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Per una retorica del cibo nella poesia comicorealistica

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<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

zapan tornan frittelle» 11 , «Ambroso dice: Io n’ho gran dispiacere / Nel grasso<br />

macro stai come el rognone» 12 e altri numerosi esempi. Cibarie come la fava, la<br />

castagna, il fico, la nespola, il lupino possono spesso comparire per indicare un<br />

nonnulla (il contatto con i cantari è fondamentale). È piuttosto diffuso, inoltre, il<br />

senso metaforico, con valore erotico, da attribuire a un gran numero di cibi,<br />

aspetto sul quale ci si è soffermati a sufficienza 13 .<br />

Possiamo incontrare altri casi nei quali il <strong>cibo</strong> descrive la condizione esistenziale<br />

<strong>del</strong>l’uomo. Il celebre sonetto di Cecco Angiolieri Quando Ner Picciolin<br />

spiegazione di questa coda è stata fornita dallo stesso editore in La dimensione vernacolare<br />

nel lessico dei Sonetti di Burchiello, in «Cuadernos de Filología Italiana», 3, 1996, pp. 213-<br />

14: il senso dovrebbe essere «poche persone apprezzano la differenza fra <strong>cibo</strong> conservato e<br />

zuppa se non vi si accompagna un buon vino».<br />

11 Cfr. B. BELLINCIONI, Le rime, riscontrate sui manoscritti emendate e annotate da P.<br />

Fanfani, parte II, Bologna, Romagnoli, 1968 2 , LXXIX, v. 3, p. 85 e spiegazione: «Ora che il<br />

buono si converte in roba non gustosa e rozza». Si veda anche B. BONICHI, Mentisti, mondo,<br />

ch’i’ t’ho conosciuto, vv. 1-3, in Rimatori <strong>del</strong> Trecento, a cura di G. Corsi, Torino, UTET,<br />

1980 2 , p. 670: «Mentisti, mondo, ch’i’ t’ho conosciuto, / e più mangiar non vuo’ de’ tuo confetti<br />

/ perché son dentro lordi e di fuor netti».<br />

12 BELLINCIONI, Le rime, cit., parte II, XII, vv. 5-6, p. 14 e spiegazione «Tu, come l’arnione,<br />

ti conservi magro stando tra ’l grasso. Vivi a stento, stando in mezzo alla lautezza <strong>del</strong>la<br />

corte. Qui si parla di quel solito tesoriere <strong>del</strong> Duca» (la stessa espressione è usata in XXXV,<br />

vv. 9-11, p. 40). Non è raro trovare il <strong>cibo</strong> all’interno <strong>del</strong>le similitudini: si vedano i versi 12-<br />

14 <strong>del</strong> sonetto Così potrei viver senz’amore <strong>del</strong>l’Angiolieri «e sed e’ fosse [Amore] più<br />

che fèle, / con l’umiltà, ch’è vertù sì verace, / il farò dolce come cannamèle» (Le rime, cit.,<br />

XXX, p. 62).<br />

13 Cfr. V. BOGGIONE – G. CASALEGNO, Dizionario storico <strong>del</strong> lessico erotico italiano.<br />

Metafore, eufemismi, oscenità, doppi sensi, parole dotte e parole basse in otto secoli di letteratura<br />

italiana, Milano, Longanesi & C., 1996, basato in parte sul lavoro J. TOSCAN, Le carnaval<br />

du langage. Le lexique érotique des poètes de l’équivoque de Burchiello à Marino,<br />

Lille, Presse Universitaire, 1981, 4 voll. La gola era spesso posta in relazione alla lussuria:<br />

sulla fine <strong>del</strong> Duecento dovrebbe collocarsi la tenzone tra Meo Abbracciavacca e Guittone<br />

d’Arezzo (Se ’l filosofo dice: «È necessario e Necessario mangiar e bere è chiaro), incentrata<br />

sulla questione, basata sulle affermazioni dei padri <strong>del</strong>la Chiesa, se siano strettamente connessi<br />

il bere, il mangiare e la lussuria: secondo Guittone si può essere casti anche mangiando<br />

e bevendo. In altri versi si può trovare il <strong>cibo</strong> legato al sesso come nel testo –Oi bona gente,<br />

oditi et entenditi, vv. 43-50, in Rime dei memoriali bolognesi 1279-1300, a cura di S.<br />

Orlando, Torino, Einaudi, 1981, p. 7: «– Cognata mïa, zò ched eo t’ho ditto, / eo sazo ben<br />

ched ell’è mal a dire. / Ma menaròt’a casa un fantelleto, / e lui daremo ben manzare e bere, / e<br />

tu recarai <strong>del</strong> to vin bruschetto, / e’ recarò <strong>del</strong> meo plen un barile. / Quando gli avrén da’ ben<br />

manzar e bere, / zasc<strong>una</strong> faza la soa cavalcata –» o nei versi di Rustico Filippi «Su, donna<br />

Gemma, co·la farinata / e col buon vino e co·l’uova ricenti, / che la Mita per voi sia argomentata,<br />

/ ch’io veggio ben ch’ell’ha alegati i denti» (R. FILIPPI, Sonetti, a cura di P. V. Mengaldo,<br />

Torino, Einaudi, 1975, IV, vv. 1-4, p. 29).<br />

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