to get the file - Comune di Riva del Garda

Rodrigo Rey Rosa è nato in Guatemala nel 1958.
Dopo aver
abbandonato gli
studi di medicina
nel suo paese
devastato dalla
violenza, ha vissuto
a New York e poi a
Tangeri, in
Marocco. Lì ha
conosciuto Paul
Bowles, del quale
ha tradotto le tre prime opere. È autore di molti
romanzi e raccolte di racconti e la sua opera è stata
premiata nel 2004 con il Premio Nacional de
Literatura de Guatemala Miguel Ángel Asturias.
In Italia ha pubblicato Quel che sognò Sebastian e Il
tempo concesso con Mondadori, e Giungla di pietra
per Cargo.
Il testo
Severina
(pp. 11 - 15))
L'ho notata la prima volta che è entrata, e ho subito
sospettato che fosse una ladra, anche se quella volta
non si è portata via niente.
Il lunedì pomeriggio di solito si tenevano letture di
poesia a la Entretenida, la libreria che avevo aperto di
recente con un gruppo di amici appassionati di libri.
Non avevamo niente di meglio da fare ed eravamo
stufi di pagare prezzi troppo alti per libri scelti da altri
e per altri, come accade ai cosiddetti eccentrici nelle
città di provincia. (Qui succedono cose molto peggiori,
ma non è di questo che voglio parlare adesso).
Insomma, per porre fine a quel disagio, abbiamo
avviato la nostra attività.
Avevo appena rotto con una colombiana che avevo
creduto potesse essere la donna della mia vita. Una
storia facile e impossibile insieme, una perdita di
tempo o un'affascinante avventura, secondo i punti di
vista.
Il negozio non era molto grande, ma in fondo al
locale c'era spazio per sistemare tavole e sedie per
questi incontri, che oscillavano tra la mera lettura, la
performance e il burlesque.
L'ho vista arrivare un pomeriggio dopo un
acquazzone che aveva inondato i corridoi del
seminterrato del piccolo centro commerciale dove ci
trovavamo, e bisognava spostarsi da un negozio
all'altro lungo passerelle sostenute da blocchetti di
cemento e mattoni riciclati. Aveva i capelli neri neri e
indossava leggins, stivali alti senza tacchi e una
camicetta di cotone bianca. Aveva un'aria giudiziosa e
non sembrava giovanissima. Non è rimasta fino alla
fine della lettura di quei brani di prosa poetica,
secondo me eccellenti, ma sapevo che sarebbe tornata.
Sono rimasta ad aspettarla vari pomeriggi. Mi
chiedevo come facevo a essere sicuro che sarebbe
tornata. Non lo sapevo.
Alla fine, un altro pomeriggi, è apparsa. La lettura
era già cominciata. È rimasta in piedi accanto alle
tende che separavano la libreria vera e propria dalla
Libri e biblioteche
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saletta di lettura. Adesso portava un vestito intero di
cotone celeste abbastanza ampio che le arrivava fino
alle ginocchia (delle ginocchia perfettamente rotonde,
tornite con evidente dedizione), una cintura alta di
metallo argentato, sandali di cuoio nero e una borsetta
coperta di lustrini. È rimasta fino alla fine. È andata a
prendere qualcosa al bar, ha scambiato sguardi e saluti
e, prima di andarsene, con una rapidità ammirevole, si
è infilata nella borsetta due libriccini della sezione di
traduzioni dal giapponese. È uscita dalla porta senza
nessuna fretta. L'allarme non ha suonato; mi sono
chiesto come avesse fatto ad aggirarlo. L'ho lasciata
andare: ero nuovamente sicuro che sarebbe tornata.
Un momento più tardi sono andato allo scaffale
Giapponese. Ho annotato su un taccuino per la
contabilità i libri sottratti, mettendo la data e l'ora. Poi
sono andato al gabbiotto della cassa e sono rimasto lì,
cercando di immaginare dove si sarebbe recata con i
libri.
L'occasione seguente si è presentata due o tre
settimane dopo. Vedendola arrivare le ho augurato un
buon pomeriggio e le ho chiesto se cercava qualcosa in
particolare.
«Sì, voglio fare un regalo», sono state le prime
parole che le ho sentito dire.
«Posso sapere per chi è?».
«Per il mio fidanzato», mi ha risposto; aveva un
accento impossibile da identificare.
«Veda lei, allora. Ci sono alcune novità nella
sezione di traduzioni del giapponese».
Le si illuminò il volto.
«Ah, i giapponesi mi affascinano».
«Laggiù,» ho indicato un estremo della libreria.
«Sa dove sono».
Non ha fatto una piega.
«Ma a lui non piacciono tanto. Dice che sono
troppo di moda. Ha qualcosa di … Chesterton?»
Ho riso con una risata vuota.
«Ah, roba di quel genere. Ci dev'essere qualcosa
per di là. Dovrebbe trovarsi,» ho segnalato l'estremo
opposto del negozio, «sullo scaffale più alto. Sì
diamine, Chesterton, come no?»
Sono tornato a piazzarmi dietro il registratore di
cassa e mi sono messo a sfogliare cataloghi, perché lei
si sentisse a suo agio. Andava da una parte all'altra in
mezzo ai libri. Mi è parso di sentire quando ne faceva
scivolare uno in fondo alla sacca (un volume delle
Mille e una notte nella versione di Galland, come ho
accertato dopo). Ha simulato un attacco di tosse e si
sono involati altri due libri. Qualche minuto dopo si è
avvicinata alla cassa e mi ha detto:
«Non ho avuto fortuna. Gli comprerò un
profumo».
«Torni quando vuole». Sono rimasto a guardarla. È
passata dalla barriera antitaccheggio che, di nuovo,
non si è attivata.
Sono andato allo scaffale depredato. Ho annotato
sul taccuino Le mille e una notte, volumi uno, due e
tre. Ho aggiunto l'ora e la data. E ho deciso che un
giorno o l'altro l'avrei seguita.
Pochi giorni dopo ci hanno consegnato un lotto di
libri che comprendeva una collana di traduzioni dal
russo in miniatura. Erano volumi in sedicesimo, con
incisioni e scritte in foglia d'oro, lavorati con grande
delicatezza e leggibili e perfetti come gioielli. Li ho