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Per una retorica del cibo nella poesia comicorealistica

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Giuseppe Crimi<br />

Nell’edizione pseudo-londinese <strong>del</strong>le rime <strong>del</strong> Burchiello il sonetto Tiratevi<br />

da parte, o Lumaconi mette in scena <strong>una</strong> situazione in cui i commensali si rivolgono<br />

ai parassiti di turno con parole aspre: «Se voi volete di questi bocconi, /<br />

Andate all’oste, e fatevene dare; / E non curate niente di pagare, / L’arista, il<br />

solcio, i pollastri, e ’ piccioni» 81 .<br />

Ma è proprio il Burchiello che inaugura ufficialmente il gusto per la descrizione<br />

<strong>del</strong>la cena o <strong>del</strong> pranzo andati a male. I versi «Qua si cucina in pentola di<br />

rame, / che’a mangia la minestra è un dolore; / non vi dico la carne d’un colore /<br />

proprio di mane ch’usin filare stame» 82 , «Apro la bocca secondo e bocconi / e<br />

s’io non posso aver <strong>del</strong> pesce grosso, / i’ mangio <strong>del</strong> minuto che ha men osso /<br />

toccando mona menta co’ bastoni» e<br />

E alc<strong>una</strong> volta un micolin di muggine<br />

ch’a un bollor nel pentolin si sgretola<br />

lustra di fuori e dentro è pien di ruggine:<br />

scipito è più che pastinaca o bietola,<br />

e per trarlo tra’ denti e le capruggine<br />

convien ch’io gli scardassi colla setola.<br />

Da Legnaia e <strong>Per</strong>etola<br />

mangio l’anguille, e dal Galluzzo e Portico,<br />

che son più tenere quanto più le scortico 83 .<br />

sono l’inizio di un gusto che si diffonderà nel secondo Quattrocento; prendiamo<br />

un sonetto di Franco:<br />

80<br />

No’ andammo ier, Lorenzo, a un convito<br />

con un repubblicon largo in cintura,<br />

di notte, a lungi, stracchi, e con ventura,<br />

piacer da farne al Magnolin rinvito.<br />

Timido aceto avemmo et olio ardito,<br />

insalata, anzi sciocca, passa e dura;<br />

pan che facea salnitro per le mura,<br />

vin vecchio, tondo, quadro e rimbambito.<br />

81 Sonetti <strong>del</strong> Burchiello <strong>del</strong> Bellincioni…, cit., p. 155.<br />

82 I sonetti <strong>del</strong> Burchiello, cit., LXIX, vv. 5-8, p. 68. Cfr. anche ivi, LVIII, vv. 1-4, p. 67.<br />

83 Ivi, XC, vv. 1-4 e 9-17, p. 90. Diverso è invece il comportamento <strong>del</strong>lo Strazzòla che<br />

preferisce non adeguarsi alle prescrizioni: «Se carne mangio in questi giorni santi; / non è<br />

però che cristian non sia / e che non dica spesso Ave Maria» (son. Se carne mangio in questi<br />

giorni santi, vv. 1-3) e «Al tuo [scil. <strong>del</strong>la Quaresima] dispetto lessato ho un cappone; / di<br />

quel posso cavar meglio costrutto; / poi per cena mi servo di un pipione» (son. Quaresima tu<br />

sai ti protestai, vv. 12-14), che si leggono in V. ROSSI, Il canzoniere inedito di Andrea<br />

Michieli detto Squarzòla o Strazzòla, in «Giornale storico <strong>del</strong>la letteratura italiana», XXVI,<br />

1895, pp. 62-63.

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