la presenza <strong>di</strong> Paolo da Campogalliano rappresenta<br />
l’altra componente, quella popolare, d’un movimento che a Modena<br />
fu caratterizzato da una forte promiscuità sociale. Nel 1550 – cioè fin<br />
dalla sua prima apparizione nelle carte dell’inquisizione – è già noto per<br />
il vigore con cui traduceva in protesta motivi correnti: ad esempio, traduceva<br />
la critica corrente del culto delle immagini nella conclusione che<br />
i cristiani erano tutti idolatri. 311 Con<strong>di</strong>videva le idee <strong>di</strong> quanti conveniva-<br />
309 Ibid., busta 3, Processi 1550-1565, processo Paolo da Campogalliano e Giovanni Terrazzano,<br />
da ora in poi citato come «Processo modenese» per la sola parte che riguarda il<br />
Campogalliano. Prima <strong>di</strong> essere sottoposto a regolare processo, era stato interrogato dal Foscarari,<br />
che annotò (Excerpta cit., c. 3r): «Paulo Antonio da Campo Gaiano, in la Pomposa,<br />
admonui et docui, pollicitus est, iussi ut confiteretur patri Dominico [da Imola]. Inquit<br />
quod Bagnacavallus docuit quod pium erat credere purgatorium non tamen necessarium.<br />
Abiuravit primo octobris 1555». In realtà, probabilmente per la gravità degli in<strong>di</strong>zi emersi<br />
dal colloquio, fra Domenico da Imola lo aveva poi deferito all’inquisitore fra Angelo Valentini.<br />
Nel costituto del 2 ottobre 1555 <strong>di</strong>chiarò che alcune delle sue opinioni «de rebus religionis<br />
et fidei» risalivano a sette anni prima «secundum quod au<strong>di</strong>vit Venetiis a multis»; molte<br />
altre cose aveva appreso dai suoi confessori. Il processo veneziano ebbe inizio il 29 ottobre<br />
1569 e si chiuse il 6 luglio 1570 (Venezia, Archivio <strong>di</strong> Stato, Sant’Ufficio dell’Inquisizione,<br />
busta 20, Contra Paulum Mutinensem, da ora in poi citato come «Processo veneziano»). Era<br />
stato preceduto da lunghe indagini che, dopo una denuncia del 16 aprile 1565, compresero<br />
la richiesta <strong>di</strong> copia delle carte processuali modenesi, il cui invio fu sollecitato dal car<strong>di</strong>nale<br />
Scipione Rebiba con lettera del 15 <strong>di</strong>cembre 1568 (Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione,<br />
busta 122, ad annum). Nel primo costituto del processo veneziano, l’inquisito si presentò<br />
così: «Io ho nome Paulo Antonio, ma mi chiamano Paulo, et son <strong>di</strong> un castello lontano<br />
da Modena chiamato Gaian, fiol del q. Giacomo Barbier, et el mio essercitio è testor da<br />
valuti, ma adesso, perché la vista non mi serve, son cimolin da lana». La copia delle carte<br />
processuali modenesi include due testimonianze del 15 febbraio 1559, evidentemente parte<br />
<strong>di</strong> un’istruttoria che dovette spingere il Campogalliano a trasferirsi a Venezia, dove nel costituto<br />
del 5 marzo 1570 <strong>di</strong>chiarò <strong>di</strong> trovarsi «da 12 anni in circa».<br />
310 Processo veneziano, costituto del 6 marzo 1570. 1 successivi costituti veneziani e<br />
buona parte dei processi modenesi più tar<strong>di</strong> smentiscono l’affermazione del Campogalliano<br />
<strong>di</strong> non aver «mai parlato con alcuno <strong>di</strong> loro».<br />
311 Processo Terrazzano cit. (cfr. nota 305), testimonianza <strong>di</strong> Nicolò Morano del 12<br />
giugno 1552.<br />
~ 159 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
no nelle botteghe che anch’egli frequentava; ma non <strong>di</strong> rado le esprimeva<br />
in pubblico in forma <strong>di</strong> protesta o <strong>di</strong> irrisione. 312 Uno dei suoi primi<br />
interlocutori, Giovanni Terrazzano, sottoposto dal Foscarari alla stessa<br />
inchiesta e al conseguente processo riguardanti Paolo da Campogalliano,<br />
non riconosceva alla Chiesa romana oggettiva vali<strong>di</strong>tà istituzionale: «Est<br />
sancta, si est sancta», <strong>di</strong>ceva; 313 e contestava la vali<strong>di</strong>tà del provve<strong>di</strong>mento<br />
con cui si era impe<strong>di</strong>to «cuidam quaestuario pre<strong>di</strong>canti in foro ne pre<strong>di</strong>caret»,<br />
convinto che quel pre<strong>di</strong>catore, anche se irregolare, era «missus a<br />
Deo». 314 Nel <strong>di</strong>cembre del 1569, all’inquisitore veneziano che gli chiedeva<br />
che cosa intendesse <strong>di</strong>re quando affermava che Cristo era presente nell’eucaristia<br />
«spiritualmente», il Campogalliano prima volle riflettere («che<br />
voleu che vi <strong>di</strong>go»), poi rispose: «Perché Dio è spirito». 315 Ed era la premessa<br />
della sua totale svalutazione d’ogni forma <strong>di</strong> esteriorità religiosa.<br />
Conversazioni (non risulta quanto frequenti) con membri della comunità<br />
ebraica locale dovettero facilitare al Campogalliano e ai suoi amici i riscontri<br />
veterotestamentari della loro critica <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ni rituali e d’ogni<br />
sorta <strong>di</strong> pratiche devozionali. Il Campogalliano trovava comprensibile<br />
che un ebreo modenese si rifiutasse <strong>di</strong> convertirsi «perché tutti li cristiani<br />
sono idolatri»; e aggiungeva: «et mi pare ch’el <strong>di</strong>ca il vero». 316 Probabilmente<br />
proveniva da quelle stesse conversazioni la destrezza del suo<br />
amico Giovanni Terrazzano nell’addurre riferimenti testamentari a sostegno<br />
<strong>di</strong> critiche analoghe: «Assimilabat – testimoniò il notaio Nicolò Morano<br />
– oblationes votorum, cereorum et eiusmo<strong>di</strong> iis quae in Daniele leguntur<br />
de ritibus Ethnicorum». 317 L’impulso a formulare critiche e rifiuti<br />
così netti era in ragione della profon<strong>di</strong>tà con cui s’era ra<strong>di</strong>cata in loro la<br />
certezza dell’unicità della fede giustificante. È questa la sola convinzione<br />
sulla quale, nel settembre del 1555, il Campogalliano non tergiversò davanti<br />
all’inquisitore: <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> non credere nell’esistenza del purgatorio<br />
«perché ha questa fede dei meriti <strong>di</strong> Cristo e nella passione sua, che non<br />
312 Il 28 <strong>di</strong>cembre 1550, il frate minore Ludovico da Trento <strong>di</strong>chiarò che, avendolo visto<br />
acquistare delle immagini, il Terrazzano e il Campogalliano gli avevano detto che le immagini<br />
sono proibite; e avendo il frate risposto che esse «sunt libri i<strong>di</strong>otarum», il Campogalliano<br />
era esploso con espressioni molto crude, <strong>di</strong>venute poi oggetto <strong>di</strong> lunghi interrogatori<br />
sia a Modena che a Venezia.<br />
313 Processo Terrazzano cit., deposizione <strong>di</strong> Nicolò Morano del 7 maggio 1553.<br />
314 Ibid. Cfr. SUSANNA PEYRONEL RAMBALDI, Speranze e crisi cit., p. 261.<br />
315 Processo veneziano, costituto del 1 o <strong>di</strong>cembre 1569.<br />
316 Processo modenese, costituto del 22 settembre 1555.<br />
317 Processo Terrazzano cit., deposizione <strong>di</strong> Nicolò Morano del 7 maggio 1553.<br />
~ 160 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
haveria briga a purgarse». 318 Conversazioni nelle botteghe modenesi, <strong>di</strong>scorsi<br />
durante saltuari soggiorni a Venezia e letture <strong>di</strong> libri acquistati a<br />
Venezia o a Modena, tutto pre<strong>di</strong>sponeva questo tessitore e i suoi amici al<br />
confronto fra la certezza della salvezza per la sola fede nel beneficio <strong>di</strong><br />
Cristo, da una parte, e, dall’altra, la realtà quoti<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> pratiche devote,<br />
riti, consuetu<strong>di</strong>ni, culti, dottrine, che tendevano a sminuirla o a surrogarla.<br />
Anche la sua piccola biblioteca è significativa <strong>di</strong> questo confronto.<br />
All’inquisitore modenese <strong>di</strong>sse che sapeva «legere vulgare così uno poco».<br />
319 In realtà, doveva leggere molto, se nel 1565 il tessitore Giovanni da<br />
Fermo, che lo denunciò all’inquisizione veneziana, <strong>di</strong>chiarò: «È povero<br />
et sempre parla <strong>di</strong> letere et della Scrittura». 320 Avrà letto, visto e sentito<br />
esporre più libri <strong>di</strong> quanti ne possedesse, che erano prima <strong>di</strong> tutto il Beneficio<br />
<strong>di</strong> Cristo, il Sommario della Sacra Scrittura e il Pasquino in estasi; quasi<br />
ovvio il possesso d’un «testamento vechio et novo», cui aggiunse una<br />
Speranza de’ cristiani (a me sconosciuta). 321 In<strong>di</strong>cazioni che possono ben<br />
servire alla costruzione delle nostre scientifiche bibliografie con relative<br />
sezioni e sottosezioni e rispettive curve <strong>di</strong> produzione e <strong>di</strong>ffusione; ma in<br />
primo luogo libri che vanno messi in rapporto con le idee, le reazioni, le<br />
riflessioni e le emozioni <strong>di</strong> chi li ebbe in mano – quando nei documenti<br />
questo rapporto c’è. È significativo che nel 1555 il Campogalliano chiedesse<br />
perdono all’inquisitore Angelo Valentini «maxime d’haver lecto pasquino<br />
et il beneficio et il summario», 322 cioè libri il cui possesso era ormai<br />
un segno caratterizzante – come sapevano inquisitori e inquisiti – d’un<br />
<strong>di</strong>ssenso indubitabilmente militante: da una parte uno dei messaggi più<br />
confortanti dell’epoca sulla certezza del «perdono generale», dall’altra una<br />
rappresentazione sconcertante d’una realtà che contrastava con esso. Già<br />
quando si presentò davanti al Foscarari, il Campogalliano in sette anni ne<br />
aveva tratto un confronto tra fede e istituzione dagli esiti <strong>di</strong>struttivi. Con<br />
la sua premessa che «Dio è spirito» vedeva contrastare tutte le forme <strong>di</strong><br />
318 Processo modenese, costituto del 22 settembre 1555.<br />
319 Ibid.<br />
320 Processo veneziano, deposizione <strong>di</strong> Giovanni <strong>di</strong> Giacomo da Fermo del 16 aprile<br />
1565. 321 La sola, pur labile congettura è che si tratti della seconda parte della Dottrina verissima<br />
<strong>di</strong> Urbanus Rhegius (Dialogo tra uno penitente peccatore et Satan, ove si parla de la desperatione, et<br />
della speranza), sulla quale ve<strong>di</strong> SILVANO CAVAZZA, Libri in volgare e propaganda eterodossa: Venezia<br />
1543-1547, in Libri, idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento italiano, a cura <strong>di</strong> ADRIANO<br />
PROSPERI e ALBANO BIONDI, Modena, E<strong>di</strong>zioni Panini, 1987, pp. 22-23.<br />
322 Processo modenese, costituto del 2 ottobre 1555.<br />
~ 161 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
esteriorità della religione, ogni aspetto del culto. Non c’è mai del casuale<br />
in affermazioni come quella fatta dal Campogalliano <strong>di</strong> fronte all’inquisitore<br />
veneziano: nel suo caso, l’affermazione era tratta da Iohan., IV, 24,<br />
Spiritus est Deus, et eos, qui adorant eum, in spiritu et veritate oportet adorare.<br />
Ed era lo stesso luogo testamentario al quale implicitamente si richiamava<br />
il Terrazzano quando, contro l’«idolatria» del culto delle immagini, <strong>di</strong>ceva<br />
che «hora li veri adoratori adorano il Padre in spirito et verità». 323 Ma<br />
in quel versetto <strong>di</strong> Giovanni i due amici avevano trovato una chiave interpretativa<br />
che consentiva loro <strong>di</strong> spingersi ben al <strong>di</strong> là delle consuete<br />
critiche del culto delle immagini: il Campogalliano non si faceva scrupolo<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarare «quod Deus nusquam iussit celebrari missas et alia officia».<br />
324 Ma entrambi ancora <strong>di</strong> più alzavano il tiro della protesta, quando,<br />
con evidente reminiscenza del Pasquino in estasi, <strong>di</strong>cevano che il culto<br />
delle immagini era «idolatria e tirannia». 325 Per quanto schematici, gli atti<br />
inquisitoriali non mancano talvolta <strong>di</strong> darci una rappresentazione quasi<br />
visiva <strong>di</strong> quanto avveniva in quelle botteghe, dove s’andava a consultare<br />
il Testamento (Pietro Curioni, una singolare figura <strong>di</strong> me<strong>di</strong>co e <strong>di</strong> mercante,<br />
ad<strong>di</strong>rittura ne teneva una copia a <strong>di</strong>sposizione degli avventori) 326 e<br />
vi si faceva una specie <strong>di</strong> volenterosa collazione col Beneficio, col Sommario<br />
e col Pasquino: insomma, vi si mettevano in moto quei processi che il<br />
Curione stimolava con la narrazione della metamorfosi <strong>di</strong> Marforio. Il<br />
passaggio dal Beneficio <strong>di</strong> Cristo (o quanto si sapeva <strong>di</strong> quel messaggio) al<br />
Pasquino in estasi (o quanto si sapeva <strong>di</strong> quella satira, e non solo satira, demolitrice)<br />
segna una linea caratteristica dell’evoluzione del movimento<br />
eterodosso modenese. Nel 1575, le <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> Guido Rangoni, «figliolo<br />
et procuratore del magnifico Pindaro Rangoni nobile Modenese»<br />
e gran <strong>di</strong>scorritore sulle «contra<strong>di</strong>tioni della Chiesa» nell’interpretazione<br />
degli effetti della venuta <strong>di</strong> Cristo, <strong>di</strong>edero all’inquisitore (e danno a noi)<br />
il senso dell’importanza che aveva avuto, decenni prima, la lettura <strong>di</strong><br />
«Pasquino e Marforio in estesi»: «Questo – <strong>di</strong>chiarò – è il più nefando libro<br />
che mai habbi letto». 327 Il giu<strong>di</strong>zio sulla natura «tirannica» degli obbli-<br />
323 Processo Terrazzano cit., testimonianza <strong>di</strong> Francesco Spazzano del 20 giugno 1555.<br />
324 Ibid., deposizione <strong>di</strong> Giovanni Zanibelli del 20 giugno 1555.<br />
325 Processo modenese, costituto del 22 settembre 1555 (cfr. processo Terrazzano cit.,<br />
deposizione <strong>di</strong> Giovanni Zanibelli del 20 giugno 1555).<br />
326 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 5, Processi 1568-1574, «Liber<br />
undecimus», processo Pietro Curioni, costituto del 28 marzo 1568.<br />
327 Ibid., busta 6, Processi 1575-1580, processo Guido Rangoni, costituto del 26 marzo<br />
1575.<br />
~ 162 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
ghi quoti<strong>di</strong>ani che imponevano i tempi e le osservanze del culto si <strong>di</strong>latava<br />
nella misura in cui se ne sentiva l’estraneità e l’inutilità rispetto alla<br />
convinzione dell’efficacia e sufficienza salvifica della sola fede. E si <strong>di</strong>latava<br />
fino a investire l’intera struttura ecclesiastica: l’accettazione delle elemosine<br />
e la ven<strong>di</strong>ta delle messe – <strong>di</strong>ceva il Campogalliano – erano la pratica<br />
quoti<strong>di</strong>ana del «turpe lucrum» con cui la Chiesa si è arricchita a <strong>di</strong>smisura<br />
e «ha fatti poveri gli altri». 328 Alla sommità <strong>di</strong> questa struttura <strong>di</strong>spensatrice<br />
<strong>di</strong> surrettizi mezzi <strong>di</strong> salvezza s’è inse<strong>di</strong>ato l’Anticristo nella<br />
persona del papa. 329 Il sacerdozio, esercitato da pochi beneficiarî <strong>di</strong> questo<br />
peccaminoso accumulo <strong>di</strong> ricchezze, è in realtà prerogativa <strong>di</strong> tutti i cristiani.<br />
330 E quando i due amici e i loro interlocutori dalla bottega <strong>di</strong> Giovanni<br />
Terrazzano si spostavano in quella <strong>di</strong> Pietro Curioni, vi trovavano,<br />
giunto anch’esso tempestivamente a Modena, uno degli ultimi libelli del<br />
Vergerio, in cui, per bocca del Petrarca, si invocava sulla Chiesa una<br />
sterminatrice «fiamma del ciel». 331<br />
328 Processo modenese, costituti del 22 e del 29 settembre e del 2 ottobre 1555. Cfr.<br />
Processo Terrazzano cit., deposizione <strong>di</strong> Francesco della Croce del 20 giugno 1555.<br />
329 Processo modenese, costituti del 22 e del 29 settembre, del 1 o e del 2 ottobre 1555.<br />
330 Ibid., costituto del 22 settembre 1555, dove l’inquisito tenta una tipica attenuazione<br />
del suo pensiero: «Respon<strong>di</strong>t che Santo Pietro scrive che sianno gente santa e sacerdotio regale,<br />
che tutti i fedeli cristiani, cioè la chiesa <strong>di</strong> Giesù Christo, sonno sacerdoti et che confesso<br />
questo, e se l’ho detto ut supra non tutti equaliter. Ma che lui è sacerdote della sua casa,<br />
et non tanto lui, ma et tutti gli altri, e che poi sonno delli altri sacerdoti che ministrano i sacramenti».<br />
Molti altri casi danno, del resto, l’idea <strong>di</strong> quanto fosse <strong>di</strong>ffusa a Modena la dottrina<br />
luterana del sacerdozio universale. Ad esempio, il 15 aprile 1545 il domenicano Giovanni<br />
Paolo da Lugo accusò Girolamo Grassetti d’aver sostenuto «quod omnes sacerdotes sumus et<br />
hoc assertive»; un mese dopo, il 22 maggio, il sellaio Giacomo Piva venne denunciato per<br />
aver detto: «Ego habeo tantam authoritatem quantam habet quilibet alius et ego possum te<br />
absolvere sicut quilibet alius» (ibid., busta 2, Processi 1489-1549, ai nomi). La dottrina del sacerdozio<br />
universale era implicita nella concezione della chiesa come invisibile congregazione<br />
dei fedeli, sulla cui <strong>di</strong>ffusione a Modena la testimonianza più precisa è, come si vedrà, nel<br />
processo del soldato Pietro Antonio da Cervia. Un suo commilitone, il ferrarese Giovanni<br />
Ludovico Novelli, nell’agosto del 1567 confessa d’aver creduto «veram ecclesiam esse congregationem<br />
credentium» e che «ministrum baptismi illum esse qui a populo or<strong>di</strong>natus est ad<br />
pre<strong>di</strong>candum et baptizandum» (ibid., busta 4, Processi 1566-1568, «Liber decimus», processo<br />
Giovanni Ludovico Novelli, costituto del 16 agosto 1567). E così via.<br />
331 Processo modenese, costituti del 22 settembre e del 1 o ottobre 1555. Il libello del<br />
Vergerio era uscito l’anno prima: Stanze del Berna con tre sonetti del Petrarca dove si parla dell’Evangelio<br />
et della Corte Romana, nell’anno 1554 (l’introduzione è datata 20 agosto 1554). Cfr.<br />
FRIEDRICH HUBERT, Vergerios publizistische Thätigkeit cit., p. 291. Sul contenuto ve<strong>di</strong> DELIO<br />
CANTIMORI, Atteggiamenti della vita culturale italiana nel secolo XVI <strong>di</strong> fronte alla Riforma, «Rivista<br />
storica italiana», LIII, pp. 41-69, ora in IDEM, Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino,<br />
Einau<strong>di</strong>, 1975, pp. 8-12.<br />
~ 163 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Nei processi della fine degli anni Sessanta, la figura del Campogalliano<br />
