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Per una retorica del cibo nella poesia comicorealistica

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Giuseppe Crimi<br />

Il Tapon d’esser santo forse aspetta,<br />

E ritrovarsi in ciel con gli altri insieme,<br />

Che fa <strong>del</strong>le frittate diademe<br />

E quelle porta sotto la berretta.<br />

E’ s’è mandato in cielo <strong>una</strong> staffetta<br />

A dir che di costui si spegne el seme,<br />

E ’l Tapon piagne: no, con gli occhi geme,<br />

E’ l tanto vin che bee così rigetta.<br />

A mondar fichi a lui furon già otto<br />

A San Miniato là presso a Fiorenza,<br />

Ma, non bastando, disse questo ghiotto:<br />

I’ non posso aver tanta pazïenza,<br />

Come pillole giù pel suo condotto<br />

Interi gli mangiò; questo è in sentenza.<br />

Era uom da far credenza<br />

Francesco a un signor che ’n un boccone<br />

Mangere’ la cucin non ch’un cappone?<br />

E se viene un pipione<br />

<strong>Per</strong> Ispirito Santo, e fusse stato<br />

Allor Francesco, e’ se l’are’ mangiato 109 .<br />

Bellincioni impiega simili armi satiriche anche contro il tamburino <strong>del</strong>la<br />

duchessa Isabella: «È v’era un poco scuro / In caneva, pur vide un cappon<br />

cotto: / Gran mercè, disse, e misseselo sotto» 110 . La descrizione <strong>del</strong> goloso<br />

109 BELLINCIONI, Le rime, cit., parte I, CXXVII, pp. 176-77.<br />

110 Ivi, parte II, IX, vv. 18-20, p. 12, oppure si veda l’altra descrizione di un ghiotto che frequentava<br />

il Bellincioni: «Se ’l mio Santin fu sempre mai sforzesco / Noi sappian che si sforza tuttavia<br />

/ Mangiar più che non può s’egli ha pan fresco» (ivi, parte I, CIII, vv. 9-11, p. 149). La gola è<br />

legata al paese <strong>del</strong>la Cuccagna, luogo <strong>del</strong>l’abbondanza culinaria, che, però, è scarsamente celebrato<br />

<strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> giocosa. Spesso esso è citato, ma senza ulteriori riferimenti: si vedano i versi burchielleschi<br />

<strong>del</strong> sonetto Ben gridarei omai se i fegatelli, vv. 15-17 «Domandando le chiavi / Di<br />

Mongibel, di Roma, e di Romagna / <strong>Per</strong> fare armata contro la Cuccagna» (in Sonetti <strong>del</strong><br />

Burchiello <strong>del</strong> Bellincioni…, cit., p. 163); il BELLINCIONI: E’ c’è venuto un gufo di Cuccagna (Le<br />

rime, cit., parte I, CLV, p. 211); nel Za: «e fa’ che non gli meni per Cuccagna» (in S. FINIGUERRi<br />

detto il ZA, Lo Studio d’Atene, VII, v. 154, in ID., I poemetti, a cura di A. Lanza, Roma, Zauli,<br />

1994, p. 89). Riferimenti si trovano anche nei versi «Erro, cu cu andra’ tu in cuccagna / Dal pero al<br />

fico sempre perperando?» (in [pseudo] B. LATINI, Pataffio, Napoli, Chiappari, 1788, V, vv. 101-<br />

102, p. 92: simile alla Cuccagna è l’India pastinaca: ivi, III, v. 11, p. 37: «In india pastinaca<br />

m’imnpinzai»). La caratteristica <strong>del</strong>la pioggia di cibarie si ha in Niccolò Povero «Piovon frittelle e<br />

isco<strong>del</strong>le di lente / e macheron che son ben incaciati» (Niccolò Povero, I’ ò <strong>una</strong> paneruzzola bella<br />

e nuova, vv. 163-164, in E. LEVI, Niccolò Povero, giullare fiorentino, in ID., Poesia di popolo e<br />

<strong>poesia</strong> di corte nel Trecento, Livorno, Giusti, 1915, p. 109) e in BELLINCIONI «Egli ha lettere di là<br />

da le montagne / Presso al Brueto a men d’<strong>una</strong> giornata, / che dicon, che ci piovan le lasagne» (Le<br />

rime, cit., parte I, CIX, vv. 9-11, p. 157: un’immagine simile è presente con valore di adynaton nei<br />

versi di Nicolò de’ Rossi «Sì fortemente è Floruça adirata / mego, che primo ch’ela mi parlasse / o<br />

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