Avis giornale - copertina ottobre 2008 - Avis Ragusa
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SCAFFALE<br />
IBLEA<br />
IBLEA IBLEA<br />
IBLEA<br />
TORNA SULLO SCHERMO<br />
LA VOGLIA DEL SENTIMENTO<br />
Lo scaffale questa volta è uno<br />
schermo che propone due film<br />
italiani che sembrano privilegiare -<br />
non accadeva da tempo- il racconto<br />
del sentimento, l’analisi di quella<br />
ordinarietà con la quale bisogna<br />
fare i conti tutti i giorni e che a<br />
volte finisce con il sorprenderci.<br />
Pupi Avati, uno degli autori più<br />
garbati ed intelligenti del nostro<br />
cinema, ha firmato questo “Il papà<br />
di Giovanna” nel quale racconta il<br />
rapporto difficile, di grande amore<br />
e di straordinaria incomprensione,<br />
tra un padre ed una figlia durante<br />
gli anni del fascismo. Silvio<br />
Orlando –premiato a Venezia per<br />
la sua preziosa interpretazione- è<br />
un professore di disegno che si<br />
illude di poter trovare un fidanzato<br />
alla figlia decisamente bruttina<br />
(una Alba Rohrwacher che si<br />
impone come una attrice di prima<br />
classe) mettendo nel conto anche<br />
un qualche favoritismo scolastico.<br />
Sarà una illusione, ed anzi finirà<br />
con il determinare nella mente<br />
sconvolta della ragazza l’ansia<br />
omicida nei confronti della sua<br />
migliore amica, rea di intrattenere<br />
rapporti sessuali con il ragazzo del<br />
quale si è invaghita. La lenta inesorabile<br />
analisi delle proprie mancanze,<br />
dei propri errori, delle proprie<br />
illusioni dimenticate (il professore<br />
si illude di ritrovare in Giorgio<br />
Morandi, il grande pittore, che gli<br />
fu maestro, un rapporto solidale<br />
inesistente), dei tradimenti subiti<br />
(la moglie gli preferirà un uomo<br />
delle milizia fascista non sufficientemente<br />
coraggioso da mantenere<br />
fede ai propri ideali all’indomani<br />
dell’armistizio) diventa anche la<br />
riflessione letteraria colta sulla<br />
opportunità dei buoni sentimenti,<br />
sulla esigenza di una reciproca tol-<br />
leranza che passa attraverso la<br />
condivisione delle incertezze e la<br />
disponibilità al superarle. Prezioso<br />
per rievocazione storica e per eleganza<br />
narrativa, il film di Avati<br />
resta una delle opere d’autore più<br />
felici del cinema italiano degli ultimi<br />
anni.<br />
Sorprende invece, perché del<br />
tutto inatteso,”Pranzo di<br />
Ferragosto” il film opera prima di<br />
Gianni Di Gregorio, già sceneggiatore<br />
ed aiutoregista, qui anche<br />
attore che debutta in prima persona<br />
dietro la macchina da presa<br />
non più giovanissimo. E lo fa raccontando<br />
una pagina ferragostana<br />
in una Trastevere deserta, rievocando<br />
un tema che appartiene alla<br />
generazione del nostro tempo,<br />
quello della necessità di compagnia<br />
e di cura per gli anziani.<br />
Costretto a Roma anche durante<br />
le vacanze apparentemente per<br />
fare compagnia alla madre, una<br />
nobildonna decaduta, in realtà per<br />
imponenti problemi economici,<br />
Gianni viene coinvolto dall’amministratore<br />
del suo stabile – in cambio<br />
di una esenzione dal pagamento<br />
delle quote condominiali<br />
maturate- nella ospitalità per il<br />
giorno di ferragosto della madre e<br />
di una zia, alle quali si aggiungerà<br />
–anche in questo caso per un<br />
favore da ricambiare al proprio<br />
medico curante- una quarta signora<br />
anziana. E’ una lucida, intensa,<br />
puntuale, affascinante, preziosa<br />
rievocazione di caratteri e di sentimenti,<br />
di paure e di speranze, di<br />
ricordi e di ripicche, di piccoli sgarbi<br />
e di discolerie da infanzia di<br />
ritorno: le donne, prese non tra<br />
attrici professioniste ma tra signore<br />
affascinate dall’idea di essere<br />
sullo schermo cinematografico,<br />
danno ai loro personaggi una<br />
intensità ed una dolcezza veramente<br />
irripetibile. Il figlio che si<br />
inventa un ruolo, che scopre che<br />
sulla logica del “badante” può<br />
anche provare a camparci, e che<br />
nel frattempo sfuma nel vizio del<br />
bere tutta la sua fragilità, è la<br />
proiezione dettagliata della nostra<br />
debolezza di uomini contemporanei<br />
che sull’altare del consumismo<br />
e dell’avere a tutti i costi hanno<br />
bruciato o rischiano di bruciare la<br />
propria credibilità.<br />
Due film diversi, ma ugualmente<br />
intensi, capaci non solo di coinvolgere<br />
ma anche di lasciare spazio<br />
ad un momento di riflessione e di<br />
approfondimento. E in momenti in<br />
cui i reality televisivi si inventano<br />
l’omologazione più deteriore,<br />
riscoprire la possibilità di una conversazione<br />
che sull’onda di un film<br />
spinge a parlare anche di noi stessi,<br />
è una ricchezza da conservare<br />
con accuratezza.<br />
C.A.<br />
Anno XXIV<br />
N. 2/3 - Ottobre <strong>2008</strong> 23