riaffiora continuamente in tutte le sue relazioni e nell’efficacia della<br />
sua propaganda. Bartolomeo Vecchi detto il Caura, pittore e fabbricante<br />
<strong>di</strong> «mascare e rodelle», lo ricorda come «gran lutherano», e il tessitore<br />
Geminiano Tamburino <strong>di</strong>chiara che aveva esercitato su <strong>di</strong> lui una gran<br />
capacità <strong>di</strong> persuasione. 332 Altri allargano continuamente la cerchia delle<br />
sue frequentazioni fino a far coincidere l’attività del Campogalliano con<br />
l’intero quadro del movimento eterodosso modenese. Ma ciò che visibilmente<br />
prevale in quei processi è la volontà <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssociarsi dalla sua attività<br />
e dalle sue idee. È caratteristica la <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> Pietro Curioni, il <strong>di</strong>ffon<strong>di</strong>tore<br />
del libello del Vergerio e anch’egli, testimone lo stesso Campogalliano,<br />
convinto interprete in senso antiromano della violenta invettiva<br />
antiavignonese del Petrarca: nell’aprile del 1568 il Curioni è <strong>di</strong>sposto<br />
ad ammettere soltanto d’aver «murmurato delle ricchezze della chiesa et<br />
delli ecclesiastici». 333 Sennonché, al <strong>di</strong> là delle reticenze con cui i singoli<br />
rivelavano le loro passate complicità e tentavano <strong>di</strong> ri<strong>di</strong>mensionare la<br />
gravità delle loro convinzioni, l’inquisitore veniva deducendo dall’intreccio<br />
dei proce<strong>di</strong>menti e dalla complementarietà delle ammissioni dei singoli<br />
un quadro generale della situazione che in gran parte vanificava quel<br />
gioco <strong>di</strong> reticenze e <strong>di</strong> selezioni. Quando poi giunsero a Modena gli<br />
estratti del processo bolognese <strong>di</strong> Pietro Antonio Cervia, l’inquisito che<br />
fornì la maggior quantità <strong>di</strong> dettagli sui componenti e sulle idee del movimento<br />
eterodosso modenese del quale aveva fatto parte fino a pochi<br />
mesi prima, l’inquisitore ebbe chiara la matrice comune dalla quale derivavano<br />
entrambe le versioni che i suoi inquisiti davano delle loro passate<br />
convinzioni sull’or<strong>di</strong>namento ecclesiastico: quella che il papa incarnasse<br />
l’Anticristo e quella che egli non avesse alcuna autorità sulla Chiesa. Leggeva<br />
in uno dei costituti bolognesi del Cervia che convinzione comune<br />
ai moltissimi che il Cervia aveva conosciuto a Modena («quandam congregationem<br />
plusquam triginta hominum qui legunt libros haereticorum<br />
et male sentiunt de fide catholica») era che «la chiesa fosse la congregatione<br />
de’ fedeli et de’ credenti, et cioè <strong>di</strong> quelli che credono dover essere<br />
salvi per la morte et passione <strong>di</strong> Christo». E «quest’era la vera chiesa»,<br />
dalla quale erano esclusi quanti riponevano la loro salvezza in «indulgen-<br />
332 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 5, Processi 1568, «Liber undecimus»,<br />
processo Bartolomeo Caura, costituto del 14 marzo 1568; processo Geminiano Tamburino,<br />
costituto del 24 gennaio 1568.<br />
333 Processo Curioni cit. (cfr. nota 326), costituto del 23 aprile 1568.<br />
~ 164 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
ze, perdoni, voti, peregrinaggi et altre simil opere», perché non erano<br />
veri credenti, «et per questo non erano della chiesa». Il papa non aveva<br />
alcuna autorità <strong>di</strong> aggiungere ai comandamenti <strong>di</strong> Dio «nuove leggi et<br />
precetti [...] et fare il giogo insopportabile dei comandamenti fatti alli<br />
christiani»; le sue «leggi, or<strong>di</strong>ni et precetti» non legavano le coscienze<br />
«per essere leggi positive et fatte da un huomo»; non avevano valore né<br />
le sue scomuniche né quelle d’ogni altro prelato, perché credevano che<br />
«quelli solamente fossero scomunicati che non credono nel figliuol d’Id<strong>di</strong>o»;<br />
il solo sacramento che ammettevano «senza <strong>di</strong>fferenza alcuna <strong>di</strong><br />
quello che tiene la Santa Romana Chiesa» era il battesimo, ma «eccetto<br />
che noi tenevamo quello esser ministro del battismo solamente il quale<br />
era or<strong>di</strong>nato dal populo per pre<strong>di</strong>care et battezzare». 334<br />
Era un rifiuto dell’istituzione ecclesiastica le cui prime espressioni risalivano<br />
a decenni prima. La pur frammentaria documentazione inquisitoriale<br />
relativa agli anni dell’episcopato del Foscarari basta a documentare<br />
quanto questo rifiuto fosse <strong>di</strong>ffuso. Nel marzo del 1548, la moglie <strong>di</strong> Girolamo<br />
Comi – ancora il pittore al quale si rivolse Giovanni Rangoni –<br />
venne accusata da tale Francesca Macagnini d’aver negato la Chiesa in<br />
quanto costruzione umana («negasse ecclesiam, quia ex hominibus est») e<br />
perché bastava una sola goccia del sangue <strong>di</strong> Cristo a renderla non necessaria<br />
(«ob sufficientiam guttae unius sanguinis Iesu Christi non esse ecclesiam<br />
necessariam»). 335 Era una deduzione comune – per lettura <strong>di</strong>retta o<br />
per conoscenza me<strong>di</strong>ata – dal Beneficio <strong>di</strong> Cristo. E abbiamo preferito seguire,<br />
attraverso singoli episo<strong>di</strong> e risalendo fino al circolo che agli inizi<br />
degli anni Quaranta si riuniva alla Staggia, il processo <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>calizzazione<br />
<strong>di</strong> questa convinzione dell’inutilità dell’or<strong>di</strong>namento ecclesiastico in protesta<br />
contro la sua funzione oppressiva. L’efficacia esercitata in questo<br />
processo da libri come le pre<strong>di</strong>che dell’Ochino o il primo scritto del<br />
Vermigli o gli scritti pasquilleschi del Curione è ovvia e non <strong>di</strong> rado testimoniata<br />
dagli stessi inquisiti – come abbiamo visto nel caso <strong>di</strong> Guido<br />
334 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 4, Processi 1566-1568, processo<br />
Pietro Antonio da Cervia (estratti del processo bolognese), costituto del 28 febbraio 1567<br />
(cfr. JOHN A. TEDESCHI, JOSEPHINE VON HENNEBERG, «Contra Petrum Antonium a Cervia relapsum<br />
et Bononiae concrematum», in Italian Reformation Stu<strong>di</strong>es in honor of Laelius Socinus. E<strong>di</strong>ted<br />
by JOHN A. TEDESCHI, Firenze, Le Monnier, 1965, p. 257, in inglese). Ch’io sappia, la prima<br />
notizia dell’interessamento dell’inquisizione modenese alla cattura del Cervia è in una lettera<br />
del duca <strong>di</strong> Ferrara al governatore <strong>di</strong> Modena Ippolito Turchi del 28 agosto 1566 (Modena,<br />
Archivio <strong>di</strong> Stato, Cancelleria ducale. Rettori dello Stato: Modena, Ippolito Turchi, cart. 70, n. 82).<br />
335 Ibid., Fondo Inquisizione, busta 2, Processi 1489-1549, deposizione <strong>di</strong> Francesca Macagnini<br />
del 18 marzo 1548.<br />
~ 165 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Rangoni. È significativo che, nel 1568, Antonio Maria Ferrarese, un tessitore<br />
tra i più menzionati nei processi <strong>di</strong> quell’anno, ricor<strong>di</strong>, fra le personalità<br />
più in vista del movimento eterodosso modenese, anche Alberto<br />
Baranzoni, il <strong>di</strong>ffon<strong>di</strong>tore del Liber generationis Antichristi. 336<br />
Se non Nicolò del Finale, l’inquisitore che, <strong>di</strong>rettamente o per mezzo<br />
dei suoi vicari, condusse l’azione repressiva della fine degli anni Sessanta,<br />
certo il più energico Paolo Costabili, succedutogli nell’autunno del<br />
1568, si rese conto, in primo luogo attraverso lo stu<strong>di</strong>o (e il rior<strong>di</strong>no) degli<br />
incartamenti dei decenni precedenti, che il filone preminente delle<br />
eresie che si erano <strong>di</strong>ffuse a Modena era quello che negava tutti i fondamenti<br />
dell’istituzione ecclesiastica. Il poco che è rimasto della sua corrispondenza<br />
con Roma <strong>di</strong>mostra la preoccupazione sua e della Congregazione<br />
romana <strong>di</strong> fronte a quanto era emerso dalla recente ondata <strong>di</strong> processi.<br />
Il dubbio che i condannati, che ora sciamavano per Modena cercando<br />
<strong>di</strong> nascondere l’abitello sotto le cappe, portassero sepolti in loro i<br />
nomi <strong>di</strong> altri complici e le stesse convinzioni alle quali avevano abiurato,<br />
spiega la severità degli interventi del car<strong>di</strong>nale Scipione Rebiba: ad esempio,<br />
nel gennaio del 1570 ingiunse al Costabili <strong>di</strong> or<strong>di</strong>nare a Marco Caula<br />
e al Curioni che «teneant capam apertam et habitellum ita detectum ut<br />
aperte videatur»; nel febbraio del 1572 or<strong>di</strong>nò al Costabili <strong>di</strong> sorvegliare<br />
tutti quelli che, pur essendo stati denunciati precedentemente, erano poi<br />
stati assolti dal Morone in base al breve <strong>di</strong> Pio V, «per sapere come vivono»<br />
e procedere contro <strong>di</strong> loro «trovando che non camminino sinceramente<br />
overo che non habbino abiurato alcuno errore <strong>di</strong> quelli de’ quali<br />
erano denontiati o che habbino tacciuto de’ suoi complici». 337 Almeno un<br />
caso <strong>di</strong>mostra che i dubbi del Rebiba non erano infondati.<br />
Il 25 marzo 1574 il Rebiba or<strong>di</strong>nò al vescovo <strong>di</strong> Modena <strong>di</strong> arrestare<br />
«Madama Dalinda Caran<strong>di</strong>ni», <strong>di</strong> sequestrarle «tutti i libri, lettere et scritture»<br />
e <strong>di</strong> controllare i frequentatori della sua casa. 338 Il piccolo carteggio<br />
tra Roma, Modena e Ferrara, che almeno fino al 19 giugno ebbe come<br />
336 Ibid., busta 5, Processi 1568-1573, «Liber duodecimus», processo Antonio Maria Ferrarese,<br />
costituto del 26 marzo 1568.<br />
337 Varie lettere del Rebiba <strong>di</strong> raccomandazione alla sorveglianza sono incluse nel fascicolo<br />
del cit. processo <strong>di</strong> Pietro Curioni (cfr. nota 326). La lettera su quanti avevano abiurato<br />
in base al privilegio concesso al Morone è ibid., busta 122, alla data).<br />
338 Ibid., busta 6, Processi 1569-1574, «Liber tertius decimus», fascicolo Dalida Caran<strong>di</strong>ni,<br />
che comprende una lunga relazione del gesuita Bonfio Bonfi su una conversazione avuta con<br />
la Caran<strong>di</strong>ni ai primi <strong>di</strong> febbraio del 1574, e quattro lettere del car<strong>di</strong>nale Scipione Rebiba al<br />
vescovo <strong>di</strong> Modena e all’inquisitore Eliseo Capis, scritte tra il 25 marzo e il 19 giugno. Se ho<br />
visto bene, la vicenda della Caran<strong>di</strong>ni non ritorna in alcun altro atto dell’inquisizione modenese.<br />
~ 166 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
oggetto questa vicenda, parla della Caran<strong>di</strong>ni come <strong>di</strong> «persona <strong>di</strong> molta<br />
importanza», «molto favorita». In effetti, il rango sociale della gentildonna<br />
era dei più considerevoli: nata Bandedei, era già vedova <strong>di</strong> Giulio Castelvetro<br />
quando nel 1549 sposò in seconde nozze Clau<strong>di</strong>o Caran<strong>di</strong>ni. 339 Il<br />
proce<strong>di</strong>mento inquisitoriale prese avvio dal resoconto d’una conversazione<br />
che il rettore del collegio modenese dei gesuiti, Bonfio Bonfi, aveva<br />
avuto con la Caran<strong>di</strong>ni, sottoscritto sotto giuramento l’11 marzo 1574<br />
davanti al vescovo e all’inquisitore Eliseo Capis. La Caran<strong>di</strong>ni aveva ricordato<br />
con nostalgia gli anni in cui, «mentre ella era giovanetta», era stata<br />
ammaestrata da Ludovico Castelvetro. Le lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> Erasmo e il biasimo<br />
della proibizione delle sue opere si confondevano col ricordo del tempo<br />
in cui Castelvetro «li leggeva una lettione delli Evangeli». 340 Disse che non<br />
si curava della proibizione d’un autore le cui opere «erano buone et piene<br />
<strong>di</strong> buoni documenti»; e non se ne curava in quanto era convinta che<br />
il «pontefice non havea la suprema potestà»: perché – soggiungeva – «come<br />
volete che cre<strong>di</strong>amo che habbi tal potestà, essendo che egli è peggior<br />
dell’altri insieme colli car<strong>di</strong>nali et altri ecclesiastici, come si vede nella vita<br />
che loro tengono et haver date le entrate ecclesiastiche a’ suoi parenti?».<br />
Il Bonfi contrappose agli argomenti della gentildonna il versetto <strong>di</strong><br />
Matteo, XXIII, 2, Super cathedram Moysi, con un rovesciamento <strong>di</strong> significato<br />
rispetto a quello che gli avevano dato a Bologna Giovanni Battista<br />
Scotti e a Modena Bartolomeo della Pergola (o l’interpretazione che ne<br />
avevano dedotta i suoi ascoltatori): <strong>di</strong>sse che proprio da quel versetto <strong>di</strong><br />
Matteo doveva dedursi che «quantunque il pontefice fosse malo, essendo<br />
che insegna la dottrina <strong>di</strong> Christo vera, si deve obe<strong>di</strong>re». Tornavano gli<br />
argomenti con cui, trentaquattro anni prima, il Sigibal<strong>di</strong> aveva valutato<br />
l’assieme dei fermenti <strong>di</strong> protesta che si venivano manifestando a Modena.<br />
Ma la Caran<strong>di</strong>ni non lasciò dubbi su questo punto: dall’osservazione<br />
della realtà ecclesiastica aveva tratto la conseguenza che la vera chiesa non<br />
era quella visibile, «ma solo la congregatione delli eletti»; perciò negava la<br />
vali<strong>di</strong>tà del <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> leggere il Testamento in volgare, perché, «essendo<br />
Christo venuto per salvar tutti, doveano tutti esser partecipi della dottrina<br />
<strong>di</strong> Christo». Le considerazioni conclusive della conversazione sono<br />
una testimonianza notevole sul comportamento bifronte al quale, in anni<br />
339 LANCILLOTTI, Cronaca cit., XI, p. 22 (Cfr. JOHN A. TEDESCHI, Contra Petrum Antonium<br />
a Cervia cit., p. 250). Nel 1564 era vedova del Caran<strong>di</strong>ni, il cui testamento, redatto l’anno<br />
prima, è in Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Particolari, busta 296, sub Caran<strong>di</strong>ni Clau<strong>di</strong>o.<br />
340 La data della prima vedovanza della Caran<strong>di</strong>ni (1549) in<strong>di</strong>ca che gli «ammaestramenti»<br />
ricevuti dal Castelvetro «mentre ella era giovanetta» risalgono agli anni Trenta.<br />
~ 167 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
<strong>di</strong> sconfitta, era costretto chi, come la Caran<strong>di</strong>ni, per quarant’anni era<br />
vissuta nell’atmosfera <strong>di</strong> due delle famiglie modenesi maggiormente caratterizzate<br />
in senso eterodosso, i Castelvetro e i Caran<strong>di</strong>ni. Il documento<br />
non lascia dubbi sul fatto che vi fosse fra il gesuita e la gentildonna una<br />
consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> conversazioni confidenti. E ciò spiega che la Caran<strong>di</strong>ni<br />
presupponesse nel gesuita una possibile concor<strong>di</strong>a sulla <strong>di</strong>stinzione tra il<br />
sentire «interiormente» e il comportamento esteriore: un coinvolgimento<br />
che il gesuita respinse senza indugi. Alle sue argomentazioni in contrario<br />
la Caran<strong>di</strong>ni recisamente «rispose che pensava essere vero quello che lei<br />
intendeva, et non altro». Tuttavia, incitò il gesuita a non scandalizzarsi<br />
perché, dopo tutto – <strong>di</strong>ceva – «si confessava et comunicava et che portava<br />
la corona et le medaglie benedette». C’è una forte, ma anche amara e<br />
ironica presunzione della propria superiorità interiore nelle parole con<br />
cui la gentildonna, mostrando corona e medaglie, chiuse la conversazione:<br />
«Vedete se credo al papa, ché porto la corona; se non li credessi, non<br />
la portarei». In calce alla sua relazione il Bonfi volle aggiungere, forse per<br />
prudenza, che dal colloquio <strong>di</strong> «quel giorno» aveva dedotto che la Caran<strong>di</strong>ni<br />
era «heretica marcia».<br />
7. Variazioni sul tema: Curione e Biandrata<br />
Nelle ricerche sulla propaganda religiosa del Cinquecento niente deve<br />
sorprendere. Non sorprende, perciò, che l’approfon<strong>di</strong>mento delle ricerche<br />
su una copia manoscritta del Liber generationis Antichristi, rinvenuta<br />
quasi casualmente – com’è accaduto a chi scrive – in un fondo archivistico<br />
marginale, porti alla scoperta che si trattava d’un libello ritenuto degno<br />
d’essere ripreso e <strong>di</strong>vulgato, ottant’anni dopo, come un messaggio<br />
esplicativo delle origini della Riforma nella ricorrenza del suo primo<br />
centenario. Fu precisamente con questo intento che nel 1618 lo fece ristampare<br />
tale «Theophilus de Seelan<strong>di</strong>a Antiquarius» (visibilmente uno<br />
pseudonimo), corredandolo per l’occasione anche d’una piccola appen<strong>di</strong>ce<br />
<strong>di</strong> tre <strong>di</strong>stici, che compongono un violento pasquillo sull’origine dei<br />
gesuiti («Partus jesuitarum verus»). 341 Con l’aggiunta finale d’una sola pro-<br />
341 Fu stampato, come foglio volante, in almeno due forme <strong>di</strong>verse: Genealogia vera Antichristi<br />
quam pro appen<strong>di</strong>ce Iubilaei Evangelici Christiano-Lutherani in gratiam Lojolitarum, quos Jesuitas<br />
vocant, ex mss. veteri restituit Theophilus de Seelan<strong>di</strong>a Antiquarius, excusa MDCXIIX. Se<br />
ne conserva un esemplare alla Herzog August Bibliothek <strong>di</strong> Wolfenbüttel, segnatura: 38. 25,<br />
Aug. 2 o , c. 291 in<strong>di</strong>catomi da Paolo Bal<strong>di</strong>. Lo stesso Theophilus ne promosse la stampa in<br />
~ 168 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
posizione, Theophilus esplicitò ciò che originariamente il libellista, come<br />
abbiamo visto, aveva solo insinuato: un <strong>di</strong>ffuso stato <strong>di</strong> ansietà, generato<br />
dalla corruzione dell’istituzione e dalla confusione nella dottrina, aveva<br />
posto il problema urgente <strong>di</strong> riscoprire la verità; e si scoprì che all’origine<br />
della corruzione dei costumi e della dottrina c’era stata l’opera dell’Anticristo<br />
nella persona del papa. Il libellista s’era arrestato qui. «Et consequenter<br />
– aggiungeva ora Theophilus de Seelan<strong>di</strong>a – introitus Iubilaei<br />
Evangelici»: dall’insinuazione dell’in<strong>di</strong>fferibilità della Riforma si passava<br />
ora alla celebrazione d’una prospettiva già realizzata. Si tratta, come si sa,<br />
