Non lo sono gli anoressici, che brandiscono l’anoressia come un corpo contundente. Non lo sono gli omosessuali specialmente se gay, che addirittura ostentano il loro stato fino al pubblico pride. Non lo sono i querulomani, che con artefatta mitezza combattono la loro battaglia pseudogiuridica. Non lo sono i melanconici, di cui la querulomania è una variante. Neppure menziono la perversione, nelle sue forme piu diverse, che in tutti questi casi è di casa. Queste sottoclassi (ne ho dimenticata qualcuna? Rinvio la discussione sul cosiddetto «autismo», intendo proprio quello infantile e precocissimo) militano la loro posizione, faccia a faccia, muro a muro, muso a muso, e duro (salvo miti apparenze). Il loro mo<strong>del</strong>lo è la militanza politica novecentesca (e chissà che questa non abbia imparato qualcosa, benché non tutto, da loro). Ricordate le ultime parole di Jago: «Da questo momento non dirò una sola parola». E all’occorrenza fino alla morte, cioè la morte stessa è brandita come arma <strong>del</strong>la medesima militanza. Vittoria <strong>del</strong>la morte, cui rispondeva già S. Paolo: «Dov’è o morte la tua vittoria?». In queste sottoclassi non si fa che azione diretta come unico principio, il principio <strong>del</strong>l’azione senza il verbo: che si oppone al terapeuta ossia a quello che pretende di curare con un’azione diretta: ecco il muso-a-muso, muro a muro. Ma lo psicoterapeuta se l’è andata a cercare. Chi e come è possibile curare? Partiamo dal chi, poi il come. È possibile curare chi... Quest’ultima frase è cominciata male, per i puntini che attenderebbero la definizione di un oggetto. No: è possibile curare Chi! punto e esclamativo un soggetto non servo (significa: non causato da un comando). In ciò niente di arcano né di speculativo. Chi! è chi inizia, una persona... onesta, chi inizia una via. Onestà e iniziare coincidono. Quanto alla possibilità di una cura, Chi! inizia chiamando le sue cose con il loro nome, cioè riconoscendole per il fatto di dichiararle, confessarle, alle orecchie di un altro in grado di recepirle: sintomo insonnia, compulsione, bocca che si chiude o stomaco che vomita, corpo che si raffredda o si surriscalda senza meta... inibizione <strong>del</strong>l’azione possibile o <strong>del</strong> pensiero possibile, insomma <strong>del</strong> lavoro, salvo aprirsi solo all’azione maligna e sul pensiero come premeditazione di essa; angoscia, o l’affetto di un movimento deviato dalla sua meta da un ricatto menzognero sull’amore. Ossia almeno per un momento non fa più il tossico, il <strong>del</strong>irante, l’anoressico, l’omosessuale, il queruomane, il melanconico. Dice, e in prima persona. Non mente più sulle sue cose. Agisce sì ma bene, senza mentire, di cui l’omettere doloso è un caso particolare. Ma non tutte le omissioni sono dolose, come ben sa la collera silenziosa <strong>del</strong> bambino che ha pagato nella sua pelle l’offesa alla sua sincerità ingenua e mal ripagata. Inibizione, sintomo, angoscia: riconoscendoli il soggetto si riconosce con una parola ottocentesca «nevrotico», cioè curabile perché è qualcuno che si difende ancora, benché inefficacemente. Ecco ciò che significa che la psicoanalisi cura solo le nevrosi; significa che anche il tossicomane, lo psicotico eccetera può riconoscere la sua nevrosi (= la triade: inibizione-sintomo-angoscia), e dunque iniziare ad avere cura di sé per mezzo di un altro. Ora il come. Il come va derivato dal Chi! Ha iniziato, che continui. Come il Parlamento «ne ha facoltà», purché la dichiari a qualcuno capace di riconoscerla. È questa capacità di riconoscimento a fare lo psicoanalista. E poiché, dopo iniziato, ne ha facoltà, che continui nella rigenerazione <strong>del</strong>la facoltà. Ha iniziato nella buona via poi negata dalla patologia inaugurata da un «trauma» offensivo <strong>del</strong>la facoltà stessa: che continui, anche se ancora è nelle peste e nelle peste <strong>del</strong>la psicopatologia. Il tossicomane, come quelli <strong>del</strong>le altre specie, agisce come missionario <strong>del</strong>l’impotenza, a partire dalla sua. Resta nell’odio come soluzione o fine agito: senza il sostegno <strong>del</strong>l’azione <strong>del</strong> soggetto la patologia non esisterebbe invece di rammentare la sua giusta collera come mezzo. Nel primo si allea al suo offensore, con la seconda si difende e difende un principio che è di moralità: il principio di piacere, o di soddisfazione, che significa conclusione, portare a buon e logico fine. Ciò che chiamiamo «psicoanalisi» è una legge di pace che propone di rinunciare all’odio ma non alla collera: fino a rendere questa non più necessaria, e ormai coatta nella nevrosi, ma contingente, quella sollecitabile da un nuovo evento offensivo perché venga giudicato senza più insulto per il 4
soggetto. Non l’odio che ferisce ma la collera che giudica senza condanna, che risolve la sanzione nel giudizio ossia chiama le cose con il loro nome. Questo, sia detto di passaggio, è secondo me anche il concetto di Ultimo giudizio: in cui non si manda nessuno all’inferno, ma vi si lascia chi proprio ci vuole restare. Noi ci occupiamo, modestamente, <strong>del</strong> penultimo. TEMI Chi Cura Guarigione Incurabili Militanza Odio Psicoanalisi Psicoterapia Psicopatologia Tossicodipendenza 5
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In tutta la psicopatologia, poco o
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ambino è una tabula rasa che io de
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utilizzo del denaro, conseguimento
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che fa il perverso e in particolare
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giudicare come se fosse un secondo
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vanno, non vengono giudicati o cond
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