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Terza serie (2001) VI, fascicolo 1-2 - Brixia Sacra

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S T U D I<br />

comune dei beni offerti dai fedeli venne quindi lentamente divisa e attribuita a<br />

enti diversi, sempre però nel rispetto delle finalità gelasiane, ma già nel V secolo<br />

alcuni vescovi avevano iniziato ad accordare delle rendite speciali a chierici<br />

incaricati di missioni particolari, ritagliandole dai beni comuni.<br />

In seguito, con le riforme carolinge, sia quella canonicale di Crodegango di<br />

Metz (✝ 766) che quella cenobitica di Benedetto di Aniane (✝ 821), cominciò<br />

ad affacciarsi anche l’idea di una mensa conventualis e di una mensa monastica,<br />

come pure prese a circolare una terminologia che faceva proprie espressioni<br />

come portio o «stipendia fratrum aut canonicorum», oppure indicava la<br />

destinazione di tali beni e rendite semplicemente ad usum o ad opus fratrum<br />

senza altre precisazioni 27 . Questo significava che vescovi e abati non disponevano<br />

più in maniera esclusiva ed arbitraria della totalità dei beni ecclesiastici,<br />

perché una certa parte veniva attribuita alla comunità dei chierici e a quella<br />

conventuale; al contrario, la funzione esercitata all’interno del sistema di potere<br />

carolingio da presuli ed abati rese necessaria la determinazione di una porzione<br />

di rendite riservate all’ufficio vescovile e abbaziale, che si andò rafforzando<br />

con la disgregazione della compagine imperiale per mettendo a questi alti<br />

prelati di circondarsi di una curia vassallatica armata retribuita con le rendite<br />

della Chiesa. Rispetto alla totalità dei beni di pertinenza ciò voleva dire che,<br />

una volta stabilite le necessità della comunità e la conseguente porzione di beni<br />

da assegnare ai canonici o alla comunità monastica, tutto il resto restava a<br />

disposizione per il beneficio del vescovo e dell’abate.<br />

Nel secolo XI si giunse pertanto a precisare, anche sotto il profilo canonico<br />

e grazie alla riforma, la distinzione tra la mensa episcopalis o la mensa abbatis,<br />

che designava la parte di beni ecclesiastici riservati al vescovo o all’abate, e la<br />

mensa capitularis o conventualis, indicante la porzione di rendite finalizzate ai<br />

bisogni dei chierici e dei monaci. Tra XII e XIII secolo la mensa capitularis<br />

subì ulteriori modifiche, poiché, in seguito alla rinuncia dei canonici di condurre<br />

vita in comune, si provvide ad assegnare a ciascuno di loro una parte dei<br />

beni, il cui uso prima era comunitario, sotto forma di prebenda, mentre una<br />

certa quantità continuò ad essere riservata alle necessità generali del capitolo.<br />

Nella seconda metà del XIII secolo la mensa vescovile appare ormai pienamente<br />

strutturata tanto sotto l’aspetto giuridico-amministrativo quanto sotto<br />

quello organizzativo; la cura di questi beni da parte dei singoli episcopati si<br />

sostanzierà in una <strong>serie</strong> di provvedimenti, sanciti dalle assise sinodali, allo scopo<br />

di migliorare la gestione amministrativa del patrimonio e delle entrate<br />

facenti capo al vescovo e di tutelarne il mantenimento 28 . A Brescia si prodigò<br />

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