<strong>di</strong> storia comune a questo e ad altri generi simili <strong>di</strong> letteratura (pronostici,<br />
profezie).<br />
La <strong>di</strong>chiarata intenzione <strong>di</strong> Theophilus <strong>di</strong> riportare il testo del libello<br />
alla sua forma originaria («ex manuscriptis veteri restituit») in<strong>di</strong>ca che egli<br />
si trovava <strong>di</strong> fronte a una varietà <strong>di</strong> redazioni <strong>di</strong>scordanti, in sostanza <strong>di</strong><br />
fronte alle testimonianze dei mutamenti e adattamenti che il libello aveva<br />
subito nel corso d’una circolazione <strong>di</strong> molti decenni. Qui <strong>di</strong> seguito ci<br />
soffermeremo su due <strong>di</strong> questi adattamenti. Quanto all’ampiezza della sua<br />
circolazione, essa è <strong>di</strong>mostrata dalle molte traduzioni nelle principali lingue:<br />
il Liber generationis Antichristi è tra i libelli cinquecenteschi più tradotti.<br />
L’essenzialità del suo schema genealogico lo rendeva adatto all’aggiunta<br />
<strong>di</strong> eventi d’ogni portata. Così, quasi a ridosso della stampa commemorativa<br />
<strong>di</strong> Theophilus de Seelan<strong>di</strong>a, nel 1609 ne era apparsa a Londra<br />
una traduzione in inglese, inclusa in un violentissimo pamphlet antiromano:<br />
nel perdurante clima <strong>di</strong> reazione anticattolica seguita alla «congiura<br />
delle polveri», il Liber generationis Antichristi sembrava adatto a fornire,<br />
al <strong>di</strong> là della più <strong>di</strong>retta polemica antigesuitica, la ragione ultima, o piuttosto<br />
a riba<strong>di</strong>re il già <strong>di</strong>ffuso presupposto che la responsabilità del <strong>di</strong>abolico<br />
complotto risaliva al papa in quanto creatura <strong>di</strong> Satana». 342 A evento<br />
un formato <strong>di</strong>verso, con l’aggiunta del testo in tedesco (Carlos Gilly me ne ha in<strong>di</strong>cato un<br />
esemplare posseduto dalla Staatsbibliothek <strong>di</strong> Berlino, con segnatura: Preussischer Kulturbesitz,<br />
Ya. 4963, m). Il pasquillo antigesuitico porta la sottoscrizione: «M. D. R.», che non sono<br />
riuscito a sciogliere. JOHN ROGER PAAS, Einblattdrucke zum Reformationsjubiläum, «Luther Jahrbuch»,<br />
L, 1983, p. 47, menziona la sola stampa in latino e in tedesco.<br />
342 No Parliament Powder, but Shot and Powder for the Pope and for all his Car<strong>di</strong>nalles, Bishops,<br />
Abbots, Fryers, Monkes, the Maisters and great Doctours of Sorbonne, London, printed by<br />
Thomas Purfoot, 1609, pp. 71-72. La lettera <strong>di</strong> de<strong>di</strong>ca è sottoscritta «Philogathus». Su pubblicazioni<br />
degli stessi anni incentrate sull’identificazione del papa con l’Anticristo ve<strong>di</strong> LEONA<br />
ROSTENBERG, The Minority Press and the English Crown. A Study in Repression, 1588-1625,<br />
Nieuwkoop, De Graaf, 1971, p. 71.<br />
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ANTONIO ROTONDÒ<br />
<strong>di</strong>verso, privo delle forti tensioni suscitate in Inghilterra dall’attentato<br />
contro il Parlamento, ma atto anch’esso a provocare la risposta <strong>di</strong> cui il<br />
libello era un potenziale portatore, si riferisce una stampa in francese <strong>di</strong>ffusa<br />
in occasione del giubileo del 1600 e inclusa in una piccola silloge <strong>di</strong><br />
libelli analoghi, volti alla rappresentazione della ricorrenza giubilare come<br />
manifestazione d’un trionfalismo in cui si perpetuava l’antitesi tra Cristo<br />
e Anticristo. 343 In questa tarda stampa in francese, il Liber generationis Antichristi<br />
appariva insieme con l’Imagine <strong>di</strong> Antechristo dell’Ochino, così come<br />
sessant’anni prima i due libelli erano stati associati dai lettori italiani e come<br />
poi erano stati associati in altre stampe dei decenni successivi. Alla<br />
più nota, in lingua spagnola, <strong>di</strong> queste stampe unitarie dei due libelli è legata,<br />
come si sa, la sorte tragica cui nel 1560 andò incontro, a Siviglia,<br />
Julián Hernández, che da Ginevra ne aveva trasferito esemplari in Spagna. 344<br />
Tutte queste traduzioni e stampe del Liber generationis Antichristi, della<br />
cui <strong>di</strong>ffusione nell’arco d’un ottantennio abbiamo in<strong>di</strong>cato soltanto alcune<br />
tracce, rientrano negli intenti d’una propaganda che si richiamava <strong>di</strong>rettamente,<br />
semplificandole, a elaborazioni teologiche la cui intransigenza<br />
nell’identificare l’Anticristo con la Chiesa romana poteva spingersi sino<br />
al limite del <strong>di</strong>scrimine d’ortodossia. 345 Julián Hernández e i suoi dotti<br />
connazionali rifugiatisi a Ginevra (Juan Pérez, Cipriano de Valera) sapevano<br />
che, trasferendo in Spagna quel libello, vi <strong>di</strong>ffondevano la dottrina<br />
sulla Chiesa romana come incarnazione dell’Anticristo esposta da Calvi-<br />
343 È descritta in EDUARD BOEHMER, Spanish Reformers cit., II, pp. 108-110. Alle altre traduzioni<br />
in francese del libello ivi descritte va aggiunta quella che correda una figurazione <strong>di</strong><br />
Giulio III in sembianze <strong>di</strong>aboliche. Il testo del libello, posto in alto, è commentato dal resto<br />
delle scritte che contornano la figura. L’esemplare posseduto dalla Herzog August Bibliothek<br />
<strong>di</strong> Wolfenbüttel è riprodotto in Die Sammlung der Herzog August Bibliothek in Wolfenbüttel.<br />
Kommentierte Ausgabe, Bd. 2, Historica, hg. von WOLFGANG HARMS, MICHAEL SCHILLING und<br />
ANDREAS WANG, München, Kraus, 1980. Un cenno sulle traduzioni francesi del libello è in<br />
C. LENIENT, La satire en France, ou la littérature militante au XV e siècle. Nouvelle é<strong>di</strong>tion revue,<br />
corrigée et augmentée, Paris, Hachette, 1877, I, pp. 214-215.<br />
344 Ve<strong>di</strong> JOHN E. LONGHURST, Julián Hernández Protestant Martyr, «Bibliothèque d’Humanisme<br />
et Renaissance», XXII, 1960, pp. 90-118; EUGÉNIE DROZ, Note sur les impressions genevoises<br />
transportées par Hernández, ibid., pp. 119-132; A. GORDON KINDER, EDWARD M. WIL-<br />
SON, The Cambridge Copy of the «Imagen del Antechristo», «Transactions of Cambridge Bibliographical<br />
Society», VI, 1975, pp. 188-194.<br />
345 A questo limite si spinse, nel 1603, il sinodo <strong>di</strong> Gap delle Chiese riformate <strong>di</strong> Francia,<br />
inserendo nella confessione <strong>di</strong> fede un apposito articolo sull’equivalenza tra il papa e<br />
l’Anticristo, escluso poi per intervento <strong>di</strong> Enrico IV (JEAN AYMON, Tous les synodes nationaux<br />
des Eglises Réformées de France, La Haye, Ch. Delo, 1710, I, pp. 303, 314, 319; cfr. PONTIEN<br />
POLMAN, L’élément historique cit., pp. 175-176).<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
no nell’Institutio. 346 E i propagan<strong>di</strong>sti francesi che in tutta la seconda metà<br />
del secolo iterarono più volte la stampa della piccola silloge <strong>di</strong> libelli che<br />
abbiamo ricordata, sapevano d’essere in linea con l’intransigenza con cui,<br />
ad esempio, nel loro sinodo nazionale <strong>di</strong> Lione dell’agosto 1563, le Chiese<br />
riformate <strong>di</strong> Francia condannarono il troppo moderato autore <strong>di</strong> Le miroir<br />
de l’Antéchrist. 347 Insomma, un genere <strong>di</strong> scritti <strong>di</strong> propaganda che, stimolando<br />
riflessione rapida e reazioni emotive, mirava a ra<strong>di</strong>care in larghi strati<br />
dell’opinione pubblica un’accezione dell’antitesi Cristo-Anticristo come<br />
significativa della contrapposizione tra Chiesa romana e mondo teologico<br />
ed ecclesiastico emerso dalla Riforma. Sennonché l’interesse storico <strong>di</strong><br />
questa sterminata letteratura non è dato soltanto dal suo riferimento tautologico<br />
a quella sorta <strong>di</strong> logica generale dell’antitesi Cristo-Anticristo: ciò<br />
che in essa è rilevante sono anche le realtà che <strong>di</strong> volta in volta si intendeva<br />
investire del nome <strong>di</strong> Anticristo e denunciare come effetti della sua opera<br />
<strong>di</strong> corruzione. Da questo punto <strong>di</strong> vista, ci sembrano particolarmente significative<br />
due variazioni che il testo del Liber generationis Antichristi presenta<br />
nella storia della sua utilizzazione a scopo <strong>di</strong> propaganda.<br />
Il Liber generationis Antichristi comparve, nel 1544, nel secondo dei<br />
Pasquillorum tomi duo. 348 Ma si tratta d’una redazione profondamente rimaneggiata:<br />
del testo che circolò in Italia nel 1541 e giunse, a data imprecisata,<br />
alla mensa <strong>di</strong> Lutero, essa conserva poco più del titolo e lo schema<br />
genealogico. La relazione fra i due testi è, comunque, evidente: la redazione<br />
accolta dal Curione è certamente un adattamento del libello a un<br />
obiettivo propagan<strong>di</strong>stico più delimitato. Ma ciò che la contrad<strong>di</strong>stingue<br />
è che in essa la sequenza genealogica è, pur senza perdere <strong>di</strong> efficacia,<br />
completamente spogliata dell’intreccio delle parallele decadenza dell’istituzione<br />
e corruzione della dottrina, caratteristico della redazione che qui<br />
supponiamo originaria. Eccone il testo:<br />
Diabolus genuit papam.<br />
Papa vero genuit bullam.<br />
Liber generationis Antichristi filii Diaboli<br />
346 CALVINO, Institutio, IV, II, 12, dove rimane sostanzialmente immutato il testo dell’e<strong>di</strong>zione<br />
del 1541.<br />
347 JEAN AYMON, Tous les synodes cit., I, pp. 36, 258-259.<br />
348 Pasquillorum tomi duo cit., II, pp. 407-408 (nel testo 307-308, per un errore nella numerazione<br />
a decorrere da p. 200). Dall’antologia del Curione lo trascrisse il Cantù (Gli eretici<br />
d’Italia. Discorsi storici, Torino, Unione tipografico-e<strong>di</strong>trice, II, 1866, pp. 214-215).<br />
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ANTONIO ROTONDÒ<br />
Bulla vero genuit ceram.<br />
Cera vero genuit plumbum.<br />
Plumbum vero indulgentiam.<br />
Ea vero carenam.<br />
Carena vero genuit quadragenam, ex qua tandem orta fuit simonia,<br />
ex eaque 349 fuit superstitio.<br />
Simonia vero genuit car<strong>di</strong>nalem et fratres eius in captivitate Babylonica.<br />
Et post captivitatem Babylonicam car<strong>di</strong>nalis genuit curtisanum.<br />
Curtisanus episcopum papisticum.<br />
Episcopus vero genuit suffraganeum offitialem cum pedello, e quibus<br />
pro<strong>di</strong>ta est pensio.<br />
Ex pensione orta sunt locare, conficere, permutare, vendere.<br />
Quae genuit oppressionem rustici.<br />
Oppressio vero rustici genuit invi<strong>di</strong>am.<br />
Invi<strong>di</strong>a vero genuit tumultum rusticorum, in quo revelatus est filius<br />
iniquitatis, qui vocatur Antichristus.<br />
Come per la maggior parte dei materiali raccolti nei Pasquillorum tomi<br />
duo, anche in questo caso il Curione è e<strong>di</strong>tore, non autore: in una copia<br />
manoscritta (probabilmente <strong>di</strong> mano <strong>di</strong> Girolamo Massari) che se ne<br />
conserva in un informe zibaldone basileese <strong>di</strong> pasquinate e<strong>di</strong>te e ine<strong>di</strong>te,<br />
il libello presenta una quantità tale <strong>di</strong> varianti da farne una redazione derivata<br />
certamente da fonte <strong>di</strong>versa da quella del Curione. 350 Insomma, il<br />
libello approdava nell’antologia del Curione come lontana testimonianza<br />
delle emozioni che due decenni prima aveva suscitato la sollevazione dei<br />
conta<strong>di</strong>ni in Germania. Tuttavia non sappiamo se, <strong>di</strong>versamente che nella<br />
redazione data dal Curione e in quella finita nello zibaldone basileese,<br />
il testo originario fosse quello d’un libello in cui si esprimeva solidarietà<br />
o avversione alla causa dei conta<strong>di</strong>ni: un semplice ritocco alle proposizioni<br />
finali avrebbe dato al libello il senso o d’un messaggio favorevole ai<br />
conta<strong>di</strong>ni (l’Anticristo si rivelò nella repressione della rivolta) o <strong>di</strong> condanna<br />
della loro sollevazione (l’Anticristo si rivelò nella rivolta). In questo<br />
genere <strong>di</strong> scritti, metamorfosi e ad<strong>di</strong>rittura inversioni <strong>di</strong> significato<br />
non sono eccezioni. Nelle due redazioni che se ne conoscono (o piutto-<br />
349 La stampa ha «ex ea quae».<br />
350 Si conserva nel già cit. co<strong>di</strong>ce dell’Universitätsbibliothek <strong>di</strong> Basilea, O. lI. 49, c. 1r,<br />
col titolo Cacologion Papae secundum Pasquillum Romanum. Liber generationis papae filii Diaboli,<br />
novi et veteris Testamenti.<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
sto nelle due sole redazioni che io ne conosco) lo schema propagan<strong>di</strong>stico<br />
è, comunque, ben chiaro: la rivolta dei conta<strong>di</strong>ni fu l’esplosione dei<br />
rancori d’un mondo <strong>di</strong> oppressi, sul quale gravavano tutti i congegni <strong>di</strong>abolici<br />
d’una struttura ecclesiastica in cui l’intreccio <strong>di</strong> superstizione e <strong>di</strong><br />
avi<strong>di</strong>tà aveva portato a un maneggio oppressivo della proprietà e delle<br />
ricchezze. Il libellista non giustifica la sollevazione dei conta<strong>di</strong>ni, ma<br />
neppure esprime una reazione <strong>di</strong> parte contro <strong>di</strong> essa. La ritiene la conseguenza<br />
ultima d’un processo in cui Satana ha operato come progenitore<br />
dell’Anticristo; la rivolta dei conta<strong>di</strong>ni ne ha rivelato l’identità nel papa e<br />
nell’oppressiva struttura ecclesiastica cui egli ha dato vita.<br />
È possibile stabilire un rapporto tra la scelta <strong>di</strong> questa redazione del<br />
libello da parte del Curione e altri aspetti del suo pensiero?<br />
Sul problema del rapporto tra ribellione e repressione il Curione dovette<br />
pronunciarsi nel 1546, nell’opera con cui si congedò da Losanna.<br />
Vi era stato indotto da una delle accuse che il segretario del Sadoleto,<br />
Antonio Fior<strong>di</strong>bello, aveva mosso alla pre<strong>di</strong>cazione dei riformatori nel<br />
suo De auctoritate Ecclesiae, uscito dalle stampe <strong>di</strong> Lione nell’aprile dello<br />
stesso anno: la nascita e poi la repressione del movimento anabattista. A<br />
parte la questione delle origini del movimento, sulla quale il Fior<strong>di</strong>bello<br />
riprendeva accuse <strong>di</strong> Johannes Cochläus contro Lutero, sul problema<br />
della repressione la risposta del Curione fu che, se principi e città erano<br />
intervenuti con le armi contro gli anabattisti, ciò era avvenuto perché essi<br />
«contra omnes magistratus ubique se<strong>di</strong>tiones suscitarant»; era stata,<br />
dunque, una repressione «non propter religionem», ma «propter se<strong>di</strong>tionem»,<br />
alla quale, del resto, cattolici ed evangelici avevano cooperato<br />
«magna cum laude et virtute». 351 E fu risposta che valse al Curione le lo<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> Bullinger. 352 Ma concor<strong>di</strong>a sulla condanna della se<strong>di</strong>zione non significa-<br />
351 COELI SECUNDI CURIONIS Pro vera et antiqua Ecclesiae Christi autoritate in Antonium Florebellum<br />
Mutinensem Oratio. In qua, lector, praeter insignes et recon<strong>di</strong>tos Theologiae locos, comparationem<br />
reperies omnium fere veterum Haereticorum cum Papatu, ut iam nihil dubites eum multiplicem<br />
illam esse belluam quae in Apocalypsi descripta est, Basileae (Oporino, 1546), pp. 186-187. Faccio<br />
uso dell’esemplare della Raccolta Guicciar<strong>di</strong>ni 19-3-41.<br />
352 COELI SECUNDI CURIONIS Epistolarum selectarum libri duo cit., p. 36, lettera <strong>di</strong> Bullinger<br />
del 30 agosto 1547: «Utinam et alia quoque huiusmo<strong>di</strong> plura scribere tibi libeat». La risposta<br />
<strong>di</strong> Bullinger aveva tardato circa otto mesi da quando Curione aveva chiesto un giu<strong>di</strong>zio sull’Oratio<br />
contro il Fior<strong>di</strong>bello con lettera del 18 gennaio 1547 (Zurigo, Staatsarchiv, E. II.<br />
366, c. 83). Tra le successive lettere <strong>di</strong> insistenza del Curione è particolarmente interessante<br />
l’ultima, del 27 agosto, dalla quale risulta che il libro aveva suscitato perplessità <strong>di</strong> Butzer, <strong>di</strong><br />
Calvino e <strong>di</strong> Viret (ibid., E. II. 346, c. 211). Sul problema degli anabattisti il Curione si allinea<br />
col pensiero <strong>di</strong> Bullinger: sulle origini del movimento ha presente Ad Ioannis Cochlei de<br />
~ 173 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
va necessariamente concor<strong>di</strong>a sulla condanna delle ragioni da cui la ribellione<br />
aveva tratto origine.<br />
Nei Pasquillorum tomi duo, insieme con la redazione del Liber generationis<br />
Antichristi che riconduceva alla natura satanica della struttura ecclesiastica<br />
l’origine dell’oppressione dei conta<strong>di</strong>ni e la trage<strong>di</strong>a della loro rivolta,<br />
il Curione riprodusse anche tre lunghi ritmi, non sappiamo se e<br />
quanto rimaneggiati da lui stesso. 353 Forme e cadenze sono quelle tipiche<br />
del genere dei ritmi e cantari me<strong>di</strong>oevali «de corrupto statu ecclesiae»,<br />
che, pochi anni dopo la pubblicazione dei Pasquillorum tomi duo, ebbero<br />
una fortunata ripresa per le stampe (comprese quelle basileesi) anche per<br />
l’immancabile impulso <strong>di</strong> Matthäus Flacius Illyricus. 354 La loro presenza<br />
canonicae Scripturae et catholicae ecclesiae authoritate libellum Heinrychi Bullingeri orthodoxa responsio,<br />
Tiguri, apud Froschoverum, 1544, p. 55; sulla repressione segue Adversus omnia Catabaptistarum<br />
prava dogmata Heinrychi Bullingeri libri IV, Tiguri, apud Christophorum Froschoverum,<br />
1535, in part. pp. 151v-152v. Concordava con Bullinger anche sul rapporto tra eresia e se<strong>di</strong>zione<br />
(ibid., p. 24v: «Haereticum quum <strong>di</strong>co, non eum intelligo, quem vulgus indoctum<br />
concipit, sed sectarum authorem, qui ecclesiam scin<strong>di</strong>t, qui falsa et erronea doctrina pertinaciter<br />
pergit unitatem ecclesiae infringere et turbare»), così come il punto <strong>di</strong> vista del Curione<br />
che la chiesa «non exclu<strong>di</strong>t simulatores aut impuros qui soli Deo noti sunt, modo sanae doctrinae<br />
non contra<strong>di</strong>cant quieteque vitam degant» (Pro vera et antiqua Ecclesiae Christi autoritate<br />
