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Giugno 2010 - Da Leggere

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12 L’ABRUZZO RACCONTA <strong>Da</strong> leggere - GIUGNO <strong>2010</strong><br />

Q<br />

(Atri, 17 maggio 1834 - Palermo, 27 maggio 1860)<br />

Pietro Baiocchi, l’unico abruzzese dei Mille<br />

In occasione del 150° anniversario della morte di Pietro Baiocchi, unico abruzzese dell’impresa<br />

dei Mille, pubblichiamo la sua biografi a a cura del Mons. Giuseppe Di Filippo.<br />

uante volte, percorrendo il tratto<br />

di strada che da S. Spirito porta a<br />

Piazza Martella, abbiamo attraversato<br />

Via Pietro Baiocchi e ci siamo chiesti:<br />

chi era costui? A ridosso della chiesetta della<br />

Trinità c’è la sua casa natale ed abbiamo<br />

forse alzato gli occhi per vedere una lapide<br />

che soltanto i più acuti di vista possono leggere,<br />

ma non molti si sono fermati a farlo. È<br />

una lapide posta dall’amministrazione comunale<br />

di Atri il 5 giugno 1887 per ricordare<br />

la memoria del Baiocchi e fu dettata dal<br />

chiar.mo concittadino Gabriello Cherubini<br />

Q<br />

che ne era stato insigne maestro.<br />

A proposito di questa lapide il prof. can.<br />

Illuminati così riportava una esperienza<br />

personale nel suo discorso per il 1° centenario<br />

dell’unità d’Italia: “Già altra volta<br />

Atri aveva celebrato il Garibaldino Pietro<br />

Baiocchi, quando fu posta una lapide commemorativa<br />

sulla casa dove era nato l’eroe.<br />

Fu una indimenticabile solennità. C’era una<br />

selva di bandiere, una grande moltitudine di<br />

camicie rosse venute da ogni parte d’Italia,<br />

insigni autorità della politica e della cultura.<br />

Fu l’apoteosi dell’eroismo di Pietro<br />

Baiocchi. Quella giornata è rimasta nella<br />

mia memoria come uno spettacolo di festa<br />

clamorosa e come un insegnamento morale<br />

di educazione patriottica, perché la morte<br />

eroica è il più alto dono che si possa fare<br />

alla Patria. Ero fanciullo e forse pochissimi<br />

oggi sono i superstiti memori di quella<br />

insigne celebrazione cittadina”. Pietro era<br />

nato in Atri il 7 maggio del 1834 da Andrea<br />

Baiocchi di Città S. Angelo e da Matilde De<br />

Sabatinis di Atri, fu battezzato nella cattedrale<br />

il giorno seguente. Rimasto privo dei<br />

genitori in tenera età, attraversò non poche<br />

difficoltà per realizzare una sua vita onorevole.<br />

Studiò nel Seminario di Atri, che era<br />

una fucina di amor patrio, dove ebbe come<br />

maestri Gabriello Cherubini, per le lettere<br />

italiane e latine e il can. Mambelli per la<br />

filosofia e matematica. Fu certamente nel<br />

Seminario di Atri che fiorì nel suo animo<br />

l’ardente amore verso la Patria che languiva<br />

sotto la dominazione del Borbone. Quando<br />

poi si recò a Teramo per continuare gli studi,<br />

questo anelito cominciò a concretizzarsi<br />

Sorrisi di giugno<br />

uell’aria non si dimentica. Quella luce. Quell’eternità nella mente. I reduci dell’ultimo “fi -<br />

lone” viaggiavano a zonzo da Silvi a Pescara e viceversa. Ultimi giorni di scuola, percepiti<br />

nei profumi inconfondibili del mese verde e lucente come i ramarri distesi su quei lunghi<br />

sentieri di more. Li ammiravo dal treno contando i sogni di una giovinezza opposta a questo assurdo<br />

edonismo. Le magnifi che visioni di un sedicenne ribelle e sempre pronto ad emozionarsi per<br />

gli sguardi di una professoressa proibita… “Shel Shapiro” a colazione con toast e cappuccino fatto<br />

in casa e poi via verso un indirizzo scolastico paradossale che aveva come unica grande risorsa un<br />

fl irt da mille e una notte… Heminguay lo detestavo per la sua paranoia indotta da quella spagnola<br />

tanto decantata da un sussidiario di media superiore. Tutto però faceva brodo: passioni proibite,<br />

scenari idolatrati, visioni furtive di erotici momenti, spossatezza pomeridiana da sesso virtuale,<br />

prime bestemmie e prime rasature, odio sporadico da complesso di Edipo… ma tanta, tanta ignoranza<br />

della vita reale con la sua scadenza inesorabile! Sì, quella sì che era giovinezza! Una fi amma<br />

che riluceva nella penombra della sua sobrietà esistenziale come l’intermittenza di quelle tante<br />

lucciole che ci illuminavano la strada… Il legnoso convoglio degli anni più belli conteneva anche<br />

i tuoi occhi. Mi ricordo del tuo mistero: non sapevo chi fossi, né da dove venivi, ma che importava<br />

tutto questo ad un cuore fatto solo di fantasia? Un cuore che batteva, non per succedere sistole,<br />

ma una lunga miriade di illusioni? Eri forse la prima icona di un romantico che per tutta la vita,<br />

all’alba e al tramonto, ha preferito l’incertezza di una medesima penombra. E sì, quelle erano vere<br />

sensazioni, quelle che oggi qualcuno fa il diavolo a quattro per rendere credibili nelle tante sagre<br />

della falsità denominate “fi ction” dall’avvento degli inglesismi. Come odio l’obbrobrio di tanta<br />

