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Documento - Scuola Superiore di Studi Storici, Geografici ...

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ANTONIO ROTONDÒ<br />

to al controllo e all’approfon<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> esso me<strong>di</strong>ante il ricorso all’interpretazione<br />

<strong>di</strong> Erasmo. Il documento non consente <strong>di</strong> andare oltre; ma<br />

quel che se ne deduce non è poco: in situazioni <strong>di</strong> promiscuità sociale e<br />

culturale, a Bologna come altrove, i «mercanti et gente bassa» <strong>di</strong> cui parlava<br />

il Bianchini tentavano <strong>di</strong> dare fondamenti culturali alla loro riflessione<br />

religiosa; sia pure in forma <strong>di</strong> un’esigenza cui si opponevano le limitazioni<br />

culturali proprie dell’appartenenza a strati sociali «senza latino», il<br />

controllo critico del testo spingeva al <strong>di</strong> là dell’assunzione della semplice<br />

formula «sola Scriptura»; e la lettura delle vite dei santi (ma il Rinal<strong>di</strong><br />

non <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> quale libro si trattasse), 190 condotta alla luce della ferma convinzione<br />

dell’unicità del ricorso a Cristo, significava quanto meno un<br />

embrione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffidenza critica sulla letteratura agiografica, secondo il suggerimento<br />

dato a Marforio dall’umanista Curione. Gli inquisitori (e non<br />

<strong>di</strong> rado, in passato, gli storici) registravano come qualcosa tra l’avventato<br />

e lo stravagante le asserzioni <strong>di</strong>ssonanti dall’ortodossia <strong>di</strong> queste «gente<br />

basse et plebeie» – in<strong>di</strong>fferenti ai processi attraverso i quali idee contrarie<br />

alla norma si ra<strong>di</strong>cavano nelle loro menti. In realtà, ogni volta che il documento<br />

inquisitorio offre il varco alla possibilità <strong>di</strong> analisi non succube<br />

degli schemi e delle formulazioni giu<strong>di</strong>ziarie, è possibile intravedere processi<br />

<strong>di</strong> mutazione religiosa e culturale non <strong>di</strong>ssimili da quello descritto<br />

dal Curione. Come Marforio, il Rinal<strong>di</strong> e gli uomini della sua cerchia,<br />

acquisita la certezza dell’unicità della fede giustificante, non si arrestarono<br />

più. Dalla <strong>di</strong>scussione particolarmente insistente sull’inanità <strong>di</strong> pratiche<br />

devote («super veneratione Virginis et sanctorum, super precibus illis<br />

porrigen<strong>di</strong>s ... super imaginibus») i loro <strong>di</strong>scorsi si estesero progressivamente<br />

ad argomenti come la predestinazione, il libero arbitrio, il rapporto<br />

tra fede e opere; poi, si mutarono in denuncia della realtà ecclesiastica:<br />

denuncia delle ricchezze della Chiesa e dei mezzi con cui essa se le procacciava<br />

(purgatorio, indulgenze), dei voti monastici, del celibato del<br />

clero, dell’autorità dei concili. 191 Era un passaggio non facile dalle idee alla<br />

realtà, cioè dalla riflessione su principi teologici nuovi, o riproposti e<br />

sentiti come nuovi, a una denuncia della realtà ecclesiastica motivata <strong>di</strong>-<br />

190 Bologna, Biblioteca Comunale (Archiginnasio), Ms. B. 1927, c. 1r.<br />

191 Ibid., cc. 1v-2r: «... allocutus fuit super praedestinatione, super libero arbitrio, super<br />

veneratione Virginis et sanctorum, super precibus illis porrigen<strong>di</strong>s, super conciliis, super fide<br />

et operibus, super imaginibus, super votis, super caelibatu praesbiterorum, super <strong>di</strong>vitiis ecclesiae,<br />

de indulgentiis, de purgatorio» (ve<strong>di</strong> p. 278; cfr. MASSIMO FIRPO, DARIO MARCATTO,<br />

Il processo inquisitoriale del car<strong>di</strong>nal Giovanni Morone cit., IV, p. 466).<br />

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