cit., p. 16) trovava rispondenza nelle affermazioni <strong>di</strong> Bullinger «... quod solus Deus cor intuetur<br />
et quod nos externa confessione contenti esse debemus» (Adversus ... Catabaptistarum<br />
dogmata cit., p. 56r e il relativo contesto, dove a negare la liceità del simulare è l’anabattista<br />
Simone, uno dei due interlocutori del <strong>di</strong>alogo).<br />
353 Pasquillorum tomi duo cit., I, pp. 99-123. Si tratta <strong>di</strong> tre ritmi, il primo dei quali (Querela<br />
de fide) è dato come recentemente scoperto in Germania («nuper in Germania repertus»),<br />
gli altri due (Ecclesiae et symoniae colloquium e De corruptione omnium statuum et imminente mun<strong>di</strong><br />
interitu) come «nuper in Helvetiis ex vetustissimo co<strong>di</strong>ce descripti». Visibilmente, Curione<br />
attribuisce ai tre ritmi un significato generale unitario. La copia della Querela de fide che trovo<br />
in un co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Rotterdam, Bibliotheek der Gemeente, Remonstrantisch-Gereformeerde Gemeente,<br />
ms. 532, cc. non num., ma 12r-16r, è una tarda e perciò significativa trascrizione<br />
dalla stampa del Curione.<br />
354 La prima delle tre raccolte del Flacius a me note è del 1548: Carmina vetusta ante trecentos<br />
annos scripta, quae deplorant inscitiam evangelii, Vitebergae. Seguirono: Pia quaedam et vetustissima<br />
poemata, partim Antichristum eiusque spirituales filiolos insectantia partim etiam Christum<br />
eiusque beneficium mira spiritus alacritate celebrantia. Cum praelatione Matth. F. Illyrici, Magdeburgae,<br />
per Michaelem Lottherum, 1552; Varia doctorum piorumque virorum de corrupto ecclesiae statu<br />
poemata, Basileae, per L. Lucium, 1557. I presupposti e gli intenti del Curione e del Flacius<br />
(e <strong>di</strong> altri come il Flacius: Wyssenburg, Kirchmeyer ecc.) erano <strong>di</strong>versi. Anche al Curione<br />
non fu estranea l’intenzione <strong>di</strong> documentare una tra<strong>di</strong>zione non recente <strong>di</strong> denuncia<br />
del costume romano: ma soltanto questo e non <strong>di</strong> più, cioè non il ben <strong>di</strong>verso intento del<br />
Flacius <strong>di</strong> attingere anche da quella letteratura probanti «testes veritatis». Il Flacius scriveva<br />
nella de<strong>di</strong>ca al cancelliere <strong>di</strong> Amburgo Johannes Ritzenberg dei Pia quaedam et vetustissima<br />
poemata cit., pp. A2v-A3r: «Nec enim unum, hoc solummodo scriptum ante haec, vel de<br />
gratuita iusticia vel de Antichristi tyrannide compositum extat, sed multa quae partim non-<br />
~ 174 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
nella raccolta del Curione appare tanto più interessante in quanto due almeno<br />
(i più ampi) dei tre ritmi risultano, per tono e per collocazione,<br />
anomali rispetto al resto dell’opera. Sono collocati a conclusione del primo<br />
tomo, cioè a conclusione della parte in versi dell’opera, nella quale<br />
sono adunati componimenti dal tono derisorio proprio del pasquillo romano.<br />
Ma con tutto quel fantasioso arsenale del <strong>di</strong>leggio antiromano che<br />
li precede quei ritmi hanno poco o niente in comune. Insolitamente, in<br />
una breve avvertenza al lettore, il Curione ne esplicita l’attualità del messaggio:<br />
lamento «pii et spiritualis cuiuspiam parochi» d’altra età, la Querela<br />
de fide testimonia che in ogni tempo («etiam ante nos»), ogni volta che<br />
Satana, la bestia dell’Apocalisse, ha spinto la chiesa nella solitu<strong>di</strong>ne del<br />
deserto, vi furono uomini santi e pii che, nell’impossibilità <strong>di</strong> rendere<br />
pubblici i loro sentimenti e il loro pensiero, dai loro nascon<strong>di</strong>gli espressero<br />
il loro turbamento e attesero con impazienza «visitationis <strong>di</strong>em». 355<br />
Nei tre ritmi, il tema della decadenza («Omnia ruunt ad occasum»),<br />
dell’attesa della venuta dell’Anticristo («Antichristum iam invitat / hominum<br />
malicia») e dell’imminenza della fine dei tempi («Breve tempus habet<br />
mundus, / instat <strong>di</strong>es Domini») si articola in una rappresentazione<br />
gran<strong>di</strong>osa <strong>di</strong> tutti i mali della società cristiana. La Querela de fide è lamento<br />
che dappertutto la fede è stata sostituita dall’inganno («Vel in plebe vel<br />
in clero, / vel in claustro vel in foro / ubi fides sit ignoro. / [...] pro ea<br />
dolus / triumphat per orbem solus»). 356 Il Curione sa che qui il termine<br />
fede non è quello della controversia sul rapporto fede-opere aperta da<br />
Lutero. Ma, pur professandosi – particolarmente negli scritti <strong>di</strong> quegli<br />
anni: lo abbiamo già visto a proposito del Pasquino in estasi – tra i sostenitori<br />
più convinti dell’assoluto primato della giustificazione per fede, il<br />
dum impressa, quorum ego ipse non pauca vi<strong>di</strong>, partim etiam impressa inveniuntur. Falsissimum<br />
igitur est quod adversarii verae religionis queruntur nostros doctores novam quandam<br />
doctrinam attulisse eosque primos de tyrannide Antichristi et corrupta religione queri ausos<br />
esse». Già negli anni del soggiorno a Losanna il Curione cercava, invece, altrove i «testes veritatis»<br />
della sua visione d’un cristianesimo profondamente rinnovato. Non era tra gli intenti<br />
volutamente riduttivi della destinazione dei Pasquillorum tomi duo la <strong>di</strong>chiarazione del Curione<br />
<strong>di</strong> assegnare alla sua raccolta una specie <strong>di</strong> funzione pedagogica, che si esplica me<strong>di</strong>ante i<br />
toni ora leggeri ora feroci della satira («Facilius multo invenias qui se a scurra aut circulatore<br />
aliquo petulanter proscin<strong>di</strong> patiatur quam qui a viro prudenti ac gravi de rebus suis serio admoneri<br />
sustineat»: ibid., p. *4r). Volutamente riduttivo era, invece, quanto il Curione scriveva<br />
a conclusione della prefazione: «... neque prae<strong>di</strong>cationi nostra hac opera nostroque labore<br />
subservire propositum fuit. Id quod hoc prologo contestatum esse volumus» (ibid.,<br />
p. *5v).<br />
355 Pasquillorum tomi duo cit., I, pp. 99-100.<br />
356 Ibid., p. 100.<br />
~ 175 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Curione certamente non operò ritocchi tali da aggiornare l’impianto<br />
concettuale del ritmo me<strong>di</strong>oevale. In esso il Curione trovava un concetto<br />
<strong>di</strong> fede molto vicino a quello <strong>di</strong> «sincero honor <strong>di</strong> Dio», vicino a<br />
quella norma morale pervasiva <strong>di</strong> tutta la pratica <strong>di</strong> vita del cristiano che,<br />
già in trattatelli pedagogici anteriori all’esilio, aveva esteso all’osservanza<br />
dei «precetti et officii alla vita comune utili et necessarii et honesti». 357 Insomma,<br />
una nozione <strong>di</strong> fede equivalente a quella <strong>di</strong> rettitu<strong>di</strong>ne cristiana.<br />
La Querela de fide era la rappresentazione dell’universale smarrimento <strong>di</strong><br />
questa rettitu<strong>di</strong>ne.<br />
Com’è caratteristico del genere <strong>di</strong> ritmi «de corrupto statu ecclesiae»,<br />
questa rappresentazione si apre con una descrizione delle forme <strong>di</strong> inganno<br />
proprie del mondo ecclesiastico. Ma già nella Querela de fide la descrizione<br />
ne estende il predominio a tutti gli aspetti della società. L’altro ritmo,<br />
De corruptione omnium statuum et imminente mun<strong>di</strong> interitu, compone,<br />
poi, un quadro complessivo <strong>di</strong> tutte le manifestazioni della vita associata<br />
che denotano assenza <strong>di</strong> rettitu<strong>di</strong>ne ispirata dalla fede. Il lamento del<br />
«pius et spiritualis parochus» (e il Curione che lo fa proprio) non fa <strong>di</strong>stinzioni<br />
<strong>di</strong> responsabilità tra mondo ecclesiastico e mondo secolare.<br />
L’assenza <strong>di</strong> fede e <strong>di</strong> rettitu<strong>di</strong>ne ha alterato entrambi questi stati: «Iam<br />
nec populus nec clerus / est in suo statu verus». 358 Leggi, provve<strong>di</strong>menti e<br />
comportamenti <strong>di</strong> papi e re, principi e prelati, nobili e citta<strong>di</strong>ni, monaci<br />
e mercanti sono ispirati da ipocrisia, caratterizzati dalla pratica dell’ingan-<br />
357 Della honesta et christiana creanza de figliuoli, in Una familiare et fraterna institutione della<br />
Christiana religione, <strong>di</strong> M. Celio Secondo Curione, più copiosa et più chiara che la latina del medesimo,<br />
con certe altre cose pie, in Basilea (Oporino?, 1550), pp. G6r-H2r-v. Si tratta, com’è noto,<br />
<strong>di</strong> una lettera-trattato <strong>di</strong>retta a Fulvio Pellegrino Morato, datata Lucca, 10 giugno 1542. Il<br />
1550 come data <strong>di</strong> pubblicazione è certo, come risulta dalla de<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> Della honesta et christiana<br />
creanza a Giulio Tiene. Faccio uso dell’esemplare della Raccolta Guicciat<strong>di</strong>ni, 2-4-10. Si<br />
veda con quanto acume Delio Cantimori (Eretici italiani cit., pp. 104-106) ha identificato ciò<br />
che in questo scritto v’è <strong>di</strong> insolito rispetto ai moduli correnti della pedagogia umanistica (a<br />
parte l’accostamento all’anabattismo, un concetto che il Cantimori usava, allora, in senso latissimo,<br />
com’è noto). Tuttavia, per la plausibilità dell’uso che dello stesso scritto si farà qui,<br />
occorre avvertire che il Cantimori (ibid., p. 105, nota 1) in<strong>di</strong>cò, forse per un errore negli appunti,<br />
un’inesistente e<strong>di</strong>zione in volgare dello scritto uscita a Basilea nel 1545. In realtà, nelle<br />
almeno due e<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> esso in latino, a cominciare da quella del 1544 nel rifacimento dell’Araneus,<br />
manca proprio la parte più vigorosamente critica analizzata dal Cantimori. Impossibile<br />
<strong>di</strong>re – per quante ricerche io abbia fatte nei carteggi del tempo – se quella parte fosse<br />
già nell’originale inviato al Morato o fosse un’aggiunta del 1550. Propendo per la prima ipotesi.<br />
358 Pasquillorum tomi duo cit., I, pp. 108-109.<br />
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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
no. Preoccupati soltanto <strong>di</strong> possedere («Nihil curant quam habere»), 359 i<br />
prelati con l’inganno accumulano ricchezze e potenza («Nam per dolum<br />
praebendantur / et potenter dominantur») 360 e trafficano i beni della<br />
Chiesa («Sic Christi bona vendunt») 361 in base alla norma mercenaria «da<br />
mihi nunc, dabo tibi». 362 Insomma, il «locare, conficere, permutare, vendere»<br />
della redazione del Liber generationis Antichristi preferita dal Curione.<br />
Il ritmo in <strong>di</strong>alogo tra chiesa e simonia aggiunge: «Si gratis praestas, quid<br />
te iuvat ista potestas?». 363 Questa collusione <strong>di</strong> interessi mercenari («Sic ad<br />
invicem colludunt») 364 fa degli ecclesiastici gli attori <strong>di</strong> un groviglio <strong>di</strong><br />
contrattazioni e <strong>di</strong> azioni legali, dei canonici fa i frequentatori più del tribunale<br />
che del coro. 365 La stessa collusione induce gli or<strong>di</strong>ni men<strong>di</strong>canti a<br />
modellare l’apparecchiatura dei loro <strong>di</strong>scorsi allo scopo <strong>di</strong> compiacere i<br />
ricchi («Per verborum apparatum / aures penetrant magnatum»). 366 Il predominio<br />
dell’inganno non è da meno nel mondo secolare. Qui l’inganno<br />
è <strong>di</strong>venuto il vero interprete delle leggi («Dolus glossat iura, leges»). 367 In<br />
tutto il «genus nobilium» non c’è chi anteponga la giustizia agli interessi<br />
<strong>di</strong> chi offre compensi («Ad mensuram nummi fiunt / omnia iu<strong>di</strong>cia»). 368 E<br />
se i nobili usano la violenza, altri opprimono con l’usura; e la pratica della<br />
mercatura è <strong>di</strong>venuta pratica della truffa e dello spergiuro. L’avi<strong>di</strong>tà e la<br />
violenza spingono ad appropriarsi <strong>di</strong> ciò che è d’altri; una cupi<strong>di</strong>gia rapace<br />
stravolge l’or<strong>di</strong>ne del mondo, «mores turbat, scin<strong>di</strong>t fratres / sacras leges<br />
temerat». 369 Quelli che rappresentano la feccia della società («versipellis,<br />
fraudolentus, / adulator callidus») riescono ad appropriarsi della parte<br />
migliore dei beni altrui, 370 e ottengono col danaro tutto ciò per cui non<br />
possono riporre speranza in Dio («Quod in Deo non <strong>di</strong>sponunt / per<br />
nummum hoc faciunt»). 371 E così via.<br />
359 Ibid., p. 102.<br />
360 Ibid., p. 101.<br />
361 Ibid., p. 102.<br />
362 Ibid., p. 101.<br />
363 Ibid., p. 113.<br />
364 Ibid., p. 101.<br />
365 Ibid., p. 103.<br />
366 Ibid., p. 105.<br />
367 Ibid., p. 101.<br />
368 Ibid., p. 117.<br />
369 Ibid., p. 116.<br />
370 Ibid.<br />
371 Ibid., p. 118.<br />
~ 177 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Presupposto (per il Curione non meno che per l’ignoto autore dei<br />
ritmi) <strong>di</strong> un’attesa <strong>di</strong> rigenerazione, questa rappresentazione insiste sulla<br />
generalità, sull’universalità della decadenza (un’attesa <strong>di</strong> rigenerazione è<br />
tanto più plausibile quanto più la decadenza e la corruzione sono descritte<br />
e percepite come pervasive dell’intero corpo sociale). Eppure, in questa<br />
rappresentazione d’una società universalmente corrotta non ci sono<br />
soltanto ingannatori: c’è anche l’in<strong>di</strong>viduazione d’uno strato sociale che<br />
porta il peso <strong>di</strong> questa generale assenza <strong>di</strong> rettitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> fede. Almeno<br />
così è nella redazione dei ritmi pubblicata dal Curione. È tutto l’ampio<br />
strato sociale degli «i<strong>di</strong>otae», dei «simplices» e dei «pauperes», che <strong>di</strong>eci<br />
anni dopo Castellione identificherà con l’«ecclesia spiritualis» contrapposta<br />
all’«ecclesia carnalis». 372 È un mondo che, estraneo alle collusioni mercenarie<br />
<strong>di</strong> prelati e monaci, <strong>di</strong> nobili e giu<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong> usurai e mercanti, «est<br />
abiectus et vilescit / et vocatur i<strong>di</strong>ota, / non est <strong>di</strong>gnus una iota». 373 I ritmi<br />
insistono <strong>di</strong> preferenza sulla debolezza dei «simplices», degli «i<strong>di</strong>otae»,<br />
dei «pauperees» <strong>di</strong> fronte ai soprusi nell’amministrazione della giustizia e<br />
sull’assenza <strong>di</strong> carità nei ricchi: e su questi due punti le connessioni col<br />
pensiero del Curione vanno molto al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> motivazioni generiche che<br />
potrebbero averlo spinto a riprodurli nei Pasquillorum tomi duo. In una società<br />
in cui «dolus glossat iura, leges», i <strong>di</strong>sonesti con successo reclamano<br />
sempre per sé le ragioni del <strong>di</strong>ritto. 374 La scomparsa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>ci giusti<br />
(«Nullus nostra tempestate / iustus iudex cernitur») 375 e le sentenze emanate<br />
«ad mensuram nummi» rendono vano il ricorso dei poveri ai tribunali:<br />
«Frustra stat ante tribunal / pauperum simplicitas». 376 Il ritmo prosegue<br />
in un’invettiva feroce contro tutte le <strong>di</strong>storsioni della funzione sociale<br />
della giustizia: i giu<strong>di</strong>ci chiedono «in occulto» compensi ai semplici,<br />
alternando blan<strong>di</strong>zie e minacce; se privo <strong>di</strong> danaro, il povero «facti reus<br />
<strong>di</strong>citur»; l’innocente è sempre condannato, il reo sempre assolto; sempre<br />
assolto «plena cui crumena pendet»; 377 e così via. Sono aspetti d’un mon-<br />
372 SÉBASTIEN CASTELLION, De l’impunité des hérétiques. De haereticis non punien<strong>di</strong>s. Texte latin<br />
iné<strong>di</strong>t publié par BRUNO BECKER. Texte français iné<strong>di</strong>t publié par MARIUS VALKHOFF, Genève,<br />
Droz, 1971, pp. 164-165 («Duarum ecclesiarum pugna»). Ma ve<strong>di</strong> soprattutto DELIO<br />
CANTIMORI, Note su alcuni aspetti del misticismo del Castellione e della sua fortuna, in Autour de<br />
Michel Servet et de Sébastien Castellion. Recueil publié sous la <strong>di</strong>rection de BRUNO BECKER,<br />
Haarlem, H. D. Tjeenk Willink en Zoon, 1953, pp. 239-243, in part. pp. 240-241.<br />
373 Pasquillorum tomi duo cit., I, p. 101.<br />
374 Ibid., p. 117.<br />
375 Ibid.<br />
376 Ibid.<br />
377 Ibid., p. 118.<br />
~ 178 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
do in cui la ricchezza domina su tutto e deride i miseri («Sic est nummus<br />
imperator / sic deridet miseros»). 378<br />
Non c’era accordo, su questa rappresentazione della giustizia e sulle<br />
tensioni sociali che essa presupponeva, tra il Curione e gli ambienti teologici<br />
con i quali egli era in relazione. Non c’era accordo neppure con la<br />
Chiesa <strong>di</strong> Zurigo, ai cui teologi pure il Curione si rivolse sempre, fin dagli<br />
anni del suo soggiorno a Losanna, con la certezza <strong>di</strong> trovarvi consensi.<br />
379 Era un <strong>di</strong>saccordo tanto più rischioso – e perciò, come vedremo,<br />
tanto più <strong>di</strong>ssimulato dal Curione – in quanto poteva implicare <strong>di</strong>ssenso<br />
sulla polemica contro gli anabattisti e le loro riven<strong>di</strong>cazioni sociali. Nel<br />
1535, l’anno della caduta <strong>di</strong> Münster, Leo Jud aveva curato una messa a<br />
punto definitiva in latino <strong>di</strong> un’opera contro gli anabattisti che Bullinger<br />
aveva pubblicato, in tedesco, quattro anni prima. 380 In questa specie <strong>di</strong><br />
summa antianabattistica della Chiesa <strong>di</strong> Zurigo, su imposte, censi, servitù,<br />
decime, tributi, tutto veniva ricondotto sotto l’egida della legge, con una<br />
forte riprovazione, non solo d’ogni moto <strong>di</strong> rivolta, ma con la negazione<br />
<strong>di</strong> principio delle ragioni d’ogni rivolta: quanti deducono dalle Scritture<br />
l’abolizione delle decime – scriveva Bullinger – sono uomini amanti della<br />
loquacità e del vaniloquio («loquaculos illos et vaniloquos»), che spac-<br />
378 Ibid.<br />
379 Una testimonianza, rara sulle tensioni che caratterizzarono i rapporti del Curione<br />
con l’ortodossia calvinista durante il soggiorno a Losanna e insieme significativa della fiducia<br />
