Documento - Scuola Superiore di Studi Storici, Geografici ...
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ANTONIO ROTONDÒ<br />
<strong>di</strong> sconfitta, era costretto chi, come la Caran<strong>di</strong>ni, per quarant’anni era<br />
vissuta nell’atmosfera <strong>di</strong> due delle famiglie modenesi maggiormente caratterizzate<br />
in senso eterodosso, i Castelvetro e i Caran<strong>di</strong>ni. Il documento<br />
non lascia dubbi sul fatto che vi fosse fra il gesuita e la gentildonna una<br />
consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> conversazioni confidenti. E ciò spiega che la Caran<strong>di</strong>ni<br />
presupponesse nel gesuita una possibile concor<strong>di</strong>a sulla <strong>di</strong>stinzione tra il<br />
sentire «interiormente» e il comportamento esteriore: un coinvolgimento<br />
che il gesuita respinse senza indugi. Alle sue argomentazioni in contrario<br />
la Caran<strong>di</strong>ni recisamente «rispose che pensava essere vero quello che lei<br />
intendeva, et non altro». Tuttavia, incitò il gesuita a non scandalizzarsi<br />
perché, dopo tutto – <strong>di</strong>ceva – «si confessava et comunicava et che portava<br />
la corona et le medaglie benedette». C’è una forte, ma anche amara e<br />
ironica presunzione della propria superiorità interiore nelle parole con<br />
cui la gentildonna, mostrando corona e medaglie, chiuse la conversazione:<br />
«Vedete se credo al papa, ché porto la corona; se non li credessi, non<br />
la portarei». In calce alla sua relazione il Bonfi volle aggiungere, forse per<br />
prudenza, che dal colloquio <strong>di</strong> «quel giorno» aveva dedotto che la Caran<strong>di</strong>ni<br />
era «heretica marcia».<br />
7. Variazioni sul tema: Curione e Biandrata<br />
Nelle ricerche sulla propaganda religiosa del Cinquecento niente deve<br />
sorprendere. Non sorprende, perciò, che l’approfon<strong>di</strong>mento delle ricerche<br />
su una copia manoscritta del Liber generationis Antichristi, rinvenuta<br />
quasi casualmente – com’è accaduto a chi scrive – in un fondo archivistico<br />
marginale, porti alla scoperta che si trattava d’un libello ritenuto degno<br />
d’essere ripreso e <strong>di</strong>vulgato, ottant’anni dopo, come un messaggio<br />
esplicativo delle origini della Riforma nella ricorrenza del suo primo<br />
centenario. Fu precisamente con questo intento che nel 1618 lo fece ristampare<br />
tale «Theophilus de Seelan<strong>di</strong>a Antiquarius» (visibilmente uno<br />
pseudonimo), corredandolo per l’occasione anche d’una piccola appen<strong>di</strong>ce<br />
<strong>di</strong> tre <strong>di</strong>stici, che compongono un violento pasquillo sull’origine dei<br />
gesuiti («Partus jesuitarum verus»). 341 Con l’aggiunta finale d’una sola pro-<br />
341 Fu stampato, come foglio volante, in almeno due forme <strong>di</strong>verse: Genealogia vera Antichristi<br />
quam pro appen<strong>di</strong>ce Iubilaei Evangelici Christiano-Lutherani in gratiam Lojolitarum, quos Jesuitas<br />
vocant, ex mss. veteri restituit Theophilus de Seelan<strong>di</strong>a Antiquarius, excusa MDCXIIX. Se<br />
ne conserva un esemplare alla Herzog August Bibliothek <strong>di</strong> Wolfenbüttel, segnatura: 38. 25,<br />
Aug. 2 o , c. 291 in<strong>di</strong>catomi da Paolo Bal<strong>di</strong>. Lo stesso Theophilus ne promosse la stampa in<br />
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