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Volume IV - Grand Tour — Grand Tour

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Michelagnolo, che da Roma se n’era tornato a Firenze, il quale appena che vide le opere del<br />

divino uomo e tutte a parte a parte esaminò le perfezioni che si rinchiudevano nella maravigliosa<br />

opera della Cappella Sistina, quasi avesse scoperto un nuovo mondo nell’arte sua, formò quella<br />

sua perfetta maniera che gl’intendenti chiamano la terza per la grandiosità dei contorni e per le<br />

terribili idee che si veggono nella suddetta Cappella; onde arrivò a quella sublimità di dipignere:<br />

ove giunto per sé non fora mai. E bene ne volle dare al mondo una indubitata riprova mentre<br />

appena egli vide questa famosa opera che, avendo dipinto il profeta Isaia in un pilastro della<br />

chiesa di Sant’Agostino in Roma, fece buttare a terra l’intonaco e non si vergognò di dipignerlo<br />

nuovamente di quella grandiosa maniera che si vede sino al presente. E Dio volesse che<br />

Michelagnolo non avesse invidiato ai posteri sì bella sorte e che ci avesse lasciati tutti i suoi<br />

mirabili studi, i quali avere egli bruciati e distrutti, ci ha attestato più volte il dignissimo suo<br />

discendente, dottissimo signor senatore Filippo Buonarroti, ornamento e splendor del secol<br />

nostro, poiché sopra ad ogni minimo segno da esso fatto in tela o in carta e da qualunque altro<br />

più rozzo abbozzo o modello, avrieno approfittato dopo di lui i professori ancora più accreditati,<br />

come si sa per certo avere adoperato il Tintoretto, a cui il primo essendo stato conceduto (come<br />

si è detto) il fare i gessi di tutte le statue della Cappella Laurenziana, quelle sempre disegnava<br />

delineandole in tutte quelle vedute che mai potesse. Ma prima di maggiormente inoltrarmi, io<br />

vorrei sapere dall’autore delle note che cosa egli intende di dire con tante critiche ch’ei proferiva<br />

[p. 1833 – <strong>IV</strong> – C_040R] tutte in un fiato, tacciandolo di non intero gusto nel disegnare,<br />

inelegante nei contorni, temerario, bizzarro e stravagante. Se ci mostrasse quali siano quelle<br />

opere in particolare nelle quali si notano sì fatti errori, potrebb’essere che egli avesse ragione, ma<br />

tacciandolo in generale troverà certo pochi seguaci che s’impegnino, come si suol dire, contro<br />

tutta la corrente e contro il giudizio di tutti i valentuomini come ha fatto egli. Vorrà dire con<br />

tacciarlo di bizzarro e stravagante non avere egli imitato la natura? Che grosso errore sarebbe<br />

questo. A tal proposito mi vien fatta una osservazione ed è questa, che i più eccellenti professori,<br />

che hanno rappresentata una figura al naturale in qualche attitudine difficile a potersi vedere al<br />

naturale, hanno dato luogo a credere che tali professori abbiano fatto cose bestiali per ottenere il<br />

loro intento.<br />

Dicesi dell’Ariosto che, volendo esprimere la passione di Olimpia abbandonata da Bireno,<br />

facesse entrare in collera suo padre facendogli un grosso maltermine per sentire quali espressioni<br />

gli mettesse in bocca la madre natura. Si racconta di Parrasio, il quale, volendo dipignere<br />

Prometeo, facesse tormentare barbaramente un povero vecchio e che, sembrandoli poco<br />

dolente, parum tristis es, e lo facesse viè più tormentare per meglio esprimere l’aria dolente del suo<br />

ritratto. L’istesso fu detto di Michelagnolo, il quale, avendo fatto un Crocifisso, lo fece talmente<br />

bello e naturale che dette luogo ad una sciocchissima favola, cioè che facesse crocifiggere un<br />

facchino per tenerlo al naturale, come un solenne frate declamò dal pulpito per vituperare<br />

Michelagnolo. Or questa favola inventata altro non dimostra se non l’eccellenza di Michelagnolo<br />

nell’imitar la natura. Ma che risposta si può dare più convincente contro questa critica quanto<br />

quella che il critico fa contro se stesso, mentre egli dice non vi essere stato che abbia meglio di<br />

lui conosciute le attaccature delle ossa e dei muscoli e delle loro funzioni, e che le sue opere<br />

riescono maravigliose. Ma quando nelle stesse opere sue non fosse stato tanto servilmente<br />

attaccato all’imitar la natura, ciò forse ridonderebbe in sua maggior lode. Altro non è per<br />

avventura la rappresentazione delle cose che un’ombra delle cose rappresentate. E chi non vede<br />

che se non vi si aggiugnesse dall’arte alcuna cosa intorno che rinforzasse, per così dire, la smorta<br />

idea che queste tali ombre ci rappresentano, si rimarrebbono del tutto oscure e poca impressione<br />

farebbono in chi le mira. Troppo fredda riescirebbe una pastorale di un teatro se non si<br />

mettessero in bocca agli attori che parole umili e rozze, e non si vestissero con altri abiti che [p.<br />

1834 – <strong>IV</strong> – C_040V] quelli coi quali rozzamente si vestono i veri pastori. Assai fredda e<br />

meschina apparirebbe una orazione se l’oratore non parlasse senza veruna arte e usasse solo il<br />

linguaggio di chi parla naturalmente. Non sarebbero molto famosi gli eroi dei poeti se non<br />

avessero quelli cantate le loro gesta con altra frase di quella colla quale parla il comune degli<br />

uomini. Così addiviene nella pittura, quindi è che i grandi pittori e di vasta idea non si sono<br />

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