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Per una retorica del cibo nella poesia comicorealistica

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GIUSEPPE CRIMI<br />

<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong><br />

comico-realistica fra Tre e Quattrocento*<br />

All’interno di un’analisi più generale, Franco Suitner constatava come <strong>nella</strong><br />

<strong>poesia</strong> giocosa e satirica <strong>del</strong> periodo dei comuni non vi fosse, singolarmente,<br />

spazio per il <strong>cibo</strong> 1 ; per quanto riguarda il Quattrocento, invece, mancano studi<br />

complessi mirati a rilevare la presenza <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> nei testi in versi (escludendo gli<br />

interventi sul Morgante). Se sfogliamo le antologie in cui il <strong>cibo</strong> compare (in<br />

genere connesso ai banchetti e alla convivialità), i testi in versi sono quasi <strong>del</strong><br />

tutto assenti: il tema sembrerebbe prerogativa <strong>del</strong>la novellistica e non <strong>del</strong>la <strong>poesia</strong><br />

2 .<br />

Varrà la pena ricordare come <strong>nella</strong> letteratura classica, comica e non, il <strong>cibo</strong><br />

avesse <strong>una</strong> rilevanza notevole, anche nei testi in versi 3 ; nell’epoca mediolatina,<br />

al di là <strong>del</strong>la frequenza <strong>del</strong>le metafore alimentari, si insisteva prevalentemente<br />

sulla figura <strong>del</strong> cuoco, sulle descrizioni <strong>del</strong>la cucina, si dava vita, insomma, ad<br />

un umorismo culinario derivato soprattutto dalla commedia romana 4 . Se consi-<br />

* Devo segnalare la presenza di un intervento orale di A. J. GRIECO, La <strong>poesia</strong> e i codici<br />

alimentari tra Due e Trecento, di cui non sono riuscito a rintracciare il testo scritto (è citato in<br />

Codici <strong>del</strong> gusto, a cura di M. G. Profeti, Milano, Franco Angeli, 1992, p. 7).<br />

1 F. SUITNER, La <strong>poesia</strong> satirica e giocosa nell’età dei comuni, Padova, Antenore, 1983,<br />

p. 107.<br />

2 Cfr. M. MONTANARI, Convivio. Storia e cultura dei piaceri a tavola. Dall’antichità al<br />

Medioevo, Bari, Laterza, 1989, passim. Si veda a titolo puramente esemplificativo il volumetto<br />

Le più belle pagine <strong>del</strong>la letteratura su Ghiotti Buongustai Digi<strong>una</strong>tori, Roma, Edizioni<br />

e/o, 1992, nel quale sono inseriti l’episodio dantesco <strong>del</strong> conte Ugolino e il Credo di Margutte.<br />

3 Cfr. E. GOWERS, La pazza tavola. Il <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> letteratura latina (1993), Torino, Società<br />

Editrice Internazionale, 1996, passim.<br />

4 Cfr. E. R. CURTIUS, Letteratura europea e Medio Evo Latino, a cura di R. Antonelli,<br />

Firenze, La Nuova Italia, 19952 , pp. 481-84.<br />

65


Giuseppe Crimi<br />

deriamo i temi affrontati nei Carmina burana, al vino sono riservate maggiori<br />

attenzioni rispetto al <strong>cibo</strong>; e infine, neanche nell’ambito trobadorico il <strong>cibo</strong><br />

compariva troppo apertamente 5 .<br />

Ciò premesso, procederò abbozzando <strong>una</strong> breve rassegna e <strong>una</strong> casistica, da<br />

ampliare e approfondire, sull’uso <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica tra il<br />

XIV e il XV secolo, con qualche incursione <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> morale. Cercherò quindi<br />

di illustrare topoi e riprese di temi nei quali compaia esclusivamente il <strong>cibo</strong><br />

(non introdotto necessariamente in tutti i testi che parlano, ad esempio, di gola o<br />

di conviti) 6 .<br />

Uno tra i motivi per cui il <strong>cibo</strong> non attecchisce troppo <strong>nella</strong> nostra <strong>poesia</strong>,<br />

almeno all’inizio, al di là dei gusti personali di ciascun autore, è sicuramente da<br />

ricercare <strong>nella</strong> predilezione per i topoi <strong>del</strong>la fame e <strong>del</strong>la miseria con i quali il<br />

poeta filtrava la propria esperienza (pensiamo ai sonetti di Cecco Angiolieri) 7 .<br />

In secondo luogo <strong>nella</strong> nostra <strong>poesia</strong> giocosa, per via degli antecedenti mediolatini,<br />

ha <strong>una</strong> certa rilevanza il tema <strong>del</strong> vino. È comunque da escludere che il<br />

silenzio sul tema possa essere stato provocato dal fatto che la gola, <strong>nella</strong> cultura<br />

cristiana, fosse annoverata tra i vizi 8 .<br />

Ricordiamo, pur non trattandosi di casi che premono al nostro discorso, che<br />

il <strong>cibo</strong> può essere inserito nel contesto comico come modo di dire (ovviamente<br />

non si tratta di <strong>una</strong> peculiarità <strong>del</strong>la <strong>poesia</strong>): «Chi de l’altrui farina fa lasagne, /<br />

il su’ castel non ha muro né fosso; / di senno, al mio parer, è vie più grosso, /<br />

che se comprasse noci per castagne» 9 , «siché si trova poche / persone che se non<br />

con vernacciuola / conoschin la treggea dalla gragnuola» 10 , «Ma or, che’e mar-<br />

5 Cfr. S. THIOLIER-MEJEAN, Les poésies satiriques et morales des troubadours du XII e siècle<br />

à la fin du XIII e siècle, Paris, Nizet, 1978, pp. 428-43.<br />

6 Premetto fin d’ora che tralascerò l’uso particolare <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> nel Burchiello e nei burchielleschi:<br />

mi riferisco soprattutto alle metafore più o meno ardue, che richiederebbero uno<br />

studio mirato (ad esempio i meloni e i maccheroni indicano persone sciocche, oppure le frittelle<br />

le sciocchezze, etc.), e alle personificazioni.<br />

7 Cfr. F. ALFIAN, ‘I’ son sì magro che quasi traluco’: Inspiration and Indebtedness among<br />

Cecco Angiolieri, Meo Dei Tolomei and Il Burchiello, in «Italian Quarterly», 35, 1998, pp. 5-<br />

28 e P. CAMPORESI, Il paese <strong>del</strong>la fame, Milano, Garzanti, 2000, in part. pp. 139-205. Ora in<br />

part. si veda P. ORVIETO – L. BRESTOLINI, La <strong>poesia</strong> comico-realistica dalle origini al<br />

Cinquecento, Roma, Carocci, 2000, pp. 127-42.<br />

8 Cfr. C. CASAGRANDE – S. VECCHIO, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo,<br />

Torino, Einaudi, 2000, pp. 124-48 e V. COCOZZA, La <strong>retorica</strong> e il <strong>cibo</strong>. La folle sineddoche,<br />

Firenze, Alinea, 1997, pp. 76-78.<br />

9 C. ANGIOLIERI, Le rime, a cura di A. Lanza, Roma, Archivio Guido Izzi, 1990, Sonetti<br />

di dubbia attribuzione, 5, vv. 1-4, p. 236. Il significato <strong>del</strong> primo verso è il seguente «Colui<br />

che per le cose proprie fa ciecamente assegno sugli altri» (Marti).<br />

10 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, edizione critica <strong>del</strong>la vulgata quattrocentesca, a cura di M.<br />

Zaccarello, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2000, XXXII, vv. 15-17, p. 30. Una<br />

66


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

zapan tornan frittelle» 11 , «Ambroso dice: Io n’ho gran dispiacere / Nel grasso<br />

macro stai come el rognone» 12 e altri numerosi esempi. Cibarie come la fava, la<br />

castagna, il fico, la nespola, il lupino possono spesso comparire per indicare un<br />

nonnulla (il contatto con i cantari è fondamentale). È piuttosto diffuso, inoltre, il<br />

senso metaforico, con valore erotico, da attribuire a un gran numero di cibi,<br />

aspetto sul quale ci si è soffermati a sufficienza 13 .<br />

Possiamo incontrare altri casi nei quali il <strong>cibo</strong> descrive la condizione esistenziale<br />

<strong>del</strong>l’uomo. Il celebre sonetto di Cecco Angiolieri Quando Ner Picciolin<br />

spiegazione di questa coda è stata fornita dallo stesso editore in La dimensione vernacolare<br />

nel lessico dei Sonetti di Burchiello, in «Cuadernos de Filología Italiana», 3, 1996, pp. 213-<br />

14: il senso dovrebbe essere «poche persone apprezzano la differenza fra <strong>cibo</strong> conservato e<br />

zuppa se non vi si accompagna un buon vino».<br />

11 Cfr. B. BELLINCIONI, Le rime, riscontrate sui manoscritti emendate e annotate da P.<br />

Fanfani, parte II, Bologna, Romagnoli, 1968 2 , LXXIX, v. 3, p. 85 e spiegazione: «Ora che il<br />

buono si converte in roba non gustosa e rozza». Si veda anche B. BONICHI, Mentisti, mondo,<br />

ch’i’ t’ho conosciuto, vv. 1-3, in Rimatori <strong>del</strong> Trecento, a cura di G. Corsi, Torino, UTET,<br />

1980 2 , p. 670: «Mentisti, mondo, ch’i’ t’ho conosciuto, / e più mangiar non vuo’ de’ tuo confetti<br />

/ perché son dentro lordi e di fuor netti».<br />

12 BELLINCIONI, Le rime, cit., parte II, XII, vv. 5-6, p. 14 e spiegazione «Tu, come l’arnione,<br />

ti conservi magro stando tra ’l grasso. Vivi a stento, stando in mezzo alla lautezza <strong>del</strong>la<br />

corte. Qui si parla di quel solito tesoriere <strong>del</strong> Duca» (la stessa espressione è usata in XXXV,<br />

vv. 9-11, p. 40). Non è raro trovare il <strong>cibo</strong> all’interno <strong>del</strong>le similitudini: si vedano i versi 12-<br />

14 <strong>del</strong> sonetto Così potrei viver senz’amore <strong>del</strong>l’Angiolieri «e sed e’ fosse [Amore] più<br />

che fèle, / con l’umiltà, ch’è vertù sì verace, / il farò dolce come cannamèle» (Le rime, cit.,<br />

XXX, p. 62).<br />

13 Cfr. V. BOGGIONE – G. CASALEGNO, Dizionario storico <strong>del</strong> lessico erotico italiano.<br />

Metafore, eufemismi, oscenità, doppi sensi, parole dotte e parole basse in otto secoli di letteratura<br />

italiana, Milano, Longanesi & C., 1996, basato in parte sul lavoro J. TOSCAN, Le carnaval<br />

du langage. Le lexique érotique des poètes de l’équivoque de Burchiello à Marino,<br />

Lille, Presse Universitaire, 1981, 4 voll. La gola era spesso posta in relazione alla lussuria:<br />

sulla fine <strong>del</strong> Duecento dovrebbe collocarsi la tenzone tra Meo Abbracciavacca e Guittone<br />

d’Arezzo (Se ’l filosofo dice: «È necessario e Necessario mangiar e bere è chiaro), incentrata<br />

sulla questione, basata sulle affermazioni dei padri <strong>del</strong>la Chiesa, se siano strettamente connessi<br />

il bere, il mangiare e la lussuria: secondo Guittone si può essere casti anche mangiando<br />

e bevendo. In altri versi si può trovare il <strong>cibo</strong> legato al sesso come nel testo –Oi bona gente,<br />

oditi et entenditi, vv. 43-50, in Rime dei memoriali bolognesi 1279-1300, a cura di S.<br />