con cui poteva aprirsi con i teologi zurighesi, è la sua lettera a Bullinger del 27 agosto 1547<br />
portata a Zurigo da Pietro Perna: «De oratione mea contra Florebellum, si totam vacabit legere,<br />
oro ut ecquid te offenderit in ea significare velis. Nam locus de Christi corpore Bucerum<br />
offen<strong>di</strong>t nonnihil, ut ex literis Petri Martyris Florentini accepi, quas literas Petrus hic<br />
noster, qui ad vos venit, vi<strong>di</strong>t et legit. Sed ego quid Bucerus de meis scriptis sentiat, modo<br />
sanioribus vere probentur, non valde moror. Neque enim me cum Calvino et Vireto volo<br />
coniungere in ea quaestione, quos au<strong>di</strong>o Argentorati Bucero subscripsisse, etiamsi domi aliter<br />
sapere videantur» (Zurigo, Staatsarchiv, E. II. 346, c. 211).<br />
380 Von dem unverschämten Frevel der Wiedertäufer ... Durch Heinrychen Bullinger geschriben,<br />
getruckt zü Zürich by Christoffel Froschover, 1531 (cfr. Heinrich Bullinger, Bibliographie cit.,<br />
I, n. 28, pp. 18-19). Fu più letto nel rimaneggiamento che ne fece Leo Jud nella sua traduzione<br />
in latino del 1535, dalla quale qui si cita: Adversus omnia Catabaptistarum prava dogmata<br />
Heinryci Bullingeri libri IIII, per Leonem Iudam aucti adeo ut priorem ae<strong>di</strong>tionem vix agnoscas, Tiguri,<br />
apud Christophorum Froschoverum, 1535 (cfr. Heinrich Bullinger, Bibliographie cit., I, n.<br />
29, p. 19). Sul rapporto fra le due e<strong>di</strong>zioni ve<strong>di</strong> HEINOLD FAST, Bullinger und <strong>di</strong>e Täufer. Ein<br />
Beitrag zur Historiographie und Theologie im 16. Jahrhundert, Weirhof (Pfalz), Mennonitischer<br />
Geschichtsverein, 1959, pp. 77-79. È in forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo, con ampia utilizzazione della libellistica<br />
anabattista, esposta da Simone, l’interlocutore anabattista. Per le implicazioni sociali<br />
delle dottrine anabattiste sono importanti i due trattatelli in appen<strong>di</strong>ce: Tractatulus de re<strong>di</strong>tibus<br />
contra perplexos et tumultuosos Catabaptistas (pp. 163r-191r) e Libellus de <strong>di</strong>scrimine decimarum<br />
(pp. 191r-197r).<br />
~ 179 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
ciano ai semplici i principi d’una falsa scienza; questi irresponsabili amanti<br />
delle parole più che delle cose «seipsos seducunt et simul furari plebem<br />
docent»; non s’avvedono che, se le Scritture tacciono su tributi, decime e<br />
censi, essi rientrano «sub titulo debitorum», la cui estinzione è <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto<br />
<strong>di</strong>vino. 381 A questa stretta connessione tra legge umana e <strong>di</strong>vina faceva riferimento<br />
anche la confutazione della ben più ra<strong>di</strong>cale dottrina degli anabattisti<br />
sulla comunanza dei beni. Non se ne negava l’implicito principio<br />
<strong>di</strong> carità; si negava, invece, che vi potesse essere pratica della carità senza<br />
osservanza della legge, perché la carità è sempre il fine della legge e viceversa,<br />
come sillogizzava il Bullinger: «Nihil ergo in se habere potest charitas<br />
quod legi adversetur. Communicatio bonorum legi adversatur; ergo<br />
in charitate non est comprehensa». 382 Uno dei corollari generali <strong>di</strong> questo<br />
sillogismo era che l’aspirazione a un mondo tutto carità avrebbe portato<br />
all’estinzione dei ricchi, i soli in grado <strong>di</strong> esercitare la carità: «Nihil ergo<br />
moror quid hic blaterent hypocritae, quum <strong>di</strong>vites plurimum prodesse et<br />
beneficare possint pauperibus, quae occasio deest his qui <strong>di</strong>vites non<br />
sunt». 383 Ma tra la dottrina degli anabattisti sulla comunanza dei beni e il<br />
sillogismo <strong>di</strong> Bullinger continuava ad esserci la realtà. Ad essa, a <strong>di</strong>eci anni<br />
dalla pubblicazione del libro <strong>di</strong> Bullinger, invitavano a guardare i ritmi<br />
riprodotti dal Curione nei Pasquillorum tomi duo.<br />
Critica e rifiuto <strong>di</strong> questa automatica deduzione della pratica della<br />
carità dall’osservanza della legge, cioè da adesione alla struttura sociale vigente,<br />
sono forse meno rari <strong>di</strong> quanto sembra negli scritti <strong>di</strong> osservatori<br />
della realtà del tempo, critici delle ridefinizioni dei principi etico-sociali<br />
elaborate dai teologi delle nuove chiese. Nel 1555, Sebastiano Castellione,<br />
nel <strong>di</strong>fendere, da una <strong>di</strong>chiarata posizione <strong>di</strong> estraneità al loro movimento,<br />
gli anabattisti da quelle che egli chiamava vere e proprie calunnie<br />
<strong>di</strong> Bèze, non tenne alcun conto del vincolo tra carità e legge, e annotò<br />
che non c’era da meravigliarsi che uomini privi <strong>di</strong> carità aborrissero e<br />
perseguitassero quanti intendevano attuare la comunanza dei beni praticata<br />
dai primi cristiani. 384 Che era quanto <strong>di</strong>re: voi vincolate la carità al-<br />
381 Adversos omnia Catabaptistarum prava dogmata cit., pp. 191v-192r.<br />
382 Ibid., p. 77v.<br />
383 Ibid., p. 22r-v.<br />
384 SÉBASTIEN CASTELLION, De l’impunité des hérétiques cit., pp. 134-135: «Quod si forte<br />
volunt [Anabaptistae] imitari Christianos, qui (ut habetur in Actis) habebant omnia communia,<br />
non est mirum si vobis <strong>di</strong>splicent, qui ab illa charitate et abhorreatis et absitis longissime».<br />
Uno stu<strong>di</strong>o sul pensiero <strong>di</strong> Castellione sugli anabattisti sarebbe <strong>di</strong> notevole interesse.<br />
Nella stessa opera, la severa condanna <strong>di</strong> Bèze per aver calunniato gli anabattisti (ibid., p. 33;<br />
~ 180 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
l’ossequio alla legge che sancisce il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> possedere, ma poi non avete<br />
la carità («... ab illa charitate et abhorreatis et absitis longissime»). Non<br />
sappiamo se il Curione aderisse anche a questa presa <strong>di</strong> posizione critica<br />
del Castellione sui presupposti della persecuzione degli anabattisti. 385 Ma,<br />
alla data in cui Castellione muoveva una simile obiezione a Bèze, già da<br />
anni Curione aveva elaborato, sulla collocazione sociale dei «simplices»,<br />
degli «i<strong>di</strong>otae», dei «pauperes», principi ben più ra<strong>di</strong>calmente alternativi<br />
tanto rispetto alla tragica rappresentazione dei ritmi me<strong>di</strong>oevali riprodotti<br />
nei Pasquillorum tomi duo, quanto rispetto ai presupposti giuri<strong>di</strong>ci e sociali<br />
della summa antianabattistica della Chiesa <strong>di</strong> Zurigo. Aveva scritto che i<br />
principi correnti dell’etica sociale dettati da Cicerone nel De officiis non<br />
erano fondati su «la natura delle cose et la ragione»: Cicerone aveva «seguito<br />
l’openione et persuasione de nobili et ricchi» nel giu<strong>di</strong>care «sor<strong>di</strong>de<br />
et poco honeste» tutte le occupazioni manuali, tutte le «arti mechaniche»<br />
così «utili et honorevoli alla vita comune», quali sono quelle «de’ fabri <strong>di</strong><br />
ogni maniera, de’ calzolai, de’ tessitori, de’ sarti, de’ agricoltori et altri simili».<br />
386 Natura e ragione invocate dal Curione come alternative all’opinione<br />
<strong>di</strong> Cicerone erano principi fondati sull’autorità del Testamento. Il<br />
comandamento <strong>di</strong> Dio ad Adamo <strong>di</strong> guadagnarsi il pane col sudore della<br />
fronte non è «abrogato o <strong>di</strong>minuito»; anzi, in conseguenza del peccato,<br />
esso è «stabilito et accresciuto». 387 S. Paolo, amante del lavoro manuale<br />
come Aquila e Priscilla, insegna che soltanto chi lavora ha <strong>di</strong>ritto al sostentamento,<br />
può «vivere giustamente». 388 L’obbligo della carità impone<br />
che me<strong>di</strong>ante «l’artificio et industria» del lavoro manuale si giunga a <strong>di</strong>-<br />
cfr. più avanti, pp. 505-506) risulta argomentata in base alla <strong>di</strong>chiarata conoscenza dei loro<br />
scritti (ibid., p. 32). Degli anabattisti <strong>di</strong> Münster («Monasterienses Anabaptistae») come dei<br />
conta<strong>di</strong>ni in rivolta («rustici illi Germani») il Castellione respinge la presunzione <strong>di</strong> compiere<br />
una missione <strong>di</strong>vina (ibid., p. 23). Nel Contra libellum Calvini include gli anabattisti fra i papisti,<br />
i valdesi, i luterani, gli zwingliani e gli schwenckfel<strong>di</strong>ani, e aggiunge: «Harum sectarum<br />
<strong>di</strong>co nullam esse quae debeat per se impia vocari» (Contra libellum Calvini, in quo ostendere conatur<br />
haereticos iure gla<strong>di</strong>i coercendos esse, Anno Domini MDLCXII (sic), s.l. [in realtà Gouda,<br />
1612], p. Kijr). Il 25 novembre del 1562 suggerì a Nikolaus Bles<strong>di</strong>jk, il vecchio seguace <strong>di</strong><br />
David Joris ora <strong>di</strong>venuto pastore nel Palatinato, <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi a correggere gli errori e i peccati<br />
dei principi piuttosto che a confutare, per loro conto, gli errori degli anabattisti (ibid., p.<br />
Oiir-v).<br />
385 Non è un quesito ozioso: lo stesso Castellione (De l’impunité des hérétiques cit., p. 19)<br />
informa d’essersi consultato con gli amici sull’opportunità e sul tenore della risposta da dare<br />
al De haereticis punien<strong>di</strong>s <strong>di</strong> Bèze.<br />
386 Della honesta et christiana creanza de figliuoli cit., p. H 18v.<br />
387 Ibid., p. Ir-v.<br />
388 Ibid., p. I2r-v.<br />
~ 181 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
sporre <strong>di</strong> che sovvenire i poveri e gli infermi. 389 In queste severe deduzioni<br />
dalla natura e dalla ragione il Curione escludeva o quanto meno ignorava<br />
una provenienza del superfluo (l’evangelico «quod superest date<br />
pauperibus») da fonte <strong>di</strong>versa dall’osservanza del comandamento imposto<br />
ad Adamo. Ciò che va rilevato è che del carattere ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> questi principi,<br />
o del carattere ra<strong>di</strong>cale che una loro riproposta assumeva in situazione<br />
mutata, il Curione fu consapevole. Lo <strong>di</strong>mostrano le autocensure e le<br />
accorte variazioni del testo nelle tre e<strong>di</strong>zioni che dello scritto <strong>di</strong>ede alle<br />
stampe a Basilea tra il 1544 e il 1555. Se l’e<strong>di</strong>zione interme<strong>di</strong>a, in volgare,<br />
del 1550 – la sola, come si è già avvertito, 390 in cui compare l’esposizione<br />
<strong>di</strong> quei principi – dà (come io congetturo) il contenuto integrale<br />
dello scritto originario anteriore all’esilio (Lucca, 10 giugno 1542), in esso,<br />
e nell’atmosfera intellettuale in cui lo scritto era stato composto, quei<br />
principi potevano essere intesi soltanto come un approfon<strong>di</strong>mento del<br />
tema umanistico della <strong>di</strong>gnità dell’uomo e come una sia pure audace<br />
estensione <strong>di</strong> essa al mondo e all’esercizio delle arti. Un <strong>di</strong>verso effetto,<br />
reazioni <strong>di</strong>verse avrebbe avuto una trasposizione <strong>di</strong> quei principi in un<br />
mondo nel quale era tutt’altro che scomparso il ricordo della guerra dei<br />
conta<strong>di</strong>ni e tutt’altro che sopita la polemica contro le riven<strong>di</strong>cazioni sociali<br />
degli anabattisti. Così, nelle due e<strong>di</strong>zioni in latino (cioè nella lingua<br />
della sempre problematica comunicazione con teologi e dotti) il Curione<br />
lasciò cadere tutta la parte più vigorosamente critica della lettera-trattato<br />
all’amico ferrarese: cadde la critica al giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Cicerone come riflesso<br />
dell’ideologia dei nobili e dei ricchi; cadde l’alternativo riferimento alla<br />
natura e alla ragione; e scomparve persino ogni accenno ad arti e artieri.<br />
Rimasero – anch’essi in contesti notevolmente attenuati – il riferimento<br />
al comandamento imposto ad Adamo e il connesso richiamo a s. Paolo. 391<br />
Ma in un testo così ra<strong>di</strong>calmente rimaneggiato quei richiami assumevano<br />
389 Ibid., p. I1v.<br />
390 Ve<strong>di</strong> sopra, nota 357.<br />
391 La critica <strong>di</strong> Cicerone e il seguito del paragrafo sono omessi nel paragrafo corrispondente<br />
della redazione in latino data in COELII SECUNDI CURIONIS Araneus, seu de Providentia<br />
Dei, libellus vere aureus, cum aliis nonnullis eiusdem opusculis, lectu <strong>di</strong>gnissimis, nuncque primum in<br />
lucem e<strong>di</strong>tis, Basileae, ex officina Ioannis Oporini, 1544, pp. 149-150, e in COELII SECUNDI<br />
CURIONIS Schola, sive de perfecto grammatico libri tres. Eiusdem de liberis honeste et pie educan<strong>di</strong>s libellus,<br />
Basileae, per Ioannem Oporinum, 1555, pp. 239-240. Per il resto, oltre ai ritocchi<br />
volti a eliminare ogni riferimento alle «arti mechaniche», è significativa soprattutto l’omissione<br />
del periodo: «Pertanto non vi sia alcuno che si presuma senza lavorar puoter vivere giustamente:<br />
se alcuno fra voi (<strong>di</strong>ce Paulo) non lavora, che esso non mangi» (Della honesta et<br />
christiana creanza cit., p. I2v).<br />
~ 182 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
il significato <strong>di</strong> esortazioni genericamente morali: ciò che era scomparso<br />
era il problema stesso della fascia sociale per la quale il Curione aveva<br />
elaborato i principi essenziali <strong>di</strong> una sua funzione civile e religiosa. Nel<br />
1544 era stato, dunque, meno rischioso riprodurre nei Pasquillorum tomi<br />
duo una redazione del Liber generationis Antichristi che, lasciando ambiguamente<br />
sospeso il giu<strong>di</strong>zio sulla guerra dei conta<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong>slocava tutta la responsabilità<br />
della trage<strong>di</strong>a della loro sollevazione sui meccanismi satanici<br />
della struttura ecclesiastica e sui mo<strong>di</strong> in cui essi avevano finito col conformare<br />
l’uso e il maneggio della proprietà e della ricchezza. Ed era stato<br />
meno rischioso anche dare una rappresentazione della realtà del tempo<br />
me<strong>di</strong>ante l’allusiva riproduzione <strong>di</strong> tipici ritmi me<strong>di</strong>oevali sull’autunno e<br />
la vecchiezza del mondo, carichi <strong>di</strong> elementi sulla tragica situazione degli<br />
«i<strong>di</strong>otae» (o in questo senso interpolati dal Curione). Ciò che caratterizza<br />
la presenza dei ritmi e del libello in tutto quell’armamentario della derisione<br />
pasquillesca che è il primo dei Pasquillorum tomi duo è che essi testimoniano<br />
la tendenza del Curione a guardare ora, al <strong>di</strong> là del <strong>di</strong>leggiato<br />
idolo della sua polemica antiromana, a un orizzonte più vasto. E l’avvertenza<br />
al lettore sulla pre<strong>di</strong>cazione clandestina e sulle attese <strong>di</strong> rigenerazione<br />
del «pius et spiritualis parochus» autore della Querela de fide lascia trasparire<br />
le preoccupazioni escatologiche e le attese <strong>di</strong> rigenerazione che<br />
hanno tanta importanza nella parte più coperta della me<strong>di</strong>tazione religiosa<br />
del Curione negli anni del soggiorno a Losanna. 392<br />
392 Evidentemente, il riferimento è al De amplitu<strong>di</strong>ne beati regni Dei e alla parte notevole<br />
che hanno in esso escogitazioni escatologiche sulla venuta dell’Anticristo e sulla fine dei<br />
tempi e le attese <strong>di</strong> rigenerazione (COELII SECUNDI CURIONIS De amplitu<strong>di</strong>ne beati regni Dei <strong>di</strong>alogi<br />
sive libri duo, s.l. né stampatore, 1554, pp. 36 sgg.; cfr. DELIO CANTIMORI, Eretici italiani<br />
cit., pp. 187-188). L’opera, com’è noto, era già compiuta il 6 <strong>di</strong>cembre del 1545, quando il<br />
Curione ne annunciò a Martin Borrhaus l’invio d’una copia «ut, dum adhuc in integro sunt<br />
omnia, ea cogites et pro tua singulari sapientia statuas, deinde etiam quod de e<strong>di</strong>tione quale<br />
putes doctorum et vulgi iu<strong>di</strong>cium fore, ad me libere pleneque rescribas» (COELII SECUNDI<br />
CURIONIS Selectarum epistolarum libri cit., p. 42). Sulla fisionomia <strong>di</strong> questa stesura dell’opera<br />
annunciata e poi realmente inviata al Borrhaus, rispetto al testo messo a stampa nel 1554, si<br />
può <strong>di</strong>re, a tutt’oggi, ancora meno che sulle circostanze e sulle ragioni precise che spinsero il<br />
Curione a scriverla. Per le questioni che interessano qui, è impossibile <strong>di</strong>re quanto posto<br />
avessero, già nella stesura losannese, le escogitazioni escatologiche. Ma mi sembra evidente<br />
che l’attualità che il Curione attribuiva ai ritmi riprodotti nei Pasquillorum tomi duo è in relazione<br />
con quanto si leggerà, <strong>di</strong>eci anni dopo, nella stampa del De amplitu<strong>di</strong>ne, p. 36: «Quod<br />
autem vir <strong>di</strong>vinus aliquis et magnus a Deo mittendus sit, qui religionem iam extinctam Ecclesiamque<br />
prope collapsam excitet et instauret, non a Dei more alienum esse videtur. Solet<br />
enim Pater ille maximus, cum omnia desperata fere videntur, Eliam aliquem excitare ...».<br />
Per possibili <strong>di</strong>pendenze dal pensiero <strong>di</strong> Borrhaus, cioè dal suo De operibus Dei, ve<strong>di</strong> da ultimo<br />
ARNO SEIFERT, Reformation und Chiliasmus. Die Rolle des Martin Cellarius-Borrhaus, «Ar-<br />
~ 183 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Com’è noto, in un breve scritto del 1550 il Curione abbandonò, anzi<br />
criticò la designazione della Chiesa romana come unica realtà in cui<br />
identificare l’Anticristo: il papato non è solo in Italia; dovunque vi sono<br />
uomini che, in quanto fatti tutti d’argilla e <strong>di</strong> fango, sono mossi sempre<br />
dalle stesse cupi<strong>di</strong>gie, «ibi Satanam, ibi Antichristum, ibi papatum esse<br />
dubitari non debet». 393 Il punto <strong>di</strong> vista non era nuovo. Già da decenni,<br />
nel mondo settario europeo l’antitesi Cristo-Anticristo veniva usata per<br />
designare un genere <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> contrapposizione. Meno genericamente<br />
del Curione, ma nello stesso senso s’erano espressi vent’anni prima Sebastian<br />
Franck e venticinque anni prima Otto Brunfels. 394 Le affermazioni<br />
del Curione non suscitarono allora reazioni, anche se si trattava <strong>di</strong> una<br />
scoperta contestazione della perentorietà con cui Calvino designava la<br />
