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Terza serie (2001) VI, fascicolo 1-2 - Brixia Sacra

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S T U D I<br />

GABRIELE ARCHETTI<br />

La mensa vescovile di Brescia<br />

Note storico-archivistiche su un antico fondo ecclesiastico*<br />

«In nessun modo l’Archivio Vescovile di Brescia possiede i suoi documenti più<br />

antichi», con queste parole, quasi un secolo fa, Paul Fridolin Kehr (1860-<br />

1944) presentava sul sesto volume del repertorio documentario Italia pontificia<br />

la situazione relativa alla Chiesa bresciana 1 . Nonostante le antichissime origini<br />

cristiane, infatti, le testimonianze archivistiche della storia dell’episcopato<br />

di Brescia sono molto modeste e per incontrare una <strong>serie</strong> di registri e di carte<br />

di una qualche consistenza bisogna giungere alla metà del XIII secolo. Notizie<br />

e documenti sparsi sono certo rintracciabili in vari fondi – si pensi ad esempio<br />

ai centri monastici, dai più vetusti cenobi di fondazione regia a quelli legati<br />

all’iniziativa vescovile, come San Faustino di Brescia, San Pietro in Monte<br />

Orsino di Serle o S. Eufemia della fonte, alle porte orientali della città 2 –, ma<br />

se ci limitiamo a quelli di pertinenza dell’Archivio vescovile è necessario aspettare<br />

il 1253, quando troviamo il primo codice della Mensa relativo ai beni episcopali<br />

di Gavardo 3 .<br />

La Chiesa, in verità, ha riservato da sempre una grande attenzione al mantenimento<br />

dei beni che sono entrati a far parte dei suoi possedimenti grazie alla<br />

generosità dei fedeli, perché da essi dipendono la sopravvivenza delle strutture<br />

edilizie destinate al culto, il mantenimento del clero e l’operosa carità che rende<br />

concreto il precetto evangelico dell’amore fraterno. Il moltiplicarsi di tali<br />

beni, tuttavia, ha sollecitato anche la cupidigia di molti che nel corso dei secoli<br />

si sono adoperati in vario modo per distrarre parte di quell’ingente flusso di<br />

beni economici dalla sua destinazione originaria. Durante la prima metà del<br />

Duecento, tuttavia, la memoria della lotta per le investiture e del conflitto con<br />

il Barbarossa, come pure la piaga ancora aperta dello scontro con Federico II<br />

di Svevia e l’esigenza di un maggiore ordine nell’amministrazione del temporale<br />

– anche per fronteggiare le difficoltà connesse con l’incipiente economia<br />

monetaria –, avevano reso necessario un forte richiamo alla salvaguardia dei<br />

beni ecclesiastici. Cosicché nel I concilio ecumenico di Lione, tenutosi nel<br />

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