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Vite parallele - Mario Moncada di Monforte

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significa letteralmente «sforzarsi» ed è seguita in genere dall’espressione<br />

«fì sabìli ‘llah» valere a <strong>di</strong>re «sulla via <strong>di</strong> Dio»: in<strong>di</strong>ca, cioè, l’invito<br />

ad uno sforzo <strong>di</strong> miglioramento etico e morale. Nel Corano, le prescrizioni<br />

<strong>di</strong> jihad vanno da un’ampia tolleranza non-violenta (Cor. L,<br />

45; ClX, 1-6; ecc) a una guerra puramente <strong>di</strong>fensiva (Cor. XXll, 39-40)<br />

fino a prescrizioni molto più generali (Cor. lX, 29).<br />

Certo, i pareri sono <strong>di</strong>scor<strong>di</strong> anche all’interno del <strong>di</strong>battito islamista<br />

perché i fautori dell’ecumenismo ne danno una lettura pacifica e<br />

morale mentre i fondamentalisti cercano in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> accentuarne<br />

il senso aggressivo.<br />

Secondo il <strong>di</strong>ritto islamico, lo jihad <strong>di</strong>venta obbligo <strong>di</strong> tutti i credenti<br />

solo in caso <strong>di</strong> aggressione. Nella sura Cor. ll, 191 è detto: “Uccidete<br />

dunque chi vi combatte, dovunque vi troviate e scacciateli da<br />

dove hanno scacciato voi”. La lettura non consente interpretazioni illecite:<br />

è evidente che si tratta <strong>di</strong> un invito a reagire e non ad aggre<strong>di</strong>re<br />

in prima battuta.<br />

Ciò che è scritto nel Corano è sempre leggibile e non è contestabile:<br />

la contrad<strong>di</strong>zione, quin<strong>di</strong>, è nei fondamentalisti che sostengono una<br />

lettura rigida del loro libro sacro ma poi danno un’interpretazione<br />

estensiva della parola jihad, ben oltre il significato intrinseco della parola<br />

e il contenuto letterale delle sure nelle quali è impiegata.<br />

2 – Anche la gestione del potere politico è un argomento molto <strong>di</strong>battuto<br />

per la complessa successione storica delle forme <strong>di</strong> governo<br />

utilizzate dagli arabi. Non si <strong>di</strong>mentica, infatti, che all’inizio dell’avventura<br />

araba, l’istituto del califfo (capo della comunità musulmana),<br />

che assicurava il carattere unitario dell’Islam, si fondava sulla consensualità.<br />

Tenendo presente che per i musulmani i comportamenti <strong>di</strong><br />

Maometto sono esempi da rispettare come legge, si ricorda che già con<br />

Maometto il suo potere - personale, assoluto, religioso, teocratico e<br />

unitario - nasceva dagli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> al-Aqaba del 621 con i membri <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>verse tribù che avevano aderito alle sue idee religiose e dagli accor<strong>di</strong><br />

con i Me<strong>di</strong>nesi che si erano impegnati a dare anche aiuto militare.<br />

È con gli Omayya<strong>di</strong>, dopo il 656, che il potere si trasmette per via<br />

<strong>di</strong>nastica. Decade l’origine contrattualistica della sovranità e si consolida<br />

la tra<strong>di</strong>zione della nomina del successore, che viene accettata per<br />

evitare i pericoli non rari dell’anarchia. La sovranità mantiene il suo<br />

carattere personale ed assoluto ma, contemporaneamente, si affina la<br />

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