Chiesa romana come unica possibile personificazione dell’Anticristo.<br />
Reazioni suscitò, invece, una ripresa del punto <strong>di</strong> vista del Curione da<br />
parte del genero <strong>di</strong> quest’ultimo, Girolamo Zanchi. Anche su questo<br />
punto l’insegnamento dello Zanchi a Strasburgo impressionò profondamente:<br />
sostenne senza remore che vaneggiavano quanti asserivano che<br />
l’Anticristo fosse da identificare soltanto col regno e la persona del papa e<br />
che degli «Antichristi multi» <strong>di</strong> cui si parla nella prima lettera <strong>di</strong> Giovanni<br />
(II, 18) non ve ne fossero o potessero esservene «in veris etiam ecclesiis».<br />
395 Nella celebre <strong>di</strong>sputa che più tar<strong>di</strong> (a partire dal febbraio 1561) vi-<br />
chiv für Reformationsgeschichte», LXXVII, 1986, pp. 226-263, in part. pp. 251 sgg. Ma su<br />
tutte queste questioni rimando alle ampie parti illustrative della mia e<strong>di</strong>zione del De amplitu<strong>di</strong>ne,<br />
nelle quali tenterò <strong>di</strong> riportare l’opera alle origini e agli sviluppi del pensiero religioso<br />
italiano degli anni Quaranta e seguirò la fortuna e l’influenza che essa esercitò nel pensiero<br />
religioso europeo (in particolare in Olanda, prima e dopo l’e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Gouda del 1614).<br />
393 DELIO CANTIMORI, Spigolature per la storia del nicodemismo italiano, in Ginevra e l’Italia.<br />
Raccolta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> promossa dalla Facoltà Valdese <strong>di</strong> Teologia <strong>di</strong> Roma, a cura <strong>di</strong> DELIO CAN-<br />
TIMORI, LUIGI FIRPO, GIORGIO SPINI, FRANCO VENTURI, VALDO VINAY, Firenze, Sansoni, 1959,<br />
p. 187; IDEM, Prospettive <strong>di</strong> storia ereticale italiana del Cinquecento, Bari, Laterza, 1960, pp. 41-42.<br />
394 CARLO GINZBURG, Il nicodemismo cit., pp. 98-99, 129.<br />
395 «Dico illos hallucinari, qui ita restringunt nomen Antichristi ad regnum et personam<br />
Papae, ut extra illius regnum non sit regnum Antichristi, et extra eius personam non sint et<br />
esse possint, idque in veris etiam Ecclesiis, Antichristi», come si legge in una delle tarde testimonianze<br />
dello stesso Zanchi sulla sua controversia con i teologi <strong>di</strong> Strasburgo (HIERONYMI<br />
ZANCHII Opera theologica, Genève, Crispinus VII/I, 1619, col. 250). Sulla stessa controversia<br />
ve<strong>di</strong> JAMES M. KITTELSON, Marbach versus Zanchi. The Resolution of Controversy in Late Reformation<br />
Strasbourg, «The Sixteenth Century Journal», VIII, 1977, pp. 31-44, il solo che confronta<br />
la documentazione conservata a Strasburgo con quella pubblicata dallo Zanchi (Opera<br />
theologica cit., VII/I, pp. 207-434). Sull’esor<strong>di</strong>o dell’insegnamento dello Zanchi a Strasburgo<br />
e sulla sua concezione dell’Anticristo ve<strong>di</strong> GIULIO ORAZIO BRAVI, Girolamo Zanchi da Lucca a<br />
Strasburgo, «Archivio storico bergamasco», I, 1981, pp. 35-64, in part. pp. 54 sgg.<br />
~ 184 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
de il capo della Chiesa <strong>di</strong> Strasburgo, il luterano intransigente Iohannes<br />
Marbach, contrapporsi violentemente allo Zanchi, la gravità <strong>di</strong> queste affermazioni<br />
passò in second’or<strong>di</strong>ne. 396 Ma non passò inosservata neppure<br />
negli ambienti teologici più favorevoli allo Zanchi. È significativo che<br />
dalle testimonianze <strong>di</strong> consenso che cinquant’anni dopo pubblicò in una<br />
ricostruzione alquanto personale della <strong>di</strong>sputa, lo Zanchi omettesse, ad<br />
esempio, una delle tante lettere giuntegli da Zurigo, attribuibile con certezza<br />
a Johannes Wolf. 397 Vi si esprimeva consenso su tutte le tesi controverse<br />
che lo Zanchi era andato a presentare personalmente in molti centri<br />
teologici della Germania e della Svizzera («De fine saeculi, de Antichristo,<br />
de signis finis saeculi, de praedestinatione, de vinculis quibus colligantur<br />
Christus et Ecclesia, de fide, de promissionibus»). Il <strong>di</strong>saccordo<br />
riguardava soltanto la concezione dell’Anticristo: non vi potevano essere<br />
dubbi, secondo il Wolf, su «quis sit, quo loco sedeat, quid agat, qua<br />
prae<strong>di</strong>tus sit <strong>di</strong>gnitate et potentia»; la tra<strong>di</strong>zione, dagli apostoli ai Padri fino<br />
a Gioacchino da Fiore e Savonarola, converge su un’unica in<strong>di</strong>cazione;<br />
e senza equivoci è stato in<strong>di</strong>cato da molti dotti «literata quadam et<br />
historica antiquitatis et rerum Romanarum commemoratione». Tra la libellistica<br />
del tempo, il Wolf, traduttore – come qui appren<strong>di</strong>amo – dell’Imagine<br />
<strong>di</strong> Antechristo, proponeva allo Zanchi il libello dell’Ochino come<br />
scritto che «Antichristum ipsum quasi <strong>di</strong>gito commonstravit». 398 Tra le<br />
in<strong>di</strong>cazioni del Wolf mancava il Liber generationis Antichristi. Ma sappiamo<br />
che esso aveva gran voga anche a Zurigo: negli ambienti teologici se ne<br />
aveva una tale stima da farlo ad<strong>di</strong>rittura oggetto <strong>di</strong> esegesi. 399<br />
Una destinazione <strong>di</strong>versa il Liber generationis Antichristi ebbe, invece,<br />
sul finire degli anni Sessanta, in un angolo dell’ormai frastagliatissima<br />
geografia religiosa del Cinquecento, nel quale la nozione <strong>di</strong> Anticristo<br />
corrente nella pubblicistica riformata andava maggiormente perdendo la<br />
396 Cfr. JAMES M. KITTELSON, Marbach versus Zanchi cit., pp. 31 nota 2 e 38 nota 23.<br />
397 Zurigo, Zentralbibliothek, F. 41, c. 165. La lettera non è datata, ma è certamente<br />
del 1561, perché vi si fa riferimento alle Theses dello Zanchi (cfr. Opera theologica cit., VIII,<br />
pp. 257 sgg.). Una nota tarda al margine del foglio in<strong>di</strong>ca il Wolf come autore della lettera<br />
(«De Antichristo sententia Wolfi»). La nota è confermata dal fatto che il Wolf era il solo teologo<br />
zurighese che conosceva l’italiano (cfr. nota successiva).<br />
398 «Sed et brevi sermone, quem ego ante aliquot annos, cum Thuscanae linguae operam<br />
darem, Latinum feci, D. Bernar<strong>di</strong>nus Ochinus Antichristum ipsum quasi <strong>di</strong>gito commonstravit».<br />
399 Una copia conforme a quella che circolò a Bologna e a Modena è conservata a Zurigo,<br />
Staatsarchiv, E. II. 445, c. 451r, seguita dallo scritto: Generatio Antichristi sic habetur correcta<br />
ad veritatem Hebraicam et collata cum interpretatione septuaginta scholia.<br />
~ 185 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
sua funzione <strong>di</strong> designare univocamente la Chiesa romana. Con vari ritocchi,<br />
ma soprattutto con una vistosa aggiunta <strong>di</strong> cui tra breve vedremo il significato,<br />
il libello fu riprodotto nel 1569 nel secondo dei due libri <strong>di</strong><br />
un’opera sulla contrapposizione tra Cristo e Anticristo pubblicata anonimamente<br />
ad Alba Iulia probabilmente da Giorgio Biandrata e Ferenc Dávid.<br />
400 L’opera è uno dei molti prodotti dell’intensa attività <strong>di</strong> propaganda<br />
svolta, durante e dopo il breve regno del sovrano ungherese Giovanni II<br />
Sigismondo Szápolyai, dal noto drappello <strong>di</strong> antitrinitari che da varie parti<br />
d’Europa le persecuzioni avevano spinto a rifugiarsi in Transilvania.<br />
Era un’attività che traeva impulso principalmente da due presupposti. In<br />
primo luogo, dalla convinzione che dappertutto vi fossero buoni Gamalieli,<br />
uomini giusti e pii costretti a <strong>di</strong>ssimulare, ma che avrebbero professato<br />
più che apertamente («longe apertius») le loro idee, solo che avessero<br />
avuto chi li <strong>di</strong>fendesse dalla persecuzione («Quid tot Gamalieles et Nicodemitae<br />
qui nunc vivunt innumeri?»). 401 La <strong>di</strong>mensione veramente europea<br />
<strong>di</strong> questa propaganda <strong>di</strong>pese da questa convinzione. Svolta soprattutto<br />
in collegamento e in collaborazione con correligionari polacchi, essa si<br />
avvalse anche <strong>di</strong> una rete consistente <strong>di</strong> relazioni personali con quanti vivevano<br />
nelle nuove chiese <strong>di</strong>ssimulando. E a Wittenberg, a Zurigo, a<br />
Ginevra, la sua aggressività e la sua efficacia furono giu<strong>di</strong>cate un pericolo<br />
reale nelle cerchie teologiche che ne ricevevano informazioni. 402 Il secon-<br />
400 De regno Christi liber primus. De regno Antichristi liber secundus. Accessit tractatus de Paedobaptismo<br />
et Circumcisione, Albae Iuliae, Anno Domini 1569, II, pp. EEiir-EE3v: Genealogia<br />
Antichristi filii Diaboli, inventa in Bibliotheca Romana ad partem sinistram ingre<strong>di</strong>enti anno Domini<br />
1513. Il libello è riprodotto, significativamente, prima dei trattati sul battesimo degli infanti<br />
e sulla circoncisione, cioè a conclusione dell’opera vera e propria. Fingere la provenienza <strong>di</strong><br />
libelli e pasquilli da monumenti sacri romani era accorgimento propagan<strong>di</strong>stico frequente.<br />
Come ha <strong>di</strong>mostrato a suo tempo Stanisław Kot (L’influence de Servet sur le mouvement antitrinitarien<br />
en Pologne et en Transylvanie, in Autour de Michel Servet cit., pp. 99-103), gran parte<br />
dell’opera è una ricucitura <strong>di</strong> ampie parti della Christianismi restitutio <strong>di</strong> Serveto. Faccio uso<br />
dell’esemplare della Herzog August Bibliothek <strong>di</strong> Wolfenbüttel.<br />
401 De falsa et vera unius Dei patris, filii et spiritus sancti cognitione libri duo. Authoribus ministris<br />
Ecclesiarum consentientium in Sarmatia et Transylvania, Albae Iuliae [Raphael Hoffhalter,<br />
1568], p. Eiiv. L’ampia introduzione <strong>di</strong> Antal Pirnát alla recente ristampa anastatica<br />
(Utrecht, Bibliotheca Antitrinitariorum 1988) è un utilissimo compen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tutte le questioni<br />
che gli stu<strong>di</strong>osi hanno posto su quest’opera (il sommario a pp. LXXIV-LXXVI riflette lo stato<br />
delle ricerche sugli anonimi autori delle singole parti).<br />
402 La fonte più importante sui riflessi dell’attività, molto spesso clandestina, <strong>di</strong> quel manipolo<br />
<strong>di</strong> eretici nelle preoccupazioni delle nuove chiese oggi è costituita dai volumi VI-X<br />
della Correspondance de Théodore de Bèze (Genève, Droz, 1970-1980), i cui curatori (Henri<br />
Meylan, Alain Dufour, Alexandre de Henséler, Claire Chimelli, Mario Turchetti, Béatrice<br />
Nicollier) non hanno risparmiato fatiche per chiarire particolari, sia pure minimi, anche del-<br />
~ 186 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
do presupposto era l’idea che le riforme attuate da Lutero, da Zwingli e<br />
da Calvino erano state un primo passo, non un’azione decisiva nel rinnovamento<br />
della religione e della società cristiane. L’ambito della realtà che<br />
venne designata col nome <strong>di</strong> Anticristo nei libri, nelle compilazioni e nei<br />
libelli prodotti da questa propaganda si <strong>di</strong>latò nel corso dei vivacissimi<br />
<strong>di</strong>battiti dottrinali e delle lotte per la sopravvivenza (come singoli e come<br />
gruppo) generati da questa convinzione che la Riforma non si fosse ancora<br />
compiuta.<br />
L’anno prima della pubblicazione dell’opera in cui comparve il Liber<br />
generationis Antichristi, un altro libello, che la tra<strong>di</strong>zione sociniana e i relativi<br />
repertori bibliografici hanno attribuito al Biandrata, aveva propagandato<br />
la contrapposizione tra Cristo e Anticristo in una forma particolarmente<br />
efficace. Vi si utilizzava il modulo ormai classico dell’«antitesi»<br />
(Antithesis Pseudochristi cum vero illo ex Maria nato), evidenziata – come era<br />
consuetu<strong>di</strong>ne, a partire da quello che può essere considerato l’archetipo<br />
<strong>di</strong> questo genere <strong>di</strong> libelli, cioè il Passional Christi und Antichristi – dalla<br />
stessa <strong>di</strong>sposizione tipografica. 403 Una delle sue singolarità è che esso è l’unico<br />
scritto – tra quanti allora ne furono messi in circolazione in Transilvania<br />
– nel quale la critica del domma trinitario viene fondata sulla contrapposizione<br />
tra «Christus <strong>di</strong>ves» e «Christus pauper». È una singolarità<br />
che – per quanto strano a prima vista possa sembrare – conferma ed evidenzia<br />
l’estraneità della problematica sociale alle elaborazioni e alle <strong>di</strong>spute<br />
teologiche <strong>di</strong> quegli anni in Transilvania. 404 L’anonimo autore del libel-<br />
la storia, spesso complicatissima, <strong>di</strong> questa minoranza <strong>di</strong> oppositori ra<strong>di</strong>cali. Sui rapporti con<br />
gli antitrinitari polacchi ve<strong>di</strong> LECH SZCZUCKI, Polish and Transylvanian Unitarianism in the<br />
Second Half of the 16th Century, in Antitrinitarianism in the Second Half of the 16th Century, ed.<br />
by ROBERT DÀN AND ANTAL PIRNÁT, Budapest, Akadémiai Kiadó, Leiden, E. J. Brill, 1982,<br />
pp. 231-251.<br />
403 Il libello è pubblicato in Per la storia degli eretici italiani del secolo XVI in Europa. Testi<br />
raccolti da DELIO CANTIMORI e ELISABETH FEIST, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1937, pp.<br />
95-103. Cfr. DELIO CANTIMORI, Eretici cit., pp. 327-328. È comunemente attribuito al Biandrata<br />
sulla base <strong>di</strong> CHRISTOPH SAND, Bibliotheca Antitrinitariorum, Freista<strong>di</strong>i, apud Iohannem<br />
Aconium (ristampa anastatica, con prefazione <strong>di</strong> Lech Szczucki, Varsavia, 1967), p. 33; ma,<br />
in generale, le attribuzioni del Sand al Biandrata sono maggiormente in<strong>di</strong>scriminate. Su altre<br />
questioni, non tutte ancora risolte (compresa l’attribuzione), ve<strong>di</strong> DOMENICO CACCAMO, Eretici<br />
italiani in Moravia, Polonia, Transilvania (1558-1611). Stu<strong>di</strong> e documenti, Firenze, Sansoni,<br />
New York, The Newberry Library, 1970, pp. 24-25; ANTONIO ROTONDÒ, Calvino e gli antitrinitari<br />
italiani, qui a p. 317, nota 55; ANTAL PIRNÁT, Per una nuova interpretazione dell’attività<br />
<strong>di</strong> Giorgio Biandrata, in Rapporti veneto-ungheresi all’epoca del Rinascimento, Budapest, Akadémiai<br />
Kiadó, 1975, pp. 36-71.<br />
404 Alla data in cui il libello proponeva contenuti sociali della nuova cristologia, in<br />
Transilvania era già stato pienamente attuato il suggerimento che Biandrata aveva fatto giun-<br />
~ 187 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
lo attribuito al Biandrata riprendeva, invece, un aspetto della concezione<br />
dell’Anticristo caratteristica <strong>di</strong> tutti gli scritti della stessa provenienza: i riformatori,<br />
Lutero, Zwingli, Calvino, avevano abolito tanti «meretricii<br />
cultus» tributati a un Cristo concepito come un simbolo <strong>di</strong> potenza e del<br />
quale «omnes huius mun<strong>di</strong> Satrapae» avevano fatto sempre il loro idolo;<br />
ma il domma col quale l’Anticristo aveva corrotto il cristianesimo rimaneva<br />
intatto; quanti recentemente avevano tentato e attuato riforme –<br />
«sive Saxones a Luthero, sive Helvetii, Anglii, Galli etc. a Zwinglio, et<br />
Bohemi ab Husso etc.» – rimanevano ancora «omnes isti uni fundamento<br />
Antichristi innixi». 405 Non si escludeva che la profon<strong>di</strong>tà con cui la dottrina<br />
dell’Anticristo aveva messo ra<strong>di</strong>ci richiedesse gradualità nelle riforme,<br />
né che l’azione dei riformatori avesse scosso la tra<strong>di</strong>zione. Ma poi l’Anticristo<br />
aveva ristabilito il suo predominio. Suo strumento erano le nuove<br />
accademie teologiche, nelle quali con i suoi stratagemmi Satana escogitava<br />
sofismi che si sovrapponevano alla semplicità e chiarezza delle Scritture.<br />
I «vari Antichristi» che regnano ancora «in reformatis ecclesiis» 406 hanno<br />
le loro se<strong>di</strong> in queste accademie. L’assunzione della critica e rifiuto<br />
d’un domma come unico criterio del giu<strong>di</strong>zio sull’intero corso storico,<br />
compreso il presente, vanificava l’identificazione dell’Anticristo con la<br />
Chiesa romana come contrapposta alla realtà delle chiese sorte dalla Riforma:<br />
una vera chiesa non c’era nel presente come non c’era mai stata<br />
nel passato; in tutti i secoli del predominio dell’Anticristo poteva essere<br />
gere a suoi correligionari polacchi fin dal settembre del 1565, cioè <strong>di</strong> recedere dall’anabattismo<br />
per de<strong>di</strong>carsi allo stu<strong>di</strong>o dei fondamenti scritturistici e patristici del significato della<br />
figura <strong>di</strong> Cristo (Akta synodów róz˙nowierczych w Polsce, II (1560-1570), a cura <strong>di</strong> MARIA SI-<br />
PAYŁŁO, Warszawa, Widawnictwa Uniwersytetu Warszawskiego, 1972, pp. 352-359; cfr. LECH<br />
SZCZUCKI, Marcin Czechowic. Stu<strong>di</strong>um z dziejów antytrynitaryzmu polskiego XVI w., Warszawa,<br />
Państwowe Wydawnictwo Naukowe, 1964, pp. 62-63, e più ampiamente IDEM, Polish and<br />
Transylvanian Unitarianism cit., pp. 232-236). In conseguenza <strong>di</strong> ciò, elaborazioni e <strong>di</strong>spute<br />
teologiche vi avevano assunto un andamento prevalentemente esegetico. Nell’opera in cui<br />
quel gruppo <strong>di</strong> antitrinitari espresse più compiutamente il proprio pensiero, cioè la De falsa<br />
et vera unius Dei ... cognitione, c’è, se ho visto bene, un solo accenno – a parte il commento <strong>di</strong><br />
Lelio Sozzini al Vangelo <strong>di</strong> Giovanni – a un «humilem Christum» il cui trionfo è promesso<br />
come esito delle lotte degli antitrinitari (ibid., p. Ciir). Quanto al commento del Sozzini, <strong>di</strong><br />
un Cristo «vilis, pauper, miser, male<strong>di</strong>ctum, vermis et non homo» si parla ripetutamente; ma<br />
io credo che non vi si configura, come nell’Antithesis Pseudochristi, una contrapposizione tra<br />
«Christus <strong>di</strong>ves» e «Christus pauper» come un intenzionale para<strong>di</strong>gma sociale.<br />
405 Per la storia degli eretici cit., p. 98. Per lo sviluppo <strong>di</strong> questo argomento ve<strong>di</strong> soprattutto<br />
l’esposizione della De falsa et vera unius Dei ... cognitione in DELIO CANTIMORI, Eretici cit.,<br />
pp. 322-326.<br />
406 De falsa et vera unius Dei ... cognitione cit., p. BBiir.<br />
~ 188 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
