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L'IMPOSSIBILE CURA - 1999 - Società Amici del Pensiero

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a ogni altro, non c’è alcuna soddisfazione, non esiste privilegio per nessuno. È evidente che nella perversione<br />

massima è la discriminazione di tipo razziale, a partire dai sessi.<br />

Come si configura il rapporto nella perversione, se vengono meno produzione e guadagno, i fattori che lo<br />

qualificano? Nella perversione non c’è guadagno in quanto tutti sono uguali. Al posto <strong>del</strong> rapporto subentra<br />

l’interazione. Le relazioni sono regolate da strategie di controllo, più precisamente strategie di comando.<br />

Mentre nella nevrosi avevamo la rimozione, e nella psicosi il rigetto <strong>del</strong>l’iniziativa e quindi il venir meno<br />

<strong>del</strong>la ricerca <strong>del</strong>la soluzione, nella perversione viene eliminata la questione stessa: «Non facciamoci più il<br />

problema <strong>del</strong>la soddisfazione, lasciamolo agli illusi (nevrosi) che ancora vi credono».<br />

Ho letto di recente la sceneggiatura di un film attualmente sugli schermi che rende bene l’idea <strong>del</strong>la<br />

perversione in quanto operazione culturale. Il riferimento è all’ultimo film di Benigni, La vita è bella. Non<br />

dico affatto che Benigni sia perverso, ma che il capolavoro che ha realizzato è un buon esempio di<br />

operazione perversa. Che cosa vediamo in questo film senza una virgola fuori posto, dagli attori straordinari,<br />

che ci presenta l’orrore con dolcezza fino a commuoverci?<br />

Fin dall’inizio <strong>del</strong>la vicenda, le situazioni paradossali che ci mostra ne segnalano il genere: è un film comico.<br />

Fin dall’inizio si tratta di gioco; dal momento in cui Guido incontra la donna che diventerà sua moglie in poi,<br />

i rapporti si realizzano come gioco, per gioco, prendendosene gioco. Durante tutto il film, la donna si<br />

presenta come «la stupita», colei che viene presa sempre di sorpresa, quasi non fosse in grado di pensare.<br />

Suo figlio Giosuè è una figura patetica di bimbo che tenta e ritenta di ribellarsi ai tentativi <strong>del</strong> padre di<br />

presentargli gli orrori <strong>del</strong> campo di concentramento come un grande gioco.<br />

Se volete un esemplare di quello che noi diciamo essere l’ingenuità <strong>del</strong> bambino, basta pensare a Giosuè, ma<br />

è anche grazie alla scelta <strong>del</strong>la figura di Giosuè, bambino arguto, pensante, tenace, che Benigni non ci risulta<br />

perverso.<br />

La storia narra la vicenda di una famiglia italiana durante l’occupazione nazista. Lui incontra lei, promessa<br />

sposa a un gerarca fascista. La sera <strong>del</strong>la festa di fidanzamento, allestita nell’albergo <strong>del</strong>lo zio ebreo di lui,<br />

avviene uno dei primi attacchi a danno degli ebrei: il cavallo <strong>del</strong>lo zio viene trovato coperto di vernice verde<br />

con la scritta «cavallo ebreo». Ma lui utilizza il cavallo per entrare nel salone improvvisando un numero<br />

circense e portarsi via la promessa sposa <strong>del</strong>l’altro. Lui e lei si sposano e avranno un bambino, Giosuè; nel<br />

frattempo lui, laico di origini ebraiche, ha aperto una libreria cui ha dovuto apporre la scritta «libreria ebrea».<br />

In quanto ebreo, viene internato con il bambino e con lo zio. Lei, non ebrea, assente al momento <strong>del</strong>l’arresto,<br />

li rincorre, sale sul treno in cui sono stati rinchiusi e si fa deportare. Arrivati al campo di concentramento, il<br />

bambino, che non capisce cosa stia accadendo, viene convinto dal padre con esibizioni clamorose che si<br />

tratta di un grande gioco. Era il giorno <strong>del</strong> suo compleanno: «Ecco il regalo per il tuo compleanno: un<br />

viaggio in treno». Il bambino continua a ribellarsi, piange, dice che quel gioco non gli piace, non crede<br />

neanche che si tratti di un gioco, non ha visto in giro nessun bambino, ha anche saputo che i bambini<br />

diventano saponette. Di volta in volta, il padre lo convince. Il film termina con l’entrata degli americani, la<br />

smobilitazione <strong>del</strong> campo e l’uccisione dei detenuti da parte <strong>del</strong>le SS. Il padre riesce a reggere la finzione<br />

fino al momento in cui vede che le donne vengono caricate sul camion, allora va alla ricerca <strong>del</strong>la moglie e<br />

nel tentativo viene ucciso. Nel frattempo il bambino, sempre d’accordo con il padre, resta nascosto per non<br />

perdere al gioco. Il padre gli aveva detto di uscire solo quando non avesse sentito più alcun rumore. Se vi<br />

fosse riuscito, avrebbe vinto gli ultimi settanta punti. Il bambino esegue, e quando esce si trova davanti un<br />

carro armato americano: «È vero, abbiamo vinto!». Il gioco-inganno è riuscito, il padre è morto.<br />

Questo «grande gioco», che usa <strong>del</strong>l’ingenuità <strong>del</strong> bambino a dispetto dei suoi tentativi per ribellarsi fino alla<br />

capitolazione finale, presentato come una vicenda in cui spicca il sacrificio <strong>del</strong> padre che vorrebbe difendere<br />

il figlio dall’orrore, è in realtà un gioco che corrisponde alle teorie dei giochi. Che sia un gioco strategico lo<br />

si vede dal fatto che non comincia con l’entrata nell’orrore <strong>del</strong> campo di concentramento, ma già fin dalle<br />

prime scene <strong>del</strong> film. La vita è bella è: la vita è un gioco, un gioco cattivo.<br />

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