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Documento - Scuola Superiore di Studi Storici, Geografici ...

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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />

grazia («gratiae oblivio»). Intenzione del libellista è <strong>di</strong> esaltare e inculcare<br />

il principio della giustificazione per la sola fede. Ma evidentemente la<br />

forma prescelta non è quella dell’esaltazione assertiva. Né quanti in Italia<br />

leggevano e <strong>di</strong>ffondevano il libello ritenevano che funzione e pregio dello<br />

scritto consistessero in una semplice riproposta della giustificazione per<br />

fede. Per lettori che già contrapponevano la fede alle opere e per lettori<br />

ancora alla ricerca d’una soluzione meno esitante del problema, l’efficacia<br />

persuasiva del libello consisteva nell’evidenza con cui vi era dedotta dall’abbandono<br />

della fede l’intero processo <strong>di</strong> capovolgimento del messaggio<br />

cristiano, qui scan<strong>di</strong>to nelle varie fasi, sapientemente annodate l’una all’altra,<br />

della perversione dottrinale e della corruzione del costume. La <strong>di</strong>menticanza<br />

della grazia, cioè lo smarrimento della fede nella giustificazione<br />

per i meriti <strong>di</strong> Cristo, ha generato la convinzione della necessità e vali<strong>di</strong>tà<br />

<strong>di</strong> opere satisfatorie («Diffidentia autem genuit satisfactionem»). E<br />

così ha preso avvio, con l’istituzione della pratica sacrificale («Satisfactio<br />

autem genuit sacrificium. Sacrificium autem genuit sacerdotem ex unctione<br />

sacerdotii»), la progressiva costruzione d’un e<strong>di</strong>ficio nel quale l’offerta<br />

venale <strong>di</strong> surrettizi mezzi <strong>di</strong> salvezza ha costituito la base dell’accumulo<br />

<strong>di</strong> potenza e <strong>di</strong> ricchezze. Era nient’altro che una sequenza scheletrica<br />

degli argomenti essenziali della teologia <strong>di</strong> Lutero e della Riforma<br />

in generale.<br />

Verso la fine degli anni Quaranta, lettori italiani <strong>di</strong> scritti così efficacemente<br />

compen<strong>di</strong>osi avrebbero compreso più facilmente perché Francesco<br />

Negri chiamava il libero arbitrio una «trage<strong>di</strong>a». Ma, agli inizi dello<br />

stesso decennio, una ra<strong>di</strong>cale condanna della Chiesa come proliferazione<br />

<strong>di</strong> un’originaria astuzia <strong>di</strong> Satana era una deduzione ancora niente affatto<br />

ovvia e necessaria tra quei larghi strati <strong>di</strong> lettori italiani ai quali pure la<br />

lettura del Liber generationis Antichristi sembrava proponibile. Notoriamente,<br />

nozioni come giustificazione, opere, fede, meriti, libero arbitrio<br />

erano già da tempo al centro delle preoccupazioni religiose <strong>di</strong> uomini e<br />

donne <strong>di</strong> tutti gli strati della società italiana: in alto, così al centro delle<br />

conversazioni nelle corti come al centro delle aspettative <strong>di</strong> quei prelati,<br />

chierici e pii umanisti che, ad esempio, guardavano con interesse allo<br />

svolgimento e agli esiti dei colloqui <strong>di</strong> Ratisbona; in basso, persino al<br />

centro delle or<strong>di</strong>narie conversazioni delle donnette nei lavatoi pubblici e<br />

dei frequentatori dei mercati – secondo una arcinota informazione lasciata<br />

da un preoccupato testimone del tempo. Non mancano testimonianze<br />

che, all’interno stesso <strong>di</strong> questa concor<strong>di</strong>a nell’esaltazione del primato<br />

della fede o, più decisamente, dell’unicità della fede giustificante, una<br />

consapevolezza non generica <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzioni e <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> orientamenti già<br />

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