identificato, per il passato come per il presente, soltanto un filo, tenue<br />
ma ininterrotto, <strong>di</strong> oppositori inascoltati e perseguitati.<br />
Al fondo dell’immenso lavoro esegetico svolto in quegli anni in<br />
Transilvania da quel manipolo <strong>di</strong> eretici e al fondo dell’attività <strong>di</strong> propaganda<br />
con cui essi si rivolsero a tutti gli strati sociali, c’era anche la certezza<br />
che il regno dell’Anticristo sarebbe durato ancora per poco tempo<br />
(«adhuc mo<strong>di</strong>cum»). 407 Inteso come predominio fondato sull’errore riguardante<br />
un punto dottrinale («de Deo et Messia filio eius») ritenuto il<br />
fondamento del cristianesimo ed esaltato come il car<strong>di</strong>ne della vita eterna<br />
(«vitae aeternae cardo»), esso, quel predominio, sarebbe crollato non solo<br />
quando l’errore fosse stato definitivamente confutato, ma soprattutto<br />
quando la sua natura erronea fosse <strong>di</strong>venuta convinzione comune. La<br />
lotta non era senza pericoli: l’esperienza recente insegnava che tutti gli<br />
oppositori erano stati vinti dall’Anticristo, atterriti dai suoi bastioni turriti<br />
(«eius munitis urbibus»), cioè col consenso e l’autorità <strong>di</strong> re, Padri, concili<br />
e chiese. 408 In questa situazione, Biandrata dettava norme <strong>di</strong> comportamento:<br />
bisognava «altera manu defendere sese, altera ae<strong>di</strong>ficare». 409 L’accettazione<br />
dell’ineluttabilità storica della persecuzione non escludeva l’adeguamento<br />
a questa norma e agli accorgimenti che essa presupponeva.<br />
Ne risultarono in notevole misura improntati tutti gli aspetti dell’attività<br />
<strong>di</strong> quel drappello <strong>di</strong> eretici. In <strong>di</strong>spute pubbliche clamorose, alcune delle<br />
quali attirarono la preoccupata attenzione <strong>di</strong> tutte le cerchie teologiche<br />
europee, a professioni <strong>di</strong> fede assertive si preferiva una sorta <strong>di</strong> maieutica<br />
fondata sulla deduzione esegetica che ammetteva la sola perizia filologica;<br />
e, com’è noto, gli stessi atti <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong>spute furono talvolta ritoccati e<br />
conformati al fine d’una <strong>di</strong>ffusione più persuasiva. Un’apposita scuola destinata<br />
a combattere i sofismi delle nuove accademie teologiche significativamente<br />
esordì con lo stu<strong>di</strong>o degli Stratagemata Satanae dell’Aconcio e<br />
col proposito <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgarne un compen<strong>di</strong>o destinato anche agli incolti<br />
(«rudes»). 410 Una propaganda a più vasto raggio combinava l’aperta professione<br />
<strong>di</strong> fede (come nel caso dello stampatore degli stessi libri e libelli)<br />
con gli accorgimenti dell’anonimato, dell’argomentazione insinuante,<br />
delle figurazioni allusive, dell’adattamento, manipolazione e anonimia <strong>di</strong><br />
407 Ibid.<br />
408 Ibid., pp. AAiiiv-AAiiiiv.<br />
409 Ibid., p. BBiir.<br />
410 Ve<strong>di</strong> Appen<strong>di</strong>ce VI, p. 735 (a pp. 359-361 esempi <strong>di</strong> adattamenti del testo dell’Aconcio<br />
alla situazione transilvana).<br />
~ 189 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
testi risaputamente pericolosi. 411 L’opera in cui compare il Liber generationis<br />
Antichristi è un esempio <strong>di</strong> questo genere <strong>di</strong> costruzioni.<br />
La collocazione a conclusione dell’opera conferisce al libello la <strong>di</strong>gnità<br />
<strong>di</strong> compen<strong>di</strong>are l’opera stessa, o per meglio <strong>di</strong>re il secondo libro, De<br />
Antichristo. Ma ciò poteva avvenire solo a con<strong>di</strong>zione che il testo originario<br />
del libello venisse massicciamente interpolato. In particolare, è evidente<br />
l’intenzione del compilatore <strong>di</strong> assegnare al libello la funzione <strong>di</strong><br />
facile e quasi mnemonico compen<strong>di</strong>o dello scritto che lo precedeva imme<strong>di</strong>atamente,<br />
cioè i Signa sexaginta regni Antichristi et revelatio eius iam<br />
nunc praesens <strong>di</strong> Serveto, riprodotti quasi integralmente e, com’è ovvio,<br />
anonimamente. 412 Non sappiamo se il libello, già interpolato, circolasse<br />
autonomamente – com’è possibile congetturare – prima che fosse incluso<br />
nell’opera in cui lo leggiamo: <strong>di</strong> molti altri libelli <strong>di</strong>ffusi in Transilvania<br />
in quegli anni sappiamo che furono utilizzati in forma autonoma prima<br />
d’essere riprodotti in compilazioni analoghe. In ogni caso, un adeguamento<br />
dello scritto alle finalità della propaganda degli antitrinitari non<br />
poteva che incidere sulla sequenza cronologica secondo cui la nascita<br />
della «theologia sophistica» aveva avuto come conseguenza la corruzione<br />
delle Scritture («theologia autem sophistica genuit sacrae Scripturae<br />
abiectionem»). Nella nuova redazione, questo passaggio veniva, perciò,<br />
ampliato come segue:<br />
Abiectio autem sacrae Scripturae genuit falsam veri Dei et Christi<br />
doctrinam.<br />
Falsa autem ista doctrina genuit essentiam.<br />
Essentia autem (quae nihil in Deo est) genuit tres personas.<br />
411 Sullo stampatore Raphael Hoffhalter-Skrzetuski ve<strong>di</strong> ora l’introduzione <strong>di</strong> Antal Pirnát<br />
alla cit. ristampa anastatica della De falsa et vera unius Dei ... cognitione, pp. IX-XIV. La sua<br />
morte improvvisa alla fine <strong>di</strong> febbraio del 1568 fu accolta con sod<strong>di</strong>sfazione negli ambienti<br />
teologici europei: a Zurigo, Josias Simler scrisse che aveva pagato il fio dell’avere sparso «in<br />
contemptu sacrae Trinitatis quasdam imagines abominandas» (De aeterno Dei filio ... libri quatuor,<br />
Tiguri, apud Christophorum Froschoverum, 1568, p. 28v). Le immagini alle quali si riferisce<br />
il Simler sono le caricature della Trinità incluse nella De falsa et vera unius Dei ... cognitione<br />
e che – come sembra certo – vennero <strong>di</strong>ffuse anche in fogli autonomi (ve<strong>di</strong> più avanti,<br />
p. 339, nota 59 e Appen<strong>di</strong>ce V, pp. 730-731). Sulle intenzioni propagan<strong>di</strong>stiche delle caricature<br />
ve<strong>di</strong> DELIO CANTIMORI, Eretici cit., p. 328, sviluppato in ID., Note su alcuni aspetti della<br />
propaganda religiosa nell’Europa del Cinquecento, in Aspects de la propagande religieuse, a cura <strong>di</strong><br />
HENRI MEYLAN, Genève, Librairie Droz, 1957, pp. 340-351, in part. 348 sgg.<br />
412 MICHELE SERVETO, Christianismi restitutio, [Vienne], 1553, pp. 564-670; De regno<br />
Christi. De regno Antichristi cit., pp. CC4r-EEv, dove è omessa soltanto la breve «Conclusio»,<br />
trasferita alla fine dell’opera, p. SS1r.<br />
~ 190 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
Tres personae autem genuerunt tres Deos.<br />
Tres Dii autem genuerunt incarnationem.<br />
Incarnatio autem genuit unionem hypostaticam.<br />
Unio autem hypostatica genuit i<strong>di</strong>omatum communicationem.<br />
I<strong>di</strong>omatum autem communicatio duos Christos.<br />
Duo autem Christi genuerunt homousion, coaequalitatem, coaeternitatem<br />
et alias infinitas profanas voces.<br />
Profanae autem istae voces genuerunt contentionem.<br />
Contentio autem genuit iracun<strong>di</strong>am.<br />
Iracun<strong>di</strong>a vero genuit rabiem.<br />
Rabies autem genuit tyrannidem.<br />
Tyrannis autem genuit homici<strong>di</strong>um.<br />
Nella proposizione finale, il termine «homici<strong>di</strong>um» è allusione alla condanna<br />
<strong>di</strong> Serveto e <strong>di</strong> Valentino Gentile, che in quegli anni libri e libelli<br />
della stessa provenienza ponevano apertamente nel martirologio dei reclamatori<br />
contemporanei <strong>di</strong> riforme. Il termine sostituiva quello <strong>di</strong> «mactatio<br />
sanctorum», che almeno trent’anni prima la redazione originaria del<br />
libello aveva in<strong>di</strong>cato come conseguenza della «tirannide» fondata su una<br />
generica manomissione delle Scritture. Nel testo interpolato l’obbiettivo<br />
polemico si precisava: la «tirannide» che aveva generato «omici<strong>di</strong>o» era<br />
conseguenza della «rabies» e dell’«iracun<strong>di</strong>a» scaturite dalle <strong>di</strong>spute su «infinitas<br />
profanas voces» escogitate a sostegno <strong>di</strong> una «falsam veri Dei et<br />
Christi doctrinam». L’intera compilazione in cui il Liber generationis Antichristi<br />
così interpolato compariva, dava sufficienti elementi perché il lettore<br />
in<strong>di</strong>viduasse la realtà designata come Anticristo: l’anonimo compilatore<br />
parlava a nome dei ministri «ecclesiarum de uno Deo Patre consentientium»,<br />
cioè a nome <strong>di</strong> quanti allora combattevano contro l’ortodossia<br />
calvinista; e nella de<strong>di</strong>ca a Giovanni Sigismondo erano in<strong>di</strong>cate precisamente<br />
le chiese riformate come la realtà storica in cui la <strong>di</strong>fesa violenta<br />
dell’«idolatria trinitaria» cancellava la pietà e provocava passioni feroci e<br />
spargimento <strong>di</strong> sangue. Nella compilazione e nel libello, formalmente<br />
l’Anticristo designava ancora il papa: in realtà il binomio papa-Anticristo<br />
vi equivaleva a ogni forma <strong>di</strong> violenza istituzionale che si opponeva alla<br />
correzione degli errori.<br />
~ 191 ~
DOCUMENTI<br />
1<br />
INTERROGATORI MODENESI<br />
DI DON ORIO BASTARDI E DI ALBERTO BARANZONI<br />
(Modena, 11 e 13 giugno 1541)<br />
In Christi nomine amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quincentesimo<br />
quadragesimo primo, in<strong>di</strong>ctione quarta decima, <strong>di</strong>ebus vero mensibus, locis et horis<br />
infrascriptis, pontificatu autem sanctissimi in Christo patris et domini nostri, domini<br />
Pauli [III] <strong>di</strong>vina providentia papae, pontificatus anno illius VII etc.<br />
1 I due interrogatori si leggono in due separati documenti conservati nell’Archivio <strong>di</strong><br />
Stato <strong>di</strong> Modena, rispettivamente nei fon<strong>di</strong> Cancelleria ducale: Carteggi dei rettori: Modena, cart.<br />
57, Francesco Villa, e Particolari, busta 77, fasc. Alberto Baranzone. II primo interrogatorio è<br />
accompagnato, insieme con la copia qui utilizzata del Liber generatioris, da una lettera del governatore<br />
<strong>di</strong> Modena Francesco Villa al duca <strong>di</strong> Ferrara, in data 14 giugno 1541, della quale<br />
trascriviamo la parte riguardante l’inchiesta, svolta dal vicario del vescovo Giovanni Domenico<br />
Sigibal<strong>di</strong> e dallo stesso Villa, sulla <strong>di</strong>ffusione del libello a Modena: «Il sopradetto vicario<br />
mi <strong>di</strong>sse anchora che una scritta li era stata data, che ad imitacione del evangelio de generacionis<br />
(sic) <strong>di</strong>ceva de molte cose degne de castigo, et che, volendo intendere dove era venuta<br />
de poi essere passata per mano de doi preti, dal primo intese che un Alberto Baranzone ge<br />
l’haveva data. Et havendo io mandato per detto Baranzone, per intendere da chi l’haveva<br />
hauta, sotto sagramento mi ha detto haverla hauta da un messer Pelegrino alias nominato<br />
Mastino, scolaro mantuano che stu<strong>di</strong>a in Bologna, sogiongendo che gelo dette pochi dì fa<br />
che passava <strong>di</strong> qui per Mantua, et poiché detto Baranzone non ha littere, si può facilmente<br />
credere che così sia, con esser certi che chi l’ha fatta sia un pelegrino ingegno, ma poco amico<br />
della corte romana. Et per saperne la verità, loderei il tutto si avisasse al Reveren<strong>di</strong>ssimo<br />
<strong>di</strong> Mantua, a fine, fattosi chiamare detto Mastino, se intendesse se così è, il che non essendo,<br />
io poi da questo Baranzone vorò intendere la verità. Et perché l’Eccellentia Vostra ogni cosa<br />
veda, de ogni cosa li mando copia, et a quella baciandoli ben humilmente le mani, in sua<br />
buona gracia mi raccomando, pregando Dio guar<strong>di</strong> Sua Eccellentissima persona come da me<br />
si desidera. Di Modena, 14 giugno 1541. Di vostra Eccellentissima Signoria. Li era anchora<br />
un Te Deum laudamus in compagnia <strong>di</strong> questa cosa, ma non l’ho potuto havere. Vero è che<br />
non li è cosa che tochi de Scritura Sacra, ma sì il papa con sua generacione et per pasquineria<br />
è molto lodata. Humilissimo et obligatissimo servitore Francesco Villa».<br />
~ 192 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
Die XI Iunii<br />
Reverendus pater dominus Iohannes Dominicus Sigibaldus 1 Dorthonensis,<br />
iuris utriusque doctor, protonotarius apostolicus ac in spiritualibus et temporalibus<br />
vicarius et officialis generalis reveren<strong>di</strong>ssimi in Christo patris et domini, domini<br />
Iohannis Moroni, nobilis Me<strong>di</strong>olanensis, Dei et apostolicae se<strong>di</strong>s gratia episcopi<br />
Mutinensis, existens in eius camera in palatio episcopali iuri<strong>di</strong>co Mutinensi, et viso<br />
quodam libello famoso intitulato Liber generationis desolatoris Antichristi filii Diaboli,<br />
dum esset in chatedrali Mutinensi et intellecto ac ad eiusdem domini vicarii aures<br />
et notitiam pervento reverendum dominum Theophilum a Furno, 2 canonicum<br />
Mutinensem, eundem libellum habuisse in eius manibus et desiderans scire originem<br />
et authorem <strong>di</strong>cti libelli, eundem dominum Theophilum ibidem praesentem<br />
interrogavit si habuerit <strong>di</strong>ctum libellum et a quo.<br />
Qui reverendus dominus Theophilus iuramento suo eidem per <strong>di</strong>ctum vicarium<br />
delato, respon<strong>di</strong>t <strong>di</strong>ctum libellum habuisse a venerabili viro domino Orio de<br />
Bastar<strong>di</strong>s 3 et extrassisse copiam ex eo et demum <strong>di</strong>ctum libellum restituisse <strong>di</strong>cto<br />
domino Orio. Quam copiam idem <strong>di</strong>ctus Theophilus de<strong>di</strong>t et tra<strong>di</strong><strong>di</strong>t ipsi domino<br />
vicario tenoris infrascripti etc.<br />
Qui dominus vicarius, visa et lecta copia et cognito esse et cantare in omnibus<br />
et per omnia pro ut <strong>di</strong>ctus libellus erat et cantabat, prae<strong>di</strong>ctum dominum Orium<br />
Bastardum, presbyterum Mutinensem, ibidem praesentem, monuit quatenus iuret<br />
de veritate <strong>di</strong>cenda et respondenda.<br />
1 Nato a Tortona nel 1475, fu vicario della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Modena dal 1519 fino alla morte<br />
(1550). Sulla sua attività come vicario del Morone ve<strong>di</strong> SUSANNA PEYRONEL RAMBALDI, Speranze<br />
e crisi nel Cinquecento modenese. Tensioni religiose e vita citta<strong>di</strong>na ai tempi <strong>di</strong> Giovanni Morone,<br />
Milano, Franco Angeli E<strong>di</strong>tore, 1979, pp. 135-137, 213-215, 219-222 e passim. Ma si<br />
veda ora soprattutto MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal<br />
Giovanni Morone cit., vol. II, Il processo d’accusa, 1984, in part. alle pp. 875-1038, le lettere del<br />
Sigibal<strong>di</strong> al Morone degli anni 1540-1541.<br />
2 Teofilo Forni, membro del capitolo della cattedrale tra i più vicini al Sigibal<strong>di</strong> e al<br />
Morone, col quale corrispose durante la missione del prelato a Ratisbona (ibid., pp. 1000,<br />
1002, 1016) e del cui seguito avrebbe voluto far parte durante la ventilata legazione del Morone<br />
in Spagna (ibid., pp. 532, 1017). Il 1 o settembre 1542, fu tra i sottoscrittori degli Articuli<br />
orthodoxae professionis del Contarini, imposti dal Morone alla comunità <strong>di</strong> Modena (ibid.,<br />
p. 297).<br />
3 Originario del Frignano, le sue varie e modeste funzioni ricoperte nella chiesa modenese<br />
sono ricordate dal cronista Tommasino de Bianchi (cfr. ibid., pp. 919-920). Qui interessano<br />
le sue ambigue relazioni con i membri dell’Accademia. Due mesi prima, il 6 aprile<br />
1541, Sigibal<strong>di</strong> scrisse al Morone che don Orio era «molto familiare del me<strong>di</strong>co Machella,<br />
me<strong>di</strong>co Grillinzono, me<strong>di</strong>co Caran<strong>di</strong>no, li quali sono consectanei», ma che, quando seppe<br />
che don Orio voleva rendere pubblica la sua estraneità alle idee degli «accademici», tanto il<br />
congiunto don Giovanni Bastar<strong>di</strong> quanto lo stesso Sigibal<strong>di</strong> lo avevano convinto «ch’el non<br />
si demostri essere alieno da loro (se non in quanto el offenda Dio) per poter penetrar li secreti<br />
loro, de li quali ne va intendendo» (ibid., pp. 981-982).<br />
~ 193 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
Qui dominus Orius iuravit in forma et item interrogatus a prae<strong>di</strong>cto domino<br />
vicario iuramento suo <strong>di</strong>xit veritatem extare se de<strong>di</strong>sse <strong>di</strong>ctum supra<strong>di</strong>cti tenoris libellum<br />
prae<strong>di</strong>cto domino Theophilo et se eundem libellum habuisse a domino Alberto<br />
Baranzono, 4 layco Mutinensi, et cum fuit sibi domino Orio per <strong>di</strong>ctum dominum<br />
Theophilum restitutus, eum restituisse prae<strong>di</strong>cto domino Alberto Baranzono<br />
et se aliter nescire quis fuerit author.<br />
Qui dominus vicarius prae<strong>di</strong>cta admisit si et in quantum et mandavit mihi notario<br />
infrascripto ut de prae<strong>di</strong>ctis sim rogaturus.<br />
1541 <strong>di</strong>e 13 Iunii<br />
Dominus Albertus de Baranzonis examinatus super infrascriptis me<strong>di</strong>o eius iuramento.<br />
Interrogatus an veritas sit quod ipse constitutus dederit reverendo domino<br />
Orio Bastardo scripturam incipientem Liber generationis etc., respon<strong>di</strong>t quod bene<br />
ipse constitutus de<strong>di</strong>t <strong>di</strong>cto domino Orio quamdam scripturam incipientem Te<br />
Deum laudamus 5 ab ipso domino Alberto respondendo vulgariter che, essendo il dì<br />
4 Membro della ricchissima famiglia modenese dei Baranzoni, mercanti e banchieri.<br />
Un Pietro Baranzoni compare, in qualità <strong>di</strong> conservatore del Comune, tra i sottoscrittori del<br />
«formulario <strong>di</strong> fede» imposto dal Morone (MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO, Il processo inquisitoriale<br />
del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone cit., III, p. 229). Alberto non doveva essere più giovane<br />
all’epoca dell’episo<strong>di</strong>o della <strong>di</strong>ffusione del Liber generationis, se fa un primo testamento il<br />
