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Volume IV - Grand Tour — Grand Tour

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nel libro XII, a 448, in fine. Bernardo Segni parimente ne fa degna menzione nelle sue Storie<br />

fiorentine, libro III, a 75.<br />

Il Bisagno, in più luoghi del suo Trattato della pittura, parla di questo divino maestro con quelle<br />

lodi che gustamente egli merita. [p. 1836 – <strong>IV</strong> – C_041V] Giovanni Paolo Lomazzo, libro I, a 21<br />

e libro V, a 262 e nel libro VI, a 283, parlando di Michelagnolo dice che egli espresse la profonda<br />

oscurità di Dante, come Raffaello espresse la pura maestà del Petrarca, Leonardo da Vinci i moti<br />

e il decoro di Omero, Polidoro la grandezza e furia di Virgilio, Tiziano la varietà dell’Ariosto,<br />

Andrea Mantegna l’acuta prudenza del Sanazzaro e Gaudenzio Milanese la devozione che si<br />

trova nei libri dei Santi. Vedi con quali encomi ne parla Federigo Zuccheri nel libro II dell’Idea<br />

dei pittori, a 16, 26 e 40. Romano Alberti, a 10. Gaspero Celio, a 66. Pinarolo, tomo I, a 57, 137 e<br />

146. E specialmente vedi il medesimo nel tomo II, a 154. Armenini, a 57 e 280. Vincenzio<br />

Carducci, Dialogo I, a 13 tergo, e nel detto Dialogo, a 5, discorrendo di Michelagnolo, tralle altre<br />

cose dice che egli fu padrone e il signore dell’arte e 30 tergo dove dice che questo grand’uomo<br />

discese dalla casa dei conti di Canossa ed ei fu quello che diede principio alla terza età della<br />

pittura. ponendo il non plus ultra alla perfezione di quella, paragonandolo ad Apelle Ateniese che<br />

superò Cleofano Corintio e Zenone Cleoneo. E Dialogo III, a 43. Dialogo <strong>IV</strong>, a 56 tergo e 57<br />

tergo. Dialogo V, a 69, dove lo chiama gran maestro dei maestri. E nel Dialogo istesso, a 73 e 76<br />

tergo e 77 e 78 tergo. Dialogo VI, a 89 e 101 tergo. E Dialogo VIII, a 142 e 145 tergo e 146. E lo<br />

stesso, riportando il discorso di don Giovanni de Jauregui, a 193 e 228, sopra la pittura, del<br />

dottore don Giovanni Rodriguez y de Leon, don Giovanni de Butron, lo chiama principe del<br />

disegno, a 120. Il Torre, a 370, gli dà il titolo di portentoso. Francesco Scoto nel suo Itinerario<br />

d’Italia, parte I, a 147 e parte II, a 295 e 306, dove chiama Michelagnolo principe degli scultori,<br />

parlando pure di lui a 320 e 343, della nobiltà dei suoi natali e di essersi mirabilmente unite in lui<br />

la pittura e la scultura, vedi la bella medaglia col ritratto di Michelagnolo coniata da Renard,<br />

medaglista parigino, fatta l’anno 1673, vedendosi scritto intorno al ritratto M. Angelus Bonarotus<br />

patritius florentinus. E nel rovescio una tavolozza coi pennelli e un torso alquanto sollevato col<br />

motto Faeliciter iunxit. Il suddetto torso è lo stesso che il granduca Cosimo I donò<br />

all’Ammannato e Bartolomeo Ammannati donò poi nel 1583 all’Accademia fiorentina del<br />

Disegno per utile della gioventù studiosa, come si trova registrato nel Libro del Provveditore di<br />

detta Accademia segnato di lettera A, dal 1578 al 1586, a 33. Il medesimo modello che<br />

rappresenta un torso è fatto di terra e cimatura e Michelagnolo lo donò al suddetto Cosimo I.<br />

Monsù de Piles nel nel Compendio delle vite dei pittori, edizione II, a 50, nel capitolo XIX della<br />

prospettiva [p. 1837 – <strong>IV</strong> – C_042R] si arrischia a dire che Michelagnolo è stato biasimato per<br />

aver trscurato la prospettiva. Questo è così falso che non vi può essere se non qualche temerario<br />

che possa attaccare quel divino maestro sopra la mancanza di un precetto così necessario e che<br />

da esso fu praticato e insegnato. Sempre a tutti, come si può riconoscere dalle sue opere,<br />

specialmente di architettura, nella quale è opinione dei più eccellenti professori di quella che egli<br />

più d’ogn’altro si sia accostato ai migliori architetti antichi, emulatili nel valore e superati tutti i<br />

moderni. Parimente nel libro III, a 210, lo stesso de Piles scrive la di lui Vita non facendo altro<br />

però che scrivere ciò che ha lasciato scritto il Vasari. Ma oltre agli altri sbagli, che son tutti suoi,<br />

sbaglia nel dire che il palazzo Farnese fosse fatto con suo disegno, perché solamente il<br />

cornicione di esso fu edificato col disegno di Michelagnolo, e il disegno della sua propria casa di<br />

Firenze, non solo non fu suo, ma oltre all’essere assai moderno, è cosa molto ordinaria a riserva<br />

della galleria, la quale da […] fu fabbricata con spesa di sopra trentamila scudi di moneta<br />

fiorentina alle glorie di Michelagnolo suo antenato. Indi fa menzione del famoso quadro della<br />

Leda, ma fa conoscere di non essere a sua notizia che il cartone di quell’opera così celebre si<br />

conserva tuttavia nella casa dei signori Vecchietti, già mecenati dei virtuosi e specilmente del<br />

tanto rinomato Giovanni Bologna, e nobilissima famiglia fiorentina, dove si vede ancora<br />

perfettamente conservato e custodito come una preziosissima gioia, tal quale è veramente.<br />

Parlando poi del suo deposito che è nella chiesa di Santa Croce di Firenze dice che tutte quelle<br />

statue che l’adornano, tutte sono di propria mano di Michelagnolo, nel che prende uno sbaglio<br />

notabilissimo perché non ve n’è neppure una sola, ma tutte di mano di altri artefici, fatte dopo la<br />

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