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Documento - Scuola Superiore di Studi Storici, Geografici ...

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ANTONIO ROTONDÒ<br />

ambiente significativi – un’analisi della <strong>di</strong>versa ampiezza con cui la metafora<br />

dell’Anticristo veniva applicata alla realtà ecclesiastica e, <strong>di</strong> riflesso e<br />

spesso esplicitamente, alla società che vi si modellava. Sostituire, come è<br />

stato proposto recentemente, questa analisi con l’assunzione d’un generico<br />

criterio «della persecuzione e della sofferenza» in base al quale «delimitare<br />

l’area della Riforma», significa proporre un’evasiva stravaganza metodologica.<br />

7<br />

Ma intanto Cremona, U<strong>di</strong>ne, Brescia, Modena ... non erano Zurigo.<br />

Qui, <strong>di</strong> fronte all’offensiva del concilio, una chiesa teologicamente autorevole,<br />

dalle strutture ormai solide e dai contenuti dottrinali peculiarissimi,<br />

poteva apprestarsi valide <strong>di</strong>fese solo me<strong>di</strong>ante una chiara messa a<br />

punto delle ragioni <strong>di</strong> principio che l’avevano spinta a <strong>di</strong>ssociazioni irreversibili.<br />

Era un’urgenza che, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> Zurigo, investiva tutte le nuove<br />

realtà ecclesiastiche emerse dalla rivolta contro Roma, e ancor più dove<br />

la complessità della situazione e delle pressioni politiche poneva il problema<br />

della partecipazione al concilio. A Wittenberg, a questa urgenza si<br />

rispose con la Confessio Saxonica: un documento che Melantone, che lo<br />

scrisse, e gli esponenti <strong>di</strong> tutte le Chiese sassoni, che lo sottoscrissero,<br />

vollero privo <strong>di</strong> ogni esitazione nella riconferma intransigente della vali<strong>di</strong>tà<br />

del proprio patrimonio dottrinale, e solenne nel <strong>di</strong>chiarare, più che<br />

<strong>di</strong> fronte al concilio <strong>di</strong> fronte alla posterità, le ragioni dello strappo proclamato<br />

ormai come definitivo («Necesse est nos etiam ad posteros relinquere<br />

publica testimonia [...], ne posteritas de nobis secus iu<strong>di</strong>cet»); ma<br />

anche documento nel quale è solo apparentemente sorprendente il fatto<br />

che, a soli sei anni dall’ultima e più violenta raffigurazione della Chiesa<br />

romana come incarnazione dell’Anticristo pubblicata da Lutero, vi fossero<br />

abbandonati le figurazioni e i toni apocalittici che avevano predominato<br />

nella pubblicistica antiromana del trentennio precedente. A Zurigo,<br />

7 Mi riferisco a quanto si legge in SILVANA SEIDEL MENCHI, Erasmo in Italia, 1520-1580,<br />

Torino, Bollati Boringhieri, 1987, p. 23. Su questo libro dovrò tornare altrove, prevalentemente<br />

attraverso confronto tra la documentazione già a mia conoscenza e le conclusioni che<br />

ne sono state tratte. Quanto alla «sofferenza», in base alla quale si dovrebbe «delimitare l’area<br />

della Riforma», sarà opportuno ricordare che né il raffinato protonotario apostolico Pietro<br />

Carnesecchi – che all’alba del 1 o ottobre 1567 un osservatore fededegno vide presentarsi all’appuntamento<br />

del rogo «tutto attillato, con la camicia bianca, con un par <strong>di</strong> guanti e una<br />

pezzuola bianca in mano» – né quegli anabattisti veneti che preferivano rimanere nelle carceri<br />

veneziane per farvi propaganda delle loro dottrine tra gli altri detenuti, né Domenico<br />

Scandella detto Menocchio (e, ovviamente, neppure Silvio Pellico e Antonio Gramsci ...)<br />

chiedono agli storici <strong>di</strong> risolvere l’interpretazione delle loro vicende in termini <strong>di</strong> «sofferenza»:<br />

insomma, questa non è storia alla quale si possa guardare come a un deposito <strong>di</strong> vicende<br />

personali e <strong>di</strong> eventi sui quali esercitare un poco pu<strong>di</strong>co gusto del patetico.<br />

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