esteriorità senza scampo! Io vorrò ancora volare, cercare di nuovo i fantasmi di un solstizio che<br />

mi appartiene con la sua epoca fatta di tasche rigonfi e di sole conchiglie. Quelle rondini puntuali<br />

mi hanno regalato istanti di azzurro, di un tempo e di una terra, che ahimè, non ci sono proprio<br />

in attività che lo sottoposero all’attenzione<br />

della polizia. Oramai la sua scelta era fatta,<br />

egli era disposto a sacrificare tutto il<br />

suo avvenire per l’unico scopo di vedere il<br />

suo Paese riscattato e libero. Minacciato a<br />

Teramo, decise di andar via e raggiunse la<br />

Toscana che era stata appena liberata dall’esercito<br />

sardo, come si può constatare,<br />

non era ancora l’Italia a gestire in proprio<br />

la sua indipendenza. <strong>Da</strong> una lettera scritta<br />

allo zio Pasquale De Sabatinis, da Firenze<br />

il 31 marzo 1860, apprendiamo sue ulteriori<br />

notizie”... sappiate che io ero entrato<br />

nel Corpo dei Cavalleggeri di Lucca e non<br />

trovando quel Corpo conveniente per me,<br />

sono passato nella fanteria del 30° Reggimento,<br />

ove tre giorni dopo, sono stato fatto<br />

caporale mercé un tenente napoletano che è<br />

nello stesso Corpo”. I fatti si accavallavano<br />

vorticosamente, se si pensa che, appena<br />

il 21 febbraio aveva scritto allo zio che<br />

avrebbe lasciato Teramo per volgersi a “miglior<br />

piaggia”. Intanto, mentre sorgevano<br />

dovunque fermenti di rivoluzione, giungevano<br />

notizie dalla Sicilia che si apprestava<br />

a scrollarsi dal giogo dell’oppressione e di<br />

Garibaldi che stava organizzando a Genova<br />

una spedizione per consentirne la liberazione.<br />

Tutti potevano immaginarsi quanto<br />

fosse azzardato il proposito di Garibaldi<br />

che, con un migliaio di uomini avrebbe dovuto<br />

affrontare un esercito numeroso e ben<br />

equipaggiato, ma non la pensava così Pietro<br />

Baiocchi il quale, come dice l’Illuminati,<br />

“era uno spirito avventuroso e fantasioso<br />

che visse con entusiasmo la poesia della<br />

libertà della Patria e che da questa poesia<br />

trasse la potenza del suo eroismo”. Egli<br />

addirittura disertò dall’esercito sardo e raggiunse,<br />

unico abruzzese, lo scoglio di Quarto<br />

dove si imbarcò per la Sicilia insieme ai<br />

1087 volontari che avevano più l’aspetto di<br />

masnadieri che non quello di un Corpo di<br />

spedizione regolare. Il primo impatto con il<br />

nemico avvenne a Calatafimi, dove conquistarono<br />

una strepitosa vittoria, che il giorno<br />

dopo fece scrivere a Garibaldi questa atroce<br />

constatazione: “La pugna fu tra Italiani,<br />

solita sciagura!”. Oramai il ghiaccio era<br />

rotto, la marcia proseguiva vittoriosa, ma il<br />

27 maggio 1860, alle porte di Palermo, la<br />

giovane esistenza di Pietro Baiocchi veniva<br />

stroncata durante una furibonda battaglia.<br />

Non ebbe la gioia di vedere l’unità d’Italia,<br />

ma con il suo sacrificio, egli contribuì sicuramente<br />

a realizzarla.<br />

In occasione delle onoranze per il 1° Centenario<br />

dell’unità d’Italia, l’avv. Nicola Mattucci<br />

scriveva: “L’olocausto dell’eroe fu<br />

per questa sua più piccola patria, ragione di<br />

unanime dolore e di indistruttibile orgoglio;<br />

ma è lecito ritenere che colui che, con più<br />

profondo rimpianto e con maggior vigoria<br />

di affetto e di ricordi, rivide il discepolo,<br />

l’amico, il compagno di fede nella luminosa<br />

cornice del suo sublime sacrificio, sia stato<br />

Ariodante Mambelli, il battagliero suo<br />

Maestro, che ne aveva seguito i passi col<br />

fervore del suo apostolato patriottico, inneggiando<br />

alle vittorie e fremendo di sdegno<br />

contro gli intrighi e gli ostacoli che si<br />

frapponevano al successo finale e integrale<br />

delle comuni idealità”.<br />

Mons. Giuseppe Di Filippo<br />

più! Ed io vorrò ancora vagare nelle sere infi nite dei miei occhi sedicenni, scrutare nuovamente<br />

la mia vita ancora acerba, il percorso sconosciuto del tuo sguardo senza tramonto. Cielo e treno,<br />

treno e cielo sul verde itinerario di un mondo dove la speranza presidiava ogni attesa, il mondo<br />

della coscienza con i suoi cancelli di rose che rivivono ancora nei miei sogni senza riposo, grandi<br />

creature delle mie aspirazioni pomeridiane. Sì, il poeta è ancora qui, qui per accogliere le insigni<br />

atmosfere di un vissuto trasfi gurato, il volo inaudito del suo idolo di bellezza, la colomba delle<br />

epoche che ha cercato in lui il suo nido verde, nella sua indole senza tempo, nella sua scanzonata<br />

eternità di reduce dell’ultimo “fi lone”. Un uomo e un bambino in perenne viaggio tra Silvi e Pescara,<br />

in un giugno risorto dove luce e vita, transito e amore, verde e sorrisi decidono ancora una<br />

volta di non morire.<br />

Rossano Di Palma

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