22 <strong>di</strong>cembre 1560. In esso, si può forse cogliere ancora qualche accento dei suoi sentimenti<br />
religiosi <strong>di</strong> vent’anni prima: affida l’anima sua «Deo patri suo aeterno [...], rogans eum humiliter<br />
ut propter infinitam suam misericor<strong>di</strong>am et per merita unigeniti filii sui Yhesu Christi<br />
eam conducat ad bona vitae aeternae, non attentis nec inspectis infinitis erroribus et offensionibus<br />
suis commissis»; nel <strong>di</strong>sporre la costruzione del suo sepolcro nella chiesa <strong>di</strong> s.<br />
Barnaba raccomanda ai suoi ere<strong>di</strong> «ne faciant magnam pompam in adornando <strong>di</strong>ctam sepulturam<br />
et pariter etiam in faciendo sepelire <strong>di</strong>ctum suum cadaver, sed in loco <strong>di</strong>ctae pompae<br />
voluit quod potius subveniant pauperibus Yhesu Christi in in<strong>di</strong>gentiis eorum, quos pauperes<br />
valde recomandavit» (Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Notarile: notaio Antonio Paganelli, filza<br />
1626, n. 359; cfr. SUSANNA PEYRONEL RAMBALDI, Speranze e crisi cit., p. 166, che erroneamente<br />
lo <strong>di</strong>ce non datato). Nel quadro degli schieramenti politici modenesi, la famiglia Baranzoni<br />
parteggiava per gli Estensi: il 9 marzo 1545, Alessandro, fratello <strong>di</strong> Alberto, scrive al duca:<br />
«... hora, perché s’intende ch’io sia fatto servitor dell’E. V., mi hanno senza occasione alcuna<br />
escluso dal detto consiglio [dei Conservatori] con solo questo nome et con <strong>di</strong>re che l’E. V.<br />
mi dà provigione» (Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Particolari, filza 77, fasc. Alessandro Baranzoni).<br />
Questa collocazione politica della famiglia spiega forse il mancato seguito dell’inchiesta a<br />
carico <strong>di</strong> Alberto (ve<strong>di</strong> sotto, nota 6).<br />
5 Il titolo completo <strong>di</strong> questo pasquillo è: Pasquilli et Marphorii hymnus in Paulum Tertium<br />
Pontificem Maximum, quem alternatim Romae cecinerunt, factus ad numerum «Te Deum laudamus».<br />
È più noto nella traduzione in tedesco <strong>di</strong> Erasmus Alberus («verdeutscht durch Freund<br />
Erasmum Alberum»), che lo data al 1541 (ve<strong>di</strong> OSKAR SCHADE, Satiren und Pasquille aus der<br />
Reformationszeit, Hannover, 1857, I, pp. 44-47). Un esemplare della redazione in latino è segnalato<br />
nello Staatsarchiv <strong>di</strong> Königsberg da JOHANNES VOIGT, Über Pasquille, Spottlieder und<br />
~ 194 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
della Penthecosta esso messer Alberto in casa d’esso don Orio a suonare, gli <strong>di</strong>sse<br />
che gli erano state date cose nuove latine et ch’egli gliele voleva monstrare, et così<br />
si cavò della sacca molte scritture et lettere et gli <strong>di</strong>ede due fogli piegati insieme, il<br />
primo <strong>di</strong> quali cominciava Te Deum laudamus, poi dentro a quello era quest’altro<br />
che cominciava Liber generationis.<br />
Dicto domino Alberto presente interrogato quid ad hoc responderet, ipse respon<strong>di</strong>t<br />
che può essere che in quello foglio del Te Deum laudamus fosse quest’altra<br />
scrittura del Liber generationis, che lui non se ne fosse accorto perché, quando gli fu<br />
data, esso constituto, vedendo che l’era latina et non intendendo latino, non la lesse<br />
altrimente, ma la piegò et se la messe nella sacca, et così piegata la <strong>di</strong>ede poi ad esso<br />
don Orio.<br />
Interrogatus a quo habuerit ipse constitutus <strong>di</strong>ctam scripturam, respon<strong>di</strong>t se<br />
eam habuisse a quodam domino Peregrino de Mantua, scholare studente Bononiae,<br />
eius amico, qui <strong>di</strong>ebus elapsis transivit per hanc civitatem et eam sibi reliquit ut<br />
ostendere posset aliquibus eius amicis. 6<br />
Qui magnificus dominus <strong>di</strong>misit ipsum constitutum monendo eum quod se<br />
informet quis sit <strong>di</strong>ctus dominus Peregrinus et deinde ipsi domino gubernatori referat.<br />
2<br />
STEFAN MICANUS A KONRAD PELLIKAN<br />
(Bologna, 28 gennaio 1545)<br />
Salus et pax Christi Jhesu tecum. Amen.<br />
Tantus est meus in te amor, reveren<strong>di</strong>ssime pater, ut nuncio certo reperto non<br />
possim non semper ad te scribere, 1 etiamsi nil epistola aut humanitate tua <strong>di</strong>gnum<br />
Schmährschriften aus der ersten Hälfte des 16. Jahrhunderts, «Historisches Taschenbuch», IX,<br />
1938, pp. 321-524, in part. 375.<br />
6 Probabilmente l’estensione dell’inchiesta a Mantova, suggerita da Francesco Villa per<br />
accertare l’identità <strong>di</strong> Pellegrino, non ebbe seguito o non ebbe alcun esito. Non se ne trova<br />
traccia nei carteggi tra Mantova e Ferrara.<br />
2 Zurigo, Zentralbibliothek, F. 47, c. 107r (originale); S. 55, n. 145 (copia). La lettera<br />
è elencata in CHRISTOPH ZÜRCHER, Konrad Pellikans Wirken in Zürich, 1526-1556 (Zürcher<br />
Beiträge zur Reformationsgeschichte, 4), Zürich, Theologischer Verlag, 1975, «Verzeichnis<br />
der Briefe», n. 212, p. 269.<br />
1 Come lo stesso Micanus afferma alla fine della lettera («scripsi ad te in principio Ianuarii»),<br />
la sua lettera precedente a Pellikan era stata del 6 gennaio (Zurigo, Zentralbibliothek,<br />
F. 41, c. 223r-v, originale; S. 74, n. 142, copia). Era stata anche la prima da Bologna, e<br />
anzi la prima da quando il Micanus aveva lasciato Zurigo, dove, da studente, era stato ospite<br />
<strong>di</strong> Pellikan: «Sestus annus iam labitur, Cunrade Pellicane amantissime, postquam Cracoviae,<br />
urbis Minoris Poloniae, in patriam recesseram ac nullas ad te dederam literas neque etiam rescripseram<br />
illis per Vitelmum civem ad me scriptis Cracoviam. Ego tamen tot annis memo-<br />
~ 195 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
sit quod scribam. Si crebritas mearum te literarum offen<strong>di</strong>t, quod facile credere<br />
possum, nutu saltem significabis et me abstinebo. Sed profecto quod facio ex vero<br />
cor<strong>di</strong>s amore, quem animo meo concepi cum domi tuae summa pietate, bonitate,<br />
humilitate et mansuetu<strong>di</strong>ne regi et amministrari omnia vi<strong>di</strong>, proficiscitur. Hunc<br />
meum in te amorem iam antea animo meo insitum non parum auxit hominum Italorum<br />
de te opinio (de piis loquor). Iam vero cum Thomas Anglus, frater noster<br />
charissimus, Bononiam gratia <strong>di</strong>strahendorum librorum suorum se contulerit, cuius<br />
familiaritate et utor et usus sum semper, et idem gratia emendorum aliorum profecturus<br />
sit ad vos, non potui committere quin per eum meri ad te literas darem.<br />
Zuinglii opera quanti venderentur scire cupio. Iste enim author prae omnibus<br />
(non paucos tamen legi) lucem sublimem ingenii et eru<strong>di</strong>tionis nec non pietatis<br />
osten<strong>di</strong>t. O <strong>di</strong>vinum ingenium, o excellentiam ingenii et eru<strong>di</strong>tionis! Laudem meretur<br />
ultra quam <strong>di</strong>ci potest. Ab omnibus fere, ab omnibus Italis fratribus probantur<br />
ipsius scripta et libenter omnes ipsi assentiuntur. In e u’ c a r i s t ía multi sunt Lutherani,<br />
multo autem plures, imo fere omnes, cum Zuinglio et nobiscum sentiunt.<br />
Opera tua habentur apud nos et in maximo (ecce, coram Deo loquor, non mentior)<br />
sunt pretio. Sed si fas est verum fateri, omnibus recentioribus praeferunt <strong>di</strong>vinissime<br />
et syncerissime scribentem Huldricum Zuinglium. Domini Bullingeri et<br />
Brentii opera nec non Lutheri in pretio sunt. His acce<strong>di</strong>t Calvinus. Prae omnibus<br />
tamen exoptatur (sunt qui magis quaerant Lutherum, quod magis nominatus et celebrior<br />
est et quod Zuinglii opera necdum legerunt) Zuinglius. Hanc igitur ob causam<br />
cuperem scire quanti Froschoverus omnia simul impressa venderet. Nam et<br />
ego, Deo annuente, aliquando forte statim emam, si ulla dabitur facultas. Thomas<br />
Anglus, harum literarum lator, in redeundo transibit Tigurum, per quem, si potueris<br />
prae occupationibus scribere ad me, facultas tibi dabitur omnium optima. Afferet<br />
et ipse multa Zuinglii, sed carius multo propter vecturam etiam ven<strong>di</strong>t. Tamen bene<br />
ven<strong>di</strong>t.<br />
riam tui suavissimam constanter in animo meo retinui, licet, ut a me volebas, per bibliopolam<br />
vestrum nullas literas scribebam. Fuit enim <strong>di</strong>fficillimum illud in patria praestare homini<br />
domesticis negotiis <strong>di</strong>stricto, ac rari etiam fuerunt qui perferre potuissent tuto literas meas<br />
Francofor<strong>di</strong>am vestro bibliopolae postea tibi reddendas, quanquam multi sunt mercatores<br />
Posnaniae (quae patria mea est in urbe Maioris Poloniae celebriore), qui varias cum suis<br />
mercibus regiones lustrare consueverunt et ego illis dare literas Francofor<strong>di</strong>am potueram.<br />
Sed tamen ita acci<strong>di</strong>t vel ex illa leviore causa quod non potueram ad te scribere». Sul significato<br />
della decisione del Micanus <strong>di</strong> riprendere da Bologna la corrispondenza col suo vecchio<br />
maestro zurighese ve<strong>di</strong> sopra, pp. 104-105. Le notizie che nel seguito Micanus dà <strong>di</strong> sé fanno<br />
<strong>di</strong> questa lettera il documento fondamentale per la sua biografia. Il rientro a Posen, dopo<br />
gli stu<strong>di</strong> a Zurigo, era stato rattristato dalla morte dei genitori. Per consiglio <strong>di</strong> Melantone,<br />
aveva preferito lo stu<strong>di</strong>o della me<strong>di</strong>cina a quello delle leggi. Prima che a Bologna, per due<br />
anni aveva stu<strong>di</strong>ato a Padova, seguendo le lezioni <strong>di</strong> Battista Montano, il cui ricordo («unus<br />
fere in Italia et scit me<strong>di</strong>cinam et docet artificiosissime») gli era acuito dal confronto con le<br />
lezioni bolognesi <strong>di</strong> Benedetto Vittori da Faenza. «Plurimum tamen – asseriva infine il Micanus<br />
– iu<strong>di</strong>cavi mea interesse ut hanc quoque summi Pontificis urbem conspiciam, religionis<br />
scilicet causa et exemplorum». Si faceva, perciò, attento osservatore e informatore del<br />
Pellikan sugli eventi della vita religiosa bolognese. Agli inizi del 1545 si <strong>di</strong>ceva non ancora<br />
trentenne («scito me nondum trigesimum annum esse egressum»).<br />
~ 196 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
Rerum novarum nihil habemus iam. Scripsi ad te in principio Ianuarii per Tigurinum<br />
virum egregium et nobilem, qui veniebat Roma. 2 Salutat te Andreas Colettus.<br />
3 Iusserunt mihi quidam fratres ut te una cum domino Bullingero salutarem.<br />
Omnino vos sua salute carere noluerunt. Vale foelicissime cum omnibus tuis et tota<br />
tua familia.<br />
Bononiae, XXVIII Ianuarii 1545.<br />
Stephanus Micanus<br />
Doctissimo simul atque piissimo viro domino, domino Cunrado Pellicano,<br />
Hebraicarum literarum apud Tigurinos professori excellentissimo. Tiguri, apud<br />
summum templum.<br />
3<br />
GIACOMO SUSIO A RUDOLF GWALTHER<br />
(Cremona, 25 febbraio 1550)<br />
Iacobus Susius 1 Rodulpho Gwalthero S. D.<br />
Verteram biennio ante Antichristum istum tuum, quem nunc tandem ad te mitto,<br />
ex bono Latino haud bonum forsitan Italum factum. 2 Liber est profecto ab om-<br />
2 Il mercante Markus Roïst.<br />
3 Un giovane imolese il cui profilo e la cui cerchia <strong>di</strong> amici e correligionari vengono<br />
delineandosi sempre più chiaramente. Risulta immatricolato all’Università. <strong>di</strong> Basilea il 31<br />
<strong>di</strong>cembre 1542 come «Bononiensis» (cfr. Die Matrikel der Universität Basel, hg. von HANS<br />
GEORG WACKERNAGEL, Basel, Verlag der Universitätsbibliothek, II, 1956, p. 31). Da Basilea<br />
stabilì relazioni con Celio Secondo Curione, che gli affidò una lunga e interessantissima lettera<br />
a Forzio Coletto, fratello o comunque un congiunto e, come risulta dalla stessa lettera,<br />
non più che coetaneo <strong>di</strong> Andrea (ve<strong>di</strong> sopra, pp. 104-105). A Basilea, Andrea aveva avuto<br />
come compagno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> Thomas Erastus, col quale, durante il viaggio <strong>di</strong> ritorno in Italia, si<br />
fermò a Zurigo, desideroso <strong>di</strong> incontrare esponenti della Chiesa zurighese. La già citata lettera<br />
dell’11 febbraio 1545 è sottoscritta: «Vester omnium minimus frater Andreas Colettus<br />
Italus, qui fuit Tiguri circa principium Maii anno 1545 cum Thoma Lüberio Germano». Da<br />
Imola continuò a mantenere rapporti con Erastus durante il lungo soggiorno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
quest’ultimo a Bologna. Una lettera <strong>di</strong> Erastus a Oswald Myconius del 31 <strong>di</strong>cembre 1544<br />
narra avvenimenti della repressione inquisitoriale a Imola, su informazioni <strong>di</strong> una pubblica<br />
abiura date dal Coletto: «Andreas Italus au<strong>di</strong>vit» (Zurigo, Zentralbibliothek, F. 80,<br />
c. 124r).<br />
3 Zurigo, Staatsarchiv, E. II, 365a, c. 503r.<br />
1 Dopo essermi imbattuto in questa lettera, mie ulteriori ricerche, nello stesso archivio<br />
zurighese e in altri fon<strong>di</strong> documentari svizzeri, sui contatti del Susio con il mondo riformato<br />
sono risultate infruttuose. Né credo si conosca altro del Susio.<br />
2 Contrariamente a quanto annotai in LELIO SOZZINI, Opere. E<strong>di</strong>zione critica a cura <strong>di</strong><br />
ANTONIO ROTONDÒ (Stu<strong>di</strong> e testi per la storia religiosa del Cinquecento, 1), Firenze, Olschki,<br />
~ 197 ~
ANTONIO ROTONDÒ<br />
nibus tum legi, tum laudari, tum etiam amplecti <strong>di</strong>gnissimus, nec ita facile credas<br />
quam avide (ne <strong>di</strong>cam ardenter) Italus expectetur Gwaltheri Antichristus, qui, cum<br />
tuus sit filius, etiam si minus fortasse eum <strong>di</strong>gnoscere queas aliena loquentem lingua,<br />
cum tamen ita natura comparatum sit qua patres <strong>di</strong>ligant filios, non dubito<br />
quin eundem nunc quoque charum habiturus sis.<br />
Caetera cognosces e Hieronymo nostro, 3 pio sane tuique amantissimo homine,<br />
qui hasce ad te literas perferet. Te ego illud unum oro obsecroque, ut una cum<br />
Hieronymo nostro conficias cum typographis desque operam ut Italus Italiam protinus<br />
revisat. Quicquid ad hanc rem attinet eidem iniungere poteris; brevi namque<br />
in Italiam est reversurus. Reliquum est ut me in amicorum tuorum numerum ad-<br />
1986, pp. 47, 199, il testo latino del libro <strong>di</strong> Gwalther (Antichristus. Id est homiliae quinque,<br />
quibus Romanum Pontificem verum et magnum illum Antichristum esse probatur, quem prophetarum,<br />
Christi et apostolorum oracula venturum et cavendum prae<strong>di</strong>xerunt, Tiguri, Froscoverus, 1546) è<br />
dello stesso anno dell’e<strong>di</strong>zione in tedesco. Immancabilmente, il Vergerio era già al corrente<br />
della traduzione del Susio, come risulta da quanto egli stesso scrive in Il catalogo de’ libri li<br />
quali nuovamente nell’anno 1549 sono stati condannati da Giovanni della Casa et d’alcuni frati, [Poschiavo,<br />
Dolfin Landolfi], 1549, p. D6r-v: «Dicono così: <strong>di</strong> Rodolfo Gualtero Antichristus,<br />
et un pezzo dopo <strong>di</strong>cono: <strong>di</strong> Ridolpho Gualtero Homiliae quinque, et sono tutto uno, il titolo<br />
dell’opera <strong>di</strong>ce Rodolphi Gualtherij Anitchristus Homiliae quinque. Debbo creder, che<br />
essi non l’habbino veduto, et che condannino a occhi serrati, overo <strong>di</strong>ciamo, che essi lo<br />
hanno molto ben letto, et havendo veduto, che egli è uno dei più terribili libri, che sia stato<br />
scritto contra il Papato lo hanno voluto nominare, condannare et scommunicare due volte in<br />
una sola. Ma il peggio per loro è, che egli è stato tradotto in volgare, et tosto sarà veduto in<br />
pubblico, et sentirete un’artigliaria, che importa» (in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Silvano Cavazza, che ringrazio).<br />
Per la proibizione del libro <strong>di</strong> Gwalther secondo il Catalogo veneziano del Della Casa<br />
ve<strong>di</strong> FRANZ HEINRICH REUSCH, Die In<strong>di</strong>ces librorum prohibitorum des sechzehnten Jahrhunderts,<br />
Tübingen, H. Laupp, 1886, pp. 139-140.<br />
3 Non può essere il noto esule vicentino Girolamo Massari, fuggito dal convento cremonese<br />
<strong>di</strong> San Pietro non prima della fine d’agosto del 1550 (cfr. FEDERICO CHABOD, Per la<br />
storia religiosa dello Stato <strong>di</strong> Milano durante il dominio <strong>di</strong> Carlo V. Note e documenti. Seconda e<strong>di</strong>zione<br />
a cura <strong>di</strong> ERNESTO SESTAN, Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea,<br />
1962, p. 168). Sappiamo, invece, che già da tempo era in relazione con Pietro Perna<br />
il me<strong>di</strong>co e libraio Girolamo Donzellini (negli atti del processo: «Donzellino degli orci»).<br />
In una lettera in<strong>di</strong>rizzatagli dal Perna da Basilea, il 13 novembre 1550, si legge l’oscura<br />
espressione: «... e brevemente, non è in essere altro che quello che da me hebbe il Susio»,<br />
con probabile riferimento a pendenze per la fornitura <strong>di</strong> opere me<strong>di</strong>che (cfr. LEANDRO PERI-<br />
NI, Note e documenti su Pietro Perna libraio-tipografo a Basilea, «Nuova rivista storica», L, 1966,<br />
p. 58). Il Susio che compare come me<strong>di</strong>co nel processo veneziano del Donzellini è stato<br />
identificato dal Perini con Giovanni Battista Susio, me<strong>di</strong>co del patriarca <strong>di</strong> Venezia Giovanni<br />
Grimani, inquisito e assolto a Roma nell’agosto del 1550 (Cfr. PIO PASCHINI, Tre ricerche<br />
sulla storia della Chiesa nel Cinquecento, Roma, E<strong>di</strong>zioni liturgiche, 1945, p. 137). Poiché non<br />
c’è ragione <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare questa identificazione, almeno fino a quando non risulterà che me<strong>di</strong>co<br />
era anche il corrispondente del Gwalther e traduttore dell’Antichristus, restano congetturali<br />
tanto l’interessamento del Donzellini alla stampa della traduzione quanto la stampa da<br />
parte del Perna.<br />
~ 198 ~
II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />
scribere pro tua humanitate velis; te enim iam<strong>di</strong>u non solum <strong>di</strong>ligo, sed etiam multum<br />
colo observoque.<br />
Hic fideles omnes te plurimum salutant in Domino precesque istarum ecclesiarum<br />
magnopere pro se desiderant. Vale.<br />
Cremonae, quinto calendas Martias, MDL.<br />
~ 199 ~