Orlando, Torino, Einaudi, 1981, p. 7: «– Cognata mïa, zò ched eo t’ho ditto, / eo sazo ben<br />

ched ell’è mal a dire. / Ma menaròt’a casa un fantelleto, / e lui daremo ben manzare e bere, / e<br />

tu recarai <strong>del</strong> to vin bruschetto, / e’ recarò <strong>del</strong> meo plen un barile. / Quando gli avrén da’ ben<br />

manzar e bere, / zasc<strong>una</strong> faza la soa cavalcata –» o nei versi di Rustico Filippi «Su, donna<br />

Gemma, co·la farinata / e col buon vino e co·l’uova ricenti, / che la Mita per voi sia argomentata,<br />

/ ch’io veggio ben ch’ell’ha alegati i denti» (R. FILIPPI, Sonetti, a cura di P. V. Mengaldo,<br />

Torino, Einaudi, 1975, IV, vv. 1-4, p. 29).<br />

67


Giuseppe Crimi<br />

tornò di Francia mette in luce la scarsa attitudine <strong>del</strong> protagonista nel conservare<br />

le ricchezze accumulate e quindi lo stato di miseria e di disperazione in cui certamente<br />

incorrerà: «Ond’io mettere’ ’l cuor per un fiorino / che, anzi che passati<br />

sien mesi otto, / s’egli avrà pur <strong>del</strong> pan, dirà: – Bonino!» 14 . Il pane è oggetto<br />

spesso citato per esprimere la fame o la condizione misera come nel caso <strong>del</strong><br />

verso di Bellincioni «E Magi fo s’i’ veggo un pane intero» 15 o <strong>del</strong>l’attacco di<br />

Matteo Franco I’ ho mangiato tanto pan col conio 16 . Con differenti sfumature i<br />

cibi indicano altre riflessioni sulle condizioni umane: «e questo mondo è <strong>una</strong><br />

strana farsa / et ciba molti d’altro che di zuppa» 17 oppure «Così è l’uomo che non<br />

ha denari, /[…] E’ dolci pomi li paion amari» 18 . Altrove invece possono rappresentare<br />

un disagio politico-esistenziale come nei casi di Piero dei Faitinelli: «E<br />

qui me’ voglio ’l bretto castagniccio, / ’nanzi ch’altrove pan di gran calvello» 19 o<br />

<strong>del</strong> Burchiello nel sonetto Bench’io mangi a Gaeta pan di Puccio 20 (uno dei<br />

punti di partenza è certamente Pd XVII, vv. 58-59: «Tu proverai sì come sa di<br />

sale / lo pane altrui, […]») 21 . All’interno <strong>del</strong> tema <strong>del</strong>la miseria vanno annoverate<br />

anche le accuse di Cecco a Dante, nel sonetto Dante Alighier s’i’ so’ buon begolardo:<br />

«s’e’ desno con altrui, e tu vi ceni; / s’io mordo ’l grasso, tu vi sugi el<br />

lardo» (vv. 3-4) 22 . Interessante il sonetto di Francesco Tedaldi, Sommi nutrito ne<br />

la magna Francia, nel quale emerge la forte opposizione tra i cibi consumati in<br />

un momento favorevole e quelli dei quali il poeta deve ora accontentarsi:<br />

68<br />

Sommi nutrito ne la magna Francia<br />

a capi di vin buon e a capponi,<br />

fagian, conigli, pernice e pagoni<br />

e pesci buon da tener ben la pancia.<br />

Or son tornato a carne secca rancia,<br />

a vecchi infermi e a magri castroni,<br />

14 ANGIOLIERI, Le rime, cit., CVII, p. 212.<br />

15 BELLINCIONI, Le rime, cit., parte II, XCII, v. 10, p. 98.<br />

16 L. PULCI – M. FRANCO, Il “Libro dei Sonetti”, a cura di G. Dolci, Milano-Genova-<br />

Roma-Napoli, Società editrice Dante Alighieri, 1933, LX, p. 62.<br />

17 G. M. DI MEGLIO, Rime, a cura di G. Brincat, Firenze, Olschki, 1977, IX, vv. 10-11, pp.<br />

67-68.<br />

18 ANGIOLIERI, Le rime, cit., LXXXVII, vv. 1-5, p. 173.<br />

19 S’eo veggio en Lucca bella mio ritorno, vv. 9-10, in Poeti giocosi <strong>del</strong> tempo di Dante,<br />

a cura di M. Marti, Milano, Rizzoli, 1956, p. 436.<br />

20 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., CLIV, p. 152.<br />

21 Cfr. C. IPPOLITO, Il <strong>cibo</strong> e le sue metafore in Dante, in «Cultura e scuola», 124, 1992,<br />

pp. 58-65.<br />

22 ANGIOLIERI, Le rime, cit., XXIX, p. 59. Cfr. M. FRANCO, <strong>Per</strong>ché molto, Luigi, avesti a<br />

male, vv. 1-4, in L. PULCI – M. FRANCO, Il “Libro dei Sonetti”, cit., XXXII, p. 41: «<strong>Per</strong>ché<br />

molto, Luigi, avesti a male / ch’i’ ti chiamai parassito e cagnotto, / duo dì provasti a pagarti lo<br />

scotto / e condir la minestra col tuo sale» e il v. 12: «Se tu non torni a roder gli ossi a corte».


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

vin tanto beo e spesso di cerconi:<br />

quando ho <strong>del</strong> buon, mi par aver la mancia.<br />

Pur a le volte un po’ di torticina<br />

di carne fredda, di formaggio e d’ova,<br />

di quella che ci avanza la mattina.<br />

In casa nostra spezie non si truova,<br />

però non ragionar di gelatina,<br />

ché troppo ci parrebbe cosa nuova 23 .<br />

Strettamente connesso a quest’uso compare quello legato al <strong>cibo</strong> per esprimere<br />

la condizione sociale; sono esemplari i versi <strong>del</strong>la Nativitas rusticorum di<br />

Matazone da Caligano 24 : «Ora è stabilito / che deze aver per victo / lo pan de la<br />

mistura / con la zigola cruda, / faxoy, ayo e alesa fava, / paniza freda e rava»<br />

(vv. 97-102) 25 ; l’immagine è a suo modo riproposta dal Burchiello «I’ vidi presso<br />

a Parma in sun un uscio / villani scalzi cinti di vincastri / e ritti in sun un piè<br />

come pilastri, / mangiando fave sanza pan col guscio» 26 . In termini più ampi si<br />

presentano i versi di Giovanni Pigli (la «porcellana» è <strong>una</strong> verdura):<br />

Porcellane rifritte in insalata<br />

piacciono assai a questi rusticani,<br />

che d’ogni cosa mangion come cani<br />

e massime trovandosi in brigata.<br />

Un capo di castrone con l’agliata<br />

parrebbe loro istarne e fagiani,<br />

ungendosene il ceffo con le mani,<br />

perché hanno di questo gran derrata 27 .<br />

In <strong>una</strong> società fortemente gerarchizzata come quella medievale, specificare il<br />

<strong>cibo</strong> di cui ci si nutre è un’azione densa di significato. Non è casuale quindi che<br />

Cecco Nuccoli, inviando a Cucco di messer Gualfreduccio Baglioni il sonetto<br />

23 Si legge in Lirici toscani <strong>del</strong> Quattrocento, a cura di A. Lanza, 2 voll., Roma, Bulzoni,<br />

1973-75, vol. II, p. 654. Si veda inoltre il sonetto anonimo E’ mi par esser divenuto astore (in<br />

V. ROSSI, Tre sonetti burleschi di vecchi poeti tratti da antichi codici, in Miscellanea per<br />

nozze Bruno De Varra-Emma Theiss, Trento, Scotoni e Vitti, 1894, p. 10). <strong>Per</strong> opposizioni<br />

simili a quelle <strong>del</strong> Pigli cfr. il sonetto di Tommaso Baldinotti Stommi in cucina e quivi è ’l<br />

refettorio (in Rime volgari, a cura di A. Lanza, Roma, Archivio Guido Izzi, 1992, p. XXIX).<br />

24 Importanti suggerimenti si trovano in O. BAGNASCO, Note su <strong>cibo</strong> e società, in Et<br />

coquatur ponendo…cultura <strong>del</strong>la cucina in Europa tra Medioevo ed età moderna, Prato,<br />

Giunti, 1996, pp. 27-39.<br />

25 In Poeti <strong>del</strong> Duecento, a cura di G. Contini, to. I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, p. 794.<br />

26 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., LXX, vv. 1-4, p. 69.<br />

27 G. PIGLI, Porcellane rifritte in insalata, vv. 1-8, in Lirici toscani <strong>del</strong> Quattrocento, cit.,<br />

vol. II, p. 271. Con tono spregiativo sono scritti i versi di Pulci «Questi mangia-ravizze e –rave e<br />

verzi, / che ne mangia un toson per tre giganti, / tanto che son ravizze tutti quanti, / non sapranno<br />

ricever poi gli scherzi» (in Opere minori, a cura di P. Orvieto, Milano, Mursia, 1986, p. 211).<br />

69


Giuseppe Crimi<br />

Saper ti fo, Cucco, ch’io mi godo, racconti a proposito <strong>del</strong> suo stato: «E se<br />

anguille o ténche o lucci o pesce sodo / si trova in Prosa, già non vène al Ponte,<br />

/ ch’el signor nostro spende più che conte / che sia in crestentà, per quel ch’io<br />

odo» (vv. 5-8) 28 .<br />

Abbandoniamo i sensi traslati e addentriamoci in quei versi nei quali il <strong>cibo</strong><br />

è utilizzato in maniera descrittiva. Il mercato è il luogo ideale e più naturale<br />

dove trovare le cibarie: <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica esso è connesso al <strong>cibo</strong><br />

con prospettive differenti. Tra i più celebri testi spicca il resoconto di Antonio<br />

Pucci sul Mercato Vecchio di Firenze (vv. 46-63):<br />

Ancor da parte stanno i pollaiuoli<br />

forniti sempre a tutte le stagioni<br />

di lepre e di cinghiali e di cavriuoli,<br />

di fagiani e di starne e di capponi<br />

e d’altri uccelli, ch’al conte d’Isprecche<br />

si converrian, sparvieri e falconi.<br />

Sempre di più ragion vi stanno trecche:<br />

diciam di quelle con parole brutte<br />

che tutto il dì per due castagne secche<br />

garrono insieme chiamandosi putte<br />

e sempre son fornite di vantaggio,<br />

secondo il tempo, lor panier di frutte.<br />

Ed altre vendon uova con formaggio<br />

per far de gli erbolati e de torte<br />

o raviuoli o altro di paraggio.<br />

Appresso a queste son le trecche accorte<br />

che vendon camangiare e senapina<br />

e d’ogni ragion erbi, dolce e forte 29 .<br />

Il punto di vista è esterno, puramente descrittivo, differente rispetto all’esplosione<br />

