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Modelli teorici e metodologici nella storia del diritto privato 4

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BONA FIDES<br />

Questa prospettiva è stata pienamente condivisa dalla romanistica<br />

<strong>del</strong> Novecento. Innanzitutto, se si guarda ai manuali – che costituiscono<br />

un genere letterario spesso (troppo) in ritardo rispetto agli<br />

sviluppi <strong>del</strong>la ricerca – ci si avvede che al di là di un riferimento, per<br />

lo più insoddisfacente, ai iudicia bonae fidei, non si fa alcun accenno<br />

alla buona fede oggettiva come nozione, mentre ci si sofferma su<br />

quella soggettiva, proseguendo quel silenzio che aveva caratterizzato i<br />

manuali di Pandette. Ma anche negli studi più specifici resta forte il<br />

legame con le impostazioni <strong>del</strong>l’Ottocento e in particolare con il<br />

dogma <strong>del</strong>la volontà, pur entrato in crisi – salvo recenti reviviscenze –<br />

in sede di ricostruzione storica <strong>del</strong>la concezione romana <strong>del</strong> contratto<br />

5 . È emblematico al riguardo il fatto che ancora pochi anni or<br />

sono è stata riaffermata – da una voce autorevolissima, e dunque particolarmente<br />

influente – l’impostazione corrente <strong>nella</strong> prima metà <strong>del</strong><br />

secolo scorso di un originario valore <strong>del</strong>la buona fede come ‘rispetto<br />

<strong>del</strong>la parola data’, dal quale si sarebbe solo in seguito sviluppato quel<br />

significato di ‘correttezza’ che avrebbe permesso alla nozione di intervenire<br />

sullo stesso accordo introducendo obblighi accessori e addirittura<br />

correggendo soluzioni non adeguate 6 .<br />

5 Su questi problemi rinvio a quanto scritto in R. FIORI, Ea res agatur. I due mo<strong>del</strong>li<br />

<strong>del</strong> processo formulare repubblicano, Milano, 2003, 176 ss.; ID., Contrahere e solvere<br />

obligationem in Q. Mucio Scevola, in Fides humanitas ius. Studii L. Labruna, III,<br />

Napoli, 2007, 1955 ss.; ID., Contrahere in Labeone, in corso di pubblicazione negli<br />

scritti in onore di Michel Humbert. Non riesco a comprendere come S. TAFARO,<br />

Buona fede ed equilibrio degli interessi nei contratti, in L. GAROFALO (a cura di), Il<br />

ruolo <strong>del</strong>la buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea.<br />

Studi A. Burdese, IV, Padova, 2003, 571 ss. possa definire ‘pandettistica’ la posizione<br />

di quegli studiosi come Pernice, Perozzi, Bonfante che, reagendo al dogma <strong>del</strong>la volontà<br />

– questo sì pandettistico – rilevarono che il contratto romano si impernia più<br />

sul vincolo che sul consenso.<br />

6 Cfr. in particolare Fr. SCHULZ, Prinzipien des römischen Rechts, Berlin, 1934,<br />

151 ss., il quale sosteneva che la fides – che non si differenzierebbe dalla bona fides,<br />

trattandosi di costruzione tautologica (ibid., 154; l’idea è ripetuta in A. DÍAZ BAUTI-<br />

STA, La buona fede nel senatoconsulto Giuvenziano, in GAROFALO [a cura di], Il ruolo<br />

<strong>del</strong>la buona fede oggettiva, cit., I, 489) – indicherebbe «die Bindung an das Wort, das<br />

Sichgebundenfühlen an seine Erklärung» (ibid., 151), rilevando che il principio era<br />

nei contratti tanto forte che in <strong>diritto</strong> romano non sarebbe possibile la risoluzione –<br />

i testi che ne parlano sarebbero interpolati: ibid., 153 s. Da questo valore primario si<br />

sarebbe sviluppato un significato secondario di ‘Redlichkeit’ come: «Treu und Glau-<br />

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