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Per una retorica del cibo nella poesia comicorealistica

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<strong>Per</strong> <strong>una</strong> <strong>retorica</strong> <strong>del</strong> <strong>cibo</strong> <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> comico-realistica fra Tre e Quattrocento<br />

compare anche nel sonetto di Pulci Ambrosia’ vistù ma’ il più bel ghiotton<br />

111 .<br />

La golosità era un motivo di satira anticlericale: il testo di Pucci contro gli<br />

ecclesiastici, alle prese con i cibi più ghiotti, è un caso emblematico (già in Pg<br />

XXIV, vv. 24-25 Dante ricordava la predilezione <strong>del</strong> papa Martino IV per le<br />

anguille di Bolsena affogate <strong>nella</strong> vernaccia):<br />

I fra’ predicator non mangian carne<br />

sopra ’l taglier perché non sia veduta;<br />

se fosse in torta o in altra battuta<br />

sicuramente allor posson mangiarne.<br />

Mangian de’ raviuol, sia pur chi farne,<br />

e ne la infermeria fan gran goduta;<br />

mostrandosi d’aver la febbre aguta;<br />

si mangian de’ capponi e de le starne.<br />

E se sono invitati a predicare,<br />

la mattina domandan con disio<br />

quel che vi sia per lor da desinare 112 .<br />

Su un argomento analogo insistono il sonetto di Simone de’ Prodenzani Non<br />

corse nave mai, essendo in poppa 113 e quello di Pulci Questa è la festa di Votamascione<br />

114 , mentre nel sonetto di Franco La catena de’ preti ne vien ratto 115<br />

assistiamo ad <strong>una</strong> scenetta in cui alcuni preti sono alle prese con <strong>una</strong> gallina.<br />

solo recordare me degnasse, / sì ploverebe caule cum salata» in F. BRUGNOLO, Il canzoniere di<br />

Nicolò de’ Rossi, vol. I, introduzione, testo e glossario, Padova, Antenore, 1974, p. 29).<br />

Sull’argomento si può partire da G. COCCHIARA, Il paese di Cuccagna. L’evasione dalla realtà<br />

<strong>nella</strong> fantasia popolare, in ID., Il paese di Cuccagna e altri studi di folklore, Torino, Boringhieri,<br />

1956, pp. 159-87 e P. CAMPORESI, Il pane selvaggio, Bologna, Il Mulino, 1983 2 , pp. 93-102.<br />

111 In PULCI – FRANCO, Il “Libro dei Sonetti”, cit., LXXXVI, pp. 81-82.<br />

112 A. PUCCI, I fra’ predicator non mangian carne, vv. 1-11, in Rimatori <strong>del</strong> Trecento, cit., p.<br />

816. Cfr. anche il sonetto Son consigliato ch’io mi facci frate (nel ms. <strong>del</strong>la Biblioteca Medicea<br />

Laurenziana siglato Laur. Conv. Soppr. (SS. Annunziata) 122, c. 124r). Il tema vanta antecedenti<br />

trobadorici: si veda P. CARDENAL, Ab votz d’angel, lengu’esperta, non belesza, vv. 33-46, in S.<br />

VATTERONI, Le poesie di Peire Cardenal (I), in «Studi mediolatini e volgari», XXXVI (1990),<br />

pp. 132-33, nei quali i frati Giacobini, che dovrebbero essere votati alla povertà, sono accusati<br />

dal poeta di mangiare <strong>una</strong> quantità smisurata di <strong>cibo</strong> sopraffino (Cardenal occupa i versi soprattutto<br />

con l’enumeratio). Sull’ingordigia si veda il sonetto, attribuito a Pucci, Molto mi spiace, e<br />

credo, molto che dispiaccia (in Delle poesie di Antonio Pucci […] pubblicate, e di osservazioni<br />

accresciute da F. Ildefonso di san Luigi, vol. IV, In Firenze, Gaet. Cambiagi, 1775, p. 286).<br />

Sulla linea morale si pone anche la canzone di Sacchetti Solien mangiar gli antichi <strong>del</strong>le ghiande,<br />

in cui il poeta condanna l’uso di consumare cibi meno frugali rispetto al passato (ne Il Libro<br />

<strong>del</strong>le Rime, cit., CCCX, pp. 507-9), da completare con A. PUCCI, Libro di varie storie, edizione<br />

critica per cura di A. Varvaro, Palermo, presso l’Accademia, 1957, XIII, 21, p. 102.<br />

113 Si trova tra le Rime varie, in ID., Rime, cit., vol. II, p. 561.<br />

114 Ivi, p. 339.<br />

115 Si legge in PULCI – FRANCO, Il “Libro dei Sonetti”, cit., CXXXI, p. 114.<br />

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