<strong>del</strong> discorso diretto nei seguenti testi, nei quali il lettore è pienamente<br />

partecipe <strong>del</strong> momento in cui il <strong>cibo</strong> viene procacciato e venduto. Il primo è<br />

romagnolo mentre il secondo, attribuito a Nicola Zaccaria da Brindisi, è costituito<br />

da voci appartenenti all’area mediana:<br />

70<br />

In forma quasi tra ’l veghiar e ’l sonno<br />

Io stava stanco. De dormir disio,<br />

quando questa tempesta ci appario.<br />

28 In Poeti perugini <strong>del</strong> Trecento. I. Marino Ceccoli, Cecco Nuccoli e Altri Rimatori in<br />

Tenzone, edizione a cura di F. Mancini, con la collaborazione di L. M. Reale, <strong>Per</strong>ugia, Guerra,<br />

1996, p. 142.<br />

29 In Rimatori <strong>del</strong> Trecento, cit., pp. 872-73.


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

– O de la barca, premi e ’nvia. –<br />

– De, sta forte! –<br />

– Volgi man, guard’al tuo remo. –<br />

– Là. Qua. Mo stalli, stalli. –<br />

– Ve’ ch’i’ premo. –<br />

– Gambarelli, gambarelli –<br />

– Chi vuol pesce e sarcine secche? –<br />

– O ti, arriva, arriva. – Ell’è fatto. –<br />

– Che val l’<strong>una</strong>? –<br />

– Anco sentiva dir: – Chi vòl aceto,<br />

o chi vol acet’aceto? –<br />

E così chi comprava e chi vendea;<br />

I pur volea dormir e non potea30 .<br />

–tasta[n]do et odorando li più belli,<br />

et <strong>una</strong> voce crida: – Alli gammarielli,<br />

a l’ergantarielli argentarielli!<br />

Alle lactalini fieschi,<br />

fieschi, fieschi so’, che anche frecciano!<br />

A le telline fieschi!<br />

Tutte gicciano la lingua fore! –<br />

– Et so fieschi quessi lactalini?<br />

– Damme .ij. derrate de gamarielli!<br />

– Et so’ fieschi como dice?<br />

– A la arfusaglia dolce! –<br />

– O tu da l’uoglio, che bal lu petecto? –<br />

– Voyne cinque. –<br />

– Alle bone melangole,<br />

<strong>una</strong> a denaro: –<br />

Custa .vj. suolli lu centinaro. – 31<br />

Intorno al mercato ruota il sonetto <strong>del</strong> Burchiello in dialetto veneziano Demo<br />

a Viniesa siei cappuzi al soldo 32 , in cui si narra l’acquisto di salsicce, cipolle,<br />

pane e vino, così come nel sonetto burchiellesco di parodia dialettale Iesso la<br />

parte di duonna Mathienza 33 la situazione ambientata nel mercato consente rife-<br />

30 V. DA RIMINI, In forma quasi tra ’l veghiar e ’l sonno, vv. 1-16, in Poesie musicali <strong>del</strong><br />

Trecento, a cura di G. Corsi, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1970, p. 83. Voci di<br />

venditori di cibarie sono registrate anche nel sonetto di Pulci Chi levassi la foglia, il maglio e<br />

’l loco, v. 17 (in Il “Libro dei Sonetti”, cit., XCIII, p. 88).<br />

31 In F. A. UGOLINI, Voci di venditori in un mercato romano alla fine <strong>del</strong> Trecento, in<br />

«Contributi di Dialettologia Umbra», III/6, 1986, p. 11, vv. 5-20; per il significato dei termini<br />

rinvio allo stesso Ugolini. Corsi (in Rimatori <strong>del</strong> Trecento, cit., p. 1097) ricorda che questo<br />

tipo di componimenti nascono sull’influenza di testi francesi.<br />

32 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., XCVIII, p. 98.<br />

33 Ivi, LII, p. 49.<br />

71


Giuseppe Crimi<br />

rimenti ai cibi (come arance o ravanelli) che si potevano trovare <strong>nella</strong> Roma nel<br />

Quattrocento.<br />

In rapporto con il mercato possiamo inscrivere il sonetto <strong>del</strong> Burchiello Va in<br />

mercato, Giorgin, tien qui un grosso 34 , quello di Francesco Scambrilla, Fattor,<br />

tien qui quarantrè pilossi 35 e di Franco Baccio, tien que’ duo’ grossi, va’ via presto<br />

36 , nei quali i cibi, che il garzone di turno deve acquistare, sono descritti<br />

attraverso perifrasi argute e immagini non banali.<br />

Ancora legato al mercato è il resoconto di un pessimo acquisto:<br />

Andrea, tu mi vendesti per pollastra<br />

sabato sera <strong>una</strong> vecchia gallina<br />

ch’era degli anni più d’<strong>una</strong> trentina<br />

stata <strong>del</strong>l’altre curatrice e mastra.<br />

E non fu mai sì affamato il Calastra<br />

che mangiato avesse tal cucina,<br />

però ch’ella parria come canina<br />

e quell’omore ha in sé che ha <strong>una</strong> lastra.<br />

Volevasi mandare alla fornace<br />

e tanto far bollire ogni stagione<br />

che ammorbidasse sua carne tenace.<br />

Ma primamente il tegolo o ’l mattone<br />

o calcina sarìa stata verace,<br />

che quella mossa avesse condizione.<br />

Mangia’ne alcun boccone<br />

per fame e misi a ripentaglio i denti.<br />

<strong>Per</strong>ò fa tu che d’altro mi contenti 37 .<br />

Il sonetto ha <strong>una</strong> sua fort<strong>una</strong>: Michele di Nofri <strong>del</strong> Giogante lo rielabora in<br />

Antonio, tu mi vendesti per pollastra 38 e sua volta il tema è ripreso da<br />

34 Ivi, XCIII, p. 93.<br />

35 In Lirici toscani <strong>del</strong> Quattrocento, cit., vol. II, p. 482. I sonetti sono costruiti su di un<br />

topos che circolava dall’antichità. Si veda il testo contenuto nell’Antologia palatina, a cura di<br />

F. M. Pontani, vol. I, Libri I-V, Torino, Einaudi, 1978, V, 185, p. 210, nel quale viene fornita<br />

ad un garzone <strong>una</strong> lista <strong>del</strong>la spesa, oppure Plauto, Menaechmi, vv. 209-211: «aliquid scitamentorum<br />

de foro opsonarier / glandionidam suillam, laridum pernonidam, / aut sincipitamenta<br />

porcina aut aliquid ad eum modum». Nel sonetto bolognese <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> Trecento Se<br />

sì cresciuto fosse el fançulino, anonimo e mutilo, si invita un ragazzo a recarsi dall’ortolano<br />

per prendere <strong>del</strong>l’uva (in Rimatori bolognesi <strong>del</strong> Trecento, a cura di L. Frati, Bologna,<br />

Romagnoli – Dall’Acqua, 1915, p. 222).<br />

36 In PULCI – FRANCO, Il “Libro dei Sonetti”, cit., CXXVI, pp. 110-11.<br />

37 In Poeti <strong>del</strong> Trecento, cit., p. 353. Alla conclusione <strong>del</strong>la quinta giornata <strong>del</strong> Decameron<br />

Boccaccio ricordava l’esistenza <strong>del</strong>la canzonetta Io mi comperai un gallo <strong>del</strong>le lire cento.<br />

38 In R. RABBONI, <strong>Per</strong> un’edizione <strong>del</strong>le rime di Michele di Nofri <strong>del</strong> Giogante, in «Filologia<br />

e Critica», VI, 1981, p. 188.<br />

72


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

Alessandro Braccesi nel sonetto L’oca che mi mandasti l’ho già, al forno 39 . Il<br />

testo di Pucci possiede <strong>una</strong> sua importanza, perché la comica insistenza sulle<br />

caratteristiche negative <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> (il tipo pessimo di carne, la scarsa digeribilità)<br />

sarà impiegata abilmente nel Quattrocento, come vedremo successivamente, nei<br />

sonetti <strong>del</strong>le pessime cene e dei pessimi pranzi.<br />

Dal mercato passiamo ad un differente modo di inserire il <strong>cibo</strong> nel discorso<br />

poetico, cioè attraverso l’offerta, il dono e la presentazione. Negli Xenia,<br />

Marziale offriva cibi ai suoi uditori; <strong>nella</strong> letteratura italiana il primo poeta che<br />

si cimenta in un’operazione simile è certamente Folgore da san Gimignano, il<br />

quale presenta cibi ai suoi uditori, nelle corone dei sonetti, soprattutto nei testi<br />

relativi ai mesi di marzo, di giugno, di novembre; a luglio assistiamo all’elencazione<br />

più ampia:<br />

e man e sera mangiare in brigata<br />

di quella gelatina ismisurata,<br />

istarne arrosto e giovani fagiani,<br />

lessi capponi e capretti sovrani,<br />

e, cui piecesse, la manza e l’agliata 40 .<br />

Nei sonetti <strong>del</strong>la «semana» e in quelli dei «mesi», Folgore esprime un ideale<br />

tipicamente cortese e il dono presentato dal poeta attraverso lo schema <strong>del</strong><br />

plazer ha la funzione di allietare la brigata. Nel caso di Folgore il <strong>cibo</strong> non<br />

rappresenta soltanto un’offerta ma è elemento caratterizzante di <strong>una</strong> classe<br />

sociale: <strong>nella</strong> società medievale il <strong>cibo</strong> abbondante è segno <strong>del</strong>la nobiltà e<br />

<strong>del</strong>la potenza, ma, come detto precedentemente, il particolare <strong>cibo</strong> presentato<br />

si adatta necessariamente alla classe sociale destinataria dei versi. La scelta di<br />

Folgore è proseguita nei componimenti nei quali sono presentati, attraverso<br />

<strong>una</strong> piacevole elencazione, qualità differenti di frutti offerte all’uditore come<br />

contenute all’interno di un paniere 41 : tra questi testi i più celebri sono la canzone<br />

di Pietro Canterino, Cari signor, po’ che cenato avete 42 , quella di Benuc-<br />

39 In B. AGNOLETTI, Alessandro Braccesi. Contributo alla Storia <strong>del</strong>l’Umanesimo e <strong>del</strong>la<br />

Poesia volgare, Firenze, Stabilimento Lito-Tipografico G. Passeri, 1901, p. 74.<br />

40 Sonetti, a cura di G. Caravaggi, Torino, Einaudi, 1965, XXXI, vv. 4-8, p. 52. Dello stesso<br />

editore cfr. anche la monografia Folgore da San Gimignano, Milano, Ceschina, 1960, pp. 93-<br />

139. <strong>Per</strong> gli antecedenti degli inviti cfr. GOWERS, La pazza tavola…, cit., pp. 197-247.<br />

41 F. NOVATI (Le poesie sulla natura <strong>del</strong>le frutta e i canterini <strong>del</strong> comune di Firenze nel<br />

Trecento, in «Giornale storico <strong>del</strong>la letteratura italiana», XIX, 1892, p. 78 in n.) ricordava<br />

(sulla base <strong>del</strong>la novella CLXXV di Sacchetti) che Pucci aveva scritto un capitolo, perduto,<br />

nel quale elencava le proprietà <strong>del</strong> suo orto, nel quale trovava posto certamente anche la<br />

descrizione dei frutti.<br />

42 In Lirici toscani <strong>del</strong> Quattrocento, cit., vol. II, pp. 761-63.<br />

73


Giuseppe Crimi<br />

cio da Orvieto, O be’ signor, poi che mangiato avete 43 e, fino alla fine <strong>del</strong> XV<br />

secolo, il cosiddetto «Capitolo sulla virtù <strong>del</strong>le frutta» di Bernardo Giambullari<br />

