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Documento - Scuola Superiore di Studi Storici, Geografici ...

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II - ANTICRISTO E CHIESA ROMANA<br />

prima alla Staggia e attraverso la lettura, <strong>di</strong>retta o in<strong>di</strong>retta, <strong>di</strong> scritti dell’Ochino<br />

e del Vermigli, la cui <strong>di</strong>ffusione era partita proprio da quel circolo<br />

ancora oggi più celebre che realmente noto. Nel 1568 (e negli anni<br />

vicini al 1568), tra i modenesi processati come «vehementer suspecti» o<br />

che si affollarono nel vescovado per abiurare spontaneamente, quanti tacquero<br />

d’aver creduto, in un passato più o meno lontano, che la Chiesa<br />

romana incarnasse l’Anticristo? E quanti quelli che, come fece il Gandolfi,<br />

derubricarono il loro reato d’opinione me<strong>di</strong>ante un consapevole spostamento<br />

<strong>di</strong> significato d’una nozione come quella <strong>di</strong> Anticristo, che la<br />

propaganda delle nuove idee aveva caricato <strong>di</strong> sensi ben più eversivi <strong>di</strong><br />

quello corrente attraverso le stampe «gioachimitiche» in volgare, in pre<strong>di</strong>che,<br />

pronostici e profezie? Se ho visto bene, tra quanti abiurarono<br />

spontaneamente, soltanto uno, il mercante Giulio <strong>di</strong> Giovanni Antonio<br />

Abbati, confessò d’aver «tenuto et creduto il papa essere Antichristo et<br />

non havere alcuna authorità nella chiesa universale»; 306 e tra i processati<br />

come «vehementer suspecti», soltanto pochi altri, oltre il Barbieri, fornirono<br />

agli inquisitori qualche laconica informazione sull’insistenza e sui<br />

mo<strong>di</strong> con cui il tema dell’equivalenza tra Anticristo e Chiesa romana era<br />

tornato in tutto quell’intreccio <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussioni e <strong>di</strong> letture che per più<br />

d’un trentennio avevano avuto come loro sfondo le case private, la piazza<br />

e le botteghe. Nel complesso, in ambedue i tipi <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>menti, le<br />

reticenze degli inquisiti mirarono a frapporre uno spesso schermo tra loro<br />

e un passato che li aveva visti coinvolti in una condanna globale dell’istituzione<br />

ecclesiastica. E tuttavia non si tratta d’uno schermo impenetrabile.<br />

Bisogna risalire agli anni anteriori al 1568 e alla relativa documentazione.<br />

Da essa risulta che l’inquisizione modenese s’era trovata ben presto<br />

<strong>di</strong> fronte alla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> idee che negavano ra<strong>di</strong>calmente tutti i fondamenti<br />

dell’istituzione ecclesiastica. Quando nel settembre del 1555 venne<br />

convocato dal vescovo Egi<strong>di</strong>o Foscarari, lo stampatore bresciano Giovanni<br />

Giacomo Tabita già da sette anni era convinto che la chiesa invisibile<br />

dei predestinati fosse la sola vera chiesa. 307 Anche nel caso del Tabita,<br />

la forte contrapposizione tra la chiesa invisibile e quella romana considerata<br />

«synagoga <strong>di</strong>aboli», fa riferimento a fonti <strong>di</strong>chiarate: fra le altre, come<br />

306 Modena, Archivio <strong>di</strong> Stato, Fondo Inquisizione, busta 4, Processi 1566-1568, «Liber<br />

decimus», processo Giulio Abbati, costituto del 28 marzo 1568.<br />

307 Ibid., busta 3, Processi 1550-1565, «Liber sextus», cc. 155r-158r, De abiuratione Io.<br />

Iacobi Tabitae Brixiensis. Il suo nome risulta annotato nei cit. Excerpta ex libro Domini Episcopi<br />

Foscararii, c. 3v: «Giovanni Iacobo da Bressa stampatore».<br />

~ 157 ~

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