44 . Dallo schema di componimenti affini a quelli di Pietro Canterino, alla fine<br />

<strong>del</strong> XIV secolo si originano brevi componimenti sui frutti, nei quali il frutto<br />

stesso, personificato, descrive se stesso e le proprie qualità (su questo aspetto è<br />

certa l’influenza dei regimina sanitatis <strong>del</strong>l’epoca): «Aranzo sonto de ogni<br />

tempo verde, / E fiori e fructo in mi may no se perde: / De mi se fa ranciata:<br />

ogniun lo saza / Che yo son freda e bona con la vernaza» 45 , «Nespola sonto che<br />

l’apayro l’inverno, / Quando lo richo gode e à sozorno: / E sonto fructo che<br />

sonto sazevole, / E a povera zente molto despiacevole» 46 .<br />

Anche il sonetto di Simone de’ Prodenzani Se voi sapeste la divotione, nel<br />

quale sono elencate le pietanze consumate durante le feste, rientra a suo modo<br />

nel tema <strong>del</strong>la presentazione 47 . Non dimentichiamo che cibi e vivande sono<br />

offerti, attraverso sonetti missivi, come nel caso di Bellincioni, con il sonetto Io<br />

ti mando dui pomi; e’ son granati 48 , e <strong>del</strong> Pistoia con i sonetti Io ti mando,<br />

madonna, un cestellino e Questi son fichi, ch’io ti mando in dono 49 .<br />

43 Ivi, pp. 764-65.<br />

44 B. GIAMBULLARI, Rime inedite o rare, con introduzione, note e indice generale di tutti i componimenti<br />

editi e inediti per cura di I. Marchetti, Firenze, Sansoni Antiquaria, 1955, pp. 208-14.<br />

45 F. NOVATI, Di due poesie <strong>del</strong> secolo XIV su “La natura <strong>del</strong>le frutta”. Nuove comunicazioni,<br />

in «Giornale storico <strong>del</strong>la letteratura italiana», XVIII (1891), p. 338.<br />

46 Ivi, p. 339. Testi simili nascono anche alla luce di testi appartenenti alla trattatistica:<br />

cfr. almeno M. TANAGLIA, De Agricoltura, testo inedito <strong>del</strong> secolo XV pubblicato e illustrato<br />

da A. Roncaglia, con introduzione di T. De Marinis, Bologna, Libr. Palmaverde, 1953. Nel<br />

Medioevo erano abbondanti frutta e verdura <strong>nella</strong> cena fiorentina: cfr. A. MOLINARI<br />

PRADELLI, Osterie e locande di Firenze, Roma, Newton Compton, 1982, p. 197.<br />

47 In Rime, edizione critica di F. Carboni, vol. II, Manziana, Vecchiarelli, 2003, p. 336.<br />

Da ricordare che nel banchetto offerto da Bergonzio Botta a Gian Galeazzo II Sforza, l’ordine<br />

<strong>del</strong>le portate era descritto con versi rimati (si legge in C. BENPORAT, Feste e banchetti.<br />

Convivialità italiana fra Tre e Quattrocento, Firenze, Olschki, 2001, pp. 260-65): inoltre il<br />

connubio <strong>cibo</strong>-<strong>poesia</strong> è esemplificato dal fatto che, nei banchetti nobili, alle “costruzioni” dei<br />

cibi erano uniti foglietti con versi relativi alle stesse pietanze servite (cfr. ivi, passim).<br />

48 Le rime, cit., parte I, CLXX, p. 230.<br />

49 In I sonetti faceti di Antonio Cammelli, secondo l’autografo ambrosiano editi e illustrati<br />

da E. Pércopo, Napoli, Jovene, 1908, CCXLIX, p. 289 e CCL, pp. 289-90. Si veda anche il<br />

sonetto Compar voi mi lasciasti a battezzare, nel quale tra le altre questioni si parla di formaggio<br />

da donare (in Sonetti <strong>del</strong> Burchiello <strong>del</strong> Bellincioni e di altri poeti fiorentini alla burchiellesca,<br />

Londra [ma Lucca o Livorno, s. e.], 1757, p. 210), quello di M. FRANCO Luigi, ancor non<br />

vengon que’ nocciuioli in cui si parla <strong>del</strong>l’invio di alcuni oggetti tra cui anche cibarie e la risposta<br />

di Pulci Com’io ti dissi, i’ ti mandai e’ nocciuoli (in PULCI – FRANCO, Il “Libro dei Sonetti”,<br />

cit., LXXV-LXXVI, pp. 73-74). Tommaso Baldinotti invia alcuni frutti e un cesto di pere<br />

(Mandovi certe frutte <strong>del</strong> giardino e Mandoti per presente apportatore, in T. BALDINOTTI, Rime<br />

volgari, cit., pp. XXXIV e 51-52). Nel sonetto Natura ci ha produtte al piacer vostro, le pere,<br />

inviate come dono, espongono le proprie qualità (ivi, p. XXXI), e in modo <strong>del</strong> tutto simile è<br />

composto quello di Gaspare Visconti Nespoli siamo, fructi de i bei rami (in Rime, a cura di A.<br />

Cutolo, Bologna, per i tipi <strong>del</strong>l’Antiquaria Palmaverde, 1952, p. 105).<br />

74


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

Dall’offerta all’uso <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> come strumento di corruzione e persuasione il<br />

passo è breve: già <strong>nella</strong> canzone <strong>del</strong> Castra fiorentino – siamo <strong>nella</strong> prima metà<br />

<strong>del</strong> Duecento – il protagonista cerca di ottenere i favori <strong>del</strong>la fanciulla fermana<br />

(presentata con vivande in mano), offrendole panieri di fichi e more (queste,<br />

però, usate per pulire i denti) 50 e in modo analogo si sviluppa il sonetto <strong>del</strong><br />

Fiore Que’ che vorrà campar <strong>del</strong> mi’ furore (CXXV). Se con i versi di Niccola<br />

Muscia «Giùgiale di quaresima a l’uscita, / e sùcina fra l’entrar di fevra[i]o / e<br />

mandorle novelle di gennaio / mandar vorre’ io a Lan, ch’e’ gioi compita» 51 ,<br />

siamo ancora nell’ambito amoroso, Bindo Bonichi riporta l’attenzione sul piano<br />

morale: «Chi mantener vuole amistà di frate, / conviensi che ’l saluti con la torta<br />

/ e sia <strong>del</strong> tutto l’avarizia morta / in far migliacci e cose dilicate» 52 . Più complessa<br />

è l’operazione di Adriano de’ Rossi, nel testo dall’indubbio tono morale:<br />

Il selvaggiume che viene in Fiorenza<br />

occupa molte <strong>del</strong>l’altrui ragioni:<br />

la lepre e i cavriuoli per testimoni<br />

ci vaglian più che buona coscienza,<br />

e dessi piena fede e udienza<br />

a starne quaglie, fagiani e capponi,<br />

sì ch’elli rompon le riformagioni<br />

e fanno rivocare ogni sentenza.<br />

Or non so io qual agnol Gabriello<br />

non si piegasse, veggendo la soma<br />

di frutte e di pippion per soprassello,<br />

per che la lealtà ch’ebbe già Roma<br />

al tutto è spenta, e Fabrizio e Metello<br />

e lor seguaci han bando <strong>del</strong>la chioma;<br />

e più non ci sia noma<br />

chi lascia sé per acquistar onore,<br />

ma chi peggio ci fa quelli è il migliore 53 .<br />

Dall’offerta di <strong>cibo</strong> si può passare alla richiesta. Nel sonetto Io non vorrei<br />

entrare nel pecorone, fatto a nome di Francesco da Colligrano, Franco Sacchetti<br />

chiede a ser Giovanni <strong>del</strong> Pecorone, dopo avergli promesso un cappone per il<br />

pranzo o per la cena, di spedirgli <strong>del</strong> grano per produrre farina e per preparare<br />

50 In Poeti <strong>del</strong> Duecento, cit., to. I, p. 917.<br />

51 A. BRUNI BETTARINI, Le rime di Meo dei Tolomei e di Muscia da Siena, in «Studi di<br />

filologia italiana», XXXII (1974), p. 92.<br />

52 B. BONICHI, Chi mantener vuole amistà di frate, vv. 1-4, in Rimatori <strong>del</strong> Trecento, cit.,<br />

p. 670.<br />

53 Si legge in Poeti minori <strong>del</strong> Trecento, a cura di N. Sapegno, Milano-Napoli, Ricciardi,<br />

1952, p. 422.<br />

75


Giuseppe Crimi<br />

così le lasagne che si accompagnino al cappone 54 ; oppure il Burchiello richiede<br />

<strong>del</strong> <strong>cibo</strong> insieme ad altri oggetti in Mandami un nastro da orlar bicchieri e utilizza<br />

il sonetto Da parte di Giovanni di Maffeo 55 per richiedere un cesto di funghi.<br />

In condizioni più umili si trova il Bellincioni, il quale nel sonetto El tuo<br />

cornigeron, non cornacchione 56 chiede a Gaspare Visconti un’oca per Ognissanti,<br />

in Se mai impetroron grazie i miei sonetti 57 un’oca a messer Bergonzio<br />

Botta, nel sonetto O Fiesole con Piero è ’l Bellincione richiede <strong>cibo</strong> a Lucrezia<br />

Tornabuoni per la villa dei Medici a Careggi (agli, cipolle ed insalata) 58 e in I’ fo<br />

<strong>del</strong>le pensate di fanello, inviato a Giovanni di Tommaso Ridolfi, richiede insalata<br />

59 ; analogamente il Pistoia chiede le vivande per <strong>una</strong> cena in Mandara’mi il<br />

giubon <strong>del</strong> mio somieri e Mandara’mi un piatel di gelatina 60 . Gustosa la corona<br />

di sonetti tra Simone de’ Prodenzani e un certo Pavolpietro nel quale assistiamo<br />

ad <strong>una</strong> richiesta di <strong>una</strong> tinca, seguìta da un invio di due lucci 61 .<br />

Connesso all’area <strong>del</strong>la cucina è il pucciano A far la salsa, sì com’io smiraglio<br />

e il suo rifacimento quattrocentesco A far la salsa, s’i’ bene smiraglio 62 ,<br />

testimoni di un genere che doveva circolare più ampiamente, mentre la parodia<br />

dei ricettari che si trovavano nel Trecento e nel Quattrocento è rappresentata dal<br />

54 F. SACCHETTI, Il Libro <strong>del</strong>le Rime, edited by F. Brambilla Ageno, Firenze-<strong>Per</strong>th,<br />

Olschki-University of Western Australia, 1992, CCLXXXIX, p. 446. Il cappone, come è stato<br />

esemplificato anche altrove, è pietanza che spesso indica l’abbondanza: cfr. Brunetto Latini,<br />

Tesoretto, vv. 1471-1486: «E ho viste persone / ch’a comperar capone, / pernice e grosso<br />

pesce, / lo spender no·lli ’ncresce, / ché, come vol sien cari, / pur trovinsi i danari; / sì pagan<br />

mantenente / e credon che la gente / lili ponga in llarghezza. / ma bene è gran vilezza / ingolar<br />

tanta cosa / che già fare non osa / conviti né presenti, / ma colli suoi propî denti / mangia e<br />

divora tutto: / ecco costume brutto!» (in Poeti <strong>del</strong> Duecento, cit., to. II, p. 227) e G. BETTI, El<br />

libro de’ ghiribizzi, a cura di A. Lanza, in «Letteratura Italiana Antica», II, 2001, p. 26: «I’ sì<br />

ho inteso per molte ragioni / che la miglior vivanda che l’uom prenda, / stando a riposo o<br />

andando a vicenda, / è ’l sí cibarsi di grassi capponi» (2377).<br />

55 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., CLV, p. 153.<br />

56 BELLINCIONI, Le rime, cit., parte II, V, pp. 6-7. Su questo sonetto si vedano, per il rapporto<br />

<strong>cibo</strong>-anfibologie, i vv. 5-6: «Noi ti ristorerem poi con sonetti: / Se non v’è oca, a noi<br />

dona ocazzo. / Come poveri, abbián nel mio palazzo / Agli e cipolle, e anche due porretti».<br />

57 BELLINCIONI, Le rime, cit., parte II, VI, p. 8.<br />

58 Ivi, LXXXIII, pp. 88-89.<br />

59 Ivi, CXLIX, p. 205. La risposta E tuoi pensier son pur di strano uccello si legge alla<br />

pagina successiva.<br />

60 In I sonetti faceti di Antonio Cammelli, cit., CCCXLI, p. 372 e CCCXLII, p. 374.<br />

61 Si leggono tra le Rime varie, nell’edizione citata <strong>del</strong>le Rime, vol. II, pp. 513-24.<br />

62 In E. PASQUINI, Il «secolo senza <strong>poesia</strong>» e il crocevia di Burchiello, in ID., Le botteghe<br />

<strong>del</strong>la <strong>poesia</strong>, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 61. Questo tipo di sonetti rappresentano la trasposizione<br />

in versi <strong>del</strong>le ricette che si trovavano nei libri di cucina diffusi nel Trecento e nel<br />

Quattrocento. Si pensi già nell’antichità al testo pseudo-virgiliano Moretum, nel quale è descritta<br />

la preparazione di un formaggio aromatizzato.<br />

76


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

sonetto burchiellesco Se tu volessi fare un buon minuto, dove gli ingredienti<br />

sono decisamente fuori luogo rispetto all’obiettivo iniziale 63 .<br />

Una <strong>del</strong>le situazioni più frequenti nelle quali possiamo trovare il <strong>cibo</strong> è<br />

ovviamente nel momento conviviale; il banchetto è un tema diffusissimo nel<br />

Medioevo in versi e in prosa 64 . Nei testi esaminati il tema è trattato con differenti<br />

sfumature e soluzioni. Nella <strong>poesia</strong> trecentesca si parla di banchetti, ma si<br />

evita il rapporto diretto con il <strong>cibo</strong>, come nel caso di un banchetto in un accampamento<br />

militare descritto in un sonetto attribuito a Cecco Angiolieri Salute<br />

manda lo tu’ buon Martini 65 , o come in un altro sonetto nel quale un soldato<br />

vende abiti e armi per procurarsi <strong>cibo</strong> e bevande, senza ulteriori specificazioni<br />

(I’ son venuto di schiatta di struzzo) 66 . Abbiamo invece due esempi, sul finire<br />

<strong>del</strong> Trecento e nel Quattrocento, relativi al momento in cui si progetta il pranzo<br />

o la cena. Si tratta di un testo di Franco Sacchetti e di uno di Niccolò Tinucci.<br />

Leggiamo il primo:<br />

Vo’ sète qui, brigata, tutti quanti<br />

per manicar il bue e’ macheroni:<br />

fate sì che non ci abia Salamoni<br />

né legge né dicreto a voi davanti.<br />

Se messer de’ Goldè stesse da canti<br />

fategli onor, perch’e’ fa buon bocconi;<br />

d’atorno atorno si faccian sermoni<br />

che l’un con l’altro non sian acordanti.<br />

Ciascun favelli, e nessun l’altro intenda,<br />

e chi volesse pur filosofare,<br />

dato gli sia sùbito merenda 67 ;<br />

63 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., XXXI, p. 29.<br />

64 Cfr. Banquets et manières de table au Moyen Âge, Aix-en Provence, Cuerma, 1996,<br />

pp. 179-559. Sul rapporto tra <strong>cibo</strong> e banchetto, alla fine <strong>del</strong> Duecento, Bonvesin de la Riva<br />

scrive il De quinquaginta curialitatibus: il <strong>cibo</strong> compare molto raramente, in maniera vaga<br />

(carne, formaggio, pane) e in senso strumentale, mentre più chiara è l’attenzione al comportamento<br />

adatto che occorre mantenere a tavola (cfr. A. J. GRIECO – A. MANCIULLI, La codificazione<br />

<strong>del</strong> modo di stare a tavola, in Et coquatur ponendo…, cit., pp. 109-14); si veda anche S.<br />

LAZARD, L’institution alimentaire dans le Reggimento e costumi di Donne di Francesco da<br />

Barberino, in Le table et ses dessous, études réunies par A. Ch. Fiorato et A. Fontes Baratto,<br />

Paris, Presse de la Sorbonne Nouvelle, 1999, pp. 13-37.<br />

65 ANGIOLIERI, Le rime, cit., Sonetti di dubbia attribuzione, 8, p. 242.<br />

66 Ivi, Sonetti di dubbia attribuzione, 7, p. 240.<br />

67 SACCHETTI, Il Libro <strong>del</strong>le Rime, cit., LXXXI, vv. 1-11, p. 104. Si noti l’inserimento<br />

all’ultimo verso <strong>del</strong>la locuzione “dare merenda”, cioè ‘picchiare’, coerentemente al contesto<br />

gastronomico iniziale.<br />

77


Giuseppe Crimi<br />

Nei versi emerge un aspetto che contrasta con un’abitudine: Sacchetti vuole<br />

evitare che il banchetto divenga il luogo conviviale di discussione, di scambio<br />

culturale; cibi, come il bue e i maccheroni, quindi, devono essere consumati<br />

senza la presenza dei discorsi dei filosofi e dei sapienti. Nel secondo caso il<br />

sonetto è impiegato come menu per <strong>una</strong> cena imminente (il pesce è adatto al<br />

venerdì):<br />

Compare, el nostro Mari dotto magno,<br />

che ben si può chiamar lo ’mperadore,<br />

presentito di voi un vostro errore,<br />

dispon trattarvi come buon compagno:<br />

dice di darci venerdì un ragno<br />

di libre venti, lesso, col savore,<br />

sogliole poi e muggine a furore,<br />

e altri pesci assai, e non di stagno;<br />

capperi prima e menta per coverta,<br />

di riso la sco<strong>del</strong>la ben fornita,<br />

con vin solenni come il mangiar merta,<br />

con torte, marzapane e treggea trita 68 .<br />

Sulla preparazione dei cibi per la cena troviamo il sonetto di Franco Non<br />

intuoni la Magna alcun per boria 69 o quello pseudo-burchiellesco Se nanti carnascial<br />

non ci dai cena 70 . L’invito a cena prevede anche la scelta <strong>del</strong>le pietanze:<br />

il Burchiello, inviando un sonetto a Leon Battista Alberti, chiede di organizzare<br />

<strong>una</strong> cena insieme a Rosello Roselli: «Fa di darci capponi lessi et arrosto, / giovani,<br />

grassi e non sien cotti al forno, / ma vòlti al fuoco adagio adagio e scosto»<br />

71 . In Simone de’ Prodenzani i sonetti Posto silençio, lavati et assisi 72 e<br />

Tortelli in scu<strong>del</strong>la e bramangieri 73 rappresentano le liste dei cibi da consumare.<br />

Uno dei banchetti più importanti <strong>del</strong>l’anno è quello <strong>del</strong> carnevale: il seguente<br />

testo di Anselmo Calderoni è interessante, perché ribalta l’abbondanza e la<br />

magnificenza generalmente legate al consueto momento con la presenza di cibi<br />

modesti, anche a causa <strong>del</strong>la povertà <strong>del</strong> poeta stesso:<br />

68 N. TINUCCI, Rime, a cura di C. Mazzotta, Bologna, Commissione per i testi di lingua,<br />

1974, 35 a , vv. 1-12, p. 39. Il «ragno» indica la spigola (non è quindi in Pulci la prima attestazione,<br />

come si sostiene in G. FOLENA, Nomi di pesci, fra cucina e zoologia, in ID., Il linguaggio <strong>del</strong><br />

caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 175), il «savore»<br />

indica <strong>una</strong> salsa, mentre il muggine è un pesce ricoperto da scaglie che sembrano d’argento,<br />

da cui l’allusione allo stagno <strong>del</strong> verso successivo. Infine la «treggea» significa “dolciumi”.<br />

69 In Il “Libro dei Sonetti”, cit., CXXXV, pp. 116-17.<br />

70 In Sonetti <strong>del</strong> Burchiello <strong>del</strong> Bellincioni…, cit., p. 166.<br />

71 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., LVI, vv. 9-11, p. 53.<br />

72 Rime, cit., vol. I, pp. 280-81.<br />

73 Ivi, vol. II, p. 302.<br />

78


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

I’ ho fornito in questo carnasciale<br />

la casa mia d’un capo di castrone,<br />

e non arà gallina né cappone,<br />

né tordi grassi; e’ mi farebon male.<br />

E’ non vi arà né legne, olio né sale,<br />

[e] anzi <strong>una</strong> barletta di cercone,<br />

e menerò a cena un compagnone,<br />

e farollo godere alla reale.<br />

E non v’arà né torta né migliaccio,<br />

perch’io non ho né tegghia né pa<strong>del</strong>la,<br />

e non v’ho lardo né ancora sugnaccio;<br />

ma di quel capo torrò le cervella,<br />

e farolle rinvolte in uno staccio,<br />

e mangerolle in <strong>una</strong> cati<strong>nella</strong>.<br />

Gli occhi e le cervella<br />

noi metteremo in <strong>una</strong> buona tegghia,<br />

e goderem tutta la sera a vegghia 74 .<br />

Hanno <strong>una</strong> buona diffusione i sonetti che descrivono il pranzo o la cena: si<br />

vedano quelli <strong>del</strong> Burchiello Sabato Tessa ci fu mona Sera 75 e Achi con Bachi e<br />

Cachi, di brigata 76 , quelli di Simone de’ Prodenzani Po’ che Sollaçço fu bene<br />

onorato e Posto già fine a que’ lor canti belli 77 , quelli <strong>del</strong> Pistoia Con Marco<br />

Nigrisollo ho disinato e Cenai cum Gioan Francesco Gianninello 78 oppure<br />

quello <strong>del</strong> Braccesi Acciò tu sappi ’l nostro buon viaggio 79 , in cui si descrive il<br />

<strong>cibo</strong> consumato durante le soste di un viaggio. In Simone de’ Prodenzani troviamo<br />

anche un piacevole resoconto dei dolci alla fine <strong>del</strong> pasto (Poscia che furon<br />

lassi, ogniun si posa) 80 .<br />

74 In Lirici toscani <strong>del</strong> Quattrocento, cit., vol. I, pp. 339-40. Si veda anche la barzelletta<br />

di C. NAPPI, Su piangèmo el poveretto, vv. 41-73, in Rimatori bolognesi <strong>del</strong> Quattrocento, a<br />

cura di L. Frati, Bologna, Romagnoli – Dall’Acqua, 1908, pp. 263-64, in cui si elencano le<br />

cibarie consumate durante il carnevale.<br />

75 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., CCII, p. 192. Il resoconto <strong>del</strong>la cena trascorsa, con l’elenco<br />

<strong>del</strong>le vivande consumate, ha in Orazio, Satirae, II, 8, uno tra i più celebri antecedenti.<br />

76 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., CCXXII, p. 207.<br />

77 Rime, cit., vol. I, p. 231 e vol. II, p. 246.<br />

78 I sonetti faceti di Antonio Cammelli, cit., XXVII, pp. 69-70 e XXX, pp. 74-75.<br />

79 In AGNOLETTI, Alessandro Braccesi…, cit., p. 73.<br />

80 Rime, cit., vol. I, p. 242. Fabio Carboni ricorda in nota che, ad esempio, in Sacchetti (Il<br />

Libro <strong>del</strong>le Rime, cit., CCCX, vv. 53-59, p. 509) troviamo un elenco di dolci, ma nel Prodenzani<br />

il testo si riferisce all’usanza di consumare dolci post-pasto, alla ‘collatione’, in voga dalla<br />

prima metà <strong>del</strong> Quattrocento: cfr. C. BENPORAT, Feste e banchetti…, cit., pp. 97-99.<br />

79


Giuseppe Crimi<br />

Nell’edizione pseudo-londinese <strong>del</strong>le rime <strong>del</strong> Burchiello il sonetto Tiratevi<br />

da parte, o Lumaconi mette in scena <strong>una</strong> situazione in cui i commensali si rivolgono<br />

ai parassiti di turno con parole aspre: «Se voi volete di questi bocconi, /<br />

Andate all’oste, e fatevene dare; / E non curate niente di pagare, / L’arista, il<br />

solcio, i pollastri, e ’ piccioni» 81 .<br />

Ma è proprio il Burchiello che inaugura ufficialmente il gusto per la descrizione<br />

<strong>del</strong>la cena o <strong>del</strong> pranzo andati a male. I versi «Qua si cucina in pentola di<br />

rame, / che’a mangia la minestra è un dolore; / non vi dico la carne d’un colore /<br />

proprio di mane ch’usin filare stame» 82 , «Apro la bocca secondo e bocconi / e<br />

s’io non posso aver <strong>del</strong> pesce grosso, / i’ mangio <strong>del</strong> minuto che ha men osso /<br />

toccando mona menta co’ bastoni» e<br />

E alc<strong>una</strong> volta un micolin di muggine<br />

ch’a un bollor nel pentolin si sgretola<br />

lustra di fuori e dentro è pien di ruggine:<br />

scipito è più che pastinaca o bietola,<br />

e per trarlo tra’ denti e le capruggine<br />

convien ch’io gli scardassi colla setola.<br />

Da Legnaia e <strong>Per</strong>etola<br />

mangio l’anguille, e dal Galluzzo e Portico,<br />

che son più tenere quanto più le scortico 83 .<br />

sono l’inizio di un gusto che si diffonderà nel secondo Quattrocento; prendiamo<br />

un sonetto di Franco:<br />

80<br />

No’ andammo ier, Lorenzo, a un convito<br />

con un repubblicon largo in cintura,<br />

di notte, a lungi, stracchi, e con ventura,<br />

piacer da farne al Magnolin rinvito.<br />

Timido aceto avemmo et olio ardito,<br />

insalata, anzi sciocca, passa e dura;<br />

pan che facea salnitro per le mura,<br />

vin vecchio, tondo, quadro e rimbambito.<br />

81 Sonetti <strong>del</strong> Burchiello <strong>del</strong> Bellincioni…, cit., p. 155.<br />

82 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., LXIX, vv. 5-8, p. 68. Cfr. anche ivi, LVIII, vv. 1-4, p. 67.<br />

83 Ivi, XC, vv. 1-4 e 9-17, p. 90. Diverso è invece il comportamento <strong>del</strong>lo Strazzòla che<br />

preferisce non adeguarsi alle prescrizioni: «Se carne mangio in questi giorni santi; / non è<br />

però che cristian non sia / e che non dica spesso Ave Maria» (son. Se carne mangio in questi<br />

giorni santi, vv. 1-3) e «Al tuo [scil. <strong>del</strong>la Quaresima] dispetto lessato ho un cappone; / di<br />

quel posso cavar meglio costrutto; / poi per cena mi servo di un pipione» (son. Quaresima tu<br />

sai ti protestai, vv. 12-14), che si leggono in V. ROSSI, Il canzoniere inedito di Andrea<br />

Michieli detto Squarzòla o Strazzòla, in «Giornale storico <strong>del</strong>la letteratura italiana», XXVI,<br />

1895, pp. 62-63.


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

Battezzaron pippion due colombelle<br />

che bolliron <strong>del</strong>l’ore ben diciotto,<br />

poi furon per fuggir dalle sco<strong>del</strong>le;<br />

missimi in bocca l’alie <strong>del</strong> più cotto,<br />

ch’a mesticar parean proprio ban<strong>del</strong>le:<br />

isfondolati, voti e aperti sotto 84 .<br />

A questo dobbiamo aggiungere quello <strong>del</strong> Pulci Cenando anch’io con uno a<br />

queste sere 85 , quelli di Franco Mangiavo pastinache in diadema 86 , I’ sono a<br />

Siena, qua fra questi bessi 87 e Signor, seguir non posso il vostro stilo, nel quale<br />

il poeta elenca le cibarie, umili rispetto a quelle consumate dall’Arcivescovo di<br />

Firenze Piero Riario 88 ; quello di Jacopo Paganelli Io son nel fondo <strong>del</strong>la magna<br />

altezza 89 , alcuni versi <strong>del</strong> Bellincioni 90 , fino al capitolo di Giacomo Cataldini di<br />

Cagli <strong>del</strong> 1483 e al sonetto pseudo-burchielleso Volete voi conoscere compagnoni,<br />

nei quali sono elencati i miseri cibi consumati in pessime condizioni di<br />

alloggio 91 . Il tema è sviluppato dal Pistoia in sette sonetti: Habbiam fatto senza<br />

occa l’Ognisanti, Non mi chiamati più, ch’ò disinato, Signor, il tuo suscalco,<br />

hoggi fa un giorno, Quel desinar ch’io ebbi fu perfetto, Cenando, Fi<strong>del</strong> mio,<br />

hersira in corte, Cosmico, io cena’ her cum Gianfrancesco, Io allogiai hersira a<br />

l’oste a Siena 92 .<br />

E ancora per rimanere tra le cene, nel sonetto attribuito ad Antonio Pucci<br />

Non vidi mai che ’n corte di papa si narra di <strong>una</strong> beffa durante un banchetto<br />

84 M. FRANCO, No’ andammo ier, Lorenzo, a un convito, vv. 1-14, in L. PULCI – M.<br />

FRANCO, Il “Libro dei Sonetti”, cit., XCII, pp. 86-87.<br />

85 Ivi, cit., CXLII, p. 122. Un accenno ad <strong>una</strong> cena grottesca anche nel sonetto Io seggo a<br />

mensa qua con certe dame, in ivi, CXXXVI, pp. 117-18. Cfr. anche E. VERGA, Saggio di<br />

studi su Bernardo Bellincioni poeta cortigiano di Lodovico il Moro, Milano, Cooperativa<br />

Editrice Italiana, 1892, pp. 114-16.<br />

86 Il “Libro dei Sonetti”, cit., CXXXIII, pp. 115-16.<br />

87 Ivi, LXXXIII, p. 79.<br />

88 Ivi, LXXII, p. 71.<br />

89 Si legge in F. FLAMINI, La lirica toscana <strong>del</strong> Rinascimento anteriore ai tempi <strong>del</strong><br />

Magnifico, Pisa, Nistri, 1891, p. 546.<br />

90 BELLINCIONI, Le rime, cit., parte II, XC, vv. 9-14, p. 96. «Tocchian <strong>del</strong>l’altre tue zanzaverate:<br />

/ Quegli uccellin con l’uova nel tocchetto / Li parvon proprio a masticar granate. / <strong>Per</strong> discrezion<br />

intendo, un certo letto / L’anguille vi sarebbono infreddate / Acciughe in gelatina per dispetto».<br />

91 Si leggono rispettivamente in G. VITALETTI, <strong>Per</strong> il tema <strong>del</strong> «malo alloggio», in<br />

«Giornale storico <strong>del</strong>la letteratura italiana», LXXXIII (1924), pp. 376-80 e in Sonetti <strong>del</strong><br />

Burchiello <strong>del</strong> Bellincioni…, cit., p. 208. Cfr. anche il sonetto <strong>del</strong> «malo alloggio» di<br />

Bellincioni Questo, Signor, ti fo in <strong>una</strong> osteria, nel quale parla anche di pessimo pane (ne Le<br />

rime, cit., parte II, CXXXVIII, pp. 143-44).<br />

92 I sonetti faceti di Antonio Cammelli cit., XIX, pp. 62-63; XX, pp. 63-64; XXI, pp. 64-<br />

65; XXII, p. 65; XXVIII, pp. 71-72; XXIX, pp. 72-73; XXXI, p. 75. Si aggiunga l’anonimo<br />

Anda’ne a cena com el compar mio (in ROSSI, Tre sonetti..., cit., p. 9).<br />

81


Giuseppe Crimi<br />

avvenuta ai danni <strong>del</strong>l’ospite: questi mangia <strong>una</strong> rapa credendo inizialmente che<br />

si tratti di formaggio 93 ; <strong>una</strong> cena andata male è descritta anche nel sonetto di<br />

Simone de’ Prodenzani, Una fiata, Signiori, avìen pensato, nel quale il poeta<br />

racconta di un cappone sottrattogli improvvisamente da un cane 94 .<br />

Non è raro trovare che sul <strong>cibo</strong> possano nascere questioni e discussioni. In<br />

Sacchetti il sonetto Io potea a cena molto male 95 è composto su di un tema proposto<br />

dal commensale a proposito <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> consumato la sera precedente.<br />

Possediamo anche <strong>una</strong> tenzone sulla natura dei frutti: con il sonetto Io non<br />

posso trovare ecclesiastico, attribuito da Novati ad Antonio da Ferrara 96 , si<br />

chiede al destinatario quali siano i dieci frutti dei quali si mangia soltanto la<br />

parte esterna, quelli che si mangiano sia <strong>nella</strong> parte interna che in quella esterna<br />

ed infine quelli soltanto <strong>nella</strong> parte interna. La risposta, Uva, fiche, pere,<br />

melle, mora 97 , contiene trenta nomi di frutti. Analogamente il Burchiello chiede<br />

a Francesco d’Altobianco degli Alberti, nel sonetto missivo Compar, s’i’ non<br />

ho scritto al comparatico 98 , quale sia il <strong>cibo</strong> che è mangiato <strong>una</strong> volta soltanto<br />

e viene espulso dal corpo due volte: la risposta, il miele o l’uovo, è affidata al<br />

sonetto Compare il tuo quesito matematico 99 . Sulla quaestio troviamo il sonetto<br />

missivo Troppo ben le tre, ti confesso, di Simone de’ Prodenzani, nel<br />

quale il poeta chiede al suo corrispondente se proprio sia necessario il digiuno,<br />

quando Dio ha fornito la terra di doni gastronomici così prelibati 100 ; ancora<br />

sulla domanda è impostato il sonetto di Pulci Io vuo’ che tu ci assolva <strong>una</strong> quistione<br />

101 .<br />

L’impiego <strong>del</strong> <strong>cibo</strong>, come <strong>del</strong> resto è naturale, compariva già per designare la<br />

golosità in epoca classica e mediolatina 102 . In Cecco l’accusa di ghiottoneria nei<br />

confronti <strong>del</strong> padre lascia poco spazio al <strong>cibo</strong>:<br />

93 Si legge in F. FERRI, La <strong>poesia</strong> popolare in Antonio Pucci, Bologna, Libreria L.<br />

Beltrami, 1909, p. 134.<br />

94 Rime, cit., vol. II, p. 335.<br />

95 SACCHETTI, Il Libro <strong>del</strong>le Rime, cit., [CCLX], pp. 413-14.<br />

96 Obiezioni in M. ANTONIO DA FERRARA (A. BECCARI), Rime, edizione critica a cura di L.<br />

Bellucci, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1967, pp. XLV-XLVII.<br />

97 Edita in F. NOVATI, Di due poesie <strong>del</strong> secolo XIV su “la natura <strong>del</strong>le frutta”. Nuove<br />

comunicazioni, in «Giornale storico <strong>del</strong>la letteratura italiana», XVIII (1891), p. 353.<br />

98 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., CXXXVI, pp. 135-36.<br />

99 In Lirici toscani <strong>del</strong> Quattrocento, cit., vol. I, p. 99.<br />

100 Si legge tra le Rime varie <strong>del</strong>l’edizione <strong>del</strong>le Rime cit., vol. II, pp. 362-63.<br />

101 Il “Libro dei Sonetti”, cit., CXI, pp. 100-1.<br />

102 Cfr. CURTIUS, Letteratura europea…, cit., p. 483. L’accusa giocosa di golosità si sviluppa<br />

anche alla luce di testi di stampo morale: si vedano i versi di Feo Belcari: «Fratelli, il<br />

82


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

I’ ho un padre sì compressionato,<br />

che, s’e’ gollasse pur pezze bagnate,<br />

si l’avrebb’anz’ismaltit’e gittate<br />

ch’un altro bella carne di castrato.<br />

Ed i’ era sì sciocch’e sì lavato<br />

che, s’i’ ’l vedea mangiar pur du’ derrate<br />

di fichi, sì credea in veritate<br />

il dì medesmo red’esser chiamato 103 .<br />

In Simone de’ Prodenzani si trovano <strong>una</strong> serie di sonetti nei quali la moglie<br />

<strong>del</strong> poeta è descritta come un essere smisuratamente vorace e goloso (Alle noççe<br />

ch’io feci mi convenne, Io l’ò fatta vedere al’albachieri, Spese fiate mi<br />

mostra el viso fiero, Se voi udiste come sa ben dire) 104 .<br />

Nel Bellincioni analogamente alcuni sonetti sono vòlti a esagerare la golosità<br />

<strong>del</strong> cortigiano Francesco Tapone 105 . Non sempre però il <strong>cibo</strong> diviene elemento<br />

portante <strong>del</strong>la caricatura, come nei sonetti Chi vuol che roba avanzi a un<br />

convito (al v. 11 è citato soltanto un fegatello), o <strong>Per</strong> sua umanità non vostro<br />

merto (compaiono al v. 10 un’anguilla e al v. 12 un lupino), o in I’ sento che ’l<br />

Tapon la bestia matta (è citato «un grasso fegatello» al v. 12) 106 . Più riuscito,<br />

<strong>nella</strong> direzione che a noi interessa, è il sonetto Questo nostro Francesco non è<br />

quello: «Questo nostro Francesco non è quello / Che fece la dieta in su el cappone<br />

/ È pur un altro il qual proprio è un Tapone / Che mangere’ i quadretti col<br />

piattello» (vv. 1-4) 107 , versi seguìti dalla gustosa immagine «Se Francesco a’ dui<br />

pesci e cinque pani / Fusse stato con Cristo, è da sapere / Che non ce n’avanzava<br />

per dui cani» (vv. 9-11) 108 . Un intero sonetto è dedicato all’ingordigia di<br />

Tapone:<br />

senso e Belzebù v’inganna: / sotto color di crescer devozione, / voi vi trovate con messer cappone,<br />

/ cantando laude a Dio, gloria ed osanna» (in Lirici toscani <strong>del</strong> Quattrocento, cit., vol.<br />

I, p. 229) o di Simone de’ Prodenzani, il quale, in un testo sulla gola, presenta <strong>una</strong> donna che<br />

«Non mangiava troppo pane, / ma, per ber, cosa salsetta / usava molto, la porchetta, / polli<br />

arrosto e buona cibata» (Simone de’ Prodenzani, De gula, vv. 17-20, in ID., Rime, cit., vol. I,<br />

p. 74).<br />

103 ANGIOLIERI, Le rime, cit., LXXIX, p. 157.<br />

104 Nelle Rime, cit., vol. II, alle pp. 319, 321-22, 323 e 324.<br />

105 Cfr. anche VERGA, Saggio di studi su Bernardo Bellincioni…, cit., p. 110.<br />

106 Le rime cit., parte I, CX, p. 158; CXXXII, pp. 183-84; CXXXIII, p. 184.<br />

107 Ivi, p. 141.<br />

108 Ivi, p. 142. Cfr. anche il sonetto I’ sento che ’l Tapon la bestia matta, vv. 12-14, (parte<br />

I, CXXXIII, p. 184): «Chi gli mostrassi un grasso figatello, / Se lo fare’ venir dietro carpone /<br />

Al monte Sinaì per aver quello».<br />

83


Giuseppe Crimi<br />

Il Tapon d’esser santo forse aspetta,<br />

E ritrovarsi in ciel con gli altri insieme,<br />

Che fa <strong>del</strong>le frittate diademe<br />

E quelle porta sotto la berretta.<br />

E’ s’è mandato in cielo <strong>una</strong> staffetta<br />

A dir che di costui si spegne el seme,<br />

E ’l Tapon piagne: no, con gli occhi geme,<br />

E’ l tanto vin che bee così rigetta.<br />

A mondar fichi a lui furon già otto<br />

A San Miniato là presso a Fiorenza,<br />

Ma, non bastando, disse questo ghiotto:<br />

I’ non posso aver tanta pazïenza,<br />

Come pillole giù pel suo condotto<br />

Interi gli mangiò; questo è in sentenza.<br />

Era uom da far credenza<br />

Francesco a un signor che ’n un boccone<br />

Mangere’ la cucin non ch’un cappone?<br />

E se viene un pipione<br />

<strong>Per</strong> Ispirito Santo, e fusse stato<br />

Allor Francesco, e’ se l’are’ mangiato 109 .<br />

Bellincioni impiega simili armi satiriche anche contro il tamburino <strong>del</strong>la<br />

duchessa Isabella: «È v’era un poco scuro / In caneva, pur vide un cappon<br />

cotto: / Gran mercè, disse, e misseselo sotto» 110 . La descrizione <strong>del</strong> goloso<br />

109 BELLINCIONI, Le rime, cit., parte I, CXXVII, pp. 176-77.<br />

110 Ivi, parte II, IX, vv. 18-20, p. 12, oppure si veda l’altra descrizione di un ghiotto che frequentava<br />

il Bellincioni: «Se ’l mio Santin fu sempre mai sforzesco / Noi sappian che si sforza tuttavia<br />

/ Mangiar più che non può s’egli ha pan fresco» (ivi, parte I, CIII, vv. 9-11, p. 149). La gola è<br />

legata al paese <strong>del</strong>la Cuccagna, luogo <strong>del</strong>l’abbondanza culinaria, che, però, è scarsamente celebrato<br />

<strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> giocosa. Spesso esso è citato, ma senza ulteriori riferimenti: si vedano i versi burchielleschi<br />

<strong>del</strong> sonetto Ben gridarei omai se i fegatelli, vv. 15-17 «Domandando le chiavi / Di<br />

Mongibel, di Roma, e di Romagna / <strong>Per</strong> fare armata contro la Cuccagna» (in Sonetti <strong>del</strong><br />

Burchiello <strong>del</strong> Bellincioni…, cit., p. 163); il BELLINCIONI: E’ c’è venuto un gufo di Cuccagna (Le<br />

rime, cit., parte I, CLV, p. 211); nel Za: «e fa’ che non gli meni per Cuccagna» (in S. FINIGUERRi<br />

detto il ZA, Lo Studio d’Atene, VII, v. 154, in ID., I poemetti, a cura di A. Lanza, Roma, Zauli,<br />

1994, p. 89). Riferimenti si trovano anche nei versi «Erro, cu cu andra’ tu in cuccagna / Dal pero al<br />

fico sempre perperando?» (in [pseudo] B. LATINI, Pataffio, Napoli, Chiappari, 1788, V, vv. 101-<br />

102, p. 92: simile alla Cuccagna è l’India pastinaca: ivi, III, v. 11, p. 37: «In india pastinaca<br />

m’imnpinzai»). La caratteristica <strong>del</strong>la pioggia di cibarie si ha in Niccolò Povero «Piovon frittelle e<br />

isco<strong>del</strong>le di lente / e macheron che son ben incaciati» (Niccolò Povero, I’ ò <strong>una</strong> paneruzzola bella<br />

e nuova, vv. 163-164, in E. LEVI, Niccolò Povero, giullare fiorentino, in ID., Poesia di popolo e<br />

<strong>poesia</strong> di corte nel Trecento, Livorno, Giusti, 1915, p. 109) e in BELLINCIONI «Egli ha lettere di là<br />

da le montagne / Presso al Brueto a men d’<strong>una</strong> giornata, / che dicon, che ci piovan le lasagne» (Le<br />

rime, cit., parte I, CIX, vv. 9-11, p. 157: un’immagine simile è presente con valore di adynaton nei<br />

versi di Nicolò de’ Rossi «Sì fortemente è Floruça adirata / mego, che primo ch’ela mi parlasse / o<br />

84


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

compare anche nel sonetto di Pulci Ambrosia’ vistù ma’ il più bel ghiotton<br />

111 .<br />

La golosità era un motivo di satira anticlericale: il testo di Pucci contro gli<br />

ecclesiastici, alle prese con i cibi più ghiotti, è un caso emblematico (già in Pg<br />

XXIV, vv. 24-25 Dante ricordava la predilezione <strong>del</strong> papa Martino IV per le<br />

anguille di Bolsena affogate <strong>nella</strong> vernaccia):<br />

I fra’ predicator non mangian carne<br />

sopra ’l taglier perché non sia veduta;<br />

se fosse in torta o in altra battuta<br />

sicuramente allor posson mangiarne.<br />

Mangian de’ raviuol, sia pur chi farne,<br />

e ne la infermeria fan gran goduta;<br />

mostrandosi d’aver la febbre aguta;<br />

si mangian de’ capponi e de le starne.<br />

E se sono invitati a predicare,<br />

la mattina domandan con disio<br />

quel che vi sia per lor da desinare 112 .<br />

Su un argomento analogo insistono il sonetto di Simone de’ Prodenzani Non<br />

corse nave mai, essendo in poppa 113 e quello di Pulci Questa è la festa di Votamascione<br />

114 , mentre nel sonetto di Franco La catena de’ preti ne vien ratto 115<br />

assistiamo ad <strong>una</strong> scenetta in cui alcuni preti sono alle prese con <strong>una</strong> gallina.<br />

solo recordare me degnasse, / sì ploverebe caule cum salata» in F. BRUGNOLO, Il canzoniere di<br />

Nicolò de’ Rossi, vol. I, introduzione, testo e glossario, Padova, Antenore, 1974, p. 29).<br />

Sull’argomento si può partire da G. COCCHIARA, Il paese di Cuccagna. L’evasione dalla realtà<br />

<strong>nella</strong> fantasia popolare, in ID., Il paese di Cuccagna e altri studi di folklore, Torino, Boringhieri,<br />

1956, pp. 159-87 e P. CAMPORESI, Il pane selvaggio, Bologna, Il Mulino, 1983 2 , pp. 93-102.<br />

111 In PULCI – FRANCO, Il “Libro dei Sonetti”, cit., LXXXVI, pp. 81-82.<br />

112 A. PUCCI, I fra’ predicator non mangian carne, vv. 1-11, in Rimatori <strong>del</strong> Trecento, cit., p.<br />

816. Cfr. anche il sonetto Son consigliato ch’io mi facci frate (nel ms. <strong>del</strong>la Biblioteca Medicea<br />

Laurenziana siglato Laur. Conv. Soppr. (SS. Annunziata) 122, c. 124r). Il tema vanta antecedenti<br />

trobadorici: si veda P. CARDENAL, Ab votz d’angel, lengu’esperta, non belesza, vv. 33-46, in S.<br />

VATTERONI, Le poesie di Peire Cardenal (I), in «Studi mediolatini e volgari», XXXVI (1990),<br />

pp. 132-33, nei quali i frati Giacobini, che dovrebbero essere votati alla povertà, sono accusati<br />

dal poeta di mangiare <strong>una</strong> quantità smisurata di <strong>cibo</strong> sopraffino (Cardenal occupa i versi soprattutto<br />

con l’enumeratio). Sull’ingordigia si veda il sonetto, attribuito a Pucci, Molto mi spiace, e<br />

credo, molto che dispiaccia (in Delle poesie di Antonio Pucci […] pubblicate, e di osservazioni<br />

accresciute da F. Ildefonso di san Luigi, vol. IV, In Firenze, Gaet. Cambiagi, 1775, p. 286).<br />

Sulla linea morale si pone anche la canzone di Sacchetti Solien mangiar gli antichi <strong>del</strong>le ghiande,<br />

in cui il poeta condanna l’uso di consumare cibi meno frugali rispetto al passato (ne Il Libro<br />

<strong>del</strong>le Rime, cit., CCCX, pp. 507-9), da completare con A. PUCCI, Libro di varie storie, edizione<br />

critica per cura di A. Varvaro, Palermo, presso l’Accademia, 1957, XIII, 21, p. 102.<br />

113 Si trova tra le Rime varie, in ID., Rime, cit., vol. II, p. 561.<br />

114 Ivi, p. 339.<br />

115 Si legge in PULCI – FRANCO, Il “Libro dei Sonetti”, cit., CXXXI, p. 114.<br />

85


Giuseppe Crimi<br />

Da segnalare, ancora di Simone de’ Prodenzani, il sonetto <strong>Per</strong> introduttion,<br />

quel buon macario, un’invocazione alla gola e al <strong>cibo</strong> attraverso la parodia di<br />

formule sacre 116 , che rappresenta uno degli antecedenti volgari <strong>del</strong> cosiddetto<br />

Credo di Margutte.<br />

Infine non dimentichiamo che la dietetica medievale considerava il <strong>cibo</strong><br />

come un elemento utile alla salute. Un testo <strong>del</strong>l’anonimo genovese – ci troviamo<br />

tra la fine <strong>del</strong> Duecento e i primi anni <strong>del</strong> Trecento – testimonia l’uso di<br />

soluzioni fortemente realistiche: «Chi, per vila e per montagne, / usa tropo le<br />

castagne, / con vim brusco e con vineta, / sona(r) speso la trombeta. / E<br />

Lavicena comanda / de no usar tar vianda / chi fa tanto vento agrego: / schivaila<br />

ch’e’ ne prego» 117 . Testi simili dovevano circolare in numero maggiore rispetto a<br />

quelli tràditi: si prendano i versi «Nulla cosa è, più lo stomaco uccida / Se la<br />

sentenza d’Avicenna accogli, / Che ’l <strong>cibo</strong> e ’l vino sanza regola o guida» 118 o<br />

quelli di Giovan Matteo di Meglio:<br />

L’uom ch’è avezzo a potar chol pennato<br />

o a zappar, de! no gli dar penniti,<br />

s’egl’è ’nfreddato, né polli spenuti.<br />

Ma dàgli per mangiar porrina o more,<br />

chon pan di miglo, e no gli dar <strong>del</strong> mero<br />

se vuoi che stie più san che pesce in muro<br />

dov’abbi un foro, e sia fondato in mare 119 .<br />

Sull’argomento si veda anche il piacevole sonetto di Antonio di Meglio Giovanni,<br />

i’ mi parti’ non meno offeso, nel quale il poeta fornisce il rimedio culina-<br />

116 In Rime, cit., vol. II, p. 300. Testi di questo tipo hanno alle spalle <strong>una</strong> ricca tradizione<br />

medievale, soprattutto di stampo goliardico: si veda la Letanie des Bons Compagnons (cfr. F.<br />

NOVATI, La parodia sacra nelle letterature moderne, in ID., Studi critici, Torino, Loescher,<br />

1889, pp. 189-90 e Parodies de thèmes piexu dans la poésie française du Moyn Age. Pater –<br />

Credo Ave Maria-Laetabundus, textes critique précédés d’une introduction par E. Ilvonen,<br />

Paris, Champion, 1914, pp. 115-22). Testi simili a quello di Simone de’ Prodenzani si trovano<br />

nel Libro di carnevale dei sec. XV e XVI, raccolto da L. Manzoni, Bologna, Romagnoli, 1881.<br />

117 Anonimo genovese, Poesie, edizione critica, introduzione, commento e glossario a<br />

cura di L. Cocito, Roma, Ateneo, 1970, VIII, p. 120.<br />

118 Versi inediti pubblicati in C. GUTKIND, Cosimo de’ Medici il vecchio, Firenze, Giunti<br />

Martello, 1982, p. 234. Dovevano circolare un buon numero di testi nei quali il <strong>cibo</strong> era utilizzato<br />

con fini terapeutici: si veda anche il sonetto di Feo Belcari Se vuoi campar dalla<br />

cruda epidimia (in FLAMINI, La lirica toscana <strong>del</strong> Rinascimento…, cit., p. 371) e quello di<br />

Nicolò Malpigli Guglielmo mio, da poi che l’andare (ne Le rime <strong>del</strong> codice isoldiano<br />

(Bologn. Univ. 1739), pubblicate per cura di L. Frati, vol. II, Bologna, Romagnoli –<br />

Dall’Acqua, 1913, p. 25).<br />

119 G. M. DI MEGLIO, Rime, cit., D III, vv. 1-7, p. 129.<br />

86


<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

rio per Giovanni di Maffeo Barberino (si trattava soprattutto di cose misere),<br />

che risponde con il sonetto L’avere e corpi d’uno umor compreso; Giovanni<br />

riprende il discorso:<br />

Tu mi saetti nel dir medicame<br />

ed io a te bombarderò di notte;<br />

tu mi vuo’ dar medicina alle gotte:<br />

guarisci te con le tuo cose grame.<br />

O che bue, porco, pesce con salame,<br />

anguille, agrume e vivande corrotte,<br />

vin turbo, grasso, agresto empie le botte<br />

e di quel mangia e béi quando n’ha’ fame.<br />

S’io mangiar posso, i’ vo’ starne e capponi,<br />

lamprede, anguille, arrosto ed in tocchetto,<br />

quaglie, fagiani e pollastri e pippioni,<br />

malvagìe e trebbian ber per diletto,<br />

mandorle, pere, pesche e buon poponi,<br />

vernaccia doppo il <strong>cibo</strong> e <strong>del</strong> confetto.<br />

Di Venere l’effetto<br />

l’accidente e l’età me n’hanno privo,<br />

ché, se ’l potessi usar, non sare’ vivo 120 .<br />

A questa linea può essere associato il sonetto di Bellincioni <strong>Per</strong> certo che s’è<br />

fatto un grande errore 121 : secondo il poeta, il destinatario avrebbe commesso un<br />

errore nel mangiare pesce, ma alla fine <strong>del</strong> testo Bellincioni sostiene il contrario.<br />

In ultimo da ricordare che uno dei testi comici più organici che sviluppa il<br />

tema <strong>del</strong>la parodia <strong>del</strong>la dietetica è il sonetto Mie madre sì m’insegna medicina<br />

scritto da Meo dei Tolomei: gli alimenti che la madre consiglia al figlio non<br />

sono utili a conservare la salute, al contrario produrranno sicuramente un effetto<br />

nocivo 122 .<br />

Dall’esame dei testi poetici più noti e diffusi <strong>del</strong> periodo interessato, emergono<br />

dunque queste principali tematiche. È evidente come esse non siano utilizzate<br />

con la medesima frequenza e come all’interno anche di ciasc<strong>una</strong> possano<br />

verificarsi mutamenti dovuti alle esigenze di chi scrive (si pensi alla presentazione<br />

e all’offerta). Le suddivisioni qui apportate non sono sempre contraddi-<br />

120 Si legge in Lirici toscani <strong>del</strong> Quattrocento, cit., vol. I, p. 690. Si veda anche la risposta<br />

alle pagine 691-92, Non son gli unguenti tuoi di verderame.<br />

121 BELLINCIONI, Le rime, cit., parte II, XXXIX, pp. 44-45.<br />

122 In BRUNI BETTARINI, Le rime di Meo dei Tolomei e di Muscia da Siena, cit., p. 52.<br />

Sull’argomento cfr. M. NICOUD, La dietetica nel Medio Evo, in Et coquatur ponendo…, cit.,<br />

pp. 43-53. Tra i componimenti in versi <strong>del</strong>l’antichità in cui si dispensano consigli alimentari<br />

troviamo ORAZIO, Satirae, II, 2.<br />

87


Giuseppe Crimi<br />

stinte da limiti netti: all’interno <strong>del</strong>le tematiche stesse esistono sfumature, variazioni<br />

e contaminazioni. Conviti e banchetti costituiscono, come <strong>del</strong> resto era<br />

immaginabile, i temi preferiti, insieme all’offerta, alla presentazione e al riferimento<br />

al mercato; <strong>nella</strong> linea toscana si concentrano la maggior parte dei testi,<br />

ma occorre tener conto senza dubbio anche <strong>del</strong> discreto ed interessante numero<br />

di componimenti proveniente dall’area umbra.<br />

Il <strong>cibo</strong> entra a far parte <strong>del</strong>la <strong>poesia</strong> comico-realistica in maniera più insistente<br />

e con un uso più disinvolto nel Quattrocento; se alcuni topoi hanno origine<br />

<strong>nella</strong> tradizione classica e mediolatina (sono necessari scavi ancora in questa<br />

direzione), altri, come quello <strong>del</strong>le cattive cene, sembrano nati in seno alla letteratura<br />

trecentesca e perfezionati in quella quattrocentesca. Nella seconda metà<br />

<strong>del</strong> Quattrocento, per quanto riguarda la componente realistica, assistiamo ad<br />

<strong>una</strong> tendenza generale verso <strong>una</strong> forte letterarietà: parlare di <strong>cibo</strong> significa affidare<br />

il testo alla riscrittura e filtrare l’esperienza reale con adeguati mezzi già<br />

ben collaudati.<br />

Ma le conclusioni definitive sull’argomento non possono prescindere da uno<br />

studio che tenga conto di altri testi in versi e soprattutto da un’analisi dei rapporti<br />

con la prosa: in questo senso il lavoro finora condotto non rappresenta che<br />

<strong>una</strong> prima indagine